Il commercio all’ingrosso e la funzione dei
mercati in Lombardia: problematiche,
evoluzione e proposte di valorizzazione
Codice IReR: 2006B016
Project leader: Guido Gay
Rapporto finale
Milano, dicembre 2007
La ricerca è stata affidata ad IReR nell’ambito del Piano di ricerche
strategiche 2006 di Regione Lombardia.
Responsabile di progetto: Guido Gay, IReR
Gruppo di lavoro tecnico: Paolo Mora, responsabile regionale della ricerca DG
Commercio, Fiere e Mercati,; Cosmina Colombi, DG Agricoltura; Gabriella
Faliva, DG Artigianato; Maria Luppi, DG Famiglia; Donatella Scarpanti, DG
Programmazione Integrata
Gruppo di ricerca: Luca Lanini, professore a contratto di Logistica
agroalimentare, Università Cattolica del Sacro Cuore; Sabrina Latusi, ricercatore
di Economia e gestione delle Imprese, facoltà di Economica, Università degli
Studi di Parma; Beatrice Luceri, professore associato di Marketing, facoltà di
Economia, Università degli Studi di Parma;Gianpiero Lugli, professore ordinario
di Marketing distributivo, facoltà di Economia, Università degli Studi di Parma;
Davide Pellegrini, professore associato di Marketing, facoltà di Economia,
Università degli Studi di Parma; Edoardo Sabbadin, professore associato
confermato di Economia e gestione delle imprese, Università degli Studi di
Parma; Onorario Zappi, membro del Comitato tecnico sui progetti di
valorizzazione dei Centri storici e delle aree urbane costituito presso Indis –
Unioncamere
Indice
Introduzione
Capitolo 1
L’ingrosso tradizionale in Lombardia
1.1. Premessa generale
1.2. L’ingrosso di beni di largo consumo in Lombardia
1.2.1. Appendice statistica
1.3. L’ingrosso di bevande in Lombardia
1.4. L’ingrosso d’abbigliamento e calzature in Lombardia
1.5. L’ingrosso di mobili, casalinghi e articoli per la casa in Lombardia
1.6. Grossisti di materiali da costruzione per la casa
1.7. L’associazionismo fra grossisti
1.8. Centri commerciali
Capitolo 2
Ingrosso a libero servizio
2.1. La struttura dell’offerta nella Regione Lombardia
2.2. Le caratteristiche della domanda
2.3. Formati di punti vendita e posizionamento competitivo delle
insegne
2.4. Competizione con la grande distribuzione organizzata grocery
Capitolo 3
Integrazione verticale dell’ingrosso
3.1. Il ruolo economico dell’ingrosso nel canale di distribuzione
3.2. L’integrazione della funzione di ingrosso da parte delle imprese
industriali
3.3. Il settore della stampa quotidiana e periodica
Capitolo 4
Gli agenti e l’intermediazione indiretta
4.1. Il contratto di agenzia
4.2. L’iscrizione al Ruolo
4.3. I numeri chiavi del settore
4.4. L’analisi quantitativa: Italia e Lombardia a confronto
4.4.1. L’approfondimento settoriale: il caso Lombardia
4.5. Prospettive e aree di intervento
4.6. Le prospettive di sviluppo delle diverse tipologie di intermediari
4.6.1. L’agente monomandatario senza deposito non strutturato
4.6.2. L’agente monomandatario senza deposito strutturato
4.6.3. Il sub-agente
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4.6.4. L’agente monomandatario con deposito
4.6.5. L’agente plurimandatario senza deposito non strutturato
4.6.6. L’agente plurimandatario senza deposito strutturato
4.6.7. L’agente plurimandatario con deposito
4.6.8. La rete di agenti
4.6.9. L’ufficio di rappresentanza
4.6.10. Il mediatore
Appendice – Il contratto di agenzia
Capitolo 5
I mercati all’ingrosso
5.1. Il ruolo dei mercati agroalimentari nei nuovi scenari alimentari e
distributivi
5.2. Mercati all’ingrosso in Italia: un modello in crisi
5.2.1. Il Piano Mercati e la Legge 41/1986: un’occasione mancata?
5.2.2. Le strategie riorganizzative dei mercati all’ingrosso a livello
europeo: mercati e nuovi canali di distribuzione
5.2.3. Verso i mercati di “terza generazione”
5.3. Mercati all’ingrosso nella Lombardia
5.3.1. I mercati grossisti di Milano e le strategie SogeMI
5.3.2. Il mercato ortofrutticolo di Brescia
5.3.3. Il mercato ortofrutticolo di Bergamo
5.4. Considerazioni finali
Capitolo 6
Aspetti di politica commerciale all’ingrosso
6.1. Tendenze evolutive della normativa statale in materia di
commercio all’ingrosso
6.2. La normativa della Regione Lombardia in materia di mercati
all’ingrosso, anche in rapporto ad altre normative regionali
6.3. Le aree di sovrapposizione tra commercio all’ingrosso e
commercio al dettaglio
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Conclusioni
221
Bibliografia
233
Glossario
237
Introduzione
La ricerca analizza il commercio all’ingrosso in Lombardia. In particolare, gli
ambiti di approfondimento sono i seguenti:
-
il commercio all’ingrosso tradizionale nei principali settori;
il commercio all’ingrosso a libero servizio;
l’integrazione verticale dell’ingrosso;
le reti di vendita indirette (agenti e commissionari, con e senza deposito);
il commercio all’ingrosso in aree pubbliche (mercati ortofrutticoli, ittici,
delle carni bovine, avicunicoli e floricoli);
la politica commerciale dell’ingrosso.
Nel primo capitolo si analizza l’ingrosso come funzione e settore. L’analisi
settoriale dell’ingrosso è resa complessa, non solo dall’eterogeneità merceologica,
ma anche dal fatto che la funzione svolta dal commercio all’ingrosso, che è quella
di collegamento tra industria e distribuzione al dettaglio, è condizionata sia dalla
tendenza dell’industria ad integrarsi a valle, per poter meglio controllare le
politiche di marketing e di marca (in particolare), sia dalla concorrenza verticale
esercitata dallo sviluppo della Grande Distribuzione. La propensione
dell’industria a integrare la funzione di ingrosso non è univocamente legata alla
concentrazione del commercio al dettaglio; non si può in altri termini sostenere
che l’esercizio specialistico della funzione di ingrosso è minacciato solo in quei
settori in cui è intervenuta una forte concentrazione del commercio al dettaglio.
Infatti, se analizziamo per esempio il settore HO.RE.CA., che si mantiene
polverizzato nonostante la forte crescita delle vendite, è in atto un processo di
integrazione verticale discendente della funzione di ingrosso che si manifesta con
diverse modalità a seconda del settore, ma presenta lo stesso obiettivo di controllo
dei punti di somministrazione. L’assortimento stretto sia in ampiezza che in
profondità dei pubblici esercizi conferisce notevole rilevanza alla funzione di
ingrosso nelle strategie di trade marketing; le prime 5 categorie rappresentano il
45-50% degli acquisti e, spesso, per ogni categoria viene trattata una sola marca.
La concentrazione merceologica degli acquisti HO.RE.CA da un lato e la
polverizzazione del settore, dall’altro, si traducono in una grande rilevanza della
funzione di ingrosso per la realizzazione di un vantaggio competitivo consistente
e sostenibile. Le aziende industriali di marca sono dunque tutte impegnate nel
controllo della funzione di ingrosso manovrando le leve del trade marketing o, in
alternativa, integrando in vario modo questa attività.
Se poi si considera la Grande Distribuzione Organizzata, che è più concentrata
sul piano degli acquisti che sul piano delle vendite, il grossista svolge ancora il
ruolo di fornitore nelle categorie merceologiche a bassissima rotazione per le
quali è richiesta una fortissima centralizzazione delle funzioni logistiche. Si pensi
per esempio ai casalinghi venduti a libero servizio in confezioni blisterate. La
diversificazione nel casalingo da parte dei distributori GDO operanti nei comparti
alimentari è iniziata negli anni settanta per iniziativa dei grossisti, che
consideravano questi formati molto promettenti per il traffico generato e la
possibilità di stimolare l’acquisto d’impulso attraverso espositori di prodotti
blisterati. Il grossista svolgeva e svolge un ruolo centrale nella filiera in quanto
gestisce il rapporto di fornitura coi produttori, trasforma un prodotto vendibile con
servizio al banco in un prodotto vendibile a libero servizio col confezionamento in
blister, svolge tutte le funzioni logistiche a monte del punto vendita e nel punto
vendita, costruisce un assortimento di categoria su misura del cliente e offre
assistenza anche nel posizionamento al consumo dei prodotti. La bassissima
rotazione e la connessa necessità di una gestione centralizzata del magazzino, la
complessità del sourcing e del procurement, unitamente alle difficoltà di gestione
del blistering e della manutenzione degli espositori a punto vendita, rendono
stabile il ruolo del grossista di prodotti blisterati. La GDO ha cercato infatti a più
riprese senza successo di integrarsi a monte allacciando rapporti diretti coi
fornitori di prodotti. Analogamente, i fornitori di prodotti venduti in blister hanno
cercato a più riprese di integrarsi a valle allacciando rapporti diretti con le insegne
GDO, senza successo; la conferma empirica può essere trovata nella realtà
operativa constatando che produttori multinazionali come Philip e Rimmel si
servono di un grossista come Gabbiano per distribuire i loro prodotti in blister nei
supermercati e negli ipermercati. La bassissima rotazione dei prodotti blisterati
aumenta la massa critica necessaria per minimizzare i costi e offrire un servizio
efficiente a punto vendita.
Il settore del commercio all’ingrosso è sempre più difficile da inquadrare. I
confini dell’attività economica di tali intermediari nei differenti settori
merceologici dipendono sia dalla concorrenza verticale con produttori e
dettaglianti, sia dalla competizione orizzontale tra grossisti tradizionali e
innovativi. La sempre maggiore dinamicità competitiva ha attivato nuovi processi
d’integrazione che costringono i grossisti ad un continuo riesame dei servizi
offerti per mantenere una posizione remunerativa nei canali di distribuzione.
Le rigidità del sistema delle classificazioni ufficiali del settore dell’ingrosso in
Italia ostacola l’analisi e la precisa individuazione delle tendenze più innovative
nell’ambito dell’attività d’intermediazione.
Per quanto attiene i caratteri strutturali dell’intermediazione all’ingrosso i dati
nazionali degli ultimi censimenti relativi all’attività d’intermediazione
all’ingrosso pongono in luce la frammentazione della struttura imprenditoriale e,
in alcuni settori merceologici, due tendenze contrapposte: la crescita del numero
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delle unità locali e la contrazione degli addetti. I trend appena indicati
evidenzierebbero un ulteriore frammentazione del settore, e un’involuzione e un
allontanamento dell’ingrosso dalle logiche della modernizzazione e dai modelli di
business europei. Si tratta quindi di approfondire questi elementi riguardo ai
settori merceologici che hanno una presenza più significativa in Lombardia.
Gli intermediari all’ingrosso tradizionali subiscono la concorrenza derivante sia
dall’integrazione a valle dell’industria, sia, dall’integrazione a monte da parte
delle imprese della Grande distribuzione. Tuttavia, l’aumento dell’eterogeneità ed
in alcuni comparti anche della frammentazione della distribuzione attribuisce
all’ingrosso un nuovo ruolo nel razionalizzare il flusso degli ordini e delle
consegne. Nell’attuale contesto competitivo si riscontrano sia fattori che
incentivano gli operatori a ridurre la lunghezza dei canali e a “scavalcare” gli
intermediari all’ingrosso sia tendenze (meno significative) favorevoli alla
reintermediazione, che potrebbero favorire lo sviluppo degli operatori all’ingrosso
anche se con modalità e soluzioni innovative.
In questa parte della ricerca ci proponiamo di analizzare i percorsi più innovativi
di rilancio dell’ingrosso nella Regione Lombardia; l’analisi è stata supportata da
interviste e dallo studio di casi aziendali generalizzabili. Una parte rilevante è
dedicata allo studio delle più recenti soluzioni associative presenti nella regione
Lombardia.
Dall’analisi effettuata fino ad ora, l’ingrosso si presenta come un settore esposto
ad una forte pressione competitiva; alla competizione orizzontale si aggiunge
infatti una forte competizione verticale esercitata da fornitori e clienti che si
integrano verticalmente non solo per conseguire economie di costo, ma anche e
soprattutto per realizzare una maggior efficacia nelle loro politiche di marketing. I
maggiori costi dell’integrazione industriale della funzione di ingrosso assumono
dunque la natura di costi di marketing e si giustificano in termini di sell out del
brand. Due esempi servono a chiarire meglio il concetto: Ferrero consegna a
punto vendita e a magazzino dei clienti GDO alle stesse condizioni, mentre Coca
Cola ha recentemente realizzato una integrazione verticale discendente nel centro
Nord consegnando direttamente ai punti di somministrazione. Spesso poi al
grossista viene riservata la parte marginale del mercato, come avviene per
esempio nel settore farmaceutico. Il consistente servizio di prossimità offerto dalle
farmacie, unitamente alla ampiezza - profondità dell’assortimento di prodotti a
bassa rotazione, impongono la minimizzazione della scorta nei punti vendita che,
di norma, dispongono di una dimensione molto modesta. Considerata la scarsa
sostituibilità tra prodotti e marche, la soddisfazione della domanda richiede un
consistente servizio logistico. Di norma, una farmacia si serve da 4-5 intermediari
che consegnano con frequenza differenziata le diverse tipologie di farmaco. Il
distributore con cui la singola farmacia realizza maggiori acquisti consegna anche
più volte nel corso della giornata; gli altri fornitori consegnano con cadenze
7
diverse1. La ridotta consistenza degli ordini e l’elevata frequenza di consegna
rendono altamente inefficiente l’acquisto diretto dai produttori industriali e, di
conseguenza, emerge un ruolo strutturale stabile per l’intermediazione grossista. Il
grossista svolge un ruolo logistico indispensabile anche nella distribuzione dei
farmaci ospedalieri e, più in generale, dei farmaci distribuiti direttamente dalle
ASL. Le farmacie hanno integrato in parte la funzione di ingrosso costituendo
gruppi di acquisto in forma cooperativa trattando prevalentemente i farmaci non
etici per i quali è maggiore la valenza commerciale; ciò che determina una
rilevante varianza dell’assortimento di prodotti non etici a punto vendita. Le
cooperative di farmacisti sono nate per sviluppare il potere contrattuale negli
acquisti nei confronti dell’industria di marca. Infatti, diversamente dal grossista, la
cooperativa di farmacisti può, in teoria, garantire il referenziamento da parte dei
propri soci e, quindi, per i prodotti del parafarmaco e della cosmesi-cura persona,
realizzare un minor prezzo di acquisto. Ciò anche per il fatto che, a differenza del
grossista, la cooperativa di farmacisti non è tenuta ad avere in stock il 90% dei
farmaci etici.
Riteniamo dunque che la sopravvivenza dell’esercizio specialistico della funzione
di ingrosso sia riconducibile alle caratteristiche del prodotto, più che alla
concentrazione di clienti e fornitori; i grossisti che sopravvivranno saranno quelli
che dimostreranno un approccio innovativo al mercato non solo nelle tradizionali
funzioni logistiche, ma anche e soprattutto nelle funzioni di marketing.
Il secondo capitolo analizza il commercio all’ingrosso a libero servizio nel settore
grocery. La produzione specialistica della funzione di ingrosso deve essere
giustificata sia sul piano dell’efficienza che sul piano dell’efficacia. Oltre alle
economie esterne, il grossista deve essere infatti in grado di fornire ai clienti un
servizio che risponda ad esigenze che mutano nel tempo in relazione a
cambiamenti di struttura e condotta nei rispettivi mercati. Quando la capacità di
dare risposte efficaci ed efficienti si affievolisce interviene l’integrazione verticale
discendente dei fornitori e ascendente dei clienti che mettono in crisi l’esercizio
specialistico della funzione di ingrosso. Vi è poi una componente strutturale nella
crisi dell’ingrosso che riguarda la concentrazione del dettaglio e lo sviluppo di
forme distributive moderne come il supermercato e l’ipermercato. Tali fattori
possono essere visti non solo come responsabili della crisi dell’ingrosso, ma anche
come elementi che galvanizzano le energie imprenditoriali. In molti paesi si è
infatti passati dalla crisi al rinascimento dell’ingrosso attraverso innovazioni
organizzative e di prodotto, come le unioni volontarie e i cash and carry. Se
l’unione volontaria è una soluzione organizzativa che vincola il dettagliante al
grossista contro il corrispettivo di una serie di servizi che migliorano la
competitività, il cash and carry risponde alle esigenze di dettaglianti che non
possono o non vogliono associarsi, degli utilizzatori professionali e degli operatori
HO.RE.CA di piccola e media dimensione. Il prodotto dell’ingrosso a libero
1
Ci è recentemente capitato di rilevare casi di distribuzione logistica che definire atipica è
poco. A Verona, le farmacie del centro sono state abituate ad avere fino a 7 consegne giornaliere
da parte dello stesso distributore.
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servizio è infatti particolarmente adatto a coloro che acquistano frequentemente
quantità sostanzialmente contenute di un numero elevato di articoli. I clienti
dell’ingrosso a libero servizio possono ottenere una maggiore rotazione del
magazzino, da un lato, per la possibilità di acquistare quantitativi inferiori a quelli
minimi imposti da altre forme di approvvigionamento e, dall’altro, per la rapidità
e continuità dei rifornimenti. Più in generale, la convenienza dell’ingrosso a libero
servizio deriva sia dalle caratteristiche strutturali del binomio merce-servizio, che
dai minori prezzi di acquisto riconducibili a loro volta allo spostamento sul cliente
di talune attività e al pagamento in contanti.
Il cash and carry è un formato di punto vendita sviluppato da imprese che
appartengono ai diversi Gruppi Strategici elencati qui di seguito:
-
-
imprese mono canale in cui si riscontra il leader di mercato, Metro Italia;
imprese a succursale costituite da aziende multicanale operanti nel cash
and carry con una struttura separata da quella del retail, centralizzata negli
acquisti, che controlla una rete di punti di vendita di diversa dimensione in
gestione diretta o in affiliazione (si pensi a Gross Market di Lombardini e
a Docks Market di Carrefour);
unioni volontarie composte da soci multicanalizzati ma, a differenza delle
imprese a succursale, provenienti dall’ingrosso e diversificati poi nel
dettaglio (si pensi a Selex e Interdis).
Il prodotto commerciale del cash and carry non è stabile, ma subisce un processo
di evoluzione nel corso del suo ciclo di vita. Si tratta di un’evoluzione che non è
generalizzata per tutta la clientela, ma selettiva. L’aumento della quantità e il
miglioramento della qualità del servizio intervenuti con l’ingresso della formula
nella fase di maturità del ciclo di vita risulta cioè differenziato in funzione delle
caratteristiche dei diversi segmenti di clientela.
Le aziende che operano con la formula del cash and carry oggi puntano
soprattutto:
-
-
sulla differenziazione dell’offerta in funzione della domanda, articolando,
da un lato, i formati di punto vendita in modo da soddisfare
compiutamente i bisogni e i desideri della clientela target e, dall’altro,
innovando i servizi pre, durante e post vendita;
sulla fidelizzazione della clientela attraverso politiche di CRM e di
micromarketing;
su accordi con l’industria di marca.
Se in generale cresce l’attenzione verso il segmento degli operatori HO.RE.CA.,
va tuttavia ricordato che la composizione della domanda dell’ingrosso a libero
servizio mostra una correlazione con il grado di modernizzazione del dettaglio
grocery. Infatti, i cash and carry della distribuzione organizzata, presenti
maggiormente al sud, presentano una domanda composta soprattutto da
dettaglianti, mentre per i cash della grande distribuzione, presenti soprattutto al
centro-Nord, il segmento di clientela più importante è rappresentato dagli
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operatori HO.RE.CA. Tale differenziazione è facilmente comprensibile se si
considera che i cash della GD operano in aree commercialmente più evolute sia
sotto il profilo della distribuzione grocery che su quello degli esercizi HO.RE.CA;
si tratta di formati più grandi con una offerta completa di prodotti freschi e non
food.
Va infine sottolineato che la carenza di altre modalità di approvvigionamento,
la preferenza per acquisti senza fattura e lo sfruttamento di occasioni
promozionali sono fattori che spingono l’operatore HO.RE.CA ad
approvvigionarsi presso ipermercati e supermercati. Il ricorso a tale fonte è stato
in passato di tipo occasionale e speculativo, ma tende sempre più a crescere,
traducendosi in una nascente competizione per la conquista e la fidelizzazione di
tale categoria di operatori tra cash and carry e grande distribuzione organizzata.
Per quest’ultima, la crescita dei consumi extradomestici rappresenta
un’opportunità e in tale senso vanno lette le azioni rivolte al cliente intermedio per
indurlo ad approvvigionarsi nei punti vendita al dettaglio.
Per una più approfondita comprensione delle principali modificazioni che hanno
interessato il commercio all’ingrosso a libero servizio, il capitolo presenta in
primo luogo la struttura dell’offerta nella regione Lombardia a confronto con il
dato nazionale, con particolare riferimento alla numerica e alla superficie totale e
media dei punti vendita. Il quadro informativo è completato poi dalla disamina
dell’evoluzione della domanda del servizio all’ingrosso, valutando gli effetti sulle
condotte competitive degli operatori. Nello specifico viene analizzato l’impatto
delle variazioni nell’ambiente sulla struttura dell’offerta, analizzando le strategie
di marketing delle principali insegne operanti nel comparto. Infine, sono analizzati
i cambiamenti indotti sulla struttura del comparto dall’ampliamento della
domanda perseguito dalle imprese al dettaglio della grande distribuzione
organizzata grocery attraverso l’ampliamento del mercato obiettivo agli operatori
HO.RE.CA. L’analisi è condotta sulla base delle fonti secondarie disponibili e la
discussione di casi aziendali utili alla comprensione delle tematiche in oggetto.
Il terzo capitolo approfondisce il tema dell’integrazione verticale dell’ingrosso da
parte delle imprese industriali. La comprensione di questo fenomeno e la
valutazione del relativo impatto nei diversi mercati rimandano necessariamente al
ruolo economico svolto dal grossista nel canale di distribuzione. Tale ruolo è in
parte riconducibile alla struttura del commercio al dettaglio e alle politiche
distributive delle imprese industriali. La prima condizione impatta sulla quota di
volumi potenzialmente intermediabili dal grossista, mentre la seconda su quella
effettiva.
Il mercato potenziale degli intermediari all’ingrosso è inversamente correlato al
grado di concentrazione dell’offerta distributiva al dettaglio. Lo spazio economico
per l’ingrosso diminuisce nei settori in cui l’evoluzione del comportamento
d’acquisto del consumatore induce modificazioni strutturali nel commercio,
favorendo lo sviluppo di esercizi commerciali di medio-grande superficie e di
imprese succursaliste operanti con una logica industriale. Si tratta di imprese che
integrano l’attività di ingrosso, da un lato, perché il servizio offerto sul mercato è
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inadatto per quantità e qualità alle loro esigenze e, dall’altro, per appropriarsi dei
guadagni di produttività derivanti dalla centralizzazione delle attività soggette ad
economie di scala, come gli acquisti, la logistica, il marketing, la gestione del
personale, l’amministrazione e la finanza.
Il mercato effettivo degli intermediari all’ingrosso dipende invece dalla
decisione assunta dalle imprese industriali, nell’ambito della strategia di
marketing, con riferimento al presidio dei mercati di sbocco. La distribuzione
diretta, attraverso reti di vendita e logistica esclusive, consente un controllo più
efficace del marketing distributivo ai fini del sostenimento dell’immagine di
marca e del relativo posizionamento sul mercato. Nel caso dei prodotti
standardizzati e di modesto valore unitario, il presidio diretto della rete al
dettaglio si impone, inoltre, con maggior forza per la necessità di ottenere la
massima copertura del mercato: se il cliente finale non trova il prodotto o la marca
nel momento e nel luogo in cui intende acquistarla, sceglie sicuramente un’altra
marca e l’occasione di vendita sarà perduta.
Il limite tra copertura diretta ed indiretta è definito dalla soglia dei costi di
vendita e logistici che l’impresa industriale non intende superare. Tale limite
dipende da:
-
la dimensione del produttore;
l’entità media dell’ordine dell’impresa distributiva.
La dimensione determina le risorse finanziarie disponibili e, conseguentemente, la
capacità da parte dell’impresa industriale di espletare autonomamente le attività
correlate alla distribuzione, riducendo il grado di dipendenza dagli intermediari
commerciali. Tale fattore è determinante in presenza di un dettaglio polverizzato e
frammentato territorialmente. Gli investimenti associati all’impianto della rete
commerciale e logistica per servire direttamente i punti vendita diventano
sostenibili soltanto a partire da una certa massa critica, innalzando la soglia
dimensionale che rende economicamente conveniente alle imprese l’utilizzo di un
canale di distribuzione corto. Oltre ai costi della rete di vendita, l’impresa deve
sostenere quelli connessi alla progettazione di un sistema logistico in grado di
conciliare una produzione su grande scala con una domanda intermedia frazionata
nel tempo e nello spazio. I prodotti finiti sono generalmente stoccati in uno o più
magazzini centrali che alimentano una serie di depositi regionali e locali realizzati
per approvvigionare aree di mercato limitate. Il rilevante investimento in scorte
che la costituzione di depositi regionali e locali comporta è sostenuto per garantire
il livello di servizio richiesto da punti vendita di piccola dimensione che ordinano
modesti quantitativi di merce con una frequenza elevata. Siffatto profilo degli
ordini dipende, da un lato, dal potenziale di vendite dell’esercizio e, dall’altro,
dalla disponibilità di spazi di stoccaggio limitati. Di conseguenza, con l’istituzione
di depositi regionali e locali si soddisfa la duplice esigenza, da un lato, di
minimizzare i costi di trasporto, adottando una soluzione mista di carichi
raggruppati per grandi volumi fino alle strutture periferiche e di consegne a raggio
limitato per le piccole quantità ai dettaglianti; dall’altro, di incrementare la
frequenza potenziale di consegna dovendo gestire un ambito territoriale limitato.
11
Tuttavia, questa configurazione della rete di vendita e logistica richiede una soglia
minima dell’ordine, al di sotto della quale diviene irrimediabilmente
antieconomica. In concreto, dando per scontato che la capacità dell’ordine della
piccola impresa commerciale è comunque limitata, si può ritenere che solo pochi
operatori riescano ad ottenerne una quota adeguata. Tale condizione si verifica per
le imprese industriali che dispongono di:
-
prodotti ad elevato valore aggiunto;
ampio portafoglio prodotti;
significativa quota di mercato.
L’integrazione verticale della funzione di ingrosso da parte delle imprese
industriali può concretizzarsi con diverse modalità:
-
-
la creazione di filiali commerciali da parte di imprese estere interessate a
servire il mercato nell’ambito delle proprie strategie di
internazionalizzazione;
la scelta da parte di imprese di produzione di superare il canale indiretto a
favore di una soluzione mista (canale diretto e canale indiretto);
l’integrazione verticale della funzione di ingrosso attraverso il modello
della commissionaria di vendita;
l’integrazione verticale della funzione di ingrosso attraverso la
diversificazione nell’attività di ingrosso e la connessa vendita di prodotti e
marche aggiuntive a quelle aziendali.
L’analisi è focalizzata sui settori che oggi sono più vivaci con riferimento al
fenomeno oggetto di studio e, precisamente, il complesso dei prodotti rivolti ai
pubblici esercizi (bar e ristoranti), il largo consumo e la stampa quotidiana e
periodica. Date le specificità di quest’ultimo settore, sottoposto a particolare tutela
da parte del legislatore per garantire la libera circolazione delle informazioni, si è
ritenuto opportuno esporre l’analisi in un paragrafo dedicato.
Infine, si segnala che il tema dell’integrazione verticale delle funzione di
ingrosso da parte delle imprese industriali prescinde dai confini regionali in cui
operano gli intermediari commerciali. Tale decisione strategica è assunta, infatti,
da imprese di grande dimensione con una presenza su tutto il territorio nazionale.
Pertanto, le ricadute a livello locale dipendono unicamente dal peso che le singole
regioni assumono nell’ambito del fatturato della specifica azienda industriale.
Il quarto capitolo affronta il tema delle reti indirette costituite da agenti e
rappresentati di vendita. Alla luce degli scenari descritti nei capitoli precedenti,
anche il ruolo di questi intermediari appare minacciato da fenomeni di
concentrazione che avvengono a monte e a valle del sistema. Tuttavia, la funzione
economica dell’intermediazione indiretta è molto legata alle caratteristiche del
settore e del territorio coperto. L’agente, infatti, assolve funzioni logistiche e
informative all’interno dei canali distributivi ma non effettua acquisti in proprio
nome. Quest’ultima circostanza distingue gli agenti dai commissionari e dai
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concessionari che, genericamente, vengono ricondotti nel profilo
dell’intermediazione indiretta. Secondo l’ISTAT, gli addetti all’intermediazione
commerciale sono classificabili in 6 macrocategorie, ognuna di queste categorie
contiene sottoclassificazioni, per un totale di 32 voci. Questa circostanza stride
con i meccanismi dell’iscrizione al Ruolo Agenti che prevede semplicemente che
presso le Camere di Commercio debbano iscriversi tutti coloro, persone fisiche e
società, che intendono svolgere l’attività di agenzia e/o rappresentanza. La
distinzione tra l’agente e il rappresentante è sottile, potendo quest’ultimo
concludere contratti, a differenza del primo che si limita a promuoverli. In realtà,
il quadro giuridico è molto articolato e sono almeno una trentina i provvedimenti
legislativi che negli ultimi venti anni hanno arricchito la giurisprudenza in
materia, comprendendo le Direttive comunitarie.
Ad oggi gli iscritti al Ruolo devono anche iscriversi al Registro Imprese, ciò in
quanto il numero di iscrizione deve essere comunicato ad Enasarco che gestisce le
posizioni previdenziali di circa 300.000 agenti per 100.000 mandanti. Questi
numeri sono leggermente superiori a quelli degli albi della Camere, che
comprendono un universo di circa 255.000 agenti. L’analisi statistica è
ulteriormente complicata dal fatto che le iscrizioni al ruolo non necessariamente
indicano la reale operatività dell’agente ed esiste il fondato sospetto che alcuni
benefici fiscali possano spingere all’iscrizione e al sostegno dei costi relativi in
virtù di un saldo contabile positivo. Non è un caso che periodicamente, ogni 5
anni esista un meccanismo di revisione del Ruolo, cioè di ripulitura della lista,
peraltro messo in crisi in passato dalla legge Bassanini che per un certo periodo
mise le Camere di Commercio nella condizione di non rendere obbligatoria
l’iscrizione al registro imprese (decisamente più costoso del Ruolo). Nonostante
questa difficoltà, la ricerca tenta di confrontare i dati della Lombardia con quelli
delle altre regioni per cogliere specificità settoriali e/o territoriali. In particolare, si
verifica l’esistenza di scostamenti nella struttura del comparto
(monomandatari/purimandatari, con deposito/senza deposito, con subagenti/senza
sub agenti, società/persone fisiche). Particolare attenzione è riservata all’analisi
del conflitto verticale tra agenti e mandanti in merito alla “proprietà” del cliente
finale a seconda del diverso profilo che può assumere il ruolo nel caso di:
-
rapporto esclusivo (agenti monomandatari);
rapporto non esclusivo sinergico (agenti plurimandatari con mandanti
complementari);
rapporto non esclusivo aperto (agenti plurimandatari con mandanti che
offrono prodotti acquistati dagli stessi clienti).
La parte centrale di questo capitolo si concentra sulle prospettive di evoluzione
del ruolo, segnalando le sfide legate alla gestione delle reti commerciali nei
prossimi anni. Anche in questo caso occorre fare precisazioni di natura settoriale
considerando le specificità dei mercati; si pensi in particolare al mondo dei
promotori finanziari, a quello dei promotori medico scientifici, o alla figura dei
promoter sempre più diffusa nel contesto alimentare. In molti casi il ruolo
13
dell’agente è sostenuto dall’esigenza delle imprese di non perdere il presidio del
territorio pur dovendo centralizzare la negoziazione. In questo, come in altri casi,
le aziende si pongono il dilemma di come organizzare un presidio informativo
senza sostenere i costi fissi di una rete di vendita interna o di una struttura di
merchandiser o promoter dipendenti. A ben vedere la ricerca di flessibilità spinge
nella direzione di contratti improntati alla ricerca di nuove forme di incentivi che
rendano più efficace il coordinamento centro-periferia. Al riguardo può essere
utile un richiamo alle normative in materia di contratti e alle continue evoluzioni
delle stesse (clausole di recesso, esclusive, indennità, …).
Infine, si arriva alle conclusioni sul potenziale occupazionale che discende
dallo sviluppo o dalla involuzione delle reti di vendita indirette. Se da una parte il
35% degli annunci di lavoro sembra concentrarsi ancora su questo profilo,
dall’altra, i segnali evidenziati dalle parti centrali del rapporto sembrano aprire
aree di preoccupazione. In particolare, dal momento che il presidio del territorio
per la promozione dei prodotti del mandante e la connessa raccolta degli ordini
perderà di importanza in rapporto allo sviluppo dell’e-sourcing e dell’eprocurement, il contributo di questa professione allo sviluppo dell’occupazione
non potrà essere che declinante. Le interviste alle numerosissime e attive
Associazioni di categoria possono aiutare a cogliere le sfumature del tema.
Il quinto capitolo analizza il ruolo e le prospettive dei mercati all’ingrosso nella
commercializzazione e valorizzazione dei prodotti freschi deperibili.
L’importanza della funzione economica dei mercati all’ingrosso si fonda sui
seguenti elementi:
-
-
-
-
la stagionalità dei consumi, determinata anche dalla indisponibilità del
consumatore “povero” di allora a pagare un premium price per prodotti di
importazione;
la forte varianza della qualità, determinata anche da carenze logistiche e
dal limitato sviluppo di marchi collettivi;
la forte varianza della quantità disponibile per la commercializzazione,
determinata da un lato dagli andamenti climatici e dall’altro dalle scelte
dei produttori, ispirate spesso alle quotazioni della stagione precedente;
la polverizzazione della produzione, determinata dalla ridotta presenza di
organizzazioni agricole in grado di interfacciare direttamente gli
acquirenti;
la polverizzazione della distribuzione al dettaglio, determinata fra l’altro
dalla difficoltà di estendere a questi prodotti la vendita a libero servizio.
In passato l’insieme di queste circostanze strutturali rendeva necessaria la
negoziazione a vista per la scoperta di un prezzo che portava in equilibrio
domanda e offerta su basi territoriali ristrette e spesso coincidenti con la città /
provincia. Ora, delle circostanze indicate più sopra, solo la varianza della quantità
continua a svolgere un ruolo rilevante nel pricing dei prodotti freschi deperibili.
Anche quest’ultima ha però un diverso impatto rispetto al passato; lo sviluppo di
insegne/gruppi distributivi nazionali e l’acquisto diretto alla fonte hanno infatti
14
azzerato l’impatto territoriale della varianza della quantità, nel senso che una
carenza/abbondanza di prodotto si riflette oggi in maniera uniforme su tutto il
paese. Il diminuito ruolo dei mercati all’ingrosso nella distribuzione e
valorizzazione dei prodotti freschi deperibili si evince dalla riduzione
esponenziale dei consumi mercatizzati e dalla specializzazione di queste strutture
nel servire il dettaglio tradizionale, l’HO.RE.CA. e gli ambulanti, che incidono
sulle vendite in maniera via via decrescente, ma in misura ancora rilevante 2.
I mercati all’ingrosso hanno perso la loro posizione centrale nella valorizzazione e
nella distribuzione fisica dei prodotti agroalimentari, che vengono ora in gran
parte canalizzati direttamente dalla produzione al dettaglio. Questa tendenza si
manifesta, seppur con qualche specificità, per tutte le filiere dei prodotti deperibili
(ortofrutta, carni, pesce, fiori).
La politica commerciale non può fare molto per invertire o rallentare la
tendenza in atto. Riteniamo però che i mercati non abbiano saputo sfruttare
appieno le loro potenzialità, che sono senz’altro ancora valide, percorribili e
certamente portatrici di valore aggiunto. Inoltre, molti fenomeni nuovi che
interessano la distribuzione delle merci in città e l’assetto logistico ed
infrastrutturale, potrebbero essere valorizzati appieno proprio dalle strutture
mercatali.
In questa ottica si propongono alcuni elementi di riflessione al fine di
ridisegnare l’assetto organizzativo e le strategie della rete dei mercati all’ingrosso
della Lombardia. Riteniamo che il numero dei mercati, anche in Lombardia, sia
significativamente elevato e questo limite strutturale è aggravato dalla assoluta
assenza di coordinamento (sinergie, strategie a rete, ecc.) fra mercati stessi.
Occorre quindi pensare ad una forte riorganizzazione nelle strutture e nelle
funzioni dei mercati, allorché le classiche differenziazioni in base alla dimensione
od alla destinazione della merce (mercati alla produzione, di redistribuzione, o
finali) non rispondono più alle esigenze attuali.
Il sesto capitolo conclude la ricerca sul contesto normativo che disciplina
l’ingrosso. In questa parte ci proponiamo di posizionare la legislazione lombarda
nel contesto nazionale, suggerendo anche alcune linee di politica commerciale.
Nel sesto capitolo forniamo dunque in primo luogo un quadro dell’evoluzione
della normativa statale, a partire dal Regio decreto legge 16 dicembre 1926, n.
2174 (che ha introdotto per la prima volta in Italia l’istituto della licenza di
commercio “per la vendita al pubblico di merci sia all’ingrosso che al minuto”),
per passare alla legge 11 giugno 1971, n.426 (che abolisce l’autorizzazione
preventiva per il solo commercio al dettaglio, mentre per il commercio
all’ingrosso e per il commercio al dettaglio istituisce l’iscrizione al Registro
Esercenti il Commercio tenuto presso le Camere di Commercio) ed approdare
infine al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (che abolisce anche il Registro Esercenti il
2
Si calcola che in Italia la quota della GDO nella vendita di ortofrutta sia pari al 50%
mentre nei paesi commercialmente più evoluti tale quota arriva all’80%. Lo spazio economico
riservato alla clientela dei mercati all’ingrosso è dunque ancora relativamente importante nel
nostro paese.
15
Commercio). L’evoluzione della normativa statale viene poi analizzata anche per
lo specifico settore dei mercati all’ingrosso agroalimentari, a partire dalle leggi 20
giugno 1935, n. 1279 e 12 luglio 1938, n. 1487 relative ai mercati all’ingrosso del
pesce, fino al varo della legge 25 marzo 1959, n. 125 e dei successivi Regolamenti
tipo coi quali viene dettata una dettagliata normativa sul commercio all’ingrosso
dei prodotti ortofrutticoli, delle carni e dei prodotti ittici. L’ultimo Regolamento
tipo (quello relativo ai mercati ortofrutticoli) viene emanato nell’aprile 1970, alla
vigilia della istituzione delle Regioni a statuto ordinario, che dispongono della
competenza costituzionale in materia di “fiere e mercati”.
Dopo l’analisi dell’evoluzione della normativa statale procederemo allo studio
della normativa della Regione Lombardia in materia di mercati all’ingrosso in
rapporto ad altre normative regionali. La L.R. 22 gennaio 1975, n. 12 è stata
indubbiamente una delle prime leggi regionali emanate in questa materia con
caratteri di organicità e completezza, tenendo conto dei principi e degli indirizzi
statali desumibili dalla legge n. 125/1959, sia delle norme di dettaglio contenute
nei vari regolamenti tipo di fonte ministeriale. Della legge lombarda, tuttora in
vigore, vengono messi in rilievo da un lato la previsione del piano regionale di
sviluppo dei mercati all’ingrosso e dall’altro di alcune innovazioni introdotte in
materia di istituzione e gestione dei mercati, con l’accentuazione del profilo
pubblicistico degli Enti di gestione: gli Enti locali territoriali che ne fanno parte
devono infatti possedere almeno i due terzi del capitale sociale. Tale profilo
pubblicistico viene mantenuto con la L.R. 21 agosto 1981, n. 50 (che dispone
all’art. 40 la concessione di contributi per favorire l’istituzione di nuovi mercati o
l’ampliamento ed ammodernamento di quelli esistenti), mentre viene temperato
con la L.R. 14.12.1987, n. 37 (che a seguito del varo del Piano Mercati con legge
28 febbraio1986, n. 41 e della delibera del C.I.P.E. 14 ottobre 1986 prevede la
partecipazione della Regione Lombardia alle società consortili per la realizzazione
dei mercati agroalimentari all’ingrosso che si formino sul proprio territorio, che
vedono la partecipazione maggioritaria - al 50,1%- degli Enti pubblici, ivi incluso
un Ente pubblico non territoriale quale la Camera di Commercio). In questo caso
comunque l’intervento della Regione vuole avere un intento solo promozionale
delle iniziative, in quanto l’apporto della Regione (non superiore al 15%) viene
visto di natura temporanea, cioè fino all’esaurimento della fase di costruzione e
all’avvio di quella di gestione.
L’analisi comparata con le normative di altre Regioni mette il luce una serie di
lacune e di problematiche non affrontate dalla normativa lombarda. La normativa
del Piemonte si preoccupa ad esempio di fornire una definizione di mercati
all’ingrosso, individuarne la loro funzione e stabilire le finalità della gestione
economica e finanziaria dei mercati, problematiche non presenti nella normativa
lombarda. La Regione Veneto e la Regione Liguria si preoccupano di fornire una
classificazione delle varie tipologie di mercati all’ingrosso. Ancora più aggiornata
ed innovativa la classificazione dei mercati all’ingrosso contenuta nella L.R.
19.01.1998, n. 1 della Regione Emilia Romagna, incentrata soprattutto sul ruolo
dei centri agroalimentari o della L.R. 2.08.1983, n. 38 della Regione Toscana, la
quale introduce il concetto di Centro Annonario polivalente, quale principale
strumento della politica annonaria dell’Ente locale. La normativa della Regione
16
Toscana e della Regione Lazio introducono inoltre riferimenti con la
pianificazione territoriale ed urbanistica.
Una particolare attenzione è stata riservata all’analisi della tematica della
sovrapposizione tra commercio all’ingrosso e commercio al dettaglio. In questo
caso viene posto in evidenza come il divieto posto dall’art. 40 della legge
11.06.1971, n. 426 di esercitare nello stesso punto di vendita le attività di
commercio all’ingrosso e al minuto e di procedere entro un triennio alla
separazione fisica delle due attività sia stato poi disatteso dallo stesso Ministero
dell’Industria e Commercio in proprie circolari esplicative, per cui in molte
normative regionali si è provveduto ad individuare le tabelle merceologiche in cui
era possibile la vendita congiunta all’ingrosso e al dettaglio.
Un’altra area di sovrapposizione si è manifestata nel tempo a causa del forte
sviluppo sul mercato del formato distributivo dei cash and carry, destinati
inizialmente alla prevalente vendita di generi alimentari, poi estesa, dato il
successo della formula distributiva ad altri settori merceologici non alimentari (dai
beni per la casa e il tempo libero agli stessi beni per la persona). Negli ultimi
tempi poi la formula si sta sviluppando in forme sempre più specialistiche (es. nel
campo dei prodotti elettronici o dei materiali per l’edilizia). Il forte sviluppo di
questa formula distributiva è stato agevolato dall’interpretazione estensiva data
all’art. 1, secondo comma, della legge n. 426/1971 in tema di “utilizzatori in
grande” e di “utilizzatori professionali”, che nella prassi corrente ha finito per
coinvolgere l’intera platea dei possessori di partita I.V.A., divenendo i cash and
carry strutture distributive similari agli ipermercati senza avere di questi i vincoli
amministrativi d’insediamento e di orario di funzionamento.
Nelle conclusioni, si analizza il nuovo ruolo della Regione in relazione alle
modifiche del titolo V della parte 2° della costituzione (LC 18/10/01 n.3 art.117).
In questo ambito, è stato approfondito sia il rapporto tra Stato e Regioni che il
rapporto tra Antitrust e Regioni nella promozione della concorrenza. Inoltre,
l’analisi comparata delle leggi regionali permette di valutare la presenza di una
sorta di federalismo in materia di regolazione dell’attività distributiva. In
particolare, le Regioni sono state posizionate in funzione del loro orientamento
liberistico in materia di regolazione del dettaglio e dell’ingrosso.
Se il governo regionale dell’accesso al mercato si pone come obiettivo prioritario
il sostegno del funzionamento della concorrenza minimizzando nel contempo le
esternalità negative sul piano urbanistico e territoriale, occorre superare la
segmentazione merceologica e funzionale ( dettaglio e ingrosso) che ha sempre
caratterizzato la politica commerciale nazionale. Si è dunque proposto un nuovo
orientamento della politica commerciale regionale, che si basa sulla convergenza
della regolazione dell’accesso al mercato e della condotta.
La convergenza della politica commerciale dell’ingrosso e del dettaglio non
può naturalmente riguardare i mercati agroalimentari, che hanno funzioni
economiche specifiche e devono pertanto avere una regolazione ad hoc.
17
Capitolo 1
L’ingrosso tradizionale in Lombardia
1.1. Premessa generale
La definizione del campo d’indagine. La distribuzione all’ingrosso identifica le
attività di vendita di beni e servizi a negozi al dettaglio, ad altri commercianti, ad
utilizzatori industriali e istituzionali. I grossisti, in altri termini, non vendono al
consumatore finale, sono commercianti che fanno da tramite tra le imprese di
produzione e le aziende di distribuzione al dettaglio e svolgono una serie di attività.
Le più rilevanti sono lo stoccaggio della merce, il frazionamento delle partite, la
formazione di assortimenti mediante aggregazione di diverse categorie
merceologiche, il finanziamento, la consegna al punto vendita e l’assistenza postvendita. I grossisti di maggiori dimensioni hanno anche una propria rete di
venditori che opera sul territorio per raccogliere gli ordini della clientela
consolidata e penetrare nuovi mercati.
L’importanza del commercio all’ingrosso è decisamente più elevata nel nostro
Paese e in Lombardia rispetto ad altre nazioni dell’UE, per il rilievo che le medie e
piccole imprese hanno nel sistema produttivo. Al di sotto di una certa dimensione i
produttori non hanno le risorse e le competenze per raggiungere direttamente,
senza il supporto e i servizi offerti dal grossista, i distributori al dettaglio. In altri
termini, senza i servizi commerciali forniti dai grossisti, le imprese manifatturiere
di piccole e medie dimensioni presenti in Lombardia non potrebbero raggiungere
un numero adeguato di punti vendita. Come sarà chiarito tra breve, tuttavia, il
ruolo, le attività e le strategie dei distributori all’ingrosso sono molto diversi da
settore a settore e sono cambiate nel corso degli ultimi anni.
Le imprese commerciali all’ingrosso non devono essere confuse con gli
intermediari, che sono invece gli agenti ed i rappresentanti di commercio. L’attività
di commercio all’ingrosso si distingue da quella degli intermediari sia perché il
grossista assume il diritto di proprietà della merce, che non viene assunta invece
dall’agente di commercio, sia per l’attività logistica, di stoccaggio, frazionamento
delle partite e consegna. Gli intermediari sono esclusi da questa parte della ricerca
e sono analizzati invece nella sezione elaborata da Pellegrini.
Il grossista tradizionale viene comunemente identificato come un commerciante
di beni tangibili, mentre ha un ruolo specifico nei canali di distribuzione in quanto
offre una serie articolata di servizi commerciali a condizioni più vantaggiose
dell’auto-produzione. Uno dei servizi più importanti è l’assortimento, più ampio e
profondo rispetto a quello offerto dai fornitori industriali. I distributori al dettaglio e
gli altri operatori economici che si rivolgono alle imprese all’ingrosso lo fanno con
l’obiettivo di approvvigionarsi di prodotti diversi per tipologia e marchio, in
quantità variabili e non vincolate ad una consistenza minima dell’ordine e ad
intervalli periodici.
Il grossista tradizionale, inoltre, offre servizi logistici di stoccaggio,
frazionamento delle partite e consegna, che consentono al distributore al dettaglio di
ridurre le risorse da investire nel magazzino e di concentrarsi sull’attività di vendita.
Le imprese grossiste offrono poi anche servizi di finanziamento, sia a monte che a
valle della filiera distributiva. In sostanza, i commercianti all’ingrosso sono in grado
di consentire una maggiore flessibilità commerciale e logistica rispetto alla
distribuzione diretta effettuata dall’industria.
In termini estremamente pragmatici la funzione economica essenziale del
grossista consiste nell’offrire servizi commerciali ad un costo inferiore sia rispetto a
quello che sosterrebbero le imprese di produzione, nel caso in cui vendessero
direttamente al dettaglio (integrandosi a valle), sia riguardo ai costi che le imprese
al dettaglio sopporterebbero integrandosi a monte, acquistando direttamente alla
produzione (per esempio, mediante Gruppi d’acquisto).
In genere, si ritiene che l’allocazione delle funzioni di marketing tra i differenti
stadi del canale di distribuzione prenda una configurazione diversa a seconda della
struttura dei rapporti competitivi orizzontali e verticali. I confini dell’attività
economica degli intermediari all’ingrosso dipendono sia dalla concorrenza verticale
con produttori e dettaglianti sia da quella orizzontale tra grossisti. Nella maggior
parte dei settori, che saranno esaminati dettagliatamente nel seguito, il processo
d’integrazione a valle dei produttori leader e a monte della Grande Distribuzione ha
costretto le imprese d’ingrosso tradizionale ad una progressiva revisione del proprio
ruolo economico. I distributori all’ingrosso nei settori dei beni di consumo sono
difatti sempre più in difficoltà nel mantenere una posizione remunerativa nei canali
di distribuzione.
Le attività svolte dai grossisti, in un mercato che richiede un continuo
aggiustamento del ruolo svolto, si fanno sempre più articolate e complesse; il
“mestiere” del grossista risulta pertanto di difficile lettura analizzando i dati
disponibili, che prevedono classificazioni tradizionali. Pertanto, la ricerca è stata
svolta anche ricorrendo ad analisi di tipo qualitativo basate su interviste agli
operatori.
Le difficoltà di inquadrare il settore dell’ingrosso sono da ricondurre alla ancora
prevalente concezione residuale di quest’attività, rispetto alla produzione e alla
distribuzione al dettaglio. Inoltre, i confini dell’attività dei grossisti sono sempre
più difficili da delimitare sia a causa del processo d’integrazione a valle
dell’industria, sia a causa dell’integrazione a monte della Grande Distribuzione. Le
difficoltà di delimitazione del campo d’indagine sono accentuate dall’affermazione
di figure professionali ibride, quali l’agente con deposito, che offre servizi
equiparabili a quelli sviluppati dal grossista tradizionale. Sempre più spesso le
imprese di produzione si avvalgono di diverse modalità distributive in relazione
alla struttura dell’apparato distributivo e alla dimensione del lotto economico. In
20
genere, nelle aree territoriali in cui la distribuzione al dettaglio è più frammentata le
vendite sono affidate a grossisti. Inoltre, di solito le grandi partite sono gestite
direttamente dai produttori e i lotti medio-piccoli sono commercializzati tramite
grossisti.
Inoltre, le difficoltà di inquadramento del settore dell’ingrosso sono accentuate
dalla sempre maggiore apertura internazionale dei mercati.
Un ulteriore aspetto che deve essere sottolineato è la scarsa attenzione che è
stata posta nello studio dell’ingrosso, in particolare non alimentare, rispetto alle
ricerche dedicate al commercio al dettaglio. La distribuzione all’ingrosso è un
settore che, fino ad ora, ha riscontrato scarso interesse da parte degli studiosi. Da
un’analisi della bibliografia recente emerge una netta discriminazione di attenzione
degli studiosi tra ingrosso e dettaglio e favore di quest’ultimo e tra alimentare e non
alimentare a favore del primo.
Il ruolo economico dell’ingrosso tradizionale. Le imprese commerciali all’ingrosso
operano all’interno di canali di distribuzione, definiti lunghi, proprio per la
presenza di più livelli di intermediazione. L’obiettivo di un canale di distribuzione
è far arrivare i beni dal produttore al consumatore e colmare il divario tra chi
produce, che, di solito, è concentrato in un ambito territoriale limitato, e chi usa i
beni/servizi, che è diffuso sul territorio. Oltre a rendere compatibili le diverse
geografie della produzione e del consumo, l’ingrosso contribuisce a superare la
distanza temporale e di scala che separa il produttore dal consumatore. I grossisti
inseriti in un canale di distribuzione gestiscono in particolare cinque tipologie di
flussi.
1. Il flusso informativo. Le imprese di produzione, infatti, attivano un flusso
informativo discendente quando comunicano agli intermediari ed ai
consumatori la propria strategia, la propria immagine, pubblicizzano
prodotti e promozioni; mentre ricevono un flusso informativo “ascendente”
quando ottengono dal mercato feed-back sia positivi che negativi sulla
validità dei propri prodotti, sulla notorietà della marca, sulle esigenze dei
consumatori.
2. Il flusso fisico, che comprende la pianificazione, la gestione ed il controllo
del movimento dei beni dalla produzione al consumo, dato che il grossista
svolge la funzione di trasporto e di stoccaggio.
3. Il flusso del titolo di proprietà, chi acquista un bene riceve anche dal
distributore grossista i documenti che attestano la proprietà del bene.
4. Il flusso di pagamento e di finanziamento, nel caso più semplice può
essere effettuato mediante denaro contante, ma un bonifico bancario, per
esempio, comporta il coinvolgimento di altre imprese.
5. Il flusso di attività di marketing e di servizi, il numero sempre maggiore
di nuovi prodotti immessi nel mercato richiede il supporto comunicativo,
promozionale ed informativo dei distributori.
I flussi di trasferimento di proprietà ed i flussi fisici hanno un andamento
unidirezionale “discendente”, dal produttore verso il consumatore; i flussi di
21
pagamento seguono invece un andamento opposto, mentre i flussi informativi,
come appena evidenziato, sono bi-direzionali.
In termini essenziali, la funzione economica principale del grossista consiste
nell’offrire un mix di servizi commerciali con maggiore efficacia ed efficienza
rispetto alla vendita diretta ai punti vendita da parte delle imprese di produzione e
sia rispetto all’integrazione a monte dei distributori al dettaglio. Più in particolare, i
servizi che identificano il sistema d’offerta dei distributori grossisti sono i seguenti:
1) acquisto;
2) gestione dell’assortimento e frazionamento delle partite;
3) vendita e promozione;
4) deposito, stoccaggio, gestione delle scorte;
5) trasporto;
6) finanziamento;
7) assunzione del rischio;
8) informazione di mercato;
9) consulenza e servizi di management;
10) inserimento in nuovi mercati, anche esteri.
1. Acquisto. Le competenze e le dimensioni consentono ai grossisti di
conseguire economie d’acquisto e di ottenere condizioni più favorevoli
rispetto a quelle che potrebbero ottenere i dettaglianti indipendenti, agendo
singolarmente.
2. Gestione dell’assortimento e frazionamento delle partite. Il grossista, di
solito, fraziona in piccoli lotti la produzione dell’industria e aggrega
l’assortimento in modo da riuscire a presentare categorie caratterizzate da
differenze di qualità, marche e prezzo.
3. Vendita e promozione. Le imprese all’ingrosso più evolute dispongono di
una propria forza di vendita, in genere una rete di agenti che operano sul
territorio, visitano i clienti, forniscono informazioni e promuovono i
prodotti. Questi servizi commerciali consentono alle piccole e medie
imprese di produzione di raggiungere i clienti di minori dimensioni ad un
costo inferiore rispetto a quello che dovrebbero sostenere agendo
direttamente.
4. Deposito, stoccaggio, gestione delle scorte. Il grossista assume a proprio
carico la funzione di gestione delle scorte, riducendo costi e rischi per
fornitori e clienti.
5. Trasporto. Il grossista, di solito, è in grado di assicurare un trasporto a
condizioni migliori rispetto a quelle dei produttori per effetto del più ampio
assortimento di prodotti consegnati con ogni carico.
6. Finanziamento. I grossisti in genere concedono dilazioni di pagamento ai
distributori al dettaglio, sono inoltre in grado di anticipare ordini alla
produzione ed effettuare i pagamenti in modo tempestivo.
7. Assunzione del rischio. I grossisti possono assorbire parte dei rischi di
furto, danneggiamento ed obsolescenza delle merci trattate. In particolare,
rientra nel mestiere del grossista cogliere le opportunità di mercato che si
22
riconnettano alle situazioni di eccessivo stock della produzione, oltre a
speculare sulle tendenze del mercato nei settori soggetti alla moda.
8. Informazione di mercato. I grossisti informano fornitori e clienti sulle
caratteristiche dei nuovi prodotti, sui prezzi, sulle attività di marketing dei
concorrenti, etc.
9. Consulenza e servizi di management. I grossisti frequentemente
forniscono un supporto alle imprese commerciali al dettaglio per il
miglioramento delle loro attività di gestione dei punti vendita.
10. Inserimento in nuovi mercati anche esteri. Un produttore estero che
voglia entrare nel mercato italiano può selezionare una rete di grossisti
regionali e affidare a loro la gestione delle relazioni con i distributori al
dettaglio. Il produttore estero si limita a definire le linee guida delle
politiche distributive (per esempio, il profilo di distributore al dettaglio da
servire).
La crisi dell’ingrosso in Lombardia. La Lombardia è la regione con il maggiore
numero di grossisti in Italia. Come nelle altre regioni del Nord Italia, l’espansione
dell’ingrosso in Lombardia è stato funzionale all’industrializzazione post-bellica.
Le imprese di commercio all’ingrosso hanno consentito alle imprese
manifatturiere lombarde, in particolare di piccole medie dimensioni, di svilupparsi
concentrandosi unicamente nell’attività produttiva, realizzando così economie di
scala e migliorando nel corso del tempo il livello di specializzazione. I produttori
di piccole e medie dimensioni, che scelgono di commercializzare i propri prodotti
mediante il canale lungo, delegano al grossista importanti attività e non devono
nemmeno organizzare una propria rete di vendita, poiché i piccoli produttori locali
possono sfruttare la rete di vendita dei grossisti.
Il ruolo del grossista nelle filiere caratterizzate dalla presenza di grandi imprese
industriali è invece meno importante. In genere, i produttori di maggiori
dimensioni adottano soluzioni distributive miste o ibride: si servono dei grossisti
solamente per raggiungere aree geografiche lontane, caratterizzate dalla presenza di
distributori al dettaglio marginali e da un basso livello d’acquisto.
Le imprese di distribuzione all’ingrosso sono specializzate nell’offerta di servizi
che permettono all’intero sistema economico delle regioni Lombardia un migliore
impiego delle risorse. I piccoli produttori, che caratterizzano il nostro sistema
industriale, non hanno le risorse per poter distribuire direttamente al dettaglio. Le
aziende commerciali all’ingrosso consentono alle imprese di produzione di
focalizzarsi sul core business e di realizzare economie di scala. La produzione,
ancora in molti comparti, è vincolata a lotti minimi3 e gli intermediari, frazionando
le partite, riescono a soddisfare le esigenze dei clienti.
I produttori che utilizzano i servizi commerciali offerti dall’ingrosso ottengono
i seguenti vantaggi:
3
Nonostante da anni si parli di fine del modello di produzione fordista, sostituito dalla
produzione snella e da soluzioni ispirate alla massima flessibilità produttiva, permangono vincoli e
rigidità nei sistemi produttivi di molti settori ed imprese.
23
1. trasferiscono a terzi la complessità della gestione e i rischi dei rapporti con
i distributori al dettaglio (selezione e segmentazione dei distributori ed
eventuali rischi di insolvenza);
2. riducono il fabbisogno finanziario;
3. aumentano la velocità di rotazione del capitale investito.
L’impiego dei grossisti ha, per contro, anche alcuni svantaggi:
-
-
un minore grado di controllo del mercato, data la mancanza di
informazioni affidabili e tempestive sul consumatore e sulle strategie dei
concorrenti;
un minore controllo delle politiche di marca e di trade marketing; il
produttore che delega al grossista è in difficoltà nel controllare l’attività di
marketing dei distributori.
Nei settori concentrati con pochi produttori di marca, la tendenza prevalente è
quella ad accorciare la lunghezza dei canali di vendita e ad impiegare canali di
distribuzione brevi (o corti) che implicano lo “scavalcamento” delle funzioni
svolte dal grossista. Questa soluzione comporta per i produttori una forza vendita
dedicata e un maggior impegno di risorse. Nei settori oligopolistici, i produttori di
marca assolvono gran parte delle funzioni svolte dalle imprese di distribuzione e
non “canalizzano” attraverso i grossisti, se non per raggiungere la clientela
marginale. In realtà, dunque, la scelta non è mai tra un canale e l’altro, ma tra un
maggiore o un minore peso del canale lungo/corto, col conseguente diverso
controllo del mercato finale.
In un numero sempre maggiore di settori non alimentari (moda, calzature,
occhiali, design e lusso) i produttori di marca non solo adottano la soluzione
distributiva del canale corto, e vendono direttamente ai dettaglianti, “scavalcando”
i grossisti (con modalità che saranno chiarite nel seguito), ma sempre più spesso
aprono negozi di proprietà o in franchising. Il processo è definito vertical
branding e consente un elevato controllo delle politiche di marketing e di ottenere
feed-back immediati dal mercato.
In generale, il grossista tradizionale specializzato per fronteggiare la rapida
crescita delle marche industriali è costretto a modificare il proprio posizionamento
nelle relazioni verticali. Resta sul mercato nei casi in cui inizia a diventare più
selettivo sia a monte che a valle, effettua efficaci politiche di marketing
d’acquisto, seleziona i fornitori più performanti in funzione della qualità, della
capacità innovativa e dell’esclusiva distributiva. In altri termini, privilegia fattori
in grado di offrire un vantaggio competitivo nei confronti dei più diretti
concorrenti orizzontali. Contemporaneamente, inizia ad effettuare attività di
marketing a valle, a segmentare il mercato, a stringere un sistema di relazioni più
strette con un numero selezionato di dettaglianti (anche mediante franchising e/o
apertura di punti vendita di proprietà).
In altri termini, diventa fondamentale per il grossista essere in grado di
proporre un mix di prodotti/servizi innovativi, mirati a specifici target di clienti,
possibilmente, accompagnati da adeguate campagne promozionali e pubblicitarie.
24
Il canale lungo può prevedere anche tre livelli di intermediazione, in questo
caso, per esempio, i produttori vendono a grossisti pluri-regionali, i quali, a loro
volta, vendono a grossisti provinciali, che gestiscono le relazioni con i
dettaglianti.
La fase di crisi dell’ingrosso in Lombardia 1970 – 2000. La crisi del grossista si
manifesta parallelamente allo sviluppo di politiche di marketing sempre più
sofisticate, che richiedono da parte dei produttori un contatto più diretto (e non
mediato da imprese all’ingrosso indipendenti). Le recenti strategie di marketing
richiedono uno scambio di informazioni e di elementi immateriali e pongono in
crisi la funzione svolta dal grossista tradizionale.
In Lombardia, fino agli anni Settanta del secolo scorso, il grossista tradizionale
godeva di una posizione di leadership nelle filiere distributive di gran parte dei
settori. Da metà degli anni Settanta la figura del grossista tradizionale entra in crisi.
I principali fattori di crisi dell’ingrosso sono due.
Il primo è rappresentato dalla concorrenza verticale esercitata dai produttori
leader, che per sostenere i prodotti di marca, si integrano a valle “scavalcando”
l’ingrosso e si appropriano di alcune tradizionali funzioni del grossista. Le aziende
di produzione di marca“by-passano” i grossisti, non tanto per l’esigenza di ridurre
i costi di distribuzione fisica, ma per affermare la marca industriale, controllare i
prezzi, l’attività promozionale e l’esposizione dei loro prodotti anche nella fase di
vendita al dettaglio. In altri termini, un numero sempre maggiore di produttori, al
fine di costruire e controllare l’immagine di marca, tende ad accorciare la
lunghezza dei canali per poter gestire le politiche di marketing.
In definitiva, l’aumento della concentrazione nei settori manifatturieri, la
crescita dimensionale delle imprese di produzione, e in particolare, lo sviluppo di
politiche di marca pongono in crisi la figura del grossista tradizionale. Pertanto, pur
partendo da una posizione di forza, il grossista entra in una fase di crisi.
In altri termini, nel corso degli ultimi vent’anni, prima in Lombardia e poi nel
resto del Paese si è affermata la tendenza all’integrazione a valle, alla riduzione
della lunghezza dei canali e a “scavalcare” l’ingrosso. Il trend, che ha interessato
diversi settori, è guidato dalle esigenze di un maggiore grado di controllo
dell’attività di marketing e non tanto dall’esigenza di ridurre i costi logistici. In
altri termini, è un cambiamento guidato più dall’efficacia che dall’efficienza. La
progressiva marginalizzazione del ruolo economico dell’ingrosso, infatti, è
determinata dall’aumento delle esigenze di controllo e di coordinamento logistico,
informativo e comunicativo dei canali di distribuzione per ottimizzare le risorse di
marketing.
Sono le nuove esigenze di affermazione di politiche di marca e di supervisione
dell’immagine di marca, unitamente alla necessità di raccogliere tempestivamente
feed-back di ritorno dal mercato, che inducono all’accorciamento della lunghezza
dei canali di distribuzione, in particolare in tutti quei settori dove la quota di
marcato dei prodotti di marca è in aumento.
Il canale lungo, che si caratterizza per almeno due passaggi: dal produttore al
grossista e dal grossista al dettagliante, riduce le possibilità di controllo delle
politiche di marketing. Il produttore vede notevolmente semplificati i propri
25
problemi distributivi, ma perde i vantaggi derivanti dal contatto con i clienti finali.
Riceve, infatti, con difficoltà e ritardo informazioni di ritorno dal mercato. Si
ritiene, quindi, che il produttore, che delega al grossista l’attività di marketing e
vendita, perda la possibilità di controllare direttamente l’immagine di marca.
Più in particolare, nelle fasce di posizionamento più elevate, i grossisti sono
stati gradualmente sostituiti da agenti pluri-mandatari o da venditori diretti dei
produttori. In altri termini, gli investimenti dei produttori industriali per
differenziare i loro prodotti, mediante costose politiche di marca, hanno richiesto
il passaggio a canali di distribuzione brevi. Sono ancora numerosi i produttori che
adottano soluzioni distributive miste (ingrosso e dettaglio) o ibride, ma, in genere,
nella fascia medio-alta del mercato il ruolo del grossista si è gradualmente
ristretto.
Nei canali di distribuzione tradizionali da anni è in atto la tendenza a sostituire
il grossista sia da parte dei produttori sia da parte dei dettaglianti evoluti. In un
numero sempre maggiore di casi i produttori e i distributori tendono a prendere
contatti diretti “scavalcando” i grossisti.
In Lombardia sono prevalentemente le aziende di produzione medio-piccole,
che non hanno risorse per sviluppare prodotti di marca, che impiegano i grossisti.
Il secondo rilevante fattore di crisi dell’ingrosso in Lombardia, come nel resto
del Nord Italia, è imputabile allo sviluppo della distribuzione moderna. La Grande
Distribuzione attiva due fattori di crisi per l’ingrosso tradizionale: da un lato, si
integra a monte, non acquista dai grossisti e si rivolge direttamente all’industria;
dall’altro, la distribuzione moderna esercita una forte concorrenza di prezzo nei
confronti del dettaglio tradizionale, che rappresenta il segmento di clientela più
importante per l’ingrosso. Più in particolare, la Grande Distribuzione Organizzata
(GDO) acquista direttamente gli articoli a maggiore tasso di rotazione e si serve
dell’ingrosso solo per la parte marginale dell’assortimento. La GDO quindi si
avvale dei servizi offerti dai grossisti per gli articoli che avendo un basso tasso di
rotazione hanno maggiori costi di gestione.
Le strategie di segmentazione dell’ingrosso tradizionale in Lombardia.
Le
prospettive di sviluppo dell’ingrosso tradizionale in Lombardia dipendono anche
evidentemente dagli scenari evolutivi e dalle performance della clientela
dell’ingrosso. Il segmento di clientela privilegiato dall’ingrosso tradizionale è il
commercio al dettaglio tradizionale. Esso identifica la forma distributiva del
piccolo negozio tradizionale, in cui prevale il lavoro dei componenti del nucleo
familiare. Le imprese del commercio al dettaglio tradizionale sono di piccole
dimensioni, basano la loro offerta sul servizio di prossimità e hanno generalmente
un limitato assortimento di prodotti. Le loro fonti di approvvigionamento sono
rappresentate principalmente da grossisti e da piccoli produttori.
Il dettaglio tradizionale si articola nelle seguenti tipologie principali:
1.
2.
3.
4.
negozi specializzati di piccole dimensioni,
negozi non specializzati di piccole dimensioni,
commercio ambulante (non in sede fissa),
commercianti di strada in sede fissa.
26
I punti vendita specializzati trattano linee di prodotto ristrette con una notevole
profondità dell’assortimento della linea trattata. In un numero ancora elevato di
settori merceologici, la quota di mercato detenuta dal dettaglio tradizionale è
ancora superiore al 50% del mercato. Per esempio nel settore degli articoli di
cancelleria è pari al 75%, nell’abbigliamento al 50% circa.
Il secondo segmento di clientela privilegiato dall’ingrosso tradizionale in
Lombardia è rappresentato dai punti vendita non in sede fissa che danno vita al
commercio su aree pubbliche. Gli ambulanti rappresentano la forma di commercio
più arcaica. Il commercio al dettaglio ambulante fa riferimento sia al venditore
itinerante che a quello di un mercato fisso. Attualmente operano prevalentemente
all’interno di mercati rionali e l’assortimento offerto dagli ambulanti si concentra
prevalentemente sui prodotti alimentari deperibili e sui capi di abbigliamento (in
genere, giacenze della stagione precedente rimaste invendute). L’acquisto delle
merci da parte degli ambulanti avviene prevalentemente utilizzando il canale
dell’ingrosso.
Il commercio non in sede fissa con cadenza settimanale su aree pubbliche ha
mostrato sorprendenti capacità competitive nonostante lo sviluppo della moderna
distribuzione e rappresenta una delle ragioni di permanenza sul mercato
dell’ingrosso tradizionale, in quanto una parte dell’ingrosso è focalizzato su questo
segmento. La fedeltà dei consumatori ai c.d. mercati rionali è dovuta al servizio di
prossimità, al rapporto prezzo/qualità, alla dimensione sociale e alle relazioni
personali che non si ritrovano negli ipermercati e nelle grandi superfici a libero
servizio. L’ambulante gestisce in prima persona diversi servizi, in quanto riunisce
in un unico soggetto le funzioni di acquisto, vendita, trasporto e amministrazione
dell’impresa di cui è titolare.
I più recenti fattori di crisi dell’ingrosso in Lombardia. Negli anni più recenti, la
concorrenza verticale che sta destabilizzando maggiormente la figura del grossista
tradizionale è riconducile a due nuove tendenze:
1.
2.
lo sviluppo della Grandi Superfici Specializzate;
i Factory Outlet Center.
Mentre l’impatto derivante dallo sviluppo dei supermercati e degli ipermercati è già
stato assorbito da tempo, specie in Lombardia, dove queste forme distributive a
libero servizio sono ormai consolidate nel tessuto commerciale della Regione,
l’impatto competitivo delle GSS è più recente e destabilizzante.
Le Grandi Superfici Specializzate. Sono punti vendita di grandi dimensioni,
specializzate in una particolare categoria di prodotti. Ikea, Decathlon, MediaWorld,
Fnac rappresentano oggi gli esempi più significativi e di maggiore successo.
Propongono una gamma ampia e profonda di prodotti caratterizzati da un ottimo
rapporto qualità/prezzo e di solito offrono un buon livello di servizio pre e postvendita. Rompono una regola consolidata nel commercio: i piccoli punti vendita si
orientano alla specializzazione, le Grandi Superfici (come i supermercati e gli
ipermercati) sono invece despecializzati.
27
Le Grandi Superfici Specializzate, nei Paesi europei più evoluti, hanno
registrato una forte crescita in diverse categorie di prodotti: abbigliamento, libri,
dischi, elettronica di consumo, articoli sportivi, mobili ed articoli per la casa. Lo
sviluppo di questa forma distributiva è caratterizzato dall’internazionalizzazione,
che consente di ottenere economie di scala negli acquisti, nel marketing, nella
finanza, ecc.
Le Grandi Superfici Specializzate sono caratterizzate da localizzazioni
periferiche che consentono di contenere i costi e sfruttare la disponibilità di
parcheggio, dall’ottimo rapporto qualità-prezzo, da una gamma di prodotti molto
ampia e profonda, dall’industrializzazione dei servizi accessori mediante l’impiego
di nuove soluzioni tecnologiche. L’aggressività di prezzo è massima nella formula
definita Category Killer.
È prevedibile un’ulteriore crescita delle GSS in Lombardia in tutti i settori
merceologici ad opera dei grandi gruppi esteri capaci di sviluppare know-how
specialistici. Nel nostro Paese le GSS rappresentano un fenomeno recente
nonostante i tassi di crescita siano già molto elevati; esse consentono al
consumatore di visionare un’ampia e selezionata gamma dell’intera offerta
industriale in un’unica spedizione di acquisto e di poterne confrontare
immediatamente i prezzi e le prestazioni. La diffusione delle Grandi Superfici
Specializzate sottrae quote di mercato alla parte tradizionale e scarsamente
specializzata del sistema distributivo. Di conseguenza impatta negativamente sulle
prospettive di sviluppo dell’ingrosso tradizionale, per la concorrenza che esercita al
dettaglio specializzato tradizionale che acquista ancora presso distributori
all’ingrosso.
I Factory Outlet Center. Un numero sempre maggiore di imprese di produzione, in
particolare nel settore della moda, delle calzature, dei prodotti per la casa, ha deciso
di integrare la funzione svolta da imprese dedicate alla vendita degli stock
invenduti e ha creato i cosiddetti spacci aziendali che, oltre ad essere determinanti
per lo smaltimento delle giacenze di magazzino, hanno assunto la veste di punto di
incontro diretto dell’azienda con i consumatori.
Ciò consente di controllare le politiche di smaltimento delle giacenze di
magazzino per tutelare l’immagine di marca, anche rispetto agli stock invenduti,
che erano fuori del controllo diretto del produttore di marca.
Una tendenza ancora più recente è rappresentata dalla creazione di Factory
Outlet Center, che sono in sostanza Centri Commerciali composti unicamente da
Spacci aziendali (Outlet). Sono sviluppati e gestiti da Società internazionali
specializzate. Sono localizzati in aree extra urbane, lontane dai centri urbani
maggiori, per non interferire eccessivamente con i canali di distribuzione principali
e hanno una superficie di vendita complessiva che può raggiungere i 30.000 mq.
I punti vendita ubicati nel Factory Outlet Center sono negozi diretti di proprietà
di produttori di marca; l’assortimento del centro è composto da articoli di
abbigliamento, calzature, pelletteria, accessori, prodotti di design e articoli per la
casa a prezzi fra il 30 e il 50% inferiori al livello praticato nei normali canali di
vendita. Essi puntano sulla contemporanea presenza di più marche: di norma non
esiste infatti una “locomotiva”, come l’Ipermercato nei Centri Commerciali
28
pianificati, ma soltanto negozi Outlet monomarca, affiancati da punti di
ristorazione e da una serie di attrazioni per invogliare il consumatore a fermarsi.
Nella scelta localizzativa si considera la presenza e la forza della rete commerciale
tradizionale: la distanza tra l’area urbana e il factory deve essere sufficiente per
ridurre cannibalismo e conflittualità con la clientela dei produttori.
I punti di forza dei Factory Outlet sono:
-
-
la vendita di prodotti di grandi marche a prezzi particolarmente favorevoli,
inferiori del 30% - 50% rispetto ai prezzi di mercato;
la riduzione dei costi di allestimento;
la localizzazione vicino ad arterie stradali di grande comunicazione, in modo da
poter garantire un bacino di utenza più ampio di quello dei normali Centri
Commerciali;
il profilo dei frequentatori dei Factory Outlet. Si tratta di persone giovani, brand
victmis, con elevato orientamento all’acquisto di prodotti di marca, che passano
dai 3 ai 5 giorni l’anno in queste strutture per un acquisto familiare, effettuato
preferibilmente nei periodi di vacanza.
In Italia i Factory Outlet hanno buone prospettive di sviluppo, per l’elevata
sensibilità alla marca di ampi segmenti di consumatori (sia italiani sia stranieri che
si recano in Italia anche per lo shopping), per l’alta densità demografica ed
abitativa e per il sistema di autorizzazioni del center stesso, che è molto
semplificato rispetto quello previsto per l’apertura di un Centro Commerciale.
Il ruolo del grossista in relazione alla dimensione settoriale della sua attività. In
definitiva il commercio all’ingrosso risponde alle necessità avvertite in modo
particolare dal piccolo e medio dettagliante. La possibilità di approvvigionamenti
periodici e quantitativamente limitati permette al dettagliante di ridurre gli
investimenti in logistica e di dotarsi di un magazzino di dimensioni ridotte.
Inoltre, soddisfa la necessità di reperire informazioni sui prodotti e la loro
disponibilità oltre all’esigenza sempre crescente di usufruire di servizi finanziari
al fine di ridurre i propri investimenti in capitale circolante.
Come abbiamo prima evidenziato, le strategie di segmentazione dell’ingrosso
tradizionale privilegiano il segmento del dettaglio indipendente e quello dei punti
vendita non in sede fissa (ambulanti). L’area di mercato rappresentata dalla
Grande Distribuzione, dal dettaglio associato (Gruppi d’acquisto) e dal dettaglio
specializzato è invece servita direttamente dall’industria, prevalentemente tramite
agenti o venditori diretti dipendenti.
L’attività di approvvigionamento del dettaglio tradizionale ruota infatti intorno
alla figura del grossista, che nei loro confronti ha, tuttora, un ruolo
imprescindibile. Storicamente si è registrata una tendenza all’integrazione ed alla
riduzione della lunghezza dei canali di distribuzione, guidata, in una prima fase,
da logiche di costo, nonché dal tentativo di appropriarsi di parte dei margini delle
imprese collocate a monte e a valle nei canali di distribuzione. Più recentemente,
le scelte d’integrazione nelle filiere distributive sono guidate principalmente dalle
esigenze di controllo dell’attività di marketing.
29
La sempre maggiore diffusione di prodotti di marca aumenta le esigenze di
controllo e di coordinamento logistico, informativo e comunicativo delle imprese
collocate nei canali di distribuzione. In altri termini, le funzioni strategiche svolte
dalla distribuzione non sono più quelle logistiche, ma sono invece quelle
informative e di marketing.
La scelta di canale (breve o lungo) e di conseguenza l’importanza economica
del grossista dipende anche dal ruolo assunto dalle categorie nell’assortimento del
distributore al dettaglio. Nel caso in cui il ruolo assegnato alle categorie sia
strategico, l’impresa della Grande Distribuzione si orienta ad integrare la funzione
d’ingrosso. Invece, nei casi in cui le categorie non hanno un ruolo strategico ma
solo di completamento della gamma offerta, anche le imprese della Grande
Distribuzione si avvalgono dei servizi commerciali offerti da aziende all’ingrosso.
Più recentemente, l’ingrosso è divenuto una fonte di approvvigionamento
anche per le aziende che operano attraverso canali diretti come l’e-commerce e le
vendite per corrispondenza.
Nella nostra analisi distingueremo il mercato dei prodotti finiti rispetto a quello
dei beni intermedi venduti ad imprese o artigiani, che richiedono un’installazione.
Nelle filiere distributive dei beni intermedi, che richiedono la posa o
l’installazione da parte di un operatore specializzato, il segmento delle imprese
artigiane dedite a questo tipo di attività costituisce una clientela molto importante
per l’ingrosso tradizionale. Per esempio, in alcuni settori come l’illuminotecnica,
il 70% circa degli installatori dichiara di servirsi dal grossista. Solo le imprese di
installazione di grandi dimensioni acquistano direttamente dai produttori, ma sono
vincolati all’acquisto di quantitativi maggiori e devono dotarsi di un magazzino.
La rinascita dell’ingrosso. Secondo una concezione tradizionale l’evoluzione dei
canali di distribuzione porta ad una progressiva marginalizzazione del settore del
commercio all’ingrosso, prevalentemente a causa della concorrenza verticale,
esercitata a monte dai produttori, che si integrano a valle e dalle imprese della
Grande Distribuzione che si integrano a monte. Come sarà chiarito nel seguito, i
primi dati disponibili sulla più recente dinamica evolutiva dell’ingrosso in
Lombardia e le informazioni raccolte mediante interviste sembrano in gran parte
smentire lo scenario e le dinamiche evolutive appena delineate. Contrariamente a
quanto ipotizzato negli ultimi anni, nella maggior parte dei settori si è registrato
un aumento del numero delle imprese di commercio all’ingrosso. Sulla base dei
dati e delle informazioni disponibili, la crisi dell’ingrosso in Lombardia sembra
essere limitata solo ad alcuni comparti merceologici ben circoscritti.
Il settore del commercio all’ingrosso tradizionale in Lombardia ha dimostrato
una flessibilità ed una capacità di adattamento alle mutate condizioni dei mercati a
valle e a monte, superiore a quella manifestata della distribuzione al dettaglio
tradizione nella stessa regione. In altri termini, mentre il commercio al dettaglio in
Lombardia, come nel resto d’Italia, è stato investito da un trend negativo di
espulsione delle imprese indipendenti tradizionali; la crisi del commercio
all’ingrosso e la contrazione del numero delle imprese ha riguardato solo alcuni
settori. La dinamica evolutiva complessiva del numero delle imprese di commercio
all’ingrosso evidenzia tendenze espansive.
30
L’ingrosso ha registrato una trasformazione che ha aperto anche nuove
opportunità di posizionamento sul mercato. Alcuni fenomeni evolutivi sono,
tuttavia, mascherati dalla scarsa disponibilità di dati statistici. Nelle filiere
produttive si sono registrati cambiamenti che, unitamente alla sempre maggiore
internazionalizzazione dei mercati, hanno aperto, e stanno aprendo, nuove
significative opportunità per le imprese di commercio all’ingrosso che operano in
Lombardia. La progressiva globalizzazione dei mercati sta diventando
un’opportunità per le imprese commerciali all’ingrosso in particolare per quelle
ubicate in prossimità di hub aeroportuali.
L’ingrosso è in grado, anche, di offrire servizi di vendita in outsourcing a piccoli
e medi produttori industriali. Infatti, le imprese all’ingrosso più dinamiche hanno
una propria rete di venditori (agenti di commercio), che conoscono il territorio e
hanno un rapporto di fiducia consolidato nel tempo con i migliori distributori al
dettaglio. Si è consolidato nel corso del tempo un legame idiosincratico stretto tra
grossista e dettagliante che è difficile da sostituire.
Inoltre, l’attività d’ingrosso può trarre significativi vantaggi economici
immediati dalla rivoluzione tecnologica in atto. La modernizzazione gestionale ed
informatica dell’ingrosso può essere attuata più velocemente rispetto al
miglioramento dei processi attuato al dettaglio. Le nuove tecnologie ed internet
aprono alcune minacce, ma anche nuove rilevanti opportunità per l’ingrosso. Da un
lato, infatti, le aste on line, per esempio, sono in grado di attivare una concorrenza
di prezzo sempre maggiore e possono impoverire ulteriormente il ruolo dei
grossisti e costringere ad una revisione dei servizi commerciali offerti dai
distributori. Dall’altro, la rete internet amplia il mercato geograficamente
determinato del grossista e apre nuove opportunità di mercato. Si sono riscontrati
in Lombardia casi di grossisti tradizionali che hanno sviluppato accordi
commerciali con organizzazioni e-commerce. Accordi di questo tipo consentono lo
sviluppo di sinergie: l’impresa di e-commerce mette a disposizione le competenze
distintive legate ad internet, mentre il grossista ha competenze specifiche nel
settore merceologico in cui opera.
Infine, ricordiamo che i nuovi sistemi produttivi reticolari, improntati alla
massima flessibilità, aprono nuovi spazi di mercato per i grossisti nelle attività
business to business. Inoltre, negli anni più recenti i fenomeni di cambiamento più
interessanti fanno riferimento alla terziarizzazione dell’industria che apre nuove
opportunità e la possibilità di offrire nuovi servizi ai distributori in grado di farlo.
Al contrario del commercio al dettaglio, le imprese di commercio all’ingrosso
hanno subito un minore livello di regolamentazione e minori vincoli amministrativi
posti dalla normativa; ciò probabilmente ha avuto un ruolo non secondario nel
definire la capacità di adattamento dell’ingrosso al nuovo contesto determinato
dalla evoluzione della tecnologia e della struttura dei settori a monte e a valle.
I percorsi d’innovazione dell’ingrosso. La rigidità e la scarsa flessibilità delle
tassonomiche ufficiali, che classificano l’attività prevalente delle imprese
grossiste sulla base di una griglia determinata dalla destinazione economica dei
prodotti intermediati, impediscono di cogliere alcune caratteristiche trasversali
delle imprese del settore. In altri termini, le caratteristiche più indicative per i
31
riflessi sulle performance delle imprese di commercio all’ingrosso fanno sempre
più spesso riferimento alle relazioni reticolari tra imprese, alla capacità di ottenere
produzioni esclusive, all’attività di import-export, all’appartenenza a Consorzi o
Gruppi d’acquisto, a nuove soluzioni di integrazione logistica (anche solo limitate
alla dimensione informativa) e nuove opportunità di collaborazione con operatori
di e-commerce.
I più recenti cambiamenti che hanno investito la funzione del grossista in Italia
hanno prodotto una maggiore eterogeneità dei modelli organizzativi, per cui nella
stessa filiera troviamo modelli organizzativi, soluzioni, strategie, dimensioni,
forme di specializzazione estremamente diverse. Nella stessa filiera riescono a
“convivere” imprese di intermediazione all’ingrosso tradizionali, di dimensioni
contenute, con un numero esiguo di dipendenti ed elevata specializzazione
merceologica che ottengono performance insoddisfacenti ed imprese di
intermediazione all’ingrosso che ponendosi al servizio di operatori a monte o a
valle del canale, sfruttando intensi rapporti di coordinamento verticale ed
orizzontale, riescono ad ottenere risultati economici superiori alla media del
settore (anche mediante la gestione di marchi e/o segmenti di clientela in
esclusiva).
Un altro vettore d’innovazione dell’attività di ingrosso in Italia fa riferimento
all’importanza dell’attività di importazione ed esportazione (desumibile
dall’incidenza dell’import e dell’export sul fatturato totale). La vocazione
internazionale può essere gestita con modalità reticolari (anche solo mediante
accordi contrattuali per raggiungere la dimensione minima del container), oppure
mediante Gruppi d’acquisto, o ancora mediante forme di doppia intermediazione,
per esempio super-grossisti importatori che vendono a grossisti di minori
dimensioni con soluzioni che rendono meno evidente la quantificazione e la stessa
rilevazione del fenomeno. La “vocazione” all’internazionalizzazione costituisce
una strategia significativa della qualificazione del mix dei servizi offerti dalle
imprese d’ingrosso. In altri termini, i grossisti importatori ed esportatori
costituiscono uno dei vettori più interessanti di modernizzazione dell’ingrosso.
Come abbiamo prima sottolineato, i nuovi driver delle redditività delle imprese
dell’ingrosso in Italia sono sempre meno tangibili e quindi facilmente
identificabili4. Si consideri l’emergere di un nuovo modello organizzativo,
caratterizzato da stretti rapporti di collaborazione con altre imprese nella filiera,
ed un impiego e sfruttamento delle nuove tecnologie superiore alla media, che
consente lo sviluppo d’attività innovative, anche in relazione alla tendenza
all’outsourcing di attività da parte delle imprese industriali di medie-grandi
dimensioni.
4
In proposito si consideri, solo a titolo di esempio, il caso di un grossista che nel settore in cui
opera inizi a sviluppare una partnership con un sito di e-commerce. L’offerta di servizio di
magazzino virtuale è in grado di fare aumentare i ricavi in misura sicuramente superiore
all’incremento dei costi senza incidere sui parametri d’analisi tradizionali (per esempio: numero
degli addetti, superficie occupata, localizzazione…).
32
La capacità dell’impresa operante nel settore all’ingrosso di relazionarsi con il
flusso delle risorse immateriali, che caratterizzano i canali di distribuzione,
rappresenta un fattore di successo sempre più importante.
Le più recenti dinamiche strutturali dell’ingrosso appaiono caratterizzate da
seri sforzi imprenditoriali nella direzione della riqualificazione dell’offerta e della
ri-progettazione gestionale secondo tre direttrici principali:
1. la ricerca di soluzioni che consentano una riduzione dei costi del
personale,
2. la maggiore specializzazione,
3. la revisione dei servizi offerti.
In una recente ricerca svolta da Anitori e De Gregorio (2003), mediante analisi di
correlazioni binarie tra variabili strutturali di imprese grossiste in Italia e variabili
di performance economica, emergono risultati degni di nota: “nell’ingrosso non
sembra identificabile un chiaro legame tra la dimensione d’impresa e redditività,
nel senso che i domini caratterizzati da una maggiore presenza di grandi imprese
non paiono caratterizzarsi né per migliori margini di profitto né per valori
sistematicamente più elevati del fatturato per addetto. In aggiunta, vale la pena
rimarcare il fatto che anche gli indicatori che esprimono la localizzazione delle
imprese non paiono a loro volta collegati in modo significativo né con le variabili
di performance economica né con quelle strutturali”.
La definizione del campo d’indagine e i criteri di classificazione dell’ingrosso. Il
settore della distribuzione all’ingrosso si presenta veramente eterogeneo. I
prodotti commercializzati sono notevolmente differenti; spaziano, infatti, dai beni
di consumo ai prodotti industriali. I grossisti si rivolgono poi a segmenti di
clientela che possono essere anche molto diversi.
Tabella 1.1 – Esercizi commercio all'ingrosso per tipologia di attività economica,
Lombardia
TIPOLOGIA DI ATTIVITÀ
ECONOMICA
Commercio all'ingrosso di
materie prime agricole e di
animali vivi
Commercio all'ingrosso di
prodotti alimentari, bevande e
tabacco
Commercio all'ingrosso di altri
prodotti di consumo
Commercio all'ingrosso di
prodotti intermedi
Commercio all'ingrosso di
macchinari e attrezzature
Commercio all'ingrosso di altri
prodotti
TOT.
1991 N.
ESERCIZI
1.985
2001 N.
ESERCIZI
1.551
2002 N.
ESERCIZI
1.602
2003 N.
ESERCIZI
1.577
2004 N.
ESERCIZI
1.569
2005 N.
ESERCIZI
1.519
5.201
4.704
4.983
4.980
4.969
4.868
10.916
13.160
15.568
15.788
16.297
16.624
7.788
9.208
9.187
9.321
9.663
9.805
4.432
5.538
6.742
6.933
7.270
7.472
599
1.513
1.618
1.649
1.726
1.706
30.921
35.674
39.700
40.248
41.494
41.994
Fonte: Osservatorio Nazionale del Commercio
33
Tabella 1.2 – Esercizi commercio all'ingrosso per tipologia di attività economica,
Lombardia, variazione %
TIPOLOGIA DI ATTIVITÀ ECONOMICA
VARIAZ
. 1991
2001
VAR.
2002
2003
VAR.
2003
2004
VAR.
2004
2005
VAR.
2002
2005
-21,9%
VARIAZ.
MEDIO
ANNUO
19912001
-2,00%
Ingrosso di materie prime agricole e di
animali vivi
Ingrosso di prodotti alimentari, bevande e
tabacco
Ingrosso di altri prodotti di consumo
Ingrosso di prodotti intermedi
Ingrosso di macchinari e attrezzature
Ingrosso di altri prodotti
TOT.
-1,6%
-0,5%
-3,2%
-5,2%
-9,6%
0,92%
-0,1%
-0,2%
-2,0%
-2,3%
20,6%
18,2%
25,0%
152,6%
15,4%
1,89%
1,69%
2,26%
10,59%
1,44%
1,4%
1,5%
2,8%
1,9%
1,4%
3,2%
3,7%
4,9%
4,7%
3,1%
2,0%
1,5%
2,8%
-1,2%
1,2%
6,8%
6,7%
10,8%
5,4%
5,8%
Fonte: Osservatorio Nazionale del Commercio
Tabella 1.3 – Evoluzione del numero delle imprese di commercio all’ingrosso in
Lombardia per settore di attività in basi ai dati del Censimento Istat
TIPOLOGIE DI ATTIVITÀ ECONOMICA
Commercio all'ingrosso di materie prime agricole e di animali vivi
Commercio all'ingrosso di prodotti alimentari, bevande e tabacco
Commercio all'ingrosso di prodotti tessili
Commercio all'ingrosso di capi di abbigliamento e di calzature
Commercio all'ingrosso di elettrodomestici, apparecchi radio e
televisori
Commercio all'ingrosso di articoli di porcellana e di vetro,di carte
da parati e prodotti per la pulizia
Commercio all'ingrosso di profumi e cosmetici
Commercio all'ingrosso di prodotti farmaceutici (compresi
strumenti e apparecchi sanitari)
Commercio all'ingrosso di altri prodotti per uso domestico
Commercio all'ingrosso di prodotti intermedi non agricoli,di
rottami e cascami
Commercio all'ingrosso di macchinari e attrezzature
Commercio all'ingrosso di altri prodotti
Totale Attività del Commercio all'Ingrosso
1991
NUMERO
IMPRESE
1.804
4.640
1.299
1.922
1.508
2001
NUMERO
IMPRESE
1.411
4.273
1.275
1.900
2.068
VAR %
682
550
-19,4%
431
788
562
968
30,4%
22,8%
2.987
6.868
4.423
8.127
48,1%
18,3%
3.885
527
27.341
4.999
1.434
31.990
28,7%
172,1%
17,0
-21,8%
-7,9%
-1,8%
-1,1%
37,1%
Fonte: Censimento ISTAT
Per coerenza con la disponibilità di dati statistici, si è dunque preferito studiare i
principali comparti dell’ingrosso in Lombardia, scomponendo l’analisi, in primo
luogo, tra:
1. ingrosso grocery o ingrosso di beni di largo consumo;
2. ingrosso non grocery (i cui comparti più rilevanti sono: abbigliamento,
calzature, mobili e articoli per la casa).
Pertanto nell’ambito dei beni di consumo, l’analisi è stata suddivisa tra beni
alimentari e non alimentari. Non è solo una differenza che concerne le
caratteristiche dei prodotti, ma, ciò che è più importante, i segmenti di clientela
servita.
34
Gli ultimi capitoli trattano invece le forme di associazionismo tra grossisti ed i
centri commerciali all’ingrosso pianificati.
Una parte del lavoro si interessa in modo particolare all’ingrosso che vende
beni industriali ad una clientela professionale.
Quello appena indicato, quindi, è lo schema di lavoro che verrà seguito nelle
pagine successive.
Figura 1.1 - La posizione competitiva dell’ingrosso
Caratteristiche dei prodotti offerti
Grocery
Beni di consumo
alimentare
Non grocery
Beni di consumo non
alimentari
Segmenti di Mercato
Dettaglio Tradizionale
---
--
Grande distribuzione
++
+
Ho.re.ca
++
Utilizzatori professionali
++
Posizione competitiva critica: - - -
Beni industriali
+++
Posizione competitiva buona: + + +
I grossisti Grocery che servono il dettaglio tradizionale sono quelli in posizione
più critica. Se ci spostiamo dalla posizione in alto a destra nella prima colonna
alle caselle in basso a destra migliorano le performance e le prospettive di crescita
dei grossisti.
Per esempio, i Grossisti di beni di largo consumo che hanno segmentato
rivolgendosi prevalentemente al canale Ho.Re.Ca ottengono risultati economici
migliori rispetto ai grossisti che continuano a servire il dettaglio tradizionale. I
Grossisti non grocery (abbigliamento, calzature) che servono il dettaglio
tradizionale sono in difficoltà in misura minore rispetto a quelli grocery che
servono lo stesso canale. I grossisti di beni industriali che vendono agli utilizzatori
professionali hanno una buona posizione competitiva.
1.2. L’ingrosso di beni di largo consumo in Lombardia
Premessa. Iniziamo l’approfondimento con uno dei settori che ha subito il
maggiore ridimensionamento e la più drastica revisione del ruolo svolto
dall’ingrosso tradizionale. In Lombardia, il numero di grossisti di prodotti
alimentari e di beni di largo consumo si è ridotto costantemente di quasi dieci
punti percentuali nel periodo tra gli ultimi due censimenti Istat (per il periodo
1991-2001) ed anche negli anni più recenti continua la contrazione, che è stata
pari al – 2,3% (relativamente il periodo 2002-2005). Tuttavia, il
35
ridimensionamento dell’ingrosso non ha subito la drastica riduzione numerica che
ha investito invece il dettaglio del settore grocery.
La perdita di rilievo economico della distribuzione all’ingrosso nei settori di
beni di largo consumo è riconducibile principalmente a tre fattori:
1. l’integrazione a valle dei produttori per controllare le politiche di marca;
2. l’affermazione dei punti vendita della Grande Distribuzione e della
Distribuzione Organizzata, le cui Centrali acquistano direttamente dai
produttori e non si avvalgono dei servizi offerti dall’ingrosso tradizionale;
3. (e di conseguenza) la progressiva riduzione della distribuzione
tradizionale, che rappresenta il segmento di clientela più importante che si
rivolge ai grossisti per gli approvvigionamenti.
Il primo fattore di crisi dell’ingrosso è da ricercare nel processo d’integrazione a
valle da parte dell’Industria di marca, che è determinato da nuove esigenze di
marketing e non da ragioni di costo. I costi logistici di distribuzione dei
produttori, a parità di condizioni di servizio, sono in genere superiori a quelli dei
grossisti. In altri termini, per i produttori i vantaggi di marketing derivati dal
controllo diretto delle politiche distributive sono superiori ai maggiori costi
logistici, che derivano dal servizio di consegna al dettaglio. Lo sviluppo della
Grande Distribuzione in Lombardia ha interessato principalmente il settore dei
beni alimentari di largo consumo e di conseguenza il ruolo del grossista
tradizionale è stato progressivamente ridotto e si è assistito ad un progressivo
accorciamento dei canali di distribuzione.
Inoltre, in genere, il grossista propone ai dettaglianti solo i prodotti che ha
acquistato, escludendo per esempio articoli innovativi presenti nel portafoglio
prodotti del produttore. In altri termini, il grossista non propone al dettagliante
tutto l’assortimento dei fornitori industriali. La ricerca di varietà, di prodotti
innovativi da parte della clientela è un ulteriore fattore che ha determinato
l’esigenza di instaurare un rapporto diretto produttore e dettagliante.
In altri termini, la scelta del canale lungo ostacola il controllo diretto delle
variabili di marketing da parte dei produttori, a causa della fisiologica
indisponibilità dei grossisti a supportare il sell out di specifici brand. Dal punto di
vista dell’industria di marca, le carenze del grossista sono sostanzialmente
riconducibili al fatto di interpretare il ruolo come “prenditore di ordini” piuttosto
che come venditore di specifiche marche. Le esigenze di controllo delle politiche
di marca impongono che il produttore sia in contatto diretto con la moderna
distribuzione al dettaglio per gestire direttamente le variabili di trade marketing.
In secondo luogo, in Lombardia, prima che in altre regioni italiane, il processo
di modernizzazione della distribuzione al dettaglio di beni di largo consumo ha
posto in crisi l’esercizio specialistico della funzione d’ingrosso. La distribuzione
moderna, infatti, si integra a monte e acquista direttamente dai produttori. Inoltre,
l’aumento della pressione competitiva induce i piccoli dettaglianti indipendenti a
consorziarsi in Gruppi d’acquisto e ad integrare a loro volta la funzione
d’ingrosso e riducendo così la quota “canalizzata” dall’ingrosso tradizionale. In
definitiva, la filiera distributiva dei beni di largo consumo si va progressivamente
36
accorciando per la graduale disintermediazione dell’ingrosso da parte delle
imprese della distribuzione moderna.
Più precisamente, lo sviluppo della Grande Distribuzione ha provocato due
fattori di crisi per l’ingrosso: innanzitutto, le imprese del dettaglio moderno si
rivolgono direttamente all’industria di marca “bypassando” i grossisti tradizionali
(figura 1.2); in secondo luogo, la distribuzione moderna esercita una forte
concorrenza di prezzo nei confronti del dettaglio tradizionale e pone in crisi il
principale segmento di clientela dell’ingrosso. La Grande Distribuzione
Organizzata acquista direttamente dai produttori gli articoli a maggiore tasso di
rotazione e si serve dell’ingrosso solo per la parte marginale dell’assortimento. La
GDO quindi si avvale dei servizi offerti dai grossisti per gli articoli con un basso
tasso di rotazione, prodotti la cui gestione efficiente richiede un più alto livello di
centralizzazione logistica delle scorte.
Una delle cause principali di difficoltà strutturale è imputabile alla progressiva
riduzione della distribuzione tradizionale alimentare (il segmento di clientela più
importante dell’ingrosso) a causa della concorrenza esercitata dalla distribuzione
moderna.
Figura 1.2 - I fattori di crisi dell’ingrosso tradizionale
PRODUTTORE
GROSSISTA
DISTRIBUTORE AL DETTAGLIO
Nei settori dei beni alimentari e di largo e generale consumo, la crisi dell’ingrosso
tradizionale è ascrivibile alla diffusione della tecnica del libero servizio5 che
consente di aumentare la produttività nella distribuzione al dettaglio. Con il selfservice si sostituisce il lavoro del personale dipendente retribuito con il lavoro
gratuito del cliente. Il consumatore moderno, che acquista a self-service, è
gratificato dalla libertà di scelta e non ha più bisogno del servizio di assistenza,
perché riceve le informazioni direttamente dai mass media, dalla comunicazione in
punto vendita e da internet. La tecnica del libero servizio permette di
standardizzare l’erogazione dei servizi commerciali e di sviluppare velocemente
filiali omogenee.
5
Si deve considerare che la tecnica (apparentemente semplice) del self-service ha avuto nel
commercio conseguenze analoghe alla catena di montaggio nei processi di produzione industriale.
37
In altri termini, la ridotta produttività del servizio personale, tipica del
commercio tradizionale, è sostituita dall’efficienza del self-service, che comporta
una sostituzione di capitale con lavoro ed inoltre riduce l’eterogeneità del processo
di erogazione dei servizi commerciali.
L’ingrosso di beni di largo consumo è soggetto ad una continua riduzione del
numero di imprese e ad un parallelo processo di contrazione, attuato soprattutto a
seguito di operazioni di acquisizioni e fusioni.
La crisi dell’ingrosso in Lombardia. Le aziende commerciali all’ingrosso di
piccola dimensione sono destinate ad assumere un ruolo sempre più marginale
all’interno del settore e, quindi, ad uscire progressivamente dal mercato o ad
essere assorbite da altri grossisti di maggiore dimensione. La tendenza alle
aggregazioni ha portato così ad un aumento del numero dei grossisti di medie
dimensioni.
In Lombardia e nel Nord Italia la dimensione media delle imprese continua ad
essere circa il triplo di quella delle imprese del centro e del sud e, anche tra le
stesse imprese del nord, si continua a riscontrare una certa differenza tra quelle
nord-orientali (più grandi in termini di addetti e fatturato) e quelle nordoccidentali (più piccole negli stessi termini di paragone). Con il passare del tempo
le differenze regionali non sembrano ridursi, ma, al contrario, permangono.
Le difficoltà dei grossisti sono accentuate dalla recente sostanziale staticità
delle vendite di beni di largo consumo. La fase di trasformazione della filiera
produzione-ingrosso-dettaglio non è ancora terminata, ma ha già causato un
ridimensionamento della funzione dell'ingrosso.
Attualmente i grossisti lombardi tradizionali di beni di largo consumo sono in
difficoltà nell’affrontare la necessaria revisione strategica, gestionale e
organizzativa delle proprie aziende. Le difficoltà sono accentuate dalla
progressiva diminuzione del fatturato e dei margini sia per la competizione con la
distribuzione organizzata moderna, sia per la staticità delle vendite del settore in
esame.
La stagnazione dei consumi domestici sta imponendo la ricerca di nuove fonti
di ricavi e di redditività. L’integrazione a monte da parte dei distributori al
dettaglio di maggiori dimensioni è perseguita anche per recuperare redditività.
I modelli di business e i gruppi strategici dell’ingrosso nel settore dei beni di
largo consumo. L’ingrosso tradizionale è oggi in difficoltà sia a monte nel riuscire
a sviluppare azioni di marketing con i produttori di marca sia a valle nel far
percepire il valore dei servizi resi ai clienti.È interessante chiarire che si possono
individuare cinque differenti modelli di business del settore dell’ingrosso dei beni
di largo consumo.
Il grossista tradizionale, si caratterizza per un modello distributivo obsoleto, un
magazzino con un banco e la vendita via telefono/fax, con consegna a domicilio.
L’imprenditore è direttamente coinvolto nella gestione operativa, con il supporto
di 1/2 addetti interni (in molti casi familiari). Gli acquisti sono effettuati
prevalentemente presso i produttori e in misura minore presso altri grossisti e/o
38
gruppi d’acquisto, Unioni Volontarie, Consorzi e Cooperative. La clientela è
composta per la maggior parte dai dettaglianti (circa 50% dei ricavi) e, in misura
minore, dalla Grande Distribuzione, dai pubblici esercizi, dalle comunità e dagli
enti pubblici e privati.
I grossisti tradizionali saranno costretti ad attuare politiche di multicanalità e/o
a crescere dimensionalmente attraverso l’integrazione e/o la partnership e ad
adottare strategie di segmentazione.
Il modello del grossista con vendita al dettaglio. Il numero di addetti in questo
secondo modello di business sale mediamente a tre unità per il maggiore livello di
servizio richiesto dalla vendita al consumatore. La localizzazione in questo caso
diventa un fattore di successo fondamentale, perché deve essere funzionale alle
esigenze del consumatore privato. In Lombardia un significativo numero di
grossisti con vendita al dettaglio si sono specializzati sui prodotti di qualità
elevata, tipici e legati al territorio (salumi, formaggi, …).
Il modello del grossista con rete di vendita. Queste imprese di distribuzione
presentano una rete di venditori sul territorio e hanno un numero di addetti
superiore alla media, che si aggira mediamente sulle 10/12 unità. Operano a
livello regionale e servono la clientela in una logica multicanale. La costante
diminuzione del numero di dettaglianti rende necessario un aumento della
dimensione dell’area servita, multicanalità, partnership, integrazione,… Risulta
migliore la posizione competitiva delle imprese di distribuzione che si rivolgono
ai canali catering e Ho.Re.Ca.
Il modello di business del grossista che opera mediante tentata vendita. Questa
tipologia di grossisti impiega il metodo della tentata vendita e/o vendita porta a
porta. Si tratta per lo più di piccole strutture con al massimo 2 addetti e con un
bacino d’utenza limitato. Le prospettive di sviluppo per tali aziende appaiono
buone soprattutto se riusciranno a crescere di dimensione e ad offrire servizi
sempre più specializzati per canale.
Infine il modello degli operatori logistici appare come il risultato dell’evoluzione
strategico-organizzativa dei grossisti che hanno riqualificato la loro struttura
gestionale per collocarsi al servizio della Grande Distribuzione Organizzata e
delle Società di ristorazione collettiva. Questi grossisti si presentano più strutturati
(dei precedenti) sia dal punto di vista della forza lavoro (6/8 addetti) che da quello
dei beni strumentali. Dal 2001 ad oggi quest’ultimo modello di business sta via
via erodendo quote di mercato agli altri modelli gestionali. Quest’ultima tipologia
ha buone prospettive di sviluppo, sia attraverso la gestione di una amplissima
gamma di prodotti che mediante la specializzazione in alcuni prodotti.
La funzione del grossista di beni alimentari di largo consumo dovrebbe evolvere
da distributore (focalizzato sull’efficienza della gestione logistica) a fornitore di
servizi materiali e immateriali (sempre più attento all’efficacia).
39
La rivitalizzazione associativa dell’ingrosso. Nel settore dei beni di largo
consumo i grossisti associati, sia in Unioni Volontarie, sia in Gruppi d’Acquisto,
ricercano una maggiore forza contrattuale verso i fornitori attraverso risparmi
legati all’utilizzo di servizi comuni, la creazione di politiche di marketing comuni
e, con maggiori difficoltà, lo scambio e la condivisione virtuosa dei modelli e
soluzioni gestionali evolute. I risultati di queste forme associative sono stati
positivi, ma inferiori alle attese e non hanno fermato la diminuzione del numero di
grossisti.
Una ulteriore tendenza in atto (analizzata nella sezione curata da Beatrice
Luceri) è l’integrazione societaria, anche attraverso la cessione dell’attività a
produttori industriali che in questo modo si integrano a valle, mediante
l’acquisizione di quote di controllo di grossisti.
La rivitalizzazione dell’ingrosso nel settore dei beni di largo consumo è un
percorso complesso che comporta nuove strategie di segmentazione e di
specializzazione.
Il mix dei servizi offerti dai grossisti sta attraversando una fase di revisione, in
quanto le funzioni tradizionalmente offerte dai grossisti di alimentari non sono più
sufficienti a garantire un ruolo, anche nel futuro, all’interno della filiera.
Una direzione di sviluppo possibile è la focalizzazione sul canale Ho.Re.Ca. e
Catering. Tale strategia prevede una profonda revisione dei servizi offerti. Un
secondo percorso concerne la focalizzazione sulla logistica. In altri termini, una
parte dei grossisti tradizionali del settore dei dolciumi ma anche, più di recente,
salumi e formaggi, si sono indirizzati al canale Ho.Re.Ca., SuperHo.Re.Ca.6 e
Catering.
La riqualificazione mediante l’innovazione tecnologica. L’innovazione
tecnologica può influire positivamente sull’organizzazione interna dei grossisti
che, grazie all’utilizzo di sistemi informativi integrati per la gestione del
magazzino e della logistica, possono riuscire ad ottenere considerevoli risultati ed
economie di tempo e di denaro.Per il futuro si prevede un aumento e/o un
rafforzamento della presenza di reti informatiche tra industria e fornitori per
ottimizzare i flussi fisici ed informativi della catena distributiva a monte; sta
riscontrando, inoltre, interesse l’utilizzo delle nuove tecnologie via web nei
confronti dei clienti. Tuttavia si rileva ancora uno scarso sfruttamento di tali
mezzi nel rapporto tra grossisti e clienti. Da parte dei distributori all’ingrosso si
notano tentativi di presenza attiva sul web con siti che forniscono cataloghi e
schede informative sui prodotti trattati, ma non danno al navigatore la possibilità
di interagire con l’azienda se non attraverso l’utilizzo dell’e-mail o di un forum.
Appare, invece, più sviluppato l’utilizzo di internet e delle moderne tecnologie
gestionali nei confronti della GD, anche se si attende un incremento nell’utilizzo
di tali strumenti per permettere una gestione della logistica sempre più efficiente.
È prevedibile nei prossimi anni un ulteriore aumento del numero di grossisti
che decideranno di sfruttare internet, soprattutto nei confronti del canale
6
Con SuperHo.Re.Ca. si indicano bar, discoteche e locali notturni. Questo canale risulta di
rilievo soprattutto per i distributori all’ingrosso di bevande.
40
Ho.Re.Ca. e catering, per offrire maggiori informazioni sui prodotti ed un
ulteriore supporto alla vendita.
Le prospettive di sviluppo futuro dell’ingrosso. Il settore della distribuzione
all’ingrosso di alimentari di largo consumo è in continua evoluzione e alla ricerca
di nuovi percorsi di uscita dalla crisi.
Il futuro dei grossisti di beni di largo consumo alimentari si gioca sulle
seguenti variabili competitive:
-
-
-
-
Assortimento. La composizione di un’offerta nella quale a fianco di un
paniere di prodotti permanenti, noti al pubblico e con una domanda facilmente
prevedibile, si inseriscano nuovi item, con la giusta promozione e nei canali
più appropriati. Pertanto, la capacità dei grossisti di essere consulenti nella
composizione dell’offerta.
Logistica. La crescente necessità di consegne puntuali e capillari su territori
più estesi e, soprattutto per il canale Ho.Re.Ca., in fasce orarie
tradizionalmente non coperte dai grossisti.
Assistenza prevendita. Questo servizio è necessario specialmente per quanto
concerne i nuovi prodotti o i prodotti stagionali, difatti le imprese industriali
richiedono sempre più spesso ai grossisti la capacità di condurre e seguire
azioni di merchandising e di informazione nei punti vendita.
Informazione. L’industria è interessata ad avere feedback dal mercato per
migliorare i prodotti esistenti, programmare la produzione, individuare il
corretto rapporto prezzo-qualità dei prodotti e sviluppare l’attività di
marketing in modo più scientifico.
La multicanalità, la flessibilità del servizio, la possibilità di ordinare anche piccoli
lotti sono solo alcuni esempi di come un grossista tradizionale possa trasformare il
proprio modello di business al fine di competere con un mercato che vede il
potere sempre crescente delle centrali d’acquisto della GDO. La maggiore parte
dei produttori privilegia la multicanalità e impiega diversi canali distributivi.
L’ingrosso consente una grande flessibilità specie in aree territoriali caratterizzate
da una struttura distributiva frammentata.
In Lombardia la presenza dei grossisti tradizionali con modelli di business
basati sulla vendita al dettaglio, o sulla tentata vendita, è in diminuzione a favore
sia di reti di agenti che lavorano a provvigione sia di operatori logistici orientati
alle catene distributive.
La figura 1.3 identifica i modelli di business e la loro possibile evoluzione
considerando alcune variabili chiave.
41
STRUTTURA ARTICOLATA
E DIMENSIONI NOTEVOLI
Gr. operatori logistici
STRUTTURA LIMITATA E
DIMENSIONI RIDOTTE
Complessità strutturale e dimensione aziendale
Figura 1.3 - Possibili traiettorie di evoluzione dei modelli di business adottati dai
grossisti di alimentari
Gr.con
rete di
vendita
Gr. a
libero
servizio
Gr. tradizionali e con
vendita al dettaglio
MULTICANALITÀ
Gr. con
tentata
vendita
SPECIALIZZAZIONE
PER CANALE
Specializzazione
In definitiva i principali trend evolutivi dell’ingrosso di beni di largo consumo
sono:
-
-
-
i grossisti tradizionali e quelli con vendita al dettaglio stanno cercando di
crescere di dimensione e sviluppare soluzioni organizzative per riuscire ad
operare in logica multicanale. È probabile una crescita di questi due
modelli di business;
i grossisti con rete di vendita stanno tentando di aumentare l’area servita
(riuscendo a superare la soglia regionale) ed evolvere anch’essi verso la
multicanalità. I distributori all’ingrosso di minori dimensioni possono
puntare verso la specializzazione per canale. Una parte di queste imprese
sembra destinata a mutare la propria struttura operativa per riqualificarsi
prevalentemente come operatore logistico, sfruttando anche la vicinanza e
le analogie tra i due modelli di business;
alcune imprese all’ingrosso iniziano ad operare sul mercato con una
struttura più vicina a quella di un operatore logistico piuttosto che a quella
di un grossista tradizionale.
42
1.2.1. Appendice statistica
Tabella 1.4 – Commercio all’ingrosso alimenti, bevande, tabacco per classi di
addetti: imprese
CLASSE
ADDETTI
1-2
3-9
10-19
20-49
50-99
100+
Tot.
complessivo
1991
N. IMPRESE
quote %
46,3
39,8
9,8
2,9
0,7
0,5
100,0
2001
N. IMPRESE
quote %
55,3
32,8
8,4
2,4
0,6
0,5
1991
N. IMPRESE
2001
N. IMPRESE
VARIAZ.
%
2.150
1.846
457
134
32
21
2.363
1.400
359
104
26
21
9.9 %
-24,2 %
-21,4 %
-22,4 %
-18,8 %
0,0 %
100,0
4.640
4.273
-7,9 %
Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT
Tabella 1.5 – Commercio all’ingrosso alimenti, bevande, tabacco per classi di
addetti: addetti
CLASSE
ADDETTI
1-2
3-9
10-19
20-49
50-99
100+
Tot,
complessivo
1991 ADDETTI
ALLE
IMPRESE
quote %
11,0
33,6
21,6
13,8
7,8
12,2
100,0
2001 ADDETTI
ALLE
IMPRESE
quote %
13,4
28,8
20,2
13,0
7,6
17,0
1991 ADDETTI
ALLE
IMPRESE
2001 ADDETTI
ALLE
IMPRESE
VARIAZ, %
3.045
9.304
5.977
3.836
2.175
3.392
3.178
6.819
4.775
3.089
1.805
4.031
4,4 %
-26,7 %
-20,1 %
-19,5 %
-17,0 %
18,8 %
100,0
27.729
23.697
-14,5 %
Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT
Tabella 1.6 – Commercio all’ingrosso alimenti, bevande, tabacco per provincia: imprese
PROVINCE
LOMBARDE
VARESE
COMO
SONDRIO
MILANO
BERGAMO
BRESCIA
PAVIA
CREMONA
MANTOVA
LECCO
LODI
TOT. LOMBARDIA
2001
LOMBARDIA
QUOTA N,
RESIDENTI
9,0
6,0
2,0
41,0
10,8
12,3
5,5
3,7
4,2
3,4
2,2
100,0
2001
LOMBARDIA
QUOTA N,
IMPRESE
8,3
5,7
1,7
44,5
10,4
12,4
5,0
3,2
4,1
3,1
1,8
100,0
1991 N,
IMPRESE
quote %
2001 N,
IMPRESE
quote %
1991 N,
IMPRESE
2001 N,
IMPRESE
VARIAZ,
%
6,7
5,8
3,2
35,3
11,0
12,7
8,1
5,3
6,2
3,9
1,8
100,0
5,9
5,2
2,7
39,2
11,9
13,5
7,1
4,3
5,0
3,3
2,0
100,0
311
269
148
1.640
510
587
376
248
287
180
84
4.640
252
222
115
1.673
509
578
303
182
215
140
84
4.273
-19,0%
-17,5%
-22,3%
2,0%
-0,2%
-1,5%
-19,4%
-26,6%
-25,1%
-22,2%
0,0%
-7,9%
Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT
43
Tabella 1.7 – Commercio all’ingrosso alimenti, bevande, tabacco per provincia: addetti
PROVINCE
LOMBARDE
VARESE
COMO
SONDRIO
MILANO
BERGAMO
BRESCIA
PAVIA
CREMONA
MANTOVA
LECCO
LODI
TOT. LOMBARDIA
2001
LOMBARDIA
QUOTA N,
RESIDENTI
9,0
6,0
2,0
41,0
10,8
12,3
5,5
3,7
4,2
3,4
2,2
100,0
2001
LOMBARDI
A QUOTA
N,
ADDETTI
7,0
4,8
1,2
53,8
9,8
10,6
3,2
2,3
3,3
2,7
1,3
100,0
1991
ADDETTI
ALLE
IMPRESE
quote %
7,2
4,7
2,4
43,4
11,0
11,8
5,8
3,9
4,4
3,9
1,5
100,0
2001
ADDETTI
ALLE
IMPRESE
quote %
6,2
4,7
2,4
44,1
11,4
13,6
6,3
2,7
3,4
4,0
1,3
100,0
1991
ADDETTI
ALLE
IMPRESE
2001
ADDETTI
ALLE
IMPRESE
VARIAZ,
VARIAZ,
%
1.985
1.298
663
12.026
3.045
3.276
1.622
1.091
1.217
1.079
427
27.729
1.463
1.104
569
10.449
2.709
3.217
1.488
639
811
946
302
23.697
-522
-194
-94
-1,577
-336
-59
-134
-452
-406
-133
-125
-4,032
-26,3%
-14,9%
-14,2%
-13,1%
-11,0%
-1,8%
-8,3%
-41,4%
-33,4%
-12,3%
-29,3%
-14,5%
Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT
1.3. L’ingrosso di bevande in Lombardia
Caratteri strutturali e tendenze dell’ingrosso di bevande in Lombardia. Il settore
dell’ingrosso di bevande rappresenta una quota importante all’interno del
comparto generale dell’ingrosso di beni di largo consumo, il fatturato complessivo
in Italia ha superato i tre miliardi di Euro. L’Istat divide l’ingrosso di bevande in
due sub-settori: quello delle bevande alcoliche (codice Ateco 51.34.1) e l’ingrosso
di altre bevande (codice Ateco 51.34.2). L’assortimento offerto dai grossisti del
settore bevande è solitamente esteso sia a categorie complementari nella funzione
d’uso (per esempio bicchieri, detersivi, piccoli elettrodomestici, accessori,...) e/o
nell’occasione di consumo (per esempio, pasta, farina, snack dolci e salati,
elementi d’arredo,...).
In Lombardia e nel Nord Italia le imprese d’ingrosso di bevande hanno adottato
una strategia di segmentazione e si sono focalizzate sull’Ho.Re.Ca. (i.e. bar,
ristoranti, pizzerie, etc.). Solo in misura minore vendono anche al dettaglio
tradizionale o ad altre forme di intermediazione commerciale (i.e. altri grossisti,
GDO, etc.). I dati degli ultimi Censimenti Istat pongono in evidenza la fase di
crisi dell’ingrosso nel settore delle bevande in Lombardia; in particolare, il settore
del Commercio all’ingrosso di bevande alcoliche è più in difficoltà rispetto al
Commercio all’ingrosso delle altre bevande.
44
Tabella 1.8 – Commercio all’ingrosso di bevande alcoliche (1991-2001) in Lombardia e
nelle altre regioni italiane
Lombardia
Piemonte
Valle d’Aosta
Trentino –
Alto Adige
Veneto
Friuli –
Venezia
Giulia
Liguria
Emilia
Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Tot. Italia
Unità
locali
1991
Unità
locali
2001
Peso %
nelle
regioni
Variazione
numerica
1991/2001
Numero
addetti
1991
Numero
addetti
2001
Variazione
addetti
1991/2001
686
719
18
163
459
474
12
131
16,58%
17,12%
0,43%
4,73%
-33,09%
-34,08%
-33,33%
-19,63%
2.721
2.089
54
793
1.945
1.352
26
580
-28,52%
-35,28%
-51,85%
-26,86%
Numero
medio
addetti
per unità
4,2
2,9
2,2
4,4
463
153
285
101
10,30%
3,65%
-38,44%
-33,99%
1.975
573
1.114
388
-43,59%
-32,29%
3,9
3,8
150
318
79
153
2,85%
5,53%
-47,33%
-51,89%
907
1.768
288
801
-68,25%
-54,69%
3,6
5,2
335
44
74
179
76
23
162
149
17
72
148
138
4.087
237
24
40
177
55
12
148
91
12
49
140
89
2.768
8,56%
0,87%
1,45%
6,39%
1,99%
0,43%
5,35%
3,29%
0,43%
1,77%
5,06%
3,22%
100,00%
-29,25%
-45,45%
-45,95%
-1,12%
-27,63%
-47,83%
-8,64%
-38,93%
-29,41%
-31,94%
-5,41%
-35,51%
-32,27%
1.187
143
228
531
193
74
490
390
29
144
386
360
15.035
771
148
162
421
152
67
297
256
35
102
375
229
9.509
-35,05%
3,50%
-28,95%
-20,72%
-21,24%
-9,46%
-39,39%
-34,36%
20,69%
-29,17%
-2,85%
-36,39%
-36,75%
3,3
6,2
4,1
2,4
2,8
5,6
2,0
2,8
2,9
2,1
2,7
2,6
3,4
Fonte: Censimento ISTAT dell’Industria e dei Servizi (2001)
Le difficoltà del Commercio all’ingrosso di bevande alcoliche sono rilevanti,
come testimonia la contrazione del – 33% del numero di unità locali, nel decennio
1991-2001 (tab. 3.1, in base ai dati dei censimenti Istat). Il trend negativo è
comunque in linea con il dato relativo all’Italia nel suo complesso, che ha
registrato una contrazione pari a - 32% (tab. 3.1). Si consideri, per esempio, che
nello stesso periodo (1991-2001) il numero delle unità locali in Emilia Romagna
si dimezza. Nonostante la crisi, la concentrazione territoriale degli operatori
dell’ingrosso bevande nelle regioni del Nord è ancora elevata; in Piemonte,
Lombardia, Veneto, si concentra infatti il 44% delle unità locali presenti in Italia.
Le cause delle difficoltà appena evidenziate sono da ricercate nella
competizione dei Cash & Carry e dei punti vendita della GDO, ed inoltre nella
distribuzione diretta da parte dell’Industria, che hanno progressivamente sottratto
quote di mercato all’ingrosso tradizionale.
In Lombardia, la riduzione del numero degli addetti è leggermente inferiore a
quello delle unità locali (-28,5%, tab. 1.8), che invece segnala un aumento
dimensionale. In Lombardia, il numero medio di addetti per unità locale (che
rappresenta un indice di modernizzazione) è superiore alla media dell’Italia (pari a
5,6, rispetto al dato relativo all’Italia che è pari al 4%, tab. 1.8). Le difficoltà del
comparto analizzato sono ancora maggiori in altre regioni del Nord, per esempio
in Liguria, dove gli addetti del settore in esame hanno registrato una riduzione
pari a quasi il 70% (tab. 1.8).
La fase negativa ha investito anche il sub-settore del Commercio all’ingrosso
di altre bevande in Lombardia. Tuttavia, la crisi è meno marcata rispetto al
45
commercio all’ingrosso di bevande alcoliche. In Lombardia, infatti, nel settore
Commercio all’ingrosso di altre bevande la contrazione delle unità locali è stata
pari a - 11% (dal 1991 al 2001, tab. 1.9), ma parallelamente si è registrato un
aumento del numero degli addetti + 11,8%. La forbice tra il trend in contrazione
delle unità locali e quello in aumento degli addetti è da interpretarsi in senso
positivo, in quanto segnala l’aumento dimensionale delle unità locali. Anche il
dato relativo al numero medio di addetti per unità locali della Lombardia, pari a
5,6, è superiore al dato nazionale (4,0: solo il Veneto ha un dato superiore, tab.
1.9).
Tabella 1.9 - Commercio all’ingrosso di altre bevande (1991-2001) in Lombardia e nelle
altre regioni italiane
Lombardia
Piemonte
Valle
d’Aosta
Trentino –
Alto Adige
Veneto
Friuli –
Venezia
Giulia
Liguria
Emilia
Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Tot. Italia
Unità
locali
1991
Unità
locali
2001
peso %
nelle
regioni
Variazione
numerica
1991/2001
Numero
addetti
1991
Numero
addetti
2001
Variazione
addetti
1991/2001
368
226
14
328
157
9
11,86%
5,68%
0,33%
-10,87%
-30,53%
-35,71%
1.654
898
60
1.849
676
49
11,79%
-24,72%
-18,33%
Numero
medio
addetti
per unità
2001
5,6
4,3
5,4
54
64
2,31%
18,52%
170
329
93,53%
5,1
194
72
194
61
7,01%
2,21%
--15,28%
784
298
1.161
326
48,09%
9,40%
6,0
5,3
95
191
97
179
3,51%
6,47%
2,11%
-6,28%
396
966
486
1.006
22,73%
4,14%
5,0
5,6
214
39
114
215
90
31
266
237
36
109
198
152
2.915
192
30
51
217
76
38
333
242
39
83
243
133
2.766
6,94%
1,08%
1,84%
7,85%
2,75%
1,37%
12,04%
8,75%
1,41%
3,00%
8,79%
4,81%
100,00%
-10,28%
-23,08%
-55,26%
0,93%
-15,56%
22,58%
25,19%
2,11%
8,33%
-23,85%
22,73%
-12,50%
-5,11%
946
154
323
733
249
68
762
676
110
326
696
407
10.676
862
153
165
568
208
73
905
686
100
258
803
330
10.993
-8,88%
-0,65%
-48,92%
-22,51%
-16,47%
7,35%
18,77%
1,48%
-9,09%
-20,86%
15,37%
-18,92%
2,97%
4,5
5,1
3,2
2,6
2,7
1,9
2,7
2,8
2,6
3,1
3,3
2,5
4,0
Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)
Anche i più recenti dati Asia confermano il trend negativo ed evidenziano la
contrazione del numero delle imprese e solo un lieve incremento degli addetti in
Lombardia nei due comparti principali (tab. 1.10).
46
Tabella 1.10 - Commercio all’ingrosso di bevande, imprese
e addetti per regione, 2003
Lombardia
Piemonte
Valle
d’Aosta
Trentino –
Alto Adige
Veneto
Friuli –
Venezia
Giulia
Liguria
Emilia
Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Tot. Italia
Commercio all’
ingrosso di bevande
alcoliche
Imprese
Addetti
445
2.174
436
1.284
4
9
Commercio all’ingrosso di
altre bevande
Imprese
272
124
9
Addetti
1.787
772
61
105
586
50
328
278
97
1.125
410
170
48
1.097
340
73
158
262
808
65
151
467
1.147
215
24
31
185
54
3
151
88
8
48
164
85
2.652
840
128
146
465
201
17
317
207
26
103
369
275
9.752
138
25
38
213
68
30
314
188
41
98
205
106
2.353
811
206
177
627
208
83
982
703
112
298
799
337
11.342
Fonte: Asia – ISTAT
Anche se il numero medio di addetti per unità locali in Lombardia è superiore alla
media nazionale, la dimensione strutturale delle imprese grossiste di bevande
rimane ancora piccola. Oltre il 97% delle aziende registra un numero di occupati
inferiore alle 20 unità. Si deve considerare, tuttavia, il diffuso ricorso da parte dei
grossisti di bevande a professionisti esterni o ad aziende di servizio. Nelle imprese
di distribuzione all’ingrosso, infatti, in genere solo i responsabili di funzione (per
esempio direttore vendite, acquisti, logistica,...) e gli impiegati amministrativi,
alcune figure intermedie (i.e. capi area, ispettori di zona, etc.) e i magazzinieri
sono assunti come dipendenti a tempo indeterminato. L’attività di vendita e
consegna è invece affidata ad agenti e “Padroncini”, vale a dire a personale
esterno all’organizzazione, non dipendenti. Sempre più spesso, inoltre, per far
fronte a punte d’attività, per esempio nel periodo estivo, si va diffondendo il
ricorso a lavoratori stagionali o interinali, o a società esterne specializzate per
gestire il magazzino, con un ulteriore snellimento della struttura aziendale.
47
Modelli di business dell’ingrosso di bevande in Lombardia. Gran parte delle
imprese di commercio all’ingrosso operanti in Lombardia ha dimensioni mediopiccole, ciò rende necessaria la ricerca di soluzioni di equilibrio in grado di
assecondare da una parte l’esigenza di realizzare una massa critica per poter
competere in nuovi contesti competitivi, caratterizzati da sempre maggiori livelli
di concentrazione, e, dall’altra, il bisogno d’indipendenza e di autonomia di una
realtà imprenditoriale ancora fortemente a carattere familiare.
Negli ultimi anni si sono andati consolidando tre gruppi strategici:
1. grossisti integrati (canale societario), ovvero aziende grossiste di proprietà
di produttori, di solito di aziende birraie, come Partesa-Gruppo Heineken,
Doreca-Gruppo Sab-Miller-Peroni, T&C-Gruppo Carlsberg e ImbevitGruppo Interbrew;
2. Grossisti associati (canale amministrativo), ovvero aziende grossiste
indipendenti associate e gruppi di acquisto che prendono la forma di
consorzi o cooperative;
3. Grossisti indipendenti (canale convenzionale), aziende grossiste
indipendenti che contrattano singolarmente con i produttori a monte.
L’evoluzione del mercato sembra comunque premiare le soluzioni di tipo
associativo, (i canali amministrati) grazie al vantaggio competitivo della maggiore
flessibilità e capacità di adattamento ad un contesto di mercato che presenta forti
asimmetrie a livello locale. Al contrario, stanno affrontando una fase di
ripensamento e ristrutturazione i tentativi di integrazione a valle da parte
dell’industria (i.e. Partesa, Doreca, T&C, Imbevit). Questi ultimi, in particolare,
soffrono soprattutto di una struttura decisionale accentrata e delle conseguenze dei
processi riorganizzativi legati alle operazioni di fusione e di acquisizione.
Anche in futuro proseguirà la progressiva perdita di quota di mercato dei
grossisti di bevande indipendenti, i quali sono soggetti a sempre maggiore
pressione competitiva orizzontale (da parte dei grossisti associati a Gruppi
d’acquisto o a Unioni Volontarie, o da nuovi soggetti collettivi) e verticale (a
causa dell’integrazione a monte da parte della Grande Distribuzione e
dell’integrazione a valle dell’industria di marca).
Sulla base di tali caratteri è possibile identificare i seguenti modelli
organizzativi:
Grossista tradizionale di bevande. Il Grossista tradizionale tende a preferire un
profilo consueto d’offerta orientato alla logistica, puntando alla copertura
numerica dei clienti e all’ampiezza dell’assortimento. A livello di rapporto
prezzo/qualità tende ad offrire prodotti di qualità medio-alta con un sufficiente
livello di convenienza.
Grossista orientato alla logistica e al traffico. Il Grossista orientato alla logistica
e al traffico ha un profilo che tende a privilegiare il servizio logistico, la
convenienza e la massima copertura numerica dei punti vendita serviti.
48
Grossista multispecializzato. Il Grossista multi-specializzato, infine, cerca di
sviluppare ampiezza e profondità dell’assortimento. L’elevato livello di servizio si
traduce inevitabilmente in un più alto livello dei prezzi.
Nei prossimi anni si registrerà un’ulteriore contrazione generale del settore
all’ingrosso di bevande, probabilmente tra i 2 e i 5 punti percentuali, dovuta sia a
trend evidenziati in precedenza, sia alla stazionarietà dei consumi in Italia.
L’innovazione tecnologica. L’innovazione tecnologica ha influito positivamente
sull’organizzazione interna dei grossisti che, grazie all’utilizzo di sistemi
informatizzati ed automatici, sono riusciti a conseguire una riduzione dei costi di
gestione e a realizzare economie di scala, soprattutto nei servizi logistici e nella
gestione del magazzino. Per il futuro, vista la sempre più spinta diffusione di tali
tecnologie, è lecito attendersi un loro impiego sempre più rilevante, soprattutto nei
rapporti tra grossista e fornitore, mediante la gestione intelligente delle scorte e
l’automatizzazione dei riordini.
Sembra invece più difficile la costituzione di reti informatizzate tra grossista e
clienti, considerata soprattutto la tipologia e le dimensioni medie di queste ultime.
Ciò nonostante resta possibile per il grossista operare sui clienti mediante siti
internet integrati con una rete interna, in modo da minimizzare l’investimento in
software ad hoc e, contestualmente, consentire ai clienti di gestire direttamente i
propri ordini mediante un terminale remoto.
Le prospettive di sviluppo futuro dell’ingrosso di bevande in Lombardia. Le
previsioni settoriali per i prossimi tre anni non sono positive, è lecito attendersi
una ulteriore contrazione dell’ingrosso tradizionale in favore dei canali alternativi,
in particolare della GDO.
L’attuale contesto competitivo sembra premiare le soluzioni inter-organizzative
di tipo associativo, che conferiscono la massima flessibilità e capacità di
adattamento ad un mercato che mantiene ancora elevate specificità territoriali.
Il primo gruppo strategico, quello dei grossisti indipendenti, è in posizione
critica. Deve affrontare tutte le difficoltà legate allo start up di un Consorzio o di
un Gruppo d’acquisto o superare gli ostacoli d’ingresso in forme associative già
costituite. Un’alternativa strategica potrebbe essere rappresentata dalla cessione
della propria attività a produttori di marca in cambio di supporti a livello
finanziario, promozionale, di marketing,...
Una tendenza consolidata nel settore in esame è la strategia di sviluppo
associativo. I Gruppi d’acquisto e i Consorzi sono in fase espansiva perché
consentono di aumentare il potere sia a monte, nei confronti dell’industria, sia a
valle, nei confronti della ristorazione.
Abbiamo già menzionato l’esigenza di crescita dimensionale delle imprese in
un settore ancora fortemente dominato da aziende di medie e piccole dimensioni.
Laddove infatti si assiste ad una elevata concentrazione nei mercati a monte, e ad
una progressiva diffusione delle catene della ristorazione commerciale a valle, è
impossibile per il singolo grossista localizzato geograficamente ottenere un
vantaggio competitivo tale da permettergli di spuntare condizioni favorevoli da
49
parte dell’industria e, nel contempo, di entrare nell’assortimento di clienti diffusi a
livello nazionale.
Per crescere dimensionalmente occorre quindi perseguire una delle due strade
di cui si è già detto, ovvero l’associazionismo o l’integrazione, con i vantaggi e gli
svantaggi che le caratterizzano: infatti la soluzione associativa lascia al grossista
la proprietà dell’azienda ed un’elevata autonomia gestionale comportando, per
contro, elevate difficoltà in fase di coordinamento; mentre la soluzione di
integrazione toglie all’imprenditore il potere decisionale, ma risulta più organica
nella sua azione a livello nazionale.
È necessario procedere alla crescita della cultura manageriale del settore, ciò
rappresenta la base per introdurre miglioramenti gestionali e manageriali e
all’adozione di un orientamento al mercato e alla cooperazione.
Attualmente, infatti, in molte imprese grossiste è in atto un ricambio
generazionale in cui, all’interno di strutture a carattere prevalentemente
famigliare, i figli stanno subentrando ai padri nella gestione delle aziende: mentre
le generazioni più anziane, formatesi sul campo, hanno costruito l’azienda giorno
dopo giorno sulla base delle esigenze funzionali e delle intuizioni personali, ora
arrivano generazioni istruite e formate a una cultura di tipo manageriale che
portano all’interno dell’azienda la scientificità e le logiche gestionali prima “fatte
in casa”.
Questa tendenza rischia dunque di creare un ulteriore problema, soprattutto
all’interno delle realtà associate dove, a seconda del livello e del modo in cui il
ricambio generazionale ha interessato le diverse imprese partecipanti, si corre il
rischio di avere aziende che “corrono” a velocità diverse. Ecco allora che diviene
fondamentale promuovere piani di formazione e di aggiornamento volti a
minimizzare l’impatto del ricambio generazionale e, nel contempo, ad avvicinare
le generazioni più anziane alle odierne logiche gestionali del business.
Per competere efficacemente nel nuovo contesto competitivo, il grossista
tradizionale deve evolversi e passare dalla funzione originaria di “venditore di
prodotti” a quella di “consulente”, passando per la tappa intermedia di “prestatore
di servizi”.
I “venditori di prodotti” limitano la loro funzione distributiva solo all’aspetto
logistico-negoziale. Questi rappresentano il primo stadio del ciclo di vita dei
distributori beverage. Nella quasi totalità dei casi la funzione che assolvono è
quella logistica; infatti, si limitano alla raccolta di ordini, alle consegne, alla
gestione dei resi e dei vuoti.
I grossisti “prestatori di servizio” offrono invece una serie di servizi tangibili
(servizi logistici, finanziari, di vendita, pre e post vendita) e intangibili
(affidabilità, disponibilità, competenza) che vanno oltre il servizio logistico.
I grossisti “consulenti” aggiungono alle funzioni del prestatore di servizio una
serie di servizi di tipo consulenziale, ovvero finalizzati non già a sviluppare il
proprio business, ma quello del cliente. Rientrano pertanto in questa tipologia di
servizi le consulenze in merito al layout, all’arredamento e al design del locale,
all’organizzazione di eventi e animazioni, alla gestione dei clienti, etc. nonché la
formazione dei clienti gestori nel corretto svolgimento della propria attività (i.e.
spillatura, gestione dell’HACCP, etc.).
50
Il primo passo per affrontare le sfide del futuro è dunque una rivisitazione del
ruolo stesso del distributore all’ingrosso all’interno della filiera, ovvero un trading
up delle proprie funzioni che sposti l’accento dal servizio di fornitura a quello di
consulenza, e dal rapporto commerciale a quello personale.
Una potenziale minaccia per l’ingrosso tradizionale di bevande è rappresentata
dalla diffusione delle catene della ristorazione commerciale. In Lombardia, come
nel resto d’Italia, l’Ho.Re.Ca. è un settore ancora polverizzato, con la prevalenza
di imprese familiari. La concentrazione del settore a valle e la costituzione di
strutture societarie vicine a quelle operanti nel canale Catering potrebbero portare
a negoziare direttamente con le aziende produttrici “bypassando”
l’intermediazione all’ingrosso. Ciò potrebbe causare una crisi dell’ingrosso di
bevande. Riteniamo tuttavia che il processo di concentrazione dei formati di
somministrazione sia molto lento e, pertanto, che il rischio di crisi dell’ingrosso a
causa di questo fattore sia modesto. Ciò anche in considerazione della costante
crescita dei consumi fuori casa, che rappresenta un progressivo ampliamento del
mercato di sbocco del grossista di bevande.
1.4. L’ingrosso d’abbigliamento e calzature in Lombardia
Caratteri strutturali e trend dei grossisti d’abbigliamento e di calzature in
Lombardia. In questo capitolo l’analisi si sposta dai settori alimentari ai settori
non alimentari e, in particolare, all’ingrosso d’abbigliamento e calzature. L’analisi
è organizzata in due sezioni, la prima fa riferimento all’abbigliamento la seconda
alle calzature. La Lombardia detiene il maggior numero di Grossisti
d’abbigliamento in Italia, pari a 2.247 soggetti totali. Anche nei singoli subsettori, la regione con il maggior numero di operatori all’ingrosso in Italia è la
Lombardia.
I dati degli ultimi Censimenti relativi all’ingrosso d’abbigliamento evidenziano
la progressiva frammentazione della struttura imprenditoriale: a fronte della
crescita del numero delle unità locali, la crescita degli addetti non è delle stesse
proporzioni (tab. 1.11). Aumentano dunque le piccole aziende familiari con
un’involuzione e un allontanamento dalle logiche della modernizzazione e dai
modelli di business europei.
51
Tabella 1.11 - La distribuzione regionale delle imprese di distribuzione all’ingrosso di
abbigliamento e accessori (codice 51.42.1)
Regioni
Numero di Imprese
1996
2001
LOMBARDIA
LAZIO
CAMPANIA
VENETO
PIEMONTE
EMILIA ROMAGNA
TOSCANA
PUGLIA
SICILIA
LIGURIA
CALABRIA
ABRUZZO
MARCHE
FRIULI VENEZIA GIULIA
SARDEGNA
UMBRIA
TRENTINO ALTO ADIGE
BASILICATA
MOLISE
VALLE D’AOSTA
TOTALE
1300
507
833
471
355
549
480
276
252
137
83
104
154
110
96
70
63
14
10
n.d.
5864
1537
691
1183
514
390
628
605
305
351
143
94
120
169
86
96
74
81
18
14
5
7104
Var. %
2001-1996
18,23%
36,29%
42,02%
9,13%
9,86%
14,39%
26,04%
10,51%
39,29%
4,38%
13,25%
15,38%
9,74%
-21,82%
0,00%
5,71%
28,57%
28,57%
40,00%
n.d.
21,15%
Numero di addetti
1996
2001
5306
1727
2165
2214
1507
2435
2377
844
975
458
280
235
590
331
404
242
243
27
28
n.d.
22388
5966
2195
3040
2210
1289
2726
2302
920
881
442
260
270
609
208
316
172
306
51
29
10
24202
Var. %
2001-1996
12,44%
27,10%
40,42%
-0,18%
-14,47%
11,95%
-3,16%
9,00%
-9,64%
-3,49%
-7,14%
14,89%
3,22%
-37,16%
-21,78%
-28,93%
25,93%
88,89%
3,57%
n.d.
8,10%
Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001
Tabella 1.12 - La distribuzione regionale delle imprese distributive all’ingrosso di
calzature e accessori (codice 51.42.4)
Regioni
LOMBARDIA
LAZIO
CAMPANIA
VENETO
PIEMONTE
EMILIA ROMAGNA
TOSCANA
PUGLIA
SICILIA
LIGURIA
CALABRIA
ABRUZZO
MARCHE
FRIULI VENEZIA GIULIA
SARDEGNA
UMBRIA
TRENTINO ALTO ADIGE
BASILICATA
MOLISE
VALLE D’AOSTA
TOTALE
Numero di Imprese
1996
2001
222
67
410
199
82
110
179
137
97
26
27
22
241
20
18
11
18
1
0
0
1887
218
81
529
195
64
103
215
99
186
18
20
25
293
18
18
15
13
0
0
0
2110
Var. %
2001-1996
-1,80%
20,90%
29,02%
-2,01%
-21,95%
-6,36%
20,11%
-27,74%
91,75%
-30,77%
-25,93%
13,64%
21,58%
-10,00%
0,00%
36,36%
-27,78%
-100,00%
0,00%
0,00%
11,82%
Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001
52
Numero di Addetti
1996
2001
1338
268
951
872
402
424
698
413
315
134
74
59
871
71
130
66
108
1
0
0
7195
890
290
1064
737
299
322
784
291
493
62
50
54
819
57
141
35
62
0
0
0
6450
Var. %
2001-1996
-33,48%
8,21%
11,88%
-15,48%
-25,62%
-24,06%
12,32%
-29,54%
56,51%
-53,73%
-32,43%
-8,47%
-5,97%
-19,72%
8,46%
-46,97%
-42,59%
-100,00%
0,00%
0,00%
-10,35%
Tabella 1.13: Distribuzione regionale delle imprese distributive all’ingrosso
despecializzato di abbigliamento e calzature (codice 51.42.5)
Regioni
LOMBARDIA
LAZIO
CAMPANIA
VENETO
PIEMONTE
EMILIA ROMAGNA
TOSCANA
PUGLIA
SICILIA
LIGURIA
CALABRIA
ABRUZZO
MARCHE
FRIULI VENEZIA GIULIA
SARDEGNA
UMBRIA
TRENTINO ALTO ADIGE
BASILICATA
MOLISE
VALLE D’AOSTA
TOTALE
Numero di Imprese
1996
2001
42
23
37
23
13
22
18
15
9
6
4
2
11
9
12
5
1
2
0
0
254
56
31
52
22
13
31
31
16
11
4
6
4
17
5
21
8
0
0
0
0
328
Var. %
2001-1996
33,33%
34,78%
40,54%
-4,35%
0,00%
40,91%
72,22%
6,67%
22,22%
-33,33%
50,00%
100,00%
54,55%
-44,44%
75,00%
60,00%
-100,00%
-100,00%
0,00%
0,00%
29,13%
Numero di Addetti
1996
2001
248
63
51
94
33
208
38
40
18
50
7
3
42
30
27
9
1
2
0
0
964
159
65
63
47
25
74
55
32
28
12
42
5
47
16
75
11
0
0
0
0
756
Var. %
2001-1996
-35,89%
3,17%
23,53%
-50,00%
-24,24%
-64,42%
44,74%
-20,00%
55,56%
-76,00%
500,00%
66,67%
11,90%
-46,67%
177,78%
22,22%
-100,00%
-100,00%
0,00%
0,00%
-21,58%
Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001
Tabella 1.14 - Distribuzione regionale delle imprese distributive all’ingrosso di pelletterie,
marocchinerie e articoli da viaggio (codice 51.47.8)
Regioni
LOMBARDIA
LAZIO
CAMPANIA
VENETO
PIEMONTE
EMILIA ROMAGNA
TOSCANA
PUGLIA
SICILIA
LIGURIA
CALABRIA
ABRUZZO
MARCHE
FRIULI VENEZIA GIULIA
SARDEGNA
UMBRIA
TRENTINO ALTO ADIGE
BASILICATA
MOLISE
VALLE D’AOSTA
TOTALE
Numero di Imprese
1996
2001
182
58
94
63
53
79
78
30
50
14
13
34
33
13
3
8
19
0
0
1
825
176
60
140
27
45
67
52
32
52
13
13
39
34
11
7
8
n.d.
0
0
0
776
Var. %
2001-1996
-3,30%
3,45%
48,94%
-57,14%
-15,09%
-15,19%
-33,33%
6,67%
4,00%
-7,14%
0,00%
14,71%
3,03%
-15,38%
133,33%
0,00%
n.d.
0,00%
0,00%
-100,00%
-5,94%
Numero di Addetti
1996
2001
602
231
202
291
139
279
288
63
131
25
21
86
90
34
8
15
74
0
0
1
2580
Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001
53
483
136
296
71
93
328
98
49
98
30
21
106
84
20
14
27
n.d.
0
0
0
1954
Var. %
2001-1996
-19,77%
-41,13%
46,53%
-75,60%
-33,09%
17,56%
-65,97%
-22,22%
-25,19%
20,00%
0,00%
23,26%
-6,67%
-41,18%
75,00%
80,00%
n.d.
0,00%
0,00%
-100,00%
-24,26%
Tabella 1.15 - La distribuzione regionale delle imprese distributive all’ingrosso di camicie
e biancheria, maglieria e simili in Lombardia e nelle altre regioni (codice51.42.3)
Regioni
LOMBARDIA
LAZIO
CAMPANIA
VENETO
PIEMONTE
EMILIA ROMAGNA
TOSCANA
PUGLIA
SICILIA
LIGURIA
CALABRIA
ABRUZZO
MARCHE
FRIULI VENEZIA GIULIA
SARDEGNA
UMBRIA
TRENTINO ALTO ADIGE
BASILICATA
MOLISE
VALLE D’AOSTA
TOTALE
Numero di Imprese
1996
2001
Var. % 2001-1996
275
260
-5,45%
85
71
-16,47%
248
240
-3,23%
80
95
18,75%
112
94
-16,07%
98
88
-10,20%
98
90
-8,16%
183
60
-67,21%
64
178
178,13%
28
18
-35,71%
24
27
12,50%
40
36
-10,00%
41
40
-2,44%
18
16
-11,11%
7
12
71,43%
13
14
7,69%
15
16
6,6%
5
n.d.
n.d.
3
n.d.
n.d.
0
0
0,00%
1437
1355
-5,71%
Numero di Addetti
1996
2001
Var. % 2001-1996
1220
978
-19,84%
322
150
-53,42%
782
671
-14,19%
551
436
-20,87%
530
248
-53,21%
474
400
-15,61%
475
393
-17,26%
549
207
-62,30%
194
451
132,47%
122
57
-53,28%
62
45
-27,42%
139
112
-19,42%
159
140
-11,95%
74
77
4,05%
19
24
26,32%
74
48
-35,14%
89
55
-38,20%
6
n.d.
n.d.
4
n.d.
n.d.
0
0
0,00%
5845
4492
-23,15%
Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001
I dati disponibili per singolo comparto evidenziano una controtendenza al
ridimensionamento della numerica delle imprese e degli addetti nel sub-settore
dell’ingrosso di camicie, biancheria, maglieria e simili e l’ingrosso di pelletteria,
marocchineria e articoli da viaggio. In Lombardia il trend negativo è in linea con la
tendenza manifestatasi a livello nazionale (tab. 1.14).
Gli occupati nel settore della distribuzione al dettaglio in qualità di lavoratori
autonomi negli anni tra i due censimenti disponibili (1991-2001) hanno subito una
contrazione del 29%.
Tabella 1.16 - Numero delle imprese e degli addetti – Commercio all’ingrosso di calzature ed
accessori (1991-2001)
LOMBARDIA
PIEMONTE
VALLE D’AOSTA
TRENTINO – ALTO ADIGE
VENETO
FRIULI – VENEZIA GIULIA
LIGURIA
EMILIA ROMAGNA
TOSCANA
UMBRIA
MARCHE
LAZIO
ABRUZZO
MOLISE
CAMPANIA
PUGLIA
BASILICATA
CALABRIA
SICILIA
SARDEGNA
TOTALE ITALIA
Imprese 1991
215
80
0
12
190
26
33
127
147
12
216
54
17
2
197
94
0
18
76
18
1.534
Imprese 2001
190
62
0
13
190
14
17
98
197
12
275
70
21
3
425
172
1
17
87
15
1.879
Variazione Numerica % 1991/2001
-11,63
-22,50
+ 8,33
0,00
-46,15
-48,48
-22,83
+ 34,01
0,00
+ 27,31
+ 29,63
+ 23,53
+ 50,00
+ 115,74
+ 82,98
-5,56
+ 14,47
-16,67
22,49
Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)
54
In Lombardia, come nelle altre regioni del nord del Paese, si registra una
riduzione significativa del numero delle imprese all’ingrosso di calzature. Il
numero delle imprese e degli addetti del settore del Commercio all’ingrosso di
calzature ed accessori si riduce in quasi tutte le regioni del Nord Italia (fatta
eccezione per il Trentino - Alto Adige e il Veneto che rimane stabile), mentre
aumenta nelle regioni meridionali e centrali del Paese, ad eccezione della
Calabria.
Tabella 1.17 - Commercio all’ingrosso di calzature ed accessori. Distribuzione regionale
delle unità locali e addetti (1991-2001)
LOMBARDIA
PIEMONTE
VALLE D’AOSTA
TRENTINO – ALTO
ADIGE
VENETO
FRIULI – VENEZIA
GIULIA
LIGURIA
EMILIA ROMAGNA
TOSCANA
UMBRIA
MARCHE
LAZIO
ABRUZZO
MOLISE
CAMPANIA
PUGLIA
BASILICATA
CALABRIA
SICILIA
SARDEGNA
TOTALE ITALIA
Unità
locali
1991
Unità
locali
2001
Variazione
numerica
1991/2001
Numero
addetti
1991
Numero
addetti
2001
Variazione
addetti
1991/2001
250
87
0
16
214
70
0
19
-14,40
-19,54
18,75
1334
386
0
85
829
381
0
113
-37,86
-1,30
32,94
Numero
medio
addetti per
unità
3,9
5,4
5,9
217
32
202
17
-6,91
-46,88
969
99
834
52
-13,93
-47,47
4,1
3,1
39
135
167
15
235
59
28
2
215
112
0
20
88
20
1737
22
109
217
12
297
75
31
3
471
184
1
21
97
19
2081
-43,59
-19,26
29,94
-20,00
26,38
27,12
10,71
50,00
119,07
64,29
5,00
10,23
-5,00
19,80
184
553
633
56
824
260
47
3
637
366
0
60
233
145
6874
63
333
726
29
813
245
46
3
980
467
3
55
278
146
6396
-65,76
-39,78
14,69
-48,21
-1,33
-5,77
-2,13
0,00
53,85
27,60
-8,33
19,31
0,69
-6,95
2,9
3,1
3,3
2,4
2,7
3,3
1,5
1,0
2,1
2,5
3,0
2,6
2,9
7,7
3,1
Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)
Di seguito (tabelle 1.18 e 1.19), si sono voluti integrare i dati tratti dall’ultimo
censimento Istat con dati Asia aggiornati al 2003.
55
Tabella 1.18 - Commercio all’ingrosso di calzature ed accessori: imprese e addetti per
regione, 2003
Unità locali
2001
214
70
0
19
202
17
22
109
217
12
297
75
31
3
471
184
1
21
97
19
2081
LOMBARDIA
PIEMONTE
VALLE D’AOSTA
TRENTINO – ALTO ADIGE
VENETO
FRIULI – VENEZIA GIULIA
LIGURIA
EMILIA ROMAGNA
TOSCANA
UMBRIA
MARCHE
LAZIO
ABRUZZO
MOLISE
CAMPANIA
PUGLIA
BASILICATA
CALABRIA
SICILIA
SARDEGNA
TOTALE ITALIA
Imprese
2003
218
68
15
205
18
19
107
203
14
281
101
23
4
570
187
n.d.
18
79
18
2.150
Numero addetti
2001
829
381
0
113
834
52
63
333
726
29
813
245
46
3
980
467
3
55
278
146
6396
Addetti
2003
871
336
86
904
68
76
377
687
37
845
274
45
5
1.132
494
n.d.
55
249
119
6.662
Fonte: Asia – ISTAT
Per individuare la dimensione dell’impresa tipo si ricorre alle informazioni
inerenti il numero di addetti:
Tabella 1.19 - Imprese e addetti per classe di addetti nel 2003
1 - 19
Ateco
20 - 99
100 e oltre
Totale
Imprese
Addetti
Imprese
Addetti
Imprese
Addetti
Imprese
Addetti
2.114
5.335
35
1.180
n.d.
n.d.
2.150
6.662
2002
51424
Fonte: Asia – ISTAT
Infine, il confronto con gli altri Paesi europei, evidenzia l’arretratezza dell’Italia
(tab. 1.20):
Tabella 1.20 - L’ingrosso di abbigliamento e calzature in Europa
Germania
Spagna
Francia
Italia
Regno Unito
(02)
(02)
(00)
(02)
(00)
Imprese per 10.000 abitanti
0,2
1,5
1,3
2,0
1,0
Addetti per 1.000 abitanti
0,3
0,8
0,5
0,7
0,7
Numero di persone occupate per impresa
13,6
5
4,0
3,4
-
Quota di dipendenti sul totale degli
93,5
88,2
98,8
62,9
89,6
57,8
41,2
46,8
38,0
68,3
occupati (%)
Valore aggiunto lordo per persona
impiegata (.000 euro)
Fonte: elaborazioni IPI su dati Eurostat
56
La natura delle imprese è essenzialmente familiare: un terzo degli addetti sono
infatti occupati indipendenti. Regno Unito e Germania registrano invece le
migliori performance in termini di produttività, con valori molto distanti da quelli
italiani.
L’ingrosso di calzature presenta una netta prevalenza di piccole imprese (tab.
1.19). In Lombardia la struttura del settore è stazionaria. Dal 2001 al 2003 si
osserva ovunque, tranne in Lombardia e Campania, una ulteriore frammentazione
del settore, con un aumento delle imprese ed una riduzione del numero di addetti.
Lo spostamento della produzione dall’Italia ai Paesi asiatici assegna sempre
maggiore importanza alla vicinanza del grossista ai centri di smistamento delle
merci importate; mentre perde rilievo la vicinanza del grossista al distretto di
produzione.
I fattori di crisi dell’ingrosso d’abbigliamento e di calzature in Lombardia. In
Lombardia, come nel resto del Nord Italia, l’ingrosso di prodotti d’abbigliamento
e di calzature si afferma nel dopoguerra nei comparti a minore valore aggiunto,
caratterizzati da un basso rapporto prezzo/qualità. I prodotti di posizionamento
elevato, a maggiore valore aggiunto, sono distribuiti direttamente dai produttori,
in genere tramite agenti-rappresentanti. Il canale lungo si espande dal dopoguerra
fino agli anni Settanta. In quel periodo i servizi offerti dai grossisti nei canali di
distribuzione erano funzionali alla dimensione media ridotta dei produttori ed alla
prevalente polverizzazione del sistema distributivo italiano.
A partire dal 1980 circa la figura del grossista tradizionale d’abbigliamento e
calzature entra in crisi a causa di diversi fattori concomitanti.
-
-
-
-
Lo sviluppo della grande distribuzione despecializzata (Ipermercati) e
specializzata (Grandi Superfici) che esercitano una sempre maggiore
concorrenza nei confronti della clientela tipica dell’ingrosso: il dettaglio
tradizionale indipendente pluri-marca.
L’accelerazione del ritmo di cambiamento delle mode e degli stili di vita,
che determinano sempre maggiori variazioni e fluttuazioni dei consumi,
con conseguenti maggiori problemi di rimanenze, perché è sempre più
difficile prevedere la domanda. Ciò finisce con avvantaggiare le imprese
inserite in filiere distributive brevi, in cui i dati e le informazioni si
scambiano più velocemente.
La tendenza da parte dei produttori leader ad integrarsi a valle, per
affermare e sostenere l’immagine di marca, mediante l’apertura di punti
vendita diretti di proprietà e/o in franchising.
La crisi dei consumi di abbigliamento e calzature, che riflette una più
generale crisi della domanda interna nel nostro Paese.
La contrazione della quota di mercato del canale lungo e dei grossisti è meno che
proporzionale alla riduzione della quota di mercato del dettaglio tradizionale.
Tuttavia, in Italia nel 2005 i piccoli negozi tradizionali indipendenti hanno ancora
una quota di mercato pari al 50% circa dei consumi commercializzati di calzature.
57
I principali segmenti di clientela dei grossisti tradizionali d’abbigliamento e di
calzature sono i negozi al dettaglio marginali e i punti vendita non in sede fissa
(gli ambulanti). I distributori al dettaglio con le migliori performance, perché
ubicati nelle vie commerciali con elevato flusso di traffico, sono serviti
direttamente da agenti dei produttori di marca. I migliori dettaglianti pluri-marca
presenti sul mercato acquistano dal grossista solo articoli marginali a bassa
rotazione (con maggiori costi di gestione del magazzino anche per il grossista
stesso).
Attualmente solo i punti vendita d’abbigliamento di dimensioni contenute,
ubicati in vie caratterizzate da scarso flusso pedonale, si rivolgono ai grossisti
perché i produttori di marca non li servono.
Le tendenze in atto portano ad una riduzione graduale del ruolo del grossista
anche per i seguenti motivi:
-
-
-
lo sviluppo di catene di negozi o di grandi superfici specializzate che si
rivolgono direttamente ai produttori o importano direttamente
dall’estero;
la maggior parte dei produttori italiani d’abbigliamento sono ormai
dotati di organizzazioni di vendita (agenti di commercio) e di strutture
logistiche, che consentono di servire direttamente i punti vendita al
dettaglio;
le aziende di produzione di “marca” puntano ad un controllo sempre
maggiore della distribuzione, anche per evitare il rischio di trovare i
loro prodotti in punti vendita della Grande Distribuzione scarsamente
qualificati che potrebbero penalizzare l’immagine di marca.
Nei settori in esame nel corso degli ultimi anni si è intensificato il fenomeno
dell’integrazione a valle da parte dei produttori industriali leader. Parallelamente al
tentativo di affermare l’immagine di marca, nel settore dell’abbigliamento e delle
calzature, i produttori hanno orientato le loro politiche distributive al servizio al
trade. È in atto una tendenza a “by-passare” la distribuzione all’ingrosso. La
tendenza ad integrarsi a valle si spinge fino all’apertura di punti vendita diretti
monomarca di proprietà e/o in franchising.
Nel settore dell’abbigliamento e delle calzature le modalità d’integrazione a
valle nei canali di distribuzione sono tre:
1. punti vendita monomarca di proprietà (in particolare di produttori delle
fasce più elevate del mercato);
2. punti vendita in franchising, forma di semi-integrazione, altrettanto
efficace, ma meno costosa e rigida rispetto alla soluzione precedente;
3. corner in punti vendita di grande superficie.
I produttori dei settori in esame, che scavalcano i distributori all’ingrosso e servono
direttamente i punti vendita al dettaglio, si avvalgono in genere di agenti plurimandatari (e solo in pochi casi di venditori diretti). Inoltre, a partire dal 1990 circa
inizia a diffondersi la convinzione che la distribuzione al dettaglio mediante punti
58
vendita pluri-marca sia inadeguata a sostenere una forte immagine di marca nei
settori della moda e del lusso. Ciò determina ingenti investimenti nei punti di
vendita monomarca, che vengono utilizzati anche dal punto di vista comunicativo.
Un altro fattore di crisi della distribuzione all’ingrosso d’abbigliamento e
calzature è da ricercare nella crescita della Grande distribuzione despecializzata e
alle Grandi superfici specializzate in abbigliamento e calzature e negli articoli
sportivi (per esempio Decathlon, Cisalfa,...). In particolare, nelle fasce di prezzo
più basse del mercato, la competizione dovuta alla concorrenza esercitata al
dettaglio tradizionale dalla Grande Distribuzione Organizzata è sempre più intensa.
Lo sviluppo della Grande Distribuzione attiva, anche in questi settori, due fattori
di crisi dell’ingrosso: da un lato, attraverso le sue centrali d’acquisto, si integra a
monte, e compra direttamente dai produttori; dall’altro, parallelamente, esercita una
forte concorrenza nei confronti del dettaglio tradizionale, che rappresenta il
segmento di clientela più importante per l’ingrosso.
Un ulteriore fattore di crisi dell’ingrosso è da ricercare nelle difficoltà del
dettaglio tradizionale (la tipica clientela primaria dei grossisti d’abbigliamento e di
calzature), dovute alla crescita dei punti vendita di grandi dimensioni.
L’aumento delle importazioni dalla Cina può rappresentare un’opportunità per
i grossisti.
In definitiva l’ingrosso nei canali di distribuzione in esame è stato penalizzato
dall’integrazione verticale dell’industria di marca e dallo sviluppo delle Imprese
della Grande Distribuzione.
I modelli di business dell’ingrosso di abbigliamento e calzature. Prima di iniziare
l’analisi dei modelli di business, è importante chiarire che la maggior parte dei
grossisti del settore dell’abbigliamento e delle calzature adotta
contemporaneamente più modelli di business. In altri termini, contrariamente a
quanto si riscontra in altri settori, i grossisti di beni di consumo non alimentari
non adottano una strategia competitiva focalizzata su uno solo dei modelli di
business, ma impiegano un mix di soluzioni competitive che si affiancano
all’attività precedente, tradizionale. Naturalmente, i casi di successo si
caratterizzano per la presenza di risorse e competenze distintive coerenti con i
modelli di business adottati.
I principali modelli di business presenti nella distribuzione all’ingrosso
d’abbigliamento e di calzature sono i seguenti:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
grossista tradizionale con vendita al banco;
grossista di “pronto moda” (prontista);
grossista integrato a valle mediante l’apertura di punti vendita di proprietà;
grossista esportatore;
grossista integrato a monte con marchi propri;
grossista specializzato per categoria di prodotto;
grossista merchandiser;
grossista stocchista puro;
grossista cinese.
59
Grossista tradizionale con vendita al banco. Il primo modello di business è quello
maggiormente in crisi. Il comparto del grossista d’abbigliamento e di calzature
tradizionale con vendita al banco ha perso e continua a perdere quote di mercato.
Le cause delle difficoltà sono già state chiarite precedentemente e sono strutturali.
L’integrazione a valle dell’industria di marca, l’aumento dei negozi monomarca e
in franchising di proprietà dei produttori e l’aumento delle quote di mercato delle
imprese della Grande Distribuzione pongono ulteriormente in crisi la clientela
tipica dell’ingrosso costituita dal dettaglio tradizionale.
Alcuni intervistati sostengono che la tradizionale vendita al banco sia oggi pari
al 20% del mercato canalizzato dai grossisti.
Grossista di “pronto moda” (prontista). Una strategia seguita dal commercio
all’ingrosso d’abbigliamento e di calzature è stata quella di puntare sul “Pronto
moda”. Le logiche di fondo di questo modello di business si basano sulla
compressione dei tempi che il prodotto impiega per attraversare l’intera filiera del
sistema moda. Le possibilità di ridurre i tempi di riassortimento sono minori nel
settore delle calzature rispetto all’abbigliamento (a causa di fattori di rigidità
presenti nel sistema produttivo e d’approvvigionamento).
I grossisti di “pronto moda” più evoluti all’inizio di ogni stagione propongono
ai punti vendita d‘abbigliamento o di calzature indipendenti una propria linea, di
solito commercializzata con un proprio marchio, caratterizzata da un vantaggioso
rapporto prezzo-qualità, rispetto ai prodotti di marca leader. Successivamente,
riassortiscono gli articoli più venduti in tempi rapidi. I punti vendita al dettaglio
sono in genere disposti a pagare un prezzo superiore a quello medio del mercato,
pur di avere il prodotto di tendenza, che è esaurito. La velocità del servizio di
riassortimento, in particolare dei prodotti di moda più venduti, diventa un fattore
di successo rilevante dell’ingrosso. L’adozione di tale modello di business
richiede soluzioni organizzative e partnership con altre imprese della filiera.
Grossista integrato a valle mediante l’apertura di punti vendita di proprietà. La
strategia d’integrazione a valle con l’apertura di punti vendita di proprietà è una
delle tendenze più significative e importanti. In molti casi il grossista acquisisce
negozi al dettaglio di clienti in crisi. In Lombardia sono numerosi i casi di
grossisti che hanno seguito la strategia di integrazione a valle. Alcuni intervistati
sostengono che questo modello di business è quello con le migliori prospettive di
crescita nei prossimi anni.
Grossista esportatore. Un numero più limitato di grossisti, rispetto al modello di
business precedente, svolge un’attività d’esportazione. La figura del grossista
esportatore è concentrata solo in alcune aree: per esempio a Milano, alcuni
intermediari del settore, sfruttando la vicinanza all’aeroporto di Malpensa, si sono
concentrati su questa attività. Gli operatori commerciali esteri che arrivano allo
scalo di Malpensa per acquistare da grossisti vengono servirti molto rapidamente.
Grossista integrato a monte con marchi propri. Gli intermediari all’ingrosso
d’abbigliamento e di calzature con capacità di marketing hanno tentato di seguire,
60
per certi versi, un percorso di sviluppo strategico analogo a quello seguito da
alcuni produttori italiani del settore; hanno quindi tentato di creare e affermare
linee di prodotti con marchi propri.
Nell’ambito di questo modello di business si possono riscontrare due diverse
strategie di sviluppo:
1.
2.
grossista con marchi propri focalizzato sul mercato italiano;
grossista con marchi propri specializzato nell’esportazione.
Il grossista di marca attivo sul mercato interno non opera più a livello locale,
come il grossista tradizionale, svolge funzioni ed attività più vicine a quelle del
produttore di marca che a quelle del distributore. Crea una propria linea, seleziona
alcuni produttori terzisti, in grado di produrre con marchio del distributore, espone
i propri prodotti alle fiere con un proprio stand e vende su quasi tutto il territorio
nazionale, mediante agenti. In altri casi, segnalati dagli intervistati, la creazione di
un marchio rappresenta una sorta di diversificazione che comporta la creazione di
un’unità organizzativa autonoma con altri soci e la capacità di sviluppare un
marchio.
Il secondo modello di business si caratterizza per la creazione di un proprio
marchio e la focalizzazione sull’attività d’esportazione. In questo caso, il grossista
agisce di fatto come un produttore che si rivolge prevalentemente al mercato
estero. Di solito gli operatori si specializzano sin dall’inizio sull’attività
d’esportazione e ciò non comporta cambiamenti delle strategie distributive nel
mercato interno.
Grossista specializzato per categoria di prodotto. Un certo numero di grossisti ha
perseguito una specializzazione merceologica: questa strategia viene riconosciuta
positivamente dai distributori al dettaglio.
Alcuni grossisti svolgono prevalentemente l’attività di importazione parallela
di articoli di grande marca. In genere si tratta di agenti che, sfruttando la
conoscenza del mercato e le relazioni di fiducia con i dettaglianti, decidono di
diventare distributori nel mercato parallelo e costituiscono una propria rete di
agenti e/o sub-agenti. In genere, in una prima fase, tentano di vendere gli articoli
in campionari ai dettaglianti e poi, in una fase successiva, acquistano nei mercati
internazionali. Si deve considerare in proposito come, nonostante le iniziative dei
produttori leader per ridurre il fenomeno, il mercato parallelo continui ad essere in
espansione. Internet, inoltre, sta facilitando lo sviluppo di questo mercato.
Grossista merchandiser. Alcuni grossisti si sono specializzati nei servizi
commerciali per la Grande Distribuzione. Offrono, in altri termini, un nuovo mix
di servizi coerenti con le esigenze dei punti vendita di grande superficie a libero
servizio.
61
I grossisti specializzati nel vendere alle imprese della Grande Distribuzione
sono focalizzati su articoli di basso prezzo7. Offrono servizi di merchandising che
vanno dal confezionamento blisterato dei prodotti, per poter essere esposti negli
scaffali a libero servizio, al servizio di caricamento degli scaffali, ai controlli per
evitare fuori scorta e quindi la mancanza del prodotto nei punti vendita al
dettaglio a libero servizio. In altri termini, questa tipologia di imprese
commerciali ha trasformato la minaccia dello sviluppo della GDO in
un’opportunità, concentrandosi su servizi che consentono alle catene di
supermercati ed ipermercati di focalizzarsi sul loro core business e di delegare ad
operatori specializzati la gestione del reparto calzature.
Grossista stocchista puro. La tendenza alla de-localizzazione produttiva nei Paesi
dell’Est europeo o nei Paesi asiatici, come Cina e Vietnam, ha ridotto i costi, ma
contemporaneamente ha irrigidito le modalità produttive. La produzione è oggi
quindi vincolata a quantitativi minimi e/o a lotti economici, che offrono
l’opportunità d’acquisto di stock di prodotti (dovuti alla maggiore rigidità e ai
quantitativi minimi più elevati imposti dalle nuove regole della competizione
internazionale).
Il grossista stocchista si rivolge prevalentemente al canale degli ambulanti che,
pur se marginale, detiene una quota di mercato che è stata in parte rivitalizzata
dalla crisi dei consumi e dalla più forte concorrenza di prezzo presente nel nostro
Paese.
Grossista cinese. Opera nella fascia più bassa del mercato e serve
prevalentemente con prodotti d’importazione punti vendita ambulanti, vende
anche al cliente finale in punti vendita che svolgono, in modo abusivo, attività di
vendita al dettaglio.
Un caso che merita approfondimento è quello rappresentato dall’area di Via
Paolo Sarpi a Milano, che appare essere in continua espansione. I grossistidettaglianti cinesi hanno negli ultimi dieci anni sostituito di fatto i dettaglianti di
una delle vie dello shopping con maggiore tradizione nella città.
Gli scenari di sviluppo futuro. Un numero sempre maggiore di grossisti di
abbigliamento e di calzature si sono orientati a prodotti di “pronto moda”. In altri
termini, questi grossisti fanno produrre prodotti di tendenza e riescono a
riassortire i punti vendita in tempi molto più rapidi rispetto alla fornitura diretta da
parte dei produttori leader. I produttori di marca, spesso anche a causa delle
dimensioni raggiunte, sono più rigidi dei grossisti. Il grossista specializzato nel
“pronto moda” è invece flessibile e riesce a far produrre in poche settimane
articoli di tendenza caratterizzati da un’elevata componente moda.
Una parte della distribuzione all’ingrosso d’abbigliamento e di calzature non si
limita ad offrire i servizi commerciali tradizionali, ma impiega anche una propria
rete di agenti di vendita, e riesce a spingere i propri prodotti presso i punti vendita,
7
È il caso dell’impresa Gabbiano di Mantova, la quale, per far arrivare le proprie duemila
referenze nei 6.500 punti vendita della GDO ricorre a: un magazzino robotizzato “a gravità”, 12
capidistretto, 80 agenti monomandatari e 100 merchandiser.
62
a differenza del passato, quando era il dettagliante che ricercava il prodotto presso
il grossista.
La liberalizzazione degli scambi internazionali sta aprendo spazi sempre
maggiori a nuovi competitor globali i quali, partendo da indiscussi vantaggi
competitivi di costo, stanno migliorando la qualità dell’offerta.
Le nuove esigenze di controllo del mercato e l’affermazione dell’immagine di
marca hanno indotto un numero sempre più ampio di produttori del settore ad
integrarsi a valle con la distribuzione, aprendo negozi monomarca e/o in
franchising. E questa strategia di integrazione a valle è seguita anche per
internazionalizzarsi.
In Italia, tuttavia, i negozi tradizionali d’abbigliamento e calzature detengono
ancora una quota del mercato del 50% circa, ma in contrazione.
Negli ultimi anni si è assistito ad una continua crescita delle importazioni
d’abbigliamento e di calzature. Ciò determina cambiamenti nei canali di
approvvigionamento del mercato domestico e, quindi, un impatto sui canali
distributivi, sui grossisti e sugli intermediari.
Alcuni cambiamenti investono direttamente i grossisti. I distributori
all’ingrosso si trovavano, di solito, in prossimità di un distretto di produzione, da
cui effettuavano l’approvvigionamento. Con lo spostamento della produzione
all’estero, ed in particolare nel Sud-Est asiatico, il produttore italiano viene
sostituito, nella filiera, dall’importatore italiano. Quest’ultimo opera acquistando
all’estero, presso gli esportatori, enormi quantitativi di merci. Quando, per
esempio, le calzature sono sdoganate in Italia, vengono stoccate nei magazzini
dell’importatore, ed i grossisti acquistano le merci direttamente da lui. Con questi
cambiamenti, i grossisti che si trovano in prossimità geografica dei centri di
sdoganamento o dei magazzini dell’importatore, si ritrovano avvantaggiati
rispetto ai grossisti che sono in prossimità dei distretti produttivi.
Inoltre, lo spostamento della produzione in Cina e nell’Estremo Oriente
aumenta l’importanza dell’intermediario importatore.
Il primo è l’importatore che acquista all’estero e rivende ai piccoli grossisti o
direttamente ai dettaglianti (figura 1.4), andando quindi a occupare il ruolo che
aveva il grande grossista quando la produzione avveniva in Italia. Il piccolo
grossista distribuisce le merci agli ambulanti, mentre i dettaglianti si riforniscono
direttamente dall’importatore.
Figura 1.4 - Primo modello
Produttori
esteri
Piccolo
grossista
Importatore
Dettagliante
63
Piccoli
dettaglianti e
ambulanti
La seconda tipologia di filiera distributiva vede protagonista il piccolo grossista
tradizionale. Questi acquista dai produttori italiani prodotti di qualità ma senza
marchio e distribuisce presso i piccoli dettaglianti autonomi (figura 1.5).
Figura 1.5 - Secondo modello
Produttori
italiano non
di marca
Grossista
Dettagliante
L’ultimo tipo di canale distributivo vede a monte il produttore italiano di marca
che seleziona i dettaglianti che possono esporre il suo marchio e vende
direttamente a loro (figura 1.6).
Figura 1.6 - Terzo modello
Produttori
italiani di
marca
Dettaglianti
scelti
Il distributore all’ingrosso per un lungo periodo è stato funzionale allo sviluppo di
distretti industriali specializzati perché, con la sua vicinanza, erogava il servizio di
distribuzione della produzione alle imprese manifatturiere del distretto.
La clientela tipica dei Grossisti d’abbigliamento e di calzature è formata dai
piccoli negozi tradizionali che operano nelle periferie cittadine e nei centri urbani
minori. Queste ultime forme di distribuzione al dettaglio sono state
progressivamente marginalizzate dallo sviluppo della Grande Distribuzione despecializzata (Ipermercati e Supermercati) e dalle GSS (le Grandi superfici
specializzate, in alcuni casi Category Killer. Queste formule sono da tempo
consolidate in Lombardia.
Un numero limitato di grossisti d’abbigliamento e di calzature ha tentato di
perseguire una via di sviluppo associativo. I tentativi in questa direzione, dopo
una prima fase di sviluppo, sono quasi tutti falliti a causa delle caratteristiche del
prodotto. La componente moda del prodotto rende infatti estremamente instabili le
fonti di approvvigionamento e altrettanto difficile gestire in forma associativa il
rischio di mercato. Nel prodotto di moda, il potere contrattuale è saldamente nelle
mani del fornitore e non può essere limitato dallo sviluppo dell’associazionismo.
Peraltro, l’associazionismo non è in grado di contribuire a migliorare l’efficacia
nella formazione dell’assortimento di prodotti estremamente deperibili.
Le forme associative nei settori dell’abbigliamento e delle calzature non sono
riuscite a consolidarsi.
64
L’ingrosso in questi settori deve crescere dal punto di vista manageriale,
organizzativo e tecnologico-informatico. Le aree d’attenzione devono fare
riferimento all’innalzamento della quantità e della qualità dei servizi offerti alla
distribuzione al dettaglio e ai produttori. L’ingrosso deve migliorare la qualità
dell’informazione che solo in forme associate od organizzate potrebbe cedere ai
produttori.
Nei sistemi dove l’ingrosso ha superato la crisi, la sua funzione si è
profondamente trasformata estendendo l’offerta di servizi.
I grossisti di successo hanno commessi venditori che si recano dai clienti
dettaglianti settimanalmente, offrono servizi informativi di prevendita, presentano
nuovi articoli, effettuano consegne immediate e riassortiscono in tempi brevi.
Inoltre, organizzano la programmazione degli ordini da parte dei clienti
dettaglianti, in modo da razionalizzare le consegne. I venditori dei grossisti, che si
recano presso i punti vendita al dettaglio, sono in grado di valutare le esigenze di
riassortimento dei dettaglianti. I servizi appena indicati sono considerati dagli
intervistati importanti fattori di successo della distribuzione all’ingrosso di
abbigliamento e calzature.
Tabella 1.21 – Commercio all’ingrosso abbigliamento e calzature per classi di
addetti: imprese
CLASSE ADDETTI
1-2
3-9
10-19
20-49
50-99
100+
Tot. complessivo
1991 N.
IMPRESE
quote %
46,3
43,3
7,0
3,0
0,4
0,1
100,0
2001 N.
IMPRESE
quote %
66,1
26,0
4,9
2,2
0,6
0,2
100,0
1991 N.
IMPRESE
2001 N.
IMPRESE
VARIAZ. %
890
832
134
58
7
1
1,922
1.255
494
94
41
12
4
1,900
41,0 %
-40,6 %
-29,9 %
-29,3 %
71,4 %
300,0 %
-1,1 %
Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT
Tabella 1.22 – Commercio all’ingrosso abbigliamento e calzature per classi di
addetti: addetti
CLASSE ADDETTI
1-2
3-9
10-19
20-49
50-99
100+
Tot. complessivo
1991 ADDETTI
ALLE
IMPRESE
quote %
14,0
43,0
18,7
18,0
5,2
1,1
100,0
2001 ADDETTI
ALLE
IMPRESE
quote %
20,8
28,4
15,8
16,0
9,7
9,3
100,0
1991
ADDETTI
ALLE
IMPRESE
1.307
4.015
1.750
1.682
482
105
9.341
Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT
65
2001
ADDETTI
ALLE
IMPRESE
1.636
2.234
1.241
1.255
765
732
7.863
VARIAZ. %
25,2 %
-44,4 %
-29,1 %
-25,4 %
58,7 %
597,1 %
-15,8 %
Tabella 1.23 – Commercio all’ingrosso abbigliamento e calzature per province: imprese
PROVINCE
LOMBARDE
VARESE
COMO
SONDRIO
MILANO
BERGAMO
BRESCIA
PAVIA
CREMONA
MANTOVA
LECCO
LODI
TOT.
LOMBARDIA
2001
LOMBARDIA
QUOTA N.
RESIDENTI
9,0
6,0
2,0
41,0
10,8
12,3
5,5
3,7
4,2
3,4
2,2
100,0
2001
LOMBARDIA
QUOTA N.
IMPRESE
8,3
5,7
1,7
44,5
10,4
12,4
5,0
3,2
4,1
3,1
1,8
100,0
1991 N.
IMPRESE
quote %
2001 N.
IMPRESE
quote %
1991 N.
IMPRESE
2001 N.
IMPRESE
VARIAZ.
VARIAZ. %
7,9 %
4,9 %
0,4 %
46,8 %
9,3%
14,9%
5,0%
1,7%
3,7%
3,3%
1,9%
100,0
6,8%
5,3%
0,4%
50,4%
9,9%
13,8%
4,5%
1,4%
4,7%
2,3%
0,5%
100,0
152
95
8
900
179
287
96
33
71
64
37
1,922
129
101
7
957
188
263
85
27
90
44
9
1,900
23
6
-1
57
9
-24
-11
-6
19
-20
-28
-22
-15,1%
6,3%
-12,5%
6,3%
5,0%
-8,4%
-11,5%
-18,2%
26,8%
-31,3%
-75,7%
-1,1%
Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT
Tabella 1.24 – Commercio all’ingrosso abbigliamento e calzature per province: addetti
PROVINCE
LOMBARDE
VARESE
COMO
SONDRIO
MILANO
BERGAMO
BRESCIA
PAVIA
CREMONA
MANTOVA
LECCO
LODI
TOT. LOMBARDIA
2001
LOMBARDIA
QUOTA N.
RESIDENTI
2001
LOMBARDIA
QUOTA N.
ADDETTI
9,0
6,0
2,0
41,0
10,8
12,3
5,5
3,7
4,2
3,4
2,2
100,0
7,0
4,8
1,2
53,8
9,8
10,6
3,2
2,3
3,3
2,7
1,3
100,0
1991
ADDETTI
ALLE
IMPRESE
quote %
7.6%
5.8%
0.3%
47.8%
9.6%
14.4%
5.2%
1.3%
2.9%
3.8%
1.2%
100.0
2001
ADDETTI
ALLE
IMPRESE
quote %
6.2
6.3
0.2
54.3
9.4
12.0
4.8
0.9
3.1
2.2
0.6
100.0
1991
ADDETTI
ALLE
IMPRESE
2001
ADDETTI
ALLE
IMPRESE
VARIAZ.
VARIAZ. %
706
546
28
4.466
900
1.349
483
124
271
355
113
9.341
487
494
13
4.271
742
946
377
72
247
170
44
7.863
-219
-52
-15
-195
-158
-403
-106
-52
-24
-185
-69
-1,478
-31,0%
-9,5%
-53,6%
-4,4%
-17,6%
-29,9%
-21,9%
-41,9%
-8,9%
-52,1%
-61,1%
-15,8%
Fonte: elaborazione da Censimento ISTAT
66
1.5. L’ingrosso di mobili, casalinghi e articoli per la casa
in Lombardia
Caratteri strutturali e tendenze dell’ingrosso di mobili e articoli per la casa in
Lombardia. Questa sezione si concentra sull’ingrosso di mobili e articoli per la
casa in Lombardia, più in particolare i settori analizzati sono i seguenti: mobili,
articoli di ceramica, porcellana, vetro, cristallerie, coltelleria e posateria8. L’Italia
è il quinto mercato al mondo di mobili ed elementi di arredo.
Il 20% delle unità locali del Commercio all’ingrosso di mobili presenti in Italia
sono ubicate in Lombardia. Nella regione si registra un incremento del numero
delle unità locali nel periodo intercensuario pari al 45%, che è, tuttavia, inferiore
all’incremento complessivo registrato in Italia (+ 54,5%, tab. 5.1). Il numero
medio di addetti per unità locale dei grossisti di mobili è pari a 3, ed è indicativo
di una dimensione media contenuta, anche se in linea con la media nazionale (pari
a 2,9). Il rilevante aumento dimensionale dell’ingrosso di mobili trova una
spiegazione nell’aumento della quota di importazioni di mobili dai Paesi Asiatici,
ed in particolare dalla Cina9.
Tabella 1.25 – Il commercio all’ingrosso di mobili di qualsiasi materiale nelle regioni
LOMBARDIA
Piemonte
Valle d’Aosta
Trentino –
Alto Adige
Veneto
Friuli –
Venezia
Giulia
Liguria
Emilia Rom.
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale Italia
Unità
locali
1991
Unità
locali
2001
Il peso %
nelle
regioni
Var.
Num. %
1991/2001
Numero
addetti
1991
Numero
addetti
2001
Variazione
addetti
1991/2001
554
190
6
84
801
260
4
103
20,1%
6,5%
0,1%
2,6%
44,58%
36,84%
-33,33%
22,62%
2.558
733
39
466
2.423
616
7
596
-5,28
-15,96
-82,05
27,90
Numero
medio
addetti
per
unità
3,0
2,4
1,8
5,8
370
124
624
234
15,7%
5,9%
68,65%
88,71%
1.293
446
1.900
770
46,95
72,65
3,0
3,3
66
250
177
30
80
184
25
4
137
68
10
46
123
50
2.578
91
321
273
56
149
287
45
6
244
129
15
60
200
81
3.983
2,3%
8,1%
6,9%
1,4%
3,7%
7,2%
1,1%
0,2%
6,1%
3,2%
0,4%
1,5%
5,0%
2,0%
100
37,88%
28,40%
54,24%
86,67%
86,25%
55,98%
80,00%
50,00%
78,10%
89,71%
50,00%
30,43%
62,60%
62,00%
54,50%
193
971
573
127
191
817
53
15
478
259
27
121
378
193
9.931
231
922
971
158
344
847
94
44
521
396
18
150
494
200
11.702
19,69
-5,05
69,46
24,41
80,10
3,67
77,36
193,33
9,00
52,90
-33,33
23,97
30,69
3,63
17,83
2,5
2,9
3,6
2,8
2,3
3,0
2,1
7,3
2,1
3,1
1,2
2,5
2,5
2,5
2,9
Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)
8
Si farà riferimento al Commercio all’ingrosso di vetrerie e cristallerie (codice Istat: 51.44.1),
di ceramiche e porcellane (codice Istat: 51.44.2), di coltelleria, posateria e pentolame (codice Istat:
51.44.5) e carte da parati (codice Istat: 51.44.3).
9
I Grossisti importatori operano nell’ambito delle categorie dei mobili etnici, dei mobili da
giardino e da esterni e in parte anche degli imbottiti.
67
Al contrario del settore del mobile, il trend dell’ingrosso tradizionale di articoli
per la casa è negativo. Il commercio all’ingrosso di ceramiche e porcellane in
Lombardia è stato investito recentemente da una crisi. Le difficoltà sono
maggiori, in particolare, per il grossista di casalinghi focalizzato sui negozi
tradizionali di porcellana e liste nozze. Il Commercio all’ingrosso di coltelleria e
posateria e il Commercio all’ingrosso di vetrerie e cristallerie registrano invece
nel periodo intercensuario un aumento del numero delle imprese presenti nel
mercato italiano. L’ingrosso di vetrerie, cristallerie, coltelleria e posateria si
espande rivolgendosi prevalentemente al canale Ho.Re.Ca..
Tabella 1.26 – Il commercio all’ingrosso di ceramiche e porcellane in Lombardia e nelle
altre regioni italiane
LOMBARDIA
Piemonte
Valle d’Aosta
Trentino – Alto
Adige
Veneto
Friuli – Venezia
Giulia
Liguria
Emilia
Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale Italia
Unità
locali
1991
Unità
locali
2001
Il peso %
nelle
regioni
Variazione
numerica
1991/2001
Numero
addetti
1991
Numero
addetti
2001
Variazione
addetti
1991/2001
196
70
3
21
139
42
0
16
18,9%
5,7%
0,0%
2,2%
-29,08
-40,00
-100,00
-23,81
1.103
240
5
93
734
159
0
103
-33,45
-33,75
-100,00
10,75
Numero
medio
addetti
per
unità
5,3
3,8
6,4
81
15
56
9
7,6%
1,2%
-30,86
-40,00
464
48
312
39
-32,76
-18,75
5,6
4,3
27
99
11
108
1,5%
14,7%
-59,26
9,09
78
336
68
513
-12,82
52,68
6,2
4,8
69
12
9
62
12
0
98
48
3
14
83
19
941
60
12
12
65
12
0
91
29
1
7
56
9
735
8,2%
1,6%
1,6%
8,8%
1,6%
0,0%
12,5%
4,0%
0,1%
1,0%
7,6%
1,2%
100,0%
-13,04
0,00
33,33
4,84
0,00
-7,14
-39,58
-66,67
-50,00
-32,53
-52,63
-21,89
309
54
16
259
32
0
318
108
3
52
242
64
3.824
258
30
22
350
20
0
276
85
2
14
183
11
3.179
-16,50
-44,44
37,50
35,14
-37,50
-13,21
-21,30
-33,33
-73,08
-24,38
-82,81
-16,87
4,3
2,5
1,8
5,4
1,7
3,0
2,9
2,0
2,0
3,3
1,2
4,3
Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)
68
Tabella 1.27 - Commercio all’ingrosso despecializzato di articoli di porcellana, vetro,
carte da parati
Lombardia
Piemonte
Valle d’Aosta
Trentino –
Alto Adige
Veneto
Friuli –
Venezia
Giulia
Liguria
Emilia
Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale Italia
Unità
locali
1991
Unità
locali
2001
Il peso %
nelle
regioni
Variazione
numerica
1991/2001
Numero
addetti
1991
Numero
addetti
2001
Variazione
addetti
1991/2001
59
34
0
10
6
0
0
1
17,6%
0,0%
0,0%
2,9%
-89,83
-100,00
-90,00
199
80
0
76
37
0
0
2
-81,41
-100,00
-97,37
Numero
medio
addetti per
unità
6,2
2,0
38
7
4
0
11,8%
0,0%
-89,47
-100,00
208
14
8
0
-96,15
-100,00
2,0
-
8
23
2
3
5,9%
8,8%
-75,00
-86,96
29
113
3
12
-89,66
-89,38
1,5
4,0
45
4
13
26
10
2
43
28
2
5
27
3
387
3
1
0
0
0
1
7
2
0
2
1
1
34
8,8%
2,9%
0,0%
0,0%
0,0%
2,9%
20,6%
5,9%
0,0%
5,9%
2,9%
2,9%
100,0%
-93,33
-75,00
-100,00
-100,00
-100,00
-50,00
-83,72
-92,86
-100,00
-60,00
-96,30
-66,67
-91,21
153
9
52
114
19
4
137
89
4
10
72
6
1.388
5
1
0
0
0
3
18
3
0
2
2
3
99
-96,73
-88,89
-100,00
-100,00
-100,00
-25,00
-86,86
-96,63
-100,00
-80,00
-97,22
-50,00
-92,87
1,7
1,0
3,0
2,6
1,5
1,0
2,0
3,0
2,9
Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)
Tabella 1.28 - Il commercio all’ingrosso despecializzato di articoli di porcellana, vetro,
carte da parati in Lombardia e nelle altre regioni italiane
Lombardia
Piemonte
Valle d’Aosta
Trentino – Alto Ad.
Veneto
Friuli – Ven. Giulia
Liguria
Emilia Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale Italia
Unità
locali
1991
Unità
locali
2001
Variazione
numerica
1991/2001
Numero
addetti
2001
Variazione
addetti
1991/2001
59
34
0
10
38
7
8
23
45
4
13
26
10
2
43
28
2
5
27
3
387
6
0
0
1
4
0
2
3
3
1
0
0
0
1
7
2
0
2
1
1
34
-89,83
-100,00
-90,00
-89,47
-100,00
-75,00
-86,96
-93,33
-75,00
-100,00
-100,00
-100,00
-50,00
-83,72
-92,86
-100,00
-60,00
-96,30
-66,67
-91,21
37
0
0
2
8
0
3
12
5
1
0
0
0
3
18
3
0
2
2
3
99
-81,41
-100,00
-97,37
-96,15
-100,00
-89,66
-89,38
-96,73
-88,89
-100,00
-100,00
-100,00
-25,00
-86,86
-96,63
-100,00
-80,00
-97,22
-50,00
-92,87
Numero
medio
addetti per
unità
6,2
2,0
2,0
1,5
4,0
1,7
1,0
3,0
2,6
1,5
1,0
2,0
3,0
2,9
Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)
69
Tabella 1.29 - Il Commercio all’ingrosso di coltelleria e posateria in Lombardia e nelle altre
regioni italiane
Unità
locali
1991
Unità
locali
2001
Il peso %
nelle
regioni
Variazione
numerica
1991/2001
Numero
addetti
1991
Numero
addetti
2001
Variazione
addetti
1991/2001
LOMBARDIA
Piemonte
Valle d’Aosta
Trentino –
Alto Adige
32
9
0
0
40
8
0
1
33,1%
6,6%
0,0%
0,8%
25,00
-11,11
-
142
25
0
0
182
44
0
4
28,17
76,00
-
Numero
medio
addetti
per
unità
4,6
5,5
4,0
Veneto
Friuli –
Venezia
Giulia
Liguria
Emilia
Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale Italia
16
9
10
15
8,3%
12,4%
-37,50
66,67
71
39
316
45
345,07
15,38
31,6
3,0
1
8
3
5
2,5%
4,1%
200,00
-37,50
8
17
7
19
-12,50
11,76
2,3
3,8
6
1
0
8
0
2
2
2
0
1
4
0
101
8
0
3
9
0
3
4
9
0
2
1
0
121
6,6%
0,0%
2,5%
7,4%
0,0%
2,5%
3,3%
7,4%
0,0%
1,7%
0,8%
0,0%
100,0%
33,33
-100,00
12,50
50,00
100,00
350,00
100,00
-75,00
19,80
25
1
0
14
0
6
2
4
0
1
9
0
364
49
0
9
18
0
12
9
11
0
6
2
0
733
96,00
-100,00
28,57
100,00
350,00
175,00
500,00
-77,78
101,37
6,1
3,0
2,0
4,0
2,3
1,2
3,0
2,0
6,1
Fonte: elaborazioni su dati 8° Censimento dell’Industria e dei Servizi (2001)
Di seguito, abbiamo integrato i dati tratti dall’ultimo censimento ISTAT con dati
Asia aggiornati al 2003.
70
Tabella 1.30 - Imprese e addetti per regione, 2003
51441 –
Commercio all’ingrosso
di vetrerie e cristallerie
LOMBARDIA
PIEMONTE
VALLE
D’AOSTA
TRENTINO –
ALTO
ADIGE
VENETO
FRIULI –
VENEZIA
GIULIA
LIGURIA
EMILIA
ROMAGNA
TOSCANA
UMBRIA
MARCHE
LAZIO
ABRUZZO
MOLISE
CAMPANIA
PUGLIA
BASILICATA
CALABRIA
SICILIA
SARDEGNA
TOT. ITALIA
51442 –
Commercio all’ingrosso
di ceramiche e
porcellane
51445 –
Commercio all’ingrosso
despecializzato di articoli
di porcellana, vetro, carte
da parati
Addetti
Imprese
41
230
5
16
-
Imprese
84
24
-
Addetti
714
162
-
Imprese
111
29
-
Addetti
1.013
117
-
11
40
15
96
n.d.
n.d.
64
3
266
16
57
8
336
34
11
11
294
33
10
31
45
194
11
80
67
356
3
7
11
23
48
7
5
21
7
79
27
n.d.
7
38
5
471
224
85
13
63
16
211
105
n.d.
24
206
28
2.412
41
10
9
56
11
92
33
n.d.
7
59
10
639
191
29
32
282
19
291
80
n.d.
14
149
13
3.119
6
4
10
n.d.
3
7
10
6
3
n.d.
127
39
11
30
n.d.
12
19
19
9
12
n.d.
758
Fonte: Asia – ISTAT
Tabella 1.31 - Imprese e addetti per classe di addetti, 2003
51441 Commercio
all’ingrosso di
vetrerie e
cristallerie
51442 Commercio
all’ingrosso di
ceramiche e
porcellane
51445 Commercio
all’ingrosso
despecializza
to di articoli di
porcellana,
vetro, carte
da parati
1 - 19
Imprese
451
Addetti
1.632
20 – 99
Imprese
Addetti
22
782
100 e oltre
Imprese
Addetti
-
Totale
Imprese
Addetti
473
2.414
616
1.882
21
792
3
446
640
3.120
126
434
4
114
n.d.
n.d.
130
548
Fonte: Asia – ISTAT
I settori del mobile e degli articoli per la casa sono stati protagonisti di un
significativo processo di internazionalizzazione. Sono aumentate sia le
esportazioni sia le importazioni. Le imprese italiane cercano nuovi sbocchi e la
concorrenza estera di qualità e prezzo inferiore si sta inserendo nel mercato
71
italiano. Anche negli anni più recenti continua il trend di aumento di importazioni
di basso prezzo e parallelamente si sviluppa l’export di fascia medio alta.
Continua a crescere la pressione concorrenziale dei produttori dell’Europa
Orientale e del Sud-Est Asiatico. I produttori italiani si sono riposizionati verso
l’alto, prevalentemente mediante la leva del design10.
Il settore della distribuzione all’ingrosso di porcellana e ceramica per uso
domestico è stato condizionato da diversi fattori negativi, quali:
-
la stazionarietà-contrazione dei consumi;
l’invasione di prodotti a basso costo importati dai Paesi asiatici (in
particolare dalla Cina);
la riduzione del dettaglio indipendente, che rappresentava la clientela
primaria dell’ingrosso despecializzato di articoli di porcellana, vetro;
l’integrazione a valle dell’industria di marca si è integrata a valle per
controllare i dettaglianti, scavalcando l’ingrosso e avvalendosi di
rappresentanti (agenti plurimandatari) per gestire le relazioni
commerciali con i punti vendita al dettaglio più qualificati.
Le imprese della Grande Distribuzione si rivolgono direttamente ai produttori o a
grossisti innovativi di grande dimensione specializzati nell’offerta di servizi alla
grande distribuzione (quali per esempio i servizi di visual merchandising).
Nel settore dei casalinghi, i grossisti operano prevalentemente a livello regionale.
I grossisti effettuano consegne settimanali o bisettimanali ai punti vendita, i quali
si organizzano per gestire una scorta minima, non un vero e proprio magazzino.
Solitamente il grossista opera congiuntamente sia per il mercato della
distribuzione al dettaglio sia per quello della ristorazione; sono tuttavia aumentati
i grossisti specializzati esclusivamente per quest’ultimo canale (Ho.Re.Ca).
Alcuni grossisti commercializzano i prodotti di più fornitori mentre altri, pur
essendo imprese indipendenti, sono collegati ad un solo fornitore con il quale
intrattengono rapporti pressoché esclusivi condividendo anche la politica
commerciale nell’ambito territoriale in cui operano.
I Gruppi Strategici e i modelli organizzativi dell’ingrosso. I produttori italiani di
fascia alta si sono indirizzati verso canali di distribuzione diretti e, di
conseguenza, l’importanza dei grossisti è diminuita. Le nuove logiche competitive
imposte dal commercio internazionale inducono i produttori italiani a
riposizionarsi verso l’alta gamma e, di conseguenza, a preferire canali brevi. La
tendenza ha registrato un’accelerazione negli ultimi anni, parallelamente allo
sviluppo di strategie di costruzione dell’immagine di marca.
La struttura della distribuzione al dettaglio di mobili e di articoli casalinghi in
Lombardia è ancora caratterizzata, a differenza del resto d’Europa, da una quota
di mercato di negozi indipendenti tradizionali superiore al 50%. Con una
distribuzione al dettaglio ancora frammentata, anche se in fase di progressiva
10
Il caso di maggiore successo in proposito è Alessi, che è riuscito a diversificare nell’impiego
di diversi materiali, nobilitandoli con il contributo dei più noti designer internazionali.
72
modernizzazione, i grossisti specializzati hanno attualmente un ruolo economico
nel razionalizzare il flusso degli ordini e delle consegne.
Il seguito del paragrafo si articola in due sezioni: la prima fa riferimento ai
grossisti di mobili e la seconda a quelli di ceramica, porcellana, vetro e posate.
Il settore del Commercio all’ingrosso di mobili in Lombardia Nel settore del
mobile, in particolare, l’Italia sta perdendo la posizione di leadership che deteneva
a livello internazionale. Per molti anni ha primeggiato nelle esportazioni di
prodotti di arredamento per la casa, superando i competitor tedeschi. Oggi è stata
superata dalla Cina.
Attualmente un trend in crescita in Italia nel settore dell’arredo è l’aumento
delle importazioni di mobili, di prezzo basso, dalla Cina. Nel 2006 le importazioni
hanno superato il 15% (nel 1995 erano pari la 5%). L’aumento delle importazioni
caratterizza anche il settore della ceramica, della porcellana e del vetro per uso
domestico. La tendenza può rappresentare un’opportunità per i grossisti in grado
di importare direttamente dai Paesi asiatici a basso costo.
Il numero delle imprese di distribuzione all’ingrosso di mobili, nei dieci anni
che intercorrono tra i due ultimi censimenti Istat, ha raggiunto le 801 unità nel
2001, registrando un incremento del 20%. Mentre il numero di occupati nel
settore in esame in Lombardia registra una contrazione del 5% nell’intervallo tra
gli ultimi due censimenti (1991-2001).
Il settore del mobile italiano, a parte un numero limitato di imprese Lombarde
(Cassina, Flou, Boffi, Capellini...), non è riuscito a costruire una forte immagine
di marca, come è avvenuto invece, per esempio, nel sistema moda. Il sistema di
offerta è ancora per lo più indifferenziato e la competizione si gioca
prevalentemente sul prezzo.
Le strategie competitive seguite dai grossisti di mobili si articolano in due
direzioni. La prima si concentra sulla segmentazione per tipo di clientela, la
seconda sulla specializzazione per tipologia di prodotto. In particolare alcuni
grossisti si focalizzano sui seguenti segmenti:
-
il segmento della Grande Distribuzione;
il segmento delle comunità, hotel, alberghi, ristoranti, bar e pubblici
esercizi (Ho.Re.Ca);
il segmento dei punti vendita specializzati.
La seconda strategia fa riferimento alla specializzazione merceologica
dell’assortimento, in particolare:
-
la focalizzazione sui mobili per ufficio;
la focalizzazione sui mobili e le attrezzature per punti vendita al dettaglio;
l’importazione di mobili etnici da Paesi asiatici a basso costo del lavoro;
il commercio di mobili usati, di modernariato e di antiquariato.
73
Modelli organizzativi in declino nel settore del commercio all’ingrosso di mobili
Grossisti tradizionali che vendono prevalentemente mobili ed articoli di
arredamento per la casa. I Grossisti tradizionali di mobili sono destinati ad un
progressivo declino a causa della tendenza alla disintermediazione da parte dei
produttori di marca più qualificati che utilizzano agenti. Mentre, nella fascia
medio bassa del mercato è la concorrenza verticale della Grande Distribuzione
che tende a “scavalcare” l’ingrosso tradizionale.
La perdita di quota di mercato del commercio al dettaglio tradizionale di mobili
pone ulteriormente in difficoltà i grossisti perché rappresentano la loro clientela
primaria.
La mancanza di una precisa scelta di specializzazione merceologica o di
segmentazione della clientela pregiudica pesantemente le prospettive di crescita di
questo modello.
Grossisti con vendita al dettaglio. I Grossisti che vendono al dettaglio hanno
discrete prospettive di crescita per la ricerca di risparmio da parte del cliente
finale. Tuttavia, la ridotta dimensione della superficie espositiva pregiudica la
ricerca di varietà che è sempre più richiesta dai consumatori, abituati all’offerta
delle Grandi Superfici Specializzate. Lo sviluppo e la diffusione sul territorio di
punti vendita di Bricolage, di Mercatoni (“Mercatone Uno”) e di Ikea avranno un
effetto negativo sui Grossisti tradizionali di mobili con vendita al dettaglio.
Riusciranno a resistere solo gli operatori ubicati lontano dal bacino d’attrazione
dei punti vendita della moderna distribuzione.
I modelli emergenti
I grossisti di grande dimensione focalizzati su arredi per negozi, comunità e
alberghi con venditori esterni. Hanno buone prospettive di sviluppo in quanto
negozi, alberghi, bar, comunità e pubblici esercizi necessitano di servizi
specializzati e segmentati. Nella versione più evoluta svolgono la funzione di
Contract: acquistano da produttori di mobili terzisti semilavorati che fanno
assemblare e commercializzano anche con marchi propri.
Questa tipologia di grossisti assembla semilavorati prodotti da terzisti e
affidano ad artigiani di piccola dimensione la fase di personalizzazione.
I grossisti tradizionali focalizzati sui mobili per ufficio. Questa tipologia di
impresa commerciale manterrà le posizioni raggiunte sul mercato interno perché
consente ai produttori italiani di mobili per ufficio, che non hanno le risorse per
integrarsi a valle, di offrire un buon livello di servizio ai clienti. Nei prossimi
anni, tuttavia, i Grossisti appartenenti a questo modello potrebbero venire
penalizzati da una tendenza ad utilizzare le nuove possibilità offerte dalla rete web
per razionalizzare gli acquisti (e-procurement).
74
I grossisti importatori. Gli intermediari all’ingrosso, che svolgono attività di
importazione diretta da Paesi asiatici a basso costo del lavoro, come Cina ed
Indonesia, sono un modello organizzativo in espansione: sfruttano sia la tendenza
della domanda ad orientarsi alla convenienza, sia un recente interesse dei
consumatori italiani nei confronti del mobile etnico. Alcuni svolgono un’attività
di doppia intermediazione e vendono ad altri grossisti; altri si sono integrati a
valle e vendono anche direttamente al cliente finale privato.
Un caso interessante in proposito è OltreFrontiera che, sviluppata da un
grossista, ha iniziato importando mobili etnici e grazie anche ad un videocatalogo
web, si sta sviluppando sia con negozi diretti, sia in franchising.
Grossista Contract d’arredo. Il termine Contract è usato ogni volta che c’è una
fornitura di arredi sotto una formula contrattuale e una fornitura di servizi
collaterali, quali per esempio la progettazione degli spazi e la ricerca e il
coordinamento degli altri fornitori per completare gli arredi.
Nel mercato dei contratti d’arredo si considerano le seguenti categorie:
-
-
contratti puri (chiavi in mano), dove l’azienda leader (solitamente
attraverso specifiche divisioni dedicate al contratto) fornisce al cliente il
progetto completo, creato sulle esigenze dei clienti.
la fornitura del contratto di arredo dai produttori i quali non gestiscono il
progetto direttamente e generalmente offrono i prodotti del loro catalogo
(fonte CSIL).
In accordo con questa definizione e basandosi sulle stime CSIL, nei 15 Paesi
dell’Unione più Norvegia e Svizzera il mercato dei Contract d’arredo si stima che
abbia raggiunto nel 2004 i 6,2 miliardi di euro. Il più importante segmento
all’interno di questo mercato è il settore alberghi/ospitalità (che include anche
residence, villaggi turistici, ecc.). La dimensione di questo segmento è consistente
e in crescita, in relazione anche alla recente tendenza a porre sempre maggiore
attenzione al design, alla qualità dei materiali e all’esigenza di rinnovo degli stessi
nel settore dell’ospitalità. È un mercato in espansione in risposta alle esigenze di
una domanda sempre più sofisticata e dei trend del turismo congressuale, del
turismo culturale... Lo stock di camere complessivamente presenti nell’industria
europea dell’ospitalità è di 5 milioni per un totale generale di 10 milioni di letti.
La media è di circa 23 camere per albergo. I primi 300 alberghi nel mondo
possono vantare 6,3 milioni di camere in 46mila strutture e, di conseguenza, il
mercato dei contratti di arredo è un mercato importante con buone prospettive di
crescita nel medio termine. In ordine di importanza, come mercato di sbocco,
seguono agli alberghi le banche, gli uffici e gli istituti. Un ruolo di primaria
importanza è anche quello ricoperto dai pezzi d’arredo.
L’attenzione data dal pubblico alle aree pubbliche di socializzazione (quelle
che recentemente un antropologo ha definito “non luoghi”), non solo alberghi ma
anche teatri, aeroporti, centri commerciali e uffici, è in crescita costante, le
persone vogliono vivere un’esperienza attraverso lo spazio, gli arredi e i servizi.
75
Inoltre, negli ultimi anni si è diffusa la convinzione che il punto vendita sia un
elemento fondamentale della comunicazione e della promozione. Il ruolo degli
store manager è quello di incrementare le vendite aumentando il valore percepito
della merce agendo su quello che è il design e l’ambientazione del punto vendita
allo scopo di incoraggiare i consumatori ad acquistare.
La media di rinnovamento degli arredi dei punti vendita può cambiare con una
frequenza molto variabile, per esempio, 6-8 anni per quanto riguarda i negozi di
moda.
L’uso dello spazio all’interno del punto vendita deve essere ottimizzato non
solo per quello che riguarda la superficie per l’esposizione della merce ma anche
per permettere al cliente di vivere un’esperienza d’acquisto. Le luci, i colori e
l’ambientazione devono essere capaci di raccontare storie proprie e portarle nella
vita.
In definitiva vettori di qualificazione dell’offerta commerciale nel sub-settore
del mobile fanno riferimento a due dimensioni. La prima concerne la scelta di
segmentazione strategica e la seconda la scelta di specializzazione merceologica.
Le prospettive di sviluppo future dei grossisti di ceramica e porcellana in
Lombardia. Gli operatori dei sub-settori della ceramica, porcellana, coltelleria,
posateria, vetro e cristallo ritengono che il settore continuerà a registrare una
contrazione del fatturato complessivo di 1-2 punti percentuali anche nei prossimi
anni. Il sub-settore della porcellana è quello maggiormente in crisi negli ultimi
anni, dal momento che il tasso di decremento medio delle vendite è stato superiore
al 5%.
La crisi strutturale del comparto della ceramica e della porcellana evidenzia
una fase negativa per tutte le tipologie di grossisti. Una consistente contrazione
dei consumi riguarda tutto il sub-settore, per le ragioni che sono state esaminate
ed approfondite precedentemente.
I modelli organizzativi maggiormente in difficoltà sono:
-
grossista tradizionale di ceramica e porcellana con vendita al banco;
grossista di piccole dimensioni con vendita sul territorio.
Grossista tradizionale di ceramica e porcellana con vendita al banco. E’ un
modello organizzativo in declino. La sua clientela è costituita principalmente da
dettaglianti tradizionali con una limitata superficie di vendita e in difficoltà. La
tendenza dell’industria ad integrarsi a valle per controllare più direttamente le
politiche di marca e di marketing è un altro fattore di crisi.
Grossista di piccole dimensioni con vendita sul territorio. Questo modello
organizzativo è in declino. Le prospettive di crescita sono pregiudicate dalla
ridotta dimensione d’impresa e dalla mancanza di specializzazione e
segmentazione. La vendita, infatti, è indirizzata prevalentemente ai distributori al
dettaglio tradizionali, che risentono in misura sempre maggiore della concorrenza
esercitata dalle Grandi Superfici di vendita Specializzate (GSS) e despecializzata
(Cash & Carry, Ipermercati, Superstore e Supermercati).
76
Grossisti di ceramica, porcellana e vetro con vendita al dettaglio. Rappresentano
un modello organizzativo con buone probabilità di resistere sul mercato. È un
modello organizzativo in posizione meno critica rispetto ai precedenti. Sono in
grado di sfruttare l’attuale tendenza all’esasperata ricerca di risparmio da parte di
segmenti sempre più ampi della popolazione. Hanno qualche possibilità di restare
sul mercato riposizionandosi nella logica dell’outlet.
Si consideri che il sistema di franchising specializzato nei casalinghi Casanova
sia messo in atto da un grossista tradizionale che operava nel settore della
ceramica e porcellana. Oggi ha raggiunto la posizione di leadership nella
distribuzione al dettaglio di articoli per la casa.
Infine, i modelli organizzativi emergenti che hanno buone prospettive di
crescita sono tre:
-
grossisti di ceramica e porcellana e articoli di vetro di grandi dimensioni,
importatori, con venditori esterni;
grossisti di ceramica e porcellana e articoli di vetro con vendita
prevalentemente al segmento Ho.Re.Ca;
grossisti di ceramica e porcellana e articoli di vetro focalizzati sul
segmento della Grande Distribuzione.
I grossisti di ceramica e porcellana e articoli di vetro di grandi dimensioni,
importatori, con venditori esterni si sono trasformati in “Editori”, nel senso che
hanno creato un marchio e cercano produttori in un Paese asiatico a basso costo
del lavoro, prevalentemente il Cina, e utilizzano una rete di agenti plurimandatari
per vendere alla clientela dei dettaglianti qualificati. In altri termini, la figura e
l’attività svolta dagli intermediari all’ingrosso più qualificati di ceramica e
porcellana si avvicina a quella di un produttore che gestisce in outsourcing
l’attività produttiva, affidandola a terzisti esteri, e si focalizza solo sulla gestione
delle attività di vendita e marketing.
I grossisti di ceramica e porcellana e articoli di vetro con vendita
prevalentemente al segmento Ho.Re.Ca. Sono un modello organizzativo che sta
registrando e potrebbe registrare un’ulteriore espansione nei prossimi anni. Questo
modello ha discrete-buone prospettive di crescita in relazione allo sviluppo del
settore della ristorazione e alberghiero. Nel comparto più elitario degli alberghi,
ristoranti, bar e pubblici esercizi sta aumentando l’attenzione e l’importanza degli
articoli di ceramica e porcellana. Piatti, bicchieri e posate di qualità e design, che
hanno lo scopo di comunicare il posizionamento del locale e di riuscire ad attirare
una clientela (turistica ed internazionale) più sofisticata, attenta ai segnali del
design e più disposta a spendere nei locali di svago e intrattenimento. Alberghi,
ristoranti, bar e pubblici esercizi hanno esigenze di servizi coerenti con quelli
offerti dai grossisti di ceramica e porcellana focalizzati sull’Ho.Re.Ca.
I grossisti di ceramica e porcellana e articoli di vetro focalizzati sul segmento
della Grande Distribuzione. Le imprese della Grande Distribuzione
despecializzata non hanno esperienza diretta di acquisto e di gestione
77
dell’assortimento nel settore dei casalinghi, degli articoli di porcellana, ceramica e
vetro e si avvalgono dei servizi offerti da Grossisti specializzati sulle esigenze di
questo canale.
Stanno iniziando ad affermarsi anche in Italia Grossisti Rack Jobber. Il
grossista si occupa direttamente di rifornire gli scaffali dei punti vendita al
dettaglio a libero servizio, applica i prezzi, controlla le scorte, per evitare rotture
di stock, e ritira i prodotti invenduti. La porcellana e gli articoli per la casa sono
una categoria nuova e poco nota per gran parte dei responsabili acquisti delle
imprese della Grande Distribuzione, che quindi preferiscono affidare ad imprese
specializzate la gestione di una merceologia di cui non hanno esperienza. Il
Grossista Rack Jobber nei casi più evoluti, mutuati dall’esperienza nord
americana, fattura i prodotti solo dopo il sell out e non al momento del sell in;
quindi conserva il titolo di proprietà dei prodotti fino a quando rimangono nel
punto vendita.
1.6. Grossisti di materiali da costruzione per la casa
Il mercato dell’edilizia. Il settore delle costruzioni è uno dei più importanti
nell’economia italiana; gli investimenti in costruzioni ammontano infatti all’8-9 %
del Pil. La filiera dell’edilizia è piuttosto complessa ed articolata, come si desume
dalla figura 1.7.
Figura 1.7 – La filiera dell’edilizia
PRODUTTORI
PRODOTTI
PER EDILIZIA
PROGETTISTI
Mezzi di comunicazione
specializzati
Fiere
Reti di vendita
Agentivenditori
IMPRESE DI
COSTRUZIONI
Mezzi di
IMMOBILIARISTI
comunicazione
di
massa
Artigiani
posatori
Artigiani
posatori
CLIENTI
FINALI
RIVENDITE
Il settore in esame si articola nei seguenti comparti principali:
1. il comparto delle piastrelle;
2. il comparto del cemento;
3. il comparto del riscaldamento e condizionamento.
78
L’evoluzione del numero degli operatori in Lombardia. La regione italiana che
ospita il maggiore numero di grossisti di materiali da costruzione è la Lombardia,
seguita da Veneto, Emilia Romagna e Toscana.
In tutti i sub-settori considerati la Lombardia è la regione con il maggiore
numero di imprese di distribuzione all’ingrosso (tab. 1.32, 1.33, 1.34)
Tabella 1.32 - Distribuzione territoriale delle imprese distributive all’ingrosso di
legname,semilavorati in legno e legno artificiale (codice Istat 51.53.1)
Regioni
Imprese
Addetti
Numero
Numero
Var. %
Numero
Numero
Var. %
1996
2001
2001-1996
1996
2001
2001-1996
LOMBARDIA
469
514
9,59%
2048
2092
2,15%
LAZIO
168
210
25,00%
636
635
-0,16%
CAMPANIA
201
256
27,36%
667
643
-3,60%
VENETO
311
397
27,65%
1287
1379
7,15%
PIEMONTE
267
286
7,12%
975
971
-0,41%
EMILIA
179
187
4,47%
851
773
-9,17%
TOSCANA
145
192
32,41%
734
740
0,82%
PUGLIA
109
137
25,69%
313
386
23,32%
SICILIA
127
130
2,36%
473
529
11,84%
LIGURIA
44
49
11,36%
238
231
-2,94%
CALABRIA
37
52
40,54%
85
98
15,29%
ABRUZZO
36
39
8,33%
123
95
-22,76%
MARCHE
79
90
13,92%
308
305
-0,97%
126
158
25,40%
420
436
3,81%
SARDEGNA
25
32
28,00%
145
161
11,03%
UMBRIA
27
32
18,52%
124
109
-12,10%
TRENTINO
69
105
52,17%
351
409
16,52%
ROMAGNA
FRIULI
VENEZIA
GIULIA
ALTO ADIGE
BASILICATA
12
12
0,00%
35
54
54,29%
MOLISE
5
0
-100,00%
17
0
-100,00%
VALLE
8
0
-100,00%
17
0
-100,00%
2444
2878
17,76%
9847
10046
2,02%
D’AOSTA
TOTALE
Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001
79
Tabella 1.33 - Distribuzione territoriale delle imprese distributive all’ingrosso di
materiali da costruzione 51.53.2
Regioni
LOMBARDIA
Imprese
Addetti
Numero
Numero
Var. %
Numero
Numero
Var. %
1996
2001
2001-1996
1996
2001
2001-1996
1137
1479
30,08%
5703
7101
24,51%
LAZIO
506
665
31,42%
2262
2514
11,14%
CAMPANIA
717
906
26,36%
2582
3143
21,73%
VENETO
690
960
39,13%
3409
4783
40,31%
PIEMONTE
519
618
19,08%
2833
3091
9,11%
EMILIA
713
889
24,68%
3761
4315
14,73%
TOSCANA
901
1168
29,63%
3509
4411
25,71%
PUGLIA
370
488
31,89%
1302
1698
30,41%
SICILIA
520
637
22,50%
1643
1911
16,31%
LIGURIA
203
241
18,72%
1134
1122
-1,06%
CALABRIA
143
234
63,64%
574
796
38,68%
ABRUZZO
133
159
19,55%
795
797
0,25%
MARCHE
165
208
26,06%
887
1151
29,76%
FRIULI
121
149
23,14%
806
934
15,88%
135
165
22,22%
696
680
-2,30%
ROMAGNA
VENEZIA
GIULIA
SARDEGNA
UMBRIA
82
111
35,37%
443
527
18,96%
180
251
39,44%
1324
1777
34,21%
BASILICATA
80
99
23,75%
292
390
33,56%
MOLISE
38
43
13,16%
187
179
-4,28%
VALLE
19
22
15,79%
116
94
-18,97%
7372
9492
28,76%
34258
41414
20,89%
TRENTINO
ALTO ADIGE
D’AOSTA
TOTALE
Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001
80
Tabella 1.34 - Distribuzione territoriale delle imprese distributive all’ingrosso
despecializzato di legname e di materiali da costruzione 51.53.5
Regioni
LOMBARDIA
Imprese
Addetti
Numero
Numero
Var. %
Numero
Numero
Var. %
1996
2001
2001-1996
1996
2001
2001-1996
124
124
0,00%
429
367
-14,45%
LAZIO
49
44
-10,20%
117
88
-24,79%
CAMPANIA
70
92
31,43%
171
168
-1,75%
VENETO
64
74
15,63%
220
215
-2,27%
PIEMONTE
44
69
56,82%
125
172
37,60%
EMILIA
64
98
53,13%
300
357
19,00%
ROMAGNA
TOSCANA
29
61
110,34%
95
214
125,26%
PUGLIA
42
58
38,10%
93
153
64,52%
SICILIA
37
45
21,62%
70
99
41,43%
LIGURIA
13
14
7,69%
50
41
-18,00%
CALABRIA
19
15
-21,05%
55
43
-21,82%
ABRUZZO
15
19
26,67%
29
62
113,79%
MARCHE
19
29
52,63%
56
93
66,07%
9
18
100,00%
28
65
132,14%
FRIULI
VENEZIAGIULIA
SARDEGNA
13
20
53,85%
32
57
78,13%
UMBRIA
7
16
128,57%
11
36
227,27%
TRENTINO
6
19
216,67%
18
87
383,33%
BASILICATA
1
n.d.
n.d.
1
n.d.
n.d.
MOLISE
5
9
80,00%
16
17
6,25%
VALLE
1
n.d.
n.d.
2
n.d.
n.d.
631
824
30,59%
1918
2334
21,69%
ALTO ADIGE
D’AOSTA
TOTALE
Fonte: ISTAT, 1996; Asia, 2001
La polverizzazione della distribuzione di prodotti per l’edilizia trova una
spiegazione economica nella frammentazione dei settori a valle, in particolare in
quello delle imprese di costruzioni e dell’artigianato edile. Nel 1996 sono state
censite dall’Istat 440.000 imprese di costruzione, con un numero medio di addetti
per impresa pari a 3,1. Le ragioni della polverizzazione delle imprese edili sono
strutturali; la frammentazione si è peraltro ulteriormente accentuata dopo la crisi
che ha investito l’edilizia dal 1992. Numerose imprese medie di costruzioni in
difficoltà si sono frammentate in micro-imprese dedite a interventi di recupero
edilizio (di ristrutturazione), direttamente e/o in qualità di terziste (subappalto).
81
In definitiva, le ragioni di fondo della polverizzazione della distribuzione di
prodotti per edilizia possono essere ricercate nei seguenti fattori:
1. l’aumento delle richieste di servizio da parte delle imprese di costruzioni,
esigenza correlata al sottodimensionamento strutturale del comparto;
2. la limitata convenienza da parte dei fornitori di prodotti per l’edilizia ad
integrarsi a valle “scavalcando” il distributore;
3. la conoscenza del mercato locale da parte dei grossisti.
I canali dell’ingrosso dei materiali da costruzione per la casa si articolano in
diversi comparti:
-
il canale dei materiali strutturali per l’edilizia;
il canale idrotermosanitario;
il canale delle ceramiche e dei materiali di finitura;
il canale della ferramenta.
Il canale dei grossisti specializzati in materiali strutturali per edilizia che si
caratterizza per una forte focalizzazione sulle ristrutturazioni.
Il canale dei grossisti specializzati nella distribuzione di articoli
idrotermosanitari è da sempre maggiormente orientato agli installatori. In questo
comparto la crescita di importanza della distribuzione ha posto il grossista nella
condizione di dover interpretare le esigenze di consumo in termini di assortimento
e offerta di servizi pre e post vendita.
Il canale dei grossisti di ceramiche e materiali di finitura si caratterizza per lo
sviluppo di show room in grado di valorizzare sia la componente estetica di
design sia il contenuto tecnico dei prodotti; questi grossisti si rivolgono sia
all’imprese di installazione sia ai clienti finali.
Il canale delle ceramiche presenta, a sua volta, due tipologie: la prima è quella
dei grossisti specializzati di alta gamma con forte contenuto di servizio, spesso
con progettazione e fornitura “chiavi in mano”; la seconda è quella dei grossisti
con livelli di servizio variabile e con un’ampia scelta di prodotti anche di diversa
fascia prezzo, per soddisfare diversi segmenti di clientela.
Il settore della ferramenta è presente nei magazzini dei grossisti di materiali per
edilizia come una fornitura complementare, rimanendo di competenza delle
strutture specializzate.
La struttura dei canali distributivi. Dal dopoguerra fino agli anni Settanta i canali
di distribuzione dei materiali strutturali per il settore delle costruzioni, quelli dei
materiali di finitura e gli articoli idrotermosanitari, hanno costituito tre sistemi
paralleli e autonomi. Il primo (quello focalizzato sui materiali strutturali)
s’indirizzava prevalentemente alle piccole e medie imprese edili e agli artigiani. Il
secondo (quello dei materiali di finitura) si rivolgeva agli artigiani posatori. Il
terzo (quello degli idro-termo-sanitari) si orientava prevalentemente alle piccole
imprese del settore idraulico. Le imprese appartenenti ai tre canali di distribuzione
82
non erano di fatto in concorrenza tra loro e le aree di sovrapposizione dei rispettivi
assortimenti erano limitate.
Figura 1.8 - I canali di distribuzione dei prodotti per l’edilizia negli
anni ’70 e ‘80
Il grossista di
materiali
strutturali
Piccola impresa edile
Il grossista di
materiali di finitura
Artigiano/Posatore
Il grossista di
idrotermosanitari
Idraulico
A partire dal 1990 tre fattori di cambiamento hanno avuto implicazioni
significative sul settore in esame:
1. il primo può essere individuato nella crisi dell’attività costruttiva in
Italia (dal 1991 al 1996).
2. Il secondo concerne l’accelerazione delle politiche industriali di
innovazione di prodotto. In un settore che si riteneva maturo si sono
recentemente moltiplicate le applicazioni e gli apporti da altri settori
(chimico, meccanico, elettrico, informatico). Ciò ha notevolmente
contribuito all’aumento del lancio di nuovi prodotti e alla crescita delle
referenze offerte. L’innovazione di prodotto sposta la concorrenza da
logiche di prezzo a politiche di servizio.
3. Il terzo consiste nella perdita di rilievo dell’attività edilizia relativa alla
nuova costruzione ed al trend di crescita del recupero edilizio, che
comporta l’affermazione di un nuovo protagonista: il cliente finale
privato.
La domanda diventa più esigente e sofisticata (soprattutto per quanto attiene ai
prodotti di finitura) per fattori legati alla crescita del reddito, della cultura ecc..
83
Figura 1.9 - I nuovi fattori competitivi
INNOVAZIONE E
LANCIO DI NUOVI
PRODOTTI
CLIENTELA
PIU’ ESIGENTE
IN TERMINI DI
VARIETA’
NUOVI
SEGMENTI DI
CLIENTELA
Aumenta il numero dei nuovi prodotti
e cresce il numero delle referenze in assortimento
(Si riduce il ruolo
delle imprese di
costruzioni e
aumentano i privati
e gli artigiani.)
La rivendita inizia ad offrire
nuovi servizi anche tecnologici
Aumenta la dimensione
critica delle rivendita
Negli ultimi quindi anni ha assunto sempre maggiore importanza il recupero
edilizio e il cliente privato è diventato il nuovo protagonista del mercato. Nella
filiera, il ruolo delle imprese di costruzioni è diminuito di importanza. La clientela
diventa più esigente e attenta alla dimensione estetica e alla varietà dell’offerta.
Nei grossisti di materiali da costruzione per la casa si afferma di conseguenza una
tendenza alla plurispecializzazione. Aumenta il numero dei nuovi prodotti e
cresce il numero delle referenze in assortimento. Una parte del magazzino diventa
show-room. I distributori all’ingrosso si strutturano per riuscire sia ad offrire un
numero maggiori di articoli in assortimento, sia per aumentare i servizi pre e post
vendita.
Nell’ambito delle attività svolte dal distributore all’ingrosso aumenta
l’importanza dei servizi di assistenza tecnica. Gli addetti alla vendita del grossista
devono assumere competenze consulenziali. Ciò comporta un aumento della
superficie di vendita e della formazione per consentire specializzazione e
qualificazione del personale di vendita.
Le nuove logiche competitive stanno ponendo in crisi i distributori di minori
dimensioni, che non sono in grado di offrire prodotti innovativi e in parallelo
servizi di pre-vendita adeguati.
84
Figura 1.10- Fattori di razionalizzazione e crescita dell’ingrosso di prodotti per edilizia
L’INNOVAZIONE DI
PRODOTTO
Sposta la concorrenza
dal prezzo al servizio
Aumenta la dimensione
Aumentano le difficoltà
di selezionare nuovi
E’ necessario
aumentare il numero
dei dipendenti per
consentire
Il grossista si
plurispecializz
a
Il personale deve
svolgere attività di
l
Aumentano le
competenze richieste e
la specializzazione del
E’ necessaria la
collaborazione da parte
dei fornitori per la
La concorrenza mette in competizione i sistemi verticali di marketing per servire
il cliente privato, che è il nuovo protagonista del mercato nel settore dei prodotti
per edilizia. Si viene così a creare un’area di sovrapposizione tra i tre canali
distributivi (quello dei materiali strutturali, quello dei materiali di finitura e i
materiali idrotemosanitari).
Figura 1.11 - I canali dei prodotti per l’edilizia
La concorrenza è anche tra canali distributivi e tra sistemi
verticali di marketing per servire il cliente privato, che è il
nuovo protagonista del mercato.
MATERIALI
MATERIALI
IDRO-TERMOSTRUTTURALI
DI FINITURA
SANITARI
SALA
MOSTRA
Nuove alleanze verticali creano concorrenza
orizzontale tra sistemi verticali di marketing
L’indagine svolta mediante interviste individuali ha confermato che i grossisti di
maggiori dimensioni (superiore ai 5000 mq), unitamente a quelli con più di un
magazzino, hanno migliori performance e maggiori prospettive di crescita rispetto
a quelle con un’unica unità di vendita.
85
Figura 1.12 - Modelli di business
TIPOLOGIE
INGROSSO
DI
STRATEGIE
SVILUPPO
DI
Grossista
generalista
Grossista
specializzato
Grossista
plurispecializzato
indipendente
associato
Con magazzini
proprietà
di
In Lombardia si riscontra una percentuale ancora dominante di distributori
indipendenti; una percentuale decisamente inferiore, ma in crescita, di distributori
associati e, una quota ancora più esigua (in termini numerici, ma con una rilevante
crescita della quota di mercato) di imprese commerciali che si sviluppano
acquisendo o costituendo magazzini di proprietà.
Nell’ambito dello sviluppo mediante nuove aperture o acquisizione si hanno
due differenti modalità di crescita. Il primo modello prevede un’elevata
standardizzazione delle soluzioni gestionali adottate, che vengono replicate con
piccolissimi adattamenti.
Nel secondo modello di sviluppo, l’impresa di distribuzione “succursalista”,
pur avendo la proprietà di diversi punti vendita, gestisce ogni singolo magazzino
con elevata autonomia. In altri termini, ogni magazzino si caratterizza per un
profondo adattamento alla realtà locale. Questa soluzione privilegia una modalità
di sviluppo segmentata. Le imprese di questo tipo, nel caso di acquisizioni di altri
distributori, non cercano di standardizzare le soluzioni gestionali ma privilegiano
l’adattamento dell’assortimento, dei servizi e della formula complessiva alla
clientela locale, al contesto competitivo e alle risorse a disposizione.
Il modello di sviluppo segmentato trova attuazione prevalentemente mediante
l’acquisizione di grossisti e prevede un adattamento della formula (il mix dei
prodotti e servizi offerti) alla realtà locale. Un esempio significativo in
quest’ambito è il Centro Edile di Dario Limonta che opera in provincia di Milano.
La Lombardia ha manifestato, prima di altre regioni d’Italia, una tendenza alla
modernizzazione dell’ingrosso di materiali per le costruzioni. Lo sviluppo si
caratterizza sia l’acquisizione che per l’associazionismo (costituzione di Gruppi
d’acquisto). In Lombardia, un caso particolarmente significativo è il Centro Edile
Limonta e, in Provincia di Como, Alpe di Colombo con sede a Mariano Comense.
I gruppi associativi attivi in Lombardia sono, invece, MADE e SINED (a Brescia,
Mantova).
In Lombardia tuttavia, nonostante la concentrazione tramite acquisizioni e
associazionismo siano in corso già da alcuni anni, il processo di modernizzazione
ha preso avvio con ritardo rispetto al Veneto e al Friuli.
Il grossista tradizionale. Il “magazzino a piazzale”. I grossisti tradizionali sono
nati spesso come estensione delle attività di produzione di manufatti in cemento o
magazzino per l’acquisto dell’impresa di costruzioni o di posa in opera. Si tratta di
grossisti di materiali dell’edilizia pesante, ma è presente la ferramenta come
elemento complementare alla vendita. Lo spazio destinato all’incontro con il
cliente è limitato, mentre prevalgono aspetti legati alla funzionalità nella
movimentazione nei piazzali per il carico e lo scarico delle merci.
86
L’ingrosso di materiali da costruzione per la casa tradizionale, è la tipologia
con le maggiori difficoltà di sviluppo e presenta le seguenti caratteristiche:
-
ha una superficie inferiore ai 2000 mq. complessivi;
opera con un unico magazzino;
offre un assortimento di prodotti prevalentemente tradizionali;
ha una scarsa propensione ad inserire prodotti innovativi in assortimento;
non dispone di uno spazio adeguato all’accoglienza del cliente;
non ha una sala mostra (adatta alla presentazione e valorizzazione dei
materiali di finitura);
non è strutturata con servizi adeguati alle esigenze del cliente privato (non
professionale).
Nelle politiche di acquisto dei grossisti tradizionali privilegiano la convenienza di
prezzo in fattura e i prodotti classici. In altri termini, si caratterizzano per scelte
imprenditoriali improntate ad un’eccessiva prudenza rispetto ai processi di
innovazione produttiva che stanno caratterizzando il settore.
Nell’ambito delle politiche di vendita, il distributore tradizionale di materiali
edili privilegia il segmento delle micro-imprese di costruzione meno aperte alle
proposte di carattere innovativo. Le politiche commerciali seguono un approccio
passivo, non si utilizzano venditori esterni, ma il grossista aspettano che il cliente
si rivolga direttamente al magazzino di materiali da costruzione per la casa.
I servizi di consulenza di prevendita sono offerti in misura limitata in quanto
non si invia il personale alle iniziative di formazione dei produttori. Trattandosi di
micro-imprese con un numero di dipendenti limitato, l’invio di alcuni
collaboratori alle iniziative di formazione attuate dai produttori, pregiudica il
normale funzionamento dell’ingrosso di materiali da costruzione per la casa. Gli
investimenti in formazione del personale sono quindi limitati.
La percentuale delle vendite cosiddette “da banco”, ossia effettuate all’interno
del punto vendita, risulta essere in media fra l’85% e il 90% delle vendite totali.
Ciò sottolinea la scarsa propensione dei distributori di prodotti per l’edilizia a
porre in atto politiche commerciali attive per la ricerca di nuovi clienti e mercati.
I grossisti utilizzano tecniche di vendite tradizionali: il venditore “attende” il
cliente presso il proprio punto vendita e ciò determina un aumento dei costi fissi.
Rispetto ai concorrenti, l’imprenditore commerciale tradizionale del settore dei
prodotti per edilizia è propenso a forme di collusione tacita con gli altri operatori.
Nessuno dei piccoli distributori ha interesse a dimostrarsi aggressivo nelle
politiche commerciali sia in termini di prezzo, sia tentando di espandere il bacino
d’utenza delle proprie attività. L’impiego di tecniche di vendite dirette (marketing
telefonico, direct marketing,… anche solo per promuovere nuovi prodotti) è
decisamente limitato. Inoltre, i grossisti edili tradizionali non dispongono di una
superficie di vendita adeguata all’accoglienza del cliente. In genere non hanno una
sala mostra per proporre i prodotti a maggiore valore aggiunto e non offrono
servizi focalizzati sul cliente privato. Non investono in comunicazione e
attribuiscono scarsa importanza all’immagine dell’impresa. Nella maggiore parte
dei casi, l’imprenditore commerciale edile tradizionale non è interessato ad
87
entrare in una struttura associativa (Gruppo d’acquisto o Consorzio), è un forte
individualista, ha difficoltà di delega anche all’interno dei famigliari ; nelle
decisioni privilegia una prospettiva di profitto a breve termine.
Sovente, l’imprenditore è vicino alla pensione ; ciò che da un lato solleva il
problema del ricambio generazionale e, dall’altro, rappresenta un’opportunità di
rinnovamento del settore attraverso il pensionamento degli operatori marginali.
Il vantaggio competitivo tipico dei grossisti tradizionali è rappresentato dalla
localizzazione del magazzino. In particolare, nelle province più densamente
popolate, le imprese commerciali di prodotti per edilizia che hanno effettuato
scelte ubicative negli anni cinquanta, sessanta, settanta, godono ora di un
vantaggio competitivo difficilmente attaccabile. Si consideri in proposito alcune
province della Lombardia, come per esempio Como, dove è quasi impossibile
trovare nuovi spazi adeguati alle esigenze di un grossista. Una parte rilevante dei
distributori tradizionali hanno un’ubicazione che consente loro di ovviare anche
ad errori gestionali. I grossisti minori presentano però una produttività inferiore
(fatturato per addetto e fatturato per metro quadrato) e risultati economici inferiori
alla media del settore.
Il grossista specializzato. I grossisti specializzati sono operatori che hanno scelto
di concentrare l’attività nella vendita o nel noleggio di macchinari, nella vendita
di piastrelle e arredo bagno, nelle finiture in legno, etc. Di solito non si
specializzano in un’unica categoria di prodotti e nella maggior parte dei casi si
sviluppano diventando grossisti pluri-specializzati.
Un numero crescente di operatori sta tentando di trovare nuove aree di
specializzazione, in particolare una maggiore specializzazione dell’assortimento
verso prodotti più qualificati e innovativi. In altri termini, i grossisti edili con le
migliori performance si sono orientati verso la specializzazione merceologica con
prodotti innovativi, tecnologicamente avanzati e quindi più remunerativi. Alcuni
imprenditori stanno puntando allo sviluppo di sinergie tra rivendite
territorialmente vicine per quanto riguarda la gestione dei materiali a bassa
rotazione
La seconda tipologia di imprese di distribuzione dei materiali da costruzione
per la casa si caratterizza per una superficie media superiore a quella precedente,
per l’offerta di un assortimento specializzato in alcune categorie (per esempio
l’isolamento, l’impermeabilizzazione, il bricolage…) e, per l’aggiunta ai servizi di
base di nuovi servizi (per esempio la posa dei prodotti o il noleggio di
attrezzature). Questo è un percorso complesso perché una specializzazione
veramente efficace dovrebbe trovare attuazione sinergica con una parallela
strategia di segmentazione. Si tratta quindi di focalizzare il mix di prodotti e
servizi offerti in sintonia con il segmento di clientela rilevante.
E’ appena il caso di sottolineare come le scelte relative all’assortimento siano
fortemente condizionate dalle scelte ubicative. Per esempio, la maggiore parte dei
grossisti collocati all’interno dei grandi centri urbani o nelle immediate prossimità
si stanno focalizzando sul cliente privato e sull’attività di ristrutturazione edile.
Questa scelta comporta la creazione di una sala mostra adeguata e dedicata ai
materiali di finitura. La vendita dei materiali di finitura (piastrelle ed altri
88
materiali per pavimento, l’arredo-bagno) richiede una “sala mostra” con una
adeguata attenzione all’ambientazione, al personale dedicato e alla selezione di
artigiani posatori “partner”. In genere, i grossisti ubicati nei centri urbani minori si
indirizzano maggiormente verso l’offerta di materiali strutturali adatti alle nuove
costruzioni.
Le modalità di specializzazione sono tuttavia eterogenee: alcuni distributori
particolarmente innovativi, per esempio, si sono specializzati sui prodotti di “Bioedilizia”. Altri offrono servizi, come il noleggio dei macchinari.
Il grossista plurispecializzato. I grossisti plurispecializzati si caratterizzano per la
presenza di più aree business, che vanno dai materiali per edilizia alle ceramiche e
arredobagno, dall’idrotermosanitario alla ferramenta. Negli ingrossi
plurispecializzati le aree espositive sono diversificate. Sono presenti: il magazzino
coperto e scoperto per i materiali dell’edilizia, la show-room per le ceramiche e
l’arredo bagno e l’esposizione per le ferramenta. Nel caso delle ferramenta si nota
la diffusione del modello di vendita a libero servizio volto a premiare la velocità
di acquisto. Nel mercato italiano si possono rilevare un numero limitato di
grossisti diversificati che operano in un numero elevato di comparti merceologici
(dal Bricolage, alla sala mostra per piastrelle, arredobagno e materiali di finitura al
Garden Center) con attività che vanno dal noleggio alla vendita di macchinari11.I
casi di maggiore successo si caratterizzano per il tentativo di percorrere
parallelamente differenti vettori di specializzazione (la pluri-specializzazzione).
Inoltre, un numero crescente di distributori vede nell’orientamento verso la
clientela privata un modo per recuperare redditività e per gestire secondo modalità
innovative la loro attività. Sovente nell’intraprendere questa strategia, tuttavia,
non sono correttamente prese in considerazione le esigenze specifiche del cliente
privato in termini di servizi informativi, modalità di relazione del venditore, orari
di apertura, ecc… Il servizio è uno dei fattori critici di successo e la sua
importanza nel sistema competitivo dei prodotti per l’edilizia aumenterà
ulteriormente nei prossimi anni. Il distributore offre quindi sempre più spesso un
pacchetto di servizi differenziati, in particolare l’assistenza tecnica, la consulenza
per la posa in opera, il completamento della gamma offerta. In numero minore
rispetto alle categorie appena indicate, si riscontrano anche grossisti che si
possono definire diversificati. Questi ultimi operano in settori diversi, per
esempio, anche nel settore immobiliare.
11
Un esempio in Lombardia di grossista di prodotti per edilizia diversificata può essere
rappresentato da Buscaglia a Pavia.
89
Figura 1.13 - Le nuove aree di attività del grossista specializzato
SERVIZI DI
BASE
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Isolamento
Impermeabilizzazione
Serramenti
Legno
Ferro
Cemento
Bioedilizia
Piasterlle
Posa
Brico
Quest’ultima tipologia di ingrosso di prodotti per l’edilizia rappresenta la
categoria più evoluta con le migliori performance e prospettive di crescita. Si
sviluppa con più unità e centralizza alcune attività per realizzare economie
dimensionali. Offre la gamma più completa di articoli in ampiezza e profondità ed
efficienti servizi logistici. I grossisti di materiali da costruzione per la casa plurispecializzati si caratterizzano per l’offerta dei seguenti servizi:
-
la sala mostra, adeguata ad accogliere il cliente privato e a valorizzare i
materiali di finitura;
la posa in opera con artigiani referenziati;
alcuni reparti a libero servizio;
il noleggio di macchinari;
il settore della termo-idraulica.
I fattori di successo dei grossisti di materiali da costruzione per la casa plurispecializzati sono i seguenti:
-
personale competente, formato e fedele;
relazioni stabili e continuative con i fornitori;
sistema informatico (collegato in rete con tutti i magazzini);
grande attenzione al cliente;
grande attenzione alle risorse umane;
una rete di venditori esterni tecnico-commerciali.
L’offerta di una vasta gamma di servizi di assistenza tecnica, di consulenza, è un
fattore di successo. Cresce l’ importanza dei servizi che richiedono un elevato
livello di specializzazione e di competenza tecnica. Emerge, inoltre, una forte
esigenza di crescita professionale, di informazione e di richiesta di formazione da
parte da parte dei clienti, le imprese di costruzione. Servizi sempre più evoluti, tra
cui anche l’assistenza sull’uso del prodotto in cantiere e la possibilità di
scambiarsi informazioni telefoniche e on line.
90
1.7. L’associazionismo tra grossisti
Le strategie di sviluppo associativo tra imprese all’ingrosso in Lombardia. Per
quanto attiene alle possibili misure di intervento regionale a sostegno del settore,
una direzione di sviluppo strategico che andrebbe opportunamente incentivata
concerne le aggregazioni tra grossisti che si possono configurare come Gruppi
d’acquisto o come Unioni Volontarie. La razionalizzazione e la modernizzazione
dell’apparato distributivo può essere stimolata per via endogena mediante la
strategia di sviluppo associativo.
I distributori all’ingrosso di minori dimensioni presentano in genere
produttività (fatturato per addetto, fatturato per metro quadrato e tasso di
rotazione) e risultati economici inferiori alla media del settore. L’associazionismo
rappresenta un importante vettore endogeno di modernizzazione del commercio
all’ingrosso che merita un adeguato approfondimento.
In Lombardia si riscontra ancora una percentuale dominante di distributori
grossisti indipendenti di piccole dimensioni e una quota inferiore, ma in crescita,
di distributori associati unitamente ad una ancora più esigua presenza numerica di
imprese commerciali che si sviluppano mediante acquisizioni.
Quali fattori, fino ad oggi, hanno ostacolato lo sviluppo associativo e quindi la
modernizzazione endogena del settore della distribuzione all’ingrosso in
Lombardia? Un primo ostacolo tipico allo sviluppo associativo è il “mito”
imprenditoriale dell’indipendenza e dell’autonomia decisionale. Gran parte degli
imprenditori commerciali indipendenti attribuiscono troppa importanza ai
vantaggi della piccola dimensione d’impresa. È noto che la flessibilità, la
conoscenza del mercato locale, l’elevata capacità d’adattamento offrono ed
offriranno ancora vantaggi competitivi alle imprese commerciali all’ingrosso
indipendenti. Tuttavia, il continuo aumento dei nuovi prodotti, le esigenze di
servizi sempre più sofisticati e le nuove tecnologie conferiscono vantaggi di scala
e richiedono una massa critica maggiore.
In altri termini, una delle ragioni di fondo del ritardo dell’associazionismo in
Lombardia (e più in generale nel Nord Italia) è imputabile alla mentalità
imprenditoriale ispirata ad un elevato individualismo ed opportunismo di breve
termine. Il timore di perdere autonomia decisionale è particolarmente accentuato
negli imprenditori commerciali più anziani. Tuttora l’imprenditore commerciale
tradizionale non entra in una struttura associativa (un Gruppo d’acquisto, un
Consorzio, Unione Volontaria) perché è un forte individualista, ha difficoltà di
delega e privilegia una prospettiva a breve termine. Ai fattori appena indicati si
sovrappongono tutti i problemi tipici delle imprese familiari, in cui gli elementi di
gestione economica-manageriale si intrecciano e si sovrappongono con il sistema
delle relazioni tra i diversi parenti. Nelle piccole imprese commerciali familiari,
che sono assai diffuse, inoltre, è più difficile trovare un accordo tra i diversi
componenti per aderire ad una struttura associativa. In questo caso le complesse
interrelazioni tra le diverse dimensioni: affettiva, imprenditoriale e gestionale
amplificano i problemi di crescita.
91
Molto spesso un distributore all’ingrosso indipendente fonda il suo vantaggio
competitivo su una valida localizzazione. Spesso, i vantaggi derivanti
dall’ubicazione sono superiori agli svantaggi dimensionali. Si consideri in
proposito come in alcune province del nord della Lombardia (la provincia di
Como per esempio) sia oggi molto difficile trovare spazi adeguati ad una nuova
iniziativa di distribuzione all’ingrosso. Tuttavia, nonostante gli ostacoli prima
evidenziati, si riscontra un numero sempre maggiore di tentativi di sviluppo di
strutture associative, anche a livello provinciale. In Lombardia e nelle altre
regioni del Nord è possibile osservare una presenza di Gruppi e di strutture
associative superiore alle altre regioni d’Italia; in particolare, da alcuni anni, si
stanno sviluppando gruppi d’acquisto a livello locale.
I distributori all’ingrosso che entrando in Gruppi d’acquisto o in Consorzi
riescono ad aumentare il loro potere contrattuale nei confronti dei fornitori, ma
perdono una parte della propria autonomia decisionale, per attenersi a strategie e
soluzioni gestionali ed organizzative comuni. I distributori associati, inoltre,
possono sviluppare iniziative di marketing, che autonomamente non sarebbero in
grado di realizzare.
Conviene ricordare che il Gruppo d’acquisto rappresenta un’associazione tra
soli grossisti, mentre le Unioni volontarie sono forme d’integrazione a valle
dell’ingrosso nella fase del dettaglio. In Lombardia la diffusione di Unioni
volontarie è limitata quasi esclusivamente al settore alimentare e al settore degli
elettrodomestici. In quest’ambito gli operatori stanno sviluppando anche reti di
punti vendita in franchising. Per questo motivo l’analisi si concentrerà sui Gruppi
d’acquisto.
Le fasi critiche dello sviluppo associativo tra grossisti. Quali sono le fasi più
importanti nello sviluppo di strutture associative tra grossisti? Quali fattori critici
si possono desumere dalla più recente esperienza associativa in Lombardia?
Di solito è l’aumento della pressione competitiva che induce i commercianti
all’ingrosso indipendenti a considerare la possibilità di partecipare a soluzioni
associative. In altri termini, è il timore di dovere subire una maggiore pressione
competitiva a seguito dell’espansione di imprese commerciali concorrenti a far
scattare l’impulso associativo.
Le aggregazioni commerciali presentano generalmente una dinamica evolutiva
che prevede una prima fase associativa non selettiva, successivamente, il Gruppo
d’acquisto inizia un processo di selezione degli associati. Nella seconda fase
successiva allo star up del Gruppo, le imprese con un profilo dimensionale e
gestionale incoerente di solito escono dalla struttura associativa. L’eterogeneità
degli associati, infatti, frena lo sviluppo e comporta maggiori costi gestionali. La
riduzione numerica degli associati procede parallelamente allo sviluppo del
fatturato complessivo del Gruppo.
Proviamo a chiarire quali sono i vantaggi e i limiti del Consorzio. Il Consorzio
può rappresentare una soluzione interessante, in particolare nella fase
d’avviamento di un gruppo d’acquisto, soprattutto in presenza d’eterogeneità
dimensionale dei soci. Nel Consorzio il potere di voto non è vincolato alla
dimensione di fatturato del socio. Il Consorzio può essere funzionale ad un
92
modello di sviluppo su base locale: i soci operano nella medesima area,
l’assortimento di prodotti richiesti è omogeneo e tra soci è facile riunirsi e
comunicare.
Il Consorzio sostiene un modello di crescita per “piccoli passi”. La gradualità
permette di consolidare il senso d’appartenenza al gruppo tra i soci, e li educa, nel
contempo, ad un processo decisionale collegiale e quasi democratico. La
soluzione del Consorzio, tuttavia, ha come contropartita la lentezza decisionale e
un elevato impegno individuale dei soci imprenditori.
Uno dei rischi presenti nella prima fase dello sviluppo associativo è quello di
dar vita a forme d’associazionismo opportunistico. Le soluzioni opportunistiche
hanno minori prospettive di crescita e presentano alcune caratteristiche che ne
pregiudicano lo sviluppo, in particolare:
-
-
lo statuto non prevede criteri di selezione dei soci, e, se ci sono, i vincoli
sono poco selettivi;
spesso non sono nemmeno previsti livelli minimi di performance
economica, e ciò va a scapito dei risultati di gestione complessiva del
Gruppo;
le occasioni d’incontro tra i soci sono limitate e le riunioni hanno carattere
soprattutto formale.
Per quanto concerne le attività svolte dalle Centrali associative di Gruppi
opportunistici, la contrattazione con i fornitori è centrata prevalentemente sul
prezzo; assumono, invece, scarso peso i servizi offerti dai produttori. Obiettivo
pressante, se non unico, è la crescita dimensionale a tutti i costi del Gruppo per
aumentare il potere contrattuale. Sono dedicate poche risorse alla formazione
interna e alla razionalizzazione gestionale delle imprese associate. Di fatto, gli
sforzi organizzativi si concentrano sulla contrattazione e sulla crescita
dimensionale/quantitativa. Infine, nemmeno i rischi e le responsabilità sono
suddivisi equamente, e in modo trasparente, tra i singoli soci. Si riscontra, di
solito, che mentre l’acquisto è portato avanti congiuntamente, la fase del
pagamento è gestita individualmente.
Dopo aver chiarito i rischi dell’associazionismo opportunistico, è opportuno
chiarire quali sono le fasi critiche dello sviluppo? Un primo punto da chiarire è
che non esiste un unico percorso di sviluppo associativo. È solamente possibile
indicare alcuni fattori critici su cui è opportuno porre attenzione. In genere i
problemi tipici dello sviluppo associativo sono i seguenti:
1. la chiarezza sostanziale degli obiettivi del Gruppo;
2. i criteri di selezione delle imprese associate, in modo da riuscire a ridurre
le differenze tra i soci, ed ottenere omogeneità dimensionale, geografica,
imprenditoriale-familiare, gestionale e culturale tra i soci;
3. la definizione delle soluzioni organizzative e gestionali, si tratta in
particolare di stabilire chiaramente vincoli gestionali alle imprese partner e
di porre limiti all’ambito d’azione della Centrale associativa;
93
4. i criteri di attribuzione ai singoli soci dei costi della Centrale e dei
contributi che il Gruppo d’acquisto riceve dai fornitori.
Vediamo ora di approfondire ulteriormente gli aspetti più importanti.
La chiarezza sostanziale degli obiettivi del Gruppo. Un primo fattore da
considerare fa riferimento alla chiarezza degli obiettivi perseguiti dal Gruppo. Un
forte ostacolo allo sviluppo associativo è rappresentato da quelle che sono definite
le agende nascoste. Le agende nascoste sono obiettivi reali non dichiarati, che
spingono alcuni imprenditori a costituire o ad entrare in un Gruppo d’acquisto, al
fine di ottenere vantaggi diversi da quelli esplicitati inizialmente. Alcune imprese
all’ingrosso associate, per esempio, potrebbero utilizzare le condizioni d’acquisto
stabilite dal Consorzio, solo come punto di partenza per iniziare un secondo
livello di trattativa individuale con i fornitori.
Definita l’importanza della chiara esplicitazione degli obiettivi del Gruppo e il
rilievo della condivisione degli stessi si deve procedere all’analisi della seconda
fase rilevante: la selezione delle imprese partner.
La selezione delle imprese associate. L’omogeneità dimensionale e gestionale dei
soci è uno dei principali fattori di successo di un’aggregazione commerciale.
L’omogeneità, infatti, consente la standardizzazione dei servizi offerti dalla
Centrale associativa. L’eterogeneità delle aziende associate, al contrario,
comporta elevati costi di gestione. La selezione dei soci è molto importante, e in
genere sottovalutata, nel percorso di sviluppo di una nuova struttura associativa
Nei Gruppi d’acquisto tra grossisti si riscontrano invece, troppo spesso, eccessive
differenze imprenditoriali tra i soci in termini d’obiettivi, di risorse economiche e
finanziarie, di competenze e capacità che possono pregiudicare lo sviluppo di un
Gruppo.
La definizione delle soluzioni organizzative e gestionali e i vincoli alle attività
della Centrale. Anche la chiara definizione della soluzione organizzativa da
adottare per l’attività della Centrale risulta notevolmente importante. Si tratta di
chiarire e condividere cosa si fa e come, con quali imprese e con quali soluzioni
organizzative e risorse. La centralizzazione amministrativa, per esempio, spesso
inizialmente crea più problemi che vantaggi, limitando il complesso sistema di
creazione di fiducia tra i soci. Ancora, è sempre meglio stabilire vincoli
gestionali: definire limiti all’attività della Centrale associativa, lasciare libere
alcune aree di attività, chiarire quali segmenti di clientela servire, studiare su quali
linee di prodotti concentrare gli acquisti, definire le risorse individuali richieste ai
singoli soci da destinare al Gruppo/Consorzio e chiarire i vincoli che i singoli soci
devono rispettare.
In alcuni casi di successo si è iniziato a centralizzare la componente
informativa dell’attività logistica e solo successivamente quella fisica, per
esempio, alcuni soci, assecondando vocazione e competenze, si specializzano su
determinate linee di prodotto e offrono servizi logistici agli altri distributori
associati.
94
I criteri di attribuzione ai singoli soci dei costi della Centrale, dei premi e dei
contributi dei fornitori. Lo sviluppo associativo inoltre può essere ostacolato da
una distorta percezione dei vantaggi da parte dei soci, dalla mancanza di
trasparenza e di comunicazione interna e dalla scarsa chiarezza nei criteri di
definizione dei costi attribuiti ai diversi soci. Bisogna, infatti, stabilire se
prevedere un contributo annuale per tutti o un contributo proporzionale ai
vantaggi ottenuti dalla partecipazione all’organizzazione o, infine, proporzionale
al grado di impiego dei servizi centralizzati.
Tra i fattori di successo dei Consorzi, dobbiamo ricordare la possibilità
d’impiego sinergico delle risorse e delle competenze dei singoli associati, la
razionalizzazione degli acquisti mediante un’attenta analisi delle scelte decisionali
dei singoli soci. La concentrazione degli acquisti dovrebbe essere preceduta da
un’attenta analisi storica dei dati di vendita dei singoli associati, dalla
condivisione degli obiettivi di fatturato rispetto ai fornitori partner e dal
monitoraggio dei dati di vendita finalizzato alla verifica del raggiungimento degli
obiettivi concordati con i fornitori.
Il ruolo e l’organizzazione della Centrale associativa. Un elemento che merita un
adeguato approfondimento è quello riguardante il ruolo delle Centrali associative.
Infatti, un problema tipico nello sviluppo associativo è rappresentato dalla
distonia tra gli obiettivi della Centrale e gli obiettivi dei singoli soci. In altri
termini, la Centrale associativa, con il passare del tempo, diventa sempre più
forte, grazie alla centralizzazione degli acquisti può raggiungere livelli di fatturato
decisamente superiori a quelli raggiunti dai soci più importanti. La Centrale inizia
a pensare di poter operare come un’azienda autonoma e non più come un’impresa
di servizi per gli associati. Sovente in questa fase gli attriti possono raggiungere
livelli patologici e, in alcuni casi, si è arrivati alla scissione del Gruppo.
L’obiettivo prioritario della Centrale deve restare quello di offrire servizi alle
imprese associate.
La centrale associativa non dovrebbe mai collocarsi come entità autonoma, che
persegue propri obiettivi, anche se spesso finisce col farlo. La distonia può
esistere anche tra gli obiettivi della Centrale e del singolo associato. Non deve
essere sottovalutata inoltre la dialettica tra i due livelli d’imprenditorialità, quella
periferica (riferita alle attività dei singoli soci) e quella della Centrale associativa.
Così come non vanno trascurate eventuali tensioni derivanti dalle differenze di
vantaggi ottenuti dai partner (anche per carenza degli stessi).
Va considerata anche la caduta di tensione nello sviluppo, che può impattare
sulla capacità di ottenere risultati tangibili anche parziali.
Nei casi di Centrali associative di successo i servizi sono offerti con elementi
di personalizzazione che valorizzano le specificità e l’immagine dei singoli soci.
La Centrale di successo, in base a quanto emerge dalle interviste, non soffoca
l’autonomia della periferia: compito dei manager di Centrale è il bilanciare con
grande equilibrio la centralizzazione ed il decentramento, rispettando l’autonomia
decisionale dei soci.
Dato il rilievo della figura del manager di Centrale, egli deve essere un ottimo
tecnico con elevate capacità politiche e non il contrario.
95
Non sembra invece rilevante per il raggiungimento del successo la soluzione
giuridica adottata.
Le Centrali associative di solito ricevono i contributi promozionali
dall’industria, li aggregano per poi ridistribuirli ai singoli soci in conformità a
differenti criteri e modalità, come per esempio: fatturato di sell in, numero di
prodotti ordinati nell’ambito d’iniziative promozionali, carte fedeltà e così via.
Tutte le Centrali associative corrono una serie di rischi. Con il tempo la Centrale
corre il rischio di diventare troppo potente e troppo autonoma, mentre deve
rimanere una struttura di servizio e al servizio degli associati. La pericolosità del
rischio è legata alla dimensione del fatturato. La Centrale deve quindi avere la
capacità d’auto limitarsi, perché il rischio è di continuare ad offrire sempre
maggiori servizi, assumere personale ed aumentare così costi, rigidità e distanza
dalla periferia. In altri termini, i soci dovrebbero riuscire a capire qual è la soglia
massima di servizi, e quindi di costi, su cui conviene plafonare lo sviluppo della
Centrale.
Tra i fattori che possono porre in crisi una Centrale associativa ricordiamo i
problemi d’integrazione e d’omogeneizzazione di strutture eterogenee, i criteri di
ripartizione dei contributi dei fornitori, gli attriti interni tra la negoziazione
centralizzata e la periferia (che non vuole rinunciare completamente alla leva
della negoziazione), la soluzione societaria ed organizzativa adottata.
Le Centrali in crisi sono quelle che si limitano ad offrire ai soci il servizio degli
acquisti centralizzati, perché non sono in grado di offrirne altri. Si caratterizzano
per legami deboli, con un’elevata indipendenza delle singole imprese che godono
quindi di un’eccessiva autonomia, senza seguire una politica comune di Gruppo.
Negli ultimi anni abbiamo assistito allo sviluppo di nuovi modelli organizzativi
di Centrale. Di particolare interesse è la cosiddetta Centrale di Servizi. In questo
caso, il modello organizzativo prevede una struttura come Società di servizi di
consulenza. I manager della Centrale propongono idee di marketing innovative,
soluzioni originali accolte e sostenute dai soci della Centrale e finanziate dai
fornitori. In pratica, sono proprio questi manager a sviluppare iniziative di comarketing. Allo stesso tempo devono convincere sia i soci commercianti che i
produttori a finanziare adeguatamente i progetti di co-marketing.
La Centrale di servizi non è finanziata all’inizio d’anno coi contributi dei soci,
ma deve trovare le risorse da sola, attraverso la propria gestione d’esercizio in
esercizio. I budget sono definiti di volta in volta, per singoli progetti. Questo
perché se il budget fosse annuale sarebbe minore la stimolo verso un modo di
lavorare più creativo ed efficace. I manager di Centrale si recano in periferia
spesso (anche una volta la settimana), presso gli imprenditori associati, per fare
formazione manageriale, finalizzata all’implementazione d’iniziative di comarketing.
La Centrale di Servizi non prevede un doppio livello di negoziazione, ma un
solo livello. Le Commissioni dedicate agli acquisti sono formate infatti da buyer
di centrale e di periferia, che si riuniscono anche settimanalmente. La periferia
viene così coinvolta direttamente nella negoziazione a livello Centrale. Si
96
“rompe” cioè il meccanismo della doppia negoziazione e alla periferia rimane di
conseguenza una quota di autonomia inferiore rispetto al passato.
L’obiettivo primario del Gruppo è la coesione e, perciò stesso, la selezione
iniziale è fondamentale poiché evita la concorrenza diretta tra rivendite vicine.
Allo stesso tempo, quando il Gruppo cresce non perde contatto con il mercato
locale. Il rapporto con i fornitori è definibile come partnership. Esiste un controllo
al fine di minimizzare eventuali comportamenti opportunistici. Anche se non a
breve, la fusione dei capitali viene vagliata come opportunità strategica.
Il ruolo dei fornitori nello sviluppo associativo. Lo sviluppo dell’associazionismo
in Italia dipenderà anche dalla posizione dei produttori. Quali sono i vantaggi e gli
svantaggi per l’industria?
La risposta non è semplice, e va ricercata nelle modalità di funzionamento del
Gruppo. In tutti i casi in cui il Gruppo funziona bene e ha adottato soluzioni
gestionali efficienti ed efficaci i vantaggi per i produttori sono superiori agli
svantaggi. I fornitori intervistati affermano spesso che l’inizio troppo veloce di un
Gruppo d’acquisto, unitamente alla scarsa selezione dei soci, si traducono in scas
partecipazione e capacità di rispettare gli impegni assunti. Sempre secondo i
fornitori intervistati, i Gruppi che funzionano permettono invece di avere davvero
un valido interlocutore e di sviluppare valore a livello di filiera.
Quali sono gli svantaggi dell’associazionismo commerciale per i produttori? I
fornitori a seguito dello sviluppo della distribuzione organizzata assistono alla
perdita di potere contrattuale e,quindi, ad un peggioramento delle condizioni di
vendita. È probabile però che la concentrazione della distribuzione finisca per
indurre anche ad una maggiore concentrazione dell’industria, riequilibrando di
conseguenza il mercato. Il valore aggiunto dell’associazionismo non va dunque
ricercato nella negoziazione, che è un gioco a somma nulla, ma nella partnership
che la dimensione associativa rende possibile.
I vantaggi dell’associazionismo commerciale per i fornitori fanno riferimento
alla centralizzazione del contratto, alla possibilità di ottenere un impegno annuale
sui risultati di vendita, alla migliore copertura territoriale. I vantaggi maggiori per
i produttori concernono l’area delle vendite e del marketing. È possibile ridurre il
numero del personale di vendita sul territorio, diminuire il numero dei venditori
tradizionali per aumentare quello del personale tecnico commerciale. E ultimo,
ma non per importanza, l'associazionismo consente una maggiore efficacia delle
iniziative di co-marketing.
La ricerca sul campo ha evidenziato inoltre l’emergere di un crescente divario
di produttività tra le rivendite indipendenti e quelle associate. In altri termini, i
risultati economici delle imprese associate sono migliori rispetto a quelli delle
indipendenti. È molto probabile che questa tendenza si accentuerà ulteriormente
nei prossimi anni.
Nei casi più evoluti, il Gruppo d’acquisto si può mettere in una posizione
competitiva diretta con i produttori. Un Gruppo può costituire un consorzio per
l’importazione di prodotti in esclusiva e commercializzare nel mercato italiano
prodotti con marchio commerciale. È questa la reazione competitiva più forte alle
97
strategie dell’industria di marca. La tendenza a delocalizzare la produzione in
Paesi asiatici può essere sfruttata dai Gruppi d’acquisto tra grossisti più dinamici.
1.8. Centri commerciali
Centri commerciali all’ingrosso pianificati. Il passaggio da ubicazioni
commerciali spontanee a localizzazioni in Centri Commerciali panificati
extraurbani dev’essere a nostro avviso stimolato dalla politica commerciale
pubblica, per i vantaggi che può offrire all’efficienza e all’efficacia del sistema
distributivo nel suo complesso.
In alcuni comparti merceologici, come per esempio il settore del tessile
abbigliamento, le ubicazioni storiche dei grossisti riguardano aree oggi
congestionate dal traffico. L’aumento del costo degli immobili nelle aree cittadine
centrali, le difficoltà per i clienti di trovare parcheggi, i problemi derivanti dallo
svolgimento d’attività commerciali in edifici su più piani, costruiti in funzione di
una destinazione d’uso residenziale e non commerciale, hanno costretto molti
grossisti del settore tessile abbigliamento a ripensare le proprie scelte ubicative e a
ricollocarsi all’interno di Centri commerciali pianificati extra-urbani. Un caso
significativo in proposito è quello dei commercianti del settore
tessile/abbigliamento ubicati nelle vie in prossimità della stazione centrale di
Milano.
Un centro commerciale all’ingrosso pianificato, al contrario, offre numerosi
vantaggi. La creazione di un Centro comporta un miglioramento notevole della
produttività. Un centro commerciale all’ingrosso offre due ordini di vantaggi
principali: in primo luogo, la riduzione dei costi dovuti alla gestione comune di
determinati servizi; in secondo luogo, l’aumento della forza d’attrazione. Le
imprese aderenti, infatti, possono ottenere economie di scala dalla gestione
“condominale” di numerosi servizi comuni. Il Centro commerciale, inoltre, offre
il vantaggio sinergico che deriva dalla complementarietà degli assortimenti offerti.
Un singolo distributore grossista può valorizzare la specializzazione merceologica
dell’assortimento, in quanto l’aggregazione spaziale di diversi grossisti fa
aumentare l’ampiezza e la profondità dell’offerta complessiva. La strategia di
specializzazione, invece, è una scelta preclusa nel caso del grossista con
ubicazione isolata.
Il Centro consente ai distributori al dettaglio di accedere più facilmente
all’offerta dei grossisti e migliora anche la trasparenza del mercato. I clienti
dettaglianti, che si recano presso un Centro commerciale all’ingrosso pianificato,
hanno minori costi di ricerca e di confronto. I clienti possono fruire di un maggior
numero d’offerte specializzate. Inoltre, i vantaggi logistici sono evidenti: la
facilità di parcheggio, di carico e scarico.
Infine, gli aderenti ad un Centro commerciale all’ingrosso riescono anche a
sviluppare iniziative di marketing integrato, quali campagne di comunicazione
98
congiunte, partecipazioni a Fiere anche internazionali e creare un sito vetrina per
offrire nuovi servizi dedicati.
Conclusioni. La distribuzione all’ingrosso non si limita a vendere ai distributori al
dettaglio, ma offre servizi commerciali a piccole aziende artigianali, a utilizzatori
industriali e, con soluzioni quali il Rack Jobbing, anche ai Gruppi della Grande
Distribuzione.
La distinzione tradizionale tra ingrosso e dettaglio, il primo focalizzato nel
commercio tra imprese e il secondo sulla vendita ai consumatori, ha perso gran
parte del suo significato originale. Un numero sempre maggiore di grossisti si
rivolge infatti anche al cliente finale privato. Non si tratta di una forma di
abusivismo, ma di una diversificazione pienamente giustificata sul piano
economico. Il grossista di bevande che consegna a domicilio, per esempio, rientra
in questa fattispecie e offre un servizio apprezzato da segmenti sempre più ampi
della popolazione (come gli anziani per esempio).
I distributori all’ingrosso sono identificati e considerati comunemente come
commercianti di prodotti tangibili, ma nella realtà creano valore anche offrendo
servizi intangibili alle imprese collocate a monte e a valle nei canali di
distribuzione. I distributori all’ingrosso selezionano i prodotti dalla sempre più
ampia gamma dell’offerta industriale, svolgono un’attività di marketing
d’acquisto, selezionano i fornitori, negoziano, assumono la proprietà dei beni,
stoccano i beni, informano i clienti, promuovono nuovi prodotti, finanziano i
clienti, assumono il rischio di credito, gestiscono l’opportunismo di produttori e
dettaglianti, processano gli ordini, gestiscono le consegne e il flusso delle
informazioni tra industria e distribuzione al dettaglio.
Il canale lungo e, quindi, l’intermediazione grossista non aumenta i costi di
distribuzione rispetto al canale corto. Come abbiamo più volte sottolineato, la
tendenza a “scavalcare” i grossisti nella maggiore parte dei casi non è guidata da
ragioni di costo. Inoltre, i costi sostenuti dai grossisti sono difficili da quantificare,
in quanto fanno sempre più spesso riferimento all’offerta di servizi.
Alcune aziende del settore dell’ingrosso stanno sperimentando soluzioni
innovative sia per aumentare il valore offerto ai clienti sia per ridurre i costi. Un
numero sempre maggiore di grossisti compete oggi maggiormente sui servizi
offerti, ma il pricing continua a fare riferimento per semplicità alla componente
tangibile dell’offerta, cioè al prodotto. In genere i clienti accettano prezzi più alti
per prodotti venduti da distributori che offrono servizi di qualità. Negli ultimi anni
questa convenzione è sempre meno accettata e si è innescata una concorrenza di
prezzo, senza la possibilità di ridurre i costi dei servizi erogati dai grossisti. Una
delle difficoltà economiche maggiori dei grossisti deriva dal fatto che hanno
sistemi di contabilità analitica troppo semplificati che impediscono, di fatto, di
calcolare il costo effettivo del servizio al cliente. Mentre le imprese industriali da
alcuni anni hanno adottato sistemi di activity based costing, le imprese di
distribuzione all’ingrosso non si stanno muovendo in questa direzione.
L’attribuzione dei costi, in relazione alle attività necessarie per supportare ciascun
cliente, consentirebbe di capire quali clienti suscitano costi superiori ai margine di
contribuzione.
99
Una prospettiva di sviluppo futura potrebbe essere quella di far pagare i clienti
per i reali servizi offerti dal grossista. Alcuni grossisti pensano infatti di superare
iul tradizionale pricing di prodotto e passare ad un pricing di cliente. Il passaggio
al pricing basato sui servizi offerti è rivoluzionario nel commercio all’ingrosso; la
valorizzazione dei servizi offerti è infatti un passaggio non facile da far accettare
ai clienti dei grossisti che sono abituati a considerare il costo del servizio incluso
nel prezzo del prodotto acquistato.
Un problema aperto resta quello dell’informatizzazione dei magazzini dei
grossisti. Negli Stati Uniti, per esempio, dal 1978 al 1996 si è assistito ad
un’importante fase di informatizzazione che ha consentito un consistente aumento
di produttività a tutto il sistema economico americano. Negli Stati Uniti i grossisti
hanno investito nell’informatizzazione della gestione degli ordini, nella
fatturazione, nei sistemi di controllo delle scorte, nella programmazione delle
consegne, nella tecnologia del picking e di caricamento degli scaffali, in nuovi
sistemi di tracking della movimentazione delle scorte. Inoltre, sempre negli Stati
Uniti, i grossisti hanno sviluppato sistemi di collegamento informatico con i
fornitori e con i clienti dettaglianti, ottenendo notevoli incrementi di produttività.
I Grossisti americani hanno sviluppato nuovi servizi ai clienti, in particolare i
seguenti:
-
sistemi di codifica a barre;
scanning;
sistemi di ordini informatizzati effettuati direttamente mediante computer
che consentono di sostituire sia il venditore che si reca presso il
dettagliante sia gli impiegati addetti all’inserimento dell’ordine presso gli
uffici del grossista.
Le nuove tecnologie informatiche consentono non solo di ridurre i costi, ma anche
di ridurre gli errori e di agire più rapidamente.
Le nuove tecnologie offrono vantaggi a chi cerca alleanze nei canali di
distribuzione. Inoltre, un più intenso scambio di informazioni nei canali di
distribuzione può permettere di razionalizzare l’attività logistica. Internet, per
esempio, ha conferito più potere di mercato ai clienti ed ha amplificato la facilità
di comunicazione tra imprese indipendenti. Gli sforzi per contenere la crescita dei
costi logistici e migliorare i servizi di consegna dovrebbero spingere alla
partnership e allo scambio di informazioni tra fornitore e cliente e alla ricerca di
nuove forme di collaborazione nei canali di distribuzione.
Un maggiore grado di coordinamento tra produttori e distributori potrebbe
consentire di riorganizzare le funzioni commerciali e stimolare la ricerca di
soluzioni innovative.
La collaborazione tra industria e distribuzione ha come presupposto
fondamentale lo sviluppo di un clima di fiducia reciproco tra produttori e
distributori. In alcune filiere l’abbandono della logica delle transazioni
opportunistiche e il prevalere di un approccio collaborativo tra fornitore e cliente
potrebbe portare ad un miglioramento della qualità dei servizi logistici offerti.
100
Quali sono le aree che potrebbero portare ad una riduzione dei costi di
interfaccia tra produttori e distributori all’ingrosso?
La creazione di listini su supporto elettronico è un percorso che ha già trovato
completa attuazione in altri settori, come quello del materiale elettrico. Richiede
una struttura dedicata alla normalizzazione dei file in modo che si utilizzi un
unico formato standard. Il problema è reso più complesso dal numero di attori
coinvolti in una filiera distributiva; maggiore è il numero e più alte sono le
difficoltà nel riuscire a conciliare esigenze diverse.
Nei prossimi anni si apriranno nuove opportunità per i grossisti sia in relazione
al processo di internazionalizzazione dell’economia sia rispetto ai più recenti
sviluppi delle nuove tecnologie e di internet.
Infine, conviene riflettere su quale sarà l’impatto del commercio elettronico sul
futuro dell’ingrosso. La tesi che la diffusione delle più recenti forme di
commercio elettronico possa portare all’eliminazione della figura del grossista è
semplicistica. I grossisti hanno dimostrato in molti settori una capacità inaspettata
di reinventare il loro ruolo. Le teorie sull’impatto di internet in proposito sono
contrastanti. L’e-commerce provocherà cambiamenti nelle attività svolte dai
grossisti, ma non li sostituirà. “Bypassare” i distributori all’ingrosso può sembrare
facile, ma gestire tutti i servizi e i flussi informativi offerti dai grossisti alle stesse
condizioni di costo non è nella realtà dei fatti così semplice. Ci sono alcuni
segnali, specie nelle economie tecnologicamente più avanzate, che internet possa
offrire più vantaggi che svantaggi all’attività di distribuzione all’ingrosso.
La maggior parte dei grossisti guarda con sospetto alle nuove soluzioni di ecommerce e alle aste on line. In particolare le aste on line inverse, sono ritenute
una modalità per ridurre i prezzi d’acquisto, trascurando le competenze dei
grossisti. Molti dei quali hanno effettuato investimenti specifici nella relazione
cliente-fornitore.
Le aste on line esasperano la trasparenza e la competizione di prezzo, ma
trascurano la riduzione complessiva del costo d’acquisto. Il costo totale include
anche elementi intangibili, spesso difficili da valutare. Si fa riferimento in
particolare ai tempi di consegna, allo scambio di informazioni sul mercato, sui
concorrenti, agli switching cost, alle garanzie. Il tentativo di inserire fattori diversi
dal prezzo nelle aste on line si è dimostrato estremamente complesso.
Non sono ancora chiare le implicazioni di medio termine delle aste on line
inverse, perché i partecipanti in genere utilizzano i risultati come base per
rinegoziare ulteriori sconti. Alcuni autori sostengono che le aste inverse
potrebbero portare ad una ulteriore concentrazione favorendo i distributori di
maggiori dimensioni, ma questa è solo un’ipotesi.
101
Capitolo 2
Ingrosso a libero servizio
L’esercizio specialistico della funzione di ingrosso diventa stabile quando è
giustificato sia sul piano sia dell’efficienza, che dell’efficacia. Oltre alle economie
esterne, il grossista deve essere, infatti, in grado di fornire ai clienti un servizio
che risponda ad esigenze che mutano nel tempo, in relazione a cambiamenti di
struttura e condotta nei rispettivi mercati. Quando la capacità di dare risposte
efficaci ed efficienti si affievolisce interviene l’integrazione verticale discendente
dei fornitori e ascendente dei clienti che mette in crisi l’esercizio specialistico
della funzione di ingrosso. Vi è poi una componente strutturale della crisi
dell’ingrosso connessa alla concentrazione del dettaglio e allo sviluppo di forme
distributive moderne come il supermercato e l’ipermercato. Tali fattori possono
essere visti non solo come responsabili della crisi dell’ingrosso, ma anche come
elementi che galvanizzano le energie imprenditoriali dei grossisti. In molti paesi si
è infatti passati dalla crisi al rinascimento dell’ingrosso attraverso innovazioni
organizzative e di prodotto, come le unioni volontarie e i cash and carry. Se
l’unione volontaria è una soluzione organizzativa che vincola il dettagliante al
grossista contro il corrispettivo di una serie di servizi che migliorano la
competitività, il cash and carry risponde alle esigenze di dettaglianti che non
possono o non vogliono associarsi, degli utilizzatori professionali e degli operatori
HO.RE.CA. di piccola e media dimensione.
Anche in Italia il destino economico del commercio all’ingrosso è stato
fortemente condizionato dai fattori sopra richiamati. La nascita dell’ingrosso a
libero servizio risale nel nostro paese ai primi anni Settanta, un periodo storico in
cui i grossisti alimentari risentono di una forte contrazione del mercato di
riferimento principale - il piccolo dettaglio indipendente -, a seguito della
rivoluzione commerciale. Le funzioni di ingrosso vengono infatti
progressivamente integrate dalle imprese della distribuzione moderna attraverso la
gestione di magazzini centralizzati e l’organizzazione di centrali di acquisto. A
fronte del cambiamento strutturale del contesto di riferimento, alcuni grossisti
tentano un riposizionamento dell’offerta, sviluppando una formula di ingrosso
innovativa che prevede l’applicazione della tecnica del libero servizio. La stessa si
caratterizza per una diversa configurazione del prodotto/servizio offerto e si
rivolge a una clientela con esigenze normalmente non soddisfatte dalle forme
tradizionali di ingrosso. I clienti del cash and carry possono infatti ottenere una
maggiore rotazione del magazzino, da un lato, per la possibilità di acquistare
quantitativi inferiori a quelli minimi imposti da altre forme di
approvvigionamento e, dall’altro, per la rapidità e continuità dei rifornimenti. In
generale, la convenienza dell’ingrosso a libero servizio si fonda sia sulle
caratteristiche strutturali del binomio merce-servizio, sia sui minori prezzi di
acquisto a loro volta riconducibili allo spostamento sul cliente di talune attività e
al pagamento in contanti.
Partendo da tali presupposti, la formula del cash and carry ha conosciuto nel
tempo un’evoluzione strutturale analoga a quella che caratterizza il ciclo di vita
delle forme distributive al dettaglio. Nella fase di introduzione (anni Settanta), il
prodotto commerciale presenta caratteristiche indifferenziate, a prescindere
dall’Insegna e dalla localizzazione. Il numero degli impianti sul territorio
nazionale è inferiore alle 100 unità e la superficie media non supera i 3.000 metri
quadrati. La domanda è in forte espansione, stimolata soprattutto dalla
convenienza delle nuove modalità di esercizio della funzione di ingrosso, la quale
risulta però limitata alle categorie dei prodotti alimentari confezionati. La fase di
sviluppo corrisponde ai primi anni Ottanta, durante i quali il numero dei cash and
carry cresce sensibilmente - nel 1985 si superano i 280 impianti distributivi - e
così anche la superficie media, la quale arriva ad attestarsi intorno ai 3.300 metri
quadrati. In questa fase del ciclo di vita si assiste ad un ampliamento dell’offerta
con l’inserimento delle categorie del fresco e ad una progressiva segmentazione
dell’offerta per tipologia di clientela. Tra la seconda metà degli anni Ottanta e la
prima metà degli anni Novanta, la formula entra nella fase di maturità: l’aumento
della numerica degli impianti porta alla saturazione del mercato in un contesto
competitivo in cui la modernizzazione del commercio si traduce in una
contrazione della quota degli acquisti dei dettaglianti tradizionali. Durante questa
fase si affermano due diversi profili di cash and carry. Il primo è quello degli
impianti di prima generazione appartenenti ai grossisti delle Unioni Volontarie: i
punti vendita sono di dimensioni contenute e arricchiscono il servizio offerto alla
clientela attraverso la consegna a domicilio per acquisti superiori a determinati
importi, l’assistenza di vendita ad alcune categorie di clienti (alberghi e mense) e
l’apertura di linee di credito per i clienti più importanti. Il secondo è quello degli
impianti di nuova generazione appartenenti alle Insegne della grande distribuzione
moderna succursalista, per le quali lo sviluppo di punti vendita cash and carry
non rappresenta l’attività di core business, bensì una diversificazione del
portafoglio dei formati distributivi presidiati. Gli impianti della G.D. si
caratterizzano per superfici di vendita più elevate rispetto a quelli del primo
profilo e per una forte focalizzazione sulla competizione di prezzo, basata sulle
economie di scala ottenute negli acquisti. Nella seconda metà degli anni Novanta,
la formula entra nella fase di declino, in cui si assiste ad una selezione degli
operatori, a seguito di un eccesso di offerta rispetto a una domanda decrescente,
soprattutto da parte del dettaglio tradizionale. Alcune imprese abbandonano così
la formula, convertendo gli impianti in ipermercati, mentre altre mantengono la
presenza nel canale rivedendo, tuttavia, le proprie strategie competitive e, in
particolare, orientando maggiormente l’offerta alla soddisfazione delle esigenze di
segmenti di clientela alternativi a quello degli alimentaristi (Fornari, 2006).
104
Il processo evolutivo descritto ha così portato il cash and carry a vivere negli
ultimi anni una nuova fase di rivitalizzazione, che appare favorita, da un lato,
dall’evoluzione della struttura e della densità dell’offerta di ingrosso a libero
servizio e, dall’altro, dalla modificazione del peso delle differenti tipologie di
clientela servite.
2.1. La struttura dell’offerta nella Regione Lombardia
Nel nostro paese sono presenti 365 impianti all’ingrosso a libero servizio per oltre
1,4 milioni di metri quadrati di superficie di vendita food e non food (tab. 2.1).
Tabella 2.1 - Numerica e superficie di vendita dei cash and carry per regione
(2005)
12
6
8
35
45
(mq food e non
food)
66.204
14.075
20.868
140.794
166.504
Superficie
media
(mq food e
non food)
5.517
2.346
2.609
4.023
3.700
9
38.083
21
15
49
10
4
26
25
7
22
21
Superficie totale
Regione
Numero
Quota nella forma
distributiva (%)
Numerica
Superficie
3,3%
1,6%
2,2%
9,6%
12,3%
4,6%
1,0%
1,4%
9,8%
11,5%
4.231
2,5%
2,6%
98.475
60.290
247.120
44.316
7.492
109.779
104.609
27.731
56.573
80.876
4.689
4.019
5.043
4.432
1.873
4.222
4.184
3.962
2.572
3.851
5,8%
4,1%
13,4%
2,7%
1,1%
7,1%
6,8%
1,9%
6,0%
5,8%
6,8%
4,2%
17,1%
3,1%
0,5%
7,6%
7,3%
1,9%
3,9%
5,6%
8
28.974
3.622
2,2%
2,0%
10
1
31
91
93
25.686
2.819
100.669
420.008
334.230
2.569
2.819
3.247
4.615
3.594
2,7%
0,3%
8,5%
24,9%
25,5%
1,8%
0,2%
7,0%
29,1%
23,2%
ABRUZZO
BASILICATA
CALABRIA
CAMPANIA
EMILIA ROMAGNA
FRIULI VENEZIA
GIULIA
LAZIO
LIGURIA
LOMBARDIA
MARCHE
MOLISE
PIEMONTE
PUGLIA
SARDEGNA
SICILIA
TOSCANA
TRENTINO ALTO
ADIGE
UMBRIA
VALLE D' AOSTA
VENETO
NORD-OVEST
NORD-EST
CENTRO+
SARDEGNA
SUD
69
277.084
4.016
18,9%
19,2%
112
410.615
3.666
30,7%
28,5%
TOTALE ITALIA
365
1.441.937
3.951
100,0%
100,0%
Fonte: elaborazioni su dati IRI
Nel periodo 2002-2005 i punti vendita sono aumentati del 13%, mentre la
dimensione media delle strutture si è ridimensionata stabilizzandosi intorno ai
4.000 metri quadrati.
105
Se nelle prime fasi del ciclo di vita, la forma distributiva del cash and carry si
è sviluppa soprattutto nelle aree del paese commercialmente meno evolute, in
quanto il target di riferimento era essenzialmente rappresentato dal dettaglio
tradizionale che necessitava di servizi di ingrosso seppur proposti attraverso una
formula più moderna, nel corso del tempo si è giunti ad una distribuzione più
omogenea degli impianti e della superficie di vendita sul territorio (tab. 2.1).
L’unica eccezione di rilievo è rappresentata dalle regioni dell’Italia centrale,
compresa la Sardegna, dove i livelli di presenza risultano più contenuti. In tale
ripartizione territoriale è possibile prefigurare uno scenario di sostanziale stabilità
della formula. Infatti, fatta eccezione per l’area della capitale, la difficile
morfologia del territorio e il ridotto numero di città con bacini demografici
interessanti, limitano l’espansione delle forme distributive moderne, sia al
dettaglio che all’ingrosso. Al contempo, risultano, tuttavia, frenate anche le
eventuali dismissioni delle strutture all’ingrosso a libero servizio esistenti, che
possono contare su una domanda sostanzialmente stabile proveniente dal dettaglio
tradizionale che, per i motivi suddetti, tende in tali regioni non solo a
sopravvivere, ma a consolidarsi (Lenci, 2006). Un ulteriore aspetto da rilevare è
come al Sud e nel Nord Est la copertura territoriale in numerica risulti superiore a
quella in termini di superficie di vendita (rispettivamente 31% contro 28% e 26%
contro 23%). Per converso, il Nord Ovest concentra una quota di superficie di
vendita all’ingrosso a libero servizio (29%) superiore a quella in termini di
impianti (25%) (tab. 2.1). La dimensione delle strutture di vendita inferiore alla
media nazionale trova spiegazione, nel caso del Sud Italia, nel tradizionale
maggiore orientamento degli operatori verso il segmento degli alimentaristi e
nella minore presenza di strutture sviluppate dalla grande distribuzione moderna
succursalista, e, nel caso del Nord Est, nello sviluppo da parte delle Insegne del
canale di punti vendita con un’offerta rivolta principalmente agli operatori
foodservice in città con piccoli bacini d’utenza utilizzando un format di
dimensioni ridotte (Lenci, 2006).
106
Tabella 2.2 - Numerica e superficie di vendita dei cash and carry per provincia
lombarda (2005)
Provincia
Numero
Superficie totale
Superficie media
Bergamo
Brescia
Como
Cremona
Lecco
Lodi
Milano
Mantova
Pavia
Sondrio
Varese
5
13
3
3
3
2
10
1
4
1
4
(mq food e non
food)
19.308
67.175
9.582
10.330
17.511
9.800
63.008
3.700
9.131
3.000
34.575
(mq food e non
food)
3.862
5.167
3.194
3.443
5.837
4.900
6.301
3.700
2.283
3.000
8.644
Tot. LOMBARDIA
49
247.120
5.043
Fonte: elaborazioni su dati IRI
Quota nella forma
distributiva (%)
Numerica
Superficie
10,2%
26,5%
6,1%
6,1%
6,1%
4,1%
20,4%
2,0%
8,2%
2,0%
8,2%
7,8%
27,2%
3,9%
4,2%
7,1%
4,0%
25,5%
1,5%
3,7%
1,2%
14,0%
100,0%
100,0%
La prima regione italiana per numero di impianti e superficie di vendita è la
Lombardia, con una quota nella forma distributiva del 13% in numerica e del 17%
in termini di superficie di vendita (tab. 2.1). La copertura regionale della rete non
risulta tuttavia omogenea, considerato che le sole province di Milano e Brescia
concentrano circa il 50% degli impianti e della superficie di vendita (tab. 2.2.).
2.2. Le caratteristiche della domanda
La formula del cash and carry non è stabile, ma ha subito un processo di
evoluzione nel corso del suo ciclo di vita. Si tratta di un’evoluzione che non è
generalizzata per tutta la clientela, ma selettiva. I cambiamenti nella quantità e
qualità del servizio intervenuti con l’ingresso della formula nelle diverse fasi del
ciclo di vita risultano cioè differenziati in funzione delle caratteristiche dei diversi
segmenti di clientela. La possibilità di conoscere il profilo di acquisto e le diverse
esigenze della clientela attraverso la carta commerciale e il data mining dei dati
POS hanno di fatto permesso di differenziare il servizio e di discriminare il prezzo
per segmenti di clientela customizzando di conseguenza il formato.
A livello generale, il prodotto dell’ingrosso a libero servizio è particolarmente
adatto a coloro che acquistano frequentemente quantità sostanzialmente contenute
di un numero elevato di articoli. Più precisamente, la clientela che frequenta i
cash and carry può essere così segmentata:
-
dettaglianti indipendenti: negozianti, ambulanti, specialisti (macellerie,
pescherie, negozi di ortofrutta);
107
-
-
utilizzatori professionali: imprenditori, liberi professionisti (tassisti,
parrucchieri, amministratori condominiali, medici, avvocati, ecc.),
artigiani;
operatori del mercato della ristorazione (HO.RE.CA).
In particolare, il mercato della ristorazione è costituito dalla imprese che offrono
servizi di somministrazione di cibo e bevande, a loro volta riconducibili alle
categorie della ristorazione collettiva e commerciale. Quest’ultimo canale è
composto dai cosiddetti pubblici esercizi, ovvero dai locali di somministrazione
frequentati liberamente per scelta personale del consumatore. Il giro d’affari
complessivo della ristorazione in Italia è stimato intorno ai 63 miliardi di euro
(Euromonitor e Gira, 2005). La ristorazione commerciale incide sul valore
complessivo del mercato nella misura del 77%, di cui il 65% (circa 31 miliardi di
euro) è imputabile ai ristoranti e il 35% ai bar (circa 17 miliardi di euro). Il 94%
del mercato in valore è coperto dalla ristorazione commerciale indipendente,
composta da imprese di tipo tradizionale, di dimensioni ridotte a conduzione
imprenditoriale e ad elevata componente di lavoro familiare.
Gli approvvigionamenti rappresentano una delle aree critiche per gli operatori
dei pubblici esercizi poiché la scelta del canale d’acquisto ha un impatto sulla
configurazione dei rapporti verticali con l’industria e con gli intermediari
commerciali, sul livello di differenziazione dell’offerta e di redditività
dell’attività. Gli approvvigionamenti rappresentano, infatti, la seconda voce di
costo più significativa dopo il personale, con un’incidenza sul totale del 29% per i
ristoranti e del 31% per i bar (Cermes, 2006).
La scelta della fonte di approvvigionamento è condizionata da diverse variabili
tra le quali occorre ricordare, in particolare, la convenienza (reale e percepita), i
vincoli di tempo, il presidio territoriale da parte delle diverse tipologie di fornitori,
la dimensione della superficie di stoccaggio e la localizzazione dell’esercizio, il
livello di accentramento decisionale nella figura del titolare in merito all’attività
d’acquisto, la tipologia di prodotti da acquistare, la “storicità” della relazione coi
fornitori (Fornari, 2006). La valutazione oggettiva della convenienza offerta dalle
diverse fonti appare tutt’altro che semplice: si pensi alla difficoltà di valutare la
qualità intrinseca dei prodotti freschi o all’impatto delle iniziative promozionali,
realizzate con frequenza e intensità maggiore da alcune fonti, come i cash and
carry e i punti vendita al dettaglio moderni. L’attività di acquisto è, peraltro,
dispendiosa non solo in termini monetari, ma anche di tempo. A parità di quantità
e qualità dei prodotti e dei servizi offerti, gli operatori ricercano i fornitori che
consentono di risparmiare il maggior numero di ore. Sono soprattutto gli operatori
del canale bar a caratterizzarsi per la ricerca di contenuti di offerta time saving, dal
momento che l’attività di somministrazione risulta nella maggior parte dei casi
continua durante la giornata, rendendo difficoltoso al titolare e/o a un dipendente
assentarsi per effettuare gli acquisti. I ristoranti si caratterizzano, per converso, per
orari di apertura spezzati e concentrati in alcune fasce orarie, il che consente loro
di rivolgersi a fonti di approvvigionamento che necessitano di una maggiore
quantità di tempo, come il cash and carry. Non vanno poi dimenticati i cosiddetti
costi d’acquisto nascosti, che caratterizzano alcune fonti in misura maggiore di
108
altre; si pensi per esempio ai costi legati al tempo speso nei contatti/relazioni con i
grossisti che visitano periodicamente il pubblico esercizio, ovvero al tempo
investito nelle pratiche amministrative conseguenti alla gestione dei rapporti con
un elevato numero di interlocutori, ognuno specializzato nella fornitura di una o
poche categorie di beni. La densità territoriale degli operatori è un ulteriore
elemento che incide sulla scelta del canale di acquisto. Le differenze nel presidio
territoriale delle diverse fonti di approvvigionamento si traducono spesso in una
preferenza da parte dei pubblici esercizi nei confronti di quelle in grado di offrire
un maggiore servizio di prossimità. Non va poi trascurata la dimensione della
superficie di stoccaggio: all’aumentare della disponibilità di spazi di stoccaggio, i
pubblici esercizi possono acquistare quantitativi di prodotto crescenti ottenendo
una contrazione del costo di acquisto e del tempo dedicato all’attività di spesa.
Tuttavia, il costo di locazione dei locali tende ad agire a favore della riduzione
della superficie di stoccaggio a vantaggio di quella di vendita. I pubblici esercizi
sono quindi impegnati a minimizzare i costi del magazzino preferendo in generale
l’acquisto frequente di piccoli lotti di merce. Tale orientamento finisce per
favorire la scelta di fonti di approvvigionamento che consentono una maggiore
frammentazione dei lotti di acquisto (cash and carry e punti di vendita al
dettaglio) rispetto a quelle che consentono l’ottenimento di una maggiore
convenienza su quantitativi consistenti. Occorre tuttavia precisare che mentre i bar
si caratterizzano per una superficie di deposito mediamente pari a 43 metri
quadrati, che non consente lo stoccaggio di elevate quantità di scorte, i ristoranti
presentano una superficie di stoccaggio più estesa (67 metri quadrati), che
garantisce la possibilità di effettuare rifornimenti meno frequenti soprattutto per
alcune tipologie di prodotti (si pensi in particolare alle bevande). La capacità di
stoccaggio è poi spesso limitata dalla localizzazione dell’esercizio nel centro
storico; tale fattore può peraltro rendere difficoltoso l’accesso al locale per i
rifornimenti. Il livello di delega dell’attività d’acquisto è un altro fattore che
incide sulla scelta dei canali di approvvigionamento. I modelli d’acquisto
accentrati nella figura dell’imprenditore agiscono infatti a favore di fonti di
approvvigionamento self service con assortimenti profondi che permettono al
titolare di scegliere autonomamente i prodotti più adatti al locale, sia sul piano
della quantità, che della qualità. Tale modello viene utilizzato in misura maggiore
dai ristoranti rispetto ai bar, in quanto il titolare è spesso anche il cuoco e desidera
scegliere personalmente i prodotti migliori, soprattutto gli ingredienti freschi. Va
infine ricordato che per l’acquisto delle tipologie di prodotti da cui dipende il
livello di differenziazione del locale (si pensi ancora una volta ai freschi) tende a
prevalere un orientamento alla ricerca della qualità, che porta a privilegiare le
fonti specializzate. Ciò vale in particolare per i ristoranti dove peraltro gli
approvvigionamenti tendono a concentrarsi su un numero ridotto di merceologie
(carne, pesce e vini) che arrivano a rappresentare il 40% del valore degli acquisti
annuali.
Dal momento che la scelta delle fonti di approvvigionamento dei pubblici
esercizi costituisce un’attività complessa condizionata da una molteplicità di
fattori concomitanti, non stupisce che le quote di mercato delle differenti tipologie
di fornitori appaiano molto diverse (tab. 2.3). Il canale dell’ingrosso tradizionale
109
rappresenta la principale fonte di approvvigionamento degli operatori della
ristorazione, arrivando a coprire oltre il 60% del valore degli acquisti. Il cash and
carry rappresenta una fonte di approvvigionamento importante, detenendo una
quota di mercato mediamente pari al 16%.
Tabella 2.3 - La quota di mercato delle fonti di approvvigionamento dei pubblici
esercizi (% valore acquisti sul totale)
Produttori
industriali
Ingrosso
Diretto
Produttori agricoli
Distribuzione Moderna
Grossisti ho.re.ca e catering
Grossisti di prodotto
Società commerciali nazionali
Distribuzione diretta
Laboratori di trasformazione
Cash & Carry
Iper - Super - Discount
32%
34%
8%
14%
3%
16%
3%
64%
17%
19%
Fonte: Maior Consulting, 2004
All’interno del mercato foodservice si delinea quindi una predominanza del canale
di distribuzione lungo rispetto a quello corto. Il ruolo dell’ingrosso, nella
componente tradizionale e a libero servizio, risulta pertanto determinante e ciò
anche in prospettiva, soprattutto per i processi di approvvigionamento degli
operatori della ristorazione commerciale indipendente, che si caratterizzano per
dimensioni ridotte dei locali, elevata dispersione territoriale e bassa propensione
all’associazionismo.
In tale contesto, va sottolineato che l’offerta proposta dai cash and carry alla
clientela dei pubblici esercizi può contare su alcuni punti di forza, ma risente al
contempo di elementi di debolezza rispetto ai grossisti tradizionali (Fornari,
2006). Un primo punto di forza è il livello di convenienza offerto. Secondo
un’indagine Cermes (2006), confrontando i prezzi a scaffale dei prodotti
alimentari confezionati venduti al cash and carry con i listini di vendita dei
grossisti tradizionali è possibile quantificare, al netto delle iniziative
promozionali, un differenziale di convenienza a favore dei cash and carry del 7%.
Il posizionamento di convenienza dell’ingrosso a libero servizio risulta ancora più
rilevante se nell’analisi comparativa si considerano le promozioni. In media si
stima che i cash and carry si caratterizzino per una pressione promozionale del
27%, che nel caso dei grossisti tradizionali si attesta invece intorno 7 - 8%. Ne
deriva un differenziale di convenienza totale del cash and carry rispetto
all’ingrosso tradizionale pari al 12%, con punte del 15% nelle categorie a
maggiore incidenza delle vendite promozionali (come quelle degli oli e dei
condimenti). Un secondo punto di forza è rappresentato dall’ampiezza
dell’assortimento. Infatti, a differenza dei grossisti tradizionali che in genere
propongono gamme di prodotto specializzate, i cash and carry offrono un
assortimento esteso alle varie categorie di prodotti freschi e confezionati,
alimentari e non alimentari. Questo consente agli operatori del mercato
foodservice di concentrare l’attività di acquisto di diversi prodotti in un’unica
soluzione e di snellire le procedure amministrative. Il terzo punto di forza
dell’ingrosso a libero a servizio è connesso alla possibilità offerta agli esercenti di
contenere i costi di stoccaggio, realizzando acquisti anche in piccoli lotti, a
differenza di altre fonti che prevedono in genere minimi di acquisto consistenti.
110
Infine, non vanno dimenticati gli orari di apertura continuati e spesso estesi anche
ai giorni festivi. Ciò si traduce nella possibilità di programmare la visita in
relazione alla disponibilità di tempo e di far fronte ad eventuali emergenze di
approvvigionamento non pianificate che i grossisti tradizionali potrebbero
soddisfare con una consegna a domicilio che nella migliore delle ipotesi si
realizza nel giro di 24 ore. Tra i punti di debolezza va invece, in primo luogo,
ricordato che l’acquisto presso il cash and carry comporta l’investimento di
risorse consistenti in termini di tempo e di mezzi, mentre i grossisti tradizionali
offrono in genere la consegna a domicilio. Si stima che la spesa al cash and carry
richieda in media l’investimento di 2 ore di tempo, considerando sia gli
spostamenti che l’attività di acquisto vera e propria, oltre alla necessità di
provvedere personalmente alle attività di carico e scarico della merce. Un ulteriore
elemento di debolezza è connesso alla standardizzazione della proposta
commerciale. Infatti, la profondità e varietà dell’offerta garantite per ogni
categoria merceologica appaiono spesso insufficienti a supportare i processi di
differenziazione dei pubblici esercizi. Peraltro, nei casi in cui il cash and carry
proponga almeno su alcune categorie differenzianti (si pensi ai freschi e ai vini)
una varietà di gamma particolarmente estesa, il prezzo tende a risultare meno
conveniente. Infine, un ultimo punto di debolezza è riconducibile alla ridotta
personalizzazione del rapporto che si traduce in un minor livello di
assistenza/consulenza del personale di vendita rispetto a quello in genere offerto
dall’ingrosso tradizionale.
Sulla scorta delle considerazioni avanzate può essere interessante tentare di
quantificare il vantaggio economico complessivamente offerto dal cash and carry
ai pubblici esercizi rispetto all’ingrosso tradizionale. Si è detto che l’acquisto
presso il cash and carry si traduce in un differenziale di prezzo di acquisto
comprensivo delle promozioni del 12%. Tuttavia, il ricorso al canale cash and
carry comporta un impegno maggiore rispetto al grossista a domicilio. Secondo
l’indagine Cermes (2006), i costi dell’attività di approvvigionamento presso il
canale cash and carry (costo del personale per attività di acquisto, di trasporto e di
movimentazione della merce, svalutazione degli automezzi, gestione dei mezzi,
carburante, gestione amministrativa, maggiori costi finanziari) arrivano a
rappresentare il 9,6% del valore degli approvvigionamenti (9,4% per i bar e 9,7%
per i ristoranti). Nel caso di ricorso al grossista, la somma dei costi di contatto
(tempo visita, spese telefoniche, ecc), dei costi amministrativi e dei maggiori costi
logistici (area riserva, ecc.) non supera il 5,1% del valore complessivo degli
approvvigionamenti (5,3% per i bar e 4,9% per i ristoranti). Per un paniere
comparabile di prodotti, tenendo conto, da un lato, del posizionamento di prezzo
dei due canali e, dall’altro, dei costi dell’attività di acquisto, è pertanto possibile
stimare che il cash and carry goda rispetto all’ingrosso tradizionale di un
differenziale positivo del costo netto d’acquisto del 7,5%.
Se, come visto, la decisione in merito alle fonti di approvvigionamento
costituisce per i pubblici esercizi un’attività complessa in relazione all’ampiezza
dei criteri alla base della scelta, nel caso del dettaglio tradizionale indipendente un ulteriore segmento di clientela rilevante per il cash and carry – si ritiene che la
stessa sia fondata su criteri in parte diversi e meno articolati. Infatti, secondo
111
Lenci (2006), gli alimentaristi scelgono il canale dove effettuare gli acquisti
soprattutto in base alla convenienza (prezzi competitivi e promozioni) e alla
profondità dell’offerta, attribuendo minore importanza alla comodità e facilità di
acquisto (tab. 2.4).
Tabella 2.4 - I criteri di scelta delle fonti di approvvigionamento dei pubblici
esercizi e del dettaglio tradizionale indipendente
Criteri di scelta
Ristoratori
Bar
Alimentaristi
Più importanti
Vicinanza
Orari di apertura
Rapidità
Parcheggio
Assortimento
Cortesia
Promozioni
Vicinanza
Posizione
Parcheggio
Assortimento
Orari d’apertura
Prezzi bassi
Promozioni
Assortimento
Prezzi bassi
Vicinanza
Rapidità
Meno importanti
Fonte: Lenci, 2006
Dopo le considerazioni circa l’importanza relativa assunta dei cash and carry nel
soddisfacimento delle esigenze di approvvigionamento di diverse tipologie di
clientela rispetto ad altri canali, è utile ribaltare la prospettiva di analisi, valutando
l’importanza che le diverse tipologie di clientela assumono per gli operatori
dell’ingrosso a libero servizio. Come già anticipato, la fase di rivitalizzazione che
sta vivendo il canale ha tra i principali vettori di successo la modificazione del
peso dei diversi segmenti di clientela serviti. Si stima infatti che, negli ultimi dieci
anni, l’incidenza delle vendite agli operatori del dettaglio tradizionale
indipendente si sia fortemente ridimensionata, passando dal 55% del 1995 al 34%
del 2005. A fronte di tale ridimensionamento, si è assistito ad un aumento più che
proporzionale del contributo al fatturato degli operatori del mercato foodservice
(dal 24% al 38%). Nello stesso periodo si è, peraltro, consolidata la quota di
vendite realizzata con la clientela professionale. Il peso di tale tipologia di
clientela sul fatturato è infatti passato da 21% al 28%. Occorre precisare che
all’interno del mercato foodservice i segmenti che contribuiscono maggiormente
allo sviluppo del giro d’affari dei cash and carry sono quelli dei ristoranti (che
pesano per il 17% sulle vendite annuali) e dei bar (14%), mentre minore appare il
contributo delle mense (5%) e degli alberghi (2%) (fig. 2.1). La ristorazione
collettiva si rivolge infatti in modo saltuario ai cash and carry, per necessità
impellenti e non continue riguardanti soprattutto alcune categorie merceologiche
quali i freschi e il casalingo professionale.
L’importanza dei diversi segmenti di clientela per contributo al fatturato
dell’ingrosso a libero servizio risulta tuttavia differenziata all’interno del paese.
Infatti, nel Nord Italia l’importanza relativa delle diverse tipologie di clientela
risulta in linea con la media italiana, anche se il contributo al giro d’affari degli
operatori HO.RE.CA. è leggermente superiore al dato nazionale e quello dei
dettaglianti tradizionali indipendenti lievemente al di sotto. Nel Sud Italia, la
principale tipologia di clientela per incidenza sulle vendite è invece quella dei
dettaglianti (39%), seguiti dagli operatori del mercato foodservice (35%). Inoltre,
112
la percentuale di fatturato relativa agli utenti professionali (27%) si attesta su
livelli inferiori a quelli del Nord (fig. 2.2).
Figura 2.1 - Il peso dei diversi segmenti di clientela sul fatturato dei cash and
carry (2005)
negozianti
33,7%
27,8%
ambulanti
2,0%
specialisti
3,7%
bar
13,8%
alberghi
2,0%
37,9%
ristoranti
17,2%
comunità
28,4%
4,9%
professionali
Fonte: indagine IRI su imprese associate ADIS
Figura 2.2 - Il peso dei diversi segmenti di clientela sul fatturato dei cash and carry per
area geografica (2005)
NORD
SUD
negozianti
31,0%
ambulanti
specialisti
25,4%
39,1%
2,0%
3,6%
bar
alberghi
ambulanti
specialisti
14,6%
31,8%
2,4%
3,9%
bar
1,8%
alberghi
39,6%
12,4%
2,4%
35,1%
ristoranti
comunità
29,3%
negozianti
18,3%
ristoranti
4,9%
comunità
26,7%
professionali
15,5%
4,8%
professionali
Fonte: indagine IRI su imprese associate ADIS
Le differenze Nord-Sud nella composizione della domanda dell’ingrosso a libero
servizio possono trovare spiegazione, in primo luogo, nella diversa distribuzione a
livello italiano dei pubblici esercizi (più diffusi nel Nord del paese) e del dettaglio
indipendente (più presente al Sud) (tab. 2.5). Ciò a sua volta ha influito sulle
strategie delle Insegne del canale che, nelle aree commercialmente più evolute
113
sotto il profilo sia della distribuzione grocery che degli esercizi HO.RE.CA., sono
state incentivate ad orientare maggiormente l’offerta al soddisfacimento delle
esigenze degli operatori del mercato foodservice, sviluppando formati con un
assortimento completo di prodotti freschi e non food. Laddove il grado di
modernizzazione del dettaglio grocery si attesta su livelli inferiori, le Insegne
sono state per converso incentivate a continuare ad orientare l’offerta verso il
segmento di clientela tradizionale della formula, ovvero quello degli alimentaristi.
La minore rilevanza degli operatori della ristorazione, ma anche degli utenti
professionali, per contributo al fatturato dei cash and carry presenti nel Sud del
paese trova quindi spiegazione anche nella limitata presenza di impianti
all’ingrosso a libero servizio con un assortimento di prodotti freschi e non
alimentari in grado di soddisfare compiutamente le esigenze di tali categorie di
clienti (Lenci, 2006). Peraltro, l’ingresso di Metro nelle regioni meridionali, con
lo sviluppo di un profilo di offerta che si discosta fortemente dalla media del
mercato, è sostanzialmente recente e il livello di presidio non raggiunge quello del
Nord Italia dove l’Insegna è leader per quota di superficie di vendita (§ 2.3).
Tabella 2.5 - Distribuzione regionale dei pubblici esercizi e del dettaglio
tradizionale indipendente (% su numerica) (*)
Regioni
ABRUZZO
BASILICATA
CALABRIA
CAMPANIA
EMILIA ROMAGNA
FRIULI VENEZIA GIULIA
LAZIO
LIGURIA
LOMBARDIA
MARCHE
MOLISE
PIEMONTE
PUGLIA
SARDEGNA
SICILIA
TOSCANA
TRENTINO ALTO ADIGE
UMBRIA
VALLE D'AOSTA
VENETO
TOTALE ITALIA
Ristoranti
Bar
Pubblci esercizi
3,0%
0,8%
3,4%
8,4%
7,3%
2,8%
8,4%
4,6%
13,3%
2,7%
0,7%
7,6%
6,2%
3,4%
5,2%
8,3%
2,7%
1,6%
0,6%
9,0%
100,0%
2,4%
0,9%
2,8%
7,9%
8,3%
2,8%
8,6%
4,1%
17,7%
2,5%
0,6%
8,2%
5,0%
3,6%
4,9%
6,5%
2,2%
1,3%
0,4%
9,2%
100,0%
2,6%
0,9%
3,1%
8,1%
7,9%
2,8%
8,5%
4,3%
16,0%
2,6%
0,6%
8,0%
5,5%
3,5%
5,0%
7,2%
2,4%
1,4%
0,5%
9,2%
100,0%
Dettaglio
tradizionale
indipendente
2,6%
1,5%
5,4%
17,0%
5,6%
1,7%
8,0%
3,8%
3,1%
2,7%
0,9%
6,8%
9,0%
4,8%
10,9%
6,6%
1,5%
1,5%
0,3%
6,2%
100,0%
(*) Pubblici esercizi: giugno 2006; Dettaglio tradizionale indipendente (minimercati indipendenti e
negozi tradizionali): gennaio 2006
Fonte: C.S. Fipe su dati Cerved; Ministero dello Sviluppo Economico
114
2.3. Formati di punti vendita e posizionamento competitivo delle
insegne
Il cash and carry è un formato di punto vendita sviluppato da imprese che
appartengono a diversi gruppi strategici:
-
-
imprese mono canale: si tratta in particolare del leader di mercato Metro Italia;
imprese a succursale: costituite da aziende multicanale che operano nel cash
and carry con una struttura separata da quella del retail, centralizzata negli
acquisti, che controlla una rete di punti di vendita di diversa dimensione in
gestione diretta o in affiliazione (si pensi a Gross Market di Lombardini e a
Docks Market di Carrefour);
unioni volontarie e gruppi di acquisto: anch’essi multicanale ma, a differenza
delle imprese a succursale, formati da imprenditori che operano nei diversi
canali con promiscuità (si pensi a Selex e Interdis).
Le aziende commerciali attive nel canale cash and carry presentano pertanto
portafogli prodotti di diversa ampiezza e diversamente equilibrati come
distribuzione della superficie e del fatturato. Il diverso posizionamento delle
Insegne in funzione della dimensione (fatturato dei punti vendita moderni) e della
struttura dell'offerta (incidenza dei canali) può essere osservato in figura 2.3. E’
opportuno sottolineare che la multicanalità riduce in genere la trasparenza nei
rapporti verticali e rende ancora più necessaria la condivisione del patrimonio
informativo, specialmente per i fornitori che intendono differenziare i formati di
prodotto e la politica di vendita per forma distributiva.
La tabella 2.6 evidenzia la struttura dell’offerta all’interno del canale per
gruppo strategico, sottolineando le differenze esistenti tra i cash and carry della
distribuzione organizzata - presenti maggiormente al Sud e con dimensioni di
punto vendita mediamente più contenute - e quelli della grande distribuzione caratterizzati da superfici di vendita di maggiori dimensioni e una localizzazione
che privilegia le aree commercialmente più evolute sia sotto il profilo della
distribuzione grocery che degli esercizi HO.RE.CA. -.
Scendendo a livello delle singole imprese che presidiano il canale, la tabella
2.7 riporta informazioni relative alla struttura in numerica, alla quota di mercato,
alla superficie complessiva e media delle singole Insegne. La quota di mercato è
calcolata facendo riferimento sia alla superficie che al potenziale di vendita
grocery. Quest’ultima è una stima della quota di vendita dell’Insegna ed è
determinata attraverso il giro d’affari dei prodotti grocery (drogheria alimentare,
bevande, fresco, freddo, petfood, cura casa, cura persona) a peso calibrato di
ciascun punto vendita. La tabella riporta anche indicazioni in merito alla
deviazione standard della superficie. Si tratta di una misura del livello di
omogeneità della rete delle Insegne, in quanto indica lo scostamento della
superficie di vendita rispetto alla media: quando tale valore è più alto della media
i punti vendita sono disomogenei e il perseguimento di una strategia di marca
115
Insegna è, in genere, più debole12. I dati riportati in tabella sottolineano come sul
piano competitivo il comparto dei cash and carry in Italia sia fortemente
concentrato, con una quota di mercato del leader (Metro) superiore al 20% e al
35% con riferimento rispettivamente alla superficie e al potenziale di vendita
grocery. I primi due gruppi aziendali arrivano a coprire quasi il 50% del mercato
di riferimento, mentre la quota di vendita cumulata dei primi cinque gruppi
aziendali risulta prossima al 70%. Emerge inoltre come la leadership di Metro
risulti fondata su un profilo di offerta che tende a discostarsi profondamente dalla
media di mercato, considerato che la dimensione degli impianti (mediamente
8.000 metri quadrati) risulta più che doppia rispetto a quella dei punti vendita dei
principali competitor.
12
In altri termini la deviazione standard della superficie è sicuramente un indicatore
dell’omogeneità/disomogeneità della rete, ma non necessariamente della difficoltà di perseguire
una forte strategia di marca Insegna. Nel caso di Metro per esempio la deviazione standard
superiore alla media è legata allo sviluppo di diversi format, che godono tuttavia di un chiaro
posizionamento di mercato.
116
Figura 2.3 - Dimensione del fatturato e composizione dell’offerta per canali (quota di
fatturato e superficie) delle Insegne con punti vendita all’ingrosso a libero servizio (2005)
Dimensione delle imprese (fatturato in milioni)
MARR (76)
100
AGORA' (1.327)
42
14
GRUPPO LOMBARDINI (1.615)
28
5
CORALIS (1.680)
10
24
11
14
21
32
44
33
23
METRO (2.180)
100
SIGMA ( 2.300)
4
44
CRAI ( 2.700)
5
27
DESPAR ( 3.440)
68
6
17
SELEX ( 6.425)
50
11
INTERDIS ( 6.470)
2
43
9
28
3
17
43
GS-CARREFOUR (6.591)
44
4
10
31
25
13
40
Iper mercat i
Supermer cat i
15
14
22
6
Discount
Cash&Carry
Alt r i canali
Composizione percentuale della superficie di vendita moderna
Dimensione delle imprese (fatturato in milioni)
100
MARR ( 76)
AGORA' (1.327)
18
GRUPPO LOMBARDINI ( 1.615)
8
8
13
29
100
5
3
50
CRAI ( 2.700)
20
SELEX ( 6.425)
19
3
39
7
37
DESPAR ( 3.440)
GS- CARREFOUR (6.591)
16
23
48
METRO (2.180)
INTERDIS ( 6,470)
16
31
32
CORALIS (1.680)
SIGMA ( 2.300)
9
49
56
3
2
45
9
49
11
30
7
9
44
42
Supermer cat i
Discount
Cash&Carr y
5
Alt ri canali
Composizione percentuale del fatturato dell’offerta moderna
Fonte: elaborazioni su dati aziendali
117
11
29
41
Ipermer cat i
12
13
Tabella 2.6 - Numerica, superficie e quota nella forma distributiva del cash and
carry per gruppo strategico (2005)
Unioni volontarie e Gruppi di acquisto
Quota nella
Superficie
Numerica
forma distributiva
media
(numerica)
57
20%
3.732
NORD-OVEST
Imprese mono canale e a succursale
Quota nella
Superificie
Numerica
forma distributiva
media
(numerica)
34
40%
6.096
NORD-EST
67
24%
2.776
26
30%
5.700
CENTRO+SARDEGNA
52
19%
3.359
17
20%
6.025
SUD
103
37%
3.515
9
10%
5.394
Totale ITALIA
279
100%
3.353
86
100%
5.889
Fonte: elaborazioni su dati IRI
Tabella 2.7 - Numerica, superficie e quota nella forma distributiva del cash and
carry per Insegna (2005)
Superficie
Quota nella forma distributiva
totale
(%)
Numero
(mq food e
POTENZIALE
SUPERFICIE
non food)
Insegne
GROCERY
Metro
Selex
Interdis
Coralis
Indipendenti
C3
Gs-Carrefour
Agora'
Lombardini
Crai
Conad
Sigma
Sisa
Despar
Sun
Marr
Codist
Aligros
Auchan -Sma
Totale
38
75
50
30
27
22
14
19
19
10
15
14
9
6
4
4
6
2
1
365
304.761
202.596
189.875
124.950
79.157
96.340
48.057
83.950
81.722
24.490
53.265
44.620
12.931
28.467
22.196
17.760
12.500
10.800
3.500
1.441.937
21,1%
14,1%
13,2%
8,7%
5,5%
6,7%
3,3%
5,8%
5,7%
1,7%
3,7%
3,1%
0,9%
2,0%
1,5%
1,2%
0,9%
0,7%
0,2%
100,0%
35,9%
13,6%
8,0%
6,2%
5,8%
5,0%
4,8%
4,3%
3,3%
2,2%
2,1%
2,0%
1,5%
1,4%
1,1%
1,0%
0,9%
0,7%
0,2%
100,0%
Superficie
Deviazione
media
standard
(mq food e
superficie (mq)
non food)
8.020
2.700
3.800
4.160
2.930
4.380
3.430
4.420
4.300
2.450
3.550
3.190
1.440
4.740
5.550
4.440
2.080
5.400
3.500
3.951
2.602
Fonte: elaborazioni su dati IRI
All’interno della forma distributiva, la produttività espressa dalla vendite per
metro quadrato di superficie può dipendere da una serie di fattori:
-
-
la dimensione dell'azienda e le azioni di marketing sviluppate;
la dimensione dei punti vendita, in quanto al crescere della superficie di
vendita la produttività aumenta a seguito delle economie di scala
nell’utilizzo dei fattori produttivi e dell’ampliamento dell’assortimento e,
di conseguenza, del livello di attrattività del punto vendita;
il livello competitivo nelle aree territoriali presidiate.
118
Con riferimento al canale cash and carry, le determinanti più significative della
produttività appaiono essere le caratteristiche del mercato e la performance
competitiva dell'azienda, dal momento che non sembra sussistere - come si può
constatare dalla figura 2.4 dove la produttività delle insegne è rapportata alla
superficie media dei punti vendita - un rapporto diretto tra dimensione del punto
vendita e vendite al metro quadrato.
Figura 2.4 - Posizionamento delle Insegne nel canale cash and carry per produttività e
dimensione media degli impianti (2005)
M ET R O
6.450
GS - C A R R E F O U R
VENDITE/MQ
5.600
D ES P A R
4.750
M ed ia
CRAI
3.900
S EL EX
M ARR
C O R A LIS
3.050
G R U P P O LO M B A R D IN I
A GOR A '
S IG M A
IN T ER D IS
2.200
2.700
3.200
3.700
4.200
4.700
5.200
5.700
6.200
6.700
7.200
7.700
SUPERFICIE MEDIA (MQ)
Fonte: elaborazioni su dati IRI
Il potere di mercato ed il potere contrattuale delle singole Insegne dipende anche
dalla concentrazione territoriale delle vendite. La concentrazione territoriale degli
impianti di vendita è vantaggiosa poiché, a parità di quantità acquistata, il potere
contrattuale del distributore cresce con il crescere della ponderata in una
determinata area; maggiore è la ponderata d’area e più importante è il distributore
per il fornitore che deve raggiungere il mercato finale. Occorre sottolineare che il
potere di mercato dipende maggiormente dalla quota d'offerta detenuta
nell'area/regione, mentre il potere contrattuale è più sensibile alla dimensione
globale dell'impresa. A parità di dimensione, l'impresa che ha un fatturato più
concentrato sul piano territoriale dispone di maggiore potere contrattuale nei
confronti dei fornitori di marca. Nelle tabelle 2.8 e 2.9, i distributori sono
posizionati in funzione rispettivamente della quota di superficie e della quota di
potenziale di vendita grocery detenute nelle diverse aree territoriali. I valori
riportati evidenziano il posizionamento di Metro come leader indiscusso del
canale in tutte le ripartizioni geografiche del paese - sia per quota della superficie
d’area sia per quota del potenziale grocery d’area -, con la sola eccezione del Sud.
Nelle regioni meridionali è infatti Interdis a qualificarsi come primo gruppo,
concentrando il 28% della superficie di vendita e il 21,5% delle vendite del largo
consumo confezionato. I livelli di concentrazione appaiono differenziati per
ripartizione geografica; infatti le prime due Insegne nel Nord Ovest coprono oltre
il 50% del potenziale del canale, mentre al Sud non raggiungono il 30%. Nelle
medesime tabelle è altresì possibile rilevare per ciascuna Insegna la ripartizione
rispettivamente della superficie complessiva e del potenziale di vendita grocery
119
totale tra le diverse aree territoriali. Nel caso di Metro emerge, per esempio, come
oltre il 50% sia della superficie complessiva che delle vendite di prodotti del largo
consumo confezionato siano realizzate nel Nord Italia e, per converso, la bassa
incidenza delle regioni meridionali, dove si concentreranno i programmi di
sviluppo della rete nei prossimi anni con l’obiettivo di completare la copertura del
territorio. Nel caso di Interdis emerge invece il forte presidio del Sud, dove il
gruppo concentra oltre il 60% della superficie di vendita e realizza oltre il 75%
delle proprie vendite.
Nelle tabelle 2.10 – 2.16, le Insegne del canale cash and carry sono posizionate
in funzione della superficie di vendita e del potenziale di vendita grocery in
alcune regioni del paese. In particolare, in Lombardia lo specialista di formato
(Metro) evidenzia una quota di mercato di poco inferiore al 45% e i primi cinque
gruppi una quota di vendita cumulata prossima al 75% (tab. 2.10).
Come noto (Lugli, 1998), l’innovazione di prodotto all’interno di un canale ha
lo scopo di mantenere nel tempo la promise dell’Insegna e di fidelizzare la
clientela, le cui esigenze non sono stabili, ma soggette ad evoluzione nel corso del
tempo. Il potenziale di innovazione varia da canale a canale, ma è elevato anche in
canali relativamente stabili come l’hard discount ed il cash and carry. Lo
sviluppo di nuovi format di cash and carry può essere così connesso alla perdita
di competitività dei punti vendita nel tempo (la cosiddetta store erosion) e alla
conseguente necessità di ristrutturare gli impianti obsoleti, oppure può rientrare in
una strategia di sviluppo dell’impresa, la quale sceglie di focalizzare
maggiormente la propria offerta verso specifici segmenti di clientela. Quando
l’obiettivo della strategia di sviluppo è un aumento della penetrazione si assiste
alla sostituzione del nuovo formato al vecchio, mentre quando lo scopo è una
maggiore copertura del mercato si verifica una proliferazione dei punti vendita
con un allargamento della gamma dei formati. La differenziazione dell’offerta in
funzione della domanda è quindi perseguita dalle aziende che operano nella
formula del cash and carry, articolando, da un lato, i formati di punto vendita in
modo da soddisfare compiutamente i bisogni e i desideri della clientela target e,
dall’altro, innovando i servizi pre, durante e post vendita. Le potenzialità di
crescita delle Insegne orientate al soddisfacimento dei bisogni di
approvvigionamento del mercato HO.RE.CA. risultano, per esempio, connesse
non solo all’aumento della presenza territoriale degli impianti al fine di ridurre i
costi logistici e di tempo dell’attività di spesa, ma anche (Fornari, 2006):
-
-
-
al rafforzamento del livello di personalizzazione del rapporto con la
clientela con l’obiettivo di soddisfare al meglio le specifiche esigenze di
servizio;
all’aumento del livello di servizio offerto, in particolare ai clienti più
importanti, arrivando a concedere servizi di consegna a domicilio e
finanziamenti per l’acquisto delle attrezzature di vendita;
alla differenziazione dei contenuti della proposta assortimentale in
relazione a specificità e tradizioni locali agevolando i processi di
differenziazione competitiva dei vari formati di ristorazione.
120
Tabella 2.8 - Quota di superficie detenuta dalle Insegne del canale cash and carry
per area territoriale (2005)
Insegne
Metro
Selex
Interdis
Coralis
C3
Agora'
Lombardini
Indipendenti
Conad
Gs-Carrefour
Sigma
Despar
Crai
Sun
Marr
Sisa
Codist
Aligros
Auchan -Sma
Totale
Insegne
Metro
Selex
Interdis
Coralis
C3
Agora'
Lombardini
Indipendenti
Conad
Gs-Carrefour
Sigma
Despar
Crai
Sun
Marr
Sisa
Codist
Aligros
Auchan -Sma
Totale
A1.NORD-OVEST
24,4%
12,9%
7,5%
1,4%
7,7%
13,2%
7,9%
2,1%
1,4%
9,1%
3,8%
2,9%
4,3%
0,0%
Quota della superficie d'area
A2.NORD-EST
A3.CENTRO
29,9%
22,3%
25,9%
11,0%
1,6%
13,7%
4,3%
4,4%
5,2%
9,1%
6,8%
2,2%
6,4%
9,7%
6,0%
1,9%
17,0%
1,1%
1,7%
4,6%
2,1%
0,4%
3,1%
1,2%
0,7%
1,2%
5,3%
0,7%
0,8%
100,0%
A1.NORD-OVEST
33,6%
26,7%
16,6%
4,6%
33,5%
65,9%
40,6%
11,0%
11,4%
79,1%
36,0%
42,2%
82,0%
100,0%
100,0%
29,1%
23,2%
0,4%
1,8%
1,5%
4,5%
3,1%
1,7%
2,6%
100,0%
100,0%
A4.SUD
13,3%
15,5%
60,5%
73,9%
22,3%
57,0%
3,5%
16,9%
22,0%
75,5%
20,0%
100,0%
56,0%
100,0%
19,2%
28,5%
Fonte: elaborazioni su dati IRI
121
11,0%
0,9%
Quota della superficie d'area
A2.NORD-EST
A3.CENTRO
32,8%
20,3%
42,8%
15,1%
2,9%
20,0%
11,6%
9,8%
18,1%
26,1%
27,0%
7,1%
26,3%
33,1%
25,3%
6,7%
88,6%
7,4%
10,0%
34,2%
12,9%
5,3%
30,6%
16,3%
8,2%
18,0%
100,0%
24,0%
A4.SUD
9,9%
7,6%
28,0%
22,5%
5,2%
Totale
21,1%
14,1%
13,2%
8,7%
6,7%
5,8%
5,7%
5,5%
3,7%
3,3%
3,1%
2,0%
1,7%
1,5%
1,2%
0,9%
0,9%
0,7%
0,2%
100,0%
Totale
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
Tabella 2.9 - Quota di vendita detenuta dalle Insegne del canale cash and carry
per area territoriale
Insegne
Metro
Selex
Interdis
Coralis
Indipendenti
C3
Gs-Carrefour
Agora'
Lombardini
Crai
Conad
Sigma
Sisa
Despar
Sun
Marr
Codist
Aligros
Auchan -Sma
Totale
Insegne
Metro
Selex
Interdis
Coralis
Indipendenti
C3
Gs-Carrefour
Agora'
Lombardini
Crai
Conad
Sigma
Sisa
Despar
Sun
Marr
Codist
Aligros
Auchan -Sma
Totale
A1.NORD-OVEST
39,5%
15,6%
2,6%
0,7%
0,8%
4,0%
12,7%
8,7%
5,4%
0,6%
2,1%
2,5%
3,6%
0,7%
0,5%
100,0%
A1.NORD-OVEST
33,3%
34,5%
9,8%
3,5%
4,3%
24,1%
79,6%
61,9%
49,4%
8,9%
31,8%
54,9%
98,1%
23,3%
100,0%
30,3%
Quota di potenziale grocery d’area (2005)
A2.NORD-EST
A3.CENTRO
A4.SUD
47,8%
40,3%
19,2%
23,4%
7,5%
6,9%
0,6%
5,6%
21,5%
3,9%
3,9%
15,5%
3,2%
3,1%
14,9%
3,4%
9,3%
4,9%
0,5%
4,3%
0,5%
4,4%
3,3%
2,7%
5,9%
2,6%
1,5%
4,6%
11,4%
0,0%
3,2%
2,1%
0,7%
5,4%
0,2%
0,9%
1,4%
0,1%
4,0%
0,8%
2,0%
2,4%
100,0%
100,0%
100,0%
Quota di potenziale grocery d’area
A2.NORD-EST
A3.CENTRO
A4.SUD
32,4%
19,1%
15,1%
41,8%
9,3%
14,3%
1,7%
12,0%
76,4%
15,3%
10,7%
70,5%
13,3%
9,2%
73,2%
16,5%
31,8%
27,6%
2,5%
15,0%
2,9%
24,9%
13,2%
20,2%
30,4%
29,0%
11,5%
59,5%
91,1%
39,8%
17,8%
10,6%
100,0%
3,9%
11,3%
29,9%
1,9%
100,0%
14,5%
62,2%
100,0%
24,4%
17,0%
28,3%
Totale
35,9%
13,6%
8,0%
6,2%
5,8%
5,0%
4,8%
4,3%
3,3%
2,2%
2,1%
2,0%
1,5%
1,4%
1,1%
1,0%
0,9%
0,7%
0,2%
100,0%
Totale
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
Fonte: elaborazioni su dati IRI
In tale prospettiva vanno letti anche i comportamenti innovativi relativi
all’utilizzo dei volantini promozionali - differenziati per target cliente e volti a
comunicare non solo i prodotti in offerta e i servizi del punto vendita, ma anche
l’introduzione in assortimento di articoli innovativi o a fornire consigli per la
preparazione dei piatti e la formazione dei prezzi delle singole porzioni -, e alla
costruzione di cataloghi a tema. Questi ultimi vengono distribuiti in periodi
dell’anno importanti per l’attività commerciale dei clienti (cataloghi specializzati
legati al Natale o alla Pasqua) o a cadenze periodiche trattando in profondità una
determinata categoria assortimentale (caviale, rum, carni, birre, ecc.).
122
Tabella 2.10 - Potere contrattuale e potere di mercato in Lombardia (2005)
Insegne
Superficie totale (mq food e non food) Quota nell’area (%)
Metro
Lombardini
Selex
Sun
Gs-Carrefour
Interdis
Despar
C3
Sigma
Agora'
Indipendenti
Coralis
Auchan -Sma
Conad
Totale
62.610
33.209
15.200
18.200
6.981
31.475
12.000
22.800
14.350
8.000
8.730
5.800
3.500
4.265
247.120
25,3%
13,4%
6,2%
7,4%
2,8%
12,7%
4,9%
9,2%
5,8%
3,2%
3,5%
2,3%
1,4%
1,7%
100,0%
Potenziale di vendita (%)
43,1%
10,9%
7,8%
7,2%
5,3%
5,3%
5,0%
4,7%
3,1%
2,7%
1,7%
1,5%
1,1%
0,7%
100,0% (14,9%)
Fonte: elaborazioni su dati IRI
Di particolare interesse è in tal senso il caso Metro, il cui portafoglio formati si
articola in (tab. 2.17):
-
-
-
Classico, punti vendita localizzati principalmente nelle grandi aree
metropolitane, caratterizzati da un assortimento food e non food distribuito
su due piani;
Junior, punti vendita localizzati in città di medie dimensioni con un bacino
d’utenza potenziale di 15.000 clienti con partita IVA, caratterizzati da un
assortimento alimentare e non alimentare distribuito su un piano13;
Eco, punti vendita localizzati principalmente in città con un potenziale
massimo di 10.000 clienti con partita IVA, caratterizzati da un
assortimento food e non food distribuito su un piano e una superficie di
vendita più ridotta (in media 4.200 mq) rispetto agli altri formati,
consentendo una sostanziale riduzione del personale e, di conseguenza, dei
costi di gestione.
13
Metro Italia importò il format dalla Francia. Il secondo punto vendita aperto in Italia, ovvero
quello di Parma, presentava soluzioni innovative rispetto al primo Junior di Pisa, le quali furono
poi implementate nelle successive aperture anche di punti vendita Classici. A Parma infatti, per la
prima volta in Italia, Metro decise di adottare la libera circolazione dei clienti all’interno del punto
vendita, per evitare alla clientela l’obbligo di fatturare prima in un settore e poi nell’altro e quindi
velocizzarne gli acquisti.
123
Tabella 2.11 - Potere contrattuale e potere di mercato in Veneto (2005)
Insegne
Metro
Selex
Sigma
Crai
Indipendenti
Lombardini
Interdis
C3
Totale
Superficie totale (mq food e non food)
33.648
45.935
7.300
2.000
3.020
2.566
3.500
2.700
100.669
Quota nell’area (%)
33,4%
45,6%
7,3%
2,0%
3,0%
2,5%
3,5%
2,7%
100,0%
Potenziale di vendita (%)
40,8%
40,5%
6,9%
4,6%
2,8%
1,5%
1,2%
1,7%
100,0%
(7,7%)
Fonte: elaborazioni su dati IRI
Tabella 2.12 - Potere contrattuale e potere di mercato in Emilia Romagna (2005)
Insegne
Metro
Selex
Agora'
Marr
Coralis
Indipendenti
Crai
Sigma
Lombardini
Gs-Carrefour
Interdis
Totale
Superficie totale (mq food e non food)
Quota nell’area (%)
41.790
35.370
22.650
17.760
14.500
9.095
2.000
7.950
9.815
3.574
2.000
25,1%
21,2%
13,6%
10,7%
8,7%
5,5%
1,2%
4,8%
5,9%
2,1%
1,2%
166.504
100,0%
Potenziale di vendita (%)
47,6%
18,3%
8,2%
7,6%
7,4%
3,5%
2,2%
2,0%
2,0%
0,9%
0,3%
100,0%
(12,9%)
Fonte: elaborazioni su dati IRI
Tabella 2.13 - Potere contrattuale e potere di mercato in Lazio (2005)
Insegne
Metro
C3
Coralis
Conad
Selex
Interdis
Despar
Totale
Superficie totale (mq food e non food)
30.625
22.300
5.750
14.000
10.100
7.000
8.700
98.475
Quota nell’area (%)
31,1%
22,6%
5,8%
14,2%
10,3%
7,1%
8,8%
100,0%
Potenziale di vendita (%)
48,6%
23,4%
8,3%
7,6%
5,7%
3,7%
2,7%
100,0%
(5,7%)
Fonte: elaborazioni su dati IRI
I format Classico e Junior rispondono alle esigenze di un target allargato
appartenente ai settori HO.RE.CA., retail e ufficio, mentre il format Eco è
dedicato esclusivamente ai professionisti del settore alimentare, retail ma
soprattutto HO.RE.CA. Conseguentemente, l’assortimento non alimentare è
limitato alle merceologie di interesse per tali segmenti di clientela quali
l’abbigliamento, il casalingo e l’arredo.
124
Tabella 2.14 - Potere contrattuale e potere di mercato in Campania (2005)
Insegne
Interdis
Coralis
Indipendenti
Metro
Selex
Sisa
C3
Codist
Totale
Superficie totale (mq food e non food)
50.500
28.800
20.310
7.808
20.240
7.136
4.200
1.800
140.794
Quota nell’area (%)
35,9%
20,5%
14,4%
5,5%
14,4%
5,1%
3,0%
1,3%
100,0%
Potenziale di vendita (%)
29,6%
17,7%
16,9%
16,1%
7,7%
6,4%
3,9%
1,6%
100,0%
(16,6%)
Fonte: elaborazioni su dati IRI
Tabella 2.15 - Potere contrattuale e potere di mercato in Sicilia (2005)
Insegne
Crai
Metro
Interdis
Despar
Indipendenti
Codist
C3
Coralis
Totale
Superficie totale mq food e non food)
9.360
7.546
24.200
5.067
2.800
2.000
2.600
3.000
56.573
Quota nell’area (%)
16,5%
13,3%
42,8%
9,0%
4,9%
3,5%
4,6%
5,3%
100,0%
Potenziale di vendita (%)
29,4%
20,9%
16,6%
12,5%
8,4%
4,5%
4,1%
3,4%
100,0%
(2,9%)
Fonte: elaborazioni su dati IRI
Tabella 2.16 - Potere contrattuale e potere di mercato in Sardegna (2005)
Insegne
Metro
Lombardini
Crai
Sigma
Conad
Totale
Superficie totale (mq food e non food)
7.932
11.799
2.000
2.000
4.000
27.731
Quota nell’area (%)
28,6%
42,5%
7,2%
7,2%
14,4%
100,0%
Potenziale di vendita (%)
57,8%
18,2%
9,1%
7,5%
7,4%
100,0%
Fonte: elaborazioni su dati IRI
Al fine di soddisfare le esigenze delle diverse categorie di clienti, Metro ha poi
sviluppato linee di prodotto a marca commerciale differenziate: Columbus per i
bar, Metro Quality per ristoranti, alberghi e comunità e diverse marche private per
la clientela retail (es. Dell’Angelo per i prodotti alimentari, Natura Verde per le
conserve, Twist per le caramelle). Con un posizionamento qualitativo elevato ed
un prezzo mediamente inferiore del 20% rispetto alla marca industriale, Columbus
si rivolge a clienti che ricercano, oltre alla convenienza, un prodotto di qualità e
dal packaging curato. Gli elementi caratterizzanti la linea Metro Quality sono
invece la garanzia di qualità e di praticità, con un packaging che garantisce, in
aggiunta alle funzioni di base, la facilità d’uso e di riuso del prodotto. Infine, le
marche commerciali di fantasia dedicate agli alimentaristi affiancano ad un livello
qualitativo in linea con quello del leader industriale un prezzo competitivo
(Cristini, 2006). La soddisfazione della clientela è peraltro perseguita attraverso:
125
-
-
l’introduzione di servizi di prenotazione telefonica per carne, pesce ed
ortofrutta;
il ricorso ad orari d’apertura continuati, fino a 16 ore al giorno, e ad
aperture domenicali;
l’introduzione di servizi ristorazione e bar interni alle strutture;
la presenza di parcheggi riservati e gratuiti, spesso coperti per agevolare le
operazioni di carico;
la possibilità di consegna a domicilio (per grandi elettrodomestici e per
merce ingombrante);
l’ampliamento degli strumenti di pagamento e finanziamento;
l’attenzione ai prodotti locali, tipici e tradizionali (circa il 20%
dell’assortimento è costituito da tipicità locali).
Tabella 2.17 - Il portafoglio formati Metro
Superficie di vendita media
(mq)
Parcheggio (mq)
Numero dipendenti
Orario Lunedì-Venerdì
Orario Sabato
Orario Domenica
Ingressi
CLASSICO
Food
Non food
12.100
4.500
7.600
28.000
180
6:00 – 22:00
8:00 – 21:00
9:00 – 20:00
2
JUNIOR
Food
Non food
8.500
4.000
4.500
14.000
100
7:00 – 21:00
7:00 – 21:00
9:00 – 20:00
2
ECO
Food
Non food
4.200
3.500
700
3.500
50
7:00 – 19:00
7:00 – 17:00
8:00 – 13:00
1
Va inoltre sottolineato come l’utilizzo di tecnologie di datawarehousing e business
intelligence abbia consentito a Metro di raggruppare la clientela in cluster in base
a parametri comportamentali quali fedeltà, frequenza d’acquisto e sensibilità alle
promozioni permettendole di raggiungere un duplice obiettivo:
- migliorare la comunicazione differenziandola per tipologia di
cliente14;modificare l’assortimento in base alle differenti esigenze
d’acquisto manifestate dai diversi cluster.
14
Oltre alla comunicazione promozionale mirata ai diversi target clienti attraverso i volantini
MetroPost dedicati (HO.RE.CA., Retail, Non Food) e i cataloghi, Metro negli anni ha sviluppato
diverse iniziative comunicazionali innovative al fine di fidelizzare la propria clientela.
Per esempio, al fine di stringere legami con il commercio ambulante soprattutto nel non food,
Metro ha sponsorizzato la prima edizione di Com.Amb. In occasione della rassegna Vinitaly,
l’insegna ha invece allestito, in uno stand di 500 metri quadrati, una cantina identica a quella dei
cash con un assortimento di 600 etichette, offrendo degustazioni assistite da sommellier Ais.
L’operazione sottendeva l’importanza che l’Insegna attribuisce al reparto, che rappresenta il 6%
delle vendite di un magazzino, con una crescita negli ultimi anni del 12%. Un’ulteriore iniziativa,
destinata a dettaglianti alimentari indipendenti ma anche ai buyer della Gdo nonché al personale di
cucina dei pubblici esercizi, è stata realizzata in occasione di Cibus. Il progetto consisteva in una
serie di seminari di formazione titolato “i vecchi mestieri” dove in un’area dedicata sono stati
approfonditi sei temi guida quali l’utilizzo degli attrezzi da banco, gli aspetti igienico-sanitari, la
mise en place del banco gastronomia, quindi la gestione e la conoscenza più approfondita di un
serie di prodotti base (grana Dop, San Daniele e Parma, il salmone selvaggio, ecc.). E’ anche
possibile ricordare una recente operazioni di street marketing, basata sull’offerta gratuita di
soluzioni consulenziali a titolari e gestori di punti vendita per ridisegnare il layout del negozio e
126
La disponibilità di database clienti che coprono la totalità della clientela attiva
rappresenta uno dei principali punti di forza per il cash and carry, anche
nell’ambito della concorrenza con il canale retail (§ 2.4), che si deve invece
dotare di card per conoscere il comportamento d’acquisto dei propri clienti e per
poter comunicare con loro in modo mirato. L’attivazione di strategie di
micromarketing può portare a incrementi di fatturato significativi per il cash and
carry, essendo le potenzialità di fatturato del singolo cliente alimentarista o
HO.RE.CA. assai elevate. Inoltre, rispetto al canale retail, il processo di sviluppo
di azioni di micromarketing risulta più semplice in quanto i cluster di domanda
sono più omogenei e la numerica dei clienti più contenuta (Santambrogio, 2002;
Lenci, 2006). Con un database che copre il 100% della clientela aumentano anche
le possibilità di svolgere attività di CRM con i fornitori (si pensi alle promozioni
dedicate a specifici cluster di clientela), incrociando le competenze delle imprese
produttrici con il patrimonio informativo della distribuzione.
Alcune aziende attive nel canale sono al momento impegnate in un processo
teso a dare maggiore identità all’Insegna. Ciò vale in particolare per le imprese
della distribuzione organizzata, ma anche per alcune aziende della grande
distribuzione. In particolare, il gruppo Lombardini ha come obiettivo, per i
prossimi anni, il riordino e la caratterizzazione del canale cash and carry al fine di
dare una logica di catena a strutture attualmente diverse per dimensioni,
assortimenti e livello di servizio essendo il risultato di una crescita per sviluppo
diretto in Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia e per acquisizione nelle
Marche e in Sardegna. Il nuovo format di cash and carry del Gruppo si svilupperà
su una superficie media di 5.550 metri quadrati, mentre l’assortimento tipo sarà
costituito da 15.000 referenze (7.500 food secco, 3.500 freschi e freschissimi,
4.000 non food), delle quali 3.500 destinate specificatamente ai clienti
foodservice. Inoltre, l’acronimo GM, utilizzato per i prodotti a marchio privato,
sostituirà gradualmente l’insegna Gross Market.
E’ infine importante ricordare come le performace competive delle Insegne
presenti nel canale siano condizionate dalle soluzioni adottate sul piano
organizzativo e logistico. La ricerca di maggiori livelli di efficienza ha indotto per
esempio Metro a sviluppare un progetto strategico basato sull’Electronic Data
Interchange (E.D.I.), ovvero lo scambio fra i sistemi informativi di aziende
diverse attraverso una rete di telecomunicazioni di documenti commerciali
strutturati secondo standard concordati. L’E.D.I. mira alla collaborazione e
cooperazione con i fornitori e costituisce la base per ottimizzare il processo di
gestione e distribuzione dei prodotti, consentendo di rimuovere costi ed
inefficienze dei processi del ciclo attivo e passivo (ordini, conferme, avvisi di
spedizione, fatture passive). E’ così possibile ottenere:
- efficienza della supply chain mediante l’allineamento delle anagrafiche
degli articoli e la riduzione dei rischi di errore negli ordini, la riduzione
del lead time del processo di ordinazione, la diminuzione dei costi di
studiare il miglior assortimento in relazione alle caratteristiche del bacino d’utenza. Un truk ha
così girato l’Italia per 74 giorni, con tecnici e attrezzature informatiche atte a visualizzare in tempo
reale consistenza e risultati dell’operazione di consulenza.
127
trasmissione e ricezione dei documenti, il miglioramento del servizio (i
dati sono spediti e ricevuti nei tempi richiesti) e dell’efficienza (il
processo di scambio diventa monitorabile, i dati si scambiano in
ambiente sicuro e senza errori, si ottimizza il processo di scambio);
- riduzione dei costi amministrativi mediante il risparmio dei tempi
necessari per l’inserimento manuale delle informazioni, la riduzione
degli errori, la riduzione dei costi di elaborazione dei documenti, la
sensibile riduzione dell’uso di supporti cartacei e del numero delle
fatture con differenze.
Da luglio 2005 tutti i nuovi fornitori di Metro Italia devono essere disponibili a
scambiare messaggi E.D.I. e l’azienda non intende più effettuare ordini via fax ai
fornitori attivabili in E.D.I. a partire da gennaio 200715.
2.4. Competizione con la grande distribuzione organizzata grocery
La mobilità dei clienti target del cash and carry tra i diversi canali di
approvvigionamento è causa ed effetto della concorrenza tra l’ingrosso a libero
servizio e le imprese di altri settori che riforniscono la medesima tipologia di
clientela. L’intensità dell’intertype competition si è in particolare rafforzata con
riferimento alla clientela del mercato foodservice; si assiste infatti ad una
crescente competizione per la conquista e la fidelizzazione di tale categoria di
operatori tra cash and carry e moderna distribuzione al dettaglio. La carenza di
altre modalità di approvvigionamento, l’emissione della fattura solo su richiesta e
lo sfruttamento di occasioni promozionali sono infatti fattori che spingono
l’operatore HO.RE.CA. ad approvvigionarsi presso ipermercati e supermercati. Il
ricorso a tale fonte è stato in passato di tipo occasionale e speculativo, ma tende
sempre più a crescere, anche a seguito delle strategie implementate dalla grande
distribuzione moderna grocery per ampliare il proprio mercato obiettivo. Per
quest’ultima, la crescita dei consumi extradomestici rappresenta infatti
un’opportunità e in tale senso vanno lette le azioni rivolte al cliente intermedio per
indurlo ad approvvigionarsi nei punti vendita al dettaglio.
Tale obiettivo può essere perseguito (Lugli, 2004):
- attraverso la manovra della leva assortimentale, inserendo prodotti
diretti specifici per formato e ricetta, oltre che prodotti indiretti per la
produzione del servizio di somministrazione16;
15
Al momento, Metro non è ancora in grado di attivare l’E.D.I. con i fornitori di ittico ed
ortofrutta e con contratto estimatorio.
16
La possibilità di introdurre in assortimento prodotti specifici per la clientela HO.RE.CA è
connessa alla progressiva centralizzazione delle scorte a livello di magazzino e di piattaforma
anche nel formato ipermercato ed al conseguente maggior spazio disponibile nella riserva di punto
128
- eliminando i limiti di quantità per gli acquisti in promozione;
- offrendo condizioni specifiche attraverso una carta commerciale,
aziendale o trasversale, pensata per gli operatori HO.RE.CA.
Gli operatori della ristorazione possono essere così attratti con la capillarità dei
formati di vendita al dettaglio e condizioni specifiche per acquisiti di grande
quantità, arrivando a sconti di fine anno legati a volumi e crescita, che permettono
di valorizzare la diversa importanza dei singoli clienti.
In tale contesto, l’innovazione di formato più recente si deve a Gruppo Pam
con l’Insegna +X-. Il nuovo format si sviluppa su una superficie di 5.100 metri
quadrati e si rivolge a due target distinti: il consumatore finale e gli operatori
specializzati dell’alimentare (retail e ristorazione). L’assortimento è comunque
funzionale anche al soddisfacimento dei bisogni di approvvigionamento della
piccola impresa artigiana per quanto riguarda cartoleria, arredamento e
miscellanea. Le referenze sono ridotte del 30% rispetto al tradizionale ipermercato
Panorama: l’offerta non food è calibrata soprattutto per l’utenza professionale,
mentre nell’alimentare, l’offerta soddisfa sia l’utenza professionale (soprattutto
HO.RE.CA) sia il consumatore finale con marche e formati diversi per i due
target. La carne è offerta in confezioni ad atmosfera modificata, i salumi e i
formaggi sono proposti nella forma intera, a metà e a porzioni e l’ortofrutta può
essere acquistata a cassetta o a porzionato. Nell’ittico, unico reparto assistito, se
l’ordinazione riguarda quantitativi importanti il prezzo scende rispetto a quello
evidenziato a cartellino. Il grocery confezionato segue la stessa logica: più pezzi
vengono acquistati più il prezzo unitario scende. La comunicazione è realizzata
attraverso due volantini: uno quindicinale di 8 pagine per il consumatore finale e
uno mensile di 24 pagine per l’operatore professionale che viene postalizzato e
personalizzato. Il posizionamento del nuovo format combina, pertanto, la
razionalità del discount, la professionalità del cash and carry e l’atmosfera di un
superstore di alta gamma.
All’interno del canale si assiste inoltre a fenomeni di nascente competizione tra
cash and carry despecializzati e cash and carry specializzati. Negli ultimi anni si
sono infatti affermati formati di cash and carry specializzati in determinati settori
merceologici. Si pensi ad esempio all’azienda Dister, che nel 2001 ha inaugurato a
Forlì un nuovo centro distributivo, affiancato da un cash and carry specializzato
in prodotti informatici e riservato a rivenditori e dealer. Un altro esempio di cash
and carry specializzato è quello dalla catena Office 1 Superstore, specializzata in
articoli per l’ufficio (carta, cancelleria, cartotecnica, supporti E.D.P., informatica,
arredo, servizi, ecc.), per soddisfare tutte le esigenze delle piccole e medie aziende
e quelle dell’utilizzatore finale (home office) mediante una formula esclusiva che
combina alcuni aspetti del superstore specializzato a self service con le tecniche
della vendita diretta per telefono (telemarketing) e per corrispondenza (direct
vendita. Nel caso di impossibilità di utilizzo della riserva per mancanza di licenza di vendita, è
comunque possibile ricavare uno spazio in punto vendita mediante l’aumento della frequenza di
rifornimento dei prodotti destinati al consumo domestico e/o la riduzione del sovrastock. In
entrambe le soluzioni, si combinerebbe in modo innovativo la vendita al dettaglio con la vendita
all’ingrosso a libero servizio all’interno di un unico punto vendita (Lugli, 2004).
129
mail). Le aperture previste entro il 2007 dei cash and carry Office 1 Superstore
sono 24, ubicate in centri urbani con almeno 30.000 abitanti ed in zone ad alta
concentrazione di uffici.
I sentieri strategici che gli operatori dell’ingrosso a libero servizio stanno
perseguendo consistono, da un lato, nella specializzazione dell’assortimento per
tipologia di clientela e, dall’altro, nel recupero di alcuni servizi di tipo opzionale
(consegna a domicilio, raccolta degli ordini, pagamento con carta credito, visita
diretta di promoter) tipici dell’ingrosso tradizionale. Ciò a seguito sia dei
cambiamenti indotti sulla struttura della rete al dettaglio dalle dinamiche
specifiche dei diversi mercati sul piano della domanda di servizio, sia della
concorrenza della formula dell’ipermercato che ricerca fonti alternative di
fatturato a seguito della minore attrattività che esercita sul consumatore finale
rispetto al supermercato. E’ chiaro che tali tendenze modificano necessariamente
il profilo tecnico economico del cash and carry in quanto i costi di gestione
aumentano a seguito dell’offerta di servizi a più elevato valore aggiunto. Tuttavia,
l’innovazione della politica assortimentale a favore di merceologie alimentari a
più elevato valore aggiunto e la profondità di gamma di quelle non alimentari
dovrebbe consentire l’assorbimento dei maggiori costi operativi. Considerato che
l’intero comparto dell’ingrosso sta evolvendo in tal senso, il cash and carry
dovrebbe mantenere anche in prospettiva il proprio ruolo economico nel canale di
distribuzione rispetto ai concorrenti diretti. Più problematica appare invece
l’intertype competition con la formula dell’ipermercato nei confronti della quale
sconta un minor livello di competitività essendo il binomio merce/servizio
profondamente diverso.
Infine, sul piano della politica commerciale, si sottolinea l’opportunità di far
convergere le regolamentazioni delle strutture distributive all’ingrosso e del
commercio al dettaglio, al fine di favorire il processo di intertype competition (§
6.3. e 6.4).
130
Capitolo 3
Integrazione verticale dell’ingrosso
3.1. Il ruolo economico dell’ingrosso nel canale di distribuzione
La comprensione del fenomeno dell’integrazione verticale dell’ingrosso da parte
delle imprese industriali rimanda necessariamente al ruolo economico svolto dal
grossista nel canale di distribuzione. Quest’ultimo può essere definito come
l’insieme di passaggi mediante i quali il bene è trasferito dai produttori ai
consumatori finali o alle imprese industriali utenti. I passaggi individuano i
membri del canale ed il loro numero origina le relative possibili varianti: canale
diretto, canale corto e canale lungo (figura 3.1). Nel canale diretto il produttore
vende direttamente al consumatore o all’impresa industriale, senza utilizzare
intermediari. Il canale corto presenta un livello di intermediazione commerciale,
che è costituito dal dettagliante per i beni di consumo e dal
concessionario/commissionario per i prodotti industriali. Il canale lungo si
caratterizza per un livello di intermediazione commerciale aggiuntivo, il grossista
o l’agente. Il primo si inserisce tra la rete di vendita e la produzione nel settore dei
prodotti consumer mentre il secondo tra il concessionario/commissionario e le
imprese produttrici nel settore dei prodotti business.
Il canale diretto costituisce la modalità di distribuzione prevalente dei prodotti
business: si stima che più del 50% dei volumi scambiati raggiunga i mercati di
sbocco secondo tale modalità, soprattutto se si tratta di beni costosi e
tecnicamente complessi (Pride W.M., Ferrel O.C., 2006). Per converso, i canali
corto e lungo sono i metodi di distribuzione maggiormente impiegati per i prodotti
consumer in quanto più efficienti ed efficaci rispetto a quello diretto. Trattandosi
di prodotti con un grado di complessità ed un valore aggiunto nettamente inferiore
rispetto a quelli business, la relazione diretta tra l’impresa produttrice ed il
consumatore risulta nella maggior parte dei casi insostenibile sul piano
economico, oltre che peggiorativa in termini di servizio rispetto all’utilizzo di
intermediari commerciali.
Chiarita l’importanza del canale diretto nella veicolazione dei flussi di scambio
tra organizzazioni e consumatori o altre organizzazioni (modesta per i prodotti
consumer ed elevata per i prodotti business), resta da capire in che rapporto si
pone il canale corto rispetto a quello lungo e, in particolare, quando quest’ultimo
prevale sul primo. Soddisfare tale obiettivo conoscitivo consente di identificare il
ruolo economico del grossista o dell’agente nel canale di distribuzione dei
prodotti rispettivamente consumer e business. Tale ruolo è riconducibile alla
struttura del commercio al dettaglio o dei distributori industriali e alla politica
distributiva delle imprese industriali. La prima condizione impatta sulla quota di
volumi potenzialmente intermediabili dal grossista o dall’agente, mentre la
seconda su quella effettiva.
Figura 3.1 – Canali di distribuzione
Canale Diretto
Canale Corto
Canale Lungo
Produttore
Produttore
Produttore
Grossista
Agente
Consumatore
Acquirente industriale
Dettagliante
Concessionario/commis.
Dettagliante
Concessionario/commis.
Consumatore
Acquirente industriale
Consumatore
Acquirente industriale
Al fine di assicurare la necessaria chiarezza espositiva, l’analisi sarà focalizzata
sul settore dei prodotti consumer sia per il maggior peso assunto dai canali
indiretti (corto e lungo) sia per la possibilità di estendere il ragionamento, a parità
di condizioni, al settore dei prodotti business.
Il mercato potenziale degli intermediari all’ingrosso è inversamente correlato al
grado di concentrazione dell’offerta distributiva al dettaglio. Lo spazio economico
per l’ingrosso è ridotto nei settori in cui l’evoluzione del comportamento
d’acquisto del consumatore induce modificazioni strutturali nel commercio,
favorendo lo sviluppo di esercizi commerciali di medio-grande superficie e di
imprese succursaliste operanti con una logica industriale. Si tratta di imprese che
integrano l’attività di ingrosso, da un lato, perché il servizio offerto sul mercato è
inadatto per quantità e qualità alle loro esigenze e, dall’altro, per appropriarsi dei
guadagni di produttività derivanti dalla centralizzazione delle attività soggette ad
economie di scala, come gli acquisti, la logistica, il marketing, la gestione del
personale, l’amministrazione e la finanza. Viceversa, lo spazio economico del
grossista è elevato quando la rete al dettaglio è composta da numerosi esercizi di
piccola dimensione, indifferenziati sul piano del servizio e con una quota di
mercato rilevante. L’intermediazione grossista fonda la propria economicità sul
132
consolidamento dell’offerta di numerosi fornitori che permette di ripartire i costi
relativi su una base più ampia rispetto a quella raggiungibile dalla singola
impresa. Vendendo al grossista, il produttore spunta minori costi e consente ai
propri clienti dettaglianti di approvvigionarsi con modalità più vantaggiose sul
piano dei servizi offerti dallo specialista (Lugli G. 1985)
Se la struttura della rete al dettaglio determina la dimensione del mercato
potenziale, la quota di mercato delle imprese grossiste (dimensione del mercato
effettivo) dipende dalla decisione assunta dalle imprese industriali, nell’ambito
della strategia di marketing, con riferimento al presidio dei mercati di sbocco. La
distribuzione diretta, attraverso reti di vendita e logistica esclusive, consente un
controllo più efficace del marketing distributivo ai fini del sostegno
dell’immagine di marca e del relativo posizionamento sul mercato. Nel caso dei
prodotti standardizzati e di modesto valore unitario, la relazione diretta con la rete
al dettaglio si impone, inoltre, con maggior forza per la necessità di ottenere la
massima copertura del mercato: se il cliente finale non trova il prodotto o la marca
nel momento e nel luogo in cui intende acquistarla sceglierà con molta probabilità
un’altra marca e l’occasione di vendita andrà perduta. Le economie esterne
realizzabili con l’acquisto del servizio di ingrosso, a seguito della divisione del
lavoro e della specializzazione produttiva, possono diventare irrilevanti rispetto
alla maggiore efficienza nella promozione delle vendite che il contatto diretto con
la rete al dettaglio garantisce. I maggiori costi di distribuzione che il canale corto
comporta rispetto a quello lungo assumono in taluni casi la natura di costi di
marketing e, come tali, trovano la loro giustificazione nell’ambito dei rapporti
competitivi a livello industriale (Yamey B.S., Lugli G. 1985).
Il rapporto tra canale corto e canale lungo è definito dalla soglia dei costi di
vendita e logistici che l’impresa industriale non intende superare. Tale rapporto
dipende da:
-
la dimensione del produttore;
l’entità media dell’ordine dell’impresa distributiva.
La dimensione determina le risorse finanziarie disponibili e, conseguentemente, la
capacità da parte dell’impresa industriale di espletare autonomamente le attività
correlate alla distribuzione, riducendo il grado di dipendenza dagli intermediari
commerciali. Tale fattore è determinante in presenza di un dettaglio polverizzato e
frammentato territorialmente. Gli investimenti associati all’impianto della rete
commerciale e logistica per servire direttamente i punti vendita diventano
sostenibili soltanto a partire da una certa massa critica, innalzando la soglia
dimensionale che rende economicamente conveniente alle imprese l’utilizzo di un
canale di distribuzione corto. Oltre ai costi della rete di vendita, l’impresa deve
sostenere quelli connessi alla progettazione di un sistema logistico in grado di
conciliare una produzione su grande scala con una domanda intermedia frazionata
nel tempo e nello spazio. I prodotti finiti sono generalmente stoccati in uno o più
magazzini centrali che alimentano una serie di depositi regionali e locali realizzati
per approvvigionare aree di mercato limitate. Il rilevante investimento in scorte
che la costituzione di depositi regionali e locali comporta è sostenuto per garantire
133
il livello di servizio richiesto da punti vendita di piccola dimensione che ordinano
modesti quantitativi di merce con una frequenza elevata. Siffatto profilo degli
ordini dipende, da un lato, dal potenziale di vendite dell’esercizio e, dall’altro,
dalla disponibilità di spazi di stoccaggio limitati. Di conseguenza, con l’istituzione
di depositi regionali e locali si soddisfa la duplice esigenza, da un lato, di
minimizzare i costi di trasporto, adottando una soluzione mista di carichi
raggruppati per grandi volumi fino alle strutture periferiche e di consegne a raggio
limitato per le piccole quantità ai dettaglianti; dall’altro, di incrementare la
frequenza potenziale di consegna dovendo gestire un ambito territoriale limitato.
Tuttavia, questa configurazione della rete di vendita e logistica richiede una
soglia minima dell’ordine, al di sotto della quale diviene irrimediabilmente
antieconomica. In concreto, dando per scontato che la capacità dell’ordine della
piccola impresa commerciale è comunque limitata, si può ritenere che solo pochi
operatori riescano ad ottenerne una quota adeguata. Tale condizione si verifica per
le imprese industriali che dispongono di:
-
prodotti ad elevato valore aggiunto;
ampio portafoglio prodotti;
significativa quota di mercato.
Il rapporto tra canale corto e canale lungo risulta, pertanto, differenziato tra le
imprese industriali operanti nel medesimo settore. L’utilizzo di una tipologia di
canale di distribuzione non preclude, inoltre, quello delle altre: la stessa impresa
utilizza normalmente più canali di marketing per distribuire gli stessi prodotti allo
stesso mercato obiettivo.
Da quanto detto, è possibile concludere che il mercato effettivo dell’ingrosso è
elevato quando la rete al dettaglio è composta da esercizi di piccola dimensione,
dispersi territorialmente e indifferenziati sul piano del servizio. Il grossista
consente di realizzare le economie di scala frutto della specializzazione produttiva
per i punti vendita che, se presidiati direttamente, presenterebbero costi di vendita
e logistici superiori a quelli che il produttore è in grado di sostenere. Soltanto le
imprese di rilevante dimensione e che dispongono almeno di una delle tre
condizioni menzionate (prodotti ad elevato valore aggiunto, ampio portafoglio
prodotti e significativa quota di mercato) possono sostenere economicamente una
relazione diretta con la rete al dettaglio. Anche in questo caso, tuttavia, il numero
di punti vendita che presentano un importo dell’ordine inferiore alla soglia
minima per garantire l’assorbimento dei costi di vendita e logistici sarà la maggior
parte, rendendo inevitabile il ricorso all’intermediazione grossista.
134
3.2. L’integrazione della funzione di ingrosso da parte delle imprese
industriali
L’integrazione verticale della funzione di ingrosso da parte delle imprese
industriali può concretizzarsi con diverse modalità:
-
-
la creazione di filiali commerciali da parte di imprese estere interessate a
servire il mercato nell’ambito delle proprie strategie di
internazionalizzazione;
la scelta da parte di imprese di produzione di superare il canale indiretto a
favore di una soluzione mista (canale diretto e canale indiretto);
l’integrazione verticale della funzione di ingrosso attraverso il modello
della commissionaria di vendita;
l’integrazione verticale della funzione di ingrosso attraverso la
diversificazione nell’attività di ingrosso e la connessa vendita di prodotti e
marche aggiuntive a quelle aziendali.
La prima modalità non impatta sulla struttura del settore all’ingrosso in quanto
rientra nelle tradizionali strategie di penetrazione dei mercati esteri da parte di
imprese multinazionali che non dispongono di unità produttive a livello locale. In
questi casi, si tratta a tutti gli effetti di imprese industriali che concretizzano la
presenza all’estero assumendo la natura formale di imprese commerciali,
importando i prodotti per ridistribuirli nel paese di insediamento. Questa modalità
è diffusa nei settori in cui la presenza industriale italiana è modesta come gli
strumenti di precisione, le macchine fotografiche, le stampanti, le fotocopiatrici,
ecc. Tali imprese, pur essendo censite sul piano formale come imprese grossiste,
non sono in realtà equiparabili a quest’ultime sul piano della politica
commerciale. Esse, infatti, limitano la loro attività di distribuzione ai soli prodotti
della casa madre, implementando le più opportune forme di presidio del mercato.
Di sicuro interesse, ai fini della presente analisi sono, viceversa, le restanti
modalità poiché mettono in discussione il ruolo economico degli intermediari
grossisti indipendenti. La ragione per cui i produttori aumentano il peso del canale
corto rispetto al canale lungo o integrano l’ingrosso è l’insoddisfazione del
servizio offerto dagli operatori specialistici nel sostegno della marca. Il processo
si inserisce, pertanto, nell’ambito della strategia di marketing dell’impresa
industriale, ma attiva meccanismi concorrenziali a livello verticale a seguito della
sovrapposizione del mercato di riferimento con quello del grossista. La scelta
della modalità di controllo è operata in funzione del costo di distribuzione
massimo che si intende sostenere e del grado di copertura obiettivo, rispetto al
giro d’affari dei prodotti distribuiti.
L’analisi che segue è focalizzata sui settori che oggi sono più vivaci con
riferimento al fenomeno oggetto di studio e, precisamente, il complesso dei
prodotti rivolti ai pubblici esercizi (bar e ristoranti), il largo consumo e la stampa
quotidiana e periodica. Date le specificità di quest’ultimo settore, sottoposto a
135
particolare tutela da parte del legislatore per garantire la libera circolazione delle
informazioni, si è ritenuto opportuno esporre l’analisi in un paragrafo dedicato.
Infine, si segnala che il tema dell’integrazione verticale delle funzione di
ingrosso da parte delle imprese industriali prescinde dai confini regionali in cui
operano gli intermediari commerciali. Tale decisione strategica è assunta, infatti,
da imprese di grande dimensione con una presenza su tutto il territorio nazionale.
Pertanto, le ricadute a livello locale dipendono unicamente dal peso che le singole
regioni assumono nell’ambito del fatturato della specifica azienda industriale.
Il mercato della ristorazione commerciale (bar e ristoranti) si caratterizza per
un elevato livello di frammentazione della rete al dettaglio, che risulta
prevalentemente composta da imprese tradizionali, di dimensione ridotta, a
conduzione familiare e a elevata componente di lavoro familiare (Fornari E. 2006)
(tabella 3.1). Di conseguenza si contano 4,3 bar e ristoranti e solo 0,1
supermercati e ipermercati ogni 1.000 abitanti. Il modello distributivo della
popolazione sul territorio determina la ripartizione della domanda tra le regioni:
circa il 57% della rete al dettaglio è concentrata in Piemonte Lombardia, Veneto,
Emilia Romagna, Toscana e Lazio. La struttura della ristorazione commerciale
impatta sul peso in ponderata delle catene17 (ristorazione moderna) che si attesta
su un livello modesto pari al 6% del fatturato complessivo del settore (Gira 2005).
Tabella 3.1 – Distribuzione geografica dei pubblici esercizi e densità per 1000 abitanti in
rapporto agli ipermercati e supermercati
Numero
% numero su totale
Regioni
Ristoranti
PIEMONTE
VALLE D'AOSTA
LOMBARDIA
TRENTINO-ALTO ADIGE
VENETO
FRIULI-VENEZIA GIULIA
LIGURIA
EMILIA-ROMAGNA
TOSCANA
UMBRIA
MARCHE
LAZIO
ABRUZZO
MOLISE
CAMPANIA
PUGLIA
BASILICATA
CALABRIA
SICILIA
SARDEGNA
ITALIA
7.544
589
13.165
2.635
8.919
2.796
4.511
7.168
8.167
1.559
2.677
8.258
2.990
667
8.306
6.135
748
3.373
5.121
3.313
98.641
Bar
12.708
646
27.552
3.364
14.364
4.341
6.335
12.944
10.071
2.092
3.913
13.437
3.666
901
12.359
7.739
1.469
4.398
7.664
5.646
155.609
Totale
pubblici
esercizi
20.252
1.235
40.717
5.999
23.283
7.137
10.846
20.112
18.238
3.651
6.590
21.695
6.656
1.568
20.665
13.874
2.217
7.771
12.785
8.959
254.250
Ristoranti
7,6%
0,6%
13,3%
2,7%
9,0%
2,8%
4,6%
7,3%
8,3%
1,6%
2,7%
8,4%
3,0%
0,7%
8,4%
6,2%
0,8%
3,4%
5,2%
3,4%
100%
Densità per
abitante
(numero pdv per
1.000 abitanti)
Bar
Totale
Pubblici
esercizi
Iper e
super
8,2%
0,4%
17,7%
2,2%
9,2%
2,8%
4,1%
8,3%
6,5%
1,3%
2,5%
8,6%
2,4%
0,6%
7,9%
5,0%
0,9%
2,8%
4,9%
3,6%
100%
8,0%
0,5%
16,0%
2,4%
9,2%
2,8%
4,3%
7,9%
7,2%
1,4%
2,6%
8,5%
2,6%
0,6%
8,1%
5,5%
0,9%
3,1%
5,0%
3,5%
100%
4,7
10,0
4,3
6,1
4,9
5,9
6,7
4,8
5,0
4,2
4,3
4,1
5,1
4,9
3,6
3,4
3,7
3,9
2,5
5,4
4,3
0,1
0,1
0,1
0,2
0,2
0,2
0,1
0,1
0,1
0,2
0,2
0,1
0,2
0,1
0,1
0,2
0,2
0,2
0,2
0,2
0,1
Pubblici esercizi: giugno 2006, popolazione 31/12/2005, ipermercati e supermercati 30/09/2005.
Fonte: elaborazioni su dati Fipe, IRI e ISTAT
17
Imprese operanti con logica industriale e struttura gestionale di tipo manageriale e che si
sviluppano con un approccio succursalista.
136
I bar e i ristoranti presentano un profilo tecnico ed economico differenziato: i
primi sviluppano un giro d’affari medio di 110.000 euro18 e si caratterizzano per
una superficie di somministrazione di 106 mq (Cermes-Bocconi 2005); i secondi
sviluppano un volume di vendite annuali superiore, pari a 318.00019 e operano con
un locale di 215 metri quadrati (Cermes-Bocconi 2005). Le caratteristiche che
presentano un sostanziale grado di omogeneità nelle due formule commerciali
sono la ridotta dimensione della superficie di stoccaggio20 e l’incidenza degli
acquisti sul giro d’affari, pari al 26-27% (Cermes-Bocconi 2005). Questi ultimi
sono concentrati su un numero ridotto di merceologie: il 50% del valore annuale
degli acquisti dei bar è costituito da bevande e caffé, mentre il 40% di quelli dei
ristoranti dai prodotti deperibili (carne e pesce) oltre che dai vini (tabella 3.2).
Il valore complessivo degli approvvigionamenti dei pubblici esercizi è stimabile
in circa 13 miliardi di euro nel 2005, soddisfatti nella misura dell’80%
dall’ingrosso nella componente specialistica e a libero servizio21.
La struttura dei canali di distribuzione dei prodotti alimentari e delle bevande
nel settore della ristorazione evidenzia il peso marginale del canale corto, che
tuttavia assume una rilevanza maggiore se si tiene conto che risulta concentrato
soltanto su alcune categorie merceologiche, tipicamente il caffé e i vini (Cermes –
Bocconi 2005).
La centralità del ruolo del grossista nella funzione di collegamento tra l’offerta
industriale e quella dei servizi di ristorazione diventa evidente se si considerano i
fabbisogni di servizio degli operatori commerciali. I titolari di bar prediligono le
fonti di approvvigionamento che consentono di minimizzare il tempo dedicato
agli acquisti, dal momento che l’esercizio dell’attività richiede una presenza
continua durante la giornata (Fornari E. 2006). Particolarmente gradita risulta,
quindi, la visita diretta del fornitore per la raccolta dell’ordine e/ la possibilità di
riordinare tramite contatto telefonico. Viceversa, i ristoratori, avendo orari di
lavoro spezzati duranti la giornata nonché concentrati nelle ore del pranzo e della
cena, possono dedicare più tempo all’attività di acquisto e si rivolgono
maggiormente all’ingrosso a libero servizio (Fornari E. 2006). La frammentazione
degli acquisti su numerose categorie merceologiche e la necessità di minimizzare
il tempo dedicato agli acquisti, orienta la domanda dei pubblici esercizi verso le
fonti di approvvigionamento che consentono di concentrare gli acquisti in
un’unica soluzione. Tale servizio può essere offerto soltanto dagli intermediari
all’ingrosso attraverso la proposta di un assortimento ampio e profondo di prodotti
alimentari, per la pulizia dei locali e strumentali che rende compatibile l’esigenza
di varietà del pubblico esercizio con quello di limitazione della gamma del
produttore. Il modesto spazio di stoccaggio e la localizzazione in zone pedonali
agiscono come vincoli di primaria importanza sia per i bar sia per i ristoranti.
L’impossibilità di stoccare elevate quantità di prodotti si traduce in una politica di
gestione degli acquisti basata su ordini emessi con frequenza elevata e di modesta
18
Stime su dati Euromonitor e Gira, 2005.
Stime su dati Euromonitor e Gira, 2005.
20
La superficie di stoccaggio è pari a 43 metri quadrati per i bar e 67 metri quadrati per i
ristoranti. Fonte: Cermes – Bocconi, 2005.
21
Cfr. Capitolo 2.
19
137
entità. La consegna è resa difficoltosa, oltre che onerosa, dai limiti connessi alla
viabilità nei centri urbani e dalla necessità di dover garantire il servizio anche
durante la notte almeno ai pubblici esercizi che hanno orari di apertura di tale
parte della giornata. Il fornitore che decide di sviluppare una relazione diretta con
gli operatori al dettaglio deve essere, quindi, in grado di assicurare un elevato
livello di servizio logistico.
Tabella 3.2 – L’incidenza delle categorie sul valore totale degli acquisti dei pubblici
esercizi – 2005
Categorie merceologiche
Ristoranti
Bar
Acqua
5,3
7,0
Bevande analcoliche
2,6
8,2
Liquori
4,0
6,0
10,7
7,1
3,1
5,6
Caffé
3,1
16,3
Pane fresco
2,1
2,1
Latte/latticini/formaggi
3,6
4,9
Vini e spumanti
Birre
Salumi
4,5
4,0
Pasticceria
1,7
5,2
Gelati
1,5
3,2
Frutta e verdura
6,2
3,3
Surgelati
3,0
2,6
Prodotti di gastronomia e piatti pronti
0,1
1,0
16,1
2,2
Uova
1,9
1,4
Pesce
13,1
1,1
Carne fresca
Piatti pronti industriali
0,2
0,4
Pasta
4,5
1,4
Tramezzini
0,2
1,8
Farina/zucchero/sale
3,7
3,0
Condimenti/conserve
3,5
1,7
Prodotti impulso dolce
0,9
3,3
Prodotti impulso salati
0,3
2,1
Prodotti detergenza
3,6
2,7
Altro
0,5
2,4
Totale
100
100
Incidenza prime 5 categorie sul valore totale degli acquisti
51,4
44,6
Fonte: Cermes-Bocconi, 2005
L’evasione di ordini di modesta entità con un lead time di 24 ore a numerosi punti
dispersi sul territorio, localizzati per la maggior parte in zone problematiche sul
piano dell’accessibilità, con orari di consegna anche notturni e che richiedono per
la maggior parte la sistemazione delle merci nella zona di stoccaggio, necessita di
un sistema di distribuzione capillare con raggi operativi di poche decine di
chilometri. Siffatto sistema, che vede necessariamente la costituzione di scorte a
livello locale e di una rete di vendita numericamente consistente per assicurare la
relazione con la clientela, può essere sostenuto soltanto da prodotti ad elevato
138
valore aggiunto in grado di assorbire i relativi costi. Risulta ora chiaro il motivo
dell’utilizzo del canale corto soprattutto da parte dei produttori di caffé e di vino.
Pur essendo abbastanza intuitivo che si tratta di prodotti con un prezzo medio
elevato in rapporto alle altre categorie trattate dai bar e dai ristoranti, è stata
effettuata una simulazione per determinare l’importo medio dell’ordine,
ipotizzando un andamento regolare della domanda nel tempo ed una frequenza
d’acquisto settimanale (tabella 3.3). Si tratta ovviamente di ipotesi non
perfettamente aderenti alla realtà e riferite al pubblico esercizio medio del nostro
paese, ma che consentono di tradurre operativamente quando affermato sulla base
di elementi di analisi economica. Il caffé è la categoria merceologica che presenta
il valore medio dell’ordine più elevato per i bar (88 euro) e i vini vengono subito
dopo la carne ed il pesce nei ristoranti con 170 euro. Trattandosi del pubblico
esercizio medio e instaurando il produttore una relazione diretta soltanto con i
punti vendita a più elevato potenziale di vendite, è possibile affermare che la
dimensione media dell’ordine su cui insiste il canale corto è superiore rispetto a
quella media indicata più sopra. Il valore aggiunto di queste categorie di prodotto
consente quindi il sostenimento dei costi di vendita e logistica associati.
Tabella 3.3 – Dimensione media dell’ordine settimanale dei pubblici esercizi
Categorie merceologiche
Ristoranti
Bar
Acqua
84
38
Bevande analcoliche
41
44
Liquori
Vini e spumanti
Birre
64
32
170
38
49
30
Caffè
49
88
Pane fresco
33
11
Latte/latticini/formaggi
57
26
Salumi
72
22
Pasticceria
27
28
Gelati
24
17
Frutta e verdura
99
18
Surgelati
48
14
Prodotti di gastronomia e piatti pronti
Carne fresca
2
5
256
12
Uova
30
8
Pesce
208
6
3
2
Piatti pronti industriali
Pasta
72
8
3
10
Farina/zucchero/sale
59
16
Condimenti/conserve
56
9
Prodotti impulso dolce
14
18
Tramezzini
Prodotti impulso salati
Prodotti detergenza
Altro
5
11
57
15
8
13
Fonte: elaborazioni su dati Euromonitor, Gita e Cermes-Bocconi 2005
139
La principale ragione che induce i produttori di vino e di caffé ad utilizzare il
canale corto per servire i pubblici esercizi che rappresentano in ponderata una
quota rilevante del giro d’affari consiste nell’efficacia della politica di vendita di
tipo push, volta a penetrare l’assortimento della rete commerciale. Quest’ultimo
risulta ridotto in profondità e per molte categorie, come quella del caffé, prevale la
proposta esclusiva dei prodotti di una sola marca (Fornari E. 2006). Ottenere il
referenziamento da parte dell’esercente significa assicurarsi per intero o per una
gran parte il giro d’affari del bar e del ristorante. Per i prodotti finiti, proposti al
consumatore senza alcuna attività di lavorazione aggiuntiva e nell’imballo
originale, si aggiunge il vantaggio non secondario di sostenere l’immagine della
marca anche nei formati di somministrazione.
Il presidio diretto della clientela commerciale è una scelta strategica operata
anche dalle imprese industriali che offrono ingredienti ad elevato contenuto di
servizio, oggetto di trasformazione per arrivare ad una erogazione in forma
diversa da quella in cui sono stati acquistati. Tale scelta è, ad esempio, operata da
Greci Industria Alimentari che propone prodotti semilavorati a valore aggiunto
per la preparazione di piatti alimentari. Si tratta di prodotti-soluzione con
caratteristiche tecniche che necessitano in fase di vendita il supporto di personale
addestrato in grado di illustrarne la modalità di impiego ottimale. Il grossista,
trattando un assortimento ampio e profondo di prodotti, non è in grado di offrire
un servizio di vendita dedicato, con standard professionali specifici per ciascuno
di essi. L’efficacia della rete di vendita diretta trova però un limite nel relativo
costo che non consente di estendere il presidio diretto alla totalità dei punti
vendita. Nel caso dell’azienda citata, i ristoranti serviti direttamente rappresentano
il 5% della numerica complessiva, ma valgono in ponderata il 70% del fatturato
della stessa. Anche nel caso degli ingredienti, la scelta strategica di operare con un
canale corto può essere intrapresa solo da aziende che propongono un’offerta di
prodotti ad elevato valore aggiunto in grado di assorbire i costi di vendita e
logistici. Il portafoglio prodotti che Barilla ha sviluppato per il mercato della
ristorazione commerciale è veicolato attraverso gli intermediari grossisti a seguito
dell’insostenibilità sul piano economico di una relazione diretta con la clientela
commerciale. A fronte di prodotti ingredienti a contenuto valore aggiunto, il
produttore supporta la penetrazione nel mercato integrando le attività che non
possono essere presidiate dal grossista: corsi di formazione agli esercenti,
sviluppo e fornitura di tecnologie che consentono di velocizzare la preparazione
dei cibi, la diffusione di informazioni. Tali attività di marketing integrato
assicurano un certo grado di controllo della rete di vendita e il supporto necessario
al brand.
Il comparto delle bevande presenta una dimensione media dell’ordine che non
rende l’impiego del canale corto efficiente ed efficace (tabella 3.3). L’integrazione
della funzione di ingrosso è stata operata dalla maggior parte delle imprese
attraverso il controllo proprietario delle aziende grossiste, con l’eccezione di Coca
Cola che ha deciso nel 2005 di utilizzare il canale corto in alternativa a quello
lungo per distribuire i propri marchi. La rete di vendita è stata ampliata con
l’obiettivo di presidiare quote numericamente elevate di pubblici esercizi, che a
regime dovrebbero attestarsi intorno alle 200.000 unità, pari all’80% del totale.
140
Riteniamo che la scelta di distribuire direttamente i prodotti Coca Cola sia
attribuibile principalmente alla sentenza Antitrust che ha condannato la
compagnia per abuso di posizione dominante nella manovra delle leve di trade
marketing nei confronti dei grossisti indipendenti (Provvedimenti n. 6074/1998, n.
6661/1998, n. 7804/1999). In particolare, l’Antitrust ha considerato lesivo della
concorrenza la promozione dell’installazione degli impianti alla spina presso la
rete al dettaglio attraverso l’offerta di incentivi al grossista. La posizione assunta
dall’organo di controllo non deriva tanto dalla liceità della promozione di per sè
nel presidio dei punti vendita al dettaglio serviti dal grossista, quanto per la
volontà dichiarata e documentata da parte di un’impresa che detiene una posizione
di mercato dominante nel settore delle cole di incentivare la sostituzione degli
impianti alla spina del concorrente diretto, Pepsico, con quelli a marca propria. In
un successivo provvedimento (n. 9794/2001) relativo ai modelli contrattuali
impiegati da Heineken attraverso l’azienda grossista controllata, Partesa,
l’Antitrust ha considerato non restrittivo della concorrenza il contratto di che
prevede la concessione di comodato gratuito degli impianti di spillatura della birra
contro l’obbligo per l’esercente di erogare elusivamente prodotto Heineken. La
durata annuale del contratto, l’elevato turn over dei pubblici esercizi e l’impiego
di formule contrattuali simili da parte delle altre aziende industriali (Peroni,
Carlsberg, Forst) sono state considerate condizioni sufficienti per non destare
particolari preoccupazioni sulla capacità di tale contratto di determinare barriere
all’ingresso per gli altri operatori. L’Antitrust, in un successivo provvedimento (n.
15619/2006) non ha, infatti, effettuato alcun rilevo sulla strategia di Coca Cola di
collocare frigovetrine nei pubblici esercizi destinate ad accogliere i prodotti dei
propri marchi. Tale orientamento trova fondamento, da un lato, nell’adozione
della medesima strategia da parte dei concorrenti che aumenta la probabilità di
sovrapposizione delle frigovetrine delle diverse aziende operanti nel mercato e,
dall’altro, per la libertà dell’esercente di scegliere liberamente le bevande da
inserire in uno spazio almeno pari al 20% del totale anche se le frigovetrine sono
concesse in comodato d’uso gratuito da Coca Cola. Dal momento che la strategia
di abbandonare il canale lungo a vantaggio di quello corto è stata implementata da
Coca Cola soltanto da un anno, è ancora troppo presto per poter effettuare una
valutazione sulla relativa sostenibilità economica. E’ indubbio che l’ampiezza del
portafoglio prodotti e la detenzione di una quota di mercato dominante nel
mercato delle cole possono aiutare l’impresa a raggiungere il break even ed
ottenere i vantaggi correlati al controllo del posizionamento dei prodotti presso i
pubblici esercizi. Tali vantaggi si estrinsecano sia sul mercato intermedio sia su
quello finale: il distributore referenzia generalmente una sola marca per la
categoria delle bevande e la comunicazione in punto vendita attraverso soluzioni
espositive dedicate rafforza la brand equity. La strada della diversificazione
nell’ingrosso che prevale nel settore della birra non è stata intrapresa da Coca
Cola per le bevande analcoliche nonostante i costi sicuramente inferiori; ciò è
dovuto molto probabilmente:
- alle competenze che è necessario sviluppare per vendere non solo i propri
marchi, ma un assortimento di marchi di categorie differenziate;
141
- alla posizione di dominanza nel mercato delle cole che, alla luce dei rilievi
dell’Antitrust, avrebbe aperto un fronte di riflessione sul ruolo svolto da
aziende grossiste controllate e alla loro autonomia imprenditoriale (caso
Heineken);
- alla presenza consolidata nel mercato di imprese industriali che hanno
diversificato nell’ingrosso delle bevande analcoliche e alcoliche,
perfettamente in grado di supportare il sell out di Coca Cola nei punti di
somministrazione indiretti.
L’integrazione verticale discendente nell’ingrosso è stata operata già da tempo dai
principali produttori di birra: Heineken con Partesa, Peroni con Sodipar, Gruppo
Tuborg e Carlsberg con T&C. La strategia impiegata dai tre gruppi industriali è la
medesima: offrire un servizio specializzato di vendita, distribuzione e consulenza
di bevande ai pubblici esercizi. Il caso più interessante è sicuramente quello di
Partesa sia perché occupa la posizione di leadership nel settore delle bevande sia
perché ha arricchito l’offerta assortimentale delle bevande, con particolare
riferimento al comparto dei vini, nonché ampliato lo stesso ai prodotti alimentari e
alle attrezzature per migliorare il livello di servizio alla clientela. L’obiettivo è di
soddisfare una quota consistente del fabbisogno di approvvigionamento dei
pubblici esercizi, consentendo la concentrazione degli acquisti presso un’unica
fonte. Grazie ad una presenza capillare sul territorio, attraverso 23 società
commerciali, 96 depositi e 2.729 addetti, Partesa riesce a presidiare direttamente il
28% della rete al dettaglio (70.000 pubblici esercizi) che rappresenta il 16% del
valore intermediato. Attraverso l’integrazione dell’attività all’ingrosso, Heineken
ha ottenuto il controllo diretto sul piano commerciale della clientela delegando a
Partesa le attività di merchandising e promozione all’interno dei pubblici esercizi.
Quest’ultima svolge tali attività unicamente per i marchi della controllante,
sviluppandone e sostenendone l’immagine, mentre per il resto dell’assortimento si
limita a svolgere un ruolo di pura intermediazione commerciale. La ragione per
cui Heineken è diventata grossista risiede unicamente nella ricerca di economie di
scala distributive. Il consolidamento dei volumi di vendita di differenti marchi in
differenti categorie consente, infatti, di minimizzare i costi di vendita e logistica.
Rispetto al canale corto, la dimensione media dell’ordine aumenta, consentendo di
sostenere i costi connessi al controllo diretto delle politiche di marketing dei
propri marchi presso la clientela commerciale.
La strategia di presidiare la distribuzione al dettaglio attraverso la
diversificazione nel settore all’ingrosso è stata adottata anche da imprese
industriali che offrono prodotti ingredienti non caratterizzati da un’immagine di
marca sul mercato al consumo. E’ questo il caso di Cremonini, azienda operante
nel settore della carne bovina attraverso il controllo di Marr, che offre un servizio
all’ingrosso specialistico e a libero servizio a favore degli operatori della
ristorazione extradomestica commerciale e collettiva. Il portafoglio prodotti
comprende circa 10.000 articoli alimentari (congelati, freschi, a temperatura
ambiente) e 8.000 strumentali (attrezzature, stoviglie, tovagliame). L’obiettivo
strategico è la penetrazione degli assortimenti dei ristoratori, sostenendo con una
strategia push le vendite dei prodotti che costituiscono il core business della
142
controllante: carne e salumi. La sostenibilità economica del modello nel presidio
del canale diretto si fonda sul traino rappresentato dai prodotti freschi (carne,
pesce e ortofrutta), che assorbono oltre il 35% degli acquisti in valore dei
ristoratori. Con l’offerta delle restanti merceologie, Marr è in grado
potenzialmente di porsi come interlocutore unico nel soddisfacimento delle
esigenze degli operatori target, arrivando alla massima dimensione dell’ordine
possibile (1.600 euro mediamente la settimana) (tabella 4).
Una modalità più snella sul piano organizzativo e degli investimenti è la
commissionaria di vendita, che si pone come alternativa alla diversificazione nel
settore dell’ingrosso. E’ questa la soluzione adottata da Barilla per servire il
dettaglio tradizionale grocery, attraverso l’outsourcing proprietario della rete
logistica con la società Number 1 e di vendita dedicata con la società First. Lo
svantaggio di costo della produzione integrata della funzione di ingrosso rispetto a
quella decentrata è colmato in questo caso recuperando sul mercato i volumi di
vendita necessari per garantire l’espletamento dell’attività di vendita e logistica in
condizioni di efficienza nonché efficacia. La costituzione di una forza vendita in
comune con altri produttori consente di ripartire i costi di visita su un giro d’affari
superiore a quello realizzabile individualmente e di offrire un assortimento
sufficientemente ampio per garantire al dettagliante le economie di costo derivanti
dalla concentrazione degli acquisti. I prerequisiti necessari affinché diverse
imprese industriali possano condividere la rete di vendita è che esse non siano in
concorrenza sul mercato finale ed utilizzino canali distributivi omogenei. I
produttori per conto dei quali Barilla gestisce il servizio di ingrosso attraverso la
società First operano, infatti, in categorie merceologiche che sono non sostituibili
nella funzione d’uso e complementari in quella d’acquisto. L’assenza di
conflittualità a livello orizzontale rende possibile lo sfruttamento di sinergie
nell’attività di vendita mediante la strutturazione delle iniziative promozionali con
riferimento al portafoglio prodotti nel suo complesso, aumentando così l’efficacia
delle azioni di marketing.
La diversificazione dell’attività nel settore dei servizi logistici ha permesso poi
a Barilla di abbassare la soglia di costo che definisce il confine tra copertura
diretta ed indiretta della rete al dettaglio. La dimensione minima dell'ordine che
garantisce la copertura dei costi logistici è, infatti, diminuita del 36% consentendo
di estendere la consegna diretta al 70% dei punti vendita tradizionali. Number 1 si
posiziona al crocevia dei flussi in partenza dai magazzini centrali di diversi
produttori per consolidarli presso le proprie strutture di stoccaggio e smistarli
secondo la tecnica del raggruppamento per destinatario. L’azienda opera, pertanto,
in qualità di prestatore di servizi logistici, combinando la molteplicità delle fonti
di spedizione con la polarizzazione dei luoghi di destinazione. Gli automezzi in
uscita dalla piattaforma del terzista si dirigono, con i prodotti provenienti da una
pluralità di fornitori, verso un unico destinatario. La massificazione dei volumi di
spedizione di diverse imprese industriali consente di raggiungere più elevati livelli
di produttività nel processo di distribuzione fisica a seguito dell’aumento della
dimensione media della consegna. L’ordine del dettagliante consolida, infatti, le
esigenze di riapprovvigionamento dei diversi produttori che condividono la rete di
vendita con Barilla.
143
L’integrazione della funzione di ingrosso da parte di Barilla risponde
all’obiettivo di riappropriarsi del controllo della distribuzione dei propri prodotti
presso il dettaglio indipendente sia in termini di copertura assortimentale che di
efficacia degli investimenti di marketing. I negozi tradizionali veicolano ancora
una quota importante del giro d’affari complessivo, stimata intorno al 22%, in
settori molto concentrati sul piano distributivo come quello dei prodotti di largo
consumo. La tendenza da parte delle unioni volontarie e dei gruppi di acquisto ad
innalzare il livello di efficienza necessario per farne parte fa, inoltre,
progressivamente aumentare il numero di dettaglianti che si approvvigionano
presso l’ingrosso non integrato. La perdita del contatto diretto con la rete al
dettaglio che ne consegue impoverisce il servizio che l’ingrosso offre al
produttore, poiché la pressione sugli assortimenti commerciali risulta
inevitabilmente più debole. Il presidio del dettaglio tradizionale consente a Barilla
di cogliere delle opportunità di business anche in un settore commerciale maturo,
aumentando la propria quota di mercato a scapito dei concorrenti che delegano
all’ingrosso la funzione di commercializzazione.
3.3. Il settore della stampa quotidiana e periodica
La distribuzione della stampa è oggetto di particolare tutela nell’ordinamento
italiano in relazione all'obiettivo politico di garantire il pluralismo
dell'informazione. In questo quadro si colloca il dovere sancito dall’art. 16 della
Legge n. 416 del 5 agosto 1981 in capo alle imprese di distribuzione di garantire il
servizio di distribuzione a tutte le testate che ne facciano richiesta. Il Decreto
Legislativo 24 aprile 2001, n.170, ha modificato la struttura della rete di vendita
dei prodotti editoriali distinguendo tra punti vendita esclusivi e punti vendita non
esclusivi. I primi sono quelli che, previsti nel piano comunale di localizzazione,
sono tenuti alla vendita generale di quotidiani e periodici. I secondi sono quelli
attivati con la sperimentazione ed autorizzati alla vendita di quotidiani ovvero
periodici, in aggiunta ad altre merci. Si tratta in particolare:
-
delle rivendite di generi di monopolio;
delle rivendite di carburanti e oli minerali con il limite minimo di superficie
pari a 1.500 metri quadrati;
dei bar, inclusi gli esercizi posti nelle aree di servizio delle autostrade e
nell’interno delle stazioni ferroviarie, aeroportuali e marittime;
dei punti vendita a libero servizio a partire da una superficie minima di 700
metri quadrati;
delle librerie con un limite minimo di superficie di 120 metri quadrati;
degli esercizi a prevalente specializzazione di vendita, con esclusivo
riferimento alla vendita delle riviste di identica specializzazione.
144
La Legge ha esteso ai punti vendita in sperimentazione alcuni dei principi che
regolano i rapporti tra editori ed edicolanti e, precisamente:
-
parità di trattamento delle testate;
rispetto del prezzo di vendita imposto dall’editore;
parità di condizioni economiche e commerciali;
esclusione da attività promozionali di prezzo e non.
Infine, è stato previsto l’obbligo per i punti vendita della distribuzione moderna di
esporre i giornali in un unico spazio.
La vendita della stampa è prevalentemente realizzata attraverso la rete al
dettaglio, considerato che sia l’abbonamento che la consegna diretta ai clienti
hanno un peso molto limitato. Il canale lungo, con uno o due livelli di
intermediazione grossista, svolge pertanto un ruolo primario nella diffusione della
stampa quotidiana e periodica. Il ruolo marginale svolto dal canale corto è
imputabile alla struttura della rete al dettaglio, composta prevalentemente da punti
vendita di piccola dimensione, dispersi territorialmente, che esprimono ordini con
frequenza elevata ma di modesta entità. Nel 2005 i punti vendita sul territorio
nazionale sono stimati pari a circa 42.000. Su 31.683 di questi è stato possibile
effettuare una accurata classificazione tipologica (tabella 3.4) che mette in
evidenza che il negozio promiscuo è il principale canale di vendita al pubblico,
mentre ancora modesta appare l’area della cosiddetta sperimentazione (GDO,
pubblici esercizi, distributori di carburante, etc).
Tabella 3.4 - Struttura della rete al dettaglio (2005)
Numero
15.346
7.588
4.681
1.197
898
418
347
328
215
210
126
115
97
66
51
31.683
Negozio promiscuo
Chiosco
Negozio esclusivo
Bar
Supermercati ed ipermercati
Distributori di carburante
Rivendita in autogrill
Rivendita in stazione ferroviaria
Rivendita in centro commerciale
Campeggio
Negozi specializzati
Hotel
Rivendita in stazione della metropolitana
Ristorante
Rivendita in aeroporto
Totale
% sul totale
48,4
23,9
14,8
3,8
2,8
1,3
1,1
1,0
0,7
0,7
0,4
0,4
0,3
0,2
0,2
100,0
Fonte: Fieg ed Anadis
Il numero di intermediari all’ingrosso (distributori locali) è pari a circa 160 unità,
con dimensioni aziendali molto diverse, a volte operanti su aree coincidenti aventi
un raggio d’azione limitato. Le piccole e medie case editrici, a differenza delle
grandi, non sono normalmente in grado di gestire direttamente la distribuzione del
prodotto alla rete di ingrosso. Esse delegano pertanto tale attività ai distributori
nazionali che si comportano come le grandi case editrici fornendo ai propri clienti
145
i servizi di diffusione, distribuzione, trasporto, amministrazione, gestione resa,
informazione e supporto nelle iniziative promozionali.
I canali di distribuzione dei giornali si configurano come sistemi verticali di
marketing. Il ruolo di channel leader è svolto dall’editore che assicura il diritto di
resa delle copie invendute agli intermediari commerciali. L’editore assume
pertanto il rischio di commercializzazione, che risulta elevato data la difficoltà di
adeguare l’offerta alla domanda attraverso la costituzione di scorte, in relazione al
breve ciclo di vita del prodotto editoriale. La contropartita dell’eliminazione del
rischio commerciale in capo agli intermediari è lo stretto controllo della politica
distributiva attraverso la definizione dei prezzi di vendita, del margine di
intermediazione commerciale e della dimensione delle forniture.
I rapporti tra editori e distributori locali, che svolgono la funzione di ingrosso,
sono normalmente regolati da contratti bilaterali con riferimento alle attività
ordinarie e con accordi verbali per quelle a carattere occasionale. Gli stessi
disciplinano più o meno dettagliatamente i seguenti aspetti della relazione tra
editore e distributore locale:
-
-
-
-
-
-
attribuzione all’editore della responsabilità di fissazione del numero di copie
ottimale della testata per il distributore locale;
attribuzione al distributore della responsabilità di ripartire il numero di copie
ricevute per la testata ai punti vendita serviti;
obbligo per il distributore locale di garantire la consegna della testata ai punti
vendita con puntualità ed orari idonei alla vendita nei limiti dell’orario di
consegna della stessa;
obbligo per il distributore locale di garantire, al di là degli orari di consegna
concordati, la distribuzione della testata anche in condizioni di emergenza
secondo i criteri della normale diligenza professionale;
obbligo del distributore di eseguire giornalmente il ritiro delle rese dai punti
vendita e conteggiarle;
obbligo per il distributore di riapprovvigionare i punti vendita nel caso di
rottura di scorta della testata;
obbligo per il distributore di conservare e mettere a disposizione dell’editore,
attraverso il sistema inforete, le informazioni relative alle copie distribuite e
rese per testata e punto vendita;
obbligo per il distributore di rilevare l’andamento delle vendite nei punti
vendita, eventualmente indicati dall’editore, prima del ritiro delle copie
invendute attraverso il conteggio delle copie ancora a scorta;
obbligo da parte del distributore di garantire la riservatezza dei dati relativi
alle copie distribuite e rese delle testate la cui proprietà ed accesso è
esclusivamente in capo all’editore;
assunzione da parte dell’editore del rischio commerciale con il riconoscimento
del diritto di resa delle copie rimaste invendute;
indicazione dal parte dell’editore della zona territoriale in cui il distributore
può esercitare la sua attività;
146
-
-
-
-
definizione dei giorni del mese in cui il distributore deve versare gli acconti
sul venduto per un importo complessivo pari all’80% delle vendite mensili
stimate;
impegno del distributore a rilasciare una fideiussione bancaria definita in
percentuale del giro d’affari sviluppato complessivamente con l’editore;
definizione degli standard tecnici sia degli imballi secondari e terziari sia dei
documenti di accompagnamento con cui il distributore deve restituire le copie
rese;
diritto di recesso da parte di entrambi i contraenti con un preavviso di trenta
giorni;
obbligo del distributore di comunicare l’elenco dei propri soci e delle relative
partecipazioni;
obbligo del distributore locale di chiedere l’autorizzazione all’editore per
effettuare il cambiamento di forma sociale e la cessione a terzi dell’attività, a
meno che non si tratti di parenti o affini degli attuali titolari fino al secondo
grado;
diritto dell’editore di recedere senza alcun onere dal contratto qualora non
gradisca il nuovo socio e/o i nuovi soci e/o eventuali mutamenti della
compagine sociale con un preavviso che varia da un mese a tre mesi.
Le agenzie di diffusione locale della stampa rappresentano pertanto i nodi
periferici della rete di distribuzione dell’editore, dove trovano attuazione i cicli
operativi e commerciali correlati alla vendita delle testate. La loro attività consta,
in particolare, delle seguenti funzioni:
-
-
-
redazione dei piani diffusionali sulla base delle indicazioni ricevute dagli
editori;
emissione della bolla di consegna con il dettaglio delle pubblicazioni che
vengono fornite al singolo rivenditore;
trasporto delle pubblicazioni ai punti vendita secondo il calendario predisposto
dall’editore e in tempi ottimali per la vendita;
ricostituzione della scorta in punto vendita in caso di rottura di scorta;
ritiro delle copie invendute;
conteggio delle copie invendute restituite da tutti i punti vendita verificandone
la consistenza nonché l’integrità;
messa a disposizione dell’editore dei dati di distribuzione, di vendita e di resa
relativi alle testate dello stesso editore sia in forma complessiva sia per singolo
punto vendita;
effettuazione dei rilevamenti, in collaborazione con la rete di vendita;
consegna ai punti vendita del materiale espositivo e del materiale informativo
inerente le iniziative editoriali che richiedono la collaborazione della rete di
vendita;
comunicazione scritta ai punti vendita delle iniziative editoriali che richiedono
la loro collaborazione, utilizzando la bolla di consegna;
emissione del documento di richiamo resa;
147
-
-
emissione dell’estratto conto per le pubblicazioni consegnate, accreditando le
copie di resa restituite nei tempi e nei modi prestabiliti dall’Accordo
nazionale;
redazione separata della documentazione contabile per le pubblicazioni
associate a Fieg;
servizio di rack jobbing nei punti vendita della grande distribuzione;
assistenza tecnica ai punti vendita tradizionali.
Il controllo esercitato dalle case editrici sulla fase di ingrosso non è certamente
una causa secondaria dell’evoluzione e dello stato attuale della distribuzione
locale (Cescom, 1984). Di norma, le singole imprese non sono nate per occupare
autonomamente gli spazi di mercato che si andavano aprendo, ma in stretto
rapporto con le politiche degli editori che decidevano di affidare la fase di
ingrosso per una data area a persone che godevano della loro fiducia. Il numero e
la dimensione dei distributori locali sono governati dagli editori con l’obiettivo di
mantenere il grado di dipendenza necessario ad annullare eventuali tensioni nei
rapporti verticali. A fronte di questo vantaggio, gli editori scontano un livello di
efficienza e di efficacia nell’attività del distributore locale inferiore a quello
ottimale, in quanto la modesta dimensione limita la possibilità di accedere ad
economie di scala e di realizzare investimenti in attività sia materiali che
immateriali.
Il prezzo che l’editore paga per i servizi commerciali del distributore locale è
espresso, analogamente al livello del dettaglio, come uno sconto in percentuale sul
valore del venduto, frutto di contrattazione bilaterale.
Il fenomeno di maggiore interesse nella struttura del canale di distribuzione
sopra descritti è rappresentato dall’integrazione verticale a valle nell’attività di
ingrosso da parte di RCS Media Group e De Agostini con la costituzione di Mdis, società di distribuzione di prodotti editoriali e non editoriali a livello
nazionale e locale. La sua costituzione è stata autorizzata dalla Commissione
Europea (SG 2003 D/229695-6) e vede, oltre alla partecipazione dei due gruppi
editoriali citati, anche quella di minoranza di Rusconi. Il pronunciamento della
Commissione contiene alcuni elementi di notevole interesse, vale a dire la
definizione del ruolo del distributore locale e del mercato rilevante. Il distributore
locale è considerato detentore di un potere di mercato controbilanciante a seguito
della durata annuale del contratto con editori e distributori nazionali; ciò consente
infatti una flessibilità sufficiente per cambiare gli stessi e una posizione di
monopolio o quasi-monopolio nel territorio locale.
Tuttavia, sulla base dell’evidenza empirica e delle conclusioni espresse
dall’Antitrust nell’indagine conoscitiva sulla distribuzione della stampa
quotidiana e periodica (Provvedimento n. 13425/2004), si rileva l’impossibilità
per il distributore di cambiare i propri fornitori poiché le testate sono distribuite o
dallo stesso editore o da un unico distributore nazionale. Il settore della stampa
quotidiana e periodica appare moderatamente concentrato. Oltre il 50% delle
vendite di quotidiani sono realizzate dalle prime sei testate; la rimanente quota di
mercato è suddivisa tra una decina di giornali nazionali “minori” e una quantità di
giornali regionali o provinciali. Notevole anche la concentrazione tra i settimanali,
148
dove il 60% del mercato è espresso da 15 testate (quattro delle quali sono peraltro
allegati a Repubblica o al Corriere della Sera). Al contrario, i mensili mostrano
una spiccata parcellizzazione, dovuta alla straordinaria varietà dell’offerta basata
sull’estrema segmentazione dei lettori (Accertamento Diffusione Stampa aprile
2005-marzo 2006). L’area territoriale su cui insiste l’attività del distributore locale
è, inoltre, definita dal fornitore in completa autonomia e secondo le proprie
finalità commerciali.
Il mercato rilevante è stato considerato composto non solo dai prodotti
editoriali ma anche da quelli non editoriali a seguito delle modifiche legislative
che hanno introdotto disposizioni che consentono alle edicole di estendere la
gamma di prodotti venduti. La penetrazione delle categorie merceologiche
alternative alla stampa si è però mantenuta in questi anni su livelli marginali,
ostacolata dalle caratteristiche del punto vendita, soprattutto di spazio e tipo di
servizio. Oltre ai tradizionali prodotti di servizio come i biglietti dei mezzi
pubblici, le ricariche telefoniche, carte e piante stradali, quelli alternativi si
limitano a caramelle e pastigliaggi in quanto non ingombranti e ad acquisto di
impulso. In modo coerente al pronunciamento della Commissione Europea,
l’Antitrust ha autorizzato l’acquisizione da parte di M-dis del ramo di azienda di
proprietà de Il Sole 24 ore afferente la distribuzione dei prodotti destinati al canale
edicola e ai punti vendita autorizzati (Provvedimento n. 15597/2006) e di quello
di Genova Press attivo nella distribuzione locale di prodotti editoriali
(Provvedimento n. 14691/2005). E’ stata, inoltre autorizzata la costituzione di
un’impresa comune tra M-dis e Editrice La Stampa a cui quest’ultima ha conferito
le attività di distribuzione editoriale. M-dis affida la distribuzione locale dei propri
prodotti alla costituenda società e distribuisce per conto dalla stessa i prodotti La
Stampa al di fuori delle aree del Piemonte, Valle D’Aosta e Liguria
(Provvedimento n. 15290/2006). Infine è stata autorizzata l’acquisizione da parte
di M-dis del 30% del capitale sociale del distributore nazionale A. Pieroni
Diffusione (Provvedimento n. 16192/2006).
Le operazioni condotte da M-dis denotano l’interesse ad esercitare un maggior
grado di controllo sui processi di distribuzione a livello nazionale e locale.
L’elemento di novità nel panorama dei distributori nazionali consiste nel fatto che
la società distribuisce un numero inferiore di editori (70 rispetto ai 220 di Parrini),
di cui alcuni di grande dimensione. Ciò consente il raggiungimento di economie
di scala interne ed esterne con riferimento ai rapporti contrattuali con i distributori
locali. La costituzione di società di distribuzione a carattere locale è operata,
parallelamente, con l’obiettivo di assicurare il presidio diretto della rete al
dettaglio in aree territoriali ad elevato potenziale di mercato. L’elevato grado di
concentrazione delle vendite di giornali in aree territoriali ristrette del nostro
paese (centro-nord) facilita il raggiungimento di questo obiettivo strategico,
limitando le zone il cui presidio risulta determinante. Tale condotta può tradursi
alternativamente nella revoca del mandato al distributore locale a distribuire le
testate rappresentate da M-dis e/o alla richiesta a quest’ultimo di evolvere in un
semplice prestatore di servizi logistici.
Il caso M-dis è soltanto l’ultima esperienza in ordine di tempo che testimonia
dell’interesse degli editori ad esercitare un maggior grado di controllo sulla rete di
149
distribuzione all’ingrosso e al dettaglio per supportare le proprie politiche di
marketing e di crescita. In tale prospettiva si pongono anche altre esperienze: si
pensi alle imprese di distribuzione locale partecipate con quote di minoranza da
editori e distribuiti nazionali, o a Mondadori che ha recentemente lanciato il
progetto di franchising Edicolé sulla rete al dettaglio.
150
Capitolo 4
Gli agenti e l’intermediazione indiretta
4.1. Il contratto di agenzia
Per introdurre il ruolo dell’intermediazione indiretta occorre preventivamente
metterne a fuoco i confini, partendo dalla definizione del contratto di Agenzia che,
come vedremo, rappresenta la prevalente, ancorché non unica, forma di
intermediazione indiretta. Il Codice Civile all’art. 1742 e seguenti descrive il
contratto di Agenzia come una relazione formale in cui “una parte assume
stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la
conclusione di contratti in una zona determinata”.
Le caratteristiche del contratto di agenzia non trovano spazi solo nel codice civile
ma anche in successivi interventi legislativi cui si rimanda in appendice (Fig. 4.1).
Figura 4.1 - L’inquadramento legislativo
NORMATIVA
NORMATIVA
Codice civile
Intreventi
legislativi
Articoli 17421753
D.Lgs 303/91
D.Lgs 65/99
Norme
corporative
AEC
Contratto di
agenzia
Agente
Una parte assume
Chi è incaricato
stabilmente
l'incarico, verso stabilmente da una
o più ditte di
retribuzione, di
promuovere la
promuovere per
conclusione di
conto dell'altra la
contratti in una
conclusione di
determinata zona
contratti in una
determinata zona
Gli elementi che contraddistinguono il contratto di agenzia sono riconducili alla
formalizzazione di almeno 6 requisiti di base (Fig. 4.2)
Figura 4.2 - Gli elementi del contratto di agenzia
Accordo delle parti
è la manifestazione della volontà delle parti di
porre in essere un contratto
Causa
è lo scopo cui mira il contratto
Oggetto
è l'attività di promuovere la conclusione di affari
per conto del proponente
Forma
è il modo in cui si manifesa la volontà
Zona
è la determinazione territoriale in cui si svolge
l'attività dell'agente
Retribuzione
è la provvigione spettante all'agente per gli affari
andati a buon fine
Dalla lettura congiunta di questi elementi, emerge la figura di un intermediarioagente che non effettua acquisti e/o vendite in proprio nome e non stipula
contratti, circostanza, quest’ultima, che lo distingue da altre tipologie di
intermediari indiretti che operano con modalità differenti dal contratto di agenzia.
Accettando che la principale linea di demarcazione tra il ruolo dell’Agente e
quello degli altri intermediari risieda nella presenza del contratto di Agenzia, cui
rimandiamo in appendice, si possono distinguere i profili di intermediari in due
grandi categorie, a seconda che abbiano accesso o meno al mandato di agenzia
(Fig. 4.3).
152
Figura 4.3 - Le principali tipologie di intermediazione indiretta
Intermediari con contratto di Agenzia
Intermediari senza contratto di agenzia
Agente di commercio: è agente di commercio il
soggetto, persona fisica o società, stabilmente
incaricato di promuovere, salvo approvazione della
azienda mandante, la conclusione di contratti in una
zona preliminarmente definita per conto di una o più
ditte proponenti. (art.1742 c.c.) Più nello specifico il
compito dell’intermediario “agente” è quello di
proporre beni e servizi di un’impresa (mandante)
22
presso i potenziali clienti .
Rappresentante di commercio: è rappresentante di
commercio il soggetto, persona fisica o società,
stabilmente incaricato di concludere contratti per conto
di una o più ditte proponenti in una zona
preliminarmente definita. I contratti conclusi si
considerano stipulati direttamente tra il cliente e la
ditta mandante, poiché questa figura “rappresenta”
l’azienda (art.1752 c.c.). La distinzione tra l’agente e il
rappresentante è sottile, potendo quest’ultimo
concludere contratti a differenza del primo che si limita
a promuoverli.
Subagente: è un soggetto, persona fisica o società,
legato ad un proponente-agente per mezzo di un
contratto di agenzia o di rappresentanza di
commercio. In tal caso valgono i requisiti previsti dalle
normative vigenti, dal codice civile degli Accordi
Economici Collettivi (Aec).
Commissionario: è un soggetto che, dietro mandato,
acquista o vende beni per conto del committente e in
nome proprio. Il commissionario: non è vincolato da
obblighi di esclusiva, non ha una zona definita, non ha
un incarico stabile e può concedere dilazioni di
pagamento. (art. 1731, 1732 c.c.)
Mediatore: mette in relazione due o più parti per la
conclusione di un affare senza essere legato ad
alcuna di esse da rapporti di collaborazione,
dipendenza o rappresentanza. Ha diritto a percepire la
provvigione da ciascuna delle parti e al rimborso delle
spese anche se non si è verificata la conclusione del
contratto. (art.1752, 1755, 1756 c.c.)
Agente con deposito: è un soggetto che tiene in
deposito per conto della ditta mandante i prodotti che
verranno consegnati da lui direttamente al cliente.
Valgono le norme in materia di deposito per gli
obblighi relativi alla custodia dei beni.
Agente e rappresentante che commercia in
proprio: oltre alla promozione e/o conclusione di
contratti di vendita il soggetto esercita in proprio il
commercio di prodotti della proponente (salvo patto
contrario scritto) o di altre ditte non concorrenziali.
Agente per la tentata vendita: è un soggetto che
promuove direttamente la vendita di prodotti al cliente
con consegna della merce contestuale o successiva
utilizzando il proprio automezzo. L’attività è molto
diffusa nel settore alimentare. Se il soggetto non è
delegato da un rapporto di dipendenza, per esso si
configurano le caratteristiche del rapporto di agenzia
di commercio; valgono i requisiti previsti dalle norme
vigenti, dal codice civile e dagli Accordi Economici
Collettivi (Aec).
Propagandista: è una figura assai frequente nella
promozione di prodotti medicinali e editoriali. Se
svolge l’attività in regime di autonomia e non è legato
da un rapporto di subordinazione, il compenso è
commisurato agli affari conclusi con il rischio del
risultato economico a proprio carico. Potrebbe essere
assimilabile alla figura dell’agente di commercio.
Procacciatore di affari: non esiste nel codice civile
un riferimento normativo specifico relativo a tale
figura. Si differenzia dall’agente in quanto non è
vincolato dall’esclusività, non ha zone specifiche, né
stabilità. Opera solo occasionalmente proponendo ad
una ditta un “affare” (contratto di vendita) senza alcun
vincolo né impegno per la medesima.
Venditore diretto: vi rientrano i soggetti che svolgono
azione di vendita con qualifiche differenti come ad
esempio: commesso viaggiatore, venditore porta a
porta, ispettori, capi area.
22
La clientela servita è però di tipo business, infatti la professione di intermediario così come
definita dai codici ATECO (da 51.10 a 51.19) è caratterizzata dal fatto di mettere in contatto fra
loro imprese, e non imprese con il consumatore finale.
153
4.2. L’iscrizione al Ruolo
Non tutti gli intermediari devono iscriversi presso la Camera di Commercio,
Industria, Artigianato e Agricoltura dove è istituito un Ruolo per gli Agenti e
Rappresentanti di commercio. Al Ruolo di agenti e rappresentanti di commercio
debbono obbligatoriamente iscriversi tutti coloro, persone fisiche o società
(tramite il o i legali rappresentanti), che intendono svolgere l’attività di agente e
rappresentante di commercio, e in particolare:
-
l’agente di commercio;
il rappresentante di commercio;
gli agenti e rappresentanti, italiani o stranieri, che operano in Italia con
mandato rilasciato da impresa straniera;
i sub-agenti di commercio;
gli agenti e rappresentanti, che operano esclusivamente nel settore dei
servizi.
Questa circostanza è fondamentale ai fini dell’approfondimento statistico poiché
all’iscrizione al ruolo segue l’ iscrizione al registro delle imprese che
rappresenta la fonte primaria di possibili analisi quantitative dell’evoluzione
dell’intermediazione indiretta.
I requisiti e le procedure per l’iscrizione al Ruolo sono molto simili sia per le
imprese individuali che per le società di persone o di capitale (Fig. 4.4)
154
Figura 4.4 - Requisiti e procedure per l’accesso al ruolo
REQUISITI
GENERALI
REQUISITI
MORALI
REQUISITI
PROFESSIONALI
ISCRIZIONE NEL RUOLO AGENTI E
RAPPRESENTANTI DI COMMERCIO CAMERA
DI COMMERCIO
ISCRIZIONE NEL REGISTRO
DELLE IMPRESE entro 30 gg
inizio attivtà CAMERA DI
COMMERCIO
ENASARCO
APERTURA
PARTITA IVA entro
30 gg
INPS E MUTUA
COMMERCIANTI (mutua e
pensione obbligatoria) entro 30 gg
REGISTRO DELLE IMPRESE - COSTITUZIONE SOCIETA'
REQUISITI
GENERALI
REQUISITI
MORALI
Riconoscimento dei requisiti al/i legale/i rappresentante/i
ISCRIZIONE NEL RUOLO AGENTI E RAPPRESENTANTI
DI COMMERCIO CAMERA DI COMMERCIO
ENASARCO
DENUNCIA INIZIO ATTIVITA' E
DEPOSITO MANDATI entro 30 gg
decorrenza mandato REGISTRO DELLE
IMPRESE - CAMERA DI COMMERCIO
INPS E MUTUA COMMERCIANTI
(mutua e pensione obbligatoria) entro 30
gg
155
REQUISITI
PROFESSIONALI
Tuttavia, l’ iscrizione non necessariamente indica la reale operatività dell’agente
ed esiste il fondato sospetto che alcuni benefici fiscali possano spingere
all’iscrizione e al sostegno dei costi relativi in virtù di un saldo positivo. Non è un
caso che periodicamente, ogni 5 anni, si proceda alla revisione del Ruolo. Infatti
l’ultimo comma dell’art. 5 della L.n. 204/85 prescrive la revisione quinquennale
tesa ad assicurare in via primaria la legittimazione degli iscritti all’esercizio
dell’attività, attraverso il controllo dei requisiti morali e della non sussistenza di
situazioni di incompatibilità, in funzione di tutela di terzi contraenti e, in
definitiva, della fede pubblica. La revisione risponde inoltre ad esigenze
amministrative ed organizzative di trasparenza, di correttezza e di esatta
rappresentazione della consistenza del settore. Come anticipato, questa
circostanza si riflette sulla qualità delle fonti statistiche utili a cogliere le
dinamiche evolutive del ruolo. L’analisi statistica è ulteriormente complicata dal
fatto che in passato la legge Bassanini, per un certo periodo, mise le Camere di
Commercio nella condizione di non rendere obbligatoria l’iscrizione al registro
imprese, con possibili rischi di inquinamento nella lettura diacronica delle fonti.
Una fonte alternativa per l’analisi economica è rappresentata dall’ammontare dei
fondi Enasarco. La Fondazione Enasarco esercita, d’intesa con il Ministero del
Lavoro, azioni di vigilanza ispettiva per l’accertamento della natura del rapporto
di Agenzia e per l’osservanza degli obblighi contributivi da parte delle ditte
mandanti. La fondazione Enasarco, costituita con Delibera del Consiglio di
Amministrazione del 27/11/1996 per effetto del Decreto Legislativo 509/94, è un
organismo di diritto privato che persegue finalità di pubblico interesse nel settore
della previdenza obbligatoria, dell’ assistenza, della formazione e qualificazione
professionale degli Agenti e Rappresentanti di Commercio. L’istituzione
originaria dell’ente avviene nel 1938, per autonoma determinazione delle
organizzazioni sindacali e delle ditte mandanti (Aec del 30/6/1938). Con Regio
Decreto n.1305 del 6/6/1939 l’Enasarco fu costituito ente di diritto pubblico per la
gestione della Previdenza, del Fondo Indennità Risoluzione Rapporto (Firr),
dell’Istruzione Professionale e dell’Assistenza Sociale. Alla Fondazione Enasarco
è affidata attualmente la gestione di un Consiglio di Amministrazione
rappresentativo delle Associazioni sindacali degli Agenti di Commercio e delle
Organizzazioni delle ditte mandanti firmatarie degli Accordi Economici
Collettivi. Il controllo pubblico sulla gestione della Fondazione Enasarco è
affidato al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Attualmente, la
Fondazione amministra circa 300.000 posizioni contributive attive di Agenti e
105.000 Ditte mandanti obbligate alla contribuzione. Ogni anno vengono erogate
circa 100.000 pensioni (tra vecchiaia, invalidità e superstiti) e 70.000 liquidazioni
Firr. Sono obbligatoriamente iscritti alla Fondazione Enasarco anche gli Agenti
che operano all’estero per ditte italiane. Le ditte straniere che non abbiano
nessuna sede o dipendenza in Italia possono iscrivere alla Fondazione i propri
agenti italiani purché si impegnino al rispetto delle norme contenute nel
Regolamento. L’Ente svolge da oltre trenta anni attività per la formazione
professionale degli Agenti di commercio e attualmente partecipano ai corsi di
base circa 1.200 iscritti.
156
La terza fonte statistica necessaria a studiare l’evoluzione del ruolo
dell’intermediazione indiretta è rappresentata dai Censimenti Istat, che a cadenza
purtroppo solo decennale fotografano la consistenza della categoria.
Al fianco di queste fonti (camere di commercio, Enasarco e Istat) esistono poi
ricerche campionarie svolte dalle principali Associazioni di categoria (Fnaarc,
Assoagenti) sia a livello nazionale che regionale. Alla luce di queste basi dati,
integrate da interviste qualitative di operatori citati in appendice, si può tentare un
approfondimento di natura economica del ruolo dell’intermediazione indiretta.
4.3. I numeri chiave del settore
Prima di entrare nel merito delle analisi statistiche e tentare un approfondimento
del mercato lombardo, può essere utile ricostruire una sorta di scheda di analisi
quali-quantitativa del ruolo, facendo tesoro delle interviste condotte agli operatori
e delle fonti statistiche ufficiali.
In primo luogo occorre segnalare che gli addetti ai lavori individuano forti
rischi di sovrastima delle fonti statistiche ufficiali che al 2005 indicano 255.010
intermediari iscritti al registro Imprese, quando in realtà gli operatori col mandato
di agenzia si stimano pari a circa 210.000 unità. Sul fronte delle aziende mandanti,
l’Enasarco gestisce 105.000 posizioni, circostanza che porrebbe nel rapporto di 1
a 2 il numero di intermediari per mandante. Secondo l’Associazione di categoria
degli agenti, la FNAARC, è possibile stimare che agenti e rappresentanti
scambino beni per un valore pari al 70% del PIL nazionale. Un ulteriore
indicatore dell’importanza strategica della professione ci è fornito da una ricerca
Fnaarc la quale rileva che in Italia più del 50% delle ricerche di lavoro pubblicate
sui giornali riguarda il ruolo di agenti di commercio.
Un dato certificato è che l’85% degli agenti opera in forma individuale (Fig.5).
Come approfondiremo in seguito, i dati del Registro delle Imprese ci permettono
di evidenziare che la popolazione è rimasta sostanzialmente stabile nell’ultimo
quinquennio.
Altrettanto interessante il dato relativo al numero di mandanti per agente.
Stando alle ricerche in materia risulta che la stragrande maggioranza degli agenti
di commercio è plurimandatario, ovvero ha stipulato contratti con più di una
azienda di produzione di beni e servizi. È evidente che la managerialità e
l’indipendenza che caratterizza la professione di agente beneficiano di un rapporto
continuativo con una pluralità di aziende mandanti. Tuttavia, un interessante
approfondimento del 2003, Assogenti dimostra che in realtà molti plurimandatari
sono di fatto legati a un’unica azienda (Fig. 4.6); nonostante la presenza di più
mandati, la sovrapposizione (territoriale o merceologica) degli stessi e la presenza
di un'unica controparte interlocutoria, fanno ricadere de facto il rapporto
contrattuale nella tipologia del monomandato.
157
Un ulteriore informazione rimanda alla presenza o meno di un deposito merci
presso la sede dell’agente. In questo caso le analisi concordano nello stimare
intorno al 10 %, e in calo, la percentuale di agenti dotati di deposito. Uno dei
settori dove questa soluzione è più diffusa è quello dei consorzi agrari. Sul fatto
che in prospettiva la presenza del deposito tenda a diminuire, può essere utile
confrontare un analisi sul territorio piemontese che a distanza di 12 anni, dal 92 al
2004 vede dimezzarsi la presenza di depositi (Fig. 4.7)
Un’altra peculiarità della professione è l’anzianità di lavoro degli agenti. Le
ricerche campionarie di Fnnarc e Assogenti mostrano come la percentuale di
giovani, intesi come fascia d’età inferiore ai 34 anni, sia inferiore al 15% e oltre il
30% degli intervistati opera da oltre 25 anni (Fig. 4.8). Il dato segnala un relativo
invecchiamento del ruolo su cui torneremo nelle conclusioni finali. Il dato è in
parte smentito dalle fonti Enasarco che mostrano un sostanziale equilibrio tra
entrati e usciti (nuovi contributi e pensionamenti).
Ulteriori indicazioni si hanno osservando i livelli di scolarizzazione del settore:
il 70% degli agenti ha un titolo di scuola media secondaria. In merito al titolo di
studio dobbiamo ricordare che per poter accedere alla professione di agente e
rappresentante di commercio occorrono, oltre ai requisiti morali, il possesso di un
titolo di studio di media secondaria o una laurea in ambito
economico/commerciale, o la frequenza a corsi di formazione o una esperienza
lavorativa. L’esempio della ricerca Confesercenti sugli agenti di Bologna nel 2002
va a conferma del dato proposto (Fig. 4.9).
Passando a informazioni di natura commerciale occorre soffermarsi sui settori
di appartenenza di questi operatori in modo da demarcarne gli ambiti di
operatività. Analizzando la consistenza dei mercati di riferimento emerge una
consistenza rilevante di operatori nei mercati dei prodotti di largo e generale
consumo, peraltro confermata dalle ricerca campionaria di Assoagenti datata 2003
(Fig. 4.10) Tuttavia occorre osservare la presenza consistente di intermediari di
beni industriali legati alla meccanica o all’elettronica che tende a salire nei
territori che mostrano vocazioni distrettuali o tradizioni industriali e
manifatturiere. Non è per esempio un caso che sul mercato Piemontese salga al
32% la quota di intermediari della meccanica, mentre in Lombardia, si assista a
vocazioni terziarie anche nel mondo dell’intermediazione.
Da queste precisazioni derivano le analisi relative alle diverse tipologie di
clientela servita. Anche in questo caso usiamo come spunto di riflessione la
ricerca Assoagenti del 2003 che identifica nel dettagliante indipendente il cliente
tipico dell’agente, seguito dal grossista e dalla piccola azienda industriale o
artigianale. Da segnalare il ruolo secondario della GDO servita con soluzioni
dirette dall’industria (Fig. 4.11). Probabilmente, queste percentuali potrebbero
modificarsi nei territori più specializzati sui beni intermedi e quindi meno vocati
al dettaglio e al consumo finale, tuttavia il dato evidenzia la natura polivalente
dell’intermediazione indiretta e la funzione logistica del ruolo dell’agente,
chiamato a contattare clientela polverizzata sul territorio. Il presidio fisico della
clientela con visite periodiche e mirate presso le sedi del cliente rappresenta
quindi un prerequisito dell’intermediazione. A prima vista tale costo potrebbe
essere assorbito dal cliente stesso o dal mandante quando le caratteristiche del
158
bene commercializzato (valore, standardizzazione, etc..) spingono a un contatto
diretto tra le controparti ( es: beni complessi, prodotti una tantum su specifiche del
cliente) o alla semplificazione del processo d’acquisto (es: commodities, prodotti
standardizzati, beni digitalizzabili, etc,,), ma le analisi che andremo a sviluppare
non sembrano mettere in discussione la rilevanza economica dell’intermediazione
indiretta.
Una conferma indiretta del ruolo logistico assolto dall’agente viene dalle
informazioni relative agli spostamenti effettuati sul territorio dall’agente: in media
si stimano circa 50.000 Km/anno percorsi
Non è un caso che la macchina, il suo utilizzo, la sua manutenzione e la sua
sostituzione, rappresentino storicamente la voce di costo più consistente nel conto
economico dell’agente di commercio. La circostanza ci introduce a una stima
della redditività media di un agente indipendente. Infatti, dalle interviste realizzate
siamo in grado di fornire un esempio che si avvicina alla realtà di molti
intermediari di commercio. Posto un livello medio di provvigioni incassate pari a
80.000 €, decurtando costi d’impresa, oneri previdenziali e tassazione, il netto
spendibile non supera il 40% del totale. Assumendo un valore medio delle
provvigioni che oscilla dal 3% al 5%, è facile stimare che il valore medio del
fatturato intermediato oscilli da 1 a 2 milioni di euro. A parziale conferma dei
dati, riportiamo i risultati della già citata ricerca Assoagenti che mostra valori
leggermente inferiori, ma che indicava un profilo di agente concentrato su una
clientela al dettaglio e operante in settori di largo e generale consumo (Fig. 4.12).
In realtà, per avere una visione completa del ruolo occorre ricordate che dagli
studi di settore del Ministero delle Finanze emergono simulazioni contabili
relative ad agenzie organizzate sottoforma di società di capitali, il cui giro d’affari
supera spesso la soglia dei 5 milioni di euro.
Anche alla luce di questa precisazione è utile ricostruire il profilo manageriale
delle tipologie operatori più diffusi nel settore dell’intermediazione indiretta,
soffermandoci sui punti di forza/debolezza di ciascun profilo per cercare di
cogliere i potenziali di sviluppo delle stesse.
Figura 4.5 - Imprese iscritte al Registro delle imprese per forma giuridica (2001-2005)
IMPRESE ITALIANE ISCRITTE AL REGISTRO 2001-2005
FORME GIURIDICHE
PESO % ANNO 2001
PESO % ANNO 2005
SOCIETA' DI CAPITALE
4,65%
4,47%
SOCIETA' DI PERSONE
8,65%
8,88%
IMPRESE INDIVIDUALI
85,78%
85,91%
ALTRE FORME
0,92%
0,74%
159
Figura 4.6 - Classificazione dei soggetti a seconda del tipo di mandato
RICERCA ASSOAGENTI - 500 AGENTI E RAPPRESENTANTI ITALIANI - 2003
MONOMANDATARI
31,1%
PLURIMANDATARI
49,3%
PLURIMANDATARI MONOMANDATARI DI FATTO
19,6%
Fonte: Assorgenti
Figura 4.7 - Classificazione degli agenti per presenza o meno di un deposito 1992-2004
RICERCA CAMERE DI COMMERCIO PIEMONTE - AGENTI E RAPPRESENTANTI
PIEMONTE 2004
TIPOLOGIA
INDAGINE 2004
INDAGINE 1992
Con deposito
Senza Deposito
n.r.
10,87%
89,13%
_
22,2%
71,8%
6,0%
Fonte: Cam.Comm. Piemonte
Figura 4.8 - Anzianità di operatività degli agenti e rappresentanti italiani
RICERCA ASSOAGENTI - 500 AGENTI E RAPPRESENTANTI
ITALIANI - 2003
Anni di lavoro come agente di commercio
oltre i 25 anni
30,5%
dagli 11 ai 25 anni
34,9%
dai 5 ai 10 anni
23,0%
fino a 5 anni
11,6%
Fonte: Assorgenti
160
Figura 4.9 - Livello di scolarizzazione degli agenti di Bologna
RICERCA CONFESERCENTI - AGENTI E RAPPRESENTANTI BOLOGNA 2002
Diploma
Licenza media
Laurea
Licenza elementare
62,2%
21,3%
9,4%
7,1%
Fonte: Confesercenti
Figura 4.10 - Settori merceologici di attività degli agenti
RICERCA ASSOAGENTI - 500 AGENTI E RAPPRESENTANTI
ITALIANI - 2003
SETTORE MERCEOLOGICO DI ATTIVITA'
Alimentare, bevande, tabacco
Tessile, abbigliamento, pelli, cuoio e calzature
Legno, mobili, materiali per costruzione
Chimica, gomma, plastica e ceramica
Mezzi di trasporto, macchine e articoli di metallo
Elettronica ed elettricità
Altri settori
TOTALE
23,1%
4,8%
8,1%
8,0%
12,1%
9,5%
34,4%
100,0%
Fonte: Assoagenti 2003
Figura 4.11 - Classificazione degli intermediari per tipo di clientela servita
RICERCA ASSOAGENTI - 500 AGENTI E RAPPRESENTANTI
ITALIANI - 2003
PERCENTUALE DI RISPOSTE SUL TOTALE
Dettaglianti
Grossiti
Aziende
Consumatori finali
Grande Distribuzione
Comunità (scuole, ospedali,..)
Altro
TOTALE
Fonte: Assorgenti
161
27,9%
19,9%
15,9%
14,8%
7,8%
2,6%
11,1%
100,0%
Figura 4.12 - Classificazione degli agenti per valore intermediato
RICERCA ASSOAGENTI - 500 AGENTI E RAPPRESENTANTI ITALIANI - 2003
PERCENTUALE DI AGENTI PER CLASSI DI FATTURATO
fino a 250.000 €
tra 250.000 e 500.000 €
tra 500.000 1,5M €
tra 1,5 e 5M €
oltre 5M €
TOTALE
18,6%
16,9%
44,3%
10,6%
9,6%
100,0%
4.4. L’analisi quantitativa: Italia e Lombardia a confronto
Passando all’analisi statistica, emerge immediatamente un trend molto
differenziato negli ultimi 5 anni, con una crescita dello 0,36% (Fig. 4.14), rispetto
al precedente decennio 1991 -2001 che registra una crescita dello 72,04% (Fig.
4.15).
Figura 4.14 - Iscrizioni al registro Imprese (saldo tra operative, iscritte e cessate)
nel 2001 e 2005
INTERMEDIARI ISCRITTI AL REGISTRO DELLE IMPRESE 2001 - 2005
Regioni
Piemonte
Imprese iscritte 2001
Imprese iscritte 2005
20.295
20.427
Var. %
0,65%
Valle d'Aosta
275
278
1,09%
Lombardia
46.201
46.036
-0,36%
Trentino-Alto Adige
3.627
3.624
-0,08%
Veneto
26.793
26.713
-0,30%
Friuli-Venezia Giulia
5.738
5.577
-2,81%
Liguria
7.784
7.400
-4,93%
Emilia-Romagna
23.703
23.176
-2,22%
Toscana
20.318
20.383
0,32%
Umbria
4.204
4.284
1,90%
Marche
9.405
9.411
0,06%
Lazio
22.200
21.109
-4,91%
Abruzzo
5.840
6.191
6,01%
Molise
700
746
6,57%
Campania
16.710
17.671
5,75%
Puglia
13.697
14.079
2,79%
Basilicata
1.206
1.306
8,29%
Calabria
5.246
5.723
9,09%
Sicilia
14.566
15.175
4,18%
Sardegna
5.576
5.701
2,24%
Totale
254.084
255.010
0,36%
162
Figura 4.15 - Imprese, addetti, intermediari, 1991-2001
COMPARAZIONE CENSIMENTI ISTAT 1991 - 2001
Regioni
Imprese 1991
Imprese 2001
Var. %
Addetti 1991
Addetti 2001
Var. %
Piemonte
269.626
329.958
22,38%
1.448.636
1.409.120
-2,73%
Intermediari di Intermediari di
commercio 1991 commercio 2001
12.914
Var. %
22.940
77,64%
Valle d'Aosta
8.984
11.102
23,58%
33.977
38.613
13,64%
121
293
142,15%
Lombardia
573.820
751.631
30,99%
3.294.417
3.723.556
13,03%
38.563
57.782
49,84%
Trentino-Alto Adige
64.185
77.110
20,14%
264.522
298.034
12,67%
2.276
4.417
94,07%
Veneto
301.598
376.281
24,76%
1.359.303
1.580.844
16,30%
18.876
32.125
70,19%
Friuli-Venezia Giulia
78.447
86.650
10,46%
357.736
362.150
1,23%
5.094
6.613
29,82%
Liguria
105.922
124.787
17,81%
418.014
383.571
-8,24%
5.615
8.141
44,99%
Emilia-Romagna
306.351
360.326
17,62%
1.300.846
1.470.609
13,05%
21.841
28.817
31,94%
Toscana
266.089
313.020
17,64%
1.009.977
1.079.064
6,84%
18.020
24.719
37,18%
Umbria
51.009
64.368
26,19%
189.461
225.173
18,85%
2.159
4.613
113,66%
Marche
105.926
123.607
16,69%
404.262
456.358
12,89%
6.552
10.993
67,78%
Lazio
237.925
358.785
50,80%
1.678.720
1.623.141
-3,31%
8.331
22.962
175,62%
Abruzzo
75.111
89.220
18,78%
269.336
296.824
10,21%
2.428
5.759
137,19%
Molise
17.842
19.462
9,08%
50.210
54.211
7,97%
341
649
90,32%
Campania
236.995
298.355
25,89%
741.862
836.760
12,79%
6.761
17.820
163,57%
Puglia
186.560
224.895
20,55%
572.684
642.261
12,15%
5.907
14.162
139,75%
Basilicata
30.481
33.086
8,55%
88.640
99.658
12,43%
502
1.120
123,11%
Calabria
88.238
98.797
11,97%
211.644
231.546
9,40%
1.938
4.453
129,77%
Sicilia
210.490
246.704
17,20%
618.434
624.140
0,92%
7.450
15.336
105,85%
Sardegna
84.659
95.822
13,19%
261.621
277.275
5,98%
2.621
5.852
123,27%
Totale
3.300.258
4.083.966
23,75%
14.574.302
15.712.908
7,81%
168.310
289.566
72,04%
Fonte: ISTAT
Confrontando l’evoluzione delle imprese, degli occupati e del numero degli
intermediari di commercio nel decennio si osserva un primo fenomeno rilevante.
Il ricorso all’intermediazione indiretta appare crescere in misura più che
proporzionale ( + 72,04%) rispetto alla crescita dell’occupazione diretta (+7,85) e
delle imprese stesse ( +23,75%) (Fig. 4.15).
La chiave di lettura più immediata di questi numeri rimanda ai processi di
terziarizzazione e di “alleggerimento” delle imprese. In questo senso, tali tendenze
in Lombardia sembrerebbero mostrare uno sviluppo più marcato, probabilmente
acuito da una sorta di maturazione/saturazione dell’intermediazione connessa
all’offerta regionale. Infatti, nel decennio indagato la Lombardia sembra aver
messo l’acceleratore nel settore dei servizi, mentre mostra tassi di crescita
rallentati nei settori industriali e commerciali, ragionevolmente più vicini al
mondo dell’intermediazione indiretta (Fig. 4.16).
Dai dati totali emerge che, nel decennio osservato, il trend più forte riguarda la
crescita delle imprese nel settore denominato “altri servizi”. Se da un lato lo
sviluppo delle imprese industriali è di minor portata, dall’altro si è verificata una
contrazione nelle imprese appartenenti al settore commerciale. In entrambi i casi il
fenomeno della concentrazione e fusione tra aziende è determinante; in particolare
163
nel settore commerciale lo sviluppo e l’affermazione della Grande Distribuzione
Organizzata influisce in modo sostanziale sul dato.
Nuove conferme della relativa saturazione del mercato lombardo, si hanno
analizzando il dato relativo alle dimensioni aziendali medie della regione e alla
presenza del ruolo, calcolata in termini relativi, cioè come numero di intermediari
presenti ogni 100 aziende (Fig. 4.17).
Anche in questo il territorio presenta uno sviluppo rallentato del ruolo rispetto
alla media di altre regioni; questo dato ci confermerebbe l’ipotesi fatta sulle
tendenze alla saturazione/maturazione che esisterebbe nel settore
dell’intermediazione in Lombardia, se si pensa che già nel 1991 la regione aveva
dati di assoluto rilievo nel contesto nazionale(Fig. 4.17).
Figura 4.16 - Industria, commercio e altri servizi, 1991-2001
COMPARAZIONE CENSIMENTI ISTAT 1991 - 2001
INDUSTRIA
COMMERCIO
ALTRI SERVIZI
REGIONI
Imprese 1991
Imprese 2001
Var. %
Imprese 1991
Imprese 2001
Var. %
Imprese 1991
Imprese 2001
Var. %
Piemonte
81.041
95.558
17,91%
100.721
93.993
-6,68%
87.864
140.407
59,80%
Valle d'Aosta
2.354
3.074
30,59%
2.833
2.517
-11,15%
3.797
5.511
45,14%
Lombardia
189.519
216.238
14,10%
192.154
187.734
-2,30%
192.147
347.659
80,93%
26,33%
Trentino-Alto Adige
16.575
20.555
24,01%
17.091
18.000
5,32%
30.519
38.555
Veneto
106.573
121.006
13,54%
99.961
101.217
1,26%
95.064
154.058
62,06%
Friuli-Venezia Giulia
23.139
24.463
5,72%
26.739
23.995
-10,26%
28.569
38.192
33,68%
Liguria
21.861
27.396
25,32%
42.806
38.381
-10,34%
41.255
59.010
43,04%
Emilia-Romagna
92.234
104.345
13,13%
104.018
95.567
-8,12%
110.099
160.414
45,70%
Toscana
86.868
95.550
9,99%
93.376
88.171
-5,57%
85.845
129.299
50,62%
Umbria
15.575
18.729
20,25%
18.824
19.023
1,06%
16.610
26.616
60,24%
Marche
37.161
39.587
6,53%
37.308
35.967
-3,59%
31.457
48.053
52,76%
Lazio
46.796
70.516
50,69%
106.467
109.697
3,03%
84.662
178.572
110,92%
Abruzzo
20.101
24.673
22,75%
29.955
28.301
-5,52%
25.055
36.246
44,67%
Molise
4.779
5.247
9,79%
7.261
6.432
-11,42%
5.802
7.783
34,14%
Campania
46.997
64.729
37,73%
116.031
117.316
1,11%
73.967
116.310
57,25%
Puglia
43.736
56.519
29,23%
86.772
85.462
-1,51%
56.052
82.914
47,92%
Basilicata
8.054
8.690
7,90%
12.806
11.226
-12,34%
9.621
13.170
36,89%
Calabria
16.460
22.012
33,73%
44.678
38.562
-13,69%
27.100
38.223
41,04%
Sicilia
41.531
56.236
35,41%
103.736
96.319
-7,15%
65.223
94.149
44,35%
Sardegna
20.273
23.666
16,74%
36.507
32.851
-10,01%
27.879
39.305
40,98%
Totale
921.627
1.098.789
19,22%
1.280.044
1.230.731
-3,85%
1.098.587
1.754.446
59,70%
Fonte: ISTAT
164
Figura 4.17 - Dimensioni aziendali e intermediari di commercio sul totale imprese:
comparazione 1991-2001
COM PARAZIONE CENSIM ENTI ISTAT 1991 - 2001
REGIONI
Piemonte
Valle d'Aosta
Lombardia
Trentino-Alto Adige
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
M EDIA
DIM ENSIONI
AZIENDALI:
ADDETTI PER
IM PRESA 1991
DIM ENSIONI
AZIENDALI:
ADDETTI PER
IM PRESA 2001
INTERM EDIARI
DI COM M ERCIO
O GNI 100
IM PRESE 1991
INTERM EDIARI
DI COM M ERCIO
OGNI 100
IM PRESE 2001
5,4
3,8
5,7
4,1
4,5
4,6
3,9
4,2
3,8
3,7
3,8
7,1
3,6
2,8
3,1
3,1
2,9
2,4
2,9
3,1
3,9
4,3
3,5
5,0
3,9
4,2
4,2
3,1
4,1
3,4
3,5
3,7
4,5
3,3
2,8
2,8
2,9
3,0
2,3
2,5
2,9
3,5
47,9
13,5
67,5
35,5
62,6
64,9
53,0
71,3
67,7
42,3
61,9
35,0
32,3
19,1
28,5
31,7
16,5
22,0
35,4
31,0
33,2
69,5
26,4
76,9
57,3
85,4
76,3
65,2
80,0
79,0
71,7
88,9
64,0
64,5
33,3
59,7
63,0
33,9
45,1
62,2
61,1
57,0
Fonte: ISTAT
4.4.1. L’approfondimento settoriale: il caso Lombardia
Nuove informazioni si ottengono andando a scomporre il dato per settori
merceologici nel mercato Lombardo. Come anticipato la classificazione
merceologica proposta dalle Camere di Commercio coincide con i codici ATECO
dell’ISTAT. Per avere una visione quanto più si propone una lettura gerarchica
del dato, procedendo per disaggregazioni successive e confrontando i tassi di
sviluppo dei diversi aggregati
Dalla lettura dei dati relativi al decennio 91-2001 emerge un dinamismo
significativo del comparto, che al suo interno tuttavia nasconde significative
oscillazioni (Figg. 4.18,4.19,4.20). In primo luogo si hanno conferme dei diversi
trend a livello di macrocomparti, con il calo del primario, la tenuta del secondario
e l’esplosione del terziario (Fig. 4.16). Ma entrando nel merito
dell’intermediazione si osservano interessanti differenze. Se da una parte gli
intermediari di prodotti di largo e generale consumo non alimentari crescono
addirittura del 129,14 %, sul fronte opposto le materie prime agricole e tessile
segnano un -30,22%. A metà strada con un + 37% gli alimentari, i mobili e gli
165
articoli per la casa; decisamente più in difficoltà gli intermediari di macchinari e
impianti ma anche il tessile abbigliamento e le calzature (Fig. 4.18).
Partendo da queste performance relative al decennio 91-2001, è molto
interessante leggere il dato relativo all’ultimo quinquennio; in questo caso la fonte
di riferimento non può più essere il Censimento Istat ma necessariamente occorre
consultare il Registro Imprese della Camera di Commercio (Fig. 4.21).
Purtroppo i dati camerali mostrano qualche sorpresa, prima fra tutte l’evidenza
che l’ammontare complessivo di intermediari al 2001 ammonta a 46.201 contro i
57.782 censiti dall’ISTAT. Segnaliamo intanto che nel Registro è prevista la voce
residuale “altri intermediari” che raccoglie tutte quelle posizioni le cui attività, al
momento della conversione della classificazione delle attività economiche (da
ATECO 91 a ATECO 2001), avvenuta a fine anni ’90, non hanno trovato una
specifica collocazione nelle classi più dettagliate. Entrando nelle singole categorie
notiamo poi che la categoria che mostra più discrepanze è quella degli
intermediari di carta, libri, prodotti farmaceutici ecc. Ricordiamo che l’iscrizione
alla Camera di Commercio coinvolge anche le agenzie organizzate sottoforma di
società di capitali e di persone e che probabilmente queste raccolgono al proprio
interno agenti e sub-agenti che non sempre procedono all’iscrizione come
individui. Fatte tutte queste precisazioni, resta l’imbarazzo di un dato molto
eterogeneo che complica la lettura diacronica. Entrando nel merito dei trend si
hanno indicazioni che rappresentano una rottura rispetto alla traiettoria descritta
per il decennio precedente.
Da una parte l’intermediazione di beni primari agricoli e tessili si conferma in
crisi ( -31,3%); il rallentamento investe ancora più intensamente l’intermediazione
del mobile e degli articoli per la casa ( -63,2%) che nel decennio precedente erano
cresciuti. Molto ridimensionati rispetto al decennio precedente il trend
dell’alimentare ( +3,10%) e del non food ( +19,8%). In significativa ripresa i beni
meccanici e strumentali ( +12,44%) ma anche altre tipologie di beni intermedi non
destinati al consumo finale come chimici, metalli e semilavorati ( + 20,5%) o
legno, idraulici, costruzioni, ecc. ( +15,25%), (Fig. 4.21).
166
Figura 4.18 - Il trend delle macrocategorie: il commercio all’ingrosso e gli intermediari
del commercio
OCCUPATI PER SETTORI DI ATTIVITA' ECONOMICA - Regione Lombardia - Censimento 1991/2001
ATTIVITA' ECONOMICHE
Addetti 1991
Addetti 2001
Variazione %
8.809
7.512
-14,72%
325
299
-8,00%
ESTRAZIONE DI MINERALI ENERGETICI
8.017
503
-93,73%
ESTRAZIONE DI MINERALI NON ENERGETICI
4.681
4.383
-6,37%
88.901
80.500
-9,45%
236.711
169.428
-28,42%
INDUSTRIE CONCIARIE, FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN CUOIO,
PELLE E SIMILARI
29.719
17.291
-41,82%
INDUSTRIA DEL LEGNO E DEI PRODOTTI IN LEGNO
32.339
29.260
-9,52%
96.562
77.925
-19,30%
8.585
4.891
-43,03%
155.608
109.859
-29,40%
71.376
78.883
10,52%
46.211
39.537
-14,44%
256.173
279.225
9,00%
184.535
177.830
-3,63%
212.196
160.105
-24,55%
FABBRICAZIONE DI MEZZI DI TRASPORTO
38.629
33.402
-13,53%
ALTRE INDUSTRIE MANIFATTURIERE
72.866
61.852
-15,12%
PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA, GAS E
ACQUA
20.875
16.188
-22,45%
253.187
285.584
12,80%
647.246
667.345
3,11%
80.974
77.086
-4,80%
231.382
276.071
19,31%
334.890
314.188
-6,18%
ALBERGHI E RISTORANTI
130.893
166.588
27,27%
TRASPORTI, MAGAZZINAGGIO E COMUNICAZIONI
103.139
243.195
135,79%
INTERMEDIAZIONE MONETARIA E FINANZIARIA
164.280
173.376
5,54%
ATTIVITA' IMMOBILIARI, NOLEGGIO, INFORMATICA, RICERCA,
PROFESS. ED IMPRENDIT.
285.227
659.018
131,05%
ISTRUZIONE
11.952
7.329
-38,68%
SANITA' E ALTRI SERVIZI SOCIALI
43.100
67.003
55,46%
ALTRI SERVIZI PUBBLICI, SOCIALI E PERSONALI
82.275
105.245
27,92%
3.294.417
3.723.556
13,03%
AGRICOLTURA, CACCIA E SILVICOLTURA
PESCA, PISCICOLTURA E SERVIZI CONNESSI
INDUSTRIE ALIMENTARI, DELLE BEVANDE E DEL TABACCO
INDUSTRIE TESSILI E DELL'ABBIGLIAMENTO
FABBRICAZIONE DI PASTA-CARTA, CARTA E PRODOTTI DI CARTA;
STAMPA ED EDITORIA
FABBRICAZIONE DI COKE, RAFFINERIE DI PETROLIO,
TRATTAMENTO COMBUST. NUCLEARI
FABBRICAZIONE DI PRODOTTI CHIMICI E DI FIBRE SINTETICHE E
ARTIFICIALI
FABBRICAZIONE DI ARTICOLI IN GOMMA E MATERIE PLASTICHE
FABBRICAZIONE DI PRODOTTI DELLA LAVORAZIONE DI MINERALI
NON METALLIFERI
PRODUZIONE DI METALLO E FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN
METALLO
FABBRICAZIONE MACCHINE ED APPARECCHI MECCANICI;
INSTALLAZIONE E RIPARAZIONE
FABBRICAZIONE MACCHINE ELETTRICHE E APPARECCHIATURE
ELETTRICHE ED OTTICHE
COSTRUZIONI
COMMERCIO INGROSSO E DETTAGLIO; RIPARAZIONE DI AUTO,
MOTO E BENI PERSONALI
Commercio, manutenz e riparaz autoveicoli e moto, vendita dettaglio
carburanti
Commercio all'ingrosso e intermediari del commercio, autoveicoli e moto
esclusi
Commerico al dettaglio, escluso auto e moto; riparaz. Beni personalie casa
TOTALE
167
Figura 4.19 - Il trend degli intermediari e delle altre sottocategorie interne al commercio
all’ingrosso e intermediari
COMMERCIO ALL'INGROSSO E INTERMEDIARI DEL
COMMERCIO; AUTOVEICOLI E MOTO ESCLUSI
ADDETTI 1991 ADDETTI 2001
VARIAZIONE
%
Intermediari del commercio
38.563
57.782
49,84%
Commercio all'ingrosso di materie prime agricole e di animali vivi
6.040
4.565
-24,42%
Commercio all'ingrosso di prodotti alimentari, bevande e tabacco
27.729
23.697
-14,54%
Commercio all'ingrosso di altri beni di consumo finale
69.555
76.143
9,47%
Commercio all'ingrosso di prod. intermedi non agricoli, rottami e
cascami
44.246
50.968
15,19%
Commercio all'ingrosso di macchinari e attrezzature
37.211
52.821
41,95%
Commercio all'ingrosso di altri prodotti
8.038
10.095
25,59%
TOTALE
231.382
276.071
19,31%
Fonte: ISTAT
Figura 4.20 - Il trend delle sottocategorie merceologiche interne agli intermediari
IN T E R M E D IA R I C E N S IM E N T O IS T A T 1991 -2001
C A T E G O R IE M E R C E O L O G IC H E
TRATTATE
A ddetti 1991
A ddetti 2001
V ariaz ione %
"Intermediari co mmercio mat. prime agric. e tessili;
animali vivi; semil."
1.532
1.069
-30,22%
Intermediari co mmercio co mbustibili, minerali, metalli,
pro do tti chimici
2.134
2.006
-6,00%
Intermediari del co mmercio di legname e materiali da
co struzio ne
1.295
1.297
0,15%
Intermediari del co mmercio di macchinari, impianti
indust., navi e aerei
4.112
3.789
-7,86%
Intermediari del co mmercio di mo bili, artico li per la casa
e ferramenta
2.321
3.182
37,10%
Intermediari del co mmercio pro d. tessili, abbigl.,
calzature e pellicce
5.357
5.018
-6,33%
Intermediari del co mmercio di pro do tti alimentari,
bevande e tabacco
4.308
5.920
37,42%
11.426
26.182
129,14%
6.078
9.319
53,32%
38.563
57.782
49,84%
Intermediari del co mmercio di carta, libri, pro do tti
farmaceutici, eletro nica, pro do tti spo rtivi, materiali
prezio si, gio catto li, etc.
Intermediari del co mmercio di vari pro do tti senza
prevalenza di alcuno , gruppi di acquisto , buyer,
mediato ri, pro cacciato ri d'affari
T otale
Fonte: ISTAT
168
Figura 4.21 - Il trend delle sottocategorie merceologiche interne agli intermediari:
classificazione ATECO
IMPRESE ISCRITTE ALLA CAMERA DI COMMERCIO 2001-2005
CATEGORIE MERCEOLOGICHE
TRATTATE
Agenti 2001
Agente 2005
Variazione %
"Intermediari commercio mat. prime agric. e tessili; animali
vivi; semil."
1.480
1.127
-23,85%
Intermediari commercio combustibili, minerali, metalli,
prodotti chimici
1.633
2.054
25,78%
Intermediari del commercio di legname e materiali da
costruzione
2.062
2.433
17,99%
Intermediari del commercio di macchinari, impianti indust.,
navi e aerei
3.724
4.253
14,21%
Intermediari del commercio di mobili, articoli per la casa e
ferramenta
4.539
2.781
-38,73%
Intermediari del commercio prod. tessili, abbigl., calzature e
pellicce
3.574
3.430
-4,03%
Intermediari del commercio di prodotti alimentari, bevande e
tabacco
5.166
5.331
3,19%
9.106
11.360
24,75%
8.987
8.446
-6,02%
Altri intermediari di commercio
5.930
4.821
-18,70%
Totale
46.201
46.036
-0,36%
Intermediari del commercio di carta, libri, prodotti
farmaceutici, eletronica, prodotti sportivi, materiali preziosi,
giocattoli, etc.
Intermediari del commercio di vari prodotti senza prevalenza
di alcuno, gruppi di acquisto, buyer, mediatori, procacciatori
d'affari
Fonte: Camera di Commercio
Nuove informazioni si ottengono analizzando i dati relativi allo sviluppo di due
particolari tipologie di intermediari legate al mondo dei servizi: il promotore
finanziario23 (Fig. 4.22) e l’agente immobiliare (Fig. 4.23). In entrambi i casi è
utile osservare il dato lombardo poichè abbondantemente superiore alla media
nazionale24.
23
L’art. 31 del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 stabilisce che è promotore finanziario la persona
fisica che, in qualità di dipendente, agente o mandatario, esercita professionalmente l’attività di
promozione e di collocamento presso il pubblico di strumenti finanziari e di servizi di
investimento in luogo diverso dalla sede, legale o secondaria, del soggetto abilitato per il quale
opera. L’attività di promotore finanziario deve essere svolta esclusivamente nell’interesse di un
solo soggetto.
Per poter esercitare l’attività di promotore finanziario occorre iscriversi, dopo aver superato il
previsto esame, all’Albo unico nazionale dei promotori finanziari, istituito presso la Consob
24
L'agente immobiliare è un mediatore specializzato nella conclusione di affari aventi per
oggetto lo scambio di beni immobili o aziende. Rispetto ad altre categorie di mediazione, la
169
Da una lettura complessiva di queste informazioni, sembra emergere una
traiettoria di ridefinizione dell’intermediazione che in mercati commercialmente
evoluti come quello lombardo mostra spazi ridotti per l’intermediazione indiretta
di beni di largo consumo, mentre trova un tessuto economico vitale nella
produzione e commercializzazione di beni strumentali che richiedono approcci
commerciali diversi da quelli del prodotto finale, nonchè nello sviluppo delle
figure di intermediazione legate al mondo dei servizi.
Più in generale, stanti i limiti della lettura diacronica 1991-2005, emerge con
chiarezza e non solo a livello lombardo che gli ultimi anni mostrano una
sostanziale stasi nello sviluppo numerico degli agenti e quindi si aprono
importanti interrogativi sul fronte occupazionale. A ben vedere, le chiavi di lettura
di questa stasi non sono riconducibili alle specializzazioni territoriali se è vero che
il rallentamento coinvolge l’intero sistema nazionale e scendendo ad analisi
micro-territoriali non si scorgono significative eccezioni25.
mediazione immobiliare (forse la più nota) si distingue per essere rivolta principalmente a clientela
privata non professionale (che non agisce cioè in ragione di professione o in esercizio di attività di
impresa) e per riguardare, in una quota tuttora maggioritaria, lo scambio in compravendita o in
locazione (o in altri modi) di abitazioni usate; nella compravendita, è tuttora prevalente lo scambio
di abitazioni principali ("prima casa"), cioè quelle nelle quali una delle parti aveva fissato o
desidera fissare la sua residenza.
Come per tutti i mediatori, l'esercizio di questa attività è subordinato all'iscrizione al Ruolo
degli Agenti di Affari in Mediazione tenuto presso ciascuna camera di commercio ed è
regolamentato dalla legge n. 39 del 1989 e successive integrazioni e modifiche. La legge ha
soppresso la precedente suddivisione in "Ruolo ordinario" e "Ruolo speciale", imponendo
l'obbligo di iscrizione al ruolo unificato (ma diviso in quattro sezioni) anche per l'esercizio di
attività occasionale di mediazione, ed ha inoltre sancito l'incompatibilità dell'esercizio della
mediazione con altre professioni. La precedente normativa del 1958 prevedeva dei tesserini
personali di identificazione per i soli agenti iscritti in ruolo speciale; attualmente alcune Camere di
Commercio, di propria iniziativa e senza nessun obbligo normativo, hanno dato il via ad iniziative
che prevedono il rilascio di nuovi cartellini identificativi.
25
Se per esempio si analizzano le province lombarde dell’ultimo quinquennio, non si possono
cogliere nessi tra le specializzazioni merceologiche di una micro-area e il trend degli intermediari.
Inoltre, si rischia di perdere di vista la natura interprovinciale del ruolo dell’intermediario che si
iscrive alla Camera di commercio della propria città di residenza, ma di fatto svolge un lavoro
legato alle sedi della clientela di riferimento. Ecco allora per esempio, spiegarsi anche il dato
eccezionale di Lodi, ( +11,9%) considerabile facilmente come una città satellite di Milano ( 1,83% fonte Registro Imprese).
170
Figura 4.22 - Promotori finanziari iscritti al registro delle imprese 2001-2005:
dettaglio regionale
PROMOTORI FINANZIARI ISCRITTI AL REGISTRO DELLE IMPRESE
2001 - 2005
Regioni
Imprese iscritte
2001
Imprese iscritte
2005
Var. %
Piemonte
2.491
3.072
23,32%
Valle d'Aosta
76
90
18,42%
Lombardia
4.788
6.260
30,74%
Trentino-Alto Adige
271
359
32,47%
Veneto
2.543
2.947
15,89%
Friuli-Venezia Giulia
702
780
11,11%
Liguria
1.193
1.324
10,98%
Emilia-Romagna
2.851
3.146
10,35%
Toscana
2.177
2.462
13,09%
Umbria
719
734
2,09%
Marche
1.010
1.140
12,87%
Lazio
3.434
4.244
23,59%
Abruzzo
521
671
28,79%
Molise
150
185
23,33%
Campania
2.135
2.943
37,85%
Puglia
1.539
1.755
14,04%
Basilicata
195
207
6,15%
Calabria
467
700
49,89%
Sicilia
1.323
1.879
42,03%
Sardegna
388
539
38,92%
Totale
28.973
35.437
22,31%
Figura 4.23 - Agenzie di intermediazione immobiliare iscritte al registro delle imprese 20012005: dettaglio regionale
AGENZIE DI INTERMEDIAZIONE IMMOBILIARE ISCRITTE AL
REGISTRO DELLE IMPRESE 2001 - 2005
Regioni
Imprese iscritte 2001 Imprese iscritte 2005
Var. %
Sardegna
2.285
56
4.864
458
2.646
582
1.908
2.675
2.939
380
532
2.832
372
59
1.077
893
62
200
823
484
3.159
85
7.087
652
3.356
759
2.181
3.291
3.629
503
748
3.622
514
81
1.451
1.277
72
321
1.110
652
38,25%
51,79%
45,70%
42,36%
26,83%
30,41%
14,31%
23,03%
23,48%
32,37%
40,60%
27,90%
38,17%
37,29%
34,73%
43,00%
16,13%
60,50%
34,87%
34,71%
Totale
26.127
34.375
31,57%
Piemonte
Valle d'Aosta
Lombardia
Trentino-Alto Adige
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
171
4.5. Prospettive e aree di intervento
Per quanto visto in premessa, la professione dell’agente non mostra forti barriere
di natura amministrativa, dato che per poter espletare la professione è richiesta
l’iscrizione ad un albo tenuto dalle CCIAA a cui si può accedere avendo sostenuto
un esame o proponendo curriculum con conoscenze consone alla professione.
L’accesso alla professione non è limitato nemmeno da barriere di natura
economica, dato che gli investimenti necessari per lo start up non sono ingenti
proprio per le peculiarità del settore che può essere considerato più labour and
competence intensive che capital intensive26. Le basse barriere all’entrata e il
carattere professionale dell’attività legata al presidio territoriale che la stessa
richiede comportano una struttura del settore molto polverizzata.
Nonostante la relativa facilità di ingresso nella professione, guardando al
profilo degli agenti italiani si nota che gli addetti hanno un’età media elevata.
L’accesso alla professione avviene di solito con il ruolo di sub-agente.
Generalmente chi entra nell’intermediazione indiretta come sub agente è molto
giovane e consapevole di ricoprire una posizione transitoria in quanto è in attesa
di acquisire un mandato come agente principale. A questo si aggiunga che il subagente ha l’obbligo di non concorrenza limitato al settore merceologico o all’area
servita all’atto dello scioglimento del rapporto con il mandante (art. 1751 bis
cc27). Diretta conseguenza è che la crescita dei giovani agenti avviene spesso al di
fuori dell’ambito territoriale in cui si è nati o ancora nel settore merceologico non
originario28.
Le considerazioni fatte tendono a rappresentare un quadro della professione in
cui il ricambio generazionale diventa sempre più difficile; questo potrebbe
contribuire a spiegare la stasi dei tassi di crescita del settore. Tuttavia le vere
26
Conferme giungono dall’analisi del conto economico dei soggetti; le imprese sembrano
caratterizzarsi per strutture finanziarie molto squilibrate verso l’indebitamento di breve periodo
dovuto alla richiesta di circolante per far fronte a spese quali carburante, viaggi, leasing
dell’automezzo. La richiesta di circolante è oltremodo accresciuta dallo sfasamento temporale tra
riscossione provvigioni e raccolta ordini.
Poco significativa l’analisi del ROI data dall’esiguità degli investimenti necessari; più rilevante
le analisi del ROS in questo comparto dove conta la professionalità e l’intuito dell’imprenditore.
Esigua l’incidenza dei costi per ammortamento nelle strutture di conto economico anche nei casi di
imprese di maggiori dimensioni a riprova del fatto che la dimensione non è dettata da forti
investimenti in capitale.
27
C’è da dire che l’attuazione da parte dell’Italia della direttiva 86/653/CEE ha stabilito che
tale clausola restrittiva del contratto va monetizzata all’agente come risarcimento all’atto dello
scioglimento; si precisa che il patto di non concorrenza non può comunque essere superiore ai due
anni successivi all’estinzione del rapporto.
28
Stante il rischio di potersi ritrovare ad operare in settori o ambiti territoriali diversi da quelli
originari a causa dell’incombenza del suddetto patto di non concorrenza, i sub-agenti non hanno
un reale interesse a stabilire rapporti stabili con la clientela attuale. Allo stesso modo il patto
limitativo della concorrenza rallenta la crescita professionale delle giovani risorse che approcciano
al ruolo, dato che il rischio che si sia costretti a cambiare settore merceologico fa perdere tutte le
competenze acquisite nelle esperienze precedenti; si pensi ad esempio a settori quali la vendita di
impianti industriali su commessa e a quanto contino le competenze tecniche e di conoscenza del
prodotto nelle fase di coordinamento della negoziazione.
172
ragioni che sembrano mettere in discussione la crescita del comparto sono di
ordine strutturale e sono riconducibili a pressioni che nascono a monte, da parte
dell’impresa mandante, e a valle, da parte della clientela organizzata.
A valle, le nuove tendenze alla concentrazione dei mercati di distribuzione
soprattutto nel comparto dei beni di largo consumo alimentari, nei mobili, nel
bricolage e nell’elettronica di consumo influenzano negativamente il settore
dell’intermediazione.
A monte, l’attuale contesto di recessione economica e la conseguente maturità
dei mercati porta le imprese alla ricerca dell’efficienza con una oculata gestione
dei costi (contingentamento e flessibilizzazione) e ad una crescita dimensionale
per il miglior presidio dei mercati. Le operazioni per incidere sui costi di struttura
sono volte a spingere la forza vendita interna ad acquisire lo status di agente in
modo da ridurre i costi per lavoro dipendente; tuttavia il processo di
razionalizzazione si spinge oltre, arrivando all’esternalizzazione di funzioni
complementari alla vendita. Si pensi alle agenzie di promoteraggio, ai vetrinisti o
ai merchandiser che visitano i clienti non per raccogliere l’ordine ma per fornire
consulenza e assistenza al negozio. Queste circostanze sembrano tradursi in un
ulteriore selezione all’interno delle reti di agenti. In questo scenario, infatti,
l’intermediario di vendita è chiamato a potenziare i fattori di tipo competitivo
specifici della professione. Gli anni di esperienza portano a sviluppare una
maggior conoscenza del prodotto e agevolano l’instaurarsi di un rapporto
fiduciario, ma nel contempo l’ attività di vendita lascia spazio alle attività di
presidio consulenziale e informativo. L’intermediario è in contatto con il mercato,
ne rileva le tendenze e e ne condivide i vantaggi informativi col mandante e col
cliente. Queste circostanze sono ben note all’agente, che intervistato circa la
tipologia dei servizi forniti, mostra autoconsapevolezza di un ruolo in cui la
raccolta dell’ordine si rivela secondaria rispetto alle funzioni consulenziali (Fig.
4.24)
Figura 4.24 - Servizi erogati dall’agente
RICERCA CAMERE DI COMMERCIO PIEMONTE AGENTI E RAPPRESENTANTI PIEMONTE 2004
SERVIZI OFFERTI DALL'AGENTE
Consulenza
Visite periodiche
Assistenza post vendita
Progettazione/preventivi
Assistenza tecnica
Addestramento personale
Materiale pubblicitario e promo
Assistenza nell'esposizione
Installazione
Promoter
Totale
173
23,27%
20,12%
15,27%
11,94%
9,20%
6,20%
4,00%
4,00%
3,00%
3,00%
100,00%
Nei casi estremi, i servizi di personalizzazione e di adattamento rendono
insostituibile questa figura; si pensi ad esempio al settore dei macchinari e
impianti per la produzione dove l’intermediario qualificato ha il compito di
fornire un servizio “complesso” che comprende la consulenza pre-vendita ad
elevato contenuto professionale, servizio post-vendita e nel caso di merce
costruita su commessa, un ruolo di contemperamento delle esigenze del cliente e
della mandante.
Tuttavia il trading up del servizio, che rappresenta la risposta obbligata alla
maturità del settore, non può passare solo attraverso investimenti personali. Se da
una parte i pochi costi fissi di questa attività fanno sì che alla crescita non siano
connesse considerevoli economie di scala29, è altrettanto evidente che la
professione esprime fabbisogni di natura organizzativa che un impresa più
strutturata può affrontare meglio. Non a caso nel resto d’Europa, ed in particolare
in Inghilterra ed in Francia, le agenzie commerciali sono tipicamente organizzate
in forma di società di capitale e offrono una pluralità di servizi, compreso il
commercio a proprio nome di differenti categorie merceologiche. In questo
scenario, la stasi registrata negli ultimi 5 anni del numero di operatori sembra
preludere a lenti processi di riorganizzazione che spingono gli intermediari a
strutturarsi in rete e a sviluppare economie di scopo legate al presidio del
territorio30. Al riguardo, ricordiamo che l’individualismo è caratteristica
fondamentale dell’agente di commercio e a ben vedere, nel periodo preso in
esame, anche a livello regionale prevale una situazione di stabilità degli assetti
societari (Fig. 4.25).
29
La crescita della struttura aziendale prevede la creazione di reti proprie di agenti e sub-agenti
che comunque rappresentano costi variabili. L’incidenza dei costi fissi è ridotta anche dalla
tendenza a variabilizzarli; quindi la macchina è detenuta in leasing ed eventuali depositi o uffici
sono in locazione.
30
Da segnalare una remora tipicamente italiana nei confronti delle forme associative, che sono
sottratte alla giurisdizione del giudice del lavoro che interviene solo in casi di controversie relative
al mandato di ditte individuali apportando forti aggravi in termini di tempistica dei procedimenti.
174
Figura 4.25 - Incidenza delle forme giuridiche nelle regioni italiane: periodo 2001-2005
CONFRONTO REGIONALE FORME GIURIDICHE 2001-2005
IMPRESE INDIVIDUALI
REGIONI
Piemonte
Valle d'Aosta
Lombardia
Trentino-Alto Adige
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale
2001
88,70%
89,82%
85,52%
89,69%
88,43%
89,35%
85,92%
85,87%
85,37%
88,13%
87,56%
77,21%
90,36%
92,86%
78,17%
88,02%
92,04%
91,48%
87,39%
89,13%
85,78%
2005
88,29%
88,49%
85,19%
87,91%
87,05%
88,51%
85,54%
85,68%
84,59%
87,56%
87,21%
84,43%
89,94%
92,36%
77,39%
87,70%
91,65%
90,72%
87,41%
88,56%
85,91%
SOCIETA' DI PERSONE
2001
8,17%
6,55%
7,15%
7,97%
7,96%
6,88%
9,26%
7,97%
9,72%
7,45%
8,84%
8,37%
7,65%
5,00%
16,94%
7,75%
4,64%
6,40%
9,35%
8,18%
8,65%
2005
8,47%
6,12%
7,33%
9,30%
8,83%
7,69%
9,57%
8,25%
10,13%
8,38%
9,01%
7,62%
7,80%
4,56%
16,88%
7,89%
4,21%
6,80%
9,03%
8,30%
8,88%
SOCIETA' DI CAPITALE
2001
2,58%
3,64%
6,56%
2,04%
2,90%
3,26%
4,00%
4,10%
3,89%
1,97%
2,64%
13,24%
1,68%
1,29%
4,62%
2,78%
1,33%
1,89%
2,51%
2,31%
4,65%
2005
2,80%
5,40%
6,83%
2,35%
3,56%
3,39%
4,16%
4,60%
4,48%
1,98%
2,96%
7,03%
2,07%
2,01%
5,43%
3,28%
2,60%
2,20%
2,84%
2,70%
4,47%
ALTRE FORME
2001
0,54%
0,00%
0,78%
0,30%
0,71%
0,51%
0,82%
2,05%
1,02%
2,45%
0,97%
1,18%
0,31%
0,86%
0,27%
1,45%
1,99%
0,23%
0,75%
0,38%
0,92%
2005
0,44%
0,00%
0,65%
0,44%
0,56%
0,41%
0,73%
1,46%
0,79%
2,08%
0,82%
0,92%
0,19%
1,07%
0,31%
1,13%
1,53%
0,28%
0,72%
0,44%
0,74%
Fonte: ISTAT
La Lombardia presenta valori tendenzialmente vicini al dato nazionale anche se
sottolineiamo una percentuale particolarmente elevata di società di capitale, per
altro in crescita nel periodo osservato. In questo contesto sembra inserirsi anche il
tema dell’associazionismo. La più volte citata ricerca Assoagenti pur stimando
una percentuale di ditte individuali inferiore ai dati forniti dalle statistiche
ufficiali, mostra la presenza di numero di soggetti che vorrebbero modificare la
propria forma giuridica a favore di formule di associazionismo che non
necessariamente prevedono soluzioni societarie (Fig. 4.26).
Figura 4.26 - Incidenza delle forme giuridiche nel settore dell’intermediazione indiretta
RICERCA ASSOAGENTI - 500 AGENTI E RAPPRESENTANTI ITALIANI - 2003
DITTA' INDIVIDUALE
81,9%
ORGANIZZAZIONE SOCIETARIA
13,3%
INDIVIDUALE MA CON FORTE INTERESSAMENTO
ALL'ASSOCIAZIONISMO
4,8%
Fonte: Assorgenti
Al riguardo è utile approfondire quali siano le motivazioni principali che portano
alla ricerca di nuove soluzioni organizzative, siano esse societarie o associative
(Fig. 4.27). Nonostante il campione sia ristretto, nelle risposte mostrate possiamo
trovare molte delle motivazioni che determinano l’attuale disagio. E’
estremamente interessante notare che le prime tre motivazioni sono legate ad
aspetti economici, secondariamente entra in gioco il tema di un allargamento del
175
giro d’affari e solo per ultimo emerge il tema di un miglioramento dei servizi
offerti come agente di cui peraltro l’agente già ora si sente fornitore (Fig. 4.27).
Figura 4.27 - Motivazioni principali allo sviluppo di forme associazionistiche
RICERCA ASSOAGENTI - 500 AGENTI E RAPPRESENTANTI ITALIANI - 2003
MOTIVAZIONI PRINCIPALI VERSO LA CREAZIONE DI SOCIETA'
Maggior potere contrattuale con la mandante
28,0%
Ottenere finanziamenti agevolati
18,7%
Avere agevolazioni commerciali e bancarie
15,9%
Gestire mandati in comune con colleghi
14,2%
Cercare nuoni mandati
12,3%
Fornire nuovi servizi (marchandising e altro)
11,6%
Fonte: Assorgenti
A questo punto ci si può domandare come si possano alimentare soluzioni
organizzative che permettano in ogni caso di abbandonare l’individualismo degli
agenti per la condivisione di informazioni, conoscenze, mezzi, etc. Tra le opzioni
individuate emergono anche soluzioni di natura “non societaria” che
presuppongono comunque un forte superamento delle logiche individualiste e, in
quanto tali, non appaiono sempre di facile perseguimento (Fig. 4.28).
Figura 4.28 - Soluzioni di natura non societaria per lo sviluppo dell’associazionismo
RICERCA CAMERE DI COMMERCIO PIEMONTE - AGENTI E
RAPPRESENTANTI
PIEMONTE
2004
ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO
Gestione in team mandati esteri
Società tra agenti
Network
Concentrazione uffici
Associazioni professionali
Creazione aree web
Gestione comune uffici
Consorzi di imprese
Totale
176
21%
18%
14%
12%
10%
9%
9%
7%
100%
In particolare il progetto “network” potrebbe concretizzarsi in reti di professionisti
operanti nel medesimo settore con affinità di struttura operativa e clientela servita,
ma in zone territoriali diverse. Questo sistema di aggregazione non societaria di
agenti commerciali potrebbe permettere di offrire al sistema delle imprese, grandi
o piccole, domestiche o straniere un servizio, chiavi in mano, di reperimento di
validi rappresentanti, con caratteristiche strutturali e professionali analoghe,
sull’intero territorio del nostro paese. Ovviamente occorre riconoscere che
l’associazionismo può divenire un tema di estremo interesse nella misura in cui le
aziende mandanti trovino interesse al sostegno dello stesso. Mai come in questo
momento i mandanti si pongono il dilemma di organizzare un presidio
informativo del territorio senza assorbire i costi fissi di una rete di vendita interna
o di una struttura di merchandiser o promoter dipendenti. L’idea di un network di
agenti capaci di standardizzare la qualità del servizio presuppone una leadership
progettuale che probabilmente risulta poco compatibile con la logica dell’agenzia
plurimandataria, a meno che non siano stimoli di natura esterna (incentivi,
agevolazioni, formazione..) a spingere gli agenti a proporsi come network
autonomo nei confronti di nuovi mandanti.
4.6. Le prospettive di sviluppo delle diverse tipologie di intermediari
In chiusura, anche alla luce degli scenari di evoluzione appena descritti, può
essere utile tentare una riclassificazione delle diverse tipologie di intermediari per
cogliere i profili manageriali più diffusi e a più alto potenziale di crescita.
4.6.1. L’agente monomandatario senza deposito non strutturato
È la tipologia più semplice di intermediario con mandante un impresa che spesso
è un grossista. Ha una zona di operatività ben delimitata e le sue voci di costo
sono le classiche (auto, pc, telefono…). Svolge la sua attività presso l’abitazione e
non ha dipendenti. In questo profilo potrebbero rientrare, anche se in modo
limitato, giovani o pensionati31. Il fatto di avere un unico mandato non gli
consente di diversificare il rischio, anche se la mancanza di una propria struttura
gli concede vantaggi in termini di flessibilità. Sulle prospettive di sviluppo di
questo profilo ci sono previsioni contrastanti. Da un lato si riscontrano prospettive
positive per effetto dell’orientamento delle imprese a flessibilizzare i costi di
personale favorendo l’attività in forma propria dei dipendenti, anche se si pensa
che la riforma del lavoro abbia potuto in qualche modo “smascherare” queste
forme fasulle di contratto e potrebbe portare alla riconduzione interna del
rapporto. Dall’altro lato, la gestione della clientela in un ambiente sempre più
31
In questa categoria rientrano anche i rapporti di agenzia che nascondono un contratto di
lavoro subordinato e che sono maggiormente diffusi nella distribuzione dei beni di largo consumo
alimentari.
177
competitivo richiede un presidio diretto e forme più strutturate di relazione che
potrebbero tradursi in aumenti netti della figura di intermediario in questione.
Anche l’ambito merceologico di operatività influirà negativamente su questo
profilo; posto che gli agenti monomandatari senza deposito hanno di norma come
mandanti di riferimento i grossisti, il declino del canale all’ingrosso non potrà che
influire negativamente sul numero di questi intermediari.
4.6.2. L’agente monomandatario senza deposito strutturato
Si differenzia dal precedente perché ha un minimo di struttura; dispone di un
ufficio, ha dei dipendenti o comunque dei collaboratori (spesso familiari). Si tratta
di intermediari che operano con beni o servizi complessi alla luce della loro
specializzazione e della posizione di fiducia conquistata nei confronti del
mandante. Alle classiche voci di spesa si aggiungono i costi connessi all’ufficio e
ai collaboratori. I punti di forza di questo profilo sono innanzitutto quello di poter
seguire in modo migliore il cliente; la struttura lo pone nella capacità di poter
fornire una serie di servizi aggiuntivi delegabili anche ai collaboratori, in modo da
potersi dedicare in prima persona al core business. Anche in questo caso il
mandato unico è punto di debolezza. In questa categoria, nel prossimo futuro, si
potrebbe assistere ad una flessione degli occupati, data dal passaggio da parte di
alcuni soggetti verso forme organizzative diverse e più complesse quali le reti di
agenti; molto dipende dal settore.
4.6.3. Il sub-agente
Questo è il profilo di coloro che si trovano alle prime esperienze nel settore o dei
pensionati che rientrano nel mercato del lavoro. Il sub-agente opera spesso come
monomandatario e non ha una struttura propria, dato che si appoggia a quella
dell’intermediario principale; di solito l’intermediario che si serve di una rete di
sub-agenti è strutturato e copre un territorio molto ampio. Proprio per l’utilizzo
della struttura altrui, il sub-agente ha costi contenuti che sono ricondicibili
principalmente all’auto, alle spese di viaggio e pernottamento, al pc. Il fatto che
dipenda dal rapporto tra mandante e intermediario principale lo mette in una
posizione di secondo piano e di precarietà, rischio che risulta accresciuto dal
monomandato; con il suo operato, il subagente dovrebbe focalizzare i suoi sforzi
verso la creazione di una base clienti stabile in modo da rivedere l’equilibrio di
poteri.
Si pensa che nel futuro tale figura possa assistere a tassi di crescita
considerevoli. La tendenza alla crescita dimensionale di quegli agenti
potenzialmente in grado di fornire servizi più strutturati che insiste nel settore
dell’intermediazione, ha fondamentalmente due conseguenze:
-
li porta a dotarsi di reti di sub-agenti per offrire alle imprese mandanti
servizi più completi e capillari;
178
-
allo stesso modo quegli operatori che non saranno in grado di
sopportare lo scontro con concorrenti sempre più di grandi
dimensioni, saranno incentivati ad abbandonare il mercato e si
potrebbe assistere a logiche di re-impiego di questi soggetti proprio
nella figura dei sub-agenti.
4.6.4. L’agente monomandatario con deposito
La struttura aziendale dell’agente può evolversi fino alla costituzione di un
deposito; oltre alla funzione promozionale e di infomediazione, l’agente con
deposito offre quindi anche un servizio logistico (non diviene proprietario della
merce). Questo profilo si ritrova principalmente nei settori in cui per i clienti è
fondamentale la disponibilità immediata del prodotto (materie prime da inserire
nel ciclo produttivo o materiali di piccolo ingombro). L’esistenza del deposito
rappresenta di sicuro un punto di forza nei confronti della mandante dato che la
controparte del cliente è l’intermediario stesso; il deposito è anche però una fonte
di aggravio dei costi, che non sempre è adeguatamente riconosciuta nelle
provvigioni.
4.6.5. L’agente plurimandatario senza deposito non strutturato
Questa figura è presente nel comparto dei beni di largo consumo; la semplicità del
prodotto non richiede forti competenze ed anche l’interazione con i clienti o il
mandante non assume particolare rilievo. Il plurimandato diviene un vero punto di
forza: si possono sfruttare sinergie cross-product ed inoltre consente di limitare il
rischio non essendo connesso ad un solo mandante. Se da un lato l’assenza di
struttura è un elemento positivo perchè implica maggior flessibilità, dall’altro,
compromette la stabilità del rapporto col mandante in tutti i casi in cui è richiesta
la fornitura di servizi complessi.
4.6.6. L’agente plurimandatario senza deposito strutturato
Questa figura si osserva in particolare nei settori in cui si trattano prodotti
complessi quali semilavorati e beni strumentali, che richiedono una relazione
stretta e continuativa con il cliente (pensiamo all’assistenza post vendita). Il
lavoro si svolge oltre che presso il cliente anche nel backoffice e questo richiede la
presenza di un ufficio e di collaboratori che svolgano il lavoro amministrativo
(aumento dei costi); spesso si opera in forma di impresa familiare. Anche in
questo caso il plurimandato funge da catalizzatore del rischio dato che si possono
sfruttare le sinergie tra settori diversi ed ottenere economie di scala. Allo stesso
modo la struttura, con opportune politiche di delega, tende a dar la possibilità al
soggetto principale di curare maggiormente i clienti e a porsi da vero
infomediario. Gli aspetti di debolezza sono riconducibili alla precarietà del
179
rapporto anche se si può ovviare ponendosi come interlocutore qualificato e quale
ponte con il mercato.
4.6.7. L’agente plurimandatario con deposito
È una figura in forte declino dato che spesso evolve verso forme ricadenti nella
tipologia dell’ufficio di rappresentanza (si veda par. 4.9). Fornisce servizio di
deposito a più mandanti di solito accomunati dalle peculiarità del prodotto
(prodotti congelati o surgelati, freschi); si occupa dello stoccaggio, della
promozione e della consegna della merce. I punti di forza sono quelli della figura
analizzata precedentemente, quelli di debolezza sono connessi ai costi di struttura
per il deposito e un parco automezzi per la consegna. Il declino di questa figura è
anche originato dalla continua ascesa dei corrieri,dalla domanda di sempre
maggior rapidità delle consegne e dalla connessa crescita dei costi. Si pensa però
che l’agente plurimandatario con deposito sopravviverà ancora per un periodo di
tempo considerevole.
4.6.8. La rete di agenti
È la naturale evoluzione di un agente strutturato che annette una serie di
collaboratori in qualità di sub-agenti per il miglior presidio del territorio. Di solito
opera in forma societaria, ha uffici, dipendenti e un piccolo parco automezzi;
spesso ha anche la rappresentanza della società. Il territorio di competenza è
molto ampio fino a giungere a volte all’intero paese.
Anche in questo caso il monomandato potrebbe rappresentare un punto di
debolezza; naturalmente se si opera con più mandati allora si raggiunge una massa
critica per proporsi come soggetto fondamentale per l’accesso al mercato.
Nonostante gli investimenti, le maggiori voci di costo iscritte in conto economico
sono quelle ascrivibili alle provvigioni dei sub-agenti, quindi di natura variabile;
questo consente all’operatore di veicolare una mole di informazioni puntuali a
monte della filiera pur avendo costi fissi di entità relativa contenuta. I punti di
debolezza sono dati dal fatto che gli agenti della rete sono potenziali concorrenti,
quindi bisogna porsi a presidio della relazione con il cliente, magari proponendosi
come garanti della qualità dei servizi offerti.
4.6.9. L’ufficio di rappresentanza
L’ufficio di rappresentanza ha la peculiarità di dover gestire e organizzare una rete
di vendita su un territorio specifico, in linea con quelle che sono le politiche della
casa madre. Queste ultime sono spesso compagnie straniere che si servono di
uffici di rappresentanza per penetrare nuovi mercati; queste strutture acquisiscono
molta forza contrattuale nei confronti della mandante tanto da potergli chiedere di
tollerare il fatto che abbia più marchi da rappresentare; spesso questo non accade
180
perché gli uffici di rappresentanza sono società partecipate o controllate dalle
mandanti stesse.
Il maggior punto di forza è connesso alla capacità di presidiare il territorio e
proporsi come interlocutore qualificato nei confronti delle mandanti; nonostante
questo, però vi è l’incapacità di opporsi alle compagnie che decidono di entrare
con forza nel mercato nazionale dopo un primo periodo di studio di attrattività
demandato all’ufficio di rappresentanza. Si prevede, almeno nel medio periodo,
una crescita in numero degli uffici di rappresentanza, soprattutto ad opera di
imprese straniere (europee e del medio oriente) che decideranno di entrare nel
mercato italiano; si pensa che nello specifico quelle del Vecchio Continente si
serviranno di società controllate monomandatarie, mentre quelle del medio oriente
si serviranno di soggetti terzi che operano con plurimandato, liberi da vincoli
partecipativi e di dimensioni più contenute
4.6.10. Il mediatore
È l’intermediario privo di mandato che ha il fine di porre in relazione due parti
interessate alla transazione. Esistono vari profili all’interno di questa figura; si va
dal mediatore occasionale che non è dotato di partita iva, a soggetti che si
propongono come interlocutori professionali per lo scambio di materie prime,
opere d’arte, contratti finanziari atipici o prodotti complessi.
Per l’ espletamento della professione sono richieste forti doti relazionali; infatti
il maggior punto di forza è rappresentato dalla relazione che si instaura con il
cliente e con i possibili fornitori del bene/servizio. Il punto maggiore di debolezza
è connesso all’impossibilità di costruire una struttura che possa sfruttare le
sinergie e la replicabilità dato che molto è connesso al costante presidio personale
del mediatore. Questa figura tende ad avere una presenza costante soprattutto
nelle nicchie di mercato e quindi si pensa che vivrà un periodo di relativa stasi nei
tassi di crescita/decrescita.
Per avere una visione d’insieme dei profili tracciati può essere utile predisporre
un quadro sinottico (Fig. 4.29). A ben vedere la classificazione proposta appare
diversa da quella burocratico-amministrativa utilizzata dal Registro Imprese e
dall’ Istat ma di fatto introduce a nuove chiavi di lettura che appaiono funzionali
alla programmazione di iniziative di sostegno allo sviluppo.
181
Figura 4.29- Previsione di crescita/decrescita per le maggiori figura di intermediario
Tipo di Figura
Agente
monomandatario
senza deposito non
strutturato
Agente
monomandatario
senza deposito
strutturato
Mandato
Unico
Unico
Struttura
Nessuna
Ufficio
Collaboratori
(spesso familiari)
Unico
Nessuna in proprio;
utilizza la struttura
del mandante.
Agente
monomandatario
con deposito
Unico
Ufficio
Magazzino
No parco
automezzi
Agente
plurimandatario
senza deposito non
strutturato
Plurimo
Nessuna in proprio;
utilizza la struttura
del mandante
Sub-agente
Agente
plurimandatario
senza deposito
strutturato
Agente
plurimandatario con
deposito
Plurimo
Plurimo
Reti di agenti
Unico
Ufficio di
rappresentanza
Unico/
Plurimo
Mediatore
Nessuno
Ufficio
Personale tecnico e
amministrativo
Uffici
Deposito e
automezzi
Servizi logistici:
consegna della
merce
Uffici e personale
amministrativo
Piccolo parco
automezzi
Collaboratori (subagenti)
Uffici
Piccolo deposito
Personale
amministrativo
Ufficio
182
Punti di
forza/debolezza
Svantaggi connessi al
mandato unico
Flessibilità data dalla
struttura inesistente
Capacità di seguire il
cliente
Svantaggi connessi al
mandato unico
Presidio dei clienti
Poca esperienza
Precarietà della
posizione
Miglior presidio del
territorio
Costi fissi connessi alla
struttura
Sinergie e vantaggi di
costo del plurimandato
Flessibilità
Difficoltà a proporsi
come soggetto forte
Vantaggi derivanti dalla
struttura
Precarietà del rapporto
connessa alla capacità
di proporsi come
infomediario
Vantaggi derivanti dalla
struttura
Investimenti per il
delivery
Presidio capillare
Massa critica
Preponderanza di costi
variabili
Concorrenza derivante
dalla rete
Presidio del cliente
Difficoltà di contrasto
verso espansione della
casa madre
Relazione con il cliente
e fidelizzazione
Impossibilità di
costruire una struttura
Previsioni
=
=
=
Appendice
Il contratto di agenzia
L’esigenza di una disciplina del rapporto di agenzia commerciale sorge
nell’Ottocento, in concomitanza con la rivoluzione industriale che, spezzando il
tradizionale rapporto personale tra fabbricante e consumatore, provoca
l’esplosione della produzione e dei consumi di massa. Lo sviluppo commerciale e
la conseguente dinamica competitiva danno origine a una sempre maggiore
domanda di prestazioni da parte di questi operatori economici. In questo contesto,
l’imprenditore inizia ad esternalizzare attività gestite sino a quel momento da
lavoratori dipendenti, usufruendo di organizzazioni terze all’impresa quali agenti
e rappresentanti di commercio; questo diverso approccio consente all’impresa di
effettuare un seppur parziale risk shifting direttamente connesso alle attività
oggetto di delega. L’agente assume quindi il rischio della sua attività, mentre il
dipendente lo trasferisce, attraverso la sicurezza della retribuzione, sul proprio
datore di lavoro. La Legge 12 marzo 1968, n. 316 introduce l’obbligo di iscrizione
in un ruolo pubblico di categoria e, per la prima volta, obbliga i soggetti a
dichiarare la professionalità e dimostrare l’effettivo svolgimento della
professione. Con l’intervento legislativo del 1985 (legge 3 maggio 1985, n. 204)
l’esercizio dell’attività di agente e rappresentante di commercio viene
regolamentato in modo definitivo, prevedendo in analogia ai settori prima citati, il
superamento di uno specifico esame in mancanza di una professione già acquisita
e dimostrabile. Con il decreto legislativo 15 febbraio 1999, n. 65, che interviene
per adeguare la disciplina relativa agli agenti commerciali indipendenti in
attuazione della Direttiva 86/653/CEE, sono dettate nuove regole in materia di
contratto di agenzia: l’obbligo del contratto scritto, la tutela degli interessi del
proponente, il diritto alle provvigioni anche in taluni casi di recessione, sono solo
alcune delle novità introdotte per l’agente commerciale indipendente. Così come
per l’accesso all’attività di altri settori di intermediazione, ad esempio i mediatori,
gli agenti di assicurazione o l’esercizio del commercio e delle imprese turistiche,
il legislatore provvede a fissare le norme anche per lo svolgimento dell’attività di
agente e rappresentante di commercio.
Nell’ambito del codice civile, il contratto di agenzia viene disciplinato sia dagli
art. da 1742 a 1753 sia delle norme generali sul contratto; è dal combinato
disposto di tali norme che si desumono gli elementi necessari per la definizione
del ruolo di questi intermediari. Il richiamo alle fonti è fondamentale per poter
cogliere il profilo di un ruolo che, in qualche caso, potrebbe nascondere rapporti
di subordinazione nei confronti del mandante, allontanando la fattispecie
contrattuale in questione dalla sua reale natura e assimilandola al lavoro
dipendente: al riguardo, è utile un richiamo al meccanismo delle provvigioni su
cui si fonda il contratto di agenzia. A fronte dell’attività svolta, il codice civile
attribuisce all’agente il diritto a un corrispettivo chiamato provvigione, ossia una
retribuzione calcolata in misura percentuale sugli affari promossi. La
determinazione delle percentuali dovute all’agente a titolo di provvigione viene
lasciata, sulla base di quanto previsto dagli AEC, alla libera disponibilità delle
parti 32.
L’ampio margine di libertà concesso alla volontà delle parti, fa sì che vengano
previste differenti percentuali, ma anche forme di retribuzione diverse dal
compenso percentuale come un sovrapprezzo sul valore dell’affare o una somma
fissa per ogni affare concluso.
Tale flessibilità nei compensi diviene ancor più rilevante in quanto permette
alle parti, e in particolare al preponente, di individuare forme di incentivazione
sempre diverse, allo scopo di promuovere la produttività, stimolando l’agente alla
32
Il calcolo della provvigione è previsto dagli AEC di norma in misura percentuale, ma i criteri
per il conteggio sono lasciati agli accordi tra le parti, in ottemperanza del principio di autonomia
contrattuale.
Tre tipologie di calcolo possono così determinarsi:
-
Percentuale fissa, il più comune nei contratti d’agenzia;
Percentuale a scaglioni, in funzione dei fatturati realizzati;
Percentuale fissa più premio, alla percentuale fissa viene aggiunto un premio nel caso di
raggiungimento di un determinato target di vendita.
La nascita del diritto alla provvigione ha visto nel tempo modificate le sue modalità di
manifestazioni a seguito di interventi normativi che hanno novellato alcuni articoli codicistici in
materia di agenzia. In particolare il D.Lgs 65/99 determina che nasce il diritto alla provvigione in
capo al soggetto intermediario qualora si possa rinvenire un nesso diretto tra conclusione
dell’affare e intervento dell’agente; tale diritto risulta essere vigente per tutta la durata del
contratto.
Per regolare esecuzione di un contratto deve intendersi la concreta realizzazione del risultato
finale dell’affare promosso, ossia l’effettivo raggiungimento dei risultati di ordine economico cui
mirano le parti attraverso tale contratto, prescindendo da ogni considerazione sul comportamento
dei soggetti. La nuova regola, che si evince dalla lettura combinata del primo comma con quanto
disposto dal quarto comma dell’art.1748 c.c. così come novellato dal D.Lgs. 65/99, stabilisce che
il diritto dell’agente alla provvigione sorge con la conclusione del contratto; inoltre “salvo che sia
diversamente pattuito, la provvigione spetta all’agente dal momento e nella misura in cui il
preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione in base al contratto concluso
con il terzo. La provvigione spetta all’agente, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella
misura il cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione qualora il preponente
avesse eseguito la prestazione a suo carico” (art. 1748 c.c., co. 4). L’interpretazione del quarto
comma dell’articolo 1748 c.c. lascia trasparire una politica liberista del legislatore essendo
esplicitamente contemplato un patto in deroga al dettame dell’anzidetto riferimento civilistico. Le
parti, pertanto, possono anche prevedere che il diritto alla provvigione maturi con la regolare
esecuzione da parte di entrambi i contraenti, come nella vecchia disciplina. In ogni caso, in
assenza di una clausola specifica, trova applicazione la nuova regola.
184
vendita di determinanti prodotti o all’acquisizione di nuova clientela. Bisogna
però fare attenzione a non snaturare il contratto di agenzia, eliminando quel
margine di rischio che lo caratterizza: occorre cioè mantenere sempre una
relazione tra corrispettivo e risultato finale33.
L’agente infatti rimane comunque un lavoratore indipendente che assume su di
sé il rischio del guadagno, e non un lavoratore subordinato. Non è ammessa una
retribuzione fissa mensile o minima garantita a meno che una parte del compenso
mantenga la struttura di provvigione.
Occorre precisare che secondo la Direttiva comunitaria 86/653/CEE il
legislatore sembra escludere che il compenso debba assumere esclusivamente i
caratteri della provvigione, ammettendo invece ogni forma possibile di compenso.
33
-
I sistemi diversi dal compenso percentuale più conosciuti e diffusi sono:
la pattuizione di un compenso fisso per ogni affare concluso;
l’accredito all’agente della differenza tra il prezzo fissato dal preponente e prezzo pattuito
con l’acquirente;
la corresponsione di provvigioni sul fatturato.
185
Capitolo 5
I mercati all’ingrosso
5.1. Il ruolo dei mercati agroalimentari nei nuovi scenari alimentari e
distributivi
I mercati agroalimentari stanno attraverso una profonda fase di transizione verso
un nuovo “posizionamento” lungo la supply chain che tiene conto delle nuove
esigenze e delle nuove caratteristiche della commercializzazione. Sebbene in essi
vi si concentrino attività commerciali riguardanti tutte le filiere agroalimentari
fresche e quella dei fiori, è l’ortofrutta il comparto di gran lunga più importante,
interessando da solo in media circa il 95% delle attività dei mercati.
In estrema sintesi, il nuovo ruolo dei mercati grossisti dovrebbe tener conto dei
seguenti fatti, noti e consolidati anche nel sistema agroalimentare:
-
-
il progressivo accorciamento dei canali e la crescita delle consegne dirette
dal fornitore agricolo (cooperativa di secondo grado, consorzio, ecc.) ai
punti vendita o ai CeDi della distribuzione moderna;
la necessità di offrire nuovi “servizi” alle merci in transito nei mercati
(controllo qualità, informatizzazione, rintracciabilità logistica, ecc.);
la necessità di sviluppare la vocazione logistica delle aree di interscambio
delle merci (e quindi anche dei mercati grossisti), attraverso la creazione di
aree intermodali e l’apertura a piattaforme logistiche della distribuzione
moderna.
I punti di forza dei mercati grossisti, e ortofrutticoli in particolare, sono noti: i
volumi e la varietà di prodotto in transito dai mercati all'ingrosso sono ancora
significativi, interessando circa il 50% dei prodotti ortofrutticoli freschi distribuiti
sul territorio nazionale ed un volume di affari complessivo stimato in circa 7
milioni di euro all’anno.
I mercati all'ingrosso mantengono ancor oggi il pregio di concentrare numerosi
operatori grossisti in un unico luogo e sono perciò in grado di completare la
gamma attraverso la concentrazione dell’offerta, di trattare volumi consistenti di
merce, di rimanere un riferimento per la produzione (soprattutto quella locale)
anche grazie ad un importante ruolo di formazione del prezzo, di assicurare una
rapida rotazione del prodotto.
Figura 5.1 – Acquisti di ortofrutta in Italia secondo il canale commerciale
Fonte: CSO, Centro Servizi Ortofrutticoli
Ma sono noti anche gli altrettanto significativi punti di debolezza: i canali di
commercializzazione tendono ad accorciarsi sempre di più e la GDO punta a
superare tutte le varie forme di intermediazione rafforzando le consegne dirette, al
punto vendita od alla piattaforma di ridistribuzione. I mercati grossisti stentano
nello sviluppo di relazioni stabili con i buyer della distribuzione moderna, che
utilizzano i mercati solo per la gestione delle emergenze nelle forniture e per il
reperimento di prodotti locali nei periodi di massima produzione.
In sostanza, è in progressivo calo proprio l’importanza della funzione
economica dei mercati all’ingrosso e si riduce contemporaneamente l’interesse
per la funzione di formazione del prezzo tradizionalmente svolta dai mercati
stessi.
Le scelte di riorganizzazione fin qui sviluppate hanno riguardato gli aspetti
infrastrutturali e dimensionali, ma raramente si è ripensata la strategia
complessiva di azione e di intervento sul mercato all’ingrosso. Al grande dibattito
se “ospitare” o meno le piattaforme logistiche della GDO all’interno dell’area
mercato, ad esempio, hanno partecipato tutti, ma sono oggi rarissimi i mercati che,
sul modello francese di Rungis (il più grande d’Europa) e spagnolo di Mercabarna
(Barcellona), hanno deciso di “convivere” con aree di commercializzazione che
non fossero direttamente sotto il controllo della società di gestione del mercato.
Il risultato è che oggi, in Italia, la merce in transito nei mercati all’ingrosso è
prevalentemente destinata ai canali di vendita tradizionali (commercio di
188
prossimità, negozi specializzati, ambulantato), calano gli operatori di mercato, si
riduce progressivamente il raggio di consegna delle merci in uscita dai mercati.
Il Piano Mercati varato negli anni 80 ha introdotto il concetto di “Centro
Agroalimentare” ed ha finanziato alcuni importanti processi di delocalizzazione
dei mercati, con il conseguente potenziamento strutturale (cfr. più avanti in questo
capitolo). Tuttavia, a distanza di alcuni anni e nel pieno dei nuovi processi
riorganizzativi dei sistemi commerciali e distributivi dei primi anni 2000, si sta
diffondendo l’opinione di un necessario ripensamento dei processi di
delocalizzazione e potenziamento dei vecchi mercati. Il caso di Milano è da
questo punto di vista emblematico e, come vedremo più avanti, a inizio 2007
sembra non più attuale l’ipotesi di una delocalizzazione della struttura, per tanti
anni invece agognata.
5.2. Mercati all’ingrosso in Italia: un modello in crisi
La realizzazione di mercati agroalimentari soggiace al rispetto delle norme legate
agli insediamenti di immobili destinati alle attività commerciali. Tali impianti
infatti realizzano la cosiddetta utilità di spazio e di tempo, attraverso la raccolta ed
il deposito in luoghi di smistamento strategico di merci in rilevanti quantità.
Il mercato all’ingrosso è il luogo fisico dove si riuniscono persone, imprese e
prodotti. All’interno del mercato, le modalità delle transazioni possono essere più
o meno organizzate e regolamentate. In ogni caso, i mercati all’ingrosso
rappresentano una struttura di supporto all’attività di commercializzazione degli
intermediari.
Con il mercato all’ingrosso trovano il compimento in un unico luogo e
momento tre importanti funzioni:
-
negoziazione tra venditore e acquirente (commerciale) ;
trasferimento di proprietà della merce (scambio);
pagamento della merce acquistata (finanziaria).
Per lo svolgimento delle funzioni di vendita, sono ammessi nei mercati, con
apposita “concessione/autorizzazione”, figure professionali quali: commercianti
all’ingrosso, produttori, organizzazioni dei produttori, imprese di lavorazione,
conservazione e trasformazione dei prodotti agricoli, tutti questi sia in forma
singola che associata.
Gli acquirenti ammessi sono: commercianti all’ingrosso e al minuto, imprese di
lavorazione, conservazione e trasformazione dei prodotti agricoli, comunità,
convivenze, albergatori e ristoratori, mense e spacci aziendali ed altri pubblici
esercizi, coop di consumo, gruppi d’acquisto. Recentemente, in apparente
contraddizione con il profilo giuridico dei mercati grossisti, hanno accesso ai
mercati anche i consumatori individuali, secondo modalità e orari prestabiliti. In
questo i mercati lombardi sono stati precursori e protagonisti.
189
All’interno dei mercati sono ammessi anche figure professionali che svolgono una
funzione di intermediazione, una funzione peraltro particolarmente in sintonia con
il ruolo stesso del mercato, luogo di negoziazione e di incontro fra domanda e
offerta secondo i canoni più classici del commercio. Tre questi ricordiamo:
-
-
grossisti puri, che acquistano i prodotti da operatori a monte e li rivendono
a valle;
mandatari, che acquistano i prodotti per un acquirente (mandante) sulla
base di un contratto (mandato) (in Italia questo tipo di contratto è tutelato
dagli artt. 1703 e seguenti del cod. civ.);
commissionari, che vendono dei prodotti senza esserne proprietari, in
forza di un contratto (artt. 1731 e seguenti cod. civ.) e con un guadagno
rappresentato da una provvigione sulla vendita.
Vale la pena ricordare in queste pagine anche la “classica” suddivisione delle
diverse tipologie di mercato, in relazione alla natura prevalente dei clienti e dei
fornitori dello stesso.
-
-
-
Mercati alla produzione o all’origine, localizzati in aree con un’elevata
produzione. Il fornitore è nella maggioranza dei casi un produttore. I
mercati alla produzione hanno come scopo di riunire tutto o parte della
produzione di una regione in attesa di trovare degli acquirenti e possono
essere specializzati nella vendita di una o più specie di prodotti o essere
multiprodotto. Ci sono poi mercati attivi tutto l’anno o solamente qualche
mese. Bisogna, inoltre, osservare che gli acquirenti che si rivolgono a
questo tipo di mercato possono essere degli spedizionieri (cioè operatori
che svolgono come attività principale l’acquisto, il raggruppamento, lo
smistamento, il condizionamento, la composizione dei lotti, il trasporto e
la vendita), grossisti, semi-grossisti (camionisti) o gruppi di acquisto, di
cui parleremo in maniera più dettagliata più avanti.
Mercati di redistribuzione o di transito, la cui funzione è di recepire
consistenti quantitativi di prodotti per inviarli successivamente ad altri
mercati (sia terminali che all’esportazione). In questa tipologia di mercato
l’operatore è in prevalenza un grossista tanto per l’acquisto che per la
vendita delle merci. Spesso in questi mercati sono movimentate grosse
quantità di merci di provenienza non solo nazionale ma anche estera. I
produttori sono presenti sul mercato solo in misura marginale. Esempi in
Italia di mercati di redistribuzione sono il MOF di Fondi e il CAAB di
Bologna.
Mercati terminali o di consumo, caratterizzati da una forte presenza di
dettaglianti o grossisti che si rivolgono direttamente al bacino territoriale
in cui quei mercati operano.
Questa suddivisione ha oggi una minore significatività rispetto anche al recente
passato. Va infatti ricordato come concretamente in uno stesso mercato si possano
sovrapporre le attività di tutti gli operatori sopra evidenziati: si potrebbe quindi
190
affermare che nella maggioranza dei casi i mercati all’ingrosso presentano una
natura mista.
I mercati all’ingrosso risultano estremamente importanti in quanto permettono
di creare un legame tra soggetti economici diversi, il produttore e il consumatore,
i quali presentano differenti necessità: il primo vende grosse quantità di un
numero ristretto di prodotti, il secondo acquista piccole quantità di un elevato
numero di prodotti. Il mercato all’ingrosso consente ai produttori di vendere ai
grossisti grosse partite di merci che questi a loro volta rivendono a utilizzatori
intermedi (per.es. ristoranti), distributori al dettaglio e consumatori finali.
Inoltre, i mercati all’ingrosso hanno un ruolo significativo
nell’approvvigionamento delle città di prodotti agroalimentari e consentono, in
più, di raggiungere due finalità di interesse pubblico:
-
il controllo igienico-sanitario dei prodotti commercializzati, al fine di
garantirne la qualità nei confronti dei consumatore;
la fissazione del prezzo, una volta collocata sul mercato l’intera
produzione giornalmente immessa nell’area di consumo servita dalla
struttura annonaria.
A partire dagli anni novanta il ruolo dei mercati all’ingrosso nella distribuzione
dei beni agroalimentari in Italia si è ridotto considerevolmente a causa delle
dinamiche che hanno coinvolto sia la produzione agricola sia la distribuzione al
dettaglio. In particolare, le tendenze alla concentrazione del settore a monte e
valle della filiera hanno portato ad un effettivo ridimensionamento della
tradizionale attività di intermediazione del mercato all’ingrosso. Nella stessa
direzione operano altri fattori come la crescente standardizzazione delle
produzioni, la progressiva affermazione dei prodotti a marchio, l’aumento della
quantità di ortofrutta destinata alla trasformazione industriale.
Esistono oggi in Italia 3 mercati generali, 146 mercati ortofrutticoli, 59 mercati
ittici, 14 mercati dei fiori, 12 mercati delle carni e del bestiame, per complessivi
234 mercati all’ingrosso. In essi si concentrano circa 5.000 imprese grossiste che
trattano per il 90% prodotti ortofrutticoli.
Tabella 5.1 – Mercati all’ingrosso in Italia
Lombardia
Italia
Di cui:
- Centro Nord
- Sud e Isole
Mercati
Operatori
12
1.282
154
95
59
11.512
9.006
2.446
Superficie (mq x 1.000)
Di cui:
%
coperta
coperta
645
233
36
Totale
4.808
3.411
1.397
1.493
1.159
334
31
34
24
Posteggi
Sup. m²
(.000)
574
106
N.
8.765
6.658
2.107
755
552
203
Attrezzatura frigorifera
Metri
M cubi
cubi
celle
238
101.372
426
Celle
1.804
1.093
711
356.047
295.697
60.350
197
271
85
Fonte: ISTAT
Dal punto di vista strutturale vi è una differenza significativa tra i mercati
all’ingrosso delle regioni del Centro Nord e quelli meridionali. Le prime
presentano una quota maggiore di servizi annessi (posteggi e attrezzatura
frigorifera) e di superficie sia scoperta che coperta: i mercati del Mezzogiorno,
infatti, hanno negli anni mantenuto la sola valenza di mercati di spedizione e sono
191
in forte ritardo nei processi riorganizzativi, che potrebbero permettere loro lo
sviluppo di ulteriori funzioni commerciali e logistiche-distributive.
All’estrema polverizzazione dei mercati all’ingrosso italiani, si contrappone la
concentrazione dell’attività; ciò in quanto nei primi 15, su un totale di 154,
transita il 70% del prodotto venduto. La maggior parte degli addetti, delle aree di
parcheggio, della superficie coperta e delle celle frigorifero sono localizzati nelle
strutture più importanti.
I mercati all’ingrosso più significativi in Italia sono quello di Milano con una
superficie complessivamente utilizzata di 445.000 mq e con oltre 8 milioni di
quintali commercializzati, seguito da Fondi (MOF) e da Roma (CAR).
Tabella 5.2 – I principali mercati all’ingrosso
Mercato
superficie (mq)
Volumi (tons)
Milano
Fondi
Roma
Catania
Verona
Bologna
Torino
Pagani
Napoli
Padova
445.000
100.000
75.000
86.600
140.000
125.940
130.000
180.000
110.000
160.000
805.746
1.181.667
622.425
341.401
356.458
349.817
331.369
373.144
365.748
317.716
Fonte: Mercati Associati
5.2.1. Il Piano Mercati e la Legge 41/1986: un’occasione mancata?
L’arretratezza dei mercati grossisti italiani era ormai evidente fin dalla fine degli
anni settanta e si imponeva con forza una profonda revisione delle loro funzioni
oltreché delle loro strutture. A metà degli anni ottanta, infatti, il sistema nazionale
dei mercati grossisti fu interessato da un importante intervento finanziario che
puntava all’ammodernamento dell’intero sistema mercatale, sia nei sui aspetti
strutturali che in quelli di gestione e delle politiche di servizio offerti. Il
programma di finanziamento dell’importo di 350 milioni di euro fu inserito nella
legge finanziaria del 1986 dove, all’articolo 11, si finalizzavano gli interventi agli
obiettivi specifici dell’ “ammodernamento dell’intero sistema distributivo
all’ingrosso, attraverso la realizzazione di una rete di mercati agroalimentari”,
meglio conosciuto in seguito come “Piano Mercati” (Legge n°41/1986).
Il piano di finanziamento si basava essenzialmente su contributi in conto
capitale (40% degli investimenti fissi) e in conto interessi, con tassi agevolati fino
al 75% del costo degli investimenti.
Il piano di rilancio dei mercati italiani, ancorché lungamente atteso, giungeva
peraltro in forte ritardo rispetto ai processi riorganizzativi avviati in Francia ed in
Spagna. La Francia ha ripensato il ruolo dei mercati grossisti fin dai primi anni
cinquanta, progettando una rete di mercati cosiddetti “di interesse nazionale”, di
grandi dimensioni, localizzati in modo razionale sul territorio, gestiti da società a
capitale misto e “orientati” al servizio ed alle attività di sostegno alla
commercializzazione. La legge istitutiva dei MIN è del 1953 mentre la loro
192
realizzazione inizia nel 1958, con il mercato parigino di RUNGIS, attualmente il
più grande centro agroalimentare del Mondo (cfr. www.rungisinternational.com).
Anche in Spagna, il ripensamento del ruolo e della funzione dei mercati
grossisti è cominciato in tempi ormai lontani. Qui, nell’anno 1966, viene costituita
Mercasa, la holding di Stato che istituisce, controlla e gestisce i 22 grandi mercati
nazionali spagnoli, il più grande dei quali è quello di Barcellona. (Cfr.
www.mercabarna.es).
Le direttrici della legge 41/1986 erano certamente meritorie e coglievano
certamente i punti di debolezza del sistema italiano. Tuttavia, gli enunciati “di
principio” non sono stati accompagnati nel tempo da altrettanto chiari meccanismi
di attuazione e molti dei buoni principi enunciati sono rimasti tali.
Ricordiamo sinteticamente i principi-guida della legge 41:
-
-
-
-
il passaggio strategico da mercato monosettoriale (generalmente
ortofrutticolo) a mercato agroalimentare, capace di integrare le altre
tipologie dell’agroalimentare fresco quali la carne ed i prodotti ittici;
i mercati dovevano rafforzare il loro ruolo di catalizzatori a livello
regionale e interregionale, e dovevano altresì creare una vera e propria rete
nazionale e integrata di mercati;
andava premiato il posizionamento territoriale ottimale, dal punto di vista
infrastrutturale e della viabilità, mantenendo peraltro tutte le compatibilità
ambientali;
erano meritevoli di finanziamento quei progetti di riorganizzazione dei
mercati che puntassero allo sviluppo di servizi logistici e commerciali, tra i
quali la legge 41/1986 citava espressamente il confezionamento, lo
stoccaggio e la movimentazione, l’informatizzazione, la costituzione di
una borsa merci ed il rafforzamento del mercato nel suo ruolo storico di
formazione e percezione del prezzo.
La legge 41 richiamava anche il passaggio strategico “dal prodotto al servizio”,
ormai consolidato in quegli anni nel più ampio scenario commerciale, attraverso il
perseguimento di diversi obiettivi concreti, quali:
-
sviluppo di servizi connessi con la selezione e confezionamento dei
prodotti;
riconoscimento del ruolo centrale della logistica;
integrazione nei mercati di servizi legati alla valorizzazione dei prodotti
tipici locali;
diffusione nella rete dei mercati di servizi legati alle garanzie di qualità,
sugli aspetti igienico-sanitari in particolare;
sviluppo di una rete informatica per l’analisi e comparazione dei prezzi,
con l’obiettivo della trasparenza del mercato.
Nelle applicazioni concrete molte di queste raccomandazioni sono rimaste però
irrealizzate. L’aspetto forse più riuscito e di maggiore impatto sul sistema
mercatale è quello legato alla forma di gestione dei mercati, ossia l’affermazione
193
di una gestione mista pubblica e privata, individuando nella società consortile a
maggioranza pubblica e con componenti private lo strumento gestionale più
idoneo per gestire l’ammodernamento.
La legge 41/1986 fa infatti esplicito riferimento alla forma giuridica della
società consortile a maggioranza pubblica come sola forma gestionale
perseguibile.
All’epoca, la stragrande maggioranza dei mercati era a gestione diretta
comunale (escluso Milano e Brescia che già potevano contare su una forma
gestionale per così dire “moderna”), mentre oggi sono una quindicina i mercati
gestiti da società consortili.
Come è finita la storia della modernizzazione dei mercati è fatto noto: il primo
“nuovo” mercato entrato in attività fu quello di San Benedetto del Tronto, ma le
nuove grandi realizzazioni cominciarono nel 2000 con il centro agroalimentare di
Bologna, a cui sono seguite (diluite nei sei anni successivi …) quelle di Torino,
Verona, Roma, Padova, Parma, Rimini, Fondi, Pescara, Napoli, Cosenza,
Catanzaro e Catania. Quattordici mercati in tutto, questo fu ed è il reale impatto
della legge n°41 e del suo Piano Mercati.
È fondamentale ricordare che, negli anni 80, altri mercati avviarono processi
riorganizzativi, ma al di fuori dei finanziamenti previsti dalla legge 41/1986;
alcuni di questi hanno avviato processi riorganizzativi essenzialmente
infrastrutturali (Milano, Genova, Cesena, Firenze e Fasano), mentre altri (Treviso,
Udine e Firenze) hanno rinnovato la loro forma di gestione secondo il modello
della società consortile mista pubblica privata.
Certamente, come si dirà meglio in seguito, non si può dire che i mercati
italiani, con o senza la legge 41, abbiano fatto “sistema”, e men che meno che
abbiano saputo cogliere i profondi cambiamenti negli scenari commerciali,
logistici e distributivi.
Oggi, finiti gli effetti del Piano Mercati, il compito di rilancio e
riorganizzazione dei mercati è in mano alle Regioni, le sole in grado di
accompagnare o indirizzare le scelte locali dei Comuni su questi temi.
5.2.2. Le strategie riorganizzative dei mercati all’ingrosso a livello europeo:
mercati e nuovi canali di distribuzione
L’evoluzione del modello organizzativo dei mercati all’ingrosso in Europa è stata
fortemente influenzata dai cambiamenti intervenuti nella struttura e nella condotta
del commercio al dettaglio, dalla modernizzazione delle attività di trasporto e
logistica, dalla rapida crescita della ristorazione collettiva e dall’utilizzo sempre
maggiore delle tecnologie dell'informazione. Tutti questi cambiamenti hanno
portato i mercati all’ingrosso a dover attraversare differenti fasi di innovazione,
alla ricerca continua di nuove strategie commerciali, nuovi clienti e canali di
vendita.
Oggi, a livello europeo, sono riscontrabili modelli organizzativi innovativi che
hanno ridato competitività ai mercati salvaguardando il loro importante ruolo
all’interno del canale di distribuzione. Non si può sottovalutare il fatto che, ancor
194
oggi, attraverso i mercati all’ingrosso si commercializza il 45-50% dell’ortofrutta
fresca, laddove la restante parte è invece commercializzata dalla distribuzione
moderna attraverso canali corti di fornitura che saltano l’anello dei mercati
grossisti, ma non l’ingrosso in quanto tale. Una parte significativa degli
approvvigionamenti di ortofrutta della GDO avviene infatti attraverso grossisti
“fuori mercato”.
In Francia, in particolare, dove la distribuzione moderna è di fatto il maggiore
canale di vendita, la parte di prodotti ortofrutticoli che passano per i mercati
all’ingrosso rappresenta il 45% dei volumi di vendita totali. Addirittura, in
Mercabarna (mercato grossista di Barcellona, tra i più moderni e efficienti del
Mondo), i volumi commercializzati mostrano da alcuni anni un significativo
processo di crescita, con una forte evoluzione della tipologia di clienti serviti.
Le sfide con cui devono confrontarsi i mercati all’ingrosso non riguardano solo
il controllo della supply chain ed il posizionamento lungo i canali di
commercializzazione, ma anche le nuove esigenze di qualità e di rintracciabilità
dei prodotti, che obbligano i mercati grossisti a nuovi e forti cambi organizzativi.
Soprattutto, i mercati grossisti sono oggi chiamati a “dialogare” fra di loro per
sviluppare una rete capace di migliorare le condizioni di efficienza ed efficacia ;
l’interazione tra mercati è ancor oggi un obiettivo assai arduo da raggiungere. Sul
tema dell’information technology, ad esempio, la standardizzazione delle
procedure di gestione delle informazioni è certamente fondamentale sia per la
trasparenza del mercato, sia per la corretta gestione della rintracciabilità lungo
tutta la catena di produzione, commercializzazione e distribuzione.
5.2.3. Verso i mercati di “terza generazione”
La recente evoluzione europea dei mercati all’ingrosso mostra la progressiva
costituzione di un nuovo business model all’interno dei cosiddetti mercati di
”Terza generazione”. Questi ultimi sono mercati che dopo avere superato il
periodo di crisi, conseguente allo sviluppo della distribuzione moderna, svolgono
le loro attività con una impostazione market oriented.
Il profilo di questi mercati di “Terza generazione” può essere così sintetizzato:
-
-
-
-
una forte apertura alla distribuzione moderna, ospitando nei mercati le loro
piattaforme logistiche e stimolando il loro ritorno al mercato grossista
nelle fasi di acquisto;
integrazione in forma progressiva e flessibile delle nuove opportunità del
settore della logistica e dei trasporti ( intermodalità, gestione della catena
del freddo, tecnologie dell’informazione, city logistics);
capacità di rispondere alle sfide tecniche e commerciali che richiedono
l’applicazione di sistemi di rintracciabilità, cosi come le potenzialità
commerciali dello sviluppo di Internet;
risposta alle preoccupazioni di carattere ambientali e la questione del
trattamento dei rifiuti (riverse logistics);
195
-
segmentazione commerciale da parte degli operatori che cercano di
adeguare le proprie attività alle differenti tipologie di domanda.
Gli esempi più significativi in Europa e nel Mondo di mercati di “terza
generazione” sono quelli di Parigi-Rungis e di Mercabarna (Barcellona). Per il
successo di questi best in class è stato fondamentale il ruolo del sistema pubblico
che, con nuove regolamentazioni e con l’assegnazione di nuove funzioni ha creato
il contesto necessario per la trasformazione del sistema annonario.
5.3. Mercati all’ingrosso nella Lombardia
In Lombardia operano dodici mercati grossisti ma solo quelli di Milano, Bergamo
e Brescia hanno un peso significativo e valenza nazionale. I tre mercati
commercializzano circa un milione di tonnellate di ortofrutta all’anno, il 10%
delle quali è prodotta nella Regione stessa. Qui di seguito vengono schematizzate
le caratteristiche principali dei tre mercati menzionati e successivamente verranno
ripresi alcuni elementi essenziali legati alle loro strategie ed ai loro processi di
riorganizzazione, anche alla luce di incontri e focus avuti in loco con i
responsabili delle società di gestione.34
Tabella 5.3 – I mercati ortofrutticoli lombardi
Prodotti
commercializzati anno
2005
(tonnellate)
MERCATI ORTOFRUTTICOLI LOMBARDI
BERGAMO
www.bergamo-mercati.com
Sup. 45.755 mq
BRESCIA
www.bresciamercati.com
Sup. 64.270 mq
MILANO
www.mercatimilano.it
Sup 438.000 mq
Volumi totali
130 mila
144 mila
765 mila
Frutta Fresca
52%
41%
29%
Frutta Secca
1%
6%
1%
Agrumi
15%
15%
14%
32%
38%
56%
Ortaggi
Fonte: elaborazioni su interviste dirette ai Direttori di mercato
5.3.1. I mercati grossisti di Milano e le strategie di SogeMI
I mercati agroalimentari all'ingrosso della Città di Milano sono gestiti da SogeMI
S.p.A., che è quasi interamente controllata dal Comune di Milano. SogeMI è stato
il primo esempio in Italia (nel 1965, con il nome di Ortomercato SpA) di ente
34
Ai fini di questo lavoro sono stati incontrati: dott. Roberto Predolin (Presidente SO.GE.MI),
avv. Stefano Zani (direttore generale SogeMi), dott. Pierangelo Mapelli (direttore dei Mercati
grossisti di Milano), dott. Marco Hrobat (direttore Brescia Mercati), dott. Mattia Rossi (Direttore
Bergamo Mercati).
196
gestore di mercati ad essere strutturato come Società per Azioni e con una
presenza di privati nel capitale sociale.
SogeMI controlla tutti e cinque i mercati grossisti di Milano (ortofrutta, carne,
pesce, fiori, avicunicolo), collocati in aree attrezzate limitrofe tra loro, in modo da
costituire un unico grande centro integrato di distribuzione all'ingrosso. I mercati
dell’ortofrutta, del pesce e dell’avicunicolo sono leader in Italia e tutti e cinque
insieme costituiscono una delle maggiori realtà anche a livello europeo per il
commercio all'ingrosso dei prodotti agroalimentari:
-
-
-
-
-
il Mercato Ortofrutticolo all'Ingrosso di Milano è uno dei più grandi
d'Italia per superficie e per quantità di prodotti commercializzati (circa 800
mila tonnellate/anno) e si caratterizza per l'ampiezza della gamma di
prodotti disponibili tutto l'anno. Alle tradizionali funzioni di mercato
terminale, vocato alla fornitura di prodotti per l’area metropolitana
milanese, il mercato di Milano aggiunge anche la funzione di
ridistribuzione, sia in export verso i mercati europei sia in import;:
l’esportazione verso l’Europa interessa il 20% della merce
commercializzata, mentre l’ortofrutta di provenienza estera ridistribuita in
Italia raggiunge il 16% dei volumi trattati annualmente.
Anche il Mercato Ittico è il più importante mercato distributivo in Italia
nel suo settore, con circa 25.000 tonnellate commercializzate ogni anno,
offrendo la più vasta gamma di pesci freschi disponibile nel nostro Paese,
in linea con i principali mercati grossisti europei.
Il Mercato all'Ingrosso delle Carni di Milano commercializza circa 150
mila tonnellate di carne all’anno, è dotato di una sala di lavorazione
capace di offrire l’intera gamma di tagli e pezzature con confezionamento
tradizionale e sottovuoto. Al mercato è annesso il pubblico macello di
Milano.
Il Mercato Avicunicolo è anch’esso primo per importanza nel territorio
italiano sia per la quantità di prodotti che vi vengono commercializzati
(oltre 15.000 tonnellate/anno), sia per la presenza attiva di una "Sala di
contrattazione" in grado di trattare oltre il 50 % dell'intero consumo
nazionale dei prodotti avicoli.
Il nuovo Mercato Floricolo, avviato nell'ottobre del 2000, riveste un ruolo
sempre più importante nella ridistribuzione in Italia dei prodotti di
provenienza estera ed è destinato a diventare il punto di riferimento più
autorevole in Italia per la definizione dei prezzi all'ingrosso dell'intero
comparto.
197
Tabella 5.4 – Mercati grossisti di Milano
Ente gestore
Capitale sociale:
Fatturato 2004:
N° dipendenti:
Principale azionista:
Superficie complessiva:
SogeMI S.p.A Società per l'Impianto e l'Esercizio dei
Mercati Annonari all'Ingrosso di Milano
€. 19.176.503,00 interamente versato
€. 14.812.756
71 addetti
Comune di Milano con il 99,97% delle quote
813.000 m² di cui: 438 mila mq Ortofrutta, 133 mila Ittico e
Fiori, 242 mila Carni, Avicolo e Macelli
Mercato Ortofrutticolo (9.000 utenti)
Mercato Ittico (1.700 utenti)
Quantità commercializzate: 1.200.000 ton/anno
Mercato Floricolo (1.500 utenti)
Giro d'affari complessivo: 2.500 Meuro/anno
Mercato Avicunicolo (700 utenti)
Utenti dei Mercati: 12.000 persone/giorno
Mercato delle Carni, con annesso il Pubblico
Bacino d'utenza: 10.000.000 di abitanti
Macello (650 utenti)
ORARI CONTRATTAZIONI
Mercato ortofrutticolo
Mercato ittico
Mercato delle carni
Mercato avicunicolo
Mercato dei fiori
Mattina: dal lunedì al sabato dalle 5,00 alle 10,00
Pomeriggio: lunedì, venerdì, dalle 15,00 alle 17,00
Solo mattina: dal lunedì al sabato dalle 5,15 alle 12,00
Mattina: lunedì e martedì, dalle 6,00 alle 12,00
Mattina: mercoledì, giovedì e venerdì, dalle 7,00 alle 12,00
Pomeriggio: dal lunedì al venerdì dalle 14,00 alle 16,00
Solo mattina: lunedì, mercoledì, venerdì, dalle 6,00 alle 12,00
Solo mattina: dal lunedì al sabato dalle 6,30 alle 13,00
VENDITA AL PUBBLICO
Mercato ortofrutticolo
Mercato ittico
Mercato delle carni
Mercato avicunicolo
Mercato dei fiori
Sabato mattina dalle 9,00 alle 12,00
Sabato mattina dalle 9,30 alle 11,30
Solo mattina: lunedì, mercoledì, venerdì, dalle 10,00 alle 12,00
Solo mattina: martedì, giovedì, sabato, dalle 10,00 alle 12,00
MERCATO ORTOFRUTTICOLO DI MILANO
Superficie complessiva:
Celle frigorifere:
Aziende commerciali:
Aziende grossiste con punto vendita:
Produttori con punto vendita:
Esportatori:
Aziende di lavorazione e confezionamento:
Autotrasportatori:
Cooperative di facchinaggio:
Acquirenti
438.000 mq
109.000 metri cubi
16 % Import / 20 % Export
400 (3.000 addetti complessivi)
160
162
95
2
110
3
1.350 ambulanti, 1.250 dettaglianti, 500 pubblici esercizi e
400 grossisti
Fonte: elaborazioni su interviste dirette e informazioni ufficiali
La proposta di delocalizzazione dei mercati grossisti di Milano verso nuove aree
periferiche è una delle idee più ricorrenti, diffuse e “datate” di questa città e come
tale, agli inizi del 2007, sembra sia stata destinata ad un nuovo e forse definitivo
tramonto, sulla spinta delle intenzioni della nuova dirigenza della società SogeMI
Nei nuovi piani aziendali, infatti, è previsto l’avvio di un forte processo di
razionalizzazione degli spazi, indirizzato sia al recupero delle aree inutilizzate o
sottoutilizzate sia alla riorganizzazione delle aree mercatali, con particolare
riferimento ai mercati delle carni ed alle aree di parcheggio.
Gli effetti di questo processo saranno tali da permettere l’avvio di una nuova
politica di “collaborazione” con la distribuzione moderna, in forme ancora tutte da
definire ma che prevederanno certamente la messa a disposizione di aree e/o
198
magazzini per attività di ricevimento, stoccaggio e lavorazione della merce. Si
creeranno altresì le condizioni per il potenziamento della cosiddetta “città del
cibo” che potrebbe diventare a regime una vasta area espositiva/degustativa
interna al mercato e aperta ai cittadini, più vicina ad un concetto di show room
piuttosto che di area di contrattazione, ma comunque in linea con la politica di
“riposizionamento” del mercato di Milano verso la sua città, fortemente voluta dal
suo socio di (quasi totale) maggioranza.
Infine, la politica di ristrutturazione dell’area prevedrà anche un nuovo slancio
(e in spazi adeguati) della “funzione di contrattazione e fissazione del prezzo”,
mestiere primario per un mercato, attraverso il rilancio delle sale merci e
contrattazione.
Lo stop alle ipotesi di trasferimento della sede dei mercati milanesi, quindi,
accompagnata da un profondo restyling organizzativo e strutturale (in corso di
definizione), permettono di “recuperare” con maggiore serenità i punti forti del
posizionamento logistico che comunque la sede storica di via Lombroso ha
sempre avuto: vicinanza strategica all’aeroporto cittadino, adiacente ai nodi
autostradali, già raccordata con il ferro.
Certo, vi sono limiti burocratici legati al modello gestionale. Ritorneremo più
avanti nelle conclusioni su questo punto importante, ma è evidente fin d’ora che
l’attività dell’ente gestore dei mercati, tecnicamente intermedia fra l’attività
ordinaria sui mercati e quella di controllo e di indirizzo espressa tra gli altri dalla
commissione di mercato, necessità di una forte autonomia decisionale che, oggi,
non ha. Gli articoli 9, 10 e 11 della legge regionale lombarda n° 12/1975
(rispettivamente sul regolamento di mercato, sulla commissione di mercato e sui
suoi compiti) sono tecnicamente quelli che più necessitano di un intervento di
modernizzazione per una maggiore efficienza operativa. Questa opinione è
condivisa anche dalla SogeMI Spa.
5.3.2. Il mercato ortofrutticolo di Brescia
Il mercato ortofrutticolo di Brescia è gestito dalla società Brescia Mercati, a
controllo pubblico per il 77% del capitale; la restante quota fa capo ai grossisti
privati operanti sul mercato (il 16%) e ad altri privati legati in varia natura al
settore ortofrutticolo.
Le caratteristiche del mercato di Brescia sono quelle di un mercato con un
bacino di consumo locale (ambito provinciale) ma con un’ampia gamma di offerta
di prodotti, anche di controstagione. È interessante la crescita di offerta di prodotti
etnici, nonché la significativa presenza di produttori diretti di etnia cinese e
pakistana, che offrono prodotti anche italiani ma con caratteristiche commerciali
finalizzate alla clientela etnica.
Il Mercato di Brescia è interessato da un importante processo di ristrutturazione
che passerà attraverso una fase di ampliamento, prevista nel 2007 per ulteriori 35
mila mq per spazio espositivo e logistico (parcheggi e movimentazione), ed una
successiva riorganizzazione delle attività, con l’aggiunta di una nuova area di
commercializzazione dedicata alla carne ed al pesce. Questa diversificazione
199
avvicina di fatto il mercato di Brescia ad un’idea più moderna e efficace di
mercato agroalimentare.
In prospettiva, Brescia Mercati intende valutare le possibili ripercussioni sul
mercato della crescita dei servizi Cargo presso il vicino aeroporto di Montichiari,
come noto particolarmente dinamico su questo fronte. Il cargo aereo dei deperibili
è in forte crescita, soprattutto per i prodotti di controstagione (asparago, fagiolini,
ecc. oltre ai fiori naturalmente) e la possibilità di far gravitare le merci in arrivo
nell’area del mercato, almeno per le successive fasi commerciali del
condizionamento, lavorazione e confezionamento, è certamente una valida attività
da percorrere.
Tabella 5.5 – Mercato ortofrutticolo di Brescia
Ente gestore:
Consorzio Brescia Mercati SpA
Soci:
77% pubblico (42% Comune di Brescia, 22% CCIAA, 12% Provincia di
Brescia), 16% grossisti del mercato, 17% privati (coop facchini, produttori,
confederazioni agricole)
totale: 64 mila metri quadrati
coperta: 33 mila metri quadrati (di cui 12 mila mq di celle frigo e 11.500 di
superficie espositiva)
È presente (ma in via di trasferimento) un mercato floricolo operante su
circa 3 mila mq di superficie
Previsto nel 2007 per ulteriori 35 mila mq, per spazio espositivo e logistico,
con l’aggiunta di una nuova area di commercializzazione dedicata alla
carne ed al pesce
140 mila tonnellate annue di prodotto ortofrutticolo commercializzato, per
circa 250 milioni di euro di fatturato
112 conferenti, di cui: 26 grossisti e 96 produttori diretti (fra questi, 10 di
etnia cinese e pakistana, di varia provenienza nazionale)
1.778 imprese acquirenti registrate (di cui: 127 grossisti esterni o gdo, 362
ambulanti, 914 dettaglianti, 375 Ho.Re.Ca.)
695, di cui : 220 Soci coop facchini, 270 addetti grossisti, 200 addetti
produttori, 5 addetti in direzione mercato
Mattina: dal lunedì al sabato dalle 3,30 alle 11,00
Pomeriggio: lunedì, mercoledì, venerdì, dalle 15,30 alle 17,00
Dal Lunedì al Sabato dalle 9,00 alle 11,00
Superficie mercato
Altre attività grossiste
Ampliamento
Attività
Operatori
Acquirenti
Addetti
Orari contrattazioni
Vendita al pubblico
Fonte: elaborazioni su interviste dirette e informazioni ufficiali
5.3.3. Il mercato ortofrutticolo di Bergamo
Il mercato ortofrutticolo di Bergamo è gestito dal 1997 da Bergamo Mercati,
Società per Azioni nata dalla partecipazione del Comune di Bergamo e degli
operatori privati grossisti, cooperative e produttori ortofrutticoli.
Il Mercato di Bergamo serve un bacino pari alla provincia orobica (ca 1
milione di abitanti) più le fasce di confine delle province limitrofe. La struttura è
stata inaugurata nel 1973, e, nonostante alcuni interventi di adeguamento operati
da Bergamo Mercati in questi ultimi anni, non presenta spazi e funzioni all’altezza
delle richieste della moderna logistica e lavorazione della merce. Alcuni
concessionari di punti vendita nel mercato forniscono comunque la distribuzione
organizzata grazie a strutture proprie localizzate altrove. La provincia bergamasca
è rinomata per la qualità delle sue insalate, prodotto sul quale si sono andate via
via concentrando le aziende agricole del territorio, probabilmente anche a motivo
dell’influenza esercitata dalla rapida crescita di Ortobell, oggi acquisito da
200
Bonduelle. All’Ortomercato è presente una azienda produttrice di quarta gamma e
numerose aziende orticole di dimensione famigliare che offrono il prodotto fresco.
Il Mercato Ortofrutticolo sta incrementando l'offerta di servizi innovativi quali
l'informatizzazione dell'intero ciclo commerciale, il riciclo degli imballaggi, lo
smaltimento dei rifiuti, la stipula di convenzioni miranti ad un generale risparmio
dei costi e lo sviluppo di attività di formazione ed informazione. I clienti del
Mercato Ortofrutticolo provengono prevalentemente dalla provincia di Bergamo,
ma ne giungono anche dal resto della Lombardia e da fuori regione; la
maggioranza degli acquirenti è costituita da dettaglianti specializzati, ma vi è pure
una buona rappresentanza di ambulanti, ristoranti, grossisti, fioristi, comunità e
supermercati.
Esiste l’intenzione di realizzare un centro agroalimentare di moderna
concezione: è stato realizzato uno studio di fattibilità individuando le funzioni
necessarie ed è stata individuata una possibile localizzazione, ma attualmente
sono ancora nelle prime fasi ricognitive.
Il mercato di Bergamo individua nella difficoltà di reperimento delle risorse
finanziarie il “principale” ostacolo per l’avvio della riorganizzazione della
struttura ed anzi considera un forte limite la condizione dei 2/3 almeno di capitale
pubblico nel controllo dell’ente gestore, così come recita la legge regionale
lombarda. A Bergamo si pensa che possano essere i privati a finanziare un nuovo
mercato agroalimentare e si considera che questo ruolo debba essere rispecchiato
nelle quote di controllo dell’ente gestore. È certamente un’idea importante anche
se, come ovvio, a fronte di buone idee progettuali e soprattutto di processi di
riorganizzazione ben definiti e validi, nonché coerenti a livello regionale,
potrebbero entrare nella quota pubblica anche altri soggetti oltre al Comune di
Bergamo. Un tema certamente da approfondire, sia a livello locale che regionale.
Tabella 5.6 – Mercato ortofrutticolo di Bergamo
Ente gestore:
Bergamo Mercati SpA
Soci:
67% pubblico (Comune di Bergamo), 33% privati (grossisti 20%, produttori
orticoli 10,5%, confederazioni agricole e del commercio)
45 mila metri quadrati
Sono presenti tre operatori florovivaisti
130 mila tonnellate annue di prodotto ortofrutticolo commercializzato, per
circa 200 milioni di euro di fatturato
19 grossisti e 75 produttori diretti
1.123 imprese acquirenti registrate (di cui: 719 dettaglianti, 191 ristoratori,
112 Ho.Re.Ca., 67 grossisti, 34 comunità), per il 77% provenienti dalla
provincia di Bergamo
450
Mattina: dal lunedì al sabato dalle 6,00 (5,30 in estate) alle 11,15
Pomeriggio: lunedì, mercoledì, venerdì, dalle 15,00 alle 17,15
Dal Lunedì al Sabato dalle 9,15 alle 11,15
Superficie
Altre attività grossiste
Attività
Operatori
Acquirenti
Addetti
Orari contrattazioni
Vendita al pubblico
Fonte: elaborazioni su interviste dirette e informazioni ufficiali
201
5.4. Considerazioni finali
I mercati grossisti agroalimentari registrano forti difficoltà, sia sul piano
commerciale (posizionamento competitivo) sia sul piano gestionale. I principali
mercati lombardi di Milano, Bergamo e Brescia rispecchiano questa tendenza
nazionale, così come abbiamo argomentato nelle pagine precedenti.
Il recupero del ritardo avviato in Italia con il Piano Mercati e con singole
iniziative riorganizzative locali, non ha contribuito in modo significativo ad
un’inversione di rotta. Il settore dei mercati non è riuscito ad affrontare con
soluzioni innovative e concrete le quattro sfide centrali imposte loro dal profondo
processo di riorganizzazione commerciale e distributiva a livello globale.
-
-
-
-
La sfida logistica I grandi mercati sarebbero dovuti diventare un vero e
proprio “polo logistico agroalimentare”, piattaforma di raccolta e di
rilancio della merce, integrato alle diverse modalità di trasporto e capace
di ospitare piattaforme di stoccaggio, lavorazione e preparazione degli
ordini, attente alla gestione della catena del freddo;
la sfida commerciale La crescita della distribuzione moderna, dei nuovi
canali di vendita (Ho.Re.Ca), l’evoluzione delle imprese agroalimentari di
commercializzazione (sempre più l’anello centrale di regolazione dei
rapporti tra le filiere a monte ed i clienti a valle), avrebbero dovuto
obbligare i mercati ad un ripensamento del loro ruolo lungo i canali di
commercializzazione, avviando partnership con i nuovi soggetti
commerciali disposti a localizzare alcune loro attività dentro i mercati
stessi, oppure rispondendo alle nuove e più pressanti richieste di questi
nuovi clienti commerciali in termini di gamma, normalizzazione delle
produzioni, maggiori volumi offerti;
la sfida informatica A tutt’oggi, anno 2007, è ancora troppo limitata la
capacità dei mercati di “mettersi in rete”, di creare un vero e proprio
network operativo, in grado di lavorare su standard informativi realmente
operativi, sulla trasparenza del prezzo e sulla sua comparazione nazionale
e internazionale, basata su prodotti realmente comparabili, omogenei e con
caratteristiche qualitative e commerciali normalizzate. Sarebbero questi i
risultati concreti e operativi di una reale attivazione dell’informatizzazione
dei mercati, capace di renderli una struttura realmente integrata nei
moderni canali di commercializzazione e di distribuzione;
la sfida gestionale. Abbiamo ricordato nelle pagine precedenti che nei
casi di successo europei è stato fondamentale il ruolo del sistema pubblico
che, con nuove regolamentazioni e con l’assegnazione di nuove funzioni,
ha creato il contesto necessario per la trasformazione del sistema
annonario. La holding di Stato spagnola Mercasa ha coordinato i 22
mercati nazionali ed ha accompagnato Mercabarna nella sua esplosione di
crescita quantitativa e qualitativa, mentre la legge francese ha costituito la
rete dei mercati di interesse nazionale ed ha creato Rungis, il più grande
polo agroalimentare del Mondo. Il confronto con l’Italia può apparire
202
ingeneroso ma è bene ricordare che per nuove regolamentazioni e per
l’impegno del sistema pubblico non è mai troppo tardi.
Per rispondere alle sfide commerciali i mercati debbono “cambiare pelle” e spesso
in questi casi le condizioni del cambiamento sono create dalle revisioni legislative
e regolamentative Coerentemente agli obiettivi di questo lavoro, proponiamo di
ragionare intorno alle seguenti possibili azioni concrete da intraprendere su questo
fronte:
-
-
-
rafforzamento del ruolo e del peso delle società di gestione dei mercati
agroalimentari, attraverso il ridisegno dei loro compiti e delle loro
funzioni, nonché di un significativo aumento di capitale sociale;
un aumento di capitale, che potrebbe avvenire attraverso una maggiore
apertura al capitale privato nelle società di gestione, pur mantenendo la
maggioranza assoluta in mano al sistema pubblico;
una maggiore diversificazione del capitale pubblico, attualmente quasi
totale appannaggio dei Comuni;
una ridefinizione dei ruoli dei mercati agroalimentari, rafforzando la
distinzione nei compiti fra questi e le rispettive società di gestione.
In altre parole, l’ente gestore dovrebbe occuparsi di gestire attività commerciali e
strategiche (rapporti con la gdo, logistica, informatica, reti di trasporto, Ho.Re.Ca,
ecc.) ben più ampie della “semplice” attività annonaria. Questo sarà
particolarmente vero nei grandi mercati come Milano ma avrà implicazioni
concrete anche per altri tipi di mercato, come Brescia e Bergamo.
Queste considerazioni portano con sé alcune implicazioni concrete dal punto di
vista giuridico, come ad esempio la revisione totale del ruolo e dei compiti della
cosiddetta “commissione di mercato” (art.10 della legge regionale lombarda
n°12/1975) oltreché del regolamento dei mercati (art. 11).
La maggiore capacità operativa che qui auspichiamo per le società di gestione dei
mercati lombardi, ancorché importante, rappresenta comunque una condizione
necessaria ma non sufficiente per l’avvio del rilancio del ruolo e del peso dei
mercati agroalimentari. Ma è una scelta probabilmente non più rinviabile.
203
Capitolo 6
Aspetti di politica commerciale dell’ingrosso
6.1. Tendenze evolutive della normativa statale in materia di
commercio all’ingrosso
Prima di effettuare una analisi comparata delle politiche regionali sull’ingrosso, si
è ritenuto opportuno delineare un quadro dell’evoluzione della normativa statale
in questo campo.
L’analisi ha preso le mosse dal Regio decreto legge 16 dicembre 1926, n. 2174,
allorché dopo oltre 50 anni dalla costituzione dello Stato unitario in cui il
commercio nelle sue molteplici forme non aveva conosciuto alcuna barriera
all’ingresso, in un quadro istituzionale autoritario e corporativo quale era il regime
fascista si introduce per la prima volta l’istituto della licenza di commercio per
operare sul mercato “per la vendita al pubblico di merci sia all’ingrosso che al
minuto”. A questo scopo deve essere presentata domanda al Comune, presso il
quale viene istituita apposita commissione,formata, oltre che da un rappresentante
del Podestà, da due rappresentanti dei commercianti e da due rappresentanti delle
associazioni sindacali dei lavoratori. Spetta a questa commissione valutare se il
richiedente sia in possesso dei requisiti previsti dalla vigente legge di Pubblica
Sicurezza e di valutare se “il numero degli spacci già esistenti sia sufficiente alle
esigenze del comune, tenuto conto dello sviluppo edilizio, della densità della
popolazione, della ubicazione dei mercati rionali”. Risulta evidente da tali
indicazioni che la preoccupazione era quella di evitare una eccessiva
proliferazione delle attività commerciali, in quanto si riteneva che ciò avrebbe
comportato una lievitazione dei prezzi praticati alla vendita.
In tema di prezzi viene poi “data facoltà ai Comuni di fissare, previo accordi
con le Camere di Commercio e con le organizzazioni sindacali interessate, i prezzi
di vendita al minuto dei principali generi alimentari” e si fa “obbligo ai rivenditori
di tenere esposti nelle vetrine o all’ingresso dei negozi, in modo che tutti possano
vederli e leggerli, appositi cartellini portanti i prezzi di vendita al minuto delle
singole merci”. Si stabilisce infine che la licenza di esercizio possa essere tolta
qualora “il commerciante venda i generi alimentari ad un prezzo superiore a
quello indicato nei cartellini”. Si tratta evidentemente di un tipo di intervento
autoritario e vincolistico sul mercato proprio di un regime istituzionale che non ha
alcuna fiducia sui meccanismi concorrenziali propri del mercato.
Tale quadro normativo viene poi completato, per quanto attiene al settore del
commercio al dettaglio, con l’emanazione del Regio Decreto legge 21 luglio
1938, n. 1468, il quale disciplina l’istituzione dei cosiddetti “magazzini a prezzo
unico” ( del tipo Standa e Upim”), la cui competenza a rilasciare la licenza viene
affidata, data la dimensione di questi esercizi e la loro area di attrazione
commerciale, al Prefetto, previo parere della Giunta della Camera di Commercio.
Questa disciplina normativa rimane in vigore fino al 1971, salvo alcune
correzioni formali con la legge 12 luglio 1950, n. 591 ed una circolare
interpretativa ministeriale del 1957(n. 1193/C) che estende ai supermercati
l’ambito di operatività della disciplina dei magazzini a prezzo unico.
Anche se la disciplina formalmente non cambia nel nuovo regime democratico
instauratosi dopo il 1945, dopo tale data scompare la fissazione di imperio dei
prezzi al dettaglio dei generi alimentari, mentre perdura la prassi amministrativa
delle licenze rilasciate dai Sindaci, previa acquisizione del parere delle
commissioni di carattere corporativo.
E’ soltanto con la legge 11 giugno 1971, n. 426 che viene formulata una nuova
“disciplina del commercio”, con la quale mentre permane l’istituto
dell’autorizzazione preventiva alla vendita per il settore del commercio al
dettaglio, il settore del commercio all’ingrosso viene invece liberalizzato. Con
l’art. 1 di tale legge viene comunque istituito presso le Camere di Commercio il
“registro degli esercenti il commercio all’ingrosso, il commercio al minuto, nelle
varie forme in uso, e l’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e
bevande…”. Per quanto riguarda il comparto dell’ingrosso si definisce che
esercita l’attività di commercio all’ingrosso “chiunque professionalmente acquista
merci a nome e per conto proprio e le rivende o ad altri commercianti, grossisti o
dettaglianti, o ad utilizzatori professionali, o ad altri utilizzatori in grande” e si
precisa che “tale attività può assumere la forma di commercio interno, di
importazione o di esportazione”.
Per i requisiti professionali validi ai fini dell’iscrizione in tale registro (detto
comunemente REC) viene richiesto di dimostrare di:
-
-
-
“aver superato presso apposita commissione costituita presso la camera di
commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia nel cui
ambito il richiedente intende svolgere la propria attività, un esame di
idoneità nell’esercizio del commercio dei prodotti per i quali si richiede la
iscrizione, indicando il settore e la specializzazione merceologica;
oppure aver esercitato in proprio, per almeno due anni, l’attività di vendita
all’ingrosso o al minuto o aver prestato la propria opera, per almeno due
anni, presso imprese esercenti tali attività, in qualità di dipendente
qualificato addetto alla vendita o alla somministrazione, o, se trattasi di
coniuge o parente entro il terzo grado dell’imprenditore, in qualità di
coadiutore…;
oppure aver frequentato con esito positivo un corso professionale per il
commercio, istituito o riconosciuto dallo Stato”.
Il requisito di cui al punto a) era in ogni caso richiesto per coloro che
intendevano esercitare il commercio dei prodotti alimentari, soggetti ad
206
operazioni preliminari di lavorazione e di trasformazione, come è il caso di
svolgimento della funzione grossista.
Si desume chiaramente da questi elementi che obiettivo del legislatore è in questo
caso la creazione di un “filtro” per l’accesso al mercato, costituito non più da
un’autorizzazione preventiva all’esercizio dell’attività, ma dalla prova di aver
conseguito un determinato livello di qualificazione nel settore, sia derivante da
precedenti esperienze lavorative sia per il tramite di un corso di formazione
professionale.
Questa disciplina amministrativa resta in vigore fino all’emanazione del D.Lgs.
31 marzo 1998, n. 114 (il cosiddetto primo “decreto Bersani”), con il quale si
abolisce il Registro Esercenti il Commercio ed il requisito di professionalità
ottenuto tramite precedenti esperienze lavorative o tramite la frequenza di appositi
corsi professionali istituiti o riconosciuti dalle Regioni viene conservato solo per
gli operatori del commercio del settore alimentare, sia all’ingrosso che al dettaglio
(vedi art. 5, comma 11). Resta inoltre valido per ambedue i comparti dell’ingrosso
e del dettaglio il possesso dei requisiti morali (quali il non essere stati dichiarati
falliti e le altre cause ostative di ordine penale indicate all’art. 5, comma 2, del
medesimo decreto).
Nell’ambito del commercio all’ingrosso una normativa specifica era stata
dettata per il settore dei mercati all’ingrosso.
Già negli anni ’30 erano state emanate norme specifiche per i mercati
all’ingrosso del pesce, prevedendo anche in questo caso l’istituzione di una
commissione di mercato per vigilare sul funzionamento di queste strutture (vedi
legge 20 giugno 1935, n. 1279) e più ampiamente con la disciplina della vendita
all’ingrosso dei prodotti della pesca, prevista in forma esclusiva all’interno dei
mercati all’ingrosso del pesce ove tali mercati venivano organizzati dai Comuni e
la previsione di un regolamento deliberato dal Consiglio comunale per il
funzionamento di tali impianti (vedi legge 12 luglio 1938, n. 1487).
E’ comunque con legge 25 marzo 1959, n. 125 che viene dettata una normativa
più organica sul commercio all’ingrosso dei prodotti ortofrutticoli, delle carni e
dei prodotti ittici.
Con tale legge si dispone che il commercio all’ingrosso dei prodotti
ortofrutticoli, delle carni e dei prodotti ittici possa svolgersi sia nell’ambito dei
rispettivi mercati, sia fuori dei mercati medesimi, salvo l’osservanza delle
disposizioni sanitarie vigenti in materia di vigilanza e controllo delle sostanze
alimentari.
Viene inoltre istituito presso le Camere di Commercio un apposito albo per
coloro che intendono esercitare il commercio all’ingrosso dei prodotti
ortofrutticoli, delle carni e dei prodotti ittici (albo che verrà abolito soltanto a
seguito dell’emanazione del D.Lgs. 114/1998 – art. 5, comma 11).
Si stabilisce poi che l’iniziativa per l’istituzione di detti mercati può essere
assunta dai Comuni, dalle Camere di Commercio, da enti e consorzi aventi
personalità giuridica, costituiti dagli operatori economici nei settori della
produzione, del commercio e della lavorazione dei prodotti stessi. Per i mercati
istituiti per iniziativa di Comuni o Camere di commercio è comunque prevista la
207
facoltà o di gestirli direttamente o di affidarne, tramite apposita convenzione,
costruzione e gestione agli enti e consorzi di operatori economici di cui sopra.
Viene infine previsto che presso ogni mercato all’ingrosso venga istituita
un’apposita commissione di mercato, avente il compito tra l’altro di stabilire il
numero di posteggi nell’ambito delle disponibilità degli impianti e altre attività di
vigilanza sul buon funzionamento di queste strutture. Per l’adozione di tali
regolamenti di mercato il Ministero dell’Industria e Commercio si riserva poi di
emanare appositi Regolamenti tipo, ai quali devono uniformarsi i regolamenti di
ciascun mercato. Tali Regolamenti tipo vengono poi emanati con decreti
ministeriali nel successivo mese di giugno ( per il settore delle carni e per il
settore dei prodotti ittici), mentre occorrerà attendere l’aprile 1970 per quello
relativo ai prodotti ortofrutticoli.
Trattasi di Regolamenti tipo che forniscono una disciplina minuziosa dei vari
aspetti della gestione di un mercato, con la dettagliata descrizione delle varie
funzioni della commissione di mercato, del direttore di mercato, delle rilevazioni
statistiche di quantità movimentate e prezzi, della gestione dei vari servizi, delle
figure professionali ammesse ad operare nei mercati in qualità di venditori, di
compratori, commissionari, mandatari ed astatori, dell’assegnazione dei posteggi
e della revoca degli stessi, ecc., lasciando ai Consigli comunali che devono
approvare tali regolamenti di mercato ben poca autonomia decisionale.
Tale normativa specifica per i mercati all’ingrosso resta vigente fino al
trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali
in materia di fiere e mercati, avvenuto con D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 7 o meglio
fino a quando le Regioni non avranno legiferato in materia. Anche in questo caso,
comunque, dalla legge n.125/1959 le Regioni dovranno desumere principi ed
indirizzi ai quali ispirarsi nella stesura dei propri provvedimenti.
6.2. La normativa della Regione Lombardia in materia di mercati
all’ingrosso, anche in rapporto ad altre normative regionali
La Regione Lombardia è stata tra le prime Regioni in Italia a dotarsi fin dagli anni
’70 di una organica normativa quadro in materia di mercati all’ingrosso.
La L.R. 22 gennaio 1975, n. 12, attualmente ancora in vigore, presenta infatti
caratteri di organicità e completezza. Vengono infatti ripresi in questo testo sia i
principi e gli indirizzi contenuti nella legge n. 125/1959, sia le norme di dettaglio
contenute nei vari regolamenti – tipo.
I principali aspetti innovatori contenuti nella legge lombarda riguardano da un
lato l’introduzione di un piano regionale di sviluppo dei mercati all’ingrosso e
dall’altro alcune novità introdotte in materia di istituzione e gestione dei mercati.
L’art. 2 della legge regionale prevede infatti che “al fine di favorire un corretto
raccordo tra produzione e distribuzione, una razionale localizzazione e
un’adeguata dimensione e organizzazione dei mercati, in rapporto alle esigenze
delle comunità locali”, la Regione elabori un piano regionale di sviluppo dei
208
mercati all’ingrosso. Detto piano, avente una validità di cinque anni, deve in
particolare definire “le ipotesi di insediamento dei mercati e le relative aree di
influenza; proporre un’adeguata articolazione degli standard degli impianti;
avanzare ipotesi di specializzazione merceologica dei mercati stessi”.
Successivamente, con l’art. 40 della L.R. 21 agosto 1981, n. 50, viene inoltre
previsto che in conformità con gli indirizzi di questo piano e per favorire
l’istituzione di nuovi mercati o l’ampliamento ed ammodernamento di quelli
esistenti, la Regione possa “concedere contributi a comuni, comunità montane,
consorzi di comuni associati tra loro o con le province, nonché a società e a enti
con una partecipazione di capitale di enti locali territoriali pari ad almeno 2/3 del
capitale sociale”.
Per quanto attiene al piano regionale ne verrà però approvata una sola versione,
con il titolo di “Indicazioni programmatiche per lo sviluppo e la ristrutturazione
dei mercati all’ingrosso” (Deliberazione del Consiglio regionale del 22 aprile
1980, n. II/1551). Dall’analisi economica e statistica effettuata in tale occasione
emerge la presenza in Lombardia di n. 13 mercati ortofrutticoli (Milano,
Bergamo, Brescia, Cremona, Monza, Treviglio, Crema, Pavia, Varese, Voghera,
Lodi, Como e Mantova) e la presenza a Milano di un mercato all’ingrosso della
carne, un mercato del pesce, un mercato dei fiori e un mercato avicunicolo
(pollame, conigli, selvaggina). L’osservazione che emerge immediatamente è che
“mentre per il settore ortofrutticolo è presente una pluralità di strutture mercantili,
per le altre specializzazioni si manifesta una concentrazione nell’area milanese e
rimane scoperto il restante territorio della regione”. Anche le conclusioni di questa
analisi sono impietose: “In pratica se si escludono i due mercati di Milano e di
Bergamo, dove peraltro alcuni interventi di razionalizzazione e di migliore
utilizzazione appaiono ugualmente necessari, per la generalità di tutti gli altri
mercati non può non esprimersi una valutazione sostanzialmente negativa sotto il
profilo della funzionalità e dell’efficienza…”.
L’altro aspetto innovatore della L.R. n. 12/1975, oltre al trasferimento della
competenza dal Ministero Industria e Commercio alla Regione ai fini
dell’autorizzazione all’istituzione di nuovi mercati e all’ampliamento di mercati
esistenti, nonché ai fini di tutti gli ammodernamenti che comportino l’utilizzo di
nuove superfici, è l’allargamento degli enti abilitati a richiedere tale
autorizzazione. L’art. 4 della L.R. n. 12/1975 prevede infatti che l’iniziativa possa
essere assunta oltre che dai Comuni, “dalle Comunità montane, da Consorzi
costituiti fra Enti locali territoriali, da Consorzi, Società e altre forme associative
costituite fra Enti locali territoriali e altri Enti od operatori pubblici e privati, con
l’intervento maggioritario di almeno due terzi del capitale degli Enti locali
territoriali e Comunità montane”.
Per quanto attiene alla gestione di questi impianti la L.R. n. 12/1975 dispone
che essa possa essere affidata a Comuni, Comunità montane o a Consorzi fra Enti
locali territoriali, i quali potranno gestirli direttamente in economia ovvero
mediante aziende speciali. Viene inoltre previsto che la gestione possa essere
affidata a Consorzi, Società o altre forme associative costituite tra Enti locali
territoriali e altri Enti ed operatori pubblici e privati, con l’intervento
209
maggioritario di almeno due terzi del capitale in partecipazione degli Enti locali
territoriali.
Traspare evidente da queste norme che sia l’iniziativa per l’istituzione di nuovi
mercati all’ingrosso, sia la gestione venga assicurata dagli Enti locali territoriali
(Comuni, Comunità montane e Province), che dovranno comunque possedere i
2/3 del capitale sociale.
Successivamente, a seguito dell’emanazione della legge 28 febbraio 1986, n.
41 relativa al piano nazionale dei mercati agro-alimentari e delle direttive
contenute nella deliberazione del C.I.P.E. 14 ottobre 1986, la Regione Lombardia,
con L.R. 14 dicembre 1987, n. 37, definisce le modalità di partecipazione alle
società consortili per la realizzazione dei mercati agro - alimentari all’ingrosso.
Il requisito base che viene posto è precisato all’art. 1, comma 2, della legge, in
cui si afferma che nella composizione del capitale delle società consortili “deve
essere assicurata la partecipazione maggioritaria congiunta della Regione, del
Comune e della Camera di Commercio competenti per territorio nonché la
partecipazione minoritaria di altri Enti pubblici, di istituti di credito, di privati
interessati anche attraverso loro Società od associazioni di categoria
specificamente rappresentative del settore”.
Si tratta di un temperamento delle posizioni di tutela del controllo pubblico
affermate con la L.R. n. 12/1975, in quanto tale legge prevedeva (vedi art. 4) sia ai
fini dell’istituzione che ai fini della gestione dei mercati all’ingrosso “l’intervento
maggioritario di almeno due terzi del capitale degli Enti locali territoriali e
Comunità montane”. In questo caso la partecipazione maggioritaria scende al
50,1% del capitale, con l’inclusione di un Ente pubblico non territoriale, ma
economico, quale la Camera di Commercio.
Peraltro la partecipazione della Regione Lombardia alle società consortili viene
subordinata alla realizzazione di una serie di condizioni, che dovranno essere
recepite all’interno degli statuti e degli atti costitutivi delle società consortili
medesime:
a) la realizzazione da parte della società consortile di iniziative coerenti con
le indicazioni e gli obiettivi della programmazione regionale;
b) la riserva a favore della Regione del diritto di opposizione, in caso di
aumenti del capitale sociale;
c) i vincoli sul trasferimento delle quote di partecipazione che garantiscano in
ogni caso il permanere della quota maggioritaria della Regione, del
Comune e della Camera di Commercio;
d) l’economia della gestione;
e) il collegio dei revisori dei conti;
f) i rappresentanti della Regione e del Comune nel Consiglio di
amministrazione e nel Collegio sindacale siano nominati ai sensi dell’art.
2458 del Codice civile e che, ai sensi dell’art. 2460 del Codice civile, sia
tra essi eletto il Presidente del Collegio sindacale;
g) che, nel Consiglio di amministrazione e nell’eventuale comitato esecutivo,
ai rappresentanti previsti dalla Regione, dal Comune e dalla Camera di
Commercio sia garantita congiuntamente una posizione di maggioranza.
210
Nel caso poi di mercati dichiarati d’interesse nazionale viene stabilito (vedi art. 3
della L.R. n. 37/1987) che la partecipazione della Regione al capitale sociale non
possa superare il 15%. Inoltre viene affermato chiaramente che la partecipazione
della Regione al capitale sociale si mantiene fino a che non sia esaurita la fase di
costruzione e sia avviata quella di gestione.
Intendimento della Regione Lombardia è pertanto quello di fornire un
contributo iniziale al decollo delle strutture mercantili inserite nel Piano nazionale
di cui alla legge n. 41/1986, per poi uscire gradualmente dalle Società consortili
preposte alla gestione.
La marginalità del sostegno assicurato dalla Regione Lombardia alla
costituzione delle società consortili è peraltro chiaramente evidenziata dalla
somma stanziata per l’esercizio 1987 dalla stessa L.R. n. 37/1987: appena 100
milioni di lire.
Se si pone a confronto tale impegno di spesa con quello assunto in tale
circostanza dalla Regione Marche con L.R. n. 67/1997 pari a 500 milioni all’anno
per il triennio 1997-1999 si ricava chiaramente una indicazione del diverso
impegno finanziario dispiegato dalle due Regioni nell’attuazione del Piano
mercati. In effetti con la realizzazione del Centro agro - alimentare di San
Benedetto del Tronto la Regione Marche sarà una delle prime Regioni a
concorrere all’attuazione del Piano mercati di cui alla legge n. 41/1986.
Nel caso della Lombardia le difficoltà incontrate nella costituzione delle
società consortile per il Centro Agroalimentare di Milano e la mancata
presentazione del progetto di ristrutturazione dell’Ortomercato di Milano
peseranno negativamente sul successo della stessa operazione del Piano nazionale
per i mercati all’ingrosso, in quanto verrà meno l’occasione per realizzare il più
importante “mercato d’interesse nazionale”, seguendo l’esempio delle esperienze
attuate in Francia.
E’ vero che ciò non ha impedito che attorno ad Ortomercato si creassero, con il
solo concorso degli Enti pubblici locali, una serie di moderne ed innovative
strutture mercantili specializzate (quali il mercato ittico, il mercato delle carni, il
mercato avicunicolo e il mercato dei fiori), per cui oggi la società di gestione (la
SO.GE.MI. S.p.A.) può giustamente affermare che i Mercati Agroalimentari
all’ingrosso di Milano costituiscono una delle maggiori realtà a livello europeo e
che ciascuno dei mercati specializzati è il mercato leader nazionale nell’ambito
del proprio comparto merceologico.
Il non aver colto l’occasione per inserire l’ammodernamento del più grande
mercato ortofrutticolo d’Italia all’interno dell’operazione immobiliare promossa
dal Piano mercati di cui alla legge n. 41/1986 rappresenta comunque un’occasione
mancata.
L’analisi comparata della normativa della Regione Lombardia con quelle di
altre Regioni pone in evidenza una serie di lacune o meglio di problematiche non
affrontate nella normativa lombarda.
Un confronto con la L.R. 30 ottobre 1979, n. 62 della Regione Piemonte
evidenzia immediatamente come preoccupazione di questa normativa sia in primo
luogo di fornire una definizione di “mercati all’ingrosso” e di individuarne la loro
funzione.
211
Afferma l’art. 1 della L.R. n. 62/1979 che per
“mercati all’ingrosso si intendono le aree – comunque attrezzate ed organizzate
– nelle quali più operatori alle vendite, anche per limitati periodi stagionali, si
incontrano abitualmente con più operatori agli acquisti ed a questi pongono in
vendita, vendono o trasferiscono a qualunque titolo le merci…”.
Tra queste merci vengono indicati i prodotti alimentari freschi, conservati o
trasformati, comprese le bevande, nonché i prodotti della caccia, della pesca e
degli allevamenti, il bestiame, i foraggi e mangimi, i fiori, le piante ornamentali e
le sementi. Viene pure fornita una definizione di “mercati alla produzione”, quali
“mercati all’ingrosso, situati in aree caratterizzate dalle attività produttive, nei
quali l’offerta viene esclusivamente o prevalentemente effettuata dai produttori
senza intermediazione”.
Quanto alla funzione dei mercati all’ingrosso l’art. 2 della medesima legge
regionale s’incarica di affermare che la loro preminente e permanente funzione è
quella di “sviluppare e sostenere le attività commerciali atte a soddisfare le
esigenze delle collettività e a tutelarne gli interessi”. Pertanto gli enti istitutori e
gestori dei mercati all’ingrosso
“hanno la funzione, coinvolgendo e responsabilizzando tutte le categorie
interessate, di
a) concorrere ad una attenta e rigorosa difesa della salute;
b) contribuire all’orientamento e alla razionalizzazione delle produzione e
dei consumi;
c) migliorare le tecniche di approvvigionamento e concorrere
all’eliminazione di situazioni e cause che determinano l’ingiustificato
aumento di costi e di prezzi;
d) promuovere l’associazionismo nei settori direttamente interessati
all’attività dei mercati secondo fini e con metodi di valido contenuto
economico – sociale;
e) realizzare il miglior rendimento ed il migliore utilizzo delle strutture,
delle attrezzature e dei servizi, assicurando la funzionalità di uffici e
servizi ed ogni possibile snellimento burocratico, affinché gli operatori
siano indotti a preferire i mercati ad altre sedi di attività;
f) favorire il rapporto diretto fra produzione e distribuzione al consumo;
g) favorire, ove opportuno, la concentrazione nei mercati di vari prodotti
di diversi settori merceologici, anche in comparti separati e con
apposite strutture, agevolando la realizzazione di veri e propri mercati
generali”.
Un’altra differenza che si riscontra tra la legge del Piemonte e quella della
Lombardia (che peraltro sono state emanate a poca distanza di tempo l’una
dall’altra) è data dalla natura del Piano regionale di sviluppo dei mercati
all’ingrosso: nel caso lombardo si tratta di un piano di settore autonomo, che deve
essere elaborato in conformità con gli indirizzi del piano economico e territoriale
regionale. Nel caso piemontese invece il piano di settore dei mercati all’ingrosso fa
parte integrante del Piano Regionale di Sviluppo, consentendo in questo modo che
212
esso venga attuato “tramite gli interventi previsti nel programma pluriennale di
attività e di spesa e nel relativo bilancio pluriennale e annuale di
previsione…”(vedi art. 3).
Di notevole interesse è poi la normativa relativa alle aree complementari dei
mercati all’ingrosso. L’art. 8 della L.R. n. 62/1979 prevede infatti che
“il Comune può destinare aree contigue o prossime al mercato per
l’insediamento di aziende pubbliche o private che svolgono attività complementari
a quelle del mercato stesso…”
In tali aree viene previsto che
“si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni della presente legge...”
Un’altra indicazione di principio non presente nella normativa lombarda, ma
presente in quella piemontese riguarda la finalità della gestione economica e
finanziaria dei mercati all’ingrosso. A questo proposito l’art. 14 della L.R. n.
62/1979 del Piemonte afferma che obiettivo di tale gestione deve essere
“il raggiungimento del pareggio di bilancio, tenuto conto delle eventuali quote
di ammortamento; in caso di perdita l’ente gestore prevede il perseguimento di tale
obiettivo attraverso il progressivo equilibrio tra entrate e spese”.
Pure la L.R. 30 marzo 1979, n. 20 della Regione Veneto si preoccupa di fornire
una definizione di “mercato all’ingrosso”, definendolo (vedi art. 1)
“il pubblico servizio che collega la produzione al consumo, assicura la vigilanza
sull’osservanza delle norme vigenti in materia di commercializzazione ed igienico–
sanitaria e contribuisce alla libera formazione dei prezzi delle merci”.
La stessa L.R. n. 20/1979 presenta, sempre all’art. 1, una classificazione delle
varie tipologie di mercati all’ingrosso:
a) mercati alla produzione, in cui le merci sono offerte esclusivamente da
produttori singoli o associati;
b) mercati di distribuzione o di transito, in cui gli acquisti sono effettuati
prevalentemente da commercianti all’ingrosso e da commercianti al
dettaglio;
c) mercati al consumo, in cui gli acquisti sono effettuati prevalentemente da
commercianti al dettaglio;
d) mercati a funzione mista, in cui agiscono più categorie di operatori.
La Regione Veneto con la medesima legge si incarica poi di distinguere dai
mercati all’ingrosso altre strutture che tali non sono, quali
-
i magazzini di commercio all’ingrosso;
213
-
i centri di raccolta, conservazione, lavorazione e trasformazione dei
produttori singoli ed associati;
gli stabilimenti delle aziende di trasformazione singole od associate.
Per i magazzini di commercio all’ingrosso situati al di fuori dei mercati
all’ingrosso riconosciuti l’art. 20 della L.R. n. 20/1979 stabilisce che l’esercizio
del commercio all’ingrosso si svolga
“con il rispetto di tutte le norme del regolamento relativo al mercato
all’ingrosso locale ove esista o del mercato del comune capoluogo di provincia o
del comune più vicino, che non attengano al funzionamento interno”.
In particolare dovranno essere rispettate le norme relative
-
-
-
alla vigilanza e al controllo igienico – sanitario e fitopatologico;
al calendario ed orario per le operazioni mercantili;
alla discarica dei rifiuti e ai servizi igienico – sanitari;
alla commercializzazione dei prodotti, alla confezione dei colli e delle
derrate, nonché, relativamente ai mercati delle carni, all’assegnazione di
carni di bassa macellazione e al sequestro per motivi igienico – sanitari;
alla rilevazione dei prezzi e alla compilazione delle statistiche che
dovranno essere trasmesse sistematicamente alla Giunta regionale a cura
del Comune competente;
agli strumenti di pesatura;
ai mezzi di trasporto.
Si tratta, come si può rilevare, di norme alquanto rigide, dettate con
l’intendimento di fare sì che le aziende grossiste collocate all’esterno dei mercati
all’ingrosso operino con gli stessi vincoli di quelle che operano nell’ambito dei
mercati all’ingrosso, che sono indubbiamente soggette a maggiori controlli
predisposti dalla direzione del mercato. Alcune di queste norme sono decisamente
astratte e velleitarie, quali quelle relative al calendario ed orario per le operazioni
mercantili o quelle relative alla rilevazione dei prezzi, per cui restano in pratica
senza una conseguente applicazione.
Anche la Regione Liguria con la L.R. 13 luglio 1998, n. 24 riprende la
classificazione delle tipologie dei mercati adottata dalla Regione Veneto con L.R.
n. 20/1979.
Di particolare interesse per la loro chiarezza nella L.R. n. 24/1998 le norme
relative alla gestione dei mercati. Si afferma infatti che “i mercati sono gestiti dai
soggetti istitutori o affidati in gestione, con apposita convenzione”, la quale
“stabilisce, tra l’altro, l’importo del canone annuo da corrispondere da parte del
soggetto gestore per la gestione della struttura mercantile”. Viene anche chiarito
che “il soggetto istitutore fornisce al gestore la struttura immobiliare ed il
compendio delle attrezzature di mercato. La struttura immobiliare è affidata al
gestore in concessione o in locazione e gli interventi di manutenzione
straordinaria della stessa, compresi quelli di trasformazione e ampliamento, sono,
214
di norma, a carico dell’istitutore”. Anche la Regione Liguria si preoccupa di
affermare che “la gestione del mercato è svolta secondo criteri di efficienza e di
economicità e deve tendere al pareggio del bilancio”. Viene pure precisato che “le
tariffe di mercato sono corrisposte dagli operatori commerciali al soggetto gestore
e devono assicurare la copertura dei costi di gestione nonché dei costi dei servizi a
domanda
collettiva,
dell’ammortamento
tecnico
degli
impianti
elettrotermoidrailici e di telecomunicazione e delle attrezzature di mercato,
nonché degli oneri per la manutenzione ordinaria delle strutture mercantili e dei
costi dei servizi a domanda individuale eventualmente resi”. Si fa infine presente
che “in ogni caso non possono essere imposti o esatti pagamenti che non siano il
corrispettivo di prestazioni effettivamente rese, nel rispetto dei principi di
efficienza ed economicità”.
La legge della Liguria, essendo stata emanata in epoca recente, ha adottato una
impostazione più semplificata rispetto ad altre leggi regionali, in quanto molte
norme di natura regolamentare sono state rinviate ad uno o più regolamenti-tipo
dei mercati all’ingrosso (vedi art.11), approvati dal Consiglio su proposta della
Giunta regionale.
Più aggiornata ed innovativa la classificazione dei mercati all’ingrosso fornita
dalla Regione Emilia Romagna con L.R. 19 gennaio 1998, n. 1, con la quale
vengono abrogate le precedenti normative approvate con L.R. n. 38/1975 e con
L.R. n. 35/1982.
La L.R. n. 1/1998 fornisce una prima distinzione tra mercati all’ingrosso e
mercati all’ingrosso alla produzione (vedi art. 3). Sono considerati mercati
all’ingrosso “le aree e le strutture destinate alla commercializzazione
all’ingrosso…., alla concentrazione, alla conservazione e all’inoltro alle fasi
distributive”. Vengono invece definiti mercati all’ingrosso alla produzione le aree
e le strutture destinate prevalentemente a qualificare, promuovere e
commercializzare le produzioni tipiche locali”. L’aspetto più innovativo è
comunque rappresentato dall’introduzione della definizione di centro agroalimentare. Secondo quanto indicato all’art. 2 “i centri agro – alimentari,
comprensivi di strutture e di aree ad essi preposti, operano quali “centri
polifunzionali integrati” e assumono un ruolo di riferimento centrale nelle fasi
della aggregazione, della selezione, della conservazione e della distribuzione dei
prodotti…”. Interessante l’indicazione degli elementi caratterizzanti un centro
agro – alimentare:
-
l’unitarietà della gestione;
lo svolgimento dell’attività di raccordo fra la produzione e la grande
distribuzione;
la posizione baricentrica rispetto alle vie di commercializzazione ed ai
centri di servizi;
la disponibilità nelle immediate adiacenze di aree idonee all’insediamento
delle attività connesse integrative e funzionali all’esercizio dei centri stessi;
la vocazione merceologica complessa.
215
Viene infine precisato (vedi art. 12) che “nell’ ambito dei mercati all’ingrosso e
dei centri agro – alimentari possono essere istituite sale di contrattazione e borse
merci per la compravendita dei prodotti agro – alimentari in osservanza delle
norme vigenti”.
Anche nella normativa della Regione Toscana (vedi L.R. 21 maggio 1975, n.
46 e L.R. 2 agosto 1983, n. 38) viene introdotto il concetto di centro agro –
alimentare, anche se esso viene definito come “Centro Annonario Polivalente”
(vedi art. 3 L.R. n. 57/1983), il quale costituisce “il principale strumento di
politica annonaria dell’ente locale. Esso è costituito dalle strutture e dai servizi per
la raccolta, conservazione e commercializzazione all’ingrosso dei prodotti…”.
Viene anche precisata la sua funzione, affermando che “ha lo scopo di adeguare le
strutture mercantili all’ingrosso alle attuali esigenze del sistema distributivo, con
l’ampliamento della gamma dei prodotti e dei servizi, l’efficienza e l’economicità
della gestione e una diretta azione di controllo commerciale”, nonché per favorire
“l’azione delle competenti autorità per quanto concerne il controllo igienico –
sanitario con particolare riferimento alla tutela dei consumatori”.
A tale scopo il piano regionale dei mercati all’ingrosso suddivide il territorio in
zone, costituite da più comuni. Per ogni zona viene individuata la tipologia di
struttura prevista (centro alimentare con o senza mercato ittico) e il
dimensionamento di tali strutture (area ortofrutticola, carni, e alimentari vari). Si
tratta, come si desume da questi pochi cenni, di una costruzione teorica ed astratta,
affidata per la sua attuazione alla costituzione di Associazioni intercomunali,
anche queste di non facile realizzazione.
Di notevole interesse la correlazione che viene stabilita tra il piano regionale
dei mercati all’ingrosso e la pianificazione territoriale nella L.R. 7 dicembre 1984,
n. 74 (art. 4) della Regione Lazio.
Il piano regionale dei mercati all’ingrosso, avente validità quinquennale, per
quanto attiene alla localizzazione dei mercati, valuta le previsioni eventualmente
contenute negli strumenti urbanistici, ma una volta approvato il piano regionale, i
Comuni devono procedere agli eventuali adeguamenti ed alle varianti necessarie
per recepire le previsioni del piano regionale e per provvedere alle scelte
definitive delle aree; in mancanza di una iniziativa comunale la Regione provvede
alla nomina di un commissario “ad acta”.
Anche in questo caso il piano regionale deve prevedere una fascia di rispetto
per le attività di commercio all’ingrosso attorno alle strutture del mercato, sentiti
specificatamente i comuni interessati.
La L.R. n. 74/1984 si preoccupa inoltre di un aspetto trascurato da altre
normative regionali, quello della formazione professionale degli addetti al
mercato e degli stessi operatori commerciali (vedi art. 10).
Da segnalare a proposito della normativa della Regione Campania (L.R. 1
aprile 1975, n. 13) la previsione, contenuta peraltro anche in altre leggi regionali
in questo campo, che “l’approvazione dei progetti equivale a dichiarazioni di
pubblica utilità ed indifferibilità ed urgenza delle opere, ai fini delle
espropriazioni ai termini della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e successive
modificazioni ed integrazioni, e tiene luogo di qualunque altra approvazione ed
autorizzazione o licenza prevista da disposizioni legislative o regolamentari”.
216
Inoltre la L.R. n. 13/1975 si preoccupa di istituire (vedi art. 13) un apposito
fondo regionale per la concessione di contributi per
a)
la realizzazione di opere destinate a:
-
-
installazione, potenziamento, completamento degli impianti per la
selezione,
la
conservazione,
la
lavorazione
e
la
commercializzazione dei prodotti;
ampliamento dei posteggi di mercato;
miglioramento dei servizi igienico – sanitari;
b) l’acquisto di attrezzature necessarie agli impianti di selezione,
conservazione, lavorazione e commercializzazione dei prodotti;
c) l’acquisto di mezzi di trasporto.
Tali contributi sono concessi nella misura massima del 40% della spesa necessaria
alla realizzazione delle iniziative.
Da rilevare ancora a proposito di questo fondo regionale l’entità della spesa
prevista, pari a 2 miliardi e 200 milioni di lire per il triennio 1975 – 1978.
Da segnalare infine la previsione nella normativa della Provincia Autonoma di
Trento (L.P. 22 dicembre 1983, n. 46) del concetto di “centro commerciale
all’ingrosso”, definito come “una struttura attrezzata comprendente una pluralità
di esercizi commerciali all’ingrosso, anche appartenenti a settori merceologici
diversi, ubicati nella medesima area ed aventi infrastrutture e servizi in comune.
Nei centri commerciali all’ingrosso di prodotti alimentari possono essere inseriti
anche i mercati all’ingrosso…”.
Da sottolineare poi il fatto che le norme per il commercio all’ingrosso di cui al
titolo VIII costituiscono parte di una organica disciplina di tutte le attività
commerciali.
6.3. Le aree di sovrapposizione tra commercio all’ingrosso e
commercio al dettaglio
Già la legge 11 giugno 1971, n. 426 aveva stabilito il divieto di esercitare
congiuntamente nello stesso punto di vendita le attività di vendita all’ingrosso e al
minuto (vedi art. 1, ultimo comma). Inoltre l’art. 40 della legge n. 426/1971
prevedeva per coloro che alla data di entrata in vigore della stessa legge fossero in
possesso di licenze per la vendita all’ingrosso ed al minuto nello stesso punto di
vendita l’obbligo di ottemperare nell’arco di un triennio ad una separazione fisica
tra le due attività ovvero all’esercizio di una sola di queste attività di vendita.
Della rigidità di questa norma si era ben presto reso conto lo stesso Ministero
Industria e Commercio, che non in sede di Regolamento di esecuzione della legge
n. 426/1971, ma in sede di circolare interpretativa (n. 2261/c dell’8.03.1972)
217
affermava di ritenere che “il divieto in questione non debba sussistere per quei
rami particolari di commercio nei quali, per esigenze tecniche e operative e
secondo un uso costante e generale, la vendita all’ingrosso e quella al minuto si
svolgono nei medesimi locali”. A tale proposito a titolo esemplificativo venivano
indicati il commercio delle ferramenta, degli autoveicoli e accessori, del materiale
edilizio e del materiale elettrico.
Forti di questa interpretazione ministeriale molti Comuni hanno provveduto ad
individuare nei loro piani commerciali una serie di attività per le quali il divieto di
vendita congiunta all’ingrosso e al dettaglio nei medesimi locali non aveva effetto.
La casistica proposta è molto estesa: macchine, attrezzature e articoli tecnici per
l’agricoltura, l’industria, il commercio e l’artigianato; materiale elettrico; colori e
vernici, carte da parati; ferramenta ed utensileria; articoli per impianti idraulici, a
gas ed igienici; articoli per il riscaldamento; strumenti scientifici e di misura;
macchine per ufficio; auto, moto, cicli e relativi accessori e parti di ricambio;
combustibili; materiali per l’edilizia; legnami.
In questo modo si sono moltiplicati gli esercizi commerciali in cui non vi è più
una divisione fisica tra attività grossista ed attività di vendita al dettaglio e si è
realizzata una fusione tra le diverse tipologie di utenti (operatori professionali e
consumatori finali).
Un’altra area di sovrapposizione tra commercio all’ingrosso e commercio al
dettaglio si è verificata nel tempo a causa del forte sviluppo registrato dalla
formula distributiva dei cash&carry, esercizi commerciali originariamente
destinati alla prevalente vendita all’ingrosso di generi alimentari ai dettaglianti e
agli esercenti di pubblici esercizi, poi estesa, data la forte espansione di questa
tipologia distributiva, a molti settori merceologici non alimentari ( dai beni per la
casa e il tempo libero agli stessi beni per la persona).
In tempi recenti questa tipologia di esercizio si sta sviluppando in forme
sempre più specializzate (ad esempio nel campo dei prodotti elettronici o dei
materiali per l’edilizia).
Il forte sviluppo di questa tipologia di esercizio commerciale è stato agevolato
dall’interpretazione estensiva data all’art. 1, secondo comma, della legge n.
426/1971 in tema di “utilizzatori in grande” e di “utilizzatori professionali”. La
già citata circolare ministeriale 8 marzo 1972, n. 2261/c affermava a questo
proposito che “devono considerarsi utilizzatori in grande gli enti, le collettività ed
i privati quando procedano ad acquisti i quali, per le forme in cui si effettuano e
per la quantità delle merci che ne formano oggetto, siano comparabili a quelli
usualmente effettuati dagli utilizzatori professionali”. A proposito di questa
categoria veniva poi specificato che “le norme della legge riguardanti gli
utilizzatori professionali debbono intendersi applicabili non soltanto ai prodotti
che formano oggetto dell’attività propria delle aziende agricole, industriali,
artigiane e commerciali e a quelli direttamente utilizzati nell’esercizio
dell’attività, ma anche qualsiasi prodotto che sia destinato al funzionamento
dell’impresa”.
Nella prassi dell’attività amministrativa di molti Comuni sono state adottate
soluzioni ben al di là di questi criteri di interpretazione, che facevano perno sulla
218
vendita di prodotti funzionali all’impresa e in quantità congeniali agli utilizzatori
in grande.
Nella prassi corrente gli utilizzatori professionali sono stati considerati non
solo i rappresentanti di aziende agricole, industriali, artigianali e commerciali
(come indicato nella citata circolare ministeriale), ma tutti i titolari di partita
I.V.A., con una estensione pertanto anche ai settori dei servizi e delle libere
professioni; ciò che ha notevolmente ampliato la clientela target.
Forti di questa estensione della platea di potenziali utenti i cash&carry si sono
trasformati nel tempo in strutture distributive alquanto simili agli ipermercati,
senza dover sottostare ai vincoli amministrativi di insediamento e di orario di
attività propri di queste grandi strutture di vendita al dettaglio.
Sia il primo che il secondo caso di sovrapposizione di attività tra commercio
all’ingrosso e commercio al dettaglio sopra riportati richiedono ora, con il
trasferimento della competenza esclusiva in materia di commercio dallo Stato alle
Regioni a seguito della modifica del titolo V della Costituzione, una nuova
regolamentazione da parte delle Regioni, possibilmente in modo coordinato (come
già si è verificato nel campo dei pubblici esercizi) e in un’ottica di convergenza
nella regolazione delle strutture distributive all’ingrosso con quella propria del
commercio al dettaglio.
Peraltro è in atto una convergenza sul mercato tra strutture distributive
all’ingrosso e strutture di vendita al dettaglio, sia nel senso che i cash&carry
assomigliano sempre più come formato distributivo agli ipermercati ( sia nella
distribuzione degli spazi interni dedicati alla vendita (lay out), che nelle
dimensioni che hanno assunto all’esterno gli spazi dedicati al parcheggio per la
clientela), sia nel senso che alcune strutture distributive al dettaglio di grandi
dimensioni tendono ad assumere politiche di vendita proprie dell’ingrosso. E’ il
caso della formula “più per meno” assunta dal Gruppo PAM nel nuovo punto di
vendita ad insegna “Panorama” di Carena di Villorba (Treviso): acquistando
maggiori quantitativi, infatti, i prezzi scendono, con un risparmio che va dal 10 al
30%, per quantità diverse a seconda della categoria merceologica. In questo
modo il posizionamento del punto di vendita mira ad un duplice target: da un lato
le famiglie numerose, per acquisti di cadenza quindicinale, dall’altro gli operatori
professionali della ristorazione (settore Ho.Re.Ca.), togliendo spazio economico
alle tradizionali strutture grossiste.
219
Conclusioni
Il nuovo contesto istituzionale. In seguito alle modifiche al titolo V della parte 2°
della costituzione ( LC 18/10/01 n.3 art.117), ha preso avvio una sorta di
federalismo in materia di regolazione dell’attività distributiva che si presenta con
contorni ancora molto incerti. Non è infatti ancora chiaro l’ambito di applicazione
dell’autonomia regionale sia per il fatto che esistono materie “concorrenti” sia per
l’incertezza sull’orientamento del Governo. Con la legge 5 giugno 2003, n.131, il
Governo ha infatti ottenuto un anno di tempo per emanare:
- “…decreti legislativi meramente ricognitivi dei principi fondamentali che si
traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall’art. 117, terzo
comma, della costituzione, attenendosi ai principi della esclusività,
adeguatezza, chiarezza, proporzionalità ed omogeneità …”
- “…decreti legislativi diretti alla individuazione delle funzioni fondamentali
dei Comuni, delle Provincie e delle Città Metropolitane in modo da
prevedere, anche al fine della tenuta e della coesione dell’ordinamento della
Repubblica, per ciascun livello di governo locale, la titolarità di funzioni
connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di ente...”35
Il federalismo commerciale si fonda innanzitutto sulla convinzione che è possibile
realizzare a livello regionale un miglior equilibrio tra obiettivi di efficienza
economica e contenimento delle esternalità negative che il libero mercato può
produrre. Ciò in quanto vi sono differenze economiche, sociali e territoriali, che
una legge nazionale non sarebbe in grado di cogliere pienamente, nonostante
l’ampia discrezionalità riconosciuta agli enti locali nella applicazione della
normativa. Se però si guarda alla applicazione del decreto legislativo 31/3/1998
n.114 (Legge Bersani), si può constatare una notevole differenziazione regionale
nella gestione delle barriere all’entrata e nella regolazione della condotta delle
imprese.36 Il posizionamento delle Regioni che emerge dallo studio di FerrucciPorcheddu evidenzia diversi livelli di liberismo, che non sono direttamente
riconducibili alle caratteristiche economiche, sociali e territoriali, delle varie
35
Legge 5 giugno 2003, n.131, art. 1, comma 4 e art. 2 comma 4.
L. Ferrucci – D. Porcheddu, Riforma del commercio, discrezionalità delle Regioni e
continuità col passato, Industria & Distribuzione, n.1/2002.
36
Regioni. Parimenti, non emerge una forte relazione inversa tra livello di
orientamento liberistico delle diverse Regioni e grado di modernizzazione
dell’apparato distributivo locale; è quindi probabile che l’aumento della
discrezionalità regionale che si riconnette al federalismo non porterà ad una
convergenza della struttura distributiva sul piano territoriale.
Una seconda ragione che può essere portata a supporto del federalismo
commerciale dev’essere ricercata nella opportunità di separare regolazione e
controllo. Quando era lo Stato a disciplinare l’accesso al mercato e la condotta
delle imprese, bastava scrivere che la norma aveva come obiettivo la tutela del
cittadino-consumatore e la promozione della concorrenza per soddisfare tutti i
requisiti di legittimità, anche se di fatto le misure introdotte andavano in senso
contrario. Basti pensare alla legge che disciplina, limitandole, le vendite sotto
costo; questa legge è stata proposta naturalmente nell’interesse del consumatore e
nessuna obiezione poteva essere formalmente avanzata per la coincidenza tra ente
regolatore e ente responsabile della promozione della concorrenza. Ora invece,la
separazione tra ente regolatore e ente responsabile della tutela del consumatore
attraverso la promozione della concorrenza pone, di fatto, un opportuno limite
all’autonomia regionale e obbligherà il legislatore a mettere al centro del suo agire
l’interesse del cittadino-consumatore. In teoria, il federalismo può portare a una
politica commerciale molto meno restrittiva di quella che finora lo Stato ha
potuto/voluto realizzare. In pratica, è ragionevole però supporre che la vicinanza
del corpo elettorale indurrà molte regioni a interpretare l’autonomia in modo non
coerente coi principi comunitari e nazionali di promozione della concorrenza e del
libero mercato. In questi casi, lo Stato dovrebbe intervenire direttamente
sollevando il principio di legittimità costituzionale in base all’art. 127; avremo
inoltre un aumento esponenziale dei ricorsi all’Antitrust. Alcune Regioni
potrebbero addirittura non avvertire alcun limite alla loro discrezionalità
legislativa nei possibili ricorsi all’Antitrust e nelle sentenze avverse della Corte
Costituzionale, dal momento che occorrono anni per arrivare ad un
pronunciamento e nel frattempo la Regione può capitalizzare le positive relazioni
create con le organizzazioni rappresentative dei portatori di interesse. Il
contenzioso Stato – Regioni in materia di politica commerciale è già emerso nella
applicazione delle leggi nazionali 37; è dunque probabile che il federalismo faccia
37
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in data 24 aprile 2003, ha segnalato
alle istituzioni competenti il comportamento contrario ai principi di concorrenza e di libero
mercato tenuto da alcune regioni ( Lombardia, Sicilia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia) in
materia di applicazione di una legge nazionale sulla distribuzione dei prodotti editoriali.
Sottolineiamo in particolare il seguente brano della segnalazione.
“Un primo elemento restrittivo della concorrenza, che l'Autorità intende porre in evidenza,
riguarda la circostanza che molte delle circolari provvisorie emanate dalle regioni, così come gli
indirizzi già adottati dalla Regione Lombardia33 [Delibera del Consiglio Regionale. n. VII/549 del
10 luglio 2002.], introducono il divieto generale per i punti vendita non esclusivi di vendere
quotidiani e periodici, imponendo di scegliere alternativamente la possibilità di vendita di uno
soltanto dei due tipi di prodotto. Siffatte disposizioni, oltre ad apparire in contrasto con lo spirito
della legge n. 108/99 e del decreto legislativo (che prevedono la facoltà per i punti vendita non
esclusivi di vendere entrambe le categorie di prodotti editoriali oppure di poter scegliere una delle
due), introducono una significativa restrizione all'esercizio dell'attività di vendita di giornali
222
esplodere un conflitto che le attuali istituzioni ben difficilmente riusciranno a
comporre. Infine, il federalismo commerciale può portare a discriminazioni nei
confronti delle imprese straniere / multinazionali nel caso in cui venga perseguito
l’obiettivo di difendere non solo la distribuzione nazionale, ma anche l’industria
nazionale, specialmente di piccola e media dimensione 38. Molti politici ritengono
infatti da un lato che le multinazionali scelgano come copacker della marca
commerciale fornitori del paese di origine e, dall’altro, che una minor quota di
prodotti nazionali trovi spazio negli assortimenti delle multinazionali distributive.
Questi comportamenti sono ovviamente contrari alle regole comunitarie, ma,
soprattutto, sono sbagliati in quanto le tesi di cui sopra non hanno alcun
fondamento logico e empirico. I distributori multinazionali sono costretti dal
mercato a tarare i loro assortimenti sulle specificità della domanda locale che è
fortemente differenziata. L’internazionalizzazione della distribuzione rappresenta
invece un’opportunità per le piccole e medie imprese industriali, oltre che per i
prodotti tipici, in quanto le insegne multinazionali sono un veicolo di espansione
dei confini geografici del mercato.
Esiste poi un livello europeo di controllo competitivo della politica
commerciale, che ha già cominciato a funzionare. La Catalogna, avendo
approvato una legge che contempla delle barriere economiche all’entrata39, è stata
quotidiani e periodici, che non appare sorretta da alcuna giustificazione di interesse generale. Se,
infatti, l'aver previsto la possibilità di porre in vendita anche soltanto una delle due tipologie di
prodotto editoriale rispondeva evidentemente all'esigenza di consentire l'accesso al mercato anche
da parte degli esercizi di minore dimensione (i bar, ad esempio), la preclusione a vendere entrambi
i ben determina un ingiustificato limite all'attività e l'innalzamento di una rigida barriera
all'ingresso sul mercato, in contrasto con i principi posti a tutela della concorrenza.”
37
Il 15 ottobre 2002, L’assemblea della Regione Sicilia ha approvato il disegno di legge n.
298.3, cha all’art. 17 comma 8 recita : “ Al fine di consentire …la valorizzazione e la salvaguardia
delle attività di commercializzazione delle produzioni regionali, con decreto dell’Assessore
regionale per la cooperazione, il commercio, l’artigianato e la pesca, sentito l’Osservatorio
regionale per il commercio, vengono fissati limiti e condizioni per il rilascio delle autorizzazioni di
cui all’art. 9 della presente legge, con periodicità biennale”
37
Trattasi di una tassa che grava solo sulle grandi strutture per costituire un fondo da utilizzare
poi in provvidenze a favore delle piccole strutture.
37
“ …Aldi has filed a complaint against France at the European Commission over the
country’s planning rules for large stores. The Tengelman discount retailer is challenging a 1996
law that requires the approval of local planning committees for all retail developpement of over
300 mq. Aldi is arguing that the regulations contravene European law on freedom of trade. The
European Commission has also received a similar complaint from Tengelmann concerning
planning restrictions in Portugal. The german group’s expansion plans has been affected by a 1998
law designed to protect traditional outlets”,
Cfr. CIES, news of the day, july 16, 2003 i, introdotta oggi dalle citate regioni, determina
un ingiustificato limite all'attività e l'innalzamento di una rigida barriera all'ingresso sul mercato,
in contrasto con i principi posti a tutela della concorrenza.”
38
Il 15 ottobre 2002, L’assemblea della Regione Sicilia ha approvato il disegno di legge n.
298.3, cha all’art. 17 comma 8 recita : “ Al fine di consentire …la valorizzazione e la salvaguardia
delle attività di commercializzazione delle produzioni regionali, con decreto dell’Assessore
regionale per la cooperazione, il commercio, l’artigianato e la pesca, sentito l’Osservatorio
regionale per il commercio, vengono fissati limiti e condizioni per il rilascio delle autorizzazioni di
cui all’art. 9 della presente legge, con periodicità biennale”
39
Trattasi di una tassa che grava solo sulle grandi strutture per costituire un fondo da utilizzare
poi in provvidenze a favore delle piccole strutture.
223
citata dalla Commissione Europea davanti alla Corte di Giustizia per aver infranto
un principio costitutivo dell’Unione. Aldi e Tengelmann hanno poi citato
rispettivamente la Francia e il Portogallo davanti alla Commissione Europea per il
carattere restrittivo di alcune norme della loro politica commerciale 40.
L’Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato, nella sua relazione annuale
del 6/8/2002, ha indicato le norme nazionali in contrasto coi principi della
concorrenza e del mercato 41 ed avanzato in materia di federalismo la
preoccupazione che “ …i vincoli alla concorrenza, eliminati a livello nazionale
con la riforma avviata dal decreto legislativo 31/2/1998 n.114, possano poi essere
mantenuti o reintrodotti a livello locale, peraltro in maniera assai diversificata.”
Per contrastare il probabile orientamento delle Regioni alla iper – regolazione e
alla adozione di politiche commerciali restrittive, l’Antitrust raccomanda :
-
-
-
un “…forte coordinamento tra Stato e Regioni per tutto quanto riguarda
l’accesso ai mercati …individuando criteri affinchè le funzioni legislative
e amministrative siano esercitate in modo da favorire la concorrenza e
l’accesso ai mercati”
“…forme di incentivi che premino le regolazioni regionali e locali idonee
a promuovere la concorrenza.”
una consultazione obbligatoria articolata nella comunicazione dell’avvio
del processo di regolazione, nella pubblicazione dello schema di
regolazione, nella fissazione del termine per presentare commenti prima
dell’adozione del provvedimento;
un’analisi di impatto costi-benefici per gli interventi di nuova regolazione
(disegno di legge n.776 del 2001);
un confronto sistematico delle misure regolamentari regionali e locali per
incentivare l’adozione di best practices.
Da ultimo, ma non per importanza, il federalismo commerciale può spostare il
governo della competitività al di fuori del controllo dell’AGCM. Le Regioni
potrebbero infatti avvertire l’esigenza di governare l’accesso anche in funzione
della promozione della concorrenza, attraverso un sistema di prelazioni volto ad
40
“ …Aldi has filed a complaint against France at the European Commission over the
country’s planning rules for large stores. The Tengelman discount retailer is challenging a 1996
law that requires the approval of local planning committees for all retail developpement of over
300 mq. Aldi is arguing that the regulations contravene European law on freedom of trade. The
European Commission has also received a similar complaint from Tengelmann concerning
planning restrictions in Portugal. The german group’s expansion plans has been affected by a 1998
law designed to protect traditional outlets”, cfr. CIES, news of the day, july 16, 2003
41
L’Antitrust ha chiesto di :
- eliminare le rimanenti restrizioni quantitative dell’offerta commerciale nei settori delle
farmacie, dei pubblici esercizi, delle rivendite di giornali e dei distributori di carburanti;
- eliminare la normativa che regolamenta le vendite sottocosto
- liberalizzare ulteriormente gli orari di apertura dei negozi unitamente ad un
ampliamento della flessibilità nella definizione contrattuale dei tempi di lavoro.
224
evitare che si creino situazioni di eccessiva concentrazione con la connessa
possibilità di abuso della posizione di dominanza. La distribuzione italiana ha un
alto livello di concentrazione territoriale e, allo stato, non esiste alcun controllo
delle posizioni di dominanza che si determinano con lo sviluppo diretto.
L’Antitrust si limita infatti ad intervenire nei casi di acquisizione e fusione e di
abuso di posizione dominante, ma non ha ancora attuato una procedura di
controllo della monopolizzazione del mercato locale che interviene per effetto
dello sviluppo diretto, vale a dire con l’apertura di nuovi punti vendita. Tutto ciò
premesso, riteniamo che si configuri una responsabilità regionale sul
funzionamento della concorrenza, e quindi sul livello e sulla dinamica dei prezzi.
Dal momento che la Regione governa l’accesso al mercato, mentre l’Antitrust
interviene solo ex post nel caso di fusioni/concentrazioni e abuso di posizione
dominante, occorre sviluppare strumenti di analisi competitiva e inserire questo
elemento nel governo dell’accesso al mercato. Esiste già un tentativo di
espansione del ruolo delle Regioni in materia di promozione della concorrenza, su
cui si è espressa negativamente l’AGCM con motivazioni solo in parte
condivisibili.
Il 9 luglio 2004, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha inviato
alle varie istituzioni interessate una segnalazione, adottata nell'adunanza dell’1
luglio, con cui vengono evidenziati due aspetti della regolamentazione della
Regione Sicilia in materia di commercio, suscettibili di porsi in contrasto con gli
obiettivi di tutela della concorrenza. Il primo aspetto è rappresentato
dall'inclusione, tra i vari criteri di valutazione delle domande di autorizzazione per
l'apertura, il trasferimento o l'ampliamento di grandi strutture di vendita (accanto a
quelli relativi all'impatto urbanistico-ambientale), di considerazioni attinenti alla
quota di mercato dell'impresa che intende realizzare l'iniziativa per cui è chiesta
l'autorizzazione. Al riguardo, il decreto del Presidente della Regione Siciliana
dell'11 luglio 2000, n. 165, Direttive ed indirizzi di programmazione commerciale
e criteri di programmazione urbanistica commerciale, emanato in attuazione della
Legge Regionale 22 dicembre 1999, n. 28, Riforma della disciplina del
commercio, stabilisce infatti una quota massima dell'impresa richiedente pari ad
un terzo del mercato, al di là della quale l'autorizzazione non può essere
rilasciata42.
42
Il D.P.Reg. n. 165/00 stabilisce infatti che la valutazione dell'impatto commerciale
“dovrà riguardare distintamente le quote di venduto che la nuova iniziativa sottrae alle medie e grandi
strutture di vendita esistenti e agli esercizi di vicinato (…); nel caso in cui il proponente già disponga di
medie e grandi strutture di vendita operanti nello stesso comparto (alimentare e non alimentare) con la
medesima insegna, in proprietà o collegata alla stessa centrale d'acquisto, nell'area definita dall'isocrona
corrispondente a 30 minuti auto, va stimata la quota di mercato congiunta, eventualmente computando nella
stima di mercato le vendite degli altri esercizi commerciali per la parte di vendite relativa all'area di
sovrapposizione dei due bacini di mercato. La quota di mercato deve essere riferita a tutta la rete
commerciale, includendo quindi esercizi di vicinato e medie e grandi strutture di vendita, con la medesima
specializzazione merceologica (…). Se tale quota supera un terzo del totale, la nuova iniziativa commerciale
non potrà essere autorizzata; nel caso dei centri commerciali, la presente verifica va effettuata relativamente a
tutti gli esercizi commerciali singolarmente superiori alla soglia di una media struttura di vendita.”
225
L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ritiene che questa normativa
della Regione Sicilia sia “assolutamente impropria” in quanto:
- facendo riferimento ad una nozione di mercato rilevante e ad una quota di
mercato massima, si opera una sorta di valutazione antitrust che non
compete alle Regioni;
- la tutela della concorrenza rientra tra le materie su cui lo Stato ha
legislazione esclusiva;
- i criteri applicati dalla Regione Sicilia non trovano riscontro nella
normativa e nella giurisprudenza nazionale e comunitaria riguardante la
tutela della concorrenza43;
- la norma regionale in questione, essendo in grado di impedire la crescita
delle imprese ed il conseguimento di economie di scala che possono
condurre a benefici per i consumatori, è tale da determinare ingiustificate
distorsioni della concorrenza.
Circa la competenza della valutazione antitrust in materia di accesso al mercato,
riteniamo, diversamente dall’AGCM, che:
- in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, il governo
dell’accesso al mercato distributivo spetta alle regioni e che in questo
ambito le regioni debbano adoperarsi per assicurare il miglior
funzionamento della concorrenza;
- lo sviluppo delle imprese commerciali non può essere assimilato allo
sviluppo delle imprese industriali perché il primo ha una forte componente
territoriale che si traduce in barriere all’entrata, da governare nel momento
dell’accesso al mercato;
- l’AGCM non ha mai analizzato in passato le posizioni di dominanza che si
creano per effetto dello sviluppo diretto con apertura di nuovi punti
vendita, proprio per la capillarità del fenomeno e la conseguente
impossibilità di sottoporre al suo giudizio l’apertura di ogni punto vendita.
Consideriamo dunque del tutto legittima l’intenzione di promuovere il
funzionamento della concorrenza attraverso un governo dell’accesso al mercato
che eviti una eccessiva concentrazione dell’offerta. Si può discutere tuttavia se sia
più opportuno regolare il fenomeno per legge, ovvero per via regolamentare o di
indirizzi applicativi; vista la posizione dell’AGCM, riteniamo che la soluzione
regolamentare o il ricorso agli indirizzi applicativi siano preferibili.
43
“In particolare, la norma regionale è caratterizzata dalla fissazione di una quota massima di
mercato pari ad un terzo, peraltro riferita ad un mercato rilevante che viene rigidamente predefinito
e non individuato a seguito di un'analisi del singolo caso. Nella stessa norma non è contenuto
alcun riferimento agli elementi che costituiscono parametri di valutazione nei casi antitrust, quali,
tra gli altri, la presenza di qualificati concorrenti, la loro quota di mercato e la libertà di entrata nel
mercato.”
226
Per quanto riguarda le competenze in materia di legislazione sulla concorrenza,
riconosciamo ovviamente il ruolo esclusivo dello Stato, ma invitiamo a separare la
norma dalla sua applicazione. Se la Regione Sicilia avesse inserito il filtro di cui
sopra nel regolamento o, meglio ancora, negli indirizzi applicativi, il problema
non sarebbe sorto. Ancora, la soglia del 33% ci sembra particolarmente bassa
rispetto alla concentrazione territoriale dell’offerta nelle regioni commercialmente
più evolute. Inoltre, il vincolo non può essere così rigido e amministrato caso per
caso; meglio sarebbe passare dall’autorizzazione amministrativa caso per caso alla
valutazione comparativa di progetti strutturati secondo specifiche predefinite. Si
può insomma discutere sul modo con cui la Regione Sicilia ha applicato il
controllo competitivo dell’accesso al mercato, ma non sulla legittimità formale e
sulla correttezza sostanziale del principio che ci sembrano del tutto condivisibili.
Per quanto riguarda i criteri applicati dalla Regione Sicilia, che secondo l’AGCM
non troverebbero riscontro nella normativa e nella giurisprudenza nazionale e
comunitaria, riteniamo che il riferimento ad un mercato rilevante predefinito sul
piano territoriale sia imprescindibile proprio perché si tratta di governare l’accesso
al mercato e non di effettuare una valutazione antitrust. Del resto, se il nulla osta
dev’essere rilasciato sulla base dell’impatto economico e territoriale del nuovo
insediamento, occorre predefinire il mercato in modo da formulare il contesto con
riferimento al quale dev’essere espresso e valutato il progetto. Circa le misure
della concentrazione, concordiamo che quella adottata dalla Regione Sicilia può
essere affinata e aggiustata, ma resta l’esigenza di utilizzare un parametro di
concentrazione per valutare in modo comparato i diversi progetti di insediamento.
Infine, governare l’accesso al mercato in modo da evitare un’eccessiva
concentrazione dell’offerta non significa impedire la crescita delle imprese ed il
conseguimento di economie di scala né determinare ingiustificate distorsioni della
concorrenza. La crescita delle imprese commerciali è in genere sempre positiva in
termini di welfare, solo se si prescinde dalla sua dimensione territoriale. Non vi è
dubbio che la dominanza di un’impresa commerciale in un territorio ristretto
come la provincia può portare a un eccessivo potere di mercato a valle e a monte,
che si ritorce contro il consumatore. Sarebbe interessante a questo proposito
condurre analisi territoriali del livello e della varianza dei prezzi per verificare se e
in che misura la concentrazione rientra tra le variabili esplicative. Ribadiamo
comunque il principio che, se l’accertamento dell’abuso di posizione di
dominanza spetta all’AGCM, evitare che la concentrazione territoriale dell’offerta
aumenti fino a determinare posizioni di dominanza rientra nella missione della
Regione cui spetta il governo dell’accesso al mercato.
Per quanto riguarda in particolare il commercio all’ingrosso, che rappresenta il
focus di questo rapporto, ricordiamo che il decreto Bersani (art.26) vieta
l’esercizio congiunto all’interno di uno stesso locale dell’attività di vendita
all’ingrosso e al dettaglio, ma lascia alle Regioni la facoltà di derogare da tale
disposizione. Alcune Regioni hanno infatti riconosciuto la possibilità di vendere
all’ingrosso e al dettaglio all’interno dello stesso locale elencando in proposito i
227
settori in cui il divieto del decreto Bersani può essere superato. In un recente
studio dell’Antitrust 44 si afferma che “ la possibilità per i grossisti di vendere
anche al dettaglio potrebbe portare ad una riduzione dei prezzi finali, grazie alla
riduzione del numero di passaggi intermedi che dividono il produttore di un bene
dal suo consumatore finale”45. Condividiamo il giudizio positivo sugli effetti della
liberalizzazione della vendita all’ingrosso e al dettaglio, ma non la motivazione. Il
numero dei passaggi intermedi, ovvero la lunghezza del canale, risponde al
principio economico della specializzazione e della divisione del lavoro. La
eliminazione di un passaggio con l’integrazione verticale ascendente o
discendente non equivale alla cancellazione della relativa funzione / attività.
L’intermediazione all’ingrosso si giustifica dunque sul piano economico proprio
per il fatto che l’esercizio integrato di questa attività da parte del dettagliante o del
produttore sarebbe svolto in condizioni di minore efficienza, vale a dire con costi
più alti. Nei casi in cui il canale corto è più efficiente, produttori e distributori si
organizzano per avere rapporti diretti senza bisogno che il legislatore intervenga
per orientare il loro comportamento. Ciò detto, la separazione dell’attività di
ingrosso e dettaglio è una barriera all’entrata che ostacola il pieno dispiegarsi
della concorrenza. L’esercizio congiunto di queste attività attiverebbe una forma
di intertype competition sicuramente positiva per il consumatore finale. Peraltro,
cesserebbe una forma di discriminazione a danno dell’ingrosso ; mentre il
dettagliante può vendere all’ngrosso, il grossista non può infatti di norma vendere
al dettaglio. Bene hanno fatto dunque le Regioni che hanno approfittato della
discrezionalità consentita dal decreto Bersani per ridurre questo vincolo. Visto che
nel citato rapporto di ricerca Antitrust si posizionano le regioni in funzione del
loro orientamento liberistico, abbiamo utilizzato queste informazioni per
confrontare il comportamento regionale in materia di ingrosso col comportamento
complessivo più o meno restrittivo in materia di politica commerciale. Dalla
figura seguente, si può evincere che la Lombardia, assieme a Piemonte – Marche
– Campania –Molise, si caratterizza per un orientamento altamente liberistico sia
per l’ingrosso che per il dettaglio. Si può inoltre notare che, mentre per il dettaglio
esiste una sostanziale differenziazione tra le Regioni che si distribuiscono quasi
uniformemente tra basso-medio-alto livello di liberalizzazione, per l’ingrosso vi è
un marcato orientamento generale alla liberalizzazione.
44
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Qualità della regolazione e performance
economiche a livello regionale : il caso della distribuzione commerciale in Italia, 2007
45
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Qualità della regolazione e performance
economiche a livello regionale : il caso della distribuzione commerciale in Italia, 2007, pag. 30
228
LIBERALIZZAZIONE
DEL DETTAGLIO
Valle d’Aosta
ALTO
MEDIO
Abruzzo
Veneto
Lazio
Liguria
BASSO
Lombardia
Piemonte
Marche
Campania
Molise
Calabria
Basilicata
Toscana
Umbria
Puglia
Sicilia
Friuli Venezia Giulia
Trentino Alto Adige
BASSO MEDIO ALTO
La convergenza della politica commerciale dell’ingrosso e del dettaglio non può
naturalmente riguardare i mercati agroalimentari, che hanno funzioni economiche
specifiche e per i quali si rimanda al contributo di O. Zappi.
Fino alla fine degli anni sessanta, i mercati all’ingrosso svolgevano il ruolo di
driver nella valorizzazione del prodotto e il prezzo all’origine così come il prezzo
al consumo si formavano sulla base del prezzo all’ingrosso definito all’interno di
queste strutture annonarie. Gli agricoltori inviavano i loro prodotti al mercato
all’ingrosso prevalentemente in conto commissione e, quindi, accettavano di
ricavare qualunque prezzo al netto del margine di intermediazione all’ingrosso.
Anche nei casi in cui la merce veniva ceduta al grossista in conto proprio e,
quindi, contro il corrispettivo di un prezzo di vendita negoziato tra le parti, il
livello di questo prezzo si assestava sempre sulla soglia del previsto prezzo di
vendita all’ingrosso al netto del margine di intermediazione; la formazione
verticale del prezzo era dunque governata dalla domanda e invertita. Il singolo
produttore in altri termini, in assenza di un controllo quantitativo e di marketing
sull’offerta, non poteva imporre un prezzo di vendita aggiungendo un margine di
profitto al suo costo unitario di produzione. L’unico modo per influire sul prezzo
di prodotti venduti all’ingrosso come commodity era la scelta del mercato, in
quanto il rapporto tra domanda e offerta poteva essere anche molto squilibrato sul
piano territoriale ; ciò che era per altro testimoniato dalla forte varianza spaziale
dei prezzi all’ingrosso di un dato prodotto. Il governo del valore da parte dei
mercati all’ingrosso si esercitava sul piano fisico attraverso la concentrazione
spaziale/temporale dell’offerta e sul piano economico attraverso la scoperta del
prezzo che discendeva da negoziazioni a vista ; la trattativa in presenza del
prodotto consentiva di risolvere da un lato il problema della forte variabilità della
229
qualità e, dall’altro, di misurare la consistenza della domanda rispetto all’offerta
lasciando alle fluttuazioni del prezzo il compito di portare in equilibrio il mercato.
Le variazioni dei prezzi intervenivano dunque prima nei mercati all’ingrosso
perché in questo contesto gli operatori erano in grado di valutare le variazioni
della domanda e dell’offerta in anticipo rispetto agli operatori a valle e a monte. Il
carattere previsivo delle variazioni dei prezzi all’ingrosso derivava poi anche dalla
presenza di scorte nel commercio al dettaglio. Il singolo dettagliante partecipava
ogni giorno alla scoperta del prezzo dei prodotti che acquistava e,
contemporaneamente, traeva utili indicazioni dai prezzi all’ingrosso dei prodotti
che non aveva ancora esaurito ed il cui acquisto poteva essere pertanto rinviato. Il
prezzo all’ingrosso si formava pertanto sulla base di una previsione della
domanda finale in rapporto alla produzione da collocare in un definito intervallo
temporale. I mercati all’ingrosso erano dunque neutrali nella formazione del
prezzo perché non contribuivano in alcun modo a determinare le condizioni di
domanda e di offerta; compito dei mercati all’ingrosso era invece quello di
contribuire alla scoperta delle suddette condizioni di domanda e offerta, ovvero,
alla scoperta del prezzo. Secondo questa interpretazione dell’operare delle forze
economiche, sono le variazioni dei prezzi al consumo che determinano le
variazioni a monte dei prezzi all’ingrosso oltre che all’origine, e non viceversa
come avviene nel caso dei prodotti industriali. Il dettagliante è infatti disposto a
pagare un prezzo di acquisto che, una volta caricato del suo margine, non superi il
prezzo di vendita che discende dal posizionamento dell’insegna rispetto al
competitor di riferimento. E’ normale che nella trattativa l’acquirente dettagliante
sottovaluti le condizioni di domanda rispetto al venditore grossista, che tende ad
essere più ottimista anche perché è remunerato in percentuale sul prezzo di
vendita. Quando però questa divergenza di vedute si amplia, la quantità acquistata
risulta di conseguenza inferiore a quella disponibile ; questa situazione può durare
qualche tempo in ragione della conservabilità del prodotto, ma è destinata a
sfociare in un abbassamento del prezzo all’ingrosso per consentire l’integrale
collocamento della produzione. Un sistema di mercati all’ingrosso efficienti sul
piano strutturale era dunque in grado di assicurare rapidamente la scoperta del
prezzo di mercato, vale a dire del prezzo che consente il collocamento della
produzione disponibile nei tempi richiesti dalla domanda.
Le ragioni di questo ruolo guida dei mercati all’ingrosso devono essere ricercate
in una serie di elementi strutturali :
- la stagionalità dei consumi, determinata anche dalla indisponibilità del
consumatore “povero” di allora a pagare un premium price per prodotti
di importazione ;
- la forte varianza della qualità, determinata anche da carenze logistiche e
dal limitato sviluppo di marchi collettivi ;
- la forte varianza della quantità disponibile per la commercializzazione,
determinata da un lato dagli andamenti climatici e dall’altro dalle scelte
dei produttori, ispirate spesso alle quotazioni della stagione precedente;
230
- la polverizzazione della produzione, determinata dalla ridotta presenza
di organizzazioni agricole in grado di interfacciare direttamente gli
acquirenti ;
- la polverizzazione della distribuzione al dettaglio, determinata fra l’altro
dalla difficoltà di estendere a questi prodotti la vendita a libero servizio.
L’insieme di queste circostanze strutturali rendeva necessaria la negoziazione a
vista per la scoperta di un prezzo che portava in equilibrio domanda e offerta su
basi territoriali ristrette e spesso coincidenti con la città / provincia. Ora, delle
circostanze indicate più sopra, solo la varianza della quantità continua a svolgere
un ruolo rilevante nel pricing dei prodotti freschi deperibili. Anche quest’ultima
ha però un diverso impatto rispetto al passato ; lo sviluppo di insegne / gruppi
distributivi nazionali e l’acquisto diretto alla fonte hanno infatti azzerato l’impatto
territoriale della varianza della quantità, nel senso che una carenza / abbondanza
di prodotto si riflette oggi in maniera uniforme su tutto il paese. Il diminuito ruolo
dei mercati all’ingrosso nella distribuzione e valorizzazione dei prodotti freschi
deperibili si evince anche dalla riduzione esponenziale dei consumi mercatizzati e
dalla specializzazione di queste strutture nel servire il dettaglio tradizionale,
l’HO.RE.CA. e gli ambulanti, che incidono sulle vendite in maniera via via
decrescente. Questo fenomeno ha interessato tutti i settori, ma in diversa misura
data la diversa “industrializzazione” dei vari comparti ; il ruolo economico dei
mercati si è ridotto in maniera via via meno consistente per le carni, l’ortofrutta e
il pesce. Il caso più emblematico è proprio quello del pesce che, malgrado
l’industrializzazione della pesca, presenta ancora molte delle caratteristiche che
richiederebbero l’intermediazione logistica e la valorizzazione dei mercati
all’ingrosso. Le quantità disponili sono infatti aleatorie e soggette ai capricci del
tempo, così come la componente della qualità che discende dalla dimensione del
prodotto pescato. Ebbene, anche per il pesce si registra un crollo dei consumi
mercatizzati.
La riduzione del ruolo logistico ed economico dei mercati all’ingrosso non
implica un analogo ridimensionamento dell’ingrosso come settore. Infatti, dalle
nostre interviste è emerso per esempio che COOP Italia si approvvigiona di
ortofrutta direttamente alla produzione per il 50% dei volumi, all’ingrosso per il
38%, da importatori per l’11% e presso i mercati all’ingrosso per l’1%.
La rivitalizzazione dei mercati all’ingrosso non può essere ottenuta con una
politica restrittiva dell’attività che si svolge al di fuori delle strutture annonarie 46,
46
Questo orientamento è stato assunto dalla Regione Veneto. Per i magazzini di commercio
all’ingrosso situati al di fuori dei mercati all’ingrosso riconosciuti l’art. 20 della L.R. n. 20/1979
del Veneto stabilisce che l’esercizio del commercio all’ingrosso si svolga “con il rispetto di tutte le
norme del regolamento relativo al mercato all’ingrosso locale ove esista o del mercato del comune
capoluogo di provincia o del comune più vicino, che non attengano al funzionamento interno”.
Una regolazione che prevede per le aziende grossiste collocate all’esterno dei mercati all’ingrosso
gli stessi vincoli di quelle che operano nell’ambito dei mercati all’ingrosso, è decisamente
sbagliata. Infatti, se applicata, non sortisce l’effetto di consolidare o aumentare i consumi
mercatizzati, mentre favorisce un ulteriore sviluppo del canale corto senza che vi siano le
condizioni economiche per giustificarlo.
231
ma con la loro collocazione all’interno del Piano triennale per lo sviluppo del
settore commerciale, onde stabilire connessioni con le problematiche delle attività
commerciali all’ingrosso in generale e delle stesse attività di commercio al
dettaglio. In questo caso, la sfida consiste nel far evolvere il contesto
infrastrutturale e normativo in modo da internalizzare il commercio all’ingrosso di
ortofrutta, carne e pesce, che attualmente si svolge al di fuori dei mercati; nel
contempo, occorre mutuare l’esperienza degli altri paesi industrializzati che hanno
saputo creare le condizioni per la presenza della Grande Distribuzione
Organizzata nei mercati all’ingrosso.
232
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[email protected], sito web www.usarci.it
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www.fiarcweb.it
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[email protected], sito web www.federagenti.org
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FONDAZIONE ENASARCO – Ente Nazionale Assistenza Agenti e
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Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Milano, Milano, 2000.
Agenti di Commercio – periodico di FNAARC
Notizie Usarci – periodico di SARCI
Interviste
Dott. Luigi Strazzella
Responsabile delle relazioni sindacali
F.N.A.A.R.C.
Federazione Nazionale Associazioni Agenti e Rappresentanti di Commercio
Rag. Tinelli Giuseppe
Assorgenti - Associazione Agenti e Rappresentanti di commercio
Vice presidente della Lega Internazionale del rappresentante di commercio
Giancarlo Bonamenti
Presidente Usarci Mantova e Consigliere nazionale
Unione Sindacati Agenti e Rappresentanti di Commercio Italiani
Dott. Raffaele Gelati
Responsabile organizzativo UNCOM Mantova
Unione del Commercio
Collaborazioni:
A. R. Dionisi
Istituto nazionale di statistica
Direzione centrale per la diffusione dell'informazione statistica
e il supporto alla produzione editoriale
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Glossario
CRM: customer relationship management.
Ce.Di.: Centro di Distribuzione.
Distribuzione organizzata (DO): gruppo strategico (forma aziendale) della
distribuzione organizzata; con gruppo strategico si indica un insieme di imprese
commerciali omogenee sul piano dell’organizzazione, del portafoglio prodotti e
delle politiche di marketing.
EDI: Electronic Date Interchange.
E-procurement: la negoziazione on line.
E-sourcing: la ricerca delle fonti di approvvigionamento e la loro valutazione
comparata on line.
Formato di punto vendita: differenziazione del servizio all’interno di una stessa
forma distributiva (es. i formati dell’ipermercato - forma distributiva - vanno da
2.500 a 10.000 mq).
Grande distribuzione (GD): gruppo strategico (forma aziendale) della grande
distribuzione; con gruppo strategico si indica un insieme di imprese commerciali
omogenee sul piano dell’organizzazione, del portafoglio prodotti e delle politiche
di marketing.
Grande distribuzione organizzata (GDO): l’insieme delle insegne che
costituiscono la distribuzione moderna.
Grocery: alimentari, bevande, articoli per la pulizia della casa e la cura della
persona.
Gruppi di acquisto: forma di associazionismo, in cui l’imprenditorialità origina
dal dettaglio; il centro di distribuzione è posseduto pro-quota dai dettaglianti che
si sono integrati a monte nella funzione di ingrosso.
G.S.S.: Grandi superfici specializzate
Ho.re.ca.: Hotel Restaurant Caffè.
Micromarketing: la strategia di rivolgersi alla clientela specifica di punto vendita
per fare marketing mirato nel messaggio e nelle proposte e, più specificatamente,
la differenziazione dell’assortimento e dei prezzi dei punti vendita di uno stesso
formato in funzione delle caratteristiche della domanda e dell’offerta locale. I
criteri di segmentazione indicati in letteratura sono quelli sociodemografici, quelli
geografici e, più recentemente, quelli legati agli economics della clientela. Questi
ultimi si adattano bene alla distribuzione grocery data l’eterogeneità della base
cliente e il mercato spazialmente determinato di ciascun punto vendita. Il
micromarketing si basa quindi sulla comprensione del diverso contributo della
clientela al profitto, è reso possibile dalle carte commerciali e/o dalla tecnologia
dell’informazione e si manifesta nel fare marketing a ciascun segmento di
clientela in modo più informato rispetto al passato.
Prodotti diretti: tutti quei beni che vengono utilizzati una sola volta nel processo
di produzione o vendita.
Sell out: la vendita in quantità/valore realizzata nei confronti del consumatore, in
contrapposizione con il sell in che misura la vendita in quantità/valore realizzata
dall’Industria nei confronti della Distribuzione.
Trade marketing: l’insieme di azioni che hanno come target i distributori e come
obiettivo la realizzazione di un vantaggio competitivo nel mercato intermedio. Si
tratta in particolare della manovra delle condizioni di vendita e del servizio
industriale a supporto del referenziamento e del posizionamento in shop della
marca industriale.
Unioni volontarie: forma di associazionismo, in cui l’imprenditorialità origina
dall’ingrosso; il centro di distribuzione è posseduto da un singolo imprenditore, ex
grossista, che si è integrato a valle nel dettaglio, sia fornendo servizi aggiuntivi
agli associati, che aprendo punti vendita di proprietà.
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Il commercio all`ingrosso e la funzione dei mercati in Lombardia