cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 65 5 Anatomia patologica e basi molecolari CAPITOLO Francesco Nardi, Luigi Faticanti Scucchi, Davide Lazzereschi, Enrico De Antoni I carcinomi della tiroide originano dalle cellule follicolari e dalle cellule parafollicolari o cellule C. Quelli che originano dalle cellule follicolari sono distinti in carcinomi ben differenziati (papilliferi, follicolari ed a cellule di Hürthle), scarsamente differenziati (insulari) ed indifferenziati o anaplastici; dalle cellule parafollicolari originano invece i carcinomi midollari. I carcinomi a genesi tireocitaria sono nettamente i più frequenti della tiroide (circa il 90%) 71; l’importanza di separare i carcinomi differenziati dagli altri istotipi risiede nel loro comportamento meno aggressivo e nella loro lenta evoluzione, anche se tale comportamento non è sempre uniforme. Carcinoma papillifero Generalità È una neoplasia epiteliale maligna costituita da tireociti e caratterizzata da formazione di papille e/o da peculiari alterazioni dei nuclei 259. È il carcinoma della tiroide di gran lunga più frequente e la sua frequenza relativa è maggiore nelle aree con buon apporto di iodio. È più frequente nel sesso femminile a qualsiasi età, anche se l’incidenza è maggiore dal terzo al quinto decennio; in età pediatrica costituisce più del 90% dei carcinomi della tiroide 261. La relazione tra esposizione a radiazioni ionizzanti e carcinoma papillifero della tiroide è ben documentata 57, 93, 125, 280 , con un intervallo variabile tra esposizione ed insorgenza, come ha dimostrato l’esperienza di Chernobyl, pur essendo classicamente riportato un intervallo medio di 20 anni 48. È descritta una maggiore incidenza del carcinoma papillifero nella tiroidite di Hashimoto, anche se studi di follow-up hanno dimostrato che in pazienti con tiroidite di Hashimoto è il linfoma e non il carcinoma papillifero la neoplasia più frequente 20; l’associazione con la malattia di Graves è tuttora controversa 92, 319. È stata descritta un’associazione tra carcinoma papillifero e Poliposi Adenomatosa Familiare (FAP), sindrome di Cowden, sindrome di Peutz Jeghers ed ataxia-teleangectasia 124, 128. Aspetto macroscopico Le dimensioni sono variabili da microscopiche a diversi centimetri, anche in 65 cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 66 Il carcinoma differenziato della tiroide relazione alle potenzialità ed al ricorso all’ecografia tiroidea, ma in media, al momento della diagnosi, sono tra i due e i tre centimetri 132. La neoplasia può essere unica o multipla, e nella forma tipica appare come una neoformazione bianco-grigiastra, solida, di consistenza dura, con margini chiaramente infiltranti; possono essere presenti calcificazioni ed estese aree di fibrosi. L’aspetto macroscopico può variare in relazione alle varianti istologiche (infra), e pertanto si descrivono anche forme capsulate simili ad adenomi e forme cistiche. La presenza di necrosi, in assenza di un precedente agoaspirato, è evento raro, e deve far pensare ad una neoplasia più aggressiva. Aspetto microscopico I caratteri istologici principali del carcinoma papillifero sono le papille e le alterazioni dei nuclei. Quanto alle prime, nella forma tipica queste si presentano di solito ampiamente ramificate e variamente orientate, con un ben definito asse connettivo-vascolare rivestito dagli elementi epiteliali neoplastici (Fig. 1). La Fig. 1 66 Papille ramificate nel carcinoma papillifero classico presenza di tale asse differenzia le vere papille del carcinoma dalle pseudo-papille formate da pliche epiteliali nell’iperplasia papillare; lo spessore dell’asse può essere variabile e talora appare edematoso o ialino, ovvero infiltrato da linfociti e/o macrofagi con presenza di pigmento emosiderinico. È raro che la neoplasia sia costituita esclusivamente da papille, e di solito sono anche presenti follicoli neoplastici con le caratteristiche alterazioni dei nuclei: la proporzione tra papille e follicoli è variabile da caso a caso, fino a diagnosticare la cd. “variante follicolare”, mentre il termine di “carcinoma misto” non deve essere usato in quanto il comportamento biologico della neoplasia rimane quello del carcinoma papillifero. Per quanto riguarda i nuclei, le loro caratteristiche sono più importanti della presenza delle papille: infatti la diagnosi di carcinoma papillifero si basa sul loro riconoscimento indipendentemente dalla presenza di strutture papillari. Le alterazioni nucleari più significative sono le seguenti: 1) nuclei otticamente chiari o vuoti (“a vetro smerigliato”), di solito di dimensioni superiori a quelli dei tireociti normali e sovrapposti: la cromatina è addensata a ridosso della membrana nucleare, il nucleolo è piccolo e disposto perifericamente (Fig. 2). Tale caratteristica, tuttavia, non è apprezzabile nelle sezioni al criostato e negli strisci citologici, per cui si ritiene che sia un artefatto dovuto alla fissazione o all’inclusione 184. Si noti come i nuclei chiari si ritrovino anche nella tiroidite di Hashimoto 28; 2) solcature (cd. “grooves”) della membrana nucleare, determinate da introflessioni della stessa, di solito più cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 67 Anatomia patologica e basi molecolari plasma all’interno del nucleo e si presentano come strutture rotondeggianti nettamente delimitate, acidofile, facilmente apprezzabili anche nelle sezioni al criostato e nei preparati citologici (Fig. 3): questa alterazione si ritrova anche nel carcinoma midollare e, raramente, in lesioni benigne. Fig. 2 Nuclei chiari e sovrapposti nel carcinoma papillifero classico evidenti dove il nucleo è ovale o allungato (aspetto “a chicco di caffè”). Questo reperto, molto frequente e considerato caratteristico dei carcinomi papilliferi (perché presente anche nelle forme prive di papille), è tuttavia rintracciabile anche in altre lesioni, compresa la tiroidite di Hashimoto, per cui la sola presenza di solcature nucleari non è diagnostica di carcinoma papillifero 284; 3) inclusioni citoplasmatiche nucleari, dette “pseudonucleoli”, che sono costituite da invaginazioni del cito- Fig. 3 Striscio citologico: inclusione citoplasmatica nucleare (pseudonucleolo) suggestiva di carcinoma papillifero Nei carcinomi papilliferi le mitosi sono scarse, e se presenti in numero consistente si deve considerare la possibilità di una forma scarsamente differenziata. Quasi tutti i carcinomi papilliferi presentano aree di sclerosi, sia nelle parti centrali che periferiche della neoplasia. Corpi psammomatosi sono presenti in circa la metà dei casi di carcinoma papillifero e sono costituiti da piccole concrezioni calcifiche sferoidali a struttura lamellare concentrica, localizzate nell’asse delle papille, nello stroma fibroso o tra le cellule neoplastiche (Fig. 4). Il loro reperto ha un alto valore diagnostico in quanto sono così rari nelle altre lesioni tiroidee da dover mettere in allerta il patologo ed indurlo a cercare con attenzione la presenza di un carcinoma papilli- Fig. 4 Presenza di corpi psammomatosi in carcinoma papillifero 67 cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 68 Il carcinoma differenziato della tiroide fero nelle immediate vicinanze 142, 165. Il meccanismo di formazione dei corpi psammomatosi è controverso, ma probabilmente è dovuto a necrosi di cellule neoplastiche, su cui si depositano successivi strati di calcio 60, 154. Circa il 20% dei carcinomi papilliferi presenta aree di metaplasia squamosa e in un quarto dei casi è apprezzabile un’infiltrazione linfocitaria, di solito alla periferia della neoplasia e nello stroma delle papille. Non è chiaro se tale infiltrazione rappresenti una reazione dell’ospite al tumore o il segno di una preesistente tiroidite sulla quale si è sviluppato il tumore 287. Le neoplasie papillifere sono frequentemente multifocali: non vi è accordo se ciò sia l’espressione di un origine multicentrica o di una diffusione precoce intratiroidea per via linfatica, ma è possibile che entrambi i meccanismi siano validi 261. Varianti del carcinoma papillifero Se ne riconoscono un certo numero, le principali sono discusse di seguito. 1) Microcarcinoma papillifero: è indicato anche come carcinoma papillifero occulto o carcinoma sclerosante occulto; secondo la definizione della WHO è una neoplasia papillifera di dimensioni uguali o inferiori al centimetro. È di comune riscontro all’autopsia e in tiroidectomie per lesioni benigne, e la frequenza varia in relazione all’accuratezza con cui viene ricercato 32, 126, 334 : per tale motivo è stato proposto che i tumori inferiori a 5 mm non siano considerati neoplasie 126. Sono state tuttavia riscontrate metastasi linfonodali anche da tumori papilliferi molto piccoli 39, 298, ed è pertanto probabile che in questa variante si 68 nascondano due entità patologiche distinte: la prima, incidentale, la cui prognosi è eccellente 123 ed ha scarso significato clinico; la seconda, più rara, formalmente equivalente ad un “classico” carcinoma papillifero, forse, anzi, più aggressiva. Se tale orientamento verrà confermato, diverrà essenziale individuare dei marcatori differenziali per le due forme, bisognose di ben distinti orientamenti terapeutici. 2) Variante follicolare: la neoplasia è composta interamente o quasi da follicoli, prevalentemente di piccole dimensioni, e la diagnosi è basata sul riconoscimento dei caratteri nucleari del carcinoma papillifero (Fig. 5); possono essere anche presenti corpi psammomatosi e tessuto fibroso o sclerosi alla periferia della neoplasia. Le colorazioni immunoistochimiche sono quelle caratteristiche del carcinoma papillifero e sono utili per differenziare questa neoplasia dagli adenomi e dai carcinomi follicolari; evolutività e prognosi della variante follicolare sono le stesse della forma tipica. Se ne riconoscono inoltre due forme parti- Fig. 5 Variante follicolare del carcinoma papillifero: sono evidenti le alterazioni dei nuclei distintive delle forme papillifere cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 69 Anatomia patologica e basi molecolari Fig. 6 Variante follicolare incapsulata del carcinoma papillifero colari, la follicolare diffusa e la follicolare incapsulata. Nella prima la neoplasia infiltra diffusamente la ghiandola ed è macroscopicamente di difficile riconoscimento 149: in questi pazienti le metastasi linfonodali e a distanza sono più frequenti 296 e la prognosi è peggiore. La seconda è rappresentata da una variante follicolare completamente circondata da una capsula fibrosa (Fig. 6): la prognosi è molto buona e ne va segnalata la difficile differenziazione diagnostica dall’adenoma follicolare, specie quando le alterazioni nucleari proprie del carcinoma papillifero non sono ben chiare 19; per questa forma alcuni autori hanno proposto la denominazione di “tumore ben differenziato ad incerto potenziale maligno” 326. 3) Variante “a cellule alte”: presenta architettura papillare con papille rivestite da cellule con citoplasma acidofilo, la cui altezza è almeno il doppio della larghezza; queste caratteristiche devono essere presenti in almeno metà delle cellule della neoplasia. Al momento della diagnosi il tumore, più frequente nei soggetti anziani, è di solito di gran- di dimensioni (> 6 cm) ed infiltra i tessuti peritiroidei. Le mitosi, la necrosi e l’invasione vascolare sono più frequenti, e la prognosi è peggiore rispetto a quella del carcinoma papillifero tipico. 4) Variante “a cellule colonnari”: è una rara forma di carcinoma papillifero, anch’essa caratterizzata da una cattiva prognosi. La neoplasia ha un’architettura papillare con cellule cilindriche con nuclei ipercromatici, che presentano una caratteristica pseudostratificazione e citoplasma chiaro con vacuoli sottonucleari, con un aspetto che ricorda l’endometrio della fase secretiva iniziale del ciclo mestruale. 5) Variante “sclerosi diffusa”: rara, colpisce prevalentemente bambini e giovani adulti e clinicamente si manifesta con un ingrandimento diffuso della ghiandola che simula una tiroidite. Di solito la neoplasia interessa diffusamente entrambi i lobi con infiltrazione dei vasi linfatici. Coesistono estesa metaplasia squamosa, numerosi corpi psammomatosi, intensa infiltrazione linfocitaria e marcata sclerosi. Il tumore spesso infiltra i tessuti peritiroidei e il decorso clinico della neoplasia è frequentemente caratterizzato dall’insorgenza di metastasi, sia locoregionali sia a distanza. 6) Variante solida: è costituita da nidi solidi di cellule neoplastiche ed è particolarmente frequente nei bambini. È stata descritta nel 30% dei pazienti pediatrici con carcinoma papillifero conseguenti all’incidente nucleare di Chernobyl 104, e deve essere tenuta distinta dal carcinoma insulare e dai carcinomi scarsamente differenziati, in quanto i caratteri dei nuclei sono 69 cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 70 Il carcinoma differenziato della tiroide quelli del carcinoma papillifero. Questa distinzione è di fondamentale importanza, in quanto la prognosi è simile o leggermente peggiore rispetto al carcinoma papillifero tipico, ma decisamente migliore rispetto a quella delle forme scarsamente differenziate. 7) Variante incapsulata: macrosopicamente ha l’aspetto di un adenoma e costituisce l’8-13% dei carcinomi papilliferi 89, 281. È una neoplasia con i caratteri citoarchitetturali del carcinoma papillifero, ma completamente racchiusa in una vera e spessa capsula; l’evoluzione e la prognosi sono simili a quelle del carcinoma papillifero tipico. Altre rare varianti descritte sono quella a cellule ossifile 29, 78, quella a cellule chiare 78, la mixoide 231 e la variante cribriforme-morulare 58. Invasività e metastasi L’infiltrazione dei tessuti peritiroidei è presente in un quarto dei casi clinicamente manifesti 68, 48, 304, mentre l’invasione dei vasi linfatici è frequente, come attestato dall’elevata incidenza delle metastasi linfonodali loco-regionali, soprattutto nei pazienti giovani 20. Esse sono tipiche della storia naturale di questa forma tumorale, costituendo talora la prima manifestazione clinica della malattia, ma questo reperto non ne modifica la prognosi a lungo termine né la stadiazione clinica, almeno se il paziente ha età inferiore ai 45 anni 48, 131, 200, 201. L’aspetto istologico nelle metastasi può essere papillare, follicolare o misto, indipendentemente dalle caratteristiche della neoplasia primitiva. Le metastasi per via ematica sono meno frequenti rispetto alle altre neoplasie della tiroide, es- 70 sendo descritte nel 5-7% dei casi 20, 261: la sede preferita è il polmone, ma anche lo scheletro, l’encefalo e altri organi possono esserne interessati 48, 204. Nel polmone le metastasi possono avere un aspetto micronodulare, visibile solo con l’esame scintigrafico, o macronodulare, già apprezzabile con il normale esame radiologico 138. Fattori prognostici negativi sono rappresentati dall’età avanzata (la mortalità per carcinoma papillifero si ha solo dopo i 45 anni), dal sesso maschile, dalle dimensioni della neoplasia (vi è una correlazione inversa tra dimensioni del tumore e prognosi), dall’infiltrazione extratiroidea, dalla multifocalità, dalla presenza di metastasi a distanza e dall’aneuploidia 290. Il grading non è molto usato, in quanto la stragrande maggioranza (> 95%) dei carcinomi papilliferi sono di grado 1 318; la presenza di aree cellulari solide, mitosi, atipie citologiche e necrosi pone la neoplasia in un grado più elevato, con una prognosi peggiore e problemi di diagnosi differenziale con un carcinoma scarsamente differenziato. Immunoistochimica La letteratura sui marcatori immunoistochimici del carcinoma papillifero della tiroide è molto vasta 9, 251, 260 ma da un punto di vista pratico due sono le situazioni nelle quali l’immunoistochimica è di aiuto nella diagnosi: 1) il reperto di una neoplasia papillifera in un linfonodo o in un’altra sede extratiroidea, laddove è necessario stabilire se l’origine della neoplasia sia tiroidea o meno: in questo caso per affermare l’origine tiroidea è fondamentale la positività per la ti- cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 71 Anatomia patologica e basi molecolari reoglobulina e/o il TTF1 (Thyroid Transcription Factor-1), un fattore trascrizionale rilevante ai fini del differenziamento embrionario della ghiandola 91, seppure a espressione non esclusivamente tiroidea 229; 2) la diagnosi differenziale tra carcinoma papillifero ed altre lesioni, benigne e maligne, della tiroide: a questo proposito non esiste purtroppo un marcatore immunoistochimico che assicuri una diagnosi certa, ma piuttosto un profilo del carcinoma papillifero diverso da quello della tiroide normale, delle neoplasie follicolari e dell’iperplasia nodulare papillare. Il pannello di anticorpi maggiormente usato è costituito dalla citocheratina 19 (CK19), dall’antigene HBME-1 e dalla galectina-3 15, 24, 62, 137, 192, 211, 256, 262, 264, 314 , nessuno dei quali però è specifico in assoluto né diagnostico se utilizzato da solo, dal momento che possono essere positivi anche in alcune lesioni benigne. La determinazione immunoistochimica della proteina di fusione ret/PTC, ancorché specifica per i carcinomi papilliferi (infra), non è tuttavia utilizzabile quale marcatore assoluto, perché l’immunoreattività per ret è presente solo in una percentuale di casi e la sensibilità degli anticorpi utilizzabili non è ancora ottimale 56, 62, 193, 254. Aspetti molecolari e genetici Questo gruppo di tumori mostra un’alterazione genetica caratterizzante, la cui identificazione e studio è un vanto della ricerca italiana. Essa riguarda un oncogene, il recettore transmembrasna tirosino-chinasico ret, 33, 119 non espresso sui tireociti normali ed invece coinvolto nel differenziamento neuro-endocrino periferico (è difatti espresso anche sulle cellule C) ed in quello renale 13, 234 quale ligando del GDNF (Glial cell line-Derived Neurotrophic Factor) 80, 311. Due subunità recettoriali di proteine ret legano con variabile affinità i quattro componenti della famiglia di ligandi del GDNF (collettivamente noti come GFL, da GDNF Family Ligand) 3, 44, i quali sono a loro volta “presentati” ai recettori complessati con una proteina ancillare 308 , GFRa, legata ai fosfoinositoli di membrana e nota in quattro sottotipi 312, 186 . La dimerizzazione recettoriale attiva la proprietà autofosforilante delle rispettive tirosino-chinasi e dà inizio alla catena di segnalazione intracellulare. Le differenti fosfo-tirosine (P-Tyr) formatesi fungono infatti da siti leganti con specificità di posizione per una serie di proteine citoplasmatiche 8, 187, 272, 276, tutte contenenti il dominio SH2 (da Src Homology domain type 2, così detto perché individuato per primo nel prodotto dell’oncogene Src: consiste in una sequenza di amminoacidi conservati conformati spazialmente per interagire selettivamente con le tirosine fosforilate). Tra di esse si annoverano Grb7 e Grb10 (riconoscono P-Tyr905) 236, 237, Fosfolipasi Cg (riconosce P-Tyr1015) 35, c-Src (riconosce P-Tyr981) 85, 206, mentre Shp2 74, Shc 7, 34, 210, IRS-1 e IRS-2 136, 207, FRS2 174, 208, Enigma 81, 82 e DOK-1, DOK-4 e DOK-5 120, 216 interagiscono tutte con P-Tyr1062, il sito che ha il maggior potenziale di stimolazione della replicazione cellulare 133, 268. Più a valle, queste molecole vanno a coinvolgere i segnali dipendenti dalle cascate ras/raf/MAPK e da PI-3K/Akt 31, 46, 155, 286, 328 , dalle quali dipende la trascrizione nucleare dei geni bersaglio. Collocato in posizione 10q11.2, il gene ret è oggetto di un’inversione paracentrica o di tra- 71 cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 72 Il carcinoma differenziato della tiroide slocazioni con altri cromosomi, il cui comune risultato è costruire un gene di fusione, noto come ret/PTC (quest’ultimo è acronimo proprio per Papillary Thyroid Cancer) 33, 79, 119, 153, 270, 276, 303, che possiede al COOH-terminale la regione codificante per il dominio tirosino-chinasico di ret ed all’estremo 5’ le sequenze dei domini di dimerizzazione di differenti proteine citoplasmatiche 292. Attualmente sono descritte dodici varianti di fusione, le prime tre – e più comuni – rispettivamente con i loci codificanti per H4/D10S170 239, 307, per PKA-RIa (la subunità regolatrice della proteina chinasi A) 177 , e per ELE1, (codifica un coattivatore nucleare in grado di associare ed inibire il recettore PPARg, pur esso a diverso titolo coinvolto nella tumorigenesi tiroidea) 271, 167. Tutti questi riarrangiamenti esitano in tirosino-chinasi chimeriche disancorate dalla membrana, a localizzazione citoplasmatica, capaci, tramite dimerizzazione costitutiva (e non più regolata dal ligando come nella controparte normale), di esprimere il segnale di ret in una cellula – il tireocita – che ne è normalmente priva, stimolando oltre soglia – fuori luogo e fuori tempo – la risposta proliferativa ret-dipendente 246, 140, 270 , che è mediata da proteine espresse anche nei tireociti (tra cui per certo la catena delle MAPK). Si noti come il meccanismo oncogeno sopra delineato sia affatto differente da quello che vede coinvolta, su base mutazionale puntiforme, la stessa proteina nella genesi del carcinoma midollare della tiroide (infra). La costituzione di ret/PTC è considerata un evento specifico e precoce nella differenziazione carcinomatosa di tipo papillifero 105, 303, 320, ed il suo ruolo patogenetico è confermato sperimentalmente dall’insorgenza di carcinomi papilliferi in topi transgenici per questo 72 oncogene 274: è da segnalare tuttavia che ret/PTC è stato individuato anche in isole di tiroidite di Hashimoto con caratteri citologici atipici, considerate in effetti da molti anatomo-patologi quali potenziali aree a rischio di successiva trasformazione neoplastica 225. I vari riarrangiamenti di ret appaiono strettamente legati all’esposizione, locale o generalizzata, alle radiazioni 223: lo dimostra l’incidenza elevata di ret/PTC3 negli individui che hanno sviluppato cancro papillifero della tiroide successivamente all’incidente nucleare di Chernobyl 305 e l’individuazione dei riarrangiamenti di ret/PTC, eccettuati ret/PTC1 (che possiede comunque uno spettro epidemiologico più ampio) 94 e ret/PTC3, solo in casi insorti dopo esposizione a radiazioni 36, 84, 166, 167, 222, 223. Alcuni aspetti fenotipici sembrano peraltro associare a determinate varianti di ret/PTC: ret/PTC3 è più frequente nelle varianti solida ed “a cellule alte” del papillifero 23, 243, 305, mentre ret/PTC1 caratterizza l’aspetto classico e la variante sclerosante diffusa 223. È infine stata descritta, proprio nei pazienti ucraini con carcinoma papillifero, una maggior aggressività a livello di coinvolgimento linfonodale ed una più precoce metastatizzazione nei portatori del riarrangiamento ret/PTC 305 rispetto ai casi che manifestano ret/PTC1, cui corrisponderebbe – questo anche nelle forme sporadiche – un comportamento clinico più indolente ed una crescita più lenta 223, 294, 297, 301 . L’insieme delle forme di fusione ascrivibili a ret/PTC rende conto del 20% dei casi di carcinoma papillifero, ma vi sono disomogeneità anche estreme fra le casistiche pubblicate (dal 5% all’80%), che possono riflettere differenze razziali o da esposizione ambientale nella suscettibilità al carcinoma papillifero 217, 293. Un altro 5-10% di carcino- cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 73 Anatomia patologica e basi molecolari mi papilliferi presenta attivazione costitutiva a seguito di traslocazioni o inversioni del gene NTRK1, che mappa all’1q21 e codifica un’altra tirosin-chinasi, TrkA, appartenente alla famiglia dei recettori dell’NGF (Nerve Growth Factor) 26, 240: siffatta modalità di trasformazione è ritenuta funzionalmente equivalente a quella dipendente da ret/PTC 102. Un terzo gene candidato è stato recentemente individuato in un’ampia porzione di carcinomi papilliferi, dal 30 al 50% secondo le varie casistiche: si tratta di B-raf 67, 103, 332, che mappa al 7q e codifica per una delle isoforme della proteina raf, un intermedio chiave della via del segnale delle MAPK e non solo 324, 109. La mutazione puntiforme V600E (già indicata nei primi lavori come V599E, per un errore nella sequenza nucleotidica pubblicata del gene B-raf, con il salto d’una tripletta, N.d.R.), dovuta alla transizione T1799A o più raramente a quella TG17991800AA (precedentemente T1796A e TG1796-1797AA, supra), amplifica e sostiene il segnale di B-raf, andando a stimolare pesantemente una via almeno parzialmente comune a quella indotta dai recettori tirosino-chinasici riarrangiati e dalle mutazioni dell’oncogene ras, che coprono di per sé un ulteriore 310% di casi 64, 181, 316. L’espressione sotto promotore tessuto-specifico della mutazione B-raf in topi transgenici determina lo sviluppo di carcinomi papilliferi con tendenza ad un’evoluzione più aggressiva e a un minor grado di differenziazione 168. La frequenza di questa mutazione risulta maggiore nei carcinomi sporadici insorti in età adulta 247 e non correla con una storia d’esposizione a radiazioni, né è più comune negli individui soggetti al fall out radioattivo di Chernobyl 172, 244. Si va affermando l’ipo- tesi che un’unica via di segnale leghi i recettori tirosino-chinasici, ras e B-raf 209, 213, 232 e che le alterazioni genetiche di questi elementi siano per uso mutuamente esclusive nell’oncogenesi tireocitaria 67, 169, 295. Altri meccanismi trasformanti a carico dell’oncogene B-raf sono un’inserzione GTT dopo il nucleotide 1795 che porta al mutante V599Ins 54, una più rara mutazione K601E 309, 310, l’amplificazione genica del 7q (66, 67) e un’inversione paracentrica interna al cromosoma 7 conseguente all’esposizione a radiazioni, che comporta la generazione d’una proteina di fusione Braf/AKAP9 65, 67. Questa elimina la porzione auto-inibitoria NH2-terminale di B-raf ed acquisisce un’inedita capacità dimerizzante grazie alla presenza della porzione iniziale di AKAP-9 (A Kinase Anchor Protein-9), una proteina che serve alla localizzazione subcellulare della protein chinasi A (PKA), essenziale nella traduzione del segnale c-AMP-dipendente 65. L’attivazione di B-raf presenta una più stretta associazione con il fenotipo “classico” di carcinoma papillifero e con la variante “a cellule alte” 67, ma l’averla individuata in alcuni casi di carcinoma scarsamente differenziato od anaplastico assieme alla più tipica mutazione di p53 ha dato forza all’ipotesi che le forme indifferenziate possano anche evolvere dai carcinomi papilliferi, oltre che da quelli follicolari, o insorgere de novo come tali 67, 226, 249. È stata altresì proposta una correlazione tra la presenza di mutazione di B-raf e prognosi peggiore o comunque presenza di recidive e metastasi linfonodali, nonché uno staging più avanzato alla diagnosi 317, 330. Così come per la presenza di ret/PTC, infine, anche le mutazioni di B-raf sono state accertate in casi di tiroidite di Hashimoto, ma solo in presenza di evidenti 73 cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 74 Il carcinoma differenziato della tiroide caratteri, anche focali, di carcinoma papillifero associato 161. Va comunque osservato come nessuna delle citate anomalie geniche risulti però direttamente responsabile del peculiare aspetto istologico del carcinoma papillifero, se si esclude l’affermato ruolo di ret/PTC nel condizionare la presenza delle solcature nucleari 96, 97; d’altronde l’espressione di ret/PTC risulta in grado di alterare la differenziazione tireocitaria agendo su fattori trascrizionali tiroide-specifici, quali Pax-8 e TTF-1 77. Altri prodotti genici, in verità, manifestano un’alterazione dell’espressione e della loro localizzazione cellulare, che sembrano tipici dei carcinomi papilliferi: fra questi si citano l’iperespressione nucleare della ciclina D1 159, 179, la sequestrazione citoplasmatica inibitoria e/o la degradazione di p27/Kip1 (inibitore del complesso di fase G1 ciclina D1-D3/CDK4-CDK6) 215, 321 e infine la mutazione somatica (tipica della rara variante cribriforme-morulare del papillifero) e la rilocalizzazione nel citoplasma (rispetto alla collocazione essenzialmente peri-membranacea che le è propria nelle cellule normali) della beta-catenina 1, 106, 146, 331, la cui anomalia è altresì ben attestata nei carcinomi anaplastici 107 e che potrebbe pure essere responsabile delle tipiche inclusioni nucleari, vista la sua capacità d’interazione con il citoscheletro 255. Di rilievo risulta essere anche la riduzione quantitativa del segnale inibitorio e differenziante TGF-b-dipendente, tramite l’ipoespressione del recettore di tipo II (TbRII) 178: l’importanza per i carcinomi tiroidei di sfuggire al controllo negativo del TGF-b esce peraltro rafforzata da recenti evidenze di mutazioni somatiche del gene SMAD4/DPC-4, codificante per uno dei trasduttori citoplasmatici di tale segnale 180. 74 Carcinoma follicolare Generalità È una neoplasia epiteliale maligna costituita da tireociti e caratterizzata da formazione di strutture follicolari, variabili per dimensioni e grado di organizzazione. In tale definizione rientrerebbero peraltro neoplasie con differente morfologia, e soprattutto diversa storia naturale: vanno pertanto considerate entità distinte la variante follicolare del carcinoma papillifero (supra), il carcinoma a cellule di Hürthle, il carcinoma insulare, che può rappresentare una forma scarsamente differenziata del carcinoma follicolare, e il rarissimo carcinoma misto midollare-follicolare 261. Il vero carcinoma follicolare è un’entità relativamente rara, comprendente circa il 5% dei carcinomi della tiroide 101, 325, ma nelle regioni con deficienza di iodio la frequenza relativa aumenta fino a un valore tra il 25% e il 40% 325. Come il carcinoma papillifero, è prevalente nel sesso femminile, ma l’età media della diagnosi è superiore di circa 10 anni 175. Si presenta di solito come un nodulo unico, “freddo”, clinicamente apprezzabile (a differenza del carcinoma papillifero è eccezionale la forma occulta); in base alla estensione dell’infiltrazione è stato distinto in una forma minimamente invasiva o capsulata e una ampiamente invasiva. Carcinoma follicolare minimamente invasivo Aspetto macroscopico È simile a quello dell’adenoma follicolare: appare come una formazione nodulare, cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 75 Anatomia patologica e basi molecolari Fig. 7 Carcinoma follicolare minimamente invasivo; la neoplasia è capsulata e macroscopicamente indistinguibile dall’adenoma capsulata, di grandezza variabile ma di solito superiore al centimetro, di colorito grigiastro, solida, che fa ernia sulla superficie di taglio. Come nell’adenoma possono essere presenti fenomeni emorragici, necrosi e degenerazione cistica. La capsula ha uno spessore maggiore ed è più irregolare rispetto a quella dell’adenoma (Fig. 7). Aspetti microscopici Sono anch’essi simili a quelli dell’adenoma follicolare, anche se gli istotipi trabecolare e microfollicolare prevalgono nettamente su quello normo- e macro-follicolare e le mitosi sono di solito più numerose; la chiave diagnostica risiede nella dimostrazione dell’infiltrazione della capsula e/o dei vasi venosi, e richiede un’accurata ricerca da parte del patologo dopo inclusione in paraffina dell’intero nodulo. Appare evidente che la diagnosi di certezza è esclusivamente istopatologica, non essendo la citologia mediante agoaspirazione (FNA) utile nella diagnosi differenziale di queste neoplasie rispetto alle proliferazioni iperplastiche e neo- plastiche benigne. Anche l’esame istologico intra-operatorio è di scarsa utilità perché raramente riesce a dimostrare l’infiltrazione della capsula e/o dei vasi ed il pericolo di una diagnosi falsa positiva è più dannoso per il paziente che il procrastinare quella definitiva 20. Non c’è completo accordo sulla definizione del grado di invasione della capsula: per alcuni è sufficiente la sola infiltrazione, senza superamento, della stessa 101, 176, ma la maggioranza dei patologi concorda che la capsula debba essere completamente attraversata dalla neoplasia 135, 259. La neoplasia, superata la capsula, non infiltra la tiroide, ma si espande “a fungo” ed è rivestita da una nuova capsula, cosicché in sezioni tangenziali si può avere l’aspetto di un nodulo satellite separato dal nodulo principale ed è necessario dimostrare la rottura della capsula con sezioni seriate. Un altro problema è rappresentato dalle rotture capsulari determinate dall’agoaspirazione: la presenza di pigmento emosiderinico e di tessuto di granulazione reattivo permette di interpretare correttamente la lesione. Appare pertanto evidente la necessità di esaminare accuratamente con numerosi prelievi le lesioni follicolari capsulate della tiroide. Per i casi nei quali il superamento della capsula è di incerta interpretazione, alcuni patologi hanno proposto di denominare tumori follicolari di incerto potenziale maligno quei tumori che non presentano le alterazioni nucleari tipiche del carcinoma papillifero, e tumori ben differenziati di incerto potenziale maligno quei tumori nei quali le alterazioni dei nuclei sono di incerta interpretazione perfino nei confronti di una forma papillifera 295. L’invasione vascolare è considerata un segno ancor più significativo di malignità dell’invasione capsulare 259: i vasi coinvolti devono essere di tipo venoso e localizzati nella capsula o immediatamente al- 75 cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 76 Il carcinoma differenziato della tiroide croscopico, con capsula spesso non più evidenziabile. L’aspetto microscopico è simile a quello del carcinoma minimamente invasivo, ma spesso sono presenti aree solide, numerose mitosi e necrosi, con un quadro istologico che sfuma con quello del carcinoma scarsamente differenziato. Invasività e metastasi Fig. 8 Invasione vascolare in un carcinoma follicolare minimamente invasivo l’esterno di essa, e non situarsi nel contesto della neoplasia. Le cellule neoplastiche all’interno del lume debbono essere attaccate alla parete come un trombo e possono essere rivestite da endotelio (Fig. 8) 101; gruppi di cellule epiteliali libere nel lume possono essere il risultato di un artefatto e non debbono essere valutate. In casi dubbi può essere utile ricorrere a colorazioni immunoistochimiche per le cellule endoteliali come il CD31 e il FattoreVIII-Von Willebrand. Alcuni autori ritengono che i tumori con invasione vasale debbano essere tenuti distinti da quelli con sola invasione capsulare perché hanno una maggiore probabilità di recidive e metastasi, e hanno proposto di chiamarli carcinomi follicolari angioinvasivi 20, riservando la denominazione di carcinoma follicolare minimamente invasivo a quelle neoplasie con la sola invasione capsulare. Carcinoma follicolare ampiamente invasivo Aspetti macro- e microscopici Sono carcinomi rari, facilmente diagnosticabili sia a livello macroscopico che mi- 76 Le metastasi si realizzano per via ematica e sono localizzate più frequentemente ai polmoni ed allo scheletro, dove di solito sono osteolitiche. Queste ultime sono talora la prima manifestazione della malattia e spesso sono così ben differenziate da somigliare alla tiroide normale (i vecchi anatomopatologi parlavano in questi casi di “gozzo metastatizzante”). La buona differenziazione è anche dimostrata dall’elevata capacità di captare lo iodio radioattivo, utilizzata sia a fini diagnostici che terapeutici. Le metastasi ai linfonodi latero-cervicali sono rare, tanto che in tali casi si deve prima escludere la possibilità di una variante follicolare del carcinoma papillifero. La prognosi è eccellente per i carcinomi minimamente invasivi, visto che le metastasi a distanza sono rare, essendo presenti nel 5% dei casi con evidenza di invasione vascolare e in meno dell’1% dei casi di quelli con la sola invasione capsulare 45, 116, 144, 306, 313. Nei carcinomi ampiamente invasivi invece le metastasi sono frequenti e la mortalità è solo di poco inferiore a quella dei carcinomi scarsamente differenziati 259. Immunoistochimica I carcinomi follicolari sono positivi alla tireoglobulina, al TTF1 91 e alle citocheratine a basso peso molecolare, e in ge- cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 77 Anatomia patologica e basi molecolari nere hanno una reattività ai marker immunoistochimici simile a quella degli adenomi 327. I risultati sull’immuno-reattività ad HBME e CK-19 sono contrastanti, poiché alcuni autori hanno riportato una loro positività nei carcinomi follicolari e non negli adenomi 197, 211, ma il dato è stato confutato da altri, che hanno descritto una più frequente negatività di questi marcatori nei carcinomi follicolari 47, 147, 251. La reclamata capacità della galectina-3 di distinguere specificamente le forme maligne dalle benigne, e quindi di essere il candidato ideale alla identificazione dei carcinomi dagli adenomi follicolari 21, 69, 73, 189, 228, dopo concordi dati incoraggianti, è attualmente sotto attenta e critica rivalutazione 22, 148, 195, 205, per quanto non le si possa negare una più che discreta specificità per le forme maligne della tiroide 55. Al momento attuale non esiste dunque un marcatore in grado di distinguere con sicurezza le neoplasie follicolari maligne dalle benigne, ma una combinazione di marcatori è in grado di rafforzare l’orientamento diagnostico 9, 76, 252, 260. Alterazioni genetiche e molecolari A tutt’oggi è scarsamente nota la serie di alterazioni genetiche che marca l’evoluzione da adenoma follicolare a carcinoma follicolare prima minimamente e poi ampiamente invasivo 224. Un ruolo discriminante è stato attribuito ai geni della famiglia ras 169, le cui mutazioni sono state descritte in circa il 50% dei carcinomi follicolari, le più specifiche essendo a carico di K-ras ed N-ras, con la comune mutazione Q61R 88, 156, 233, 316, mentre la medesima alterazione in H-ras appare caratteristica di tumori follicolari insorti in aree di deficienza iodica 288; K-ras, per parte sua, risulta in specie mutato in pazienti esposti a radiazioni 59, 329. Poiché però la frequenza di tali alterazioni varia tra le differenti casistiche 90 ed esse sono state descritte anche nel 20% degli adenomi follicolari, soprattutto le mutazioni del codone 12 di H-ras 37, 38, 181, 182, 218, 219, 221 , la loro pretesa specificità nel marcare il fenotipo maligno o addirittura la progressione neoplastica 108, 214 è stata messa seriamente in dubbio; d’altronde tale dato contribuisce a giustificare la scelta dell’approccio chirurgico ai fini della definitiva diagnosi istopatologica. Recentemente è stata descritta una traslocazione t(2;3) (q13;p25), che è presente in circa 1/3 dei casi di carcinoma follicolare 83, 171 – e occasionalmente negli adenomi e nei carcinomi papilliferi variante follicolare 55, 194 –, ed è apparentemente alternativa alle mutazioni di ras 227: il suo prodotto genico è noto come PPFP (da PAX8PPAR gamma Fusion Protein) 113. Questa traslocazione giustappone parti dei loci codificanti per PAX8, un omeogene essenziale per lo sviluppo embrionario della tiroide, e per PPAR-g1 (Peroxisome Proliferation Activated Receptor-g1), un recettore nucleare coinvolto nella generale regolazione della differenziazione cellulare 66, 171. Ne deriva una proteina di fusione la cui attività trasformante è ancora sotto indagine, ma che sembra dotata di proprietà dominanti-negative rispetto alle controparti normali (esattamente come per il prodotto della traslocazione PML-RARg nelle leucemie mieloidi) 12, 118, con conseguente attivazione del segnale NF-kappaB e della trascrizione di ciclina D1 157, ma anche inibizione d’un regolatore negativo del segnale ras-dipendente, NORE-1A 99. La stabilizzazione di PPAR-g tramite agonisti farmacologici potrebbe rallentare il decorso delle neoplasie follicolari e rappre- 77 cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 78 Il carcinoma differenziato della tiroide sentare un’opzione terapeutica per i carcinomi anaplastici che ne derivano 203. Ancora ignota è infine la base genetica della trasformazione di alcuni carcinomi follicolari in scarsamente differenziati prima ed in anaplastici poi, per quanto sia generalmente accettato il ruolo dell’inattivazione del gene p53, sia in assenza che in presenza di altre mutazioni nei geni precedentemente citati 221. Carcinoma a cellule di Hürthle (oncocitario) Generalità Alcuni autori non lo considerano un’entità nosologica distinta 134, ma la maggioranza ritiene ormai che gli aspetti macroe microscopici, il comportamento biologico e i caratteri molecolari e genetici giustifichino una trattazione separata 20, 259, 300 . Le cellule di Hürthle (termini sinonimici sono oncociti, cellule di Askenazy, cellule ossifile) sono cellule con ampio citoplasma eosinofilo granulare, voluminoso nucleo centrale e nucleolo prominente; l’esame ultrastrutturale ha dimostrato che la granulosità del citoplasma è dovuta a numerosi mitocondri, grandi e irregolari, che riempiono il citoplasma. Le cellule di Hürthle si ritrovano in numerose condizioni neoplastiche (sia carcinomi follicolari che papilliferi) e non neoplastiche, dal gozzo nodulare alla tiroidite cronica linfocitaria, e non sono pertanto specifiche di alcuna lesione; lesioni nodulari costituite da cellule di Hürthle sono di frequente iperplastiche e insorgono nel contesto di gozzi adenomatosi o tiroiditi croniche 16, 158. Ciononostante è individuabile un certo numero 78 di lesioni nodulari a cellule di Hürthle omogenee, generalmente capsulate, che rispettano i criteri descrittivi delle neoplasie differenziate tiroidee, e che possono essere macro- e microscopicamente classificate come adenomi o carcinomi a cellule di Hürthle a sé stanti. Aspetti macro- e microscopici Le neoplasie oncocitarie hanno nella maggior parte dei casi una architettura follicolare, e per la diagnosi di benignità o malignità si applicano gli stessi criteri istologici delle proliferazioni neoplastiche follicolari, cioè la ricerca dell’invasione capsulare e/o vascolare 16, 43. Va notato tuttavia che mentre meno del 5% delle neoplasie follicolari presenta invasione, questa è presente nel 30-40% delle neoplasie a cellule di Hürthle; inoltre, nel 30% dei carcinomi a cellule di Hürthle si hanno metastasi linfonodali, a differenza di quanto osservato per il carcinoma follicolare tipico 43, 323. Microscopicamente, i carcinomi a cellule di Hürthle sono solidi, spesso capsulati, di colore rosso mogano, e come i carcinomi follicolari possono andare incontro a emorragie, sclerosi centrale e degenerazione cistica; si può avere infarto esteso a seguito di manovre di agoaspirazione 17, 188. L’aspetto microscopico può essere follicolare, con strutture di dimensione variabile, trabecolare o papillare, ma sempre con l’uniforme presenza delle tipiche cellule ossifile; le atipie citologiche, le mitosi, la multinucleazione non sono indice di malignità, e l’unico criterio è rappresentato dalla dimostrazione dell’invasione della capsula e/o dei vasi, in assenza del quale la neoplasia deve essere considerata benigna. Per i casi in cui i criteri di malignità siano dubbi è cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 79 Anatomia patologica e basi molecolari stata proposta la dizione di neoplasia a cellule di Hürthle a malignità indefinita o di adenoma atipico a cellule di Hürthle 258, dato che in genere queste neoplasie si comportano come adenomi 87. Invasività e metastasi Le metastasi sono più frequenti per via ematica ai polmoni ed allo scheletro rispetto all’estensione ai linfonodi laterocervicali. I carcinomi a cellule di Hürthle metastatici sono neoplasie più aggressive e la sopravvivenza a 5 anni è riportata tra l’80% e il 60% 122, 129. Fattori prognostici negativi sono considerati l’età avanzata, le dimensioni della neoplasia, l’infiltrazione extratiroidea e le metastasi 261; anche la ploidia è importante, visto che i carcinomi aneuploidi si comportano in maniera più aggressiva di quelli diploidi 42. Immunoistochimica Queste neoplasie mostrano altresì positività per TTF-1 25, per l’HBME 322, seppur incostantemente, ed è stato proposto l’impiego della Galectina 3 per differenziare i carcinomi dagli adenomi, ma il dato necessita ulteriori conferme 220, 322. Aspetti molecolari e genetici La caratterizzazione genica non ha ancora offerto risposte allo sviluppo del fenotipo specifico di iperplasia mitocondriale delle cellule di Hürthle 95, 129, né alla distinzione tra forme benigne e maligne o a legami patogenetici più stretti con le altre forme differenziate follicolari o papillifere 61, 63, 227, tranne il rilievo d’una maggior frequenza delle mutazioni di H-ras 38, 278 e d’una più elevata incidenza di aneuploidia (peraltro connessa ad un fenotipo più aggressivo) in questo gruppo di neoplasie 302. Per quanto concerne il caratterizzante elevato contenuto in mitocondri, si ritiene che possa sottendere un’alterazione dei meccanismi regolatori della replicazione del DNA mitocondriale 257, 277: da citare in tal senso la più ampia presenza di delezioni comuni di tale materiale genetico e il polimorfismo del gene per l’ATPasi 6, coinvolto proprio nella regolazione della stabilità di questo corredo “minore” 198, così come la recente individuazione in tumori a cellule di Hürthle di mutazioni del gene nucleare GRIM-19, il cui prodotto è coinvolto nella regolazione del metabolismo mitocondriale (in quanto parte del complesso I della catena respiratoria, la NADH: ubiquinone ossidoreduttasi) e dell’apoptosi indotta dall’Interferone beta e dall’acido retinoico 199. Carcinoma midollare Generalità Il carcinoma midollare è una neoplasia neuro-endocrina che deriva dalle cellule parafollicolari o cellule C della tiroide, a loro volta migrate nel contesto della ghiandola durante la differenziazione embrionaria a partire dalle creste neurali. Costituisce circa il 10% di tutti i tumori maligni della tiroide 263, 291 e tende a mantenere la secrezione ormonale di calcitonina. La maggioranza di questi carcinomi è sporadica, ma circa il 20% di essi è ereditario e si trasmette come carattere autosomico dominante, come parte di alcune note sindromi familiari. La forma sporadica si manifesta 79 cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 80 Il carcinoma differenziato della tiroide in media intorno ai 50 anni, mentre la forma familiare può manifestarsi già dall’età infantile, e in media all’età di circa 20 anni 4, 291. Nella forma sporadica si manifesta prevalentemente nel sesso femminile, mentre in quella familiare non vi è differenza tra i due sessi. La maggior parte dei pazienti si presenta con un nodulo tiroideo di consistenza dura e talora è presente una sintomatologia determinata dalla produzione di ormoni diversi dalla calcitonina come ACTH, VIP, serotonina (comunque tutti prodotti da cellule del sistema APUD); l’ipocalcemia, invece, non è un sintomo rilevante, nonostante gli alti livelli di calcitonina secreta. Le forme familiari si manifestano nel contesto di neoplasie endocrine multiple (MEN) e in particolare di una MEN di tipo 2A (o sindrome di Sipple) dove sono associate a iperplasia e/o adenoma delle paratiroidi e a feocromocitoma, e di una MEN tipo 2B, dove sono associate a feocromocitoma, ganglioneuromi cutanei e delle mucose ed anomalie scheletriche di tipo marfanoide. Alcuni casi ad andamento familiare manifestano questo carcinoma come unica neoplasia non associata a sindrome MEN (FMTC, carcinoma midollare familiare della tiroide). Aspetto macroscopico Nella forma sporadica la neoplasia è unica, di solito localizzata nel terzo medio o superioriore del lobo, dove maggiore è la concentrazione di cellule C. Nelle forme familiari le neoplasie sono spesso multiple e bilaterali e costantemente associate ad iperplasia delle cellule C, caratteristica importante che le differenzia dalle forme sporadiche. Le 80 dimensioni sono variabili, e anche se ben delimitati i noduli, di solito, non sono capsulati. Quando le dimensioni sono inferiori al centimetro si parla di microcarcinoma midollare e, di solito, tumori di queste dimensioni fanno parte dei quadri familiari. Il colore varia dal roseo-biancastro al rosso-marrone, e nei tumori di maggiori dimensioni sono frequenti necrosi, emorragie e calcificazioni. Aspetto microscopico Il carcinoma midollare è costituito da cellule rotonde, poligonali o fusate con citoplasma finemente granulare, che formano nidi o trabecole separate da stroma variamente espresso. I nuclei sono rotondi o ovali, uniformi e talora con “pseudonucleoli” simili a quelli del carcinoma papillifero, ed è bassa l’attività mitotica; possono però anche osservarsi cellule isolate con nuclei grandi, polimorfi e multipli. Caratteristica, ma non sempre presente (75% dei casi), è la deposizione di amiloide nello stroma, che si evidenzia con le tipiche colorazioni (positività al Rosso Congo, birifrangenza verde all’esame a luce polarizzata) e deriva da frammenti alterati di calcitonina o del suo precursore, secreti in ampia quantità nello stroma e ivi soggetti all’azione di proteasi tissutali, con l’assunzione d’una conformazione a beta-foglietto da parte della porzione non digerita, precipitazione di questa nello stroma, nucleazione in aggregati e successiva frequente precipitazione di sali di calcio sugli stessi. Sono descritte numerose varianti istologiche del carcinoma midollare: la variante papillare è rara e si differenzia dal tipico carcinoma papillifero per le ca- cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 81 Anatomia patologica e basi molecolari ratteristiche dei nuclei, mentre la variante follicolare, anch’essa rara, deve essere differenziata dai follicoli tiroidei normali intrappolati nel contesto della neoplasia; la variante capsulata, un tempo detta “adenoma a cellule C”, ha una prognosi migliore rispetto a quella del tipico carcinoma midollare, mentre la variante a piccole cellule ha un aspetto istologico simile al microcitoma del polmone, dal quale deve essere differenziata; la variante a cellule giganti presenta problemi di diagnosi differenziale con il carcinoma anaplastico che ha comunque una prognosi peggiore, laddove le varianti a cellule oncocitarie ed a cellule chiare debbono essere differenziate dalle forme corrispondenti originate dai tireociti. Invasività e metastasi Le metastasi linfonodali sono frequenti e quelle a distanza sono presenti nel 1525% dei pazienti 20, localizzate soprattutto ai polmoni, al fegato e allo scheletro. Esse sono più frequenti nelle forme sporadiche e nelle forme familiari associate alla MEN2B rispetto alla forma familiare associata alla MEN2A che è caratterizzata dunque da prognosi migliore. La prognosi è essenzialmente legata allo stadio della neoplasia 114, 250: pazienti con tumori confinati alla tiroide senza metastasi hanno un lungo periodo di sopravvivenza. Fattori prognostici positivi sono anche l’età giovanile, il sesso femminile, la familiarità 27, 64, 263, 282. Gli aspetti istologici correlati con una cattiva prognosi sono la presenza di necrosi, un elevato numero di mitosi e la variante a piccole cellule, mentre le forme capsulate con abbondante amiloide hanno un andamento indolente. Immunoistochimica Il carcinoma midollare è in genere positivo per la calcitonina, per il Calcitonin Gene-Related Peptide (CGRP) e per vari marcatori di specificità neuro-endocrina, tra cui in particolare la cromogranina 127, considerato marker più sensibile della calcitonina stessa – non sempre espressa 259 –, l’enolasi neuronespecifica (NSE), la somatostatina e i suoi recettori e la sinaptofisina 235. Molti tumori sono positivi anche per il CEA, che risulta elevato anche nel siero dei pazienti. Alcuni tumori poi, in particolare la variante a piccole cellule, perdono la capacità di secernere calcitonina mentre mantengono la produzione di CEA: ridotti livelli serici di calcitonina in presenza di CEA elevato sono segno di particolare aggressività della neoplasia 259. Le colorazioni immunoistochimiche sono di ovvio aiuto in tutti i casi che necessitino di diagnosi differenziale rispetto alle altre forme a primitività tiroidea 260. Aspetti molecolari e genetici I carcinomi midollari ereditari si caratterizzano per una serie di mutazioni puntiformi attivanti del gene ret 2, 238, 275, a localizzazione diversa a seconda delle differenti manifestazioni patologiche delle sindromi connesse (MEN2A, MEN2B, FMTC), ma tutte in grado di magnificarne lo stimolo proliferativo 40, 86, 143 , che si esercita su un tipo cellulare normalmente responsivo al segnale GDNF/ret-dipendente 3, 80, 308. I pochi casi di MEN2 dove non si è evidenziata mutazione di ret si ritiene celino alterazioni del promotore o di posizioni introniche rilevanti per la maturazione 81 cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 82 Il carcinoma differenziato della tiroide del suo trascritto e per il livello d’espressione della proteina, ovvero possano essere legate a modificati livelli del suo ligando, il GDNF, o del corecettore GFRa4 315. Le mutazioni di ret, tutte germinali dominanti e a elevata penetranza – c.d. gain of function –, tendono a raccogliersi in siti preferenziali differenti a seconda della sindrome clinica 2, 170, 187, 196, 242, 273, comportando profili d’espressione genica distinti. Si rammenti anche che mutazioni, questa volta inattivanti, di ret sono responsabili della malattia di Hirschsprung, caratterizzata da megacolon congenito per difetto di differenziazione del sistema neuro-enterico e da difetti nell’organogenesi renale 10. La MEN2A presenta nell’85% dei casi la mutazione C634R (statisticamente correlata anche alla presenza di feocromocitoma), parte di uno dei sei codoni cisteinici (posizioni 609, 611, 618, 620, 630 e 634, codificati negli esoni 10 e 11) della regione regolatoria della dimerizzazione recettoriale prossima al dominio trans-membrana. Ne consegue un’attivazione costitutiva della coppia recettoriale, perché la rimozione di queste cisteine rende le altre disponibili per ponti covalenti inter-recettoriali (invece di stabilire legami intramolecolari) e stabilizza così l’interazione dei recettori stessi, anche in assenza del ligando 117, 241, 45, 108, 283. La MEN2B, a sua volta, si accompagna nella massima parte dei casi alla mutazione M918T (e meno frequentemente alla A883F), con il risultato di una diversa specificità nel substrato citoplasmatico di segnalazione: l’esito è un’iperstimolazione del segnale proliferativo ma soprattutto di quello di resistenza all’apoptosi 152, 190, 269, 273, 286. La mutazione M918T è patogeneticamente responsabile del fenotipo di maggiore 82 aggressività della MEN2B 41. Anche i casi di FMTC si associano a mutazioni nelle due regioni citate, per quanto distribuendosi su uno spettro più ampio di posizioni, con alterazione quali- o quantitativa dei segnali post-recettoriali (per il dominio chinasico si attestano in specie E768D, V804L/M, e meno di frequente L790F, Y791F e S891A) 112, 150, 183, 241, 299 . Ultima conferma del potere trasformante conferito a queste due regioni è l’osservazione che anche nei carcinomi midollari sporadici le mutazioni di ret più spesso incontrate, per quanto a livello somatico (cioè nel solo tessuto tumorale), sono la E768D, la V804L/M e la M918T, che danno conto del 50% delle alterazioni complessive 30, 160, 279 . Da segnalare che la possibile compresenza delle mutazioni germinali, pur se dominanti, e della perdita dell’allele normale, dell’amplificazione di quello mutato a più copie o altre distinte mutazioni somatiche sul cromosoma omologo può modificare lo spettro delle manifestazioni cliniche delle diverse sindromi o la loro età d’insorgenza, rivelando un inaspettato “effetto dose” di ret 140, 141, 151, 248. Del pari, alcuni polimorfismi dello stesso gene sono in grado di modulare il fenotipo patologico della mutazione vera e propria 191. La stretta dipendenza delle sindromi poliendocrine neoplastiche e dei carcinomi midollari dalle mutazioni puntiformi di ret ha aperto altresì la strada alla ricerca farmaco-genomica, conducendo alla sintesi di potenziali inibitori di questa tirosino-chinasi 246. Questi, sulla falsariga dei più noti imatinib (usato nel trattamento delle leucemie mieloidi croniche con il riarrangiamento BCR-ABL e nelle neoplasie stromali del tratto gastroenterico, i c.d. GIST, con mutazioni dei recettori c-Kit e PDGFR) e gefinitib (usato cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 83 Anatomia patologica e basi molecolari nella terapia adiuvante degli adenocarcinomi polmonari con mutazioni dell’EGFR), possono bloccare l’attività chinasica di ret. Si citano due composti pirazolo-pirimidinici, PP1 e PP2, che competono, a dosaggio nanomolare, con l’ATP, di cui impediscono il legame a ret e favoriscono la distruzione per via proteasomica della proteina 49, 50, 53, e l’antiquinazolinico ZD6474 (l’IC50 nell’inibire ret è 100nM), dotato anche di attività antiangiogenetica e in sperimentazione clinica di fase I 51. Citologia La citologia per agoaspirato con ago sottile (FNA) della tiroide è considerata un metodo sicuro e affidabile, ed è diventato parte integrante della valutazione diagnostica del nodulo tiroideo. La metodica è rapida, il costo è basso, e il rischio di complicazioni è minimo, pressoché ridotto alla formazione di un piccolo ematoma. Il rapporto costo/beneficio è così favorevole che l’esame citologico viene proposto come prima indagine nell’iter diagnostico della patologia nodulare della tiroide. La sensibilità e la specificità del metodo sono riportate in varie casistiche come superiori al 90% 6, 72, 111, 253, ma per ottenere ottimi risultati è necessario che la metodica sia eseguita con rigore da personale esperto 164, 265: in queste condizioni, in alcune istituzioni ospedaliere si è dimezzato il numero dei pazienti sottoposti a intervento chirurgico e si è raddoppiata l’incidenza delle diagnosi istologiche di malignità 11, 14. È bene ricordare infatti che lo scopo principale della citologia tiroidea è quello di selezionare tra i pazienti con noduli tiroidei quelli da avviare all’intervento chirurgico 110. Per motivi di praticità è stato proposto di raggruppare le diagnosi citologiche in categorie diagnostiche che prevedano una condotta clinica omogenea: la British Thyroid Association (BTA) ha proposto cinque categorie diagnostiche 121, altre linee guida ne prevedono quattro 5, 71. Le categorie proposte dalla BTA sono non diagnostico, non neoplastico, lesione follicolare, lesione sospetta, lesione maligna; coloro che utilizzano invece quattro categorie riuniscono le categorie lesione follicolare e lesione sospetta nell’unica di lesione sospetta o indeterminata. Nel 710% dei casi gli strisci sono inadeguati, o per artefatti tecnici, o perché troppo ematici o per insufficiente cellularità (categoria non diagnostico). Non vi è accordo sulla definizione di adeguata cellularità, criterio molto soggettivo, sebbene si sia proposto come discriminante la presenza di almeno sei gruppi di tireociti contenenti dieci o più cellule ciascuno 115. È importante ricordare che i campioni inadeguati non devono essere considerati negativi ed è opportuno ripetere l’agoaspirato 121. La percentuale di malignità negli strisci inadeguati è riportata tra l’1 e il 2%, ma sale al 10% se si hanno ripetuti inadeguati 202. Particolare attenzione deve essere dedicata alle cisti, che sovente danno luogo a strisci inadeguati, e nelle quali il rischio di malignità è riportato intorno al 4%, percentuale che aumenta in caso di cisti recidivanti 164. Nonostante la ripetizione dell’aspirato, circa il 5% dei noduli rimane non diagnostico: tali noduli dovrebbero comunque essere escissi e verificati istologicamente 5 . La diagnosi citologica compresa nella categoria non neoplastico è la più frequente, e include il nodulo colloide, la tiroidite linfocitaria, la tiroidite granulomatosa e le cisti benigne. Questi pazienti devono essere seguiti per evitare il ri- 83 cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 84 Il carcinoma differenziato della tiroide schio, sia pure basso, di diagnosi false negative 52, 333 ed è opportuno ripetere l’agoaspirato a distanza di sei mesi 121. La categoria lesione follicolare comprende tutte le lesioni follicolari, cioè i noduli iperplastici nei gozzi adenomatosi, l’iperplasia adenomatosa, gli adenomi follicolari, i carcinomi follicolari ben differenziati, la variante follicolare del carcinoma papillifero e anche tutte le lesioni follicolari a cellule di Hürthle. Questa categoria costituisce circa il 20% dei referti citologici e rappresenta la cosiddetta “zona grigia” della citologia tiroidea, in quanto la diagnosi poggia esclusivamente su criteri istologici e per diagnosticare il carcinoma follicolare bisogna comunque dimostrare l’infiltrazione della capsula e dei vasi capsulari (supra): questo è un limite intrinseco della metodica e prescinde dall’esperienza e abilità del patologo. L’incidenza di carcinomi ben differenziati in questa categoria è riportata tra il 15 e il 22% 18, 173, 185. Curiosamente, in questa categoria è inclusa anche la variante follicolare del carcinoma papillifero, la cui diagnosi si basa essenzialmente sui caratteri citologici dei nuclei, ma non di rado questi caratteri non sono ben apprezzabili e non è possibile una diagnosi citologica sicura. Il quadro citologico delle lesioni follicolari è costituito da colloide scarsa o assente, mentre la cellularità è abbondante ed è rappresentata da gruppi micro-follicolari o sinciziali di tireociti con aspetto uniforme. Per ridurre il numero di lesioni benigne inviate all’intervento chirurgico sono stati proposti numerosi marcatori immunocitochimici di malignità 130, 255, tra i quali la galectina-3, risultata in alcuni studi applicabile anche alla citologia quale affidabile marcatore in grado di distinguere le lesioni benigne dalle maligne 21, 70, 145, 230, 266, 267; il dato è tuttavia con- 84 troverso 162, 212 e non esiste dunque al momento attuale un marcatore sicuro per superare il limite del solo approccio descrittivo alla lesione proliferativa follicolare 52, 255, 333: è stato per questo proposto l’uso d’un pannello di reagenti 267. La BTA ritiene che i casi incerti debbano venire discussi dal chirurgo insieme all’endocrinologo e al patologo per decidere la condotta terapeutica più appropriata 121, mentre altre linee guida 5, 71 suggeriscono l’emitiroidectomia, senza eseguire esame istologico intra-operatorio. La categoria di lesioni sospette di malignità include un limitato numero di casi nei quali i caratteri citologici sono sospetti ma non diagnostici per carcinoma papillifero, midollare o anaplastico oppure per linfoma. In questi casi per i carcinomi differenziati è indicato l’intervento chirurgico con esame istologico intraoperatorio. La categoria di lesione diagnostica di malignità comprende i carcinomi papillifero, midollare e anaplastico, e i linfomi e i carcinomi metastatici; qui l’indicazione chirurgica per i carcinomi differenziati, a meno di controindicazioni specifiche, è ovvia. Quando la diagnosi citologica di carcinoma papillifero è sicura, non è necessario l’esame istologico intra-operatorio: del resto il quadro citologico è caratteristico, pur non essendo determinato da un unico carattere citologico ma da una combinazione di caratteri. Gli strisci, di solito, sono molto cellulati, possono essere presenti, ma non necessariamente, strutture papillari, e pressoché costanti sono le alterazioni dei nuclei rappresentate dalle solcature (grooves) e dalle inclusionioni citoplasmatiche (pseudonucleoli) (Fig. 2). È bene tuttavia ricordare che le solcature dei nuclei sono state descritte nel 40% delle lesioni non papillifere 75, 100, 289, e gli pseudonucleoli sono stati descritti anche cap_05_DeAntoni 12-09-2006 18:17 Pagina 85 Anatomia patologica e basi molecolari nelle neoplasie follicolari e a cellule di Hürthle 100, e più frequentemente nei carcinomi midollari 163, 164. Altri caratteri che aiutano nella diagnosi citologica di carcinoma papillifero sono l’aspetto denso del citoplasma, la presenza di corpi psammomatosi e l’identificazione di cellule giganti multinucleate. Il carcinoma midollare è caratterizzato da un abbondante cellularità, le cellule hanno una scarsa coesività e una morfologia variabile, sono rotondeggianti, poligonali o fusate, e talora l’aspetto è plasmocitoide, con nucleo situato alla periferia, mentre altre volte prevale il polimorfismo cellulare; in alcune cellule è evidente una fine granulia citoplasmatica che si evidenzia con la colorazione di Romanowsky 98, 335, e possono essere presenti inclusioni citoplasmatiche nei nuclei. L’amiloide appare come una sostanza incolore nei preparati allestititi con Papanicolaou e di colore viola con il MayGrunwald-Giemsa; la colorazione immunocitochimica per la calcitonina è altamente specifica. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. Abbosh PH, Nephew KP. 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