#RESHORING …E SE LA FABBRICA TORNASSE IN ITALIA? CLETO SAGRIPANTI, PRESIDENTE ASSOCALZATURIFICI: “LA PRODUZIONE AGILE CHE SEMBRA IMPORSI SUL MERCATO OGGI SEMBRA FATTA SU MISURA PER LA NOSTRA FILIERA, I NOSTRI DISTRETTI, IL NOSTRO MODO DI FARE IMPRESA” “Il 2014 si è aperto con un’inversione di rotta rispetto ai buoni risultati del 2013: continuiamo ad essere sulle montagne russe - afferma il presidente di Assocalzaturifici Cleto Sagripanti. Produzione ed esportazione quest’anno mostrano dinamiche meno brillanti, segno che la competitività delle nostre imprese non basta. Ora serve un cambio nel sistema competitivo del Paese e oggi ci sono i presupposti perché si sfruttino appieno i nostri vantaggi competitivi. Ora o mai più”. Mostra preoccupazione la consueta relazione sullo stato di salute del settore calzaturiero italiano, presentata oggi durante l’Assemblea annuale di Assocalzaturifici a Milano, ma anche grande fiducia nelle opportunità che sembrano profilarsi all’orizzonte. Opportunità concrete e già visibili, come spiega il presidente di Assocalzaturifici, Cleto Sagripanti. La situazione congiunturale del settore, così come è stata presentata attraverso i dati dell’ufficio studi di Assocalzaturifici, mostra una situazione duale sotto molti aspetti. Il 2013 si è chiuso con una sostanziale tenuta del comparto sui livelli dell’anno precedente, ma solo grazie alle esportazioni. I consumi interni hanno registrato una flessione che, per intensità, non trova riscontri analoghi nella serie storica dell’ultimo ventennio. In totale sono stati esportati 219,8 milioni di paia (+2,6%) per un valore di circa 8,1 miliardi di euro (ennesimo record, +5,7%). I consumi interni per contro hanno registrato cali consistenti sia in volume (-4,7%) sia in valore (-4,3%) ed in particolare i soli consumi delle famiglie italiane hanno registrato cali del 6% e del 5,8% rispettivamente. Grazie al volano dell’export, la produzione nazionale – pari a 202,1 milioni di paia (+1,8%), per 7,5 miliardi di euro (+4,9%) – ha chiuso con un lieve incremento che, pur non recuperando i livelli del 2008, ha permesso almeno di superare la soglia simbolica dei 200 milioni di paia. Per il 2014 la situazione non sembra cambiare: mercato domestico totalmente fermo, ma le esportazioni non riescono da sole a compensare il continuo prosciugamento dei consumi interni. Il trend della produzione è tornato quindi in negativo almeno in relazione ai volumi prodotti: il campione di Ufficio stampa e comunicazione Italia Diomedea Via Biondelli 9, 20141 Milano, Italia Tel. +39 02 89546251 - Fax +39 02 8466743 [email protected] Segreteria Ufficio Stampa Assocalzaturifici Via Monte Rosa, 21 I-20149 Milano Tel. +39 02 43829.1 – Fax +39 02 48005833 [email protected] www.assocalzaturifici.it associati monitorato dall’Ufficio studi di Assocalzaturifici indica una riduzione media nel primo trimestre 2014 dello 0,3% in volume. Combinando tale risultato con le dinamiche di prezzo segnalate dalle aziende, è possibile stimare un incremento della produzione in valore attorno all’1,5%. “Nonostante una situazione da cui continuamente emergono la competitività delle nostre imprese e la fragilità del nostro sistema Paese – prosegue il presidente Sagripanti - stiamo assistendo ad una chiara inversione di tendenza sul mercato mondiale delle calzature e sulla filiera internazionale della subfornitura. La crescita del mercato interno cinese, assecondato dalle nuove politiche economiche della dirigenza del Partito, è ormai interpretata da molti economisti come un punto di svolta. La Cina sarà sempre di più un mercato su cui andare a vendere e sempre meno solo la fabbrica del mondo. Ciò non solo per ragioni di prezzo, ma anche perché il mercato mondiale richiede un tipo di filiera produttiva diversa dal passato”. I dati dicono che la produzione cinese di calzature tra il 2010 e il 2012 è cresciuta del 6%, equivalente a circa 703 milioni di paia. Di questa crescita solo il 20% è uscito dal Paese, mentre il restante 80% è andato a incrementare la domanda interna. Nel 2010 la Cina esportava il 79% della produzione nazionale; nel 2012 solo 76 scarpe su 100 prodotte sono uscite dai confini nazionali. È solo colpa dell’abbassamento della domanda mondiale? No. Si incomincia a intravedere un’inversione di tendenza che sta a testimoniare un primo cambiamento degli assetti mondiali in termini di vantaggi competitivi e un re-indirizzamento del made in China dall’Europa ai confini nazionali. “La produzione quindi potrebbe tornare nei Paesi Occidentali – precisa Sagripanti - ma ciò deve avvenire a due condizioni fondamentali. La finanza deve smettere i panni del creatore di ricchezza virtuale: i derivati hanno aiutato a far crescere i profitti ma hanno inserito un virus nell’economia mondiale. La politica economica europea deve cambiare strutturalmente, sia quella commerciale che quella industriale. Relativamente alla prima ricordiamo la battaglia, ancora in corso, per l’obbligatorietà dell’etichettatura di origine. Abbiamo ottenuto successi importanti, con l’affermazione che la stragrande maggioranza dei rappresentanti europei è a favore, ma non abbiamo ancora vinto la guerra. Questa non è più una vicenda che riguarda i lobbisti, ma rappresenta il simbolo concreto di quale visione vogliamo dare all’Europa”. “È significativo – continua il presidente - che a 15 anni di distanza dall’affermazione del modello Wimbledon di Blair sia ancora un Primo Ministro inglese, Cameron, a marcare una svolta quando sostiene che la Gran Bretagna deve far tornare la manifattura entro i confini nazionali. Ci permettiamo di osservare che una parte dell’Europa era già convinta della necessità di non deindustrializzare, come invece si è cercato di fare nell’ultimo ventennio con risultati che stanno sotto gli occhi di tutti: rispetto al 2008, la produzione manifatturiera europea ha perso il 12,4%. In Italia nei primi tre mesi del 2014 nel settore calzaturiero, componentistica inclusa, abbiamo perso lo stesso numero di addetti (circa 1.400) che nell’intero 2013”. Eppure i dati ci dicono che il fenomeno della ri-allocazione della manifattura è iniziato. Il network universitario italiano Uni-CLUB MoRe ha evidenziato che il nostro Paese risulta al secondo posto per numero di imprese che hanno deciso di far rientrare la produzione nel paese di origine, dietro agli Stati Uniti e davanti alla Germania. Delle 194 riallocazioni produttive europee in tutti i settori analizzate nella ricerca il 41% è italiano, solo il 20% è tedesco. Tra tutte le riallocazioni internazionali considerate a livello mondiale (426) l’abbigliamento e le calzature rappresentano il 21% e sono il primo settore davanti all’elettronica (15%) e alla meccanica (13%). “Non siamo di fronte soltanto ad uno spostamento di produzione legato a vantaggi competitivi di breve periodo – spiega il presidente Sagripanti non sono solo i costi del lavoro e dell’energia, le variazioni della produttività e dei tassi di cambio ad essere rilevanti. Perché su quelli purtroppo il nostro Paese e in generale l’Europa non è competitiva. Basti ricordare che rispetto al dollaro noi perdiamo circa 15 punti di competitività di costo nei confronti della moneta cinese negli ultimi dieci anni. La politica monetaria e di cambio in Europa è andata nella direzione opposta dal riportare la manifattura in Italia”. In realtà, dicono i dati, sta cambiando il modo di pensare la supply chain. La fornitura snella (lean production) con la riduzione sistematica delle scorte e del magazzino attraverso il collegamento del momento della vendita con quello della produzione e dell’approvvigionamento, non è più sufficiente. Perché imprevedibilità e variabilità del mercato sono tali che la filiera lunga finisce per entrare in crisi. “Diventa allora di nuovo utile una filiera, come quella italiana, capace di essere agile; capace cioè di rendere industriale un prodotto artigianale, trasformare un prodotto unico in una serie vendibile a costi industriali afferma Sagripanti. Ed è proprio grazie alla sua manifattura a rete, la manifattura dei distretti, e alla agilità che ne deriva, che la filiera italiana torna ad essere ancora più competitiva. I numeri sottolineano ancora di più la necessità di valorizzare e tutelare l’eccellenza manifatturiera del calzaturiero italiano; l’etichettatura di origine obbligatoria è un modo per favorire la trasparenza verso il consumatore ma anche la possibilità per l’impresa di utilizzare questo elemento come primo fattore del proprio story telling sul prodotto. Deve essere interpretato in questo senso anche l’accordo per l’ingresso del comparto degli accessori per calzature in Assocalzaturifici. Si rafforzerà così la nostra strategia di filiera per il settore”. “Il nostro successo, la capacità di salire su questo treno che ci passa accanto, non sarà determinato solo dalle caratteristiche favorevoli della nostra filiera, del nostro sistema imprenditoriale, del nostro saper fare manifatturiero – precisa il presidente. Occorre anche che la politica industriale italiana, al pari passo con quella europea, liberi finalmente le imprese dai mille vincoli in cui sono oggi imbrigliate”. Il settore calzaturiero italiano esporta l’85% della produzione, e nel 2013 l’export è cresciuto del 5,7% in valore raggiungendo gli 8,1 miliardi di euro (contro un +2,6% in quantità e 219,8 milioni di paia) e il saldo commerciale è stato pari a 4,2 miliardi di euro, un ammontare che vale quanto l’IMU delle famiglie; un valore, quello del saldo, che aumenta a doppia cifra dal 2010. “Analizzando questi dati, oggi non è in dubbio l’Europa, ma l’idea che abbiamo dell’Europa – sottolinea Sagripanti. La politica commerciale condotta fino ad oggi deve lasciare lo spazio ad una nuova strategia della reciprocità. Non si può pensare di classificare alcune industrie come “terzomondiste” e per questo destinarle a essere pura merce di scambio, come è stato fatto negli anni ’90. Se quelle industrie ti portano ricchezza, costituiscono la tua spina dorsale industriale, esportano lo stile italiano nel mondo, le devi difendere chiedendo eque condizioni di scambio. In questa reciprocità ci deve stare un cambio di passo: il made in non è un capriccio di qualche imprenditore ma è una esigenza”. Analogamente occorre una svolta in Italia. In un quadro generale che oggi sembra a noi più favorevole che nel passato, non bisogna fare l’errore di pensare che il nostro Paese sia automaticamente coinvolto da questo apparente cambio di scenario. Il deficit competitivo che il Sistema Paese paga in termini di burocrazia, costi energetici, oneri e rigidità del lavoro, sistema di tassazione elevatissimo e che disincentiva il lavoro e il lavoro ad alta professionalità, è ancora troppo alto. “Abbiamo bisogno di una politica industriale che non rinneghi le nostre peculiarità italiane ma anzi le trasformi in opportunità - afferma il presidente. Piccola impresa e distretti, lo si è capito, non sono da rinnegare, ma anzi sono la nostra forza. Una legge ad hoc che aiuti i distretti, i mini-bond per sviluppare le nostre PMI, i bond di distretto per finanziare le reti di filiera nei territori. Sono tutti strumenti necessari e utili. Abbiamo inoltre necessità che si riconosca la nostra innovazione, che non è brevettabile ma non per questo è di secondo livello. Quella innovazione che almeno quattro volte l’anno permette di presentare prodotti nuovi al mercato, porta all’Italia tanta ricchezza attraverso le esportazioni. Perché disconoscerla? Aiutiamo anzi le imprese ad investire in questa ricerca attraverso campionari sempre più mirati e riconosciamo che questo costo è un investimento e non una spesa”. Ciò che manca realmente al nostro Paese e all’Europa è una visione chiara di cosa vuol essere la manifattura italiana e europea. “Più di tutto - conclude il presidente di Assocalzaturifici Cleto Sagripanti abbiamo bisogno di velocità e visione: una visione del mondo più adeguata al nostro Paese e non influenzata da slogan esterofili che poco si adattano alla realtà italiana. Troppo tempo siamo stati fermi; oggi bisogna fare, bisogna cambiare. Anche sapendo che si può sbagliare, ma bisogna correre perché il nostro orizzonte è breve se non brevissimo. Abbiamo, del resto, una base solidissima su cui costruire un altro periodo di sviluppo per le nostre aziende, di benessere per i nostri lavoratori e per le nostre famiglie, di crescita e valorizzazione dei nostri meravigliosi territori. Possiamo ancora costruire un solido futuro per il nostro Paese, ma dobbiamo lavorare tutti nella stessa direzione. Insieme.” Milano, 6 giugno 2014