ASSOCALZATURIFICI – SAGRIPANTI: LE CALZATURE
ITALIANE A RISCHIO TRIPLE-DIP
Siamo vicini al triple-dip del ciclo economico delle calzature? È su questo
interrogativo che si focalizzano le indagini dell’ufficio studi di Assocalzaturifici,
l’Associazione che rappresenta a livello nazionale le imprese calzaturiere.
Dopo la crisi della fine del 2008, che aveva portato la produzione sotto la soglia
critica delle 200 milioni di paia prodotte in Italia (198 milioni nel 2009), il settore
aveva iniziato un lento ma progressivo recupero, che aveva avuto una battuta di
arresto nel 2012 ritornando in basso alla soglia critica (198,5 milioni paia) e
facendo segnare un secondo scalino negativo (il double-dip settoriale).
Il 2013, grazie soprattutto alla crescita delle esportazioni extra-Ue, aveva di
nuovo riportato oltre quota 200 milioni, ma oggi i dati mostrano che vi
sono seri rischi che il recupero si arresti nuovamente per un terzo
sforamento verso il basso nel 2014.
VOLUME DI PRODUZIONE CALZATURIERA ITALIANA 2008-2014
Fonte: Ufficio Studi Assocalzaturifici – 2014* proiezioni su variazione 9 mesi
“I dati riferiti al terzo trimestre 2014 confermano le dinamiche non
pienamente positive emerse nel primo semestre - afferma Cleto Sagripanti,
presidente Assocalzaturifici. La domanda è debole su alcuni mercati esteri e in
contrazione in Italia. Per molte aziende questo significa avere portfolio ordini
molto volatili e discontinui, con rischi elevati sul fronte del credito. Da qui nasce il
timore del triple-dip, un’ulteriore battuta d’arresto sul recupero intrapreso verso i
livelli del 2008 pre-crisi”.
Sul fronte estero quindi continuano ad emergere i dati più confortanti, ma
anche quelli che in prospettiva preoccupano maggiormente. I primi otto
mesi dell’anno, gli ultimi dati disponibili di Istat, elaborati dall’ufficio studi di
Assocalzaturifici, vedono le esportazioni in sostanziale stagnazione (-0,1% in
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quantità), ma con un aumento in termini di valore (+3,9%) grazie all’incremento
dei prezzi medi di vendita (+4%). Si è raggiunta la quota di 154,4 milioni di paia
di vendite estere, ovvero circa 110mila paia in meno rispetto a gennaio-agosto
2013 e al di sotto di 9 milioni di paia rispetto ai livelli del 2008.
“Questi dati ci preoccupano – prosegue Sagripanti – anche se ci mantengono
ancora uno dei settori che contribuisce maggiormente al saldo commerciale attivo
italiano: nei primi 8 mesi il saldo settoriale è risultato in attivo per 2.941
milioni di euro, con un aumento dell’1,8% sul corrispondente periodo 2013.
Ciononostante alcuni paesi extra-UE hanno avuto performance negative e la
considerazione che questa componente è stata, negli anni passati, quella più
positiva per le nostre vendite estere, non ci fa stare tranquilli”.
In termini di Paesi e aree geografiche, si evidenziano tre macro-trend:
una sostanziale tenuta delle esportazioni nella UE, seppure con casi molto
differenti tra loro, un raffreddamento della crescita nel Far East e un
importante rallentamento nell’area dell’Europa Orientale.
In tutti e tre questi trend, tuttavia, emergono situazioni differenziate.
In Europa ad esempio, considerando la UE a 28 Paesi (+0,8% in quantità e +5,5%
in valore nell’insieme) si osserva la tenuta di Francia e Germania, i nostri principali
mercati (entrambe +2,5% circa in volume), ma anche la flessione nei Paesi Bassi
(-10,4% in quantità) e il recupero nel Regno Unito (+5,5%). In crescita anche la
Spagna (+5,5%), che arresta così le erosioni dell’ultimo triennio.
Trend negativi, invece, nell’Europa Orientale e in particolare nei Paesi della
Comunità Stati Indipendenti, con cali a doppia cifra: -17,5% complessivo in
volume e -21,4% in valore, dove Russia (-22,2% in valore), Ucraina (-29,4%) e
Kazakistan (-14%) rappresentano l’apice di questa crisi. Pesante il
contraccolpo sul portafoglio ordini di molte aziende del settore e in particolare
nelle Marche, dove la Russia è il principale Paese di sbocco.
Se gli Stati Uniti continuano a premiare le scarpe italiane (+12% in valore per il
nostro terzo mercato) insieme al Medio Oriente (+7,6% in quantità e +13% in
valore), il Far East mostra invece andamenti meno brillanti rispetto agli scorsi anni
(+8,2% in valore complessivamente ma –0,4% in volume). Ciò è dovuto
soprattutto alla crisi giapponese (-5,3% valore e -5,6% nelle paia), mentre
l’aggregato Cina+Hong Kong si è confermato il nostro settimo mercato di
destinazione in valore.
“La situazione delle esportazioni ci preoccupa soprattutto perché alcuni Paesi,
nostri clienti storici, come Russia, Ucraina e Giappone, stanno subendo una crisi
economica che non potrà non avere riflessi sulle nostre aziende – precisa il
presidente. Prima che altri Paesi prendano il loro posto ci vorrà del tempo e da qui
nasce il vero rischio di questa nuova contrazione che sembra profilarsi
all’orizzonte”.
Sul fronte della produzione, l’indagine di Assocalzaturifici su un campione di
aziende associate evidenzia, infatti, per il cumulato dei primi 9 mesi, una
contrazione media del 2,3% in termini reali; che potrebbe comportare, a
consuntivo 2014, una nuova discesa dell’output sotto la soglia dei 200 milioni di
paia. Un quadro non omogeneo tra le imprese, ma comunque nel complesso
sfavorevole: circa la metà delle imprese interpellate (52%) ha lamentato un
decremento nei livelli produttivi, mentre per un’impresa su quattro (26%) la
produzione è risultata in aumento.
“Un dato oggi ci sembra significativo: le esportazioni nonostante tutto stanno
confermando quanto le nostre produzioni siano competitive – afferma il
presidente Sagripanti. Nonostante il gap di costi con cui ci confrontiamo, buyers
e consumatori hanno ancora una forte attrazione per il vero made-in-Italy.
Del resto, la ricerca ISPO del prof. Mannheimer, recentemente commissionata
dall’Associazione, ci conferma che i consumatori associano al prodotto italiano
l’idea di un prodotto sostenibile sia dal punto di vista sociale (paghe eque per i
lavoratori) sia ambientale (rispetto delle norme sull’ambiente e non nocive al
consumatore). Ma su questo punto l’Europa ci sta ancora penalizzando, in
particolare sulla legge per l’etichettatura di origine obbligatoria: un
provvedimento indispensabile per tutelare i consumatori dell’area europea, l’unica
al mondo dove ancora non vige un regolamento in questo senso”.
Dopo il voto largamente favorevole al Made in del Parlamento Europeo lo scorso
aprile, la normativa è ora nelle mani del Consiglio Europeo, che lo scorso 4
dicembre sì è pronunciato rimandando la risoluzione dopo uno studio d’impatto.
“L’ultimo decisivo appuntamento durante la presidenza europea dell’Italia dello
scorso 4 dicembre al Consiglio Competitività si è concluso in un nulla di fatto e
nell’ennesimo rinvio – afferma il presidente di Assocalzaturifici Cleto
Sagripanti. Ci attendevamo molto dal semestre di presidenza europea
dell’Italia e siamo molto delusi dal Ministro Guidi, Presidente di turno
dell’ultimo Consiglio Competitività, che ha rinviato ogni sviluppo agli esiti di uno
studio tecnico sui costi e benefici della norma, che giungeranno a questo punto
oltre la scadenza della presidenza di turno italiana. Abbiamo fatto davvero tanto
insieme a Confindustria per far sentire la nostra voce in difesa della manifattura;
le Istituzioni, invece, non hanno saputo far altro che annunciare vaghe promesse e
rimandare il problema: davvero troppo poco considerando che la posta in gioco
sono migliaia di posti di lavoro e il futuro della manifattura europea”.
“Una delle obiezioni che ci sentiamo contrapporre dagli Stati contrari è il costo per
le imprese di apporre l’etichetta di origine - continua Sagripanti. Si tratta di un
altro modo per prendere tempo. Abbiamo già fatto un’indagine tra le imprese
calzaturiere che già appongono questa etichetta: il 36,1% ha dichiarato di non
avere costi aggiuntivi mentre un ulteriore 31,3% ha dichiarato costi inferiori ai
dieci centesimi di euro. Per gli Stati europei che si oppongono e per quei pochi
parlamentari che si sono pronunciati a sfavore, la consapevolezza dei consumatori,
la loro salute e la salute dell’ambiente valgono meno di 10 centesimi di euro!”
In termini congiunturali, ai problemi sui mercati dell’Est Europeo si
sommano quelli, cronici, del mercato interno. Dopo la frenata subìta nel 2013
(-6% in volume e -5,8% in spesa), i consumi interni fanno registrare ancora un
record negativo: gli acquisti delle famiglie italiane sono scesi del 3,5% in quantità
e addirittura del 6,7% in spesa, con prezzi medi in ribasso del 3,3%; prezzi
condizionati dal fatto che sconti/svendite/saldi mantengono un peso superiore al
50% sulle vendite complessive. Ciononostante si assiste ad un risveglio delle
importazioni (+8,3% in volume e +6,2% in valore, con un -2% nel prezzo medio),
mostrando un ulteriore aumento della pressione competitiva sul mercato
domestico in uno scenario già molto penalizzante per le imprese italiane.
“Ci stiamo preparando ad un nuovo scenario competitivo - sostiene il
presidente Sagripanti. Come già è stato nella prima crisi della fine del 2008, le
imprese si sapranno attrezzare per queste nuove sfide, come hanno già
fatto in questi anni. Solo così si spiega la nostra competitività sui mercati esteri.
Ma oggi la partita si fa sempre più complessa e richiede sforzi e investimenti che
non tutte le imprese possono fare. Per questo abbiamo lanciato l’idea di un
credito di imposta al 50% per le spese di innovazione in termini di processo
e servizio sui canali web. Oggi made-in-Italy non significa solo produrre in
Italia, ma anche far percepire al consumatore questo valore e quindi offrire
un servizio. Il web e i social network sono strumenti di comunicazione per gli
operatori della filiera e di dialogo con i consumatori. Sono imprescindibili ed è per
questo che dobbiamo lanciare un piano di digitalizzazione del settore ideato e
attuato pensando alle nostre realtà di piccole medie imprese”.
Sempre per promuovere le attività di ricerca e sviluppo, l’Associazione chiede
inoltre di defiscalizzare gli investimenti per il rinnovo delle collezioni e la
realizzazione del campionario, che costituiscono due elementi fondamentali per
un comparto che fa della creatività la leva del proprio successo.
Prosegue anche il progetto con Monte dei Paschi di Siena per offrire un “credito di
filiera garantito” a imprese calzaturiere sane che rilancino le produzioni
interessando direttamente tutta la filiera della subfornitura.
La situazione congiunturale si è riflessa anche sulle dinamiche occupazionali e
sulla natalità/mortalità delle imprese anche se, come è ovvio, si registra su
questi indicatori un ritardo di 6/12 mesi dopo che appaiono i primi segnali di crisi.
Con riferimento ai soli “Calzaturifici”, al netto dunque della componentistica, nei
primi 9 mesi 2014 il numero di aziende attive è sceso di 111 unità, per un totale di
5.075 calzaturifici; il numero di addetti si è ridotto di 347 unità, attestandosi a
77.746 (-0,4 in termini percentuali su dicembre). Siamo ancora di fronte a numeri
quindi di sostanziale stabilità.
“Il tema della manodopera sta diventando cronico per le aziende che producono in
Italia - conclude il presidente di Assocalzaturifici Cleto Sagripanti. Abbiamo
assistito negli anni ad una lenta erosione della nostra capacità del fare. Dobbiamo
quindi chiedere alle Istituzioni (Governo e parti sociali) che sovraintendono al
mondo del lavoro un intervento a favore dei giovani e dei lavoratori a rischio o
disoccupati per inserirli nel mondo del lavoro attraverso la formula innovativa del
contratto di servizio, ovvero un percorso formativo on the job correlato alle
concrete esigenze delle aziende calzaturiere dei territori”.
Siamo di fronte quindi ad una fase congiunturale delicata e che richiede misure
eccezionali per evitare lo scivolamento nella terza flessione congiunturale in soli
sei anni. Le aspettative sulla prima parte del 2015 risultano improntate alla
stabilità, escludendo miglioramenti in tempi rapidi: quote significative delle
aziende intervistate prevedono infatti la conferma dei livelli attuali, sia con
riferimento alla produzione (42%, ma con un 33% di imprenditori pessimisti a
fronte del 25% di previsioni di crescita) che agli ordinativi (37%). Se però, per gli
ordini estero, un buon 38% degli imprenditori si rivela ottimista, sul versante
Italia quasi la metà dei rispondenti teme una riduzione ulteriore nella raccolta
(49%).
Milano, 10 dicembre 2014
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assocalzaturifici – sagripanti: le calzature italiane a rischio