photographic print masterpieces A cura di / Curated by Roberto Salbitani photographic print masterpieces Photographic Print Masterpieces A cura di / Curated by Roberto Salbitani Direzione artistica / Art direction Christina Magnanelli Weitensfelder, Alessandro Giampaoli Coordinamento / Co-ordinance Marco Vincenzi, Gigi Vegini A cura di / Curated by Roberto Salbitani Il presente catalogo è pubblicato in occasione della mostra / This catalogue is published on the occasion of the exhibition Photographic Print Masterpieces Organizzata da / Organized by Zeitgeist - Art Exhibit Group Sedi Espositive / Exhibition venues Bag Photo Art Gallery – via degli Abeti 102 – Pesaro – Italy Scalone Vanvitelliano – Piazza del Monte – Pesaro – Italy 13 agosto - 13 settembre, 2015 / August 13 - September 13, 2015 Press Office BILDUNG-INC. / [email protected] CATALOGO / PUBLICATION Photographic Print Masterpieces ISBN 978-88-99367-05-3 patronage Casa Editrice / Publishing House Greta Edizioni ZEITGEIST Direzione artistica / Art direction Bildung Inc. (bildung-inc.com) ART EXHIBIT GROUP exhibition by Testo / Text by Roberto Salbitani Traduzione inglese / English translation Daniel Clarke Immagini e opere / Images and artworks Claude Andreini, Andrea Buffolo, Rudy Buso, Rosella Centanni, Gaetano De Faveri, Maurizio Fiorese, Maurizio Frullani, Fabio Giacuzzo, Roberto Salbitani, Sergio Scabar, Enzo Tedeschi, Gigi Vegini, Werther Zambianchi, Cristina Zelich B A G A R T p h o p h o t o a r t g a l l e r y co-production aI Nessuna parte della pubblicazione può essere riprodotta e/o trasmessa in qualsiasi forma, mezzo elettronico o meccanico o altro senza l’autorizzazione dei proprietari dei diritti e dell’editore. / No part of the publication may be reproduced and/or stored in a retrieval system or transmitted in any form or by any means without the prior permission in writing of copyright holders and of the publisher. # MAGA Z INE media partner Tutti i diritti sono riservati. / All rights reserved. Stampa / Print by Graffietti Stampati, Italy Finito di stampare nel mese di luglio, 2015 / Printed in July, 2015 bildung-inc press office press office web coverage gretaedizioni.com via degli Abeti 104 61122 Pesaro (Italy) ph. +39 0721.403988 [email protected] Digital pigmented processes, fine art and services. buffet & Catering GORINI BANQUETING technical partner 05 Il processo è il concetto Gaetano De Faveri, Krisis, 2015, digital print (after manipulation), 19 x 36,5 cm di Roberto Salbitani 04 Il senso di quest’esposizione, e della riflessione che intende promuovere con il dibattito che la accompagnerà, vuole andare al di là della semplice contemplazione delle opere offerte allo sguardo dei visitatori. È la ragione per cui ci auguriamo che tra il pubblico trovino posto, oltre ai soliti presenzialisti dalle curiosità generiche e passeggere, anche artisti, grafici, insegnanti, uomini e donne di cultura, critici e giornalisti, collezionisti e amanti dell’arte in generale. Insomma non il giro convenzionale ristretto ad artisti e fotografi in cerca di un’esposizione. Spunti per una contemplazione della bellezza figurativa non mancano di certo all’interno di questa sventagliata di manufatti fotografici – spesso non riconoscibili a prima vista come tali – che presentano depositi di materia argentea e policromie cromatiche rare a vedersi. Uno dei fenomeni che balzano all’attenzione nella mostra è proprio il “rilievo”, anzi, ad essere precisi, il “bassorilievo” – laddove normalmente ci aspettiamo quella piattezza bidimensionale tipica dell’era del politene e del post-politene poi confluito nel digital-quick, nel digitale di massa rapido ed a basso costo – e se la vista ed il polpastrello non ci tradiscono siamo in grado di sentire persino speciali spessori di materia anche in manufatti dallo strato superficiale apparentemente inesistente. Anche se non abbiamo le stesse abilità degli esperti giapponesi di sensibilità tattile. Una qualche forma di libidinoso prurito ci spinge ad accostarci e spiare da vicino, a toccare le superfici con le dita scivolando sul liscio o frugando sul ruvido. È il processo che qui la fa da padrone. L’opera non è nient’altro che il suo processo, cioè l’insieme delle scelte tecnico-linguistiche che le ha dato quella forma materiale che essa è: un lavoro che inizia a monte, in un angolo della mente, quello si invisibile e segreto nel suo sviluppo, e che dà poi avvio a tutto un seguito di operazioni che scendono a cascata, concatenate tra di loro, e che trova nella materia elaborata, e scavata – non senza quelle resistenze che essa oppone dal suo interno – il suo veicolo trasformativo e conclusivo. Ecco dunque che quelle forme materiali che fanno sostare i nostri occhi e il nostro pensiero sulla loro superficie, ci inducono a ripercorrere le varie fasi del processo a ritroso fino a metterci di fronte a quel trampolino iniziale che è l’idea che a tutto ha dato inizio. La riflessione che ne consegue, e che riguarda uomini e donne d’immagine invischiati nell’attuale melassa virtuale, verte su quello che può essere il processo fotografico esteso al di là dei vecchi orizzonti a cui siamo affezionati, ma su cui ci siamo pigramente seduti. Quanti di noi oggi si scoprono di essere schiavi delle poche nozioni di fotografia che hanno ricevuto? Assistiamo quotidianamente alla colpevole sbriga- The process is the concept by Roberto Salbitani The scope of this exhibition, and of the reflection that it intends to stimulate with the accompanying debate, seeks to go beyond a simple contemplation of the works on view to visitors. It is the reason we hope that amongst the visiting public, alongside the usual regulars with their generic and fleeting curiosity, we may find artists, graphic designers, teachers, people of culture, critics and journalists, collectors and art lovers in general. In other words, not the usual conventional and closed group of artists and photographers looking for an exhibition to see. There is certainly no lack of cues for the contemplation of figurative beauty in this selection of photographic works – often not immediately recognisable as such – which present rarely seen deposits of argentine material and chromatic polychromes. One of the phenomena which catches one’s attention in the exhibition is the “relief”, or rather, to be precise, the “bas-relief” – where one normally expects to find only that two-dimensional flatness typical of the polythene and post-polythene era, both merged into the digital-quick, into the rapid and low cost digital – and if our eyes and fingertips do not deceive us, we are even able to sense particular material thicknesses on surfaces which are apparently non-existent, even if we do not have the same abilities as Japanese experts in tactile sensibility. A form of lustful tingling leads us to draw near and look closer, to touch the surfaces, with our fingers sliding across the smooth or exploring the rough. Here the process is the master. The work is no more than its process, that is, the series of technical and linguistic choices which have given it its material form: a work which begins in a corner of the mind, invisible and secret in its development, to then set in motion a whole series of operations which fall in a cascade, all linked together, finding in the worked and excavated material – not without resistances which it opposes from within – its transformative and definitive vehicle. Thus those material forms which draw our gaze and our thoughts to their surfaces lead us to retrace the various stages of the process until we find ourselves face to face with that initial springboard, the idea that began it all. The reflection which follows, and which regards men and women of image caught up in the current virtual molasses, pivots around that which could be the photographic process extended beyond the traditional horizons of which we have grown fond, and on which we have lazily rested. How many of us have discovered that we are slaves to the few notions of photography that we have been given? We are daily witnesses to the guilty hastiness with which journalists reduce to “shots” that which in reality are figurative works formed from a whole process of formulation and consequent technical and linguistic elaboration: they do it for ignorance and because they feel justified in doing so by the myth of the immediate broadcasting of information transmitted by new technologies. But expression is quite another thing: it is not and can never be immediate, given that, 07 Gigi Vegini, Polafiore, 2007, Fine Art Glicée digital print, 52,5 x 39 cm 06 LA STAMPA SI ESPERISCE, NON SI LEGGE Ho cominciato a raccogliere immagini di altri fotografi quando mi sono reso conto che per capirne il lavoro ed eventualmente scriverci sopra qualcosa che tornasse utile alla comprensione della loro visione, non c’era nulla di meglio che tenere i loro lavori in mano. Da lì dovevo partire e lì dovevo sempre ritornare: le riproduzioni mi potevano dare un’idea d’insieme dei soggetti, del tipo di interessi ed il disegno complessivo, ma niente come gli originali mi agganciavano al processo ed ai suoi ingranaggi. Risalendo un po’ per volta alle diverse fasi del processo, avvalendomi quando possibile delle delucidazioni degli stessi autori – cosa quanto mai necessaria quando una conoscenza generica sbatte contro il muro della specificità del processo – mi potevo munire di un bagaglio interpretativo in grado di avvicinarmi alla comprensione del concetto che uniformava il lavoro. L’osservazione della stampa non fornisce delle informazioni tecniche fini a sé stesse ma fa entrare nel vivo della materia che la costituisce agendo sulle nostre facoltà sensoriali e, soprattutto, stimola la nostra percezione dei rapporti che intercorrono tra la distribuzione della materia cromatica e l’effetto estetico che ne risulta. Ogni stampa, la quale è frutto di interventi anche manuali che dosano il deposito della materia, ci permette di giudicare l’effettiva bontà del controllo condotto dallo stampatore. All’interno dei diversi risultati ed effetti ottenuti, la nostra attenta valutazione da osservatori esterni potrebbe portare un contributo a quello stampatore che è ancora incerto su quale versione di stampa scegliere. Questo naturalmente nel caso che costui non abbia già fatto la sua scelta definitiva e resti aperto alla valutazione da parte di altri. Spesso certe stampe sono scartate solo provvisoriamente in attesa di riscontri successivi: non è raro il caso che vengano appese ad una parete per giorni e giorni prima di una decisione finale. Una stampa che ci appare sul momento molto buona non è detto che resti tale ad una certa distanza di tempo. D’altro canto, una stampa considerata deficitaria in un preciso momento della vita espressiva di un fotografo-stampatore, non è detto che non possa venire da lui stesso rivalutata successivamente. Questo avviene quando i nuovi materiali non sanno più restituire la finezza e quelle specifiche qualità che aveva la vecchia stampa. Andrea Buffolo, Isa, 2004, gum bichromate print, 25,5 x 37,5 cm tività con cui tanti giornalisti riducono a “scatti” quelle che in realtà sono opere figurative che hanno dietro tutto un processo di ideazione e di conseguente elaborazione tecnico-linguistica: lo fanno per ignoranza e perché si sentono giustificati in ciò dal mito della trasmissione immediata delle informazioni diffuso dalle nuove tecnologie. Ma l’espressione è altra cosa: non è e non potrà mai essere im-mediata, dato che, essendo emanazione di un uomo e non di uno strumento, si “medierà” sempre attraverso un processo. È importante che l’elaborazione dei materiali, e i modi della loro interattività, debbano essere sempre finalizzate alle realizzazione di opere concise, coerenti, risultato di un sincretismo il più semplificato e depurato possibile. Virtuosismi tecnici e prodigi tecnologici non devono confondere l’idea dominante, la scintilla che ha innescato la “Forma”. Concetto e processo devono restare un tutt’uno, non si devono mascherare a vicenda: l’opera riesce se la loro compenetrazione è davvero funzionale. as it is the expression of a person and not of an instrument, it will always be “created” through a process. It is important that the elaboration of matter and the forms of their interaction must always be targeted to the creation of concise and coherent works, the result of a syncretism as simplified and purified as possible. Technical virtuosity and technological prodigy must not confuse the dominant idea, the spark which gave life to the “Form”. Concept and process must remain as one, they must not obscure each other: the work is successful if their interpenetration is truly functional. A PRINT SHOULD BE EXPERIENCED, NOT VIEWED I began collecting images by other photographers when I realised that in order to understand their work and eventually write something about it which would be useful in order to understand it, there is no better way than to hold their work in my hands. From this point I had to begin and to this point I had always to return: reproductions could provide me with an idea of the series of subjects, of the type of interests and the overall design, but nothing like the originals could connect me with the process and its mechanisms. Retracing, step by step, the various phases of the process, making use as much as possible of the explanations of the very same artists – something never more necessary than when generic knowledge comes face to face with the specificity of the process – I was able to gather an interpretive baggage which brought me closer to the understanding of the concept which unified the work. An observation of the print does not simply reveal technical information, rather it draws one into the material of which it is composed, working on our senses and, above all, stimulating our perception of the relationship between the distribution of the chromatic matter and the resulting aesthetic effect. Every print, fruit of processes, sometimes manual, which dose the application of materials, allows us to judge the effective efficiency of the work of the printer. Within the various results and effects obtained, our attentive evaluation as external observers may assist the printer who is still unsure of which print version to use. This, naturally, in the case that they have not already made their definitive choice, and therefore are open to the opinion of others. Often certain prints are only provisionally set aside while waiting for successive comparisons: it is not unknown for them to be hung on a wall for days at a time before a final decision is made. A print which immediately appears to be good will not necessarily remain so over time. On the other hand, a print considered to be inadequate at a certain moment in the expressive life of a photographer-printer may still be re-evaluated in a second moment. This happens when new materials are not able to provide the refinement and particular quality of older prints. Over time our perception and our criteria for evaluation changes, often becoming amplified and more profound, but new materials must also keep up with these changes, otherwise it is all useless. 09 Mauro Fiorese, Il tocco di Rossana, 1998, gelatin silver bromide print, 37 x 37 cm 08 ROMPERE IL VETRO CHE SEPARA L’AUTORE DAL FRUITORE Ritornando sul discorso che facevamo, le riproduzioni cartacee o le immagini viste su uno schermo di computer possono fornirci una buona visione d’insieme ma non possono competere con le informazioni visuali e sensoriali emanate dagli originali (a meno che gli originali siano delle immagini virtuali). L’osservazione diretta delle stampe ci dà indubbiamente, al di là del gradimento o meno del lavoro di quell’autore, più chiavi interpretative, filologicamente e criticamente parlando. In conclusione: poter vedere da vicino una stampa va oltre la cosiddetta “lettura” di un’immagine che quasi sempre si esegue dietro un vetro o sfogliando le pagine di una rivista o di un libro (lo scarto è naturalmente minore se quest’ultimo è fedelmente e finemente stampato ma permane comunque una grossa differenza di fondo). Tolto il vetro, lo schermo, il distanziamento riproduttivo, la fotografia ridiventa quel manufatto che sostanzialmente, originariamente, è. È un discorso che certo non vale per la stragrande maggioranza della produzione fotografica corrente, che nasce e si fruisce rapidamente in contesti quotidiani che non hanno la presunzione di strizzare l’occhio all’arte. E nel momento in cui affermo ciò mi guardo bene dal mettere tutte le produzioni digitali sullo stesso piano. Qui non è il caso di entrare in una disanima della tecnologia digitale raffrontata alla ormai desueta fotografia analogica, mi basta sottolineare che laddove c’è un concetto valido, un processo di elaborazione coerente, una sperimentazione puntuale degli strumenti e dei materiali, la fotografia e la stampa digitale oggi come oggi possono raggiungere dei risultati straordinari. Basta che trovino i loro sapienti utilizzatori, com’è per ogni mezzo e per ogni disciplina artistica, ovviamente. Per chi tuttavia si sente ancora in sintonia con la fotografia analogica e la stampa in camera oscura, o per chi volesse sperimentarne il potenziale davvero inesauribile, va detto che se è vero che alcuni buoni prodotti sono scomparsi dal commercio, è anche vero che i restanti sono di ottima qualità e nelle mani di un buon stampatore – colui che abbia anche un po’ di pratica con le soluzioni chimiche, cose non inarrivabili che si insegnano in un buon corso di stampa – continuano a far meraviglie. In questa rassegna abbiamo portato qualche buon esempio di ciò che stiamo qui dicendo. NESSUNA STAMPA È IDENTICA AD UN’ALTRA L’immagine e la stampa che di essa facciamo devono trovare un loro giusto equilibrio, sarei tentato di dire una loro empatia, senza la quale anche la più grande cura che ad essa fossimo in grado di rivolgere, anche dotandola di chissà quali artifici tecnici, non sortirebbe alcun risultato. Sarebbe come far indossare uno smoking ad un contadino che zappa la terra. Insomma la stampa non deve per forza essere artificiosamente elaborata per mettere in rilievo una certa immagine, sarebbe controproducente. Sto dicendo delle ovvietà ma è bene ripetere questo concetto perché c’è sempre troppa gente in giro il cui gusto è influenzabile da sfrontate esibizioni di tecniche e tecnologie. Capita anche Werther Zambianchi, Conero, 1995, gelatin silver bromide print, 29,5 x 39,5 cm Con il tempo la nostra percezione, i nostri criteri di valutazione cambiano e spesso si ampliano e si approfondiscono, ma anche i nuovi materiali devono tenere il passo se no è tutto inutile. BREAK THE GLASS THAT SEPERATES THE ARTIST FROM THE USER Returning to our previous discorse, physical reproductions or images seen on a computer screen can give us a good view of the work as a whole, but they cannot compete with the visual and sensorial information provided by an original (unless the original is in itself a virtual image). The direct observation of a print undoubtedly provides us, beyond our personal liking or not of the work of the artist in question, more interpretive cues on both a philological and critical level. In conclusion: the opportunity to observe a print close up goes beyond the so-called “reading” of an image which almost always takes place through a sheet of glass or by leafing through a magazine or book (the reduction in quality is naturally minimized if this latter media is printed faithfully and with quality but in any case there remains an important fundamental difference). By removing the glass, the screen, the reproductive distancing, the photograph once again becomes the creation that it fundamentally and originally is. It is an argument that is certainly not valid for the great majority of current photographic production which is created and viewed quickly and in daily contexts which do not presume to be considered art. And in the very moment that I make such a statement I am well aware that I am putting the entire field of digital production on a single level. We are not here to put down digital technology in its comparison with by now outdated analogical photographic techniques, it is suffice to underline that when there is a valid concept, a coherent process of elaboration, and punctual experimentation of instruments and materials, digital photography and printing can nowadays produce extraordinary results. One needs only to find skilful operators, as is obviously the case for any media and any artistic discipline. For those who in any case still feel an affinity with analogical photography and darkroom printing, or for those who would like to experience its truly limitless potential, it should be said that while it is true that a number of valid products have disappeared from circulation, it is also true that what remains is of excellent quality and in the hands of a good printer – one who has some experience with chemical solutions, things which are regularly taught in a good printing course – they continue to produce marvels. In this review we offer a number of good examples of this. NO TWO PRINTS ARE EXACTLY THE SAME The image and the print that we make of it must find their natural balance, I am tempted to say their empathy, without which even the greatest care that we may be capable of taking, even using who knows what technical artifice, would all be in vain. It would be like putting a dinner suit on a peasant hoeing the soil. In other words printing must not necessarily be artificially elaborated to highlight a certain image, it would be counterproductive. I am of course stating the obvious but it is important to underline this concept because there are too Rosella Centanni, Respiri, 2011, emulsion lift Polaroid, 9,5 x 7 cm 10 con la calligrafia: vi sarete certamente imbattuti in quelle firme di autori che per impressionarvi con la loro creatività ricorrono ad arabeschi, fronzoli vari e zampe di gallina... La funzione di una stampa è quella di saper valorizzare al massimo il contenuto di una data immagine. Ne possiamo apprezzare i valori se la esponiamo possibilmente senza vetro e, per poterla godere in tutte le sue sfumature materiche e cromatiche, sotto un fascio di luce diffusa la cui intensità sarà adatta alle sue tonalità. Cosa che avviene raramente durante le esposizioni, che sappiamo essere spesso mal illuminate e perciò luoghi di tortura molto temuti da quei fotografi che sanno stampare bene. Diverso è il discorso quando si devono realizzare delle stampe al fine di una buona pubblicazione. Qui è necessario saper pre-visualizzare il tipo di stampa da sottomettere poi alla riproduzione tipografica in modo da ottenere sulla pagina pubblicata il risultato più fedele possibile. Certe stampe che vivono di valori alti e di sfumature morbide, di interazioni molto sottili all’interno dell’immagine, possono venire completamente stravolte se riprodotte in un libro. Altre, al contrario, entrano in sintonia con la riproduzione tipografica, a tal punto che, come si dice in questi casi, la riproduzione è meglio dell’originale. Sono stati pubblicati dei libri, soprattutto negli Stati Uniti d’America, dove la stampa tipografica competeva con le eccelse sfumature di quella fotografica. Le fotoincisioni che vedete in questa mostra sono considerate dai loro autori gli originali: provengono da stampe i cui valori sono stati controllati in modo tale che i valori tonali e cromatici giusti fossero quelli espressi dalla fotoincisione. È un caso divenuto classico di stretta collaborazione tra artista-stampatore ed editoria di alta qualità. La fotografia è cresciuta dentro una sua storia grazie al ritrovamento ed alla consultazione dei suoi originali. Non potrebbe essere che così e ancor oggi deve essere cura e responsabilità di un critico o di uno storico entrare in contatto con tutta quella documentazione materiale relativa ad un autore, in primis gli originali fotografici – anche le stampe di secondo ordine se non esiste un divieto da parte dell’autore di mettere le mani su queste – necessaria per farsi l’idea più corretta possibile del suo modo di lavorare. Anche i lavori iniziati e poi abbandonati, anche gli abbozzi di progetti o le intenzioni che non hanno avuto seguito e, per riferirci direttamente alle stampe, abbozzi o versioni di stampe non in linea con il suo consueto modo di stampare, tutto questo può essere illuminante proprio per far capire il processo nel suo svolgersi. Ogni opera, ogni stampa, non è una pietra luccicante precipitata da una cometa di passaggio, ha degli antenati, dei genitori a volte riconosciuti a volte anonimi. Siamo tutti nella scia di qualcuno che ci ha preceduto anche se ad alcuni dispiace ammetterlo: avendo in mano una stampa è più facile accorgersi di chi è figlia, dell’albero genealogico che c’è dietro. Anche le stampe differenti provenienti dalla stessa matrice possiamo vederle come rami diversi dello stesso albero. Quando poi l’autore è attratto da nuovi interessi e dunque cambia soggetto, perché vive una nuova stagione della sua espressione, è normale che applichi un nuovo procedimento a delle nuove tematiche. È ridicolo che un fotografo ricerchi l’uniformità di stampa, per sembrare sempre lo stesso e per dare l’idea che lui ha uno “stile” riconoscibile, come le regole del mercato spesso gli impongono. Sergio Scabar, Il teatro delle cose, 1998, gelatin silver bromide print, 16 x 22 cm 11 many people out there whose taste may be influenced by brazen exhibitions of techniques and technologies. This happens with calligraphy: you will certainly have come across one of those authors whose signature, in order to impress us with their creativity, makes use of arabesques and various frills and scrawls… The function of a print is to make the most of the contents of a certain image. We can appreciate its value if it is shown possibly without glass and, in order to see it in all of its material and chromatic glory, under a beam of diffused light whose intensity is adapted to the image’s tones. This is rarely the case during exhibitions, which as we well know are often badly illuminated and thus places of torture much feared by those photographers who know how to print well. The situation changes when one must print for a good quality publication. Here it is necessary to know how to preview the type of printing in order to then submit it to the typographer in order to obtain on the published page as faithful as possible a result. Certain prints which have high values, soft tones and very subtle interactions within the image risk being completely distorted if published in a book. Others, on the contrary, enter in harmony with typographical reproduction to such an extent that, as we say in these cases, the reproduction is better than the original. There have been books published, above all in the United States, where typographical printing competed with the highest tones of a particular photograph. The photo-engravings that you see in this exhibition are considered by their creators to be originals: they come from prints whose values have been controlled in such a way as to ensure that the correct tonal and chromatic values are those expressed by the photo-engraving. It is a classic case of very close collaboration between artist-printer and high quality publishing. Photography has grown within its history thanks to the rediscovery and the consultation of its originals. It could not be any other way and still today it must come down to the care and responsibility of a critic or a historian to examine all of the documentation related to an author, above all the original photographs – even second-class prints if there are no restrictions placed by the artists regarding the handling of such material – necessary to form as precise an idea as possible on the artist’s method of working. Even works begun but never completed, even outlines of projects or ideas that have not been elaborated, and – looking directly at printing – drafts or print versions not necessarily in line with their habitual printing methods. All of this can be illuminating in understanding the process in its entirety. No work, no print, is a shining gem fallen from a passing comet. They all have their predecessors, their parents – sometimes well known, sometimes anonymous. We are all in the wake of someone who has gone before us, even if some of us are loathe to admit it: holding a print in ones hands, it is easier to understand its origins, to