photographic print
masterpieces
A cura di / Curated by Roberto Salbitani
photographic print
masterpieces
Photographic Print Masterpieces
A cura di / Curated by
Roberto Salbitani
Direzione artistica / Art direction
Christina Magnanelli Weitensfelder, Alessandro Giampaoli
Coordinamento / Co-ordinance
Marco Vincenzi, Gigi Vegini
A cura di / Curated by Roberto Salbitani
Il presente catalogo è pubblicato in occasione della mostra /
This catalogue is published on the occasion of the exhibition
Photographic Print Masterpieces
Organizzata da / Organized by
Zeitgeist - Art Exhibit Group
Sedi Espositive / Exhibition venues
Bag Photo Art Gallery – via degli Abeti 102 – Pesaro – Italy
Scalone Vanvitelliano – Piazza del Monte – Pesaro – Italy
13 agosto - 13 settembre, 2015 /
August 13 - September 13, 2015
Press Office
BILDUNG-INC. / [email protected]
CATALOGO / PUBLICATION
Photographic Print Masterpieces
ISBN 978-88-99367-05-3
patronage
Casa Editrice / Publishing House
Greta Edizioni
ZEITGEIST
Direzione artistica / Art direction
Bildung Inc. (bildung-inc.com)
ART EXHIBIT GROUP
exhibition by
Testo / Text by
Roberto Salbitani
Traduzione inglese / English translation
Daniel Clarke
Immagini e opere / Images and artworks
Claude Andreini, Andrea Buffolo, Rudy Buso, Rosella Centanni, Gaetano De Faveri,
Maurizio Fiorese, Maurizio Frullani, Fabio Giacuzzo, Roberto Salbitani, Sergio Scabar,
Enzo Tedeschi, Gigi Vegini, Werther Zambianchi, Cristina Zelich
B A G
A R T
p h o
p h o t o
a r t
g a l l e r y
co-production
aI
Nessuna parte della pubblicazione può essere riprodotta e/o trasmessa in qualsiasi forma,
mezzo elettronico o meccanico o altro senza l’autorizzazione dei proprietari dei diritti e dell’editore. /
No part of the publication may be reproduced and/or stored in a retrieval system or transmitted in any
form or by any means without the prior permission in writing of copyright holders and of the publisher.
# MAGA Z INE
media partner
Tutti i diritti sono riservati. / All rights reserved.
Stampa / Print by
Graffietti Stampati, Italy
Finito di stampare nel mese di luglio, 2015 /
Printed in July, 2015
bildung-inc
press office
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web coverage
gretaedizioni.com
via degli Abeti 104
61122 Pesaro (Italy)
ph. +39 0721.403988
[email protected]
Digital pigmented processes, fine art and services.
buffet & Catering
GORINI
BANQUETING
technical partner
05
Il processo
è il concetto
Gaetano De Faveri, Krisis, 2015, digital print (after manipulation), 19 x 36,5 cm
di Roberto Salbitani
04
Il senso di quest’esposizione, e della riflessione che intende promuovere con il dibattito che la accompagnerà, vuole andare al di
là della semplice contemplazione delle opere
offerte allo sguardo dei visitatori. È la ragione
per cui ci auguriamo che tra il pubblico trovino posto, oltre ai soliti presenzialisti dalle curiosità generiche e passeggere, anche artisti,
grafici, insegnanti, uomini e donne di cultura,
critici e giornalisti, collezionisti e amanti dell’arte in generale. Insomma non il giro convenzionale ristretto ad artisti e fotografi in cerca di
un’esposizione.
Spunti per una contemplazione della bellezza
figurativa non mancano di certo all’interno di
questa sventagliata di manufatti fotografici –
spesso non riconoscibili a prima vista come tali
– che presentano depositi di materia argentea
e policromie cromatiche rare a vedersi. Uno dei
fenomeni che balzano all’attenzione nella mostra è proprio il “rilievo”, anzi, ad essere precisi, il “bassorilievo” – laddove normalmente ci
aspettiamo quella piattezza bidimensionale tipica dell’era del politene e del post-politene poi
confluito nel digital-quick, nel digitale di massa
rapido ed a basso costo – e se la vista ed il
polpastrello non ci tradiscono siamo in grado
di sentire persino speciali spessori di materia
anche in manufatti dallo strato superficiale apparentemente inesistente. Anche se non abbiamo le stesse abilità degli esperti giapponesi
di sensibilità tattile.
Una qualche forma di libidinoso prurito ci spinge ad accostarci e spiare da vicino, a toccare
le superfici con le dita scivolando sul liscio o
frugando sul ruvido.
È il processo che qui la fa da padrone. L’opera non è nient’altro che il suo processo, cioè
l’insieme delle scelte tecnico-linguistiche che le
ha dato quella forma materiale che essa è: un
lavoro che inizia a monte, in un angolo della
mente, quello si invisibile e segreto nel suo sviluppo, e che dà poi avvio a tutto un seguito di
operazioni che scendono a cascata, concatenate tra di loro, e che trova nella materia elaborata, e scavata – non senza quelle resistenze
che essa oppone dal suo interno – il suo veicolo trasformativo e conclusivo. Ecco dunque
che quelle forme materiali che fanno sostare
i nostri occhi e il nostro pensiero sulla loro superficie, ci inducono a ripercorrere le varie fasi
del processo a ritroso fino a metterci di fronte a
quel trampolino iniziale che è l’idea che a tutto
ha dato inizio.
La riflessione che ne consegue, e che riguarda
uomini e donne d’immagine invischiati nell’attuale melassa virtuale, verte su quello che può
essere il processo fotografico esteso al di là dei
vecchi orizzonti a cui siamo affezionati, ma su
cui ci siamo pigramente seduti. Quanti di noi
oggi si scoprono di essere schiavi delle poche
nozioni di fotografia che hanno ricevuto? Assistiamo quotidianamente alla colpevole sbriga-
The process
is the concept
by Roberto Salbitani
The scope of this exhibition, and of the
reflection that it intends to stimulate with the
accompanying debate, seeks to go beyond a
simple contemplation of the works on view to
visitors. It is the reason we hope that amongst
the visiting public, alongside the usual regulars
with their generic and fleeting curiosity, we may
find artists, graphic designers, teachers, people of culture, critics and journalists, collectors
and art lovers in general. In other words, not
the usual conventional and closed group of artists and photographers looking for an exhibition to see.
There is certainly no lack of cues for the contemplation of figurative beauty in this selection
of photographic works – often not immediately
recognisable as such – which present rarely
seen deposits of argentine material and chromatic polychromes. One of the phenomena
which catches one’s attention in the exhibition is the “relief”, or rather, to be precise, the
“bas-relief” – where one normally expects to
find only that two-dimensional flatness typical
of the polythene and post-polythene era, both
merged into the digital-quick, into the rapid and
low cost digital – and if our eyes and fingertips
do not deceive us, we are even able to sense
particular material thicknesses on surfaces
which are apparently non-existent, even if we
do not have the same abilities as Japanese
experts in tactile sensibility. A form of lustful
tingling leads us to draw near and look closer,
to touch the surfaces, with our fingers sliding
across the smooth or exploring the rough. Here
the process is the master. The work is no more
than its process, that is, the series of technical
and linguistic choices which have given it its
material form: a work which begins in a corner
of the mind, invisible and secret in its development, to then set in motion a whole series
of operations which fall in a cascade, all linked
together, finding in the worked and excavated
material – not without resistances which it opposes from within – its transformative and
definitive vehicle. Thus those material forms
which draw our gaze and our thoughts to their
surfaces lead us to retrace the various stages
of the process until we find ourselves face to
face with that initial springboard, the idea that
began it all.
The reflection which follows, and which regards men and women of image caught up
in the current virtual molasses, pivots around
that which could be the photographic process
extended beyond the traditional horizons of
which we have grown fond, and on which we
have lazily rested. How many of us have discovered that we are slaves to the few notions
of photography that we have been given? We
are daily witnesses to the guilty hastiness with
which journalists reduce to “shots” that which
in reality are figurative works formed from a
whole process of formulation and consequent
technical and linguistic elaboration: they do it
for ignorance and because they feel justified in
doing so by the myth of the immediate broadcasting of information transmitted by new technologies. But expression is quite another thing:
it is not and can never be immediate, given that,
07
Gigi Vegini, Polafiore, 2007, Fine Art Glicée digital print, 52,5 x 39 cm
06
LA STAMPA SI ESPERISCE, NON SI
LEGGE
Ho cominciato a raccogliere immagini di altri
fotografi quando mi sono reso conto che per
capirne il lavoro ed eventualmente scriverci
sopra qualcosa che tornasse utile alla comprensione della loro visione, non c’era nulla di
meglio che tenere i loro lavori in mano. Da lì
dovevo partire e lì dovevo sempre ritornare:
le riproduzioni mi potevano dare un’idea d’insieme dei soggetti, del tipo di interessi ed il
disegno complessivo, ma niente come gli originali mi agganciavano al processo ed ai suoi
ingranaggi. Risalendo un po’ per volta alle diverse fasi del processo, avvalendomi quando
possibile delle delucidazioni degli stessi autori
– cosa quanto mai necessaria quando una conoscenza generica sbatte contro il muro della
specificità del processo – mi potevo munire di
un bagaglio interpretativo in grado di avvicinarmi alla comprensione del concetto che uniformava il lavoro. L’osservazione della stampa
non fornisce delle informazioni tecniche fini a
sé stesse ma fa entrare nel vivo della materia
che la costituisce agendo sulle nostre facoltà
sensoriali e, soprattutto, stimola la nostra percezione dei rapporti che intercorrono tra la distribuzione della materia cromatica e l’effetto
estetico che ne risulta. Ogni stampa, la quale è
frutto di interventi anche manuali che dosano il
deposito della materia, ci permette di giudicare l’effettiva bontà del controllo condotto dallo
stampatore. All’interno dei diversi risultati ed
effetti ottenuti, la nostra attenta valutazione da
osservatori esterni potrebbe portare un contributo a quello stampatore che è ancora incerto
su quale versione di stampa scegliere. Questo
naturalmente nel caso che costui non abbia
già fatto la sua scelta definitiva e resti aperto
alla valutazione da parte di altri. Spesso certe
stampe sono scartate solo provvisoriamente in
attesa di riscontri successivi: non è raro il caso
che vengano appese ad una parete per giorni e
giorni prima di una decisione finale. Una stampa che ci appare sul momento molto buona
non è detto che resti tale ad una certa distanza
di tempo. D’altro canto, una stampa considerata deficitaria in un preciso momento della vita
espressiva di un fotografo-stampatore, non è
detto che non possa venire da lui stesso rivalutata successivamente. Questo avviene quando i nuovi materiali non sanno più restituire la
finezza e quelle specifiche qualità che aveva la
vecchia stampa.
Andrea Buffolo, Isa, 2004, gum bichromate print, 25,5 x 37,5 cm
tività con cui tanti giornalisti riducono a “scatti”
quelle che in realtà sono opere figurative che
hanno dietro tutto un processo di ideazione e
di conseguente elaborazione tecnico-linguistica: lo fanno per ignoranza e perché si sentono
giustificati in ciò dal mito della trasmissione
immediata delle informazioni diffuso dalle nuove tecnologie. Ma l’espressione è altra cosa:
non è e non potrà mai essere im-mediata, dato
che, essendo emanazione di un uomo e non di
uno strumento, si “medierà” sempre attraverso
un processo.
È importante che l’elaborazione dei materiali,
e i modi della loro interattività, debbano essere
sempre finalizzate alle realizzazione di opere
concise, coerenti, risultato di un sincretismo il
più semplificato e depurato possibile. Virtuosismi tecnici e prodigi tecnologici non devono
confondere l’idea dominante, la scintilla che
ha innescato la “Forma”. Concetto e processo devono restare un tutt’uno, non si devono
mascherare a vicenda: l’opera riesce se la loro
compenetrazione è davvero funzionale.
as it is the expression of a person and not of an
instrument, it will always be “created” through
a process. It is important that the elaboration of
matter and the forms of their interaction must
always be targeted to the creation of concise
and coherent works, the result of a syncretism
as simplified and purified as possible. Technical virtuosity and technological prodigy must
not confuse the dominant idea, the spark which
gave life to the “Form”. Concept and process
must remain as one, they must not obscure
each other: the work is successful if their interpenetration is truly functional.
A PRINT SHOULD BE EXPERIENCED, NOT
VIEWED
I began collecting images by other photographers when I realised that in order to understand their work and eventually write something about it which would be useful in order
to understand it, there is no better way than to
hold their work in my hands. From this point I
had to begin and to this point I had always to
return: reproductions could provide me with an
idea of the series of subjects, of the type of interests and the overall design, but nothing like
the originals could connect me with the process and its mechanisms.
Retracing, step by step, the various phases of
the process, making use as much as possible
of the explanations of the very same artists –
something never more necessary than when
generic knowledge comes face to face with
the specificity of the process – I was able to
gather an interpretive baggage which brought
me closer to the understanding of the concept
which unified the work. An observation of the
print does not simply reveal technical information, rather it draws one into the material of
which it is composed, working on our senses
and, above all, stimulating our perception of
the relationship between the distribution of the
chromatic matter and the resulting aesthetic effect. Every print, fruit of processes, sometimes
manual, which dose the application of materials, allows us to judge the effective efficiency of
the work of the printer. Within the various results
and effects obtained, our attentive evaluation
as external observers may assist the printer
who is still unsure of which print version to use.
This, naturally, in the case that they have not
already made their definitive choice, and therefore are open to the opinion of others. Often
certain prints are only provisionally set aside
while waiting for successive comparisons: it is
not unknown for them to be hung on a wall for
days at a time before a final decision is made.
A print which immediately appears to be good
will not necessarily remain so over time. On the
other hand, a print considered to be inadequate
at a certain moment in the expressive life of a
photographer-printer may still be re-evaluated
in a second moment. This happens when new
materials are not able to provide the refinement
and particular quality of older prints. Over time
our perception and our criteria for evaluation
changes, often becoming amplified and more
profound, but new materials must also keep up
with these changes, otherwise it is all useless.
09
Mauro Fiorese, Il tocco di Rossana, 1998, gelatin silver bromide print, 37 x 37 cm
08
ROMPERE IL VETRO CHE SEPARA L’AUTORE DAL FRUITORE
Ritornando sul discorso che facevamo, le riproduzioni cartacee o le immagini viste su
uno schermo di computer possono fornirci una
buona visione d’insieme ma non possono competere con le informazioni visuali e sensoriali
emanate dagli originali (a meno che gli originali
siano delle immagini virtuali). L’osservazione
diretta delle stampe ci dà indubbiamente, al di
là del gradimento o meno del lavoro di quell’autore, più chiavi interpretative, filologicamente e
criticamente parlando.
In conclusione: poter vedere da vicino una
stampa va oltre la cosiddetta “lettura” di un’immagine che quasi sempre si esegue dietro
un vetro o sfogliando le pagine di una rivista
o di un libro (lo scarto è naturalmente minore se quest’ultimo è fedelmente e finemente
stampato ma permane comunque una grossa
differenza di fondo). Tolto il vetro, lo schermo,
il distanziamento riproduttivo, la fotografia ridiventa quel manufatto che sostanzialmente, originariamente, è.
È un discorso che certo non vale per la stragrande maggioranza della produzione fotografica corrente, che nasce e si fruisce rapidamente in contesti quotidiani che non hanno la
presunzione di strizzare l’occhio all’arte. E nel
momento in cui affermo ciò mi guardo bene dal
mettere tutte le produzioni digitali sullo stesso
piano. Qui non è il caso di entrare in una disanima della tecnologia digitale raffrontata alla
ormai desueta fotografia analogica, mi basta
sottolineare che laddove c’è un concetto valido, un processo di elaborazione coerente, una
sperimentazione puntuale degli strumenti e dei
materiali, la fotografia e la stampa digitale oggi
come oggi possono raggiungere dei risultati
straordinari. Basta che trovino i loro sapienti
utilizzatori, com’è per ogni mezzo e per ogni
disciplina artistica, ovviamente.
Per chi tuttavia si sente ancora in sintonia con
la fotografia analogica e la stampa in camera
oscura, o per chi volesse sperimentarne il potenziale davvero inesauribile, va detto che se è
vero che alcuni buoni prodotti sono scomparsi
dal commercio, è anche vero che i restanti sono
di ottima qualità e nelle mani di un buon stampatore – colui che abbia anche un po’ di pratica
con le soluzioni chimiche, cose non inarrivabili
che si insegnano in un buon corso di stampa
– continuano a far meraviglie. In questa rassegna abbiamo portato qualche buon esempio di
ciò che stiamo qui dicendo.
NESSUNA STAMPA È IDENTICA AD
UN’ALTRA
L’immagine e la stampa che di essa facciamo
devono trovare un loro giusto equilibrio, sarei
tentato di dire una loro empatia, senza la quale
anche la più grande cura che ad essa fossimo
in grado di rivolgere, anche dotandola di chissà
quali artifici tecnici, non sortirebbe alcun risultato. Sarebbe come far indossare uno smoking
ad un contadino che zappa la terra. Insomma
la stampa non deve per forza essere artificiosamente elaborata per mettere in rilievo una certa immagine, sarebbe controproducente. Sto
dicendo delle ovvietà ma è bene ripetere questo concetto perché c’è sempre troppa gente in
giro il cui gusto è influenzabile da sfrontate esibizioni di tecniche e tecnologie. Capita anche
Werther Zambianchi, Conero, 1995, gelatin silver bromide print, 29,5 x 39,5 cm
Con il tempo la nostra percezione, i nostri criteri
di valutazione cambiano e spesso si ampliano
e si approfondiscono, ma anche i nuovi materiali devono tenere il passo se no è tutto inutile.
BREAK THE GLASS THAT SEPERATES THE
ARTIST FROM THE USER
Returning to our previous discorse, physical
reproductions or images seen on a computer
screen can give us a good view of the work
as a whole, but they cannot compete with the
visual and sensorial information provided by
an original (unless the original is in itself a virtual image). The direct observation of a print
undoubtedly provides us, beyond our personal
liking or not of the work of the artist in question,
more interpretive cues on both a philological
and critical level.
In conclusion: the opportunity to observe a print
close up goes beyond the so-called “reading”
of an image which almost always takes place
through a sheet of glass or by leafing through
a magazine or book (the reduction in quality is
naturally minimized if this latter media is printed faithfully and with quality but in any case
there remains an important fundamental difference). By removing the glass, the screen, the
reproductive distancing, the photograph once
again becomes the creation that it fundamentally and originally is. It is an argument that is
certainly not valid for the great majority of current photographic production which is created
and viewed quickly and in daily contexts which
do not presume to be considered art. And in
the very moment that I make such a statement
I am well aware that I am putting the entire field
of digital production on a single level.
We are not here to put down digital technology
in its comparison with by now outdated analogical photographic techniques, it is suffice to
underline that when there is a valid concept, a
coherent process of elaboration, and punctual
experimentation of instruments and materials,
digital photography and printing can nowadays
produce extraordinary results. One needs only
to find skilful operators, as is obviously the
case for any media and any artistic discipline.
For those who in any case still feel an affinity with analogical photography and darkroom
printing, or for those who would like to experience its truly limitless potential, it should be
said that while it is true that a number of valid
products have disappeared from circulation, it
is also true that what remains is of excellent
quality and in the hands of a good printer –
one who has some experience with chemical
solutions, things which are regularly taught in
a good printing course – they continue to produce marvels. In this review we offer a number
of good examples of this.
NO TWO PRINTS ARE EXACTLY THE SAME
The image and the print that we make of it must
find their natural balance, I am tempted to say
their empathy, without which even the greatest
care that we may be capable of taking, even
using who knows what technical artifice, would
all be in vain. It would be like putting a dinner
suit on a peasant hoeing the soil.
In other words printing must not necessarily
be artificially elaborated to highlight a certain
image, it would be counterproductive. I am of
course stating the obvious but it is important to
underline this concept because there are too
Rosella Centanni, Respiri, 2011, emulsion lift Polaroid, 9,5 x 7 cm
10
con la calligrafia: vi sarete certamente imbattuti
in quelle firme di autori che per impressionarvi con la loro creatività ricorrono ad arabeschi,
fronzoli vari e zampe di gallina...
La funzione di una stampa è quella di saper
valorizzare al massimo il contenuto di una data
immagine. Ne possiamo apprezzare i valori se la esponiamo possibilmente senza vetro
e, per poterla godere in tutte le sue sfumature
materiche e cromatiche, sotto un fascio di luce
diffusa la cui intensità sarà adatta alle sue tonalità. Cosa che avviene raramente durante le
esposizioni, che sappiamo essere spesso mal
illuminate e perciò luoghi di tortura molto temuti
da quei fotografi che sanno stampare bene. Diverso è il discorso quando si devono realizzare
delle stampe al fine di una buona pubblicazione. Qui è necessario saper pre-visualizzare il
tipo di stampa da sottomettere poi alla riproduzione tipografica in modo da ottenere sulla
pagina pubblicata il risultato più fedele possibile. Certe stampe che vivono di valori alti e di
sfumature morbide, di interazioni molto sottili
all’interno dell’immagine, possono venire completamente stravolte se riprodotte in un libro.
Altre, al contrario, entrano in sintonia con la riproduzione tipografica, a tal punto che, come
si dice in questi casi, la riproduzione è meglio
dell’originale. Sono stati pubblicati dei libri, soprattutto negli Stati Uniti d’America, dove la
stampa tipografica competeva con le eccelse
sfumature di quella fotografica.
Le fotoincisioni che vedete in questa mostra
sono considerate dai loro autori gli originali:
provengono da stampe i cui valori sono stati controllati in modo tale che i valori tonali e
cromatici giusti fossero quelli espressi dalla
fotoincisione. È un caso divenuto classico di
stretta collaborazione tra artista-stampatore ed
editoria di alta qualità. La fotografia è cresciuta
dentro una sua storia grazie al ritrovamento ed
alla consultazione dei suoi originali.
Non potrebbe essere che così e ancor oggi
deve essere cura e responsabilità di un critico o di uno storico entrare in contatto con tutta
quella documentazione materiale relativa ad un
autore, in primis gli originali fotografici – anche
le stampe di secondo ordine se non esiste un
divieto da parte dell’autore di mettere le mani
su queste – necessaria per farsi l’idea più corretta possibile del suo modo di lavorare. Anche
i lavori iniziati e poi abbandonati, anche gli abbozzi di progetti o le intenzioni che non hanno
avuto seguito e, per riferirci direttamente alle
stampe, abbozzi o versioni di stampe non in
linea con il suo consueto modo di stampare,
tutto questo può essere illuminante proprio per
far capire il processo nel suo svolgersi. Ogni
opera, ogni stampa, non è una pietra luccicante precipitata da una cometa di passaggio, ha
degli antenati, dei genitori a volte riconosciuti
a volte anonimi. Siamo tutti nella scia di qualcuno che ci ha preceduto anche se ad alcuni dispiace ammetterlo: avendo in mano una
stampa è più facile accorgersi di chi è figlia,
dell’albero genealogico che c’è dietro. Anche le
stampe differenti provenienti dalla stessa matrice possiamo vederle come rami diversi dello
stesso albero.
Quando poi l’autore è attratto da nuovi interessi e dunque cambia soggetto, perché vive
una nuova stagione della sua espressione, è
normale che applichi un nuovo procedimento
a delle nuove tematiche. È ridicolo che un fotografo ricerchi l’uniformità di stampa, per sembrare sempre lo stesso e per dare l’idea che lui
ha uno “stile” riconoscibile, come le regole del
mercato spesso gli impongono.
Sergio Scabar, Il teatro delle cose, 1998, gelatin silver bromide print, 16 x 22 cm
11
many people out there whose taste may be influenced by brazen exhibitions of techniques
and technologies. This happens with calligraphy: you will certainly have come across one
of those authors whose signature, in order to
impress us with their creativity, makes use of
arabesques and various frills and scrawls…
The function of a print is to make the most of
the contents of a certain image. We can appreciate its value if it is shown possibly without
glass and, in order to see it in all of its material
and chromatic glory, under a beam of diffused
light whose intensity is adapted to the image’s
tones. This is rarely the case during exhibitions, which as we well know are often badly
illuminated and thus places of torture much
feared by those photographers who know how
to print well.
The situation changes when one must print for
a good quality publication. Here it is necessary
to know how to preview the type of printing in
order to then submit it to the typographer in order to obtain on the published page as faithful
as possible a result. Certain prints which have
high values, soft tones and very subtle interactions within the image risk being completely
distorted if published in a book. Others, on the
contrary, enter in harmony with typographical
reproduction to such an extent that, as we say
in these cases, the reproduction is better than
the original.
There have been books published, above all in
the United States, where typographical printing
competed with the highest tones of a particular photograph. The photo-engravings that you
see in this exhibition are considered by their
creators to be originals: they come from prints
whose values have been controlled in such
a way as to ensure that the correct tonal and
chromatic values are those expressed by the
photo-engraving. It is a classic case of very
close collaboration between artist-printer and
high quality publishing.
Photography has grown within its history
thanks to the rediscovery and the consultation of its originals. It could not be any other
way and still today it must come down to the
care and responsibility of a critic or a historian
to examine all of the documentation related to
an author, above all the original photographs
– even second-class prints if there are no restrictions placed by the artists regarding the
handling of such material – necessary to form
as precise an idea as possible on the artist’s
method of working.
Even works begun but never completed, even
outlines of projects or ideas that have not been
elaborated, and – looking directly at printing –
drafts or print versions not necessarily in line
with their habitual printing methods.
All of this can be illuminating in understanding
the process in its entirety. No work, no print,
is a shining gem fallen from a passing comet.
They all have their predecessors, their parents
– sometimes well known, sometimes anonymous. We are all in the wake of someone
who has gone before us, even if some of us
are loathe to admit it: holding a print in ones
hands, it is easier to understand its origins, to
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