ASSOCIAZIONE GENERALE COOPERATIVE ITALIANE FEDERAZIONE REGIONALE EMILIA ROMAGNA METODI DI PIANIFICAZIONE E CONTROLLO DI GESTIONE NELLE COOPERATIVE DI PICCOLE E MEDIE DIMENSIONI STUDIO REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA AI SENSI DELLA MISURA 2.2 AZIONE A (ART.2 L.R. 22/90) METODI DI PIANIFICAZIONE E CONTROLLO DI GESTIONE NELLE COOPERATIVE DI PICCOLE E MEDIE DIMENSIONI INDICE PREMESSA……………………………………….… 3 PARTE I PIANIFICAZIONE STRATEGICA 1. Il controllo di gestione…………………………… 5 2. L’attività di direzione……………………………. 6 3. Pianificazione e programmazione………………... 9 4. Il Piano Strategico……………………………….. 10 5. Il Piano di Sviluppo Aziendale…………………... 11 5.1. Le fasi della programmazione………………. 12 6. Il Budget…………………………………………. 18 6.1. Le funzioni del sistema di budgeting……….. 20 6.2. Le diverse tipologie di centro………………. 24 6.3. Indici di bilancio e flussi finanziari………… 24 6.4. Le premesse di un sistema di budgeting……. 29 PARTE II IL CONTROLLO DIREZIONALE 1. Il controllo direzionale e l’analisi dei costi………. 31 1.1. La contabilità analitica……………………… 32 1.2. Costi diretti e costi indiretti………………… 36 2. Il Direct Costing…………………………………. 39 2.1. Analisi del Punto di Pareggio o Break Even Point Analysis (BEP)……………………….. 41 2.2. La Leva Operativa………………………….. 45 1 3. Il Direct Costing Evoluto………………………… 47 4. Il Full Costing……………………………………. 53 5. I Centri di Costo…………………………………. 57 6. Activity Based Costing (ABC)…………………... 60 7. Il Budget Commerciale………………………….. 63 8. Il Budget di Produzione………………………….. 69 9. Il Budget dei Servizi Generali…………………… 75 10. Il Budget degli Investimenti……………………... 78 11. Il Master Budget Economico…………………….. 79 12. Il Master Budget Finanziario…………………….. 81 12.1. Il Budget di Tesoreria……………………... 82 12.2. Il Budget Patrimoniale…………………….. 89 PARTE III CARATTERISTICHE CONTROLLO PECULIARI DIREZIONALE DEL NELLE COOPERATIVE 1. Il modello economico della cooperativa…………. 94 2. Particolarità degli aspetti patrimoniali delle cooperative……………………………………….. 102 3. Particolarità degli aspetti economici delle cooperative……………………………………….. 107 2 PREMESSA L’estrema complessità e turbolenza dell’ambiente economico causato dalla globalizzazione dell’economia provoca la necessità di disporre di strumenti sistematici di ausilio alla direzione aziendale che eviti di brancolare nel buio e di affidarsi unicamente all’istinto. Un sistema di tecniche e strumenti in grado di soccorrere in questa situazione è sicuramente il controllo di gestione, applicato tradizionalmente nelle grandi e medie imprese, ma di cui, sempre più spesso, si ravvisa la necessità anche in aziende di più piccole dimensioni, sottoposte anch’esse a turbolenza ambientale e alla concorrenza e interdipendenza globale. In una visione statica il controllo di gestione è estremamente utile per ottenere una conoscenza, un controllo e quindi una riduzione dei costi, tuttavia in un’ottica avanzata, e cioè, dinamica ed integrata con altri sistemi aziendali, come ad esempio il marketing, diviene lo strumento principe per l’agire economico. Il presente lavoro si propone una trattazione del controllo di gestione in generale, con un’attenzione alle tecniche 3 maggiormente applicabili a strutture di piccole e medie dimensioni, per poi approfondire le problematiche specifiche e particolari riguardanti il campo delle piccole e medie cooperative, in modo da riadattare e trasporre le tecniche precedentemente approfondite nelle stesse. 4 PARTE I PIANIFICAZIONE STRATEGICA 1. Il controllo di gestione Per fornire una prima definizione, estremamente intuitiva, di controllo di gestione si potrebbe dire che il controllo di gestione è un insieme di strumenti e tecniche in grado di fornire alla direzione e alla proprietà di una qualunque impresa informazioni utili per comprendere meglio la realtà aziendale ed assumere decisioni più razionali. Un sistema di Controllo di Gestione permette al management di: • Comprendere l'evoluzione della situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale dell'azienda in modo più approfondito rispetto al bilancio redatto ai fini civilistici e fiscali; • Utilizzare in modo più efficiente tutte le risorse a disposizione (risorse tecnologiche, umane, finanziarie, ecc.); • Prendere decisioni sulla base di dati quantitativi e non solo grazie all'istinto imprenditoriale e ad intuizioni che, a volte, possono rivelarsi fuorvianti; • Reagire più velocemente al cambiamento; • Migliorare l'immagine del management e dell'azienda all'interno ed all'esterno. 5 La progettazione di un sistema di controllo di gestione presuppone la scelta delle caratteristiche del controllo stesso attraverso un approccio di tipo situazionale. In particolare la costruzione e il dimensionamento del sistema di controllo deve tener conto di: 1. Cultura aziendale e stile di management 2. Dimensione e complessità di struttura e business 3. Costi/benefici nel grado di dettaglio e precisione delle analisi che generano le informazioni 4. Strumenti informatici disponibili In ogni caso è sempre da tener presente che più i dati sono precisi e analitici più alto è il costo degli stessi e più lunghi possono essere i tempi per ottenerli. 2. L’attività di direzione L’attività di direzione consiste essenzialmente nello: scegliere le direttive da impartire in merito all’impiego dei fattori produttivi, materiali e personali, alle loro modalità d’uso e ai risultati che si desidera conseguire, fare in modo che qualcuno agisca in conseguenza alle direttive prese. Il tutto si completa con la verifica di quanto effettivamente eseguito (fase di controllo). Quindi i processi base del controllo di gestione si possono suddividere in due macro attività: • Pianificazione e programmazione 6 • Controllo Il processo di pianificazione e programmazione determina le strategie aziendali, si determina, cioè, il posizionamento nel settore/mercato identificando il sistema di obiettivi aziendali conseguenti ai vari livelli: Strategico, Tattico e Operativo. Gli strumenti sono principalmente: 1. Il Piano Strategico 2. Il Piano di Sviluppo Aziendale (almeno triennale) 3. Il Budget (annuale) V Pianificazione strategica Management Base operativa Controllo direzionale Controllo operativo Il processo di controllo si articola in: 1. Il controllo preventivo a supporto del processo di pianificazione e programmazione a. Verifica della coerenza tra obiettivi prefissati e strategie per conseguirli; 7 Fasi e oggetti del processo di pianificazione: Fase di pianificazione STRATEGICA DIREZIONALE OPERATIVA Componente Pianificazione Obiettivi - Linee guida - Obiettivi strategici Pianificazione Risorse - Piano economicofinanziario triennale Pianificazione Obiettivi - Piano di vendita - Piano di produzione Pianificazione Risorse - Bilancio di Previsione - Budget per funzione - Budget per centro di costo - Budget finanziario Programmazione Obiettivi - Lancio di produzione Programmazione Risorse - Budget di tesoreria Contenuti Elaborazione della strategia Utenti - Consiglio di amministrazione - Direttore generale Orizzonte temporale Triennale con articolazione annuale Attuazione della strategia - Direttore generale - Direzioni aziendali - Responsabili di settore Annuale con articolazione mensile Guida operativa - Responsabili di settore - Responsabili operativi Mensile con articolazione settimanale o giornaliera 8 b. Verifica l’equilibrio tra risorse necessarie e risorse disponibili; c. Valuta gli effetti economico finanziari e patrimoniali delle azioni programmate. 2. Il controllo concomitante (monitoring) attraverso strumenti (contabilità contabili ed analitica, extracontabili rendimenti consuntivi fisico-tecnici, standard); 3. Il controllo consuntivo strumenti di sintesi contabile consuntiva (contabilità generale, bilancio, riclassificati e indici). 3. Pianificazione e programmazione L’attività di management può consistere: • nell’attendere il verificarsi degli eventi prima di avviare il processo decisionale, ossia nel lavorare guardando il presente o peggio il passato, si tratta della semplice previsione in assenza di decisioni, • nel cercare di prevedere gli eventi e di anticipare alcune decisioni e azioni manageriali, assumendo un atteggiamento proattivo (pianificazione) e non solamente reattivo (previsione). La pianificazione e programmazione strategica consiste in un processo di riflessione del management aziendale al fine di determinare gli obiettivi strategici che l’azienda intende 9 proporsi e, conseguentemente, le decisioni che l’azienda deve prendere per raggiungere tali obiettivi, attraverso una chiara determinazione di piani attuativi, suddivisi tra i vari settori aziendali. Si tratta di un processo formale e in forma scritta, che si articola, come già detto, in orizzonte temporale di lungo, medio e breve periodo. 4. Il Piano Strategico Si tratta di un piano almeno quinquennale, redatto in forma qualitativa prescindendo dai bilanci di previsione, e che definisce: 1. L’area di affari che si sta occupando, le tecnologie utilizzate, i punti di forza e di debolezza 2. I clienti a cui ci si rivolge 3. I fornitori di cui ci si serve 4. I concorrenti attuali 5. I concorrenti potenziali 6. I prodotti sostitutivi. Le difficoltà di prevedere il futuro del mercato a lungo termine nell’attuale realtà di complessità, potrebbero scoraggiare la redazione di questo piano. In realtà quello che è entrato in crisi non è la necessità della pianificazione strategica, ma la formulazione della stessa secondo un approccio di tipo tradizionale che procede dall’alto verso il 10 basso. In un epoca di estrema turbolenza e incertezza la pianificazione strategica dovrebbe avvenire secondo un approccio emergente, dal basso verso l’alto, spingendo il management a riconoscere rapidamente le strategie sprigionate dall’organizzazione, coltivando le migliori, accantonando le peggiori e confrontando le stesse con gli obiettivi dell’impresa, le minacce, le opportunità dell’ambiente esterno e con le forze e debolezze dell’interno. Risulta chiaro, in ottica di questo tipo, come cooperative piccole e medie possano essere avvantaggiate più di altre imprese. La condivisione, infatti, degli obiettivi dell’organizzazione a tutti i livelli favorisce un processo di apprendimento che trae vantaggio dalla varietà di conoscenze, capacità ed esperienze delle persone che la compongono. In ogni caso pianificare, nella realtà odierna, significa tenere conto dell’incertezza che domina il futuro, riconoscere i limiti della conoscenza ed evitare di cadere vittime di pregiudizi 5. Il Piano di Sviluppo Aziendale Si tratta di un processo di riflessione continua, che deve essere rinnovato ogni anno, eseguito dal management aziendale, sotto la supervisione della direzione generale, e 11 che deve essere discusso, modificato e approvato dal consiglio di amministrazione. Questo processo di programmazione che comprende le previsioni quantitative per un periodo, di solito, di tre anni, è particolarmente delicato e impegnativo, lungo un sentiero di notevoli difficoltà. 5.1 Le fasi della programmazione Consistono in: a. Riesame della strategia del vecchio piano (se esiste) b. Verifica della missione c. Revisione della strategia e considerazione di eventuali alternative d. Definizione della nuova strategia e stesura del nuovo piano a medio termine a. Riesame della strategia precedente E’ il riesame che si esegue nel caso esista un piano a medio precedente, sulla cui base si va a verificare, se nel corso dell’anno sono emersi dei punti di debolezza finanziari, reddituali, di mercato o altri e se sono emersi punti di forza su cui contare in futuro. Nello stesso tempo si analizzano le turbolenze e le variazioni dell’ambiente esterno al fine di prospettare le minacce da contrastare e le occasioni da cogliere e sfruttare. 12 b. Verifica o determinazione della missione E’ chiaro che nella prima redazione del piano non si tratterà di verifica ma di determinazione della missione e cioè dare risposte a domande del tipo: - Chi sono? Chi voglio essere? - Casa posso fare? Con quali limiti? - Quali clienti voglio servire? - Con quali prodotti? - Come? Dove? La risposta a queste domande definisce l’area di business che l’azienda intende ricoprire, delimitandone il campo di azione. Dalla valutazione generale ed attenta dello stato in cui si trova l’azienda attraverso la determinazione degli indici di bilancio (cash flow, indici finanziari, indici di redditività, indici di rotazione, ecc.), e l’analisi dei prodotti/servizi offerti. Si perviene, così, a determinare in forma specifica, rispetto al Piano Strategico, punti di forza e di debolezza e a definire maggiormente minacce ed opportunità. c. Verifica o determinazione della strategia Sulla base della verifica della missione si passa alla elaborazione o verifica della strategia, definendo: • L’analisi del/dei settori in cui si opera • I mercati da servire, quelli da abbandonare e quelli in 13 cui entrare • I clienti da servire • Il make or buy, e cioè la decisione se fare o comprare prodotti/servizi da offrire ai clienti • I prodotti da eliminare • La riduzione dei punti di debolezza e l’incremento dei punti di forza d. Stesura del Piano Il Piano di Sviluppo Aziendale si articola in: • una premessa contenente la sintesi delle linee strategiche da perseguire, dopo averne individuata la missione. • il Piano di Marketing e vendite, cioè le scelte strategiche sul cosiddetto marketing- mix: o cosa e a chi vendere (prodotto/servizio) o a quali prezzi (prezzo) o con quale sistema distributivo (punto di vendita) o con quale sistema promozionale (promozione) Gli strumenti del marketing-mix vanno poi tra loro correlati, in modo da non risultare in contrasto e che il tutto si risolva in un sistema coerente. • il Piano Industriale, elaborato sulla base del Piano di Marketing e che determina le scelte in merito alla 14 produzione, stock prodotti, acquisti, stock materie prime, lavorazioni esterne ed interne, capacità produttiva • il Piano delle Strutture di Supporto, che vanno distinte in a. Servizi ausiliari afferenti alla produzione e quindi addebitabili ai diversi prodotti o servizi, contribuendo al costo diretto di prodotto. b. Servizi generali, i cui costi sono difficilmente comprimibili e su cui è possibile intervenire mediante riorganizzazioni procedurali e introduzione di sistemi informatici. Data la loro difficile comprimibilità, l’indipendenza dai volumi produttivi e di vendita e la notevole incidenza sui costi, può essere conveniente sottoporli ad un’analisi ZBB (Zero Base Budgeting), che consiste nell’analizzare tutte le funzioni di carattere generale partendo da zero, come se l’azienda dovesse essere costituita nuovamente, ed analizzando le funzioni svolte dai vari uffici, determinandone l’effettiva utilità, rivedendo le procedure ed automatizzando quelle necessarie. Si tratta generalmente ammortamenti impianti, di energia elettrica, controllo qualità, manutenzione, magazzino. 15 I CONTENUTI DEL PIANO AZIENDALE E DEL BUDGET (varia solamente l’orizzonte temporale) MISSIONE ANALISI DI SETTORE PIANO DI MARKETING E VENDITE PIANO INDUSTRIALE PIANO DELLE STRUTTURE DI SUPPORTO PIANO DEL PERSONALE PIANO DEGLI INVESTIMENTI MASTER PLAN ECONOMICOVerifica fattibilità finanziaria • Verifica fattibilità economica Il Piano del Personale, conseguente alle decisioni 16 prese dai responsabili marketing, vendite e produzione e relativi ad aumenti o riduzioni del personale, tenendo anche conto dello stato delle relazioni sindacali, dell’opportunità di inserire sistemi incentivanti, o soluzioni e innovazioni di tipo organizzativo. • Il Piano degli investimenti, anch’esso subordinato dalle decisioni prese dal responsabile marketing e produzione e naturalmente condiziona il responsabile finanziario. Possono riguardare impianti produttivi, immobili e sistemi informatici e tenendo sempre conto delle esperienze, degli aggiornamenti forniti dal settore di ricerca e sviluppo e dall’analisi della concorrenza. Determinata l’opportunità di investimento, in accordo con il responsabile finanziario va eseguita la scelta di investimento; nel caso di difficoltà finanziarie, di un mercato fluttuante, e quindi per ridurre l’esposizione finanziaria e gli impegni di personale andrà esaminata la possibilità di ricorso alla produzione presso terzi, “outsourcing”. • Il Master Plan Economico-Finanziario per i tre anni di validità, e cioè: o Il Conto Economico Scalare, o Lo Stato Patrimoniale a sezioni contrapposte, o Il Piano Finanziario. 17 Qualora la situazione finanziaria espressa dagli Stati Patrimoniali e dall’analisi dei flussi finanziari non fosse sostenibile dall’azienda, sarebbe necessario rivedere tutta l’impostazione del piano. In conclusione, tutto il processo di stesura del Piano di Sviluppo Aziendale di medio periodo si configura non come un processo lineare, ma come un complesso processo ciclico, in cui le fasi successive possono mettere continuamente in discussione le precedenti, obbligando a tornare indietro e rielaborare le premesse. Infine, le stesse conclusioni del piano tendono ad alimentare le premesse. 6. Il Budget La logica conseguenza della stesura del Piano triennale è il budget, che consiste in un bilancio preventivo dell’anno successivo e che dovrebbe corrispondere al primo dei tre anni del Piano di Sviluppo. Si tratta, quindi di uno strumento di pianificazione a breve maggiormente preciso e dettagliato del piano a medio. Infatti mentre quest’ultimo viene di solito redatto verso la metà dell’anno, il budget viene redatto verso la fine dell’anno in modo da poter essere approvato verso dicembre; per redigere il piano si prende in esame il primo anno del piano, lo si ritocca tenendo conto di informazioni più aggiornate, concernenti il mercato, e quindi si articola 18 nelle sue componenti, con il fine di tenere sotto controllo i vari responsabili di funzione e separatamente i vari prodotti o servizi nonché le varie attività. Il budget può essere definito un programma d’azione, che contiene la traduzione in termini economico-finanziari della gestione programmata e che guida e responsabilizza i manager verso obiettivi di breve periodo (1 anno), definiti nell’ambito di un Piano strategico aziendale di lungo periodo. Ne deriva, quindi, che non si tratta di una mera previsione, la quale è strumentale al budget, ma non coincide con esso. L’insieme delle previsioni va ad alimentare in modo sia diretto che mediato l’elaborazione del budget. Le varie fasi viste precedentemente per la stesura del piano a medio termine valgono anche nel caso della stesura del budget, con la sola differenza che in questo caso sono, da lato, limitate ad un solo anno, dall’altro, come già detto, maggiormente precise e dettagliate. In ogni caso il budget comporta un alto coinvolgimento di più attori ai vari livelli e non deve essere assolutamente inteso come un’imposizione dall’alto. Ecco perché anche da questo punto di vista si ritiene che le piccole e medie cooperative risultino attrezzate per questo tipo di passaggi e possano incontrare minori difficoltà rispetto ad altre imprese piccole e medie di tipo capitalistico, dove è maggiormente presente un processo di autorità e magari di 19 scarso coinvolgimento dei diversi attori ai vari stadi decisionali e comunque importanti della vita dell’azienda stessa. 6.1 Le funzioni del sistema di budgeting Un corretto sistema di budgeting assolve alle seguenti funzioni: 1. Una Funzione Informativa: o Delineare la situazione attuale nella quale ci si trova a comporre le scelte o Valutare anticipatamente la convenienza economica o Verificare l’andamento 2. Una Funzione di Indirizzo e Coordinamento: o Valutando la coerenza fra strategia, obiettivi e programmi d’azione o Mantenendo un bilanciamento fra le risorse disponibili e quelle necessarie o Verificando l’andamento dell’attività 3. Una Funzione Motivazionale, in quanto consente di responsabilizzare in termini di obiettivi da raggiungere le varie persone che operano in azienda 4. Una Funzione di Alleggerimento, dell’attività dell’alta direzione, grazie alla delega dell’autorità e della responsabilità ai livelli intermedi 5. Una Funzione di Accumulo di Esperienza. 20 L’aspetto organizzativo del processo di budgeting: Attività Definizione linee guida Formulazione proposte di budget Consolidamento/ verifica delle proposte Approvazione e formalizzazione - Analisi del settore di riferimento - Focalizzazione delle aree di business - Articolazione della strategia aziendale - Formulazione piani di azione - Consolidamento delle proposte di budget - Verifica della fattibilità tecnica, economica e finanziaria - Condivisione scelte con il vertice aziendale - Presentazione degli obiettivi aziendali Attori Output - Consiglio di amministrazione - Direttore generale - Controllo di gestione - Analisi dello scenario esterno ed interno - Obiettivi strategici - Politiche aziendali (vendita, investimento, personale e reddituali) - Dirigenti - Responsabili di settore - Controllo di gestione - Direttore generale - Dirigenti - Controllo di gestione - Proposta di Piani operativi - Proposta di Piano dei finanziamenti - Proposta di budget economico, finanziario e patrimoniale - Prima bozza documento di budget - Consiglio di amministrazione - Direttore generale - Controllo di gestione - Versione definitiva documento di budget 21 Ma affinché il sistema di budgeting possa indirizzare il comportamento e motivare le persone in modo efficace è necessario fare chiarezza in azienda su quattro variabili: - il sistema delle responsabilità - gli obiettivi - i criteri di valutazione - i meccanismi di ricompensa. Si tratta, ad ogni modo, di rivedere e se necessario correggere le quattro variabili di cui sopra e rendere il sistema omogeneo e coerente. Nella pagina seguente viene esplicitata una griglia delle responsabilità del sistema di budgeting. Da quanto sopra emerge, con tutta evidenza, la complessità, l’interazione e la condivisione tra le varie funzioni aziendali nelle varie fasi del processo di budgeting, rendendo quindi necessario per ogni centro di responsabilità la definizione del tipo di responsabilità da attribuire al centro stesso. Si tratta di un momento delicato, giacché una non corretta definizione del sistema delle responsabilità può inficiare in modo irreparabile la definizione del budget. Da questo punto di vista si tratta di rispettare i principi di: - equità, e cioè effettiva manovrabilità delle leve economiche assegnate; 22 GRIGLIA DELLE RESPONSABILITA’ Linee guida aziendali Budget di marketing Budget delle vendite Budget degli investimenti Budget della R&S Budget delle scorte Budget della produzione Budget degli approvvigionamenti Budget della logistica Budget del personale Budget dei costi amm.vi e generali Budget dei finanziamenti Direttore Produzione Commerciale Marketing R&S Controllo Amministraz. Generale di gestione e Finanza X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X 23 - coerenza con strategie e obiettivi che da essa discendono. 6.2 Le diverse tipologie di centro Si è inserito il concetto di centro di responsabilità, quindi occorre aggiungere che i centri si differenziano per leve economiche manovrabili, risorse impiegate, caratteristiche dei risultati e possibili parametri economici, questi possono essere: • centro di costo-ricavo / responsabilità, sono quelli a cui è affidata la responsabilità di realizzare un’attività misurabile in termini quantitativi con l’utilizzo di risorse concordate in sede di budget; • centro di spesa, che svolgono un’attività non misurabile e il controllo è sviluppato attraverso obiettivi di tipo operativo; • centro di profitto, che rispondono di costi e ricavi e investimenti, quindi della redditività conseguita. Sono centri che operano con la logica del mercato utilizzando prezzi di trasferimento interni. 6.3 Indici di Bilancio e Flussi Finanziari La determinazione del sistema di obiettivi aziendali e la sua successiva comunicazione e condivisione con tutto il management è uno dei principali processi per orientare l’attività di tutta la struttura dell’azienda. L’azienda può centrare i propri obiettivi di sviluppo solo se il management 24 ha una cultura omogenea e riesce ad ottenere l’equilibrio della gestione assicurando a tutti i livelli un sistema di valori comuni e condivisi. E’ chiaro che le piccole e medie cooperative possono trovarsi in una situazione ottimale da questo punto di vista, e con una maggiore capacità di raggiungere obiettivi condivisi, premessa questa per un buon sistema di controllo direzionale. E’ comunque opportuno che gli obiettivi siano: • coerenti con la strategia d’impresa • motivanti • attribuiti a centri di responsabilità ben definiti • controllati e valutati con gli scostamenti per fornire un input ai sistemi di valutazione e ricompensa. Le differenti tipologie di obiettivi possono essere economici, patrimoniali, finanziari, operativi, e vanno integrati con obiettivi strategici competitivi. L’obiettivo di redditività è sicuramente primario, poiché essa è fonte di autonomia gestionale, capacità di crescita equilibrata e capacità di attrarre il capitale di rischio. Gli obiettivi legati all’andamento della gestione economica caratteristica, quelli legati all’andamento della gestione finanziaria e quelli legati all’andamento delle gestioni diverse, straordinaria e fiscale sono determinanti dell’obiettivo di Redditività dei mezzi propri o ROE (Return On Equity), espresso dal rapporto fra reddito di 25 esercizio e capitale netto, sintetizzando così la redditività complessiva dell’impresa attribuibile al capitale proprio. Importante, per le imprese, risulta essere l’obiettivo di Redditività operativa del capitale investito o ROI (Return On Investment), che è espresso dal rapporto fra reddito operativo e capitale investito nella gestione caratteristica e che evidenzia la capacità dell’impresa di ottenere redditi dai capitali impiegati nell’oggetto tipico dell’attività. A sua volta il ROI ha come precise determinanti il ROS e il NAT, come viene evidenziato nel prospetto della pagina seguente, che evidenzia l’Albero degli Indici aziendali che può servire per l’apprezzamento dell’assetto economico-finanziario di un’impresa, l’individuazione dei potenziali di miglioramento e delle relative responsabilità. Poiché lo Stato patrimoniale è la fotografia di un momento, a fini di analisi occorre mediare stati patrimoniali di più periodi, quindi occorre riferirsi a capitale netto, capitale investito ecc. come medie di più periodi (ad esempio prendendo la semisomma tra il capitale iniziale e quello finale di un dato esercizio). Se gli indici di bilancio si attuano mediante la costruzione di relazioni numeriche fra valori o classi di valori di bilancio, un’altra tipologia di analisi è volta ad evidenziare le variazioni che gli elementi del patrimonio di 26 funzionamento subiscono nel corso del tempo: i flussi finanziari, tipicamente flussi di capitale circolante netto e flussi di cassa. ALBERO DEGLI INDICI AZIENDALI ROI Return on Investment ROS Return on Sales NAT Net Assets turnover COS Costi delle Vendite RAI Ricavi su Attiv. Imm. Materiali Costi var.dir.su ricavi Manodopera Costi ciclo prod.su ricavi Rotazione Magazzino Vendite su Magazzino Rotazione Crediti Fatt.su crediti comm. Stock Costi car./ecc.cap.prod.su ricavi Prod. Magazzino Costi struttura su ricavi Rotazione Debiti Costi var.dir. su forn. Commerciali Costi comm.su ricavi Amministrazione Costi amm.su ricavi Gestione Finanziaria Gest.fin.su ricavi 27 SCHEMA SINTETICO DI STATO PATRIMONIALE Liquidità Passività immediate Correnti Liquidità differite Passività Disponibilità Consolidate Capitale Immobilizzi Proprio netti Impieghi Propri PASSIVO Mezzi di Terzi ATTIVO Mezzi Capitale Circolante Capitale Impiegato RICLASSIFICATO Fonti DETERMINANTI GESTIONALI DEL FLUSSO DI CASSA Reddito operativo e ammortam.ti Flusso di cassa operativo Variazione CCN Investimenti fissi netti Vendite Costi Cap. Circolante Deb. Fornitori Nuovi investim. Disinvestim. 28 CCN=Cap.Circ.(Scorte+Cred.Clienti+Liquidità) – Deb.Fornitori Questo tipo di analisi pone in evidenza il divenire nel tempo degli impegni finanziari e delle fonti utilizzate per la loro copertura, fornendo un quadro di insieme delle politiche finanziarie adottate. In fase di pianificazione si pongono come obiettivi di fabbisogno finanziario, conseguenti a determinate ipotesi di sviluppo. 6.4 Le premesse di un sistema di budgeting La progettazione di un sistema di controllo di gestione e budgeting presuppone di: • Decidere il contenuto da dare al budget e l’orizzonte su cui proiettarlo • Definire preliminarmente obiettivi economico- finanziari operativi • Stabilire chi deve fornire le informazioni nel processo di budgeting • Fissare i tempi del budgeting • Predisporre un preconsuntivo patrimoniale ed economico a chiudere per l’anno in corso • Disporre di un esperienza almeno biennale a livello di consuntivazione, occorre cioè disporre di un minimo di contabilità analitica. 29 In base all’arco temporale di riferimento si può avere il budget chiuso, che si elabora una volta l’anno e non viene più rivisto o il budget aperto, che viene adattato e rivisto ad ogni sottoperiodo. In base ai livelli di attività, invece il budget può essere fisso, flessibile (cambiano i volumi di vendita/produzione), a scenari multipli. Per quanto riguarda il contenuto del budget distinguiamo tra budget operativi (commerciale, di produzione, degli acquisti, delle scorte, di ricerca e sviluppo, dei servizi generali, del personale) e budget degli investimenti nelle stesse aree operative. Entrambi i tipi di budget concorrono alla stesura dei budget finanziari e, insieme a questi del Master Budget (CE, SP, Investimenti, Flussi finanziari). 30 PARTE II IL CONTROLLO DIREZIONALE 1. Il controllo direzionale e l’analisi dei costi Si è detto che, preliminare alla progettazione di un sistema di budgeting e quindi ad un completo ed affidabile controllo di gestione risulta essere un’esperienza almeno biennale nella consuntivazione e nell’analisi dei costi. Gli scopi tradizionali dell’analisi dei costi rappresentano i problemi del management: • giudizi di efficienza (input); • giudizi di produttività (output); • giudizi di redditività del portafoglio prodotti; • decisioni di convenienza comparata; • controllo delle spese generali; • analisi gestionale in ottica strategica; • formazione del bilancio. Essa offre molte possibilità in merito al controllo dell’efficienza, alla verifica della produttività degli impianti, all’analisi della redditività dei singoli prodotti o linee di prodotto e quindi quelli che perdono e quelli che guadagnano, e di conseguenza alla formulazione di prezzi e tariffe adeguati. Il controllo direzionale è alimentato da una struttura informativa specifica, composta da numerosi strumenti: 31 • strumenti di sintesi contabile consuntiva (contabilità generale., bilancio, riclassificati e indici); • strumenti (contabilità contabili/extracontabili analitica, rendimenti consuntivi fisico-tecnici, standard) • strumenti di analisi preventiva (programmi operativi, budgeting, reporting economico-finanziario); • strumenti di reporting contabile (indicatori di qualità, indicatori gestionali). 1.1 La contabilità analitica Tra gli strumenti consuntivi predominanti risultano la contabilità generale e quella analitica. La contabilità generale è l’insieme delle rilevazioni attraverso le quali si raccolgono i costi e i ricavi collegati agli scambi con i terzi esterni all’impresa e si seguono i movimenti finanziari dell’impresa. E’ una contabilità che osserva l’impresa nel suo insieme ed è costituita da una raccolta di dati economici e quantitativi con la prima finalità di redigere il bilancio civilistico, secondo le disposizioni di legge. In altre parole è un serbatoio di raccolta dati che comprende tutte le informazioni che nascono dagli scambi che l’impresa effettua con i terzi, sia in termini di acquisizioni di beni (costi) che di cessioni di beni o servizi (ricavi). La contabilità generale utilizza i costi suddivisi per natura, 32 cioè materie prime, materiali ausiliari e di consumo, stipendi, energia elettrica, ammortamenti ecc., quindi tiene meticolosamente conto degli scambi dell’azienda nel suo complesso, prescindendo dalla destinazione degli stessi all’interno della medesima. Il fine ultimo della contabilità generale è redigere il bilancio di esercizio, per cui dai suoi dati sarà possibile ricavare la situazione finanziaria, attraverso gli indici di bilancio e i flussi finanziari, l’andamento gestionale dell’insieme dell’impresa, ma poche utili informazioni alle scelte direzionali, alla valutazione delle singole unità di business, finalizzate al conseguimento o meno degli obiettivi da raggiungere. Queste informazioni sono, per contro, l’oggetto principale della contabilità analitica, il suo compito è teso a determinare le diverse responsabilità gestionali all’interno dell’azienda, distinguendo reparti e prodotti. Naturalmente, ci deve essere una stretta correlazione tra i dati della contabilità generale e quelli della contabilità analitica, anche se per questi ultimi non è richiesta la meticolosa precisione dei primi, in quanto ai fini del controllo di gestione viene privilegiata, inevitabilmente la rapidità dell’informazione, in modo da consentire un rapido intervento e da effettuare rapide revisioni di budget, richieste o imposte dal mercato. 33 Quindi si può affermare che mentre la contabilità generale è rivolta all’esterno, rileva dati precisi e storici e si riferisce sostanzialmente al passato, la contabilità analitica è rivolta all’interno in termini revisionali, e di conseguenza non precisi, si riferisce al futuro, è protagonista nella stesura del budget, e ne verifica periodicamente gli scostamenti, fornendo in tal modo informazioni utili al controllo di gestione aziendale e alla presa di decisioni. Inoltre, serve a fornire elementi per la determinazione dei prezzi, per effettuare scelte di convenienza economica e a controllare l’efficienza delle singole unità operative (centri di costo), dei singoli prodotti/servizi o delle commesse. Risulta importante precisare che gli elementi necessari alla contabilità analitica sono ricavati dai dati della contabilità generale, quindi occorre nella redazione del piano dei conti della contabilità analitica costituire un raccordo tra i dati della contabilità generale e quelli della contabilità analitica. A seconda delle specificità aziendali, del mercato in cui si opera, del/dei prodotti/servizi che offre, nascono necessità di controllo diverse, per cui si può avere una contabilità analitica per prodotto, o per commessa, riscontrandosi frequentemente anche necessità di situazioni ibride o di necessità di controllo diverse all’interno della stessa azienda, in relazione alle diverse unità di affari. Nella progettazione di un sistema di controllo di gestione 34 occorre, quindi, anzitutto, interrogarsi sull’oggetto di analisi a cui riferire i costi ai fini di una loro analisi, considerando il modello di business aziendale nella sua complessità e nelle sue evoluzioni. La contabilità analitica per prodotto o linea di prodotto /servizio risulta il caso più classico ed è volta a valutare l’efficienza reddituale dei singoli prodotti o linee di prodotto di un’azienda. Si tratta di attribuire ai vari prodotti i costi relativi, mentre il budget aziendale e il conto economico generale risultano dalla sommatoria dei vari budget e conti economici dei vari prodotti. E’ utilizzata nelle aziende che offrono prodotti standard ad uno o più clienti. La contabilità analitica per commessa è utilizzata in tutti quei casi in cui l’azienda produce su commessa. In questo caso, si pensi ad esempio ad aziende di costruzione edilizia, di impiantistica, di progettazione, il vero prodotto dell’azienda è la commessa, con la difficoltà rappresentata dal fatto che ogni commessa può essere completata in un tempo superiore all’anno. E’ necessario in questo caso che per ogni commessa sia redatto un programma dei lavori e dei ricavi per tutta la durata della commessa. Le commesse possono essere classificate come: • Commesse esterne o Di lunga durata e grandi importi 35 o Di breve durata o Ripetitive, con elementi di standardizzazione • Commesse interne o D’investimento, contengono tutti i costi legati alla ricerca e sviluppo ed alle manutenzioni straordinarie incrementative o Di costo, contengono tutte le attività di perdita aziendale (fermi produttivi, inefficienza della struttura, manutenzioni ordinarie, vigilanza, addestramento, ecc.) o D’offerta (New Business), tutti i costi tipici della struttura commerciale per acquisire i lavori, nel caso in cui si riesca ad attribuirli in modo diretto alle commesse esterne. Emerge da questa classificazione la possibilità nel concreto di contabilità analitiche ibride che presentano elementi sia di quella per prodotto che per commessa, ad esempio nel caso di azienda che produce su commesse ripetitive di breve durata, in tal senso, la struttura della contabilità analitica coincide con una contabilità per prodotto. 1.2 Costi diretti e costi indiretti Il problema di fondo del calcolo dei costi di prodotto o commessa risiede nel dover collegare all’unità di prodotto i costi rilevati e aggregati per natura dai tradizionali sistemi 36 contabili. La necessità di impostare il calcolo su base unitaria costituisce l’aspetto critico dell’intero processo di misurazione. In verità, alcune categorie di costi possono essere misurate con riferimento all’unità di prodotto e ad essa imputate attraverso la semplice combinazione di quantità fisiche e prezzi-costo unitari. E’ il caso ad esempio dei materiali diretti, i componenti, il lavoro diretto; si richiede in questi casi la valorizzazione di quantità fisiche per prezzi. Trattasi di una misurazione oggettiva, in quanto osservabile e misurabile è la relazione che lega il consumo del fattore produttivo all’unità di prodotto e che trova i propri aspetti di criticità nella definizione dei due termini del calcolo: quali quantità di fattore produttivo considerare, come tener conto degli scarti fisiologici accettati ed accettabili dal sistema operativo in essere e quali prezzi- costo prendere in considerazione per operare la valorizzazione. Le criticità relative alla imputazione dei costi diretti non vanno ricercate nelle metodologie di misurazione, ma nell’adeguatezza dei sistemi operativi: la corretta quantificazione dei consumi di materie o di lavoro diretto per unità di prodotto non attiene alla sfera amministrativa ma piuttosto alla corretta formulazione delle distinte base o dei cicli di lavorazione. Altre categorie di costi, che in un numero crescente di 37 imprese costituiscono una porzione rilevante dei costi di produzione, non sono invece direttamente riferibili all’unità di prodotto. Manca in questo caso una relazione diretta, misurabile, tra i processi di impiego di tali fattori e il prodotto. La determinazione della quota di costo indiretto da attribuire al prodotto o commessa rappresenta invece l’area sulla quale tendono a differenziarsi, dal punto di vista metodologico, i sistemi del calcolo dei costi. Le metodologie di costing più comuni sono: • Direct costing • Direct costing evoluto • Full costing • Centri di costo • Activity Based Costing Ciascuna metodologia presenta specificità in merito alle diverse finalità conoscitive: METODOLOGIE FINALITA’ Direct costing Produttività Full costing Direct costing evoluto, Activity based costing Efficienza, redditività, formazione dei prezzi Controllo strategico 38 2. Il Direct Costing Il direct costing muove dalla distinzione tra costi fissi e costi variabili. Osservando il comportamento delle differenti classi di costo al variare del livello di attività aziendale è possibile classificare i costi in: • Costi variabili • Costi fissi I primi sono costi che variano, nel loro ammontare complessivo, in misura strettamente proporzionale al variare del volume di attività, i secondi sono costi che non variano, o che variano nel loro ammontare complessivo, in misura non proporzionale al variare del volume di attività. I costi variabili, che sono sempre diretti, si distinguono in: • Costi variabili commerciali o Provvigioni o Trasporti su vendite • Costi variabili industriali o Materiali o Trasporti su acquisti o Lavorazioni esterne o Alcune manutenzioni a carattere generale connesse con il funzionamento di specifici impianti o Alcuni materiali di consumo impiegati in rapporto al funzionamento di specifici impianti o Altri costi di natura variabile a carattere generale 39 (forza motrice, ecc.) Dai costi fissi discende il problema della loro copertura e quindi il problema della sottoutilizzazione della capacità produttiva. Tale problema trova soluzione in un determinato valore di produttività, ossia il volume di attività in grado di impiegare convenientemente tali risorse rigide. Questa considerazione implica che: SUCCESSO = CRESCITA DI VOLUME tuttavia non si tiene conto di fattori come: varietà, innovazione, diversificazione, organizzazione In questo tipo di analisi un dato rilevante, in ordine alla problematica in parola, è il margine lordo di contribuzione. COMPORTAMENTO DEI COSTI FISSI RISPETTO AI VOLUMI Valori Costi Fissi Volumi V max 40 Il margine lordo di contribuzione non è altro che la differenza tra ricavi e costi variabili industriali e commerciali. COMPORTAMENTO DEL MARGINE DI CONTRIBUZIONE Valori Ricavi Margine lordo di contribuzione Costi variabili Volumi V max Il Margine lordo di contribuzione, sensibile alla crescita dei volumi, permette di individuare i quantitativi prodotti capaci di fronteggiare i costi fissi, e di superarne il livello per realizzare un risultato netto positivo. 2.1 Analisi del Punto di Pareggio o Break Even Point Analysis (BEP) L’analisi del punto di pareggio è basata sul concetto di copertura dei costi fissi, e cioè data una struttura di costi fissi, più basso è questo livello, minore sarà il livello di ricavi necessario per raggiungere il punto di pareggio, cioè il punto in cui i costi totali eguagliano i ricavi. Viceversa 41 più alto è il livello dei costi fissi, più alto è il livello del punto di pareggio. COMPOSIZIONE DEL MARGINE DI CONTRIBUZIONE PROFITTO COSTI FISSI < RICAVI MARGINE DI CONTRIBUZIONE = COSTI VARIABILI VOLUMI Il punto di pareggio non è altro che quel volume di produzione al livello del quale non si ha ne’ profitto ne’ perdita. La formula per determinare il punto di pareggio è Qp = CF / Mc% Mc%= 1 - CV / P dove Qp è la Quantità di pareggio CF sono i Costi Fissi Mc% è il margine di contribuzione percentuale CV sono i costi variabili P il prezzo di vendita. 42 BREAK EVEN POINT ANALYSIS DI UN’AZIENDA “ELASTICA” Valori Ricavi Costi totali P Costi variabili Costi fissi Volumi Q pareggio Q attuale V max BREAK EVEN POINT ANALYSIS DI UN’AZIENDA “RIGIDA” Ricavi Valori Costi totali P Costi fissi Costi variabili Volumi Q pareggio Q attuale V max Collegato al concetto di punto di pareggio è quello di Margine di Sicurezza (M.D.S.), che non è altro che la differenza tra le vendite totali e la cifra delle vendite che risulta in corrispondenza del B.E.P. L’entità del margine di sicurezza è un dato utile per 43 valutare la forza di un’azienda. Se è elevata significa che si può verificare un calo sostanziale nelle vendite senza pregiudicare il conseguimento di un certo profitto, se il margine, invece, è piccolo ogni calo delle vendite può avere serie conseguenze. La formula del margine di sicurezza è: MDS = R – BEP % / R dove R sono i ricavi Capacità satura Vuoto di capacità I limiti dell’analisi del Punto di Pareggio sono: • i costi fissi rispetto ai volumi sono tali solo nel breve periodo; • i costi fissi in realtà sono soggetti a variabilità rispetto ai soli volumi nel medio-lungo periodo e comunque dipendono da diverse cause; • linearità delle dinamiche dei costi variabili; • stazionarietà della struttura esistente. 44 2.2 La Leva Operativa E’ un concetto utile per comprendere i vantaggi/svantaggi di chi persegue strategie di crescita sulla base di strutture aziendali rigide, cioè con alti costi fissi. L’aumento dei volumi prodotti produce un aumento dei margini lordi di contribuzione cui corrispondono aumenti più che proporzionali dei risultati operativi. EFFETTO LEVA OPERATIVA IN IPOTESI DI CRESCITA DI VOLUME 2002 Volumi 2003 2004 2005 1.000 1.200 1.600 1.900 100.000 120.000 160.000 190.000 (40.000) (48.000) (64.000) (76.000) 60.000 72.000 96.000 114.000 C.F. (60.000) (60.000) (60.000) (60.000) R.O. 0 12.000 36.000 54.000 R.O./M.C. 0,0% 16,6% 37,5% 47,4% C.F./M.C. 100% 83,4% 62,5% 52,6% Ricavi (p = 100) C.V. (cv = 40) M.L.C. L’indice di leva operativa R.O./M.C. esprime i 45 vantaggi/svantaggi relativi alla crescita in presenza di costi fissi. ANALISI DEL PORTAFOGLIO PRODOTTI SECONDO IL DIRECT COSTING Prod.A Prod. B Prod. C Totale Ricavi 10.000 60.000 30.000 100.000 C.V. (2.000) (30.000) (18.000) (50.000) M.L.C. 8.000 30.000 12.000 50.000 C.F. (25.000) R.N. M.L.C./ Ricavi 8.000 30.000 12.000 25.000 80% 50% 40% 50% Questo accade perché i costi fissi riducono la loro incidenza all’aumentare dei volumi produttivi, in quanto agisce il seguente vincolo di complementarietà: (R.O./M.C.) + (C.F./M.C.) = 1 se l’indice di leva operativa cresce, decresce il rapporto costi fissi / margine di contribuzione. E’ un’analisi utile per la valutazione del mix produttivo, in ordine all’evidenziazione, all’interno del portafoglio prodotti, dei 46 migliori/peggiori risultati di prodotto. A questo proposito si parla di contributo, cioè la differenza fra prezzo di vendita e costo variabile unitario, che rappresenta appunto il contributo dell’unità di prodotto venduto alla copertura dei costi fissi. Se non si produce nulla, la perdita sarà rappresentata dai costi fissi totali, mentre il costo variabile unitario rimane lo stesso per diversi livelli produttivi. In tal senso il Margine di Contribuzione, per ciascun prodotto o linea di prodotto, evidenzia la capacità di contribuire alla copertura dei costi fissi (aziendali di periodo). 3. Il Direct Costing Evoluto Il direct costing evoluto, parte dalla considerazione che la variabilità dei costi fissi nel lungo periodo è causata da molteplici fattori: • introduzione / eliminazione di un nuovo prodotto; • attivazione / cessazione di un’attività; • ampiezza di gamma offerta; • altro. Di conseguenza una configurazione più idonea del costo primo variabile (direct costing tradizionale) a rappresentare il fenomeno in parola è il costo variabile di lungo periodo, (direct costing evoluto): 47 Costi variabili di breve periodo Costo variabile di lungo periodo = + Costi fissi specifici Il direct costing evoluto parte dalla considerazione che soffermarsi ad analizzare solo i costi variabili è limitativo; soprattutto nelle odierne condizioni di mercato, dove si assiste ad una sempre maggiore preponderanza dei costi fissi. Questa metodologia distingue all’interno della macroclasse dei costi fissi tra: • Costi fissi indiretti, come il personale logistico e tecnico, servizi generali, manutenzioni generiche, ammortamento di immobili e attrezzature generiche, ecc. • Costi fissi speciali o, anche, specifici o diretti di prodotto, tipicamente la manodopera diretta e gli ammortamenti dei macchinari. I costi fissi specifici possono poi essere attribuiti all’unità di prodotto ad esempio ore dirette di manodopera o oremacchina oppure al volume totale di prodotto o commessa, ad esempio attrezzaggi, stampi specifici. Quindi vengono caricati sul prodotto oltre che i costi 48 variabili, anche i costi fissi diretti attraverso il costo orario e cioè la sommatoria di manodopera diretta, ammortamenti industriali, costi energetici, materiale di consumo, utensileria e manutenzioni programmate diviso il numero di ore pagate standard. Il costo orario va poi moltiplicato per il tempo impiegato per unità di prodotto o per il tempo da distinta cicli (a seconda che ci si ritrovi in fase di consuntivazione o di budgeting). Uno schema di reporting ispirato al costo variabile di lungo periodo mostra, oltre al margine lordo di contribuzione o I° margine (direct costing tradizionale), anche il margine semilordo di contribuzione o II° margine (direct costing evoluto), cioè il risultato economico analitico di una produzione (sorgente o cessante a seconda che si introduca/elimini la produzione). In tal senso: Direct costing Ipotesi stazionarie di gestione Azienda statica Direct costing evoluto Ipotesi dinamiche di gestione Azienda con gestione strategica attiva I costi fissi non attribuibili alle produzioni possono essere 49 distinti in due categorie: i costi fissi “discrezionali” e i costi fissi di struttura. Prod.A Prod. B Prod. C Totale Ricavi 10.000 60.000 30.000 100.000 C.V. (2.000) (30.000) (18.000) (50.000) M.L.C. 8.000 30.000 12.000 50.000 (4.000) (7.000) (1.500) (12.500) 4.000 27.000 10.500 37.500 C.F. specifici M.N.C. C.F. (7.500) discrez. C.F. (7.500) di struttura Risultato 25.000 Netto M.L.C./ Ricavi 80% 50% 40% 50% Per l’analisi del B.E.P. si può utilizzare il II° margine di contribuzione se: • molti ammortamenti sono a zero 50 • si può giostrare con il costo della manodopera diretta (straordinari, lavoro interinale, ecc.) quindi si può considerare questi costi, variabili, almeno nel breve periodo. Il Direct Costing evoluto, come già detto, supera le vecchie ipotesi di fissità dei costi, affermando che: • i costi sono tutti prevalentemente variabili • non esiste solo la variabilità legata ai volumi • agiscono anche cause di variabilità legate alle strategie di: La o diversificazione (varietà) o di crescita per integrazione (complessità) o di internazionalizzazione (globalizzazione) globalizzazione ha comportato un più deciso orientamento al cliente, non solo per le imprese di servizi, ma anche per quelle manifatturiere, divenendo, quindi, strategico passare da una contabilità per prodotti a una contabilità per clienti o, comunque, affiancare alla tradizionale costificazione di prodotto un’analisi per cliente. Secondo logiche di just in time, con bassi livelli di magazzino, versatilità produttiva e personalizzazione del prodotto, non occorre più controllare l’efficienza standard della produzione, né monitorare il work in progress (WIP). L’impresa, in effetti, si organizza per processi, volti 51 alla creazione di valore per il cliente, occorrendo analizzare congiuntamente: COSTO DEL PROCESSO DI SODDISFAZIONE DEL CLIENTE COSTO DEL PROCESSO INTERNO (CUSTOMER ORIENTED) = + COSTO SOSTENUTO DAL CLIENTE (FUNZIONE CLIENTE) CONTROLLO a. i costi del processo customer oriented; b. i costi sostenuti dal cliente (logistici, di adattamento, di trasformazione). CLIENTE n CLIENTE C CLIENTE B MARGINE PER CLIENTE RICAVI DA CLIENTE A COSTI DI PROCESSO (CUSTOMER ORIENTED) A 52 Le fonti di profittabilità non sono più i prodotti, ma la fidelizzazione dei clienti, da monitorare mediante un’analisi dei margini di redditività per cliente. 4. Il Full Costing Finalizzata al controllo dell’efficienza, questa metodologia si interessa alla correlazione tra fattori produttivi e produzioni. Sulla base di tale correlazione si vanno a individuare: • costi speciali (nel caso l’impresa rilevi i consumi di materie con idonei indicatori fisico-tecnici) • costi comuni I costi speciali vengono attribuiti in maniera diretta alle produzioni (relazione causale) tramite misurazioni fisicotecniche (materiali di consumo, ammortamenti), quindi occorre un forte sostegno da parte delle misurazioni extra contabili. L’algoritmo di base è : costo speciale = Q x P. I costi speciali possono essere formulati (normalizzati) in termini di costi preventivo-standard, cioè vengono precalcolati e inseriti su un supporto informatico che alimenta la contabilità analitica. Essi sono rilevanti nelle imprese che operano su commessa. Le caratteristiche dei costi speciali normalizzati in termini di costi standard: 53 • costi “scientifici”; • costi preventivi; • costi obiettivo; • costi ipotetici; • costi parametrici. CREAZIONE DELLA BASE DI DATI STANDARD CICLI DI LAVORAZIONE STD QUANTITA’ MATERIALI STD TARIFFE ORARIE STD PREZZI MATERIALI STD ARCHIVIO COSTI STANDARD I costi comuni sono risorse aziendali non attribuibili alle produzioni (spese generali, affitto impianti, immobili ad uso generico) sono rilevanti nelle imprese che producono beni su grande scala. La sommatoria dei costi speciali di fabbricazione esprime il costo primo industriale. Tuttavia se è rilevante il fenomeno della comunanza dei costi il costo primo industriale risulta parziale ed occorre pervenire ad una configurazione più completa, cioè il costo pieno 54 industriale. Ai fini del calcolo del costo pieno industriale occorre, preliminarmente, classificare commerciali amministrativi, o i costi in industriali, successivamente si considerano i soli costi comuni industriali, una quota dei quali viene aggiunta ai costi speciali industriali per giungere alla definizione del costo in questione. Costi speciale industriale Costo pieno industriale = + Quota di costi comuni industriali CONTO ECONOMICO DI ANALISI REDDITUALE CON IL FULL COSTING INDUSTRIALE Prod.A Prod.B Prod.C Ricavi Totale 200 100 50 350 (75) (80) (10) (140) 115 20 40 175 Costo Industriale del venduto Utile Industriale Lordo Costi comm., amm., gen. Reddito Netto (155) 20 55 CONTO ECONOMICO “A COSTI PREVENTIVO-STANDARD E A COSTI DI BUDGET” Prod.A Prod.B Prod.C Totale 200 100 50 350 (50) (70) (20) (140) (10) (20) (5) (35) 140 10 25 175 (20) 15 5 (5) 5 (5) 10 10 115 20 40 175 Ricavi Costi speciali STD. Costi comuni ind.li ripartiti U.I.L. sui costi STD e sui costi comuni ind.li Scostam. costi STD Scostam. costi comuni U.I.L. sui costi effettivi Costi commerciali (90) Costi (65) amministrativi Reddito Netto L’attendibilità 20 di tale metodologia dipende dall’individuazione di basi di riparto idonee; solitamente si preferiscono criteri dati da misurazioni fisico-tecniche: • ore macchina (per gli ammortamenti); 56 • ore di manodopera (per il personale di coordinamento); • mq (per i canoni di locazione); • mc3 (per riscaldamento, illuminazione). Il costo pieno industriale risulta utile per: • giudizi di efficienza industriale; • le valutazioni di bilancio (ex art. 2426 C.C.) di prodotti finiti/semilavorati, commesse in corso di lavorazione, produzioni interne in economia. Un’applicazione di tale metodologia è l’analisi di redditività multibusiness. Di seguito vengono evidenziati: un conto economico di full costing industriale, un conto economico di contabilità analitica “a costi preventivostandard e a costi di budget”. Fortemente diffusa in Italia, anche a motivo della sua applicabilità ai problemi di valutazione di bilancio, tale metodologia non è estranea a limiti, essenzialmente dovuti: a. alla scarsa attendibilità delle basi di riparto (spesso poche e inappropriate) dei costi comuni; b. alla limitazione dell’analisi alla determinazione di costi pieni industriali, esaminando i soli costi comuni industriali, trascurando i costi comuni commerciali e amministrativi. 5. I Centri di Costo I centri di costo sono oggetti intermedi di calcolo che 57 contribuiscono a rendere più attendibile il calcolo del costo di prodotto. Non sempre è possibile individuare, in un certo reparto di produzione, i costi differenziati per i diversi prodotti, in tal caso, è opportuno mettere sotto controllo il reparto (centro di costo) nel suo insieme in quanto dipende dalla responsabilità di un solo responsabile che risponde di tutto il centro di costo. Il centro di costo può essere anche una funzione aziendale, un dipartimento, un centro di responsabilità o di profitto, fermo restando che il criterio di base è quello di determinare un’area di responsabilità. In tal senso si possono distinguere: • centri produttivi • centri ausiliari • centri funzionali (di solito centri di spese generali). Anche nel caso in cui sia possibile individuare i costi dei singoli prodotti, può esserci la necessità di mettere sotto controllo il reparto nel suo insieme, oltre che i singoli prodotti, il cui controllo specifico può avere il solo significato di individuare il prezzo di vendita più opportuno. Quindi il controllo di gestione per prodotto non esclude quello per centro di costo per cui la ripartizione di costi dalla contabilità generale nella contabilità analitica può tenere conto delle due esigenze. Nel calcolo del costo pieno di prodotto non esiste un modello unico, infatti nella prassi 58 aziendale consolidata si individuano alcune fasi fondamentali: 1. imputazione dei costi ai centri in cui sono stati sostenuti; 2. ribaltamento dei costi dei centri ausiliari/funzionali sui centri produttivi; 3. quantificazione della produzione dei centri e calcolo dei coefficienti unitari di costo del centro; 4. imputazione finale ai prodotti di: materie prime e altri costi diretti non “transitati” per i centri, costi indiretti rispetto ai prodotti non “transitati” eventualmente. Dall’esigenza di controllare/contenere una voce di spesa, non direttamente tecnico-produttiva, che va progressivamente crescendo, nelle attuali condizioni di mercato e cioè le spese generali, si può pervenire a soluzioni di responsabilizzazione formale, cioè alla creazione di Centri di Responsabilità Economica (C.R.E.): • centri di costo; • centri di spesa; • centri di profitto; • centri di investimento. I dirigenti sono investiti, in ogni C.R.E., da esigenze di autocontrollo sui costi attribuiti ai “centri di costo” e “di spesa” gravanti sulla loro sfera operativa. In questo modo, le spese generali non sono più anonimi costi aziendali, ma 59 vengono attribuite a soggetti responsabilizzati dai C.R.E., tramite il principio della controllabilità. Si delineano così: costi controllabili, che risultano diretti rispetto a un C.R.E., costi non controllabili, che sono costi aziendali. L’idea di fondo è di ingenerare atteggiamenti virtuosi nei responsabili dei C.R.E., ancorando i miglioramenti, in riferimento alle spese generali, a forme di incentivo. 6. Activity Based Costing (ABC) Questa metodologia ha come obiettivo quello di determinare costi di produzione di lungo periodo, cioè configurazioni di costo il cui comportamento risulta variabile per fenomeni osservabili in periodi non brevi; diversi dalle variazioni di volume prodotto, che nel breve condizionano il comportamento dei soli costi variabili. I costi interessati da tale fenomeno sono: • costi comuni industriali; • costi comuni commerciali; • costi comuni amministrativi. L’Activity Based Costing si pone, quindi, come metodologia innovativa di controllo delle succitate spese generali, che altro non sono che costi indiretti rispetto all’oggetto di riferimento. Le fasi dell’ A.B.C. sono così sintetizzabili: • analisi dei processi aziendali, per individuare le attività 60 componenti (industriali, generali, amministrative); • attribuzione dei costi (originariamente classificati per natura) alle attività, nel caso essi abbiano relazioni causali dirette; • utilizzo di cost drivers (criteri di ripartizione) per quei costi comuni a più attività; • attribuzione dei costi delle attività alle produzioni finali, nel caso in cui vi sia relazione causale; • utilizzo di idonei activity drivers, nel caso in cui le attività siano inerenti a più produzioni (processi) finali. I cost drivers di risorse sono i criteri causali di assorbimento delle risorse comuni (quindi dei costi comuni) da parte delle attività, come numero ordini, viaggi, clienti, locali, ecc. Secondo questa metodologia, introdurre, eliminare, semplificare o modificare tecnicamente dei prodotti comporta l’insorgere o il venir meno di attività. L’ABC è una procedura di calcolo dei costi di produzione migliorativa del Full Costing, nell’ottica di vedere le produzioni come le cause che generano attività. I cost drivers di attività sono i fattori causali delle attività richieste dalle produzioni, ad esempio: numero di componenti del prodotto, ampiezza del mercato servito, numero di clienti, numero di set-up. L’ABC sollecita decisioni di cambiamento, quindi strategiche come: 61 • introduzione / eliminazione di prodotti • integrazione / decentramento produttivo • make or buy • razionalizzazione delle attività. Prod.A Prod.B Prod.C Totale Ricavi 30.000 40.000 30.000 100.000 Costi spec. (7.000) (13.000) (6.000) (26.000) industriali Costi attività (attribuibili con cost drivers) Attività (400) (1.000) (300) (1.700) (600) (2.000) (500) (3.100) (1.200) (4.000) (2.500) (7.700) 20.800 20.000 20.700 61.500 1 Attività 2 Attività 3 M.P. Costi di struttura (11.500) Risultato Netto 50.000 Si tratta di una metodologia, sicuramente avvincente e che ha contribuito a rendere evidente, soprattutto nelle imprese 62 erogatrici di servizi, come sia l’intensità del ricorso alle attività e non il volume di produzione variamente espresso, a consumare risorse e, di conseguenza, a determinare l’ammontare dei costi indiretti. Tuttavia, si tratta di un processo di difficile realizzazione nella pratica, per ragioni pratiche che impongono di impostare la rilevazione analitica dei costi facendo riferimento a unità coerenti con la struttura organizzativa (i centri di costo) e per ragioni inerenti ai processi di responsabilizzazione e di controllo per loro natura, collegati alla struttura organizzativa. Quindi nella pratica si assiste ad un contemperamento delle due esigenze con attribuzione dei costi aggregati per natura ai centri di costo e rispetto a questa dimensione si governano i processi di responsabilizzazione, di controllo direzionale, si articola il sistema di budgeting e di consuntivazione. Successivamente ai fini della determinazione dei costi di prodotto, questi vengono aggregati per attività 7. Il Budget Commerciale L’elaborazione del sottosistema dei budget operativi prende avvio dall’area commerciale, nell’ambito della quale il processo di budgeting deve considerare due aspetti: • da un lato, occorre definire l’ammontare dei componenti positivi che concorrono alla formulazione 63 del reddito operativo di gestione caratteristica; • dall’altro, è necessario determinare l’entità e la natura dei componenti negativi di reddito connessi alla gestione della domanda e dei mercati in cui l’azienda opera. Si tratta di due dimensioni in relazione di mutua influenza fra di loro, e cioè gli obiettivi di vendita assumono valenza realistica considerando congiuntamente le modalità operative impiegate per influenzare la dinamica futura di tali variabili. Il processo di formulazione del budget nell’area commerciale si sviluppa in due momenti, connessi all’elaborazione del: 1. Budget delle vendite, 2. Budget dei costi commerciali, articolato in Budget dei costi variabili commerciali, Budget dei costi di marketing e Budget dei costi di innovazione dei prodotti. Nel processo di budgeting commerciale, le domande chiave a cui rispondere con il budget della funzione commerciale sono - cosa vendo - a chi vendo - dove vendo - come vendo 64 Si parte con l’individuazione delle aree di affari e la costruzione della matrice Aree d’affari/Combinazioni prodotto/mercato, interrogandosi sulle diverse combinazioni prodotto/mercato in termini di somiglianzediversità su: struttura dell’offerta, caratteristiche della domanda, dinamicità concorrenziale, struttura dei costi, composizione flussi di cassa, ecc. Successivamente, si individua per ogni area/combinazione anche il flusso di ordini, la capacità produttiva disponibile e utilizzata, i margini di contribuzione, i fabbisogni di circolante, eventuali criticità, quote di mercato. In sostanza si tratta di identificare le informazioni e di definire una serie di azioni, con relative leve operative, per giungere alla determinazione dei volumi di vendita a quantità e valore per ogni segmento di mercato significativo e successivamente per ogni divisione, linea di prodotto e per le altre dimensioni significative. Alcune leve operative, che diventano obiettivi conoscitivi da determinare in sede di Budget Vendite sono: • Variazione media annua dei prezzi netti applicati alla clientela • Variazione della gamma di prodotti • Variazione delle condizioni di pagamento di trasporto • Aggiunta di servizi significativi per i clienti • Introduzione di azioni di comunicazione e di 65 marketing complesse e progetti di sviluppo specifici, al fine di contattare nuovi clienti in mercati già conosciuti e/o in nuovi mercati A questo punto, per ogni segmento di mercato, deve essere fatta un’analisi con metodo ABC sulla base dei volumi di fatturato dei clienti. Se da questa analisi deriva che una parte di fatturato significativa di un segmento di mercato è realizzata attraverso pochi clienti (Clienti di Classe A), allora occorre un’analisi preliminare su ogni singolo cliente attivo, sui clienti nuovi da acquisire e sui clienti attivi che si pensa di perdere. Per ogni singolo cliente di classe A vanno individuate le ragioni di eventuali variazioni di fatturato, cercando di stimare il valore forfetario della variazione di fatturato. Inoltre, si dovranno ipotizzare eventuali azioni operative per poter modificare o controllare effetti negativi per l’azienda che sono stati evidenziati con l’analisi in questione. Infine, viene preso in analisi l’intero segmento di mercato ponendosi un obiettivo sintetico di ricavi. Se l’analisi dei singoli clienti e l’obiettivo complessivo divergono, occorrerà integrare il programma con altre azioni operative possibili, in caso contrario occorrerà prendere atto che l’obiettivo complessivo non è giustificabile e quindi si identifica un obiettivo coerente. Nel caso in cui il fatturato sia realizzato attraverso molti 66 piccoli clienti (di classe B e/o C), allora non è possibile fare valutazioni specifiche per ogni singolo cliente attivo, ma si ragiona sull’intero segmento ponendosi un obiettivo sintetico di fatturato. Successivamente vengono individuate le ragioni di eventuali variazioni di fatturato rispetto allo storico e anche in questo piano si individuano azioni operative da attuare per inserirle nel piano annuale. Si tratta di valutazioni basate su una serie di dati statistici e qualitativi relativi all’anno precedente, di cui i principali sono: • Statistiche storiche delle vendite per cliente / articolo • Indicazioni sulla politica dei prezzi netti storica e prospettica. • Indicazioni storiche e prospettiche sui clienti nuovi e persi di ogni segmento • Valutazioni in merito alle condizioni di pagamento • Valutazioni generali in merito ai canali di vendita per determinare azioni di sostegno agli stessi. La quantificazione dei programmi di vendita deve accompagnarsi alla determinazione dei costi commerciali che oltre ad essere determinati nel loro ammontare complessivo, vengono attribuiti ai diversi segmenti di mercato in cui opera l’azienda. Si tratta di definire le risorse destinate a supportare la domanda, e quindi il livello di costo idoneo a consentire il 67 Uno schema contabile di Budget commerciale. GROSSISTI P1 P2 DETTAGLIO Tot P1 P2 Tot Italia VENDITE bdgt costi di vendita Estero CENTRI DI COSTO Italia DISTRIBUZIONE bdgt costi var. comm.li Estero Italia PROMOZIONE bdgt costi marketing Estero GEST .E SVILUPPO PROD. bdgt costi svil. prodotti bdgt costi comm.li canale Budget costi comm.li di prodotto 68 raggiungimento degli obiettivi posti alla funzione commerciale. 8. Il Budget di Produzione Nel Budget di Produzione vengono affrontate le logiche decisionali che presiedono al governo di un’area funzionale di primaria importanza per l’entità delle risorse in essa gestite. A differenza che nel caso precedente, all’interno della funzione produzione l’enfasi viene posta interamente sui criteri d’impiego delle risorse e quindi sui costi, relativi allo svolgimento dei processi di trasformazione tecnica attuati in seno all’azienda. Il processo si articola in. 1. Budget dei costi diretti che si sviluppa in • Budget dei consumi di materie prime e componenti, articolato per prodotto e/o per tipologia di materia • Budget dei costi di manodopera diretta, articolato per prodotto e/o per unità organizzativa 2. Budget dei costi indiretti, articolati per unità organizzativa, che si compongono di • Budget dei costi energetici • Budget dei costi di manutenzione • Budget dei costi di supervisione • Budget dei costi di ammortamento 69 • Budget dei costi dei servizi ausiliari (trasporti, magazzino). Poiché l’ammontare delle risorse necessarie per lo svolgimento dei processi di trasformazione è in larga misura dipendente dai volumi di produzione attuati, i quali risultano dalla sommatoria dei volumi di produzione relativi a ciascun prodotto che a loro volta risultano determinati sia dai volumi di vendita programmati che dalle variazioni previste delle scorte, ne deriva che l’elaborazione del budget di produzione si sviluppa in tre momenti successivi: 1. definizione della politica delle scorte, 2. determinazione dei programmi di produzione 3. elaborazione del budget dei costi di produzione. La definizione della politica delle scorte contempera le esigenze delle varie funzioni aziendali, spesso in conflitto tra di loro, e rappresenta l’elemento connettivo attraverso cui viene ottenuta l’integrazione tra l’area commerciale e produttiva cui presiedono logiche profondamente diverse. Nel primo caso si tende a piegare le esigenze di dimensionamento delle scorte cercando di assicurare il miglior servizio possibile al cliente, nel secondo caso si ha come priorità la necessità di perseguire il migliore sfruttamento delle risorse tecnologiche affidate. A questi motivi di contrasto si affianca l’esigenza più generale di 70 comprimere l’investimento in scorte al fine di mitizzare l’investimento in capitale circolante. Inoltre possono poi sussistere fattori di carattere strutturale tali da influenzare le decisioni in merito di scorte, come la capacità di immagazzinaggio, la situazione finanziaria di breve, la durata del ciclo produttivo, ecc. Il programma di produzione consente di indagare in merito al grado di impiego della capacità produttiva e alla fattibilità tecnica dei programmi scelti e quindi costituisce lo strumento fondamentale per la elaborazione del budget degli investimenti volti ad adeguare la struttura ai livelli di attività futuri. Inoltre, il programma attraverso la scomposizione temporale, rispetto a periodi infrannuali, definisce le linee programmazione guida operativa che orienteranno all’interno del la sistema produttivo, cercando il corretto equilibrio tra i livelli di vendita, livelli di giacenza e grado di impiego delle strutture produttive. Successivamente, con il budget dei costi di produzione, si traducono in termini monetari i fabbisogni e gli impieghi di risorse necessari a consentire l’attuazione del programma di produzione. In questo modo viene dato contenuto economico alle condizioni operative di efficienza e di efficacia sottostanti il sistema di trasformazione. L’elaborazione dei budget operativi della funzione 71 produzione impone la considerazione congiunta di due dimensioni prevalenti: 1. i centri di costo, che orientano la formulazione dei singoli documenti di budget rispetto ai reparti o ad altre unità operative. 2. i fattori produttivi, rispetto ai quali vengono sviluppati documenti di budget articolati per tipologia di costo. L’individuazione dei centri di costo risponde all’esigenza primaria di orientare la rilevazione dei costi rispetto ad unità organizzative caratterizzate da specificità operative di impiego delle risorse, si circoscrivono cioè le problematiche in ambiti definiti caratterizzati da processi gestionali omogenei. Si possono distinguere tra: • centri di costo di produzione, cioè i reparti in cui avvengono i processi di trasformazione e in cui si rilevano relazioni dirette tra il grado di impiego e di assorbimento della capacità produttiva e i livelli di attività centri di costo ausiliari, cioè quelle unità organizzative di supporto ai processi di trasformazione fisica nelle quali si rilevano relazioni solo indirette tra il grado di impiego della capacità disponibile e i livelli di attività espressi dall’azienda. L’altra dimensione rilevante è rappresentata dai fattori produttivi tra i quali è possibile distinguere: 72 Uno schema contabile di Budget di Produzione PIANO DEI CONTI M.O. diretta Materie Prime Cod.1 Cod.2 M.O. indir. Amm.ti Imp. Macch Energie FM gas CENTRI DI COSTO Di produz. Rep.1 Bdgt rep.1 principali Rep.2 Bdgt rep.2 Ausiliari Magazzino Bdgt mag. alla Centrale Bdgt produz. elettrica cent.elettr. Manutenzione Bdgt man. Di servizi Bdgt Supervisione superv. bdgt Bdgt materie Bdgt M.O.D. prime M.O. Bdget amm.ti Bdget energie ind. Budget dei costi variabili Budget dei costi indiretti variabili e fissi 73 • risorse dirette, cioè quantificabili rispetto al prodotto con procedimento diretto • risorse indirette, legate al sistema produttivo, ma riferibili solo indirettamente all’unità di prodotto. Il costo relativo ai fabbisogni di risorse dirette (materie prime e manodopera diretta) può determinarsi con riferimento a ciascun prodotto attraverso la valorizzazione di quantità fisiche a un prezzo-costo di acquisto. La determinazione dei consumi globali di materie prime e manodopera è il risultato di un processo di analisi attuato mediante documenti come: a. distinta base, cioè la composizione del prodotto o servizio a livello di materie prime e componenti; b. cicli di lavorazione, cioè la sequenza delle operazioni per la produzione e il montaggio del prodotto o l’erogazione del servizio c. tempi di lavorazione, il tempo occorrente per svolgere ciascuna operazione a ciclo. Dall’analisi di questi tre documenti deriva il calcolo del fabbisogno teorico unitario e del tempo teorico unitario, successivamente ne deriva il calcolo del fabbisogno e del tempo effettivo unitario tenuto conto degli scarti ed altre inefficienze, da cui si determinano sia il fabbisogno che il tempo complessivo. Nel valutare questi tre documenti occorre considerare la disomogeneità delle produzioni, le 74 modifiche delle tecnologie, le variazioni nei prezzi-costi dei fattori produttivi; questo è il motivo per cui si giunge ad utilizzare i costi standard, ovvero un sistema di standardizzazione dell’impiego delle risorse e della manodopera diretta, facendo riferimento a date condizioni operative di svolgimento del processo produttivo e dei prezzi unitari degli stessi. Il costo relativo ai fattori produttivi indiretti (energia, ammortamenti, manodopera ausiliaria, ecc.) può, invece, essere riferito in maniera diretta solo ai vari centri di costo, mentre può essere riferito al prodotto solo in maniera mediata. 9. Il Budget dei Servizi Generali Per servizi generali si intendono le unità funzionali volte a supportare i processi di trasformazione economica complessivi attuati in seno all’azienda. Si tratta delle unità organizzative al cui interno confluiscono le attività che presiedono al governo e all’amministrazione dell’intera struttura aziendale e a cui corrispondono funzioni quali: • direzione generale • amministrazione e finanza • personale e organizzazione • centro elaborazione dati La natura di queste attività rende critica l’elaborazione dei 75 relativi budget, non esistono modelli decisionali specifici che possano orientare efficacemente la preventivazione dei fabbisogni di risorse e quindi dei costi in oggetto, infatti si tratta di un’area caratterizzata da un elevato grado di discrezionalità, le cui prestazioni possono convenientemente misurarsi unicamente in termini di livello di servizio reso al resto della struttura. Sono proprio le difficoltà insite nella quantificazione dei risultati dei vari enti (livello di servizio) e l’impossibilità di porre in relazione risorse impiegate, risultati conseguiti e volumi di attività complessivi, che non permettono la rigorosa determinazione di obiettivi di efficacia e di efficienza rispetto ai quali orientare il processo di allocazione delle risorse. Quindi, l’obiettivo primario perseguito nell’elaborazione di questi budget è quello di pervenire a un dimensionamento delle unità organizzative coinvolte, coerente con il livello di attività che l’azienda intende sviluppare. Generalmente si assume quale base di riferimento l’ammontare dei costi sostenuti nel corso del periodo precedente per poi apportarvi le necessarie correzioni in considerazione delle prevedibili lievitazioni di costo indotte dall’inflazione e/o dovute all’introduzione di nuovi programmi. Si tende cioè a definire un livello massimo di spesa entro il quale il relativo responsabile deve operare. 76 Tuttavia questa “logica incrementale”, implicitamente, assume che le attività svolte nel corso dei periodi precedenti: • siano state necessarie • lo saranno anche per l’anno a venire • rimarranno prioritarie anche rispetto ai nuovi programmi previsti • siano svolte nel modo più efficiente possibile. Queste assunzioni se da un lato contribuiscono alla lievitazione incontrollata dei costi generali, dall’altro risultano in larga parte svincolate da un’analisi costibenefici. Al fine di porre rimedio a queste lacune è possibile ricorrere, come già detto precedentemente, alla “logica a base zero” o “Zero Base Budgeting”, cioè un processo di programmazione che richiede a ogni responsabile di pervenire al proprio budget attraverso un’analisi sistematica che, prescindendo dalle condizioni verificatesi in passato, si focalizzi, invece, sulle modalità attraverso cui ottimizzare l’impiego delle risorse di struttura alla luce dei programmi di attività definiti a budget. In sostanza si tratta di : • descrivere le finalità e gli obiettivi di ciascuna unità funzionale • individuare le prestazioni oggetto di misurazione 77 specifica e del relativo carico di lavoro • descrivere le modalità alternative con cui assolvere alle diverse funzioni • esaminare ogni singola alternativa in termini di costibenefici • infine, elaborare un’analisi incrementale che parta da zero, espressa in termini di costo e correlata a obiettivi di risultato, in termini di servizio reso al resto della struttura. 10. Il Budget degli Investimenti Questo budget ha la funzione di programmare gli acquisti esterni o la produzione interna di risorse ad utilità ripetuta nel tempo, e la sua redazione è una diretta conseguenza delle richieste provenienti da tutte le aree funzionali aziendali, influenzando, ovviamente il conto economico. Gli investimenti possono essere: a. strategici, sono cioè gli investimenti di tipo innovativo, necessari per lo sviluppo futuro b. di espansione, in quanto provvedono all’aumento della capacità produttiva c. razionali, che migliorano l’efficienza d. di sostituzione, perché evitano il degrado tecnologico. 78 11. Il Master Budget Economico Il momento di sintesi dell’intero sottosistema dei budget operativi è rappresentato dall’elaborazione del Budget di Conto Economico e dalla connessa determinazione del reddito operativo. E’ il momento in cui viene fatta una prima verifica delle conseguenze economiche complessive derivanti dallo sviluppo integrato di un insieme di politiche gestionali. In termini generali, l’elaborazione del prospetto di Conto Economico non pone particolari problemi di ordine metodologico, esaurendosi nell’aggregazione dei costi e ricavi di gestione caratteristica determinati nei singoli budget funzionali. Tuttavia, occorre rilevare come l’insieme dei componenti negativi determinati nell’ambito dei budget operativi risulta caratterizzato da una sostanziale disomogeneità. Infatti, mentre nel budget commerciale i costi commerciali sono parametrati all’ammontare delle vendite previste, nel budget di produzione i costi diretti e indiretti hanno come riferimento il volume di produzione globale determinato sulla base del programma di produzione, che non necessariamente coincide con il livello delle vendite. Infine, l’ammontare dei costi afferenti i servizi generali viene riferito al periodo di budget, senza correlazioni con i livelli di produzione o di vendita. Occorre, quindi operare la transizione dal costo della 79 Uno schema contabile di Master Budget Economico Prod. A 50 Prod. B 25 Prod. C 25 Totale 100 - Costi variabili del venduto 10 5 5 20 Margine Lordo di contribuzione 40 20 20 80 - Costi fissi diretti di prodotto 10 10 5 25 Margine Semilordo di contribuzione 30 10 15 55 Fatturato netto - Costi fissi indiretti 25 Reddito operativo gestione tipica 30 ± Gestione finanziaria 5 ± Gestione straordinaria 5 REDDITO ANTE IMPOSTE 20 - Imposte sul reddito 10 REDDITO NETTO AZIENDALE 10 80 produzione ottenuta al costo della produzione venduta attraverso la valutazione delle rimanenze finali di prodotti finiti, semilavorati e materie prime, posto che il valore delle rimanenze iniziali dell’esercizio si può precedente. desumere Nella dal bilancio valorizzazione delle rimanenze occorre attribuire ai singoli prodotti finiti i costi di diretta imputazione ed eventualmente una quota di costi indiretti, a seconda della configurazione di costo per cui si opta, considerando che la natura dei costi indiretti da imputare e la metodologia scelta dovranno essere coerenti con le modalità impiegate in sede di consuntivazione, al fine di mantenere omogeneità di valutazione tra rimanenze finali (determinate in sede di budget) e rimanenze iniziali (determinate in sede di redazione di Bilancio d’Esercizio. Per quanto riguarda, invece, i costi dei servizi generali essendo costi di periodo e non di prodotto, contribuiscono nella loro globalità alla formazione del reddito operativo. 12. Il Master Budget Finanziario La formulazione del sottosistema dei budget operativi, che recepisce unicamente gli aspetti economici della gestione connessi alla dinamica dei costi e dei ricavi, non esaurisce il processo di analisi e verifica proprio del sistema di budget. E’, altresì, necessario esplicitare le conseguenze indotte dalle scelte di gestione operativa, riferibili in modo 81 univoco o congiunto alle varie aree funzionali, sul comporsi delle principali variabili finanziarie. Il Budget Finanziario esprime, quindi: • la qualità dei mezzi finanziari individuati • il loro costo (oneri finanziari) • il tempo per renderli disponibili e si compone del Budget di Tesoreria e del Budget di Stato Patrimoniale. 12.1 Il Budget di Tesoreria Con il Budget di Tesoreria o di Cassa si passa dalla dimensione reddituale, sviluppata nei budget operativi attraverso la determinazione dei costi e dei ricavi, alla dimensione finanziaria della gestione, con riferimento alla quale assumono preminenza le nozioni di entrata e uscita monetaria. Quindi il budget in questione dipende per gli incassi dal budget delle vendite e per i pagamenti dal budget degli approvvigionamenti e da quello delle spese. Il Budget di Cassa fornisce informazioni relative ai tempi e alle entità delle entrate e delle uscite del periodo considerato e si configura come uno strumento di controllo della liquidità reale nei vari periodi dell’anno. In particolare, consentendo la verifica preventiva della fattibilità finanziaria dei programmi funzionali, costituisce uno strumento di governo della gestione orientato al conseguimento di condizioni ottimali di equilibrio 82 finanziario Si tratta di una metodologia di programmazione a breve termine volta a: • prevenire temporanee eccedenze di cassa che altrimenti resterebbero inutilizzate comportando un costo opportunità • predisporre in tempo e a condizioni convenienti le opportune coperture di temporanei deficit di cassa • bilanciare nel breve termine surplus e deficit di cassa, sia attraverso la compensazione tra entrate e uscite monetarie sia mediante la manovra concomitante delle fonti di finanziamento a breve Compito fondamentale del budget di tesoreria è, quindi, di accertare in anticipo la disponibilità dei mezzi liquidi nel tempo per fronteggiare le uscite, prevedere la disponibilità delle entrate e delle uscite nei vari periodi dell’anno (saldi mensili e progressivi) e segnalare la prevista disponibilità o carenza delle risorse liquide in determinati periodi dell’anno derivanti dalle attività programmate. L’elaborazione del budget di cassa si concretizza nella predisposizione, con riferimento a tutto il periodo di budget, di due prospetti: 1. Il Prospetto delle entrate monetarie, in cui vengono esplicitati l’ammontare e la cadenza temporale analitica dei flussi monetari in entrata. 83 2. Il Prospetto delle uscite monetarie, in cui si evidenziano l’entità e la cadenza temporale analitica dei flussi monetari in uscita. Perché da ciascuna classe di costi e di ricavi, cui si connettono variazioni numerarie, si possa passare all’esplicitazione della dinamica monetaria è necessario che in sede di piano di marketing e di budget delle vendite vengano definite le condizioni di incasso e che nei budget dei costi vengano esplicitate le condizioni di pagamento. Influiscono naturalmente sul budget di cassa il budget dei finanziamenti e le operazioni non strettamente connesse alla gestione operativa (pagamento di imposte, rimborso di mutui, distribuzioni di dividendi, ecc.), ma che tuttavia influenzano la situazione finanziaria. Posto che i documenti in oggetto devono costituire la base per sviluppare azioni correttive, è opportuno suddividere i flussi in entrata e in uscita in relazione alla provenienza e al grado di gestibilità e discrezionalità, a seconda che derivino rispettivamente: • Dalla gestione operativa corrente, in questo caso la dinamica monetaria risulta in gran parte definita da condizioni di mercato e limitatamente modificabili nel breve • Dalle attività non direttamente connesse con la gestione operativa, che hanno una dinamica in larga misura 84 SCHEMA CONTABILE DI PROSPETTO DELLE ENTRATE VOCI Entrate per vendite a pronti Entrate per altri ricavi e proventi d’esercizio Entrate per crediti in scadenza Anticipi da clienti Totale Entrate da Gestione Operativa Interessi Attivi Dividendi da controllate/collegate Totale Entrate da Gestione Non Operativa Disinvestimenti finanziari e/o tecnici Aumenti di capitale Totale Entrate da Gestione Straordinaria Totale Entrate G F M A M G L A S O N D 85 SCHEMA CONTABILE DI PROSPETTO DELLE USCITE VOCI Uscite per acquisti a pronti Salari e stipendi e Oneri sociali e previdenziali Uscite relative ad altri costi d’esercizio Pagamenti per forniture in scadenza Anticipi a fornitori Totale Uscite da Gestione Operativa Interessi Passivi Distribuzione dividendi Totale Uscite da Gestione Non Operativa Investimenti finanziari e/o tecnici Totale Uscite da Gestione Straordinaria Totale Uscite G F M A M G L A S O N D 86 SCHEMA CONTABILE DI BUDGET DI CASSA VOCI Saldo iniziale di cassa Vendite Affitti Attivi Dividendi su partecipazione Realizzo investimenti Totale Entrate Acquisti Salari e Stipendi Rimborso finanziamenti Totale Uscite Saldo mensile Saldo progressivo G F M A M G L A S O N D 87 vincolata in termini sia di cadenza temporale che di ammontare della spesa (ad es. pagamento delle imposte). • Da programmi afferenti la gestione tipica ma aventi carattere discrezionale, che sono governabili con un maggior grado di libertà e ritratta ad esempio, delle spese in ricerca e sviluppo. • Da operazioni aventi carattere straordinario, e quindi episodiche e solo parzialmente governabili dall’azienda (ad es. pagamento di dividendi). Affinché il budget di cassa possa raggiungere il suo scopo è necessario che i singoli prospetti vengano articolati per periodi infrannuali relativamente brevi (settimana, decade, mese). Tanto maggiore è l’intervallo di tempo preso in considerazione, tanto minore sarà la percezione delle dinamiche di natura finanziaria. Il budget di tesoreria è il documento di sintesi all’interno del quale confluiscono le previsioni di entrata e di uscita. In particolare, la determinazione della posizione finanziaria di breve periodo risulta dalla somma algebrica delle seguenti variabili: 1. saldo di inizio periodo 2. entrate monetarie totali 3. uscite monetarie totali 4. saldo del periodo, derivante dalla differenza tra entrate 88 e uscite del periodo 5. saldo progressivo, derivante dalla somma algebrica tra il saldo iniziale e il saldo del periodo. Sulla base del saldo di cassa totale è possibile procedere alla determinazione degli oneri finanziari da inserire a completamento del Budget Economico. 12.2 Il Budget Patrimoniale Il budget di Stato Patrimoniale rappresenta il momento di estrema sintesi dell’intero processo di budgeting, infatti il consolidamento dei budget operativi, finanziari e degli investimenti, contribuendo a variare il complesso degli impieghi e delle fonti, configurano la struttura patrimoniale e finanziaria finale dell’azienda. A differenza del conto economico e della tesoreria, lo Stato Patrimoniale contiene in sé una valenza informativa che trascende il breve termine. La dinamica delle varie classi di attività e passività evidenziano la conformazione strutturale dell’impresa, e quindi l’insieme dei vincoli e delle opportunità poste alla gestione in un futuro non solo prossimo. L’elaborazione dello Stato Patrimoniale preventivo impone la considerazione di tutti i fenomeni gestionali, siano o meno connessi all’attività caratteristica. La dinamica delle componenti dell’Attivo Patrimoniale trova computa spiegazione nei budget operativi e finanziari 89 elaborati. Per quanto riguarda le Attività Correnti: • l’ammontare delle liquidità immediate viene definito nell’ambito del budget di tesoreria • le liquidità differite vengono definite dall’ammontare dei crediti verso clienti, combinando le previsioni di vendita con le condizioni di incasso • il valore delle rimanenze sono diretta conseguenza della politica delle scorte e può essere agevolmente determinato prendendo a riferimento la loro quantificazione effettuate nel Budget del Conto Economico. Con riguardo alle Attività Fisse Nette, queste possono essere determinate ricorrendo al budget degli investimenti, e rettificando i relativi valori dei fondi di accantonamento. In modo analogo si procede per il Passivo Patrimoniale, in particolare per le Passività Correnti: • l’ammontare dei debiti di finanziamento in essere alla fine del periodo di budget può essere determinato associando al valore degli acquisti programmati le relative condizioni di pagamento • il saldo di indebitamento bancario a breve trova esplicitazione nel budget di tesoreria Diversa è la prospettiva per quanto concerne le variazioni delle Passività Consolidate e dei Mezzi Propri. In entrambi 90 ATTIVO Budget di cassa Liquidità PASSIVO Esigibilità Budget debiti di funzionam. Budget debiti di finanziam. Previsione dei crediti Disponibilità Passività Consolidate Previsione delle scorte Variaz. cap. proprio Immobilizzi netti Capitale Netto Budget degli investimenti Reddito Netto (budget CE) 91 SCHEMA CONTABILE DI BUDGET PATRIMONIALE Liquidità • Cassa immediate • Banche Liquidità differite • Clienti • Effetti attivi • Crediti vs collegate/consociate • • • • • • • Passività Banche Correnti Fornitori Cambiali passive Debiti vs collegate/consociate Imposte Anticipi da clienti Ratei e risconti passivi • • • • • • • • • Prestiti obbligazionari Mutui Passivi Finanziamenti Fondo TFR Capitale sociale Riserva legale Riserve statutarie Utile (perdite) es. precedenti Utile (perdite) esercizio • • Immobilizzi netti • • • • • • • • Disponibilità Magazzino Anticipi a fornitori Partecipazioni Terreni e fabbricati Impianti e macchinari Attrezzature Brevetti, diritti Oneri pluriennali Costruzioni in corso Anticipi a fornitori Passività Consolidate Capitale Proprio Mezzi Propri FONTI (CAPITALE ACQUISITO) Mezzi di Terzi Capitale Circolante Capitale Impiegato IMPIEGHI (CAPITALE INVESTITO) 92 i casi le operazioni che inducono tali variazioni sono per lo più estranee alla gestione operativa d’impresa e frutto di decisioni identificabili in termini puntuali. Basti pensare all’accensione o al rimborso di un mutuo, alla distribuzione di dividendi e al conferimento di risorse finanziarie da parte dei soci. 93 PARTE III CARATTERISTICHE PECULIARI DEL CONTROLLO DIREZIONALE NELLE COOPERATIVE 1. Il modello economico della cooperativa Le società cooperative sono società che si prefiggono lo scopo di procurare ai soci beni o servizi ad un prezzo inferiore a quello praticato dal mercato oppure possibilità di lavoro a condizioni più vantaggiose. Quindi la differenza fondamentale fra le società a fini di lucro e le cooperative è nello scopo: le prime si propongono il conseguimento di un lucro da ripartire tra i soci, mentre le cooperative perseguono finalità mutualistiche, ridurre il costo dei beni o servizi per i soci o fornire occasioni di lavoro a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal mercato. Nell’impresa l’attività di produzione economica si sviluppa attraverso i collegati processi di acquisizione dei fattori produttivi (materie prime, lavoro, ecc.), di allestimento delle produzioni e di collocamento dei beni o servizi ottenuti sul mercato. L’impresa operante in economia di mercato acquisisce a condizioni contrattualmente definite i fattori produttivi nella prospettiva di realizzare un volume di ricavi 94 sufficiente per reintegrare i costi sostenuti e conseguire un congruo margine per remunerare l’apporto di capitale e la prestazione dell’imprenditore. Si tratta di una remunerazione per sua natura residuale ossia dipendente dal risultato economico conseguito dall’iniziativa, la cui congruità va apprezzata in relazione alle condizioni economiche generali e con riferimento alle attese e motivazioni dell’operatore economico. Naturalmente detta prospettiva deve concretizzarsi in un periodo di tempo delimitato dalla capacità dell’azienda di fronteggiare temporanei squilibri nella dinamica economica e, quindi, nei correlati flussi monetari, attingendo al sostegno del capitale proprio o a quello di credito. Quindi nell’ambito dei tempi di attesa sopportabili, tenuto conto delle proprie capacità di finanziamento, il conseguimento dell’equilibrio economico (autosufficienza) costituisce la condizione di sopravvivenza per l’azienda operante sul mercato. Nell’impresa cooperativa, per le sue caratteristiche fondamentali, sopra richiamate, assume natura residuale, non contrattualmente prestabilita, non solo la remunerazione discendente dall’apporto di capitale sociale, ma anche la retribuzione dei conferimenti o i corrispettivi per la cessione dei beni o servizi, espressione degli scambi economici sviluppatisi, nell’esercizio, con i soci. 95 In pratica, la logica aziendale di funzionamento della cooperativa di produttori si esprime nell’attivare un processo di produzione economica di beni o servizi da collocare sul mercato attraverso lo scambio, al fine di conseguire un volume di ricavi che, al netto dei costi per l'utilizzazione dei fattori produttivi acquistati sul mercato, consenta di realizzare un congruo margine, risultato lordo di esercizio, così da poter remunerare alle migliori condizioni il conferimento di beni o servizi del socio. Nelle cooperative di consumatori l'attività economica è rivolta, attraverso la razionalizzazione e l'efficienza dei processi di acquisizione e di trasformazione dei fattori produttivi, nei loro aspetti tecnici, economici, organizzativi e commerciali, a realizzare le migliori condizioni per consentire ai soci risparmi nei corrispettivi per gli approvvigionamenti, assumendo come risultato lordo d'esercizio il saldo del conto profitti e perdite, al lordo dei corrispettivi per le cessioni di beni o servizi. La possibilità di assegnare una remunerazione di tipo residuale ai fattori produttivi (beni e prestazioni di lavoro) conferiti dai soci consente, in relazione al variabile andamento dei risultati economici dei diversi esercizi, nelle cooperative di produttori, di ridurre l’area dei costi incomprimibili, determinati dall’utilizzo dei fattori produttivi. Nelle cooperative di consumo, ad esempio, la 96 reintegrazione dei costi sostenuti per l’allestimento delle produzioni non è vincolata al conseguimento dei ricavi sul mercato, in quanto i prezzi-ricavi sono definiti nel rapporto di scambio economico con i consumatori utenti. Nel primo caso, l’impresa cooperativa può operare sul mercato con minori vincoli economici in termini di remunerazione da assegnare nell’esercizio ai fattori produttivi impiegati, nel secondo caso è meno dipendente, per la copertura dei costi sostenuti per allestire la produzione, dal condizionamento dei risultati pro-tempore conseguibili sul mercato di collocamento. Si tratta, in tutta evidenza, di situazioni che attribuiscono una maggiore elasticità economica al modello di funzionamento cooperativo rispetto a quello dell’impresa capitalistica, nella quale viene assegnata in via residuale solo la remunerazione del capitale apportato. Questa elasticità tuttavia risulta notevolmente limitata dal fatto che operando la cooperativa in un’economia di mercato, i soci possono trovare conveniente altre alternative rispetto agli scambi economici con la società. Infatti, la difficoltà della cooperativa di fornire adeguate condizioni rispetto alle similari alternative del mercato, tende a determinare nella base sociale spinte ad abbandonare l’iniziativa, aggravando, in questo modo, la stessa attività di gestione, per il venir meno di risorse da 97 utilizzare nel ciclo produttivo o di consumatori utenti delle produzioni allestite. Ne consegue l’esigenza, di fatto, dell’impresa cooperativa, ai fini della propria sopravvivenza sul mercato, di conseguire nell’attività di gestione l’autosufficienza economica, cioè, nelle cooperative di produttori, conseguire un volume di ricavi sufficiente a remunerare a condizioni di mercato i fattori produttivi impiegati (conferimenti di beni e prestazioni di lavoro), nelle cooperative di consumo, remunerare i fattori produttivi, pur restando su livelli di prezzo dei beni ceduti ai soci inferiori a quelli praticati da aziende concorrenti. Inoltre, nelle cooperative di produzione e lavoro le prestazioni di lavoro spesso risultano contrattualmente stabilite e quindi di natura non effettivamente residuale. Il conseguimento di condizioni di autosufficienza economica non va necessariamente riferito all’esercizio annuale, ma deve essere perseguito nell’ambito dei sostenibili tempi di attesa consentiti dalla capacità della cooperativa di attivare risorse finanziarie proprie o di terzi a sostegno di temporanei squilibri nella dinamica economica e nei correlati flussi monetari, evitando, come già detto, il ricorso ad integrazioni da parte delle economie dei singoli soci, ad esempio attraverso compensi non congrui ai conferimenti e prezzi dei beni o servizi conferiti ai soci che non consentano congrui risparmi. Temporanee 98 situazioni sfavorevoli, percepimento di retribuzioni o pagamento di corrispettivi non competitivi con alternative di mercato, possono essere sopportate dai soci solo nella prospettiva di un loro superamento. Con riferimento alle modalità di funzionamento sul mercato, si presenta una importante distinzione tra la cooperativa pura e quella spuria. La cooperativa pura non opera atti di scambio sul mercato concorrenziale in entrambe le fasi del suo circuito produttivo: fornitori dei suoi fattori o consumatori dei suoi prodotti sono i soci della società. In essa assume rilievo la gestione mutualistica, consistente nel finalizzare direttamente in termini qualitativi e quantitativi l’attività produttiva ed economica della società alle esigenze delle economie particolari dei soci. La logica della gestione mutualistica condiziona fortemente le scelte dell’impresa cooperativa, introducendo un ulteriore vincolo all’interscambio con il mercato. Gli spazi per un’autonoma ricerca e scelta fra le diverse alternative nei processi di produzione e/o acquisizione di beni o servizi vengono a ridursi a parità di altre condizioni rispetto alle opportunità offerte alle altre aziende operanti sul mercato. In relazione a ciò si sostiene la mancanza di una piena autonomia operativa nella gestione dell’impresa cooperativa rispetto alle economie individuali dei singoli 99 soci. Tuttavia, non necessariamente la logica della gestione mutualistica determina la mancanza di autonomia gestionale rispetto alle economie dei soci. Il gruppo dirigente della cooperativa è portato da un lato a stimolare iniziative di coordinamento e di indirizzo con riguardo alle attese e ai comportamenti dei soci, a supporto delle esigenze della gestione della società, dall’altro ad operare con politiche che, pur appagando le attese economiche e gli interessi generali dei soci, non contrastino il rafforzamento e l’autonoma sopravvivenza economica dell’azienda sul mercato. La riforma del diritto societario, in vigore dal 2004, ha introdotto la grande suddivisione tra cooperative a mutualità prevalente e altre cooperative. Suddivisione che ha importanza sia per aspetti fiscali che civilistici: solo le cooperative a mutualità prevalente hanno diritto ai benefici fiscali previsti per la cooperazione. Le altre cooperative non ne possono godere, ma hanno meno vincoli connessi al loro status di cooperative e più libere di comportarsi come società lucrative. Le caratteristiche della cooperativa a mutualità prevalente sono: a. Svolgere la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi 100 b. Avvalersi prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci c. Avvalersi prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci. Quindi, mentre le cooperative pure, per le loro stesse caratteristiche, sono sicuramente a mutualità prevalente, le spurie possono o meno ritrovarsi in questa situazione, quanto più si allontanano dal modello originario di cooperativa. Nelle cooperative a mutualità prevalente gli amministratori e i sindaci documentano la condizione di prevalenza nella nota integrativa al bilancio. Per quanto riguarda, invece, gli schemi di Stato Patrimoniale e di Conto Economico da utilizzare, si utilizzano gli stessi schemi per le società, tuttavia essi non risultano in grado di dare l’opportuno risalto alle peculiarità della gestione cooperativa, quindi è necessario, sia per l’obbligo di fornire tutte quelle informazioni necessarie per una rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato di esercizio, sia per la necessità di dare conto della condizione di prevalenza mutualistica, sia, ancora, per necessità legate al controllo direzionale, disporre di strumenti contabili in grado di rilevare distintamente le poste caratteristiche di una 101 gestione cooperativa. In un sistema di controllo di gestione orientato alle piccole e medie cooperative occorre apprezzare nella giusta misura aspetti particolari delle stesse relativamente ai rapporti con i soci, le altre cooperative e le relative strutture consortili, nonché con le associazioni di rappresentanza, rapporti che hanno un’influenza notevole sia sulla struttura patrimoniale e finanziaria, sia sulla determinazione del risultato economico. Di conseguenza, tutti gli strumenti di controllo direzionale (pianificazione, programmazione, budget, analisi dei costi, ecc.) dovranno essere rimodellati ed adeguati alle loro caratteristiche distintive. 2. Particolarità degli aspetti patrimoniali delle cooperative Le cooperative si trovano ad operare sia sul mercato che all’interno del sistema di riferimento, cioè con i soci, le altre cooperative e i relativi consorzi, e con le centrali di rappresentanza. Quindi, in relazione ai conti patrimoniali, si individua la necessità di separare la rilevazione dei rapporti con i soci da quella concernente i rapporti con i terzi, fornitori, clienti o finanziatori. Occorre, perciò, specificare per i conti dell’attivo tipo rimanenze di materie prime, acconti, crediti verso clienti e 102 verso altri e per i conti del passivo tipo trattamento di fine rapporto, debiti verso altri finanziatori (soci sovventori o altri), acconti, debiti verso fornitori e altri debiti, a seconda che si riferiscano a rapporti con i soci o altri soggetti. Il ricorso a queste specificazioni è necessario a causa dei diversi criteri di valutazione adottati per valorizzare i rapporti sociali rispetto a quelli esterni. Infatti, l’acquisto di fattori produttivi dai soci produttori oppure la cessione dei prodotti finiti ai soci consumatori possono avvenire, sia a prezzi di mercato, ponderati dal riconoscimento di integrazioni sui conferimenti e di rimborsi sugli acquisti nella forma di ristorni, sia in base a valorizzazioni di natura residuale, già comprensive di parte del risultato economico cooperativo. Inoltre, occorre che le poste sopraindicate accolgano articolazioni rappresentative dei rapporti con le altre cooperative e i relativi consorzi. Infatti, la singola cooperativa intrattiene una fitta rete di rapporti commerciali, finanziari, ecc. con altre cooperative oppure con consorzi di cooperative, che sono volti a rafforzare il sistema cooperativo nel suo complesso ed incentivati e seguiti dalle associazioni di rappresentanza. Alle centrali cooperative è riconosciuta la possibilità di costituire appositi fondi per la promozione e lo sviluppo cooperativo attraverso contribuzioni delle aziende socie. 103 Tali fondi hanno come oggetto sociale esclusivo la promozione ed il finanziamento di nuove imprese e di iniziative di sviluppo della cooperazione, per cui si pongono fra i principali sostenitori esterni delle imprese cooperative. Al finanziamento provvedono le cooperative aderenti alle associazioni nazionali, le quali sono chiamate a versare a tali fondi il 3% degli utili annuali. Ulteriori specificazioni riguardano poi le voci di patrimonio netto. Infatti, accanto alle azioni ordinarie esistono altre due figure di soci: • I soci sovventori • I soci di partecipazione cooperativa Il socio sovventore, limitandosi all’apporto di capitale di rischio e ad una partecipazione parziale alla gestione, persegue il massimo di rendimento sulle somme così investite. Tali risorse necessitano di una distinta rilevazione contabile, visto che, per l’utilizzazione, risultano vincolate alle previsione statutarie. Le azioni di partecipazione cooperativa sono prive del diritto di voto e privilegiate nella remunerazione e nel rimborso del capitale versato. In questo caso, si necessita dell’introduzione di sistemi di pianificazione e programmazione articolati, capaci di supportare la gestione aziendale. 104 Infine, poiché ai sottoscrittori di capitale è garantita la conservazione del valore reale della propria quota, è opportuno tenere distinta la quota parte di utili destinati ad aumenti gratuiti di capitale, in modo da differenziarla da eventuali aumenti effettivi di capitale sociale, attraverso nuove sottoscrizioni di soci. Nell’esaminare la struttura finanziaria della cooperativa occorre sottolineare che i soci contribuiscono a sostenere i fabbisogni finanziari, non solo con l’apporto di capitale (come avviene nelle società lucrative), ma anche con prestiti specifici, depositi a risparmio e con il finanziamento indiretto costituito dalla dilazione nel percepimento del compenso sul conferimento dei beni o della prestazione di lavoro e con le anticipazioni in conto futuro acquisto di beni o servizi. Quindi, nell’analizzare le fonti di finanziamento occorre tenere distinte le fonti di terzi (indebitamento esterno), da quelle riconducibili ai soci (indebitamento interno). Quest’ultimo presenta caratteristiche di elasticità e di costo di più agevole gestione da parte delle cooperative, infatti i termini di pagamento possono essere adeguati più facilmente al ritmo di creazione della necessaria liquidità e gli stessi oneri finanziari possono essere definiti, in via residuale, ponderando le esigenze di equilibrio del conto economico. 105 Si tratta, tuttavia di opportunità che presentano dei limiti dipendenti dalla disponibilità e dalla capacità patrimoniale e finanziaria delle economie individuali dei soci. Al di là di certi limiti, i rinvii nel pagamento dei conferimenti o le richieste di anticipazioni possono risultare incompatibili con gli equilibri finanziari dei soci o delle aziende particolari degli stessi e creare situazioni che vanificano il vantaggio del rapporto associativo, ripercuotendosi negativamente sull’economia della cooperativa stessa. Inoltre lo strumento del risparmio dei soci è convenientemente praticabile se fornisce agli stessi, a parità di rischi, una remunerazione concorrenziale con le alternative di mercato. Altra particolarità delle cooperative consiste nei rapporti di debito e di credito con le strutture consortili o con altre cooperative con cui si sviluppano integrazioni produttive e collaborazioni gestionali. Con tali soggetti la cooperativa può intrecciare rapporti operativi fondamentali per la sua attività e di cui spesso possiede quote di capitale o gli stessi fanno parte della sua base sociale. L’entità di detti debiti e crediti va opportunamente considerata al fine di ottenere una migliore fotografia della composizione degli impieghi e delle fonti, in relazione alle possibili condizioni di realizzo o di estinzione, nonché per valutare il livello di integrazione, in termini finanziari con 106 le strutture consortili o con le cooperative collegate. I budget finanziari, nonché il sistema di obiettivi e analisi di risultati di una cooperativa dovranno, necessariamente, tener conto di questi aspetti. 3. Particolarità degli aspetti economici delle cooperative Per quanto riguarda la determinazione del risultato di esercizio, la prima particolarità consiste nelle modalità di rilevazione dei rapporti con i soci, in relazione alla fissazione dei cosiddetti prezzi di scambio. I criteri di valorizzazione di tali poste risultano diversi da quelli adottati nelle altre imprese. Infatti, mentre nelle imprese di tipo capitalistico si persegue la massimizzazione della differenza ricavi-costi, nelle cooperative tale confronto perde importanza, perché i ricavi, nelle cooperative di consumo, ed i costi nelle cooperative di produttori comprendono già buona parte del futuro risultato di gestione. In particolare, nelle cooperative di piccole e medie dimensioni può risultare conveniente sottodimensionare l’utile di esercizio al fine di sfuggire all’obbligatorietà dell’accantonamento a riserva legale in misura sostanzialmente maggiore dei limiti previsti per le società di capitali e alla indivisibilità delle riserve comunque formate. Mentre nelle cooperative di maggiori dimensioni, 107 la nascita di un management autonomo porta a salvaguardare più le esigenze di sopravvivenza e crescita aziendale che non il soddisfacimento degli obiettivi economici immediati dei soci, attraverso l’accantonamento degli utili che si risolve in un autofinanziamento duraturo per l’azienda. Occorre, quindi per valutare appieno il risultato economico cooperativo procedere ad una riclassificazione del conto economico, in modo da segnalare il complessivo vantaggio derivante dalla partecipazione all’impresa cooperativa, giungendo a definire una configurazione di reddito formata dalla sommatoria dei redditi distribuiti sotto varia forma ai soci. Per questo obiettivo si può partire dalla valorizzazione dei rapporti con i soci secondo due diversi orientamenti : 1. l’utilizzo di criteri di natura residuale 2. l’allineamento ai prezzi di mercato. Il primo orientamento impone l’esclusione completa dei rapporti con i soci dal risultato economico, in questo ottica tali operazioni non danno luogo a componenti di reddito. Nelle cooperative di produttori, soprattutto se strumentali alle economie dei soci, il saldo del conto economico esprime la capacità dei ricavi di coprire i costi di gestione e, successivamente, di remunerare in misura almeno soddisfacente gli apporti sociali. Nelle cooperative di 108 consumatori, l’adozione di criteri di natura residuale per la valorizzazione degli acquisti sociali implica lo svolgimento di gestioni a costi e rimborsi di costi, per cui, ancor più che nelle cooperative di produttori, si ritiene di essere in presenza di combinazioni non dotate di un’autonomia tale da essere considerate aziende. In questo caso il conto economico, in quanto sommatoria contabile dei costi, risulta finalizzato alla determinazione dei livelli dei rimborsi da chiedere ai soci consumatori. Il secondo orientamento permette di sottolineare più efficacemente il processo di creazione di valore posto in essere dalla cooperativa. Infatti, nelle cooperative di produttori la valorizzazione dei conferimenti in base ai prezzi di mercato permette di determinare oggettivamente il concorso del socio alla gestione e, quindi, il valore aggiunto aziendale, mentre nelle cooperative di consumatori, grazie alla rilevazione di un fatturato oggettivo, facilita l’individuazione del risultato economico. In questo caso la remunerazione dei soci passa essenzialmente attraverso la pratica dei ristorni (integrazioni sui conferimenti o sugli acquisti). In particolare, si può fare riferimento a tre criteri per la valorizzazioni dei conferimenti o consumi sociali: • prezzi di mercato in assenza della azienda cooperativa • prezzi-costo o prezzi-ricavo spuntabili dalla 109 cooperativa sul mercato • costo medio della produzione Quindi, un sistema di controllo di gestione dovrà essere disegnato in modo da evidenziare l’incremento di valore dei conferimenti sociali complessivi per effetto della gestione e la formazione di un vero risultato cooperativo. Si tratta, cioè di definire una particolare configurazione di reddito complessivo, diverso da quello civilistico, formato dalla somma dei redditi distribuiti, sotto varia forma, ai soci, o imputati all’azienda per finalità di autofinanziamento a prescindere dai diversi aspetti di natura contrattuale. Nelle cooperative di produttori, il risultato cooperativo così ottenuto sarà poi chiamato alla copertura delle voci rappresentanti gli interessi sociali ovvero gli interessi passivi sui prestiti sociali, l’accantonamento a riserva a titolo di autofinanziamento, la remunerazione del capitale di rischio e, infine, la valorizzazione dei conferimenti effettuati dai soci. Come già detto, si prescinde, nella costruzione di tale risultato cooperativo, dalla diversa natura delle voci da coprire, prescindendo quindi da problematiche di natura legale. In particolare, la remunerazione di prestiti sociali e le retribuzioni ai dipendenti soci, rappresentano un costo 110 contrattualmente stabilito e quindi non potranno essere vincolate alla positività dei risultati gestionali. Di conseguenza, in presenza di risultati cooperativi insufficienti o addirittura negativi, la necessaria copertura dovrà avvenire attraverso la movimentazione in senso negativo delle altre poste, ed in particolare delle riserve proprie, in linea con lo stesso conto economico civilistico, dove la perdita di esercizio risulta coperta attraverso l’utilizzo delle apposite riserve. Nelle cooperative di consumatori, il risultato cooperativo serve, in primo luogo alla determinazione dei costi di produzione, necessari per la determinazione dei prezziricavo, o meglio, dei rimborsi di costo da chiedere ai soci. In particolare, anche qui, prescindendo da problematiche di natura legale, al fine di giungere alla determinazione del reddito complessivo attribuito al socio va elaborato il costo di produzione totale, il cui volume successivamente va confrontato con il volume di affari complessivo, relativo sia ai rapporti con i soci sia con i terzi, nelle cooperative spurie. In definitiva si giunge alla determinazione di un risultato lordo sociale, riconducibile alla attività caratteristica, derivante dai rapporti extra-sociali, che integrato con i risultati delle gestioni finanziaria e straordinaria e dalla imposizione tributaria, fornisce il valore aggiunto 111 cooperativo, ovvero complessivo ottenuto la misurazione attraverso la del vantaggio partecipazione all’impresa. Tale risultato, analogamente alle cooperative di produttori, servirà per soddisfare gli interessi sociali: l’autofinanziamento, gli interessi sui prestiti sociali, la remunerazione del capitale di rischio e i ristorni sui consumi, quale rimborso per gli acquisti effettuati dai soci. Nel caso di gestione a costi e rimborsi di costi, il prezzoricavo chiamato a valorizzare le transazioni sociali è pari al costo di produzione più una somma a copertura degli eventuali rischi di gestione, pertanto dal confronto con i costi di produzione si ottiene un saldo della gestione sociale. Talvolta, a fini di analisi gestionale, si utilizzano forme di ricavo figurativo. Anche la struttura degli obiettivi e analisi dei risultati (ad esempio gli indici di bilancio) dovrà tener conto delle caratteristiche particolari delle cooperative. Quando la remunerazione sui conferimenti o il corrispettivo per la cessione ai soci dei beni o servizi sono rilevati sulla base dei prezzi di mercato, gli stessi possono interpretarsi, rispettivamente, come costi di acquisizione e ricavi di vendita, mentre gli eventuali ristorni, cioè integrazioni al compenso o rimborso della differenza costo-ricavo, possono interpretarsi come quote complementari al 112 risultato economico esposto in bilancio. Quindi nel calcolare il ROI, occorre integrare il risultato economico esposto in bilancio con i ristorni e rapportarlo al capitale mediamente investito, sintetizzando la capacità della cooperativa di creare risorse, al netto della quota di indebitamento, in rapporto al totale degli investimenti in essere. Se poi si considera che spesso i prestiti effettuati dai soci e i depositi di risparmio assumono un ruolo integrativo rispetto agli apporti di capitale, l’inserimento al numeratore del suddetto indice degli interessi corrisposti ai soci permette di evidenziare l’entità delle risorse attribuibili ai soci in rapporto al totale degli impieghi in essere, per remunerare l’apporto di capitale proprio e in generale, i finanziamenti erogati alla cooperativa. 113