ASSOCIAZIONE GENERALE COOPERATIVE ITALIANE
FEDERAZIONE REGIONALE EMILIA ROMAGNA METODI DI PIANIFICAZIONE E CONTROLLO DI GESTIONE NELLE COOPERATIVE DI PICCOLE E MEDIE DIMENSIONI
STUDIO REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA AI SENSI DELLA MISURA 2.2 AZIONE A (ART.2 L.R. 22/90) METODI DI PIANIFICAZIONE E
CONTROLLO DI GESTIONE
NELLE COOPERATIVE DI
PICCOLE E MEDIE DIMENSIONI
INDICE
PREMESSA……………………………………….…
3
PARTE I
PIANIFICAZIONE STRATEGICA
1. Il controllo di gestione……………………………
5
2. L’attività di direzione…………………………….
6
3. Pianificazione e programmazione………………...
9
4. Il Piano Strategico………………………………..
10
5. Il Piano di Sviluppo Aziendale…………………...
11
5.1. Le fasi della programmazione……………….
12
6. Il Budget………………………………………….
18
6.1. Le funzioni del sistema di budgeting………..
20
6.2. Le diverse tipologie di centro……………….
24
6.3. Indici di bilancio e flussi finanziari…………
24
6.4. Le premesse di un sistema di budgeting…….
29
PARTE II
IL CONTROLLO DIREZIONALE
1. Il controllo direzionale e l’analisi dei costi……….
31
1.1. La contabilità analitica………………………
32
1.2. Costi diretti e costi indiretti…………………
36
2. Il Direct Costing………………………………….
39
2.1. Analisi del Punto di Pareggio o Break Even
Point Analysis (BEP)………………………..
41
2.2. La Leva Operativa…………………………..
45
1
3. Il Direct Costing Evoluto…………………………
47
4. Il Full Costing…………………………………….
53
5. I Centri di Costo………………………………….
57
6. Activity Based Costing (ABC)…………………...
60
7. Il Budget Commerciale…………………………..
63
8. Il Budget di Produzione…………………………..
69
9. Il Budget dei Servizi Generali……………………
75
10. Il Budget degli Investimenti……………………...
78
11. Il Master Budget Economico……………………..
79
12. Il Master Budget Finanziario……………………..
81
12.1. Il Budget di Tesoreria……………………...
82
12.2. Il Budget Patrimoniale……………………..
89
PARTE III
CARATTERISTICHE
CONTROLLO
PECULIARI
DIREZIONALE
DEL
NELLE
COOPERATIVE
1. Il modello economico della cooperativa………….
94
2. Particolarità degli aspetti patrimoniali delle
cooperative……………………………………….. 102
3. Particolarità
degli
aspetti
economici
delle
cooperative……………………………………….. 107
2
PREMESSA
L’estrema
complessità
e
turbolenza
dell’ambiente
economico causato dalla globalizzazione dell’economia
provoca la necessità di disporre di strumenti sistematici di
ausilio alla direzione aziendale che eviti di brancolare nel
buio e di affidarsi unicamente all’istinto.
Un sistema di tecniche e strumenti in grado di soccorrere in
questa situazione è sicuramente il controllo di gestione,
applicato tradizionalmente nelle grandi e medie imprese,
ma di cui, sempre più spesso, si ravvisa la necessità anche
in aziende di più piccole dimensioni, sottoposte anch’esse a
turbolenza ambientale e alla concorrenza e interdipendenza
globale.
In una visione statica il controllo di gestione è
estremamente utile per ottenere una conoscenza, un
controllo e quindi una riduzione dei costi, tuttavia in
un’ottica avanzata, e cioè, dinamica ed integrata con altri
sistemi aziendali, come ad esempio il marketing, diviene lo
strumento principe per l’agire economico.
Il presente lavoro si propone una trattazione del controllo di
gestione in generale, con un’attenzione alle tecniche
3
maggiormente applicabili a strutture di piccole e medie
dimensioni,
per
poi
approfondire
le
problematiche
specifiche e particolari riguardanti il campo delle piccole e
medie cooperative, in modo da riadattare e trasporre le
tecniche precedentemente approfondite nelle stesse.
4
PARTE I
PIANIFICAZIONE STRATEGICA
1. Il controllo di gestione
Per fornire una prima definizione, estremamente intuitiva,
di controllo di gestione si potrebbe dire che il controllo di
gestione è un insieme di strumenti e tecniche in grado di
fornire alla direzione e alla proprietà di una qualunque
impresa informazioni utili per comprendere meglio la realtà
aziendale ed assumere decisioni più razionali.
Un sistema di Controllo di Gestione permette al
management di:
•
Comprendere
l'evoluzione
della
situazione
patrimoniale, finanziaria e reddituale dell'azienda in
modo più approfondito rispetto al bilancio redatto ai
fini civilistici e fiscali;
•
Utilizzare in modo più efficiente tutte le risorse a
disposizione (risorse tecnologiche, umane, finanziarie,
ecc.);
•
Prendere decisioni sulla base di dati quantitativi e non
solo grazie all'istinto imprenditoriale e ad intuizioni
che, a volte, possono rivelarsi fuorvianti;
•
Reagire più velocemente al cambiamento;
•
Migliorare l'immagine del management e dell'azienda
all'interno ed all'esterno.
5
La progettazione di un sistema di controllo di gestione
presuppone la scelta delle caratteristiche del controllo
stesso attraverso un approccio di tipo situazionale. In
particolare la costruzione e il dimensionamento del sistema
di controllo deve tener conto di:
1. Cultura aziendale e stile di management
2. Dimensione e complessità di struttura e business
3. Costi/benefici nel grado di dettaglio e precisione delle
analisi che generano le informazioni
4. Strumenti informatici disponibili
In ogni caso è sempre da tener presente che più i dati sono
precisi e analitici più alto è il costo degli stessi e più lunghi
possono essere i tempi per ottenerli.
2. L’attività di direzione
L’attività di direzione consiste essenzialmente nello:
scegliere le direttive da impartire in merito all’impiego dei
fattori produttivi, materiali e personali, alle loro modalità
d’uso e ai risultati che si desidera conseguire, fare in modo
che qualcuno agisca in conseguenza alle direttive prese. Il
tutto si completa con la verifica di quanto effettivamente
eseguito (fase di controllo).
Quindi i processi base del controllo di gestione si possono
suddividere in due macro attività:
•
Pianificazione e programmazione
6
•
Controllo
Il processo di pianificazione e programmazione determina
le strategie aziendali, si determina, cioè, il posizionamento
nel settore/mercato identificando il sistema di obiettivi
aziendali conseguenti ai vari livelli: Strategico, Tattico e
Operativo. Gli strumenti sono principalmente:
1. Il Piano Strategico
2. Il Piano di Sviluppo Aziendale (almeno triennale)
3. Il Budget (annuale)
V
Pianificazione
strategica
Management
Base operativa
Controllo
direzionale
Controllo
operativo
Il processo di controllo si articola in:
1. Il controllo preventivo a supporto del processo di
pianificazione e programmazione
a. Verifica della coerenza tra obiettivi prefissati e
strategie per conseguirli;
7
Fasi e oggetti del processo di pianificazione:
Fase di pianificazione
STRATEGICA
DIREZIONALE
OPERATIVA
Componente
Pianificazione Obiettivi
- Linee guida
- Obiettivi strategici
Pianificazione Risorse
- Piano economicofinanziario triennale
Pianificazione Obiettivi
- Piano di vendita
- Piano di produzione
Pianificazione Risorse
- Bilancio di Previsione
- Budget per funzione
- Budget per centro di costo
- Budget finanziario
Programmazione Obiettivi
- Lancio di produzione
Programmazione Risorse
- Budget di tesoreria
Contenuti
Elaborazione
della strategia
Utenti
- Consiglio di
amministrazione
- Direttore
generale
Orizzonte temporale
Triennale con
articolazione annuale
Attuazione
della strategia
- Direttore
generale
- Direzioni
aziendali
- Responsabili di
settore
Annuale con
articolazione mensile
Guida
operativa
- Responsabili di
settore
- Responsabili
operativi
Mensile con
articolazione
settimanale o
giornaliera
8
b. Verifica l’equilibrio tra risorse necessarie e risorse
disponibili;
c. Valuta
gli
effetti
economico
finanziari
e
patrimoniali delle azioni programmate.
2. Il controllo concomitante (monitoring) attraverso
strumenti
(contabilità
contabili
ed
analitica,
extracontabili
rendimenti
consuntivi
fisico-tecnici,
standard);
3. Il controllo consuntivo strumenti di sintesi contabile
consuntiva (contabilità generale, bilancio, riclassificati
e indici).
3. Pianificazione e programmazione
L’attività di management può consistere:
•
nell’attendere il verificarsi degli eventi prima di
avviare il processo decisionale, ossia nel lavorare
guardando il presente o peggio il passato, si tratta della
semplice previsione in assenza di decisioni,
•
nel cercare di prevedere gli eventi e di anticipare
alcune decisioni e azioni manageriali, assumendo un
atteggiamento
proattivo
(pianificazione)
e
non
solamente reattivo (previsione).
La pianificazione e programmazione strategica consiste in
un processo di riflessione del management aziendale al fine
di determinare gli obiettivi strategici che l’azienda intende
9
proporsi e, conseguentemente, le decisioni che l’azienda
deve prendere per raggiungere tali obiettivi, attraverso una
chiara determinazione di piani attuativi, suddivisi tra i vari
settori aziendali.
Si tratta di un processo formale e in forma scritta, che si
articola, come già detto, in orizzonte temporale di lungo,
medio e breve periodo.
4. Il Piano Strategico
Si tratta di un piano almeno quinquennale, redatto in forma
qualitativa prescindendo dai bilanci di previsione, e che
definisce:
1. L’area di affari che si sta occupando, le tecnologie
utilizzate, i punti di forza e di debolezza
2. I clienti a cui ci si rivolge
3. I fornitori di cui ci si serve
4. I concorrenti attuali
5. I concorrenti potenziali
6. I prodotti sostitutivi.
Le difficoltà di prevedere il futuro del mercato a lungo
termine nell’attuale realtà di complessità, potrebbero
scoraggiare la redazione di questo piano. In realtà quello
che è entrato in crisi non è la necessità della pianificazione
strategica, ma la formulazione della stessa secondo un
approccio di tipo tradizionale che procede dall’alto verso il
10
basso.
In un epoca di estrema turbolenza e incertezza la
pianificazione strategica dovrebbe avvenire secondo un
approccio emergente, dal basso verso l’alto, spingendo il
management a riconoscere rapidamente le strategie
sprigionate dall’organizzazione, coltivando le migliori,
accantonando le peggiori e confrontando le stesse con gli
obiettivi
dell’impresa,
le
minacce,
le
opportunità
dell’ambiente esterno e con le forze e debolezze
dell’interno. Risulta chiaro, in ottica di questo tipo, come
cooperative piccole e medie possano essere avvantaggiate
più di altre imprese. La condivisione, infatti, degli obiettivi
dell’organizzazione a tutti i livelli favorisce un processo di
apprendimento che trae vantaggio dalla varietà di
conoscenze, capacità ed esperienze delle persone che la
compongono.
In ogni caso pianificare, nella realtà odierna, significa
tenere conto dell’incertezza che domina il futuro,
riconoscere i limiti della conoscenza ed evitare di cadere
vittime di pregiudizi
5. Il Piano di Sviluppo Aziendale
Si tratta di un processo di riflessione continua, che deve
essere rinnovato ogni anno, eseguito dal management
aziendale, sotto la supervisione della direzione generale, e
11
che deve essere discusso, modificato e approvato dal
consiglio di amministrazione.
Questo processo di programmazione che comprende le
previsioni quantitative per un periodo, di solito, di tre anni,
è particolarmente delicato e impegnativo, lungo un sentiero
di notevoli difficoltà.
5.1 Le fasi della programmazione
Consistono in:
a. Riesame della strategia del vecchio piano (se esiste)
b. Verifica della missione
c. Revisione della strategia e considerazione di eventuali
alternative
d. Definizione della nuova strategia e stesura del nuovo
piano a medio termine
a. Riesame della strategia precedente
E’ il riesame che si esegue nel caso esista un piano a medio
precedente, sulla cui base si va a verificare, se nel corso
dell’anno sono emersi dei punti di debolezza finanziari,
reddituali, di mercato o altri e se sono emersi punti di forza
su cui contare in futuro.
Nello stesso tempo si analizzano le turbolenze e le
variazioni dell’ambiente esterno al fine di prospettare le
minacce da contrastare e le occasioni da cogliere e
sfruttare.
12
b. Verifica o determinazione della missione
E’ chiaro che nella prima redazione del piano non si tratterà
di verifica ma di determinazione della missione e cioè dare
risposte a domande del tipo:
-
Chi sono? Chi voglio essere?
-
Casa posso fare? Con quali limiti?
-
Quali clienti voglio servire?
-
Con quali prodotti?
-
Come? Dove?
La risposta a queste domande definisce l’area di business
che l’azienda intende ricoprire, delimitandone il campo di
azione.
Dalla valutazione generale ed attenta dello stato in cui si
trova l’azienda attraverso la determinazione degli indici di
bilancio (cash flow, indici finanziari, indici di redditività,
indici di rotazione, ecc.), e l’analisi dei prodotti/servizi
offerti.
Si perviene, così, a determinare in forma specifica, rispetto
al Piano Strategico, punti di forza e di debolezza e a
definire maggiormente minacce ed opportunità.
c. Verifica o determinazione della strategia
Sulla base della verifica della missione si passa alla
elaborazione o verifica della strategia, definendo:
•
L’analisi del/dei settori in cui si opera
•
I mercati da servire, quelli da abbandonare e quelli in
13
cui entrare
•
I clienti da servire
•
Il make or buy, e cioè la decisione se fare o comprare
prodotti/servizi da offrire ai clienti
•
I prodotti da eliminare
•
La riduzione dei punti di debolezza e l’incremento dei
punti di forza
d. Stesura del Piano
Il Piano di Sviluppo Aziendale si articola in:
•
una premessa contenente la sintesi delle linee
strategiche da perseguire, dopo averne individuata la
missione.
•
il Piano di Marketing e vendite, cioè le scelte
strategiche sul cosiddetto marketing- mix:
o
cosa e a chi vendere (prodotto/servizio)
o
a quali prezzi (prezzo)
o
con quale sistema distributivo (punto di
vendita)
o
con
quale
sistema
promozionale
(promozione)
Gli strumenti del marketing-mix vanno poi tra loro
correlati, in modo da non risultare in contrasto e che il
tutto si risolva in un sistema coerente.
•
il Piano Industriale, elaborato sulla base del Piano di
Marketing e che determina le scelte in merito alla
14
produzione, stock prodotti, acquisti, stock materie
prime,
lavorazioni
esterne
ed
interne,
capacità
produttiva
•
il Piano delle Strutture di Supporto, che vanno
distinte in
a. Servizi ausiliari afferenti alla produzione e quindi
addebitabili
ai
diversi
prodotti
o
servizi,
contribuendo al costo diretto di prodotto.
b. Servizi generali, i cui costi sono difficilmente
comprimibili e su cui è possibile intervenire
mediante
riorganizzazioni
procedurali
e
introduzione di sistemi informatici. Data la loro
difficile comprimibilità, l’indipendenza dai volumi
produttivi e di vendita e la notevole incidenza sui
costi,
può
essere
conveniente
sottoporli
ad
un’analisi ZBB (Zero Base Budgeting), che
consiste nell’analizzare tutte le funzioni di carattere
generale partendo da zero, come se l’azienda
dovesse
essere
costituita
nuovamente,
ed
analizzando le funzioni svolte dai vari uffici,
determinandone l’effettiva utilità, rivedendo le
procedure ed automatizzando quelle necessarie.
Si
tratta
generalmente
ammortamenti
impianti,
di
energia
elettrica,
controllo
qualità,
manutenzione, magazzino.
15
I CONTENUTI DEL PIANO AZIENDALE E
DEL BUDGET
(varia solamente l’orizzonte temporale)
MISSIONE
ANALISI DI SETTORE
PIANO DI MARKETING E VENDITE
PIANO INDUSTRIALE
PIANO DELLE STRUTTURE DI SUPPORTO
PIANO DEL PERSONALE
PIANO DEGLI INVESTIMENTI
MASTER PLAN ECONOMICOVerifica
fattibilità
finanziaria
•
Verifica
fattibilità
economica
Il Piano del Personale, conseguente alle decisioni
16
prese dai responsabili marketing, vendite e produzione
e relativi ad aumenti o riduzioni del personale, tenendo
anche conto dello stato delle relazioni sindacali,
dell’opportunità di inserire sistemi incentivanti, o
soluzioni e innovazioni di tipo organizzativo.
•
Il Piano degli investimenti, anch’esso subordinato
dalle decisioni prese dal responsabile marketing e
produzione e naturalmente condiziona il responsabile
finanziario. Possono riguardare impianti produttivi,
immobili e sistemi informatici e tenendo sempre conto
delle esperienze, degli aggiornamenti forniti dal settore
di ricerca e sviluppo e dall’analisi della concorrenza.
Determinata l’opportunità di investimento, in accordo
con il responsabile finanziario va eseguita la scelta di
investimento; nel caso di difficoltà finanziarie, di un
mercato fluttuante, e quindi per ridurre l’esposizione
finanziaria e gli impegni di personale andrà esaminata
la possibilità di ricorso alla produzione presso terzi,
“outsourcing”.
•
Il Master Plan Economico-Finanziario per i tre anni
di validità, e cioè:
o Il Conto Economico Scalare,
o Lo
Stato
Patrimoniale
a
sezioni
contrapposte,
o Il Piano Finanziario.
17
Qualora la situazione finanziaria espressa dagli Stati
Patrimoniali e dall’analisi dei flussi finanziari non
fosse sostenibile dall’azienda, sarebbe necessario
rivedere tutta l’impostazione del piano.
In conclusione, tutto il processo di stesura del Piano di
Sviluppo Aziendale di medio periodo si configura non
come un processo lineare, ma come un complesso processo
ciclico, in cui le fasi successive possono mettere
continuamente in discussione le precedenti, obbligando a
tornare indietro e rielaborare le premesse. Infine, le stesse
conclusioni del piano tendono ad alimentare le premesse.
6. Il Budget
La logica conseguenza della stesura del Piano triennale è il
budget, che consiste in un bilancio preventivo dell’anno
successivo e che dovrebbe corrispondere al primo dei tre
anni del Piano di Sviluppo.
Si tratta, quindi di uno strumento di pianificazione a breve
maggiormente preciso e dettagliato del piano a medio.
Infatti mentre quest’ultimo viene di solito redatto verso la
metà dell’anno, il budget viene redatto verso la fine
dell’anno in modo da poter essere approvato verso
dicembre; per redigere il piano si prende in esame il primo
anno del piano, lo si ritocca tenendo conto di informazioni
più aggiornate, concernenti il mercato, e quindi si articola
18
nelle sue componenti, con il fine di tenere sotto controllo i
vari responsabili di funzione e separatamente i vari prodotti
o servizi nonché le varie attività. Il budget può essere
definito un programma d’azione, che contiene la traduzione
in
termini
economico-finanziari
della
gestione
programmata e che guida e responsabilizza i manager verso
obiettivi di breve periodo (1 anno), definiti nell’ambito di
un Piano strategico aziendale di lungo periodo.
Ne deriva, quindi, che non si tratta di una mera previsione,
la quale è strumentale al budget, ma non coincide con esso.
L’insieme delle previsioni va ad alimentare in modo sia
diretto che mediato l’elaborazione del budget.
Le varie fasi viste precedentemente per la stesura del piano
a medio termine valgono anche nel caso della stesura del
budget, con la sola differenza che in questo caso sono, da
lato, limitate ad un solo anno, dall’altro, come già detto,
maggiormente precise e dettagliate.
In ogni caso il budget comporta un alto coinvolgimento di
più attori ai vari livelli e non deve essere assolutamente
inteso come un’imposizione dall’alto. Ecco perché anche
da questo punto di vista si ritiene che le piccole e medie
cooperative risultino attrezzate per questo tipo di passaggi e
possano incontrare minori difficoltà rispetto ad altre
imprese piccole e medie di tipo capitalistico, dove è
maggiormente presente un processo di autorità e magari di
19
scarso coinvolgimento dei diversi attori ai vari stadi
decisionali e comunque importanti della vita dell’azienda
stessa.
6.1 Le funzioni del sistema di budgeting
Un corretto sistema di budgeting assolve alle seguenti
funzioni:
1. Una Funzione Informativa:
o Delineare la situazione attuale nella quale ci si
trova a comporre le scelte
o Valutare
anticipatamente
la
convenienza
economica
o Verificare l’andamento
2. Una Funzione di Indirizzo e Coordinamento:
o Valutando la coerenza fra strategia, obiettivi e
programmi d’azione
o Mantenendo un bilanciamento fra le risorse
disponibili e quelle necessarie
o Verificando l’andamento dell’attività
3. Una Funzione Motivazionale, in quanto consente di
responsabilizzare in termini di obiettivi da raggiungere
le varie persone che operano in azienda
4. Una
Funzione
di
Alleggerimento,
dell’attività
dell’alta direzione, grazie alla delega dell’autorità e
della responsabilità ai livelli intermedi
5. Una
Funzione
di
Accumulo
di
Esperienza.
20
L’aspetto organizzativo del processo di budgeting:
Attività
Definizione linee
guida
Formulazione
proposte di
budget
Consolidamento/
verifica delle
proposte
Approvazione e
formalizzazione
- Analisi del settore di
riferimento
- Focalizzazione delle
aree di business
- Articolazione della
strategia aziendale
- Formulazione piani di
azione
- Consolidamento delle
proposte di budget
- Verifica della fattibilità
tecnica, economica e
finanziaria
- Condivisione scelte con
il vertice aziendale
- Presentazione degli
obiettivi aziendali
Attori
Output
- Consiglio di
amministrazione
- Direttore generale
- Controllo di gestione
- Analisi dello scenario esterno ed interno
- Obiettivi strategici
- Politiche aziendali (vendita,
investimento, personale e reddituali)
- Dirigenti
- Responsabili di
settore
- Controllo di gestione
- Direttore generale
- Dirigenti
- Controllo di gestione
- Proposta di Piani operativi
- Proposta di Piano dei finanziamenti
- Proposta di budget economico,
finanziario e patrimoniale
- Prima bozza documento di budget
- Consiglio di
amministrazione
- Direttore generale
- Controllo di gestione
- Versione definitiva documento di budget
21
Ma affinché il sistema di budgeting possa indirizzare il
comportamento e motivare le persone in modo efficace è
necessario fare chiarezza in azienda su quattro variabili:
-
il sistema delle responsabilità
-
gli obiettivi
-
i criteri di valutazione
-
i meccanismi di ricompensa.
Si tratta, ad ogni modo, di rivedere e se necessario
correggere le quattro variabili di cui sopra e rendere il
sistema omogeneo e coerente.
Nella pagina seguente viene esplicitata una griglia delle
responsabilità del sistema di budgeting.
Da quanto sopra emerge, con tutta evidenza, la complessità,
l’interazione e la condivisione tra le varie funzioni
aziendali nelle varie fasi del processo di budgeting,
rendendo
quindi
necessario
per
ogni
centro
di
responsabilità la definizione del tipo di responsabilità
da attribuire al centro stesso.
Si tratta di un momento delicato, giacché una non corretta
definizione del sistema delle responsabilità può inficiare in
modo irreparabile la definizione del budget.
Da questo punto di vista si tratta di rispettare i principi di:
-
equità, e cioè effettiva manovrabilità delle leve
economiche assegnate;
22
GRIGLIA DELLE
RESPONSABILITA’
Linee guida aziendali
Budget di marketing
Budget delle vendite
Budget degli
investimenti
Budget della R&S
Budget delle scorte
Budget della
produzione
Budget degli
approvvigionamenti
Budget della logistica
Budget del personale
Budget dei costi
amm.vi e generali
Budget dei
finanziamenti
Direttore Produzione Commerciale Marketing R&S Controllo Amministraz.
Generale
di gestione
e Finanza
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
23
-
coerenza con strategie e obiettivi che da essa
discendono.
6.2 Le diverse tipologie di centro
Si è inserito il concetto di centro di responsabilità, quindi
occorre aggiungere che i centri si differenziano per leve
economiche manovrabili, risorse impiegate, caratteristiche
dei risultati e possibili parametri economici, questi possono
essere:
•
centro di costo-ricavo / responsabilità, sono quelli a
cui è affidata la responsabilità di realizzare un’attività
misurabile in termini quantitativi con l’utilizzo di
risorse concordate in sede di budget;
•
centro di spesa, che svolgono un’attività non
misurabile e il controllo è sviluppato attraverso
obiettivi di tipo operativo;
•
centro di profitto, che rispondono di costi e ricavi e
investimenti, quindi della redditività conseguita. Sono
centri che operano con la logica del mercato
utilizzando prezzi di trasferimento interni.
6.3 Indici di Bilancio e Flussi Finanziari
La determinazione del sistema di obiettivi aziendali e la sua
successiva comunicazione e condivisione con tutto il
management è uno dei principali processi per orientare
l’attività di tutta la struttura dell’azienda. L’azienda può
centrare i propri obiettivi di sviluppo solo se il management
24
ha una cultura omogenea e riesce ad ottenere l’equilibrio
della gestione assicurando a tutti i livelli un sistema di
valori comuni e condivisi. E’ chiaro che le piccole e medie
cooperative possono trovarsi in una situazione ottimale da
questo punto di vista, e con una maggiore capacità di
raggiungere obiettivi condivisi, premessa questa per un
buon sistema di controllo direzionale.
E’ comunque opportuno che gli obiettivi siano:
•
coerenti con la strategia d’impresa
•
motivanti
•
attribuiti a centri di responsabilità ben definiti
•
controllati e valutati con gli scostamenti per fornire un
input ai sistemi di valutazione e ricompensa.
Le differenti tipologie di obiettivi possono essere
economici, patrimoniali, finanziari, operativi, e vanno
integrati con obiettivi strategici competitivi.
L’obiettivo di redditività è sicuramente primario, poiché
essa è fonte di autonomia gestionale, capacità di crescita
equilibrata e capacità di attrarre il capitale di rischio.
Gli obiettivi legati all’andamento della gestione economica
caratteristica, quelli legati all’andamento della gestione
finanziaria e quelli legati all’andamento delle gestioni
diverse,
straordinaria
e
fiscale
sono
determinanti
dell’obiettivo di Redditività dei mezzi propri o ROE
(Return On Equity), espresso dal rapporto fra reddito di
25
esercizio e capitale netto, sintetizzando così la redditività
complessiva dell’impresa attribuibile al capitale proprio.
Importante, per le imprese, risulta essere l’obiettivo di
Redditività operativa del capitale investito o ROI
(Return On Investment), che è espresso dal rapporto fra
reddito operativo e capitale investito nella gestione
caratteristica e che evidenzia la capacità dell’impresa di
ottenere redditi dai capitali impiegati nell’oggetto tipico
dell’attività. A sua volta il ROI ha come precise
determinanti il ROS e il NAT, come viene evidenziato nel
prospetto della pagina seguente, che evidenzia l’Albero
degli Indici aziendali che può servire per l’apprezzamento
dell’assetto
economico-finanziario
di
un’impresa,
l’individuazione dei potenziali di miglioramento e delle
relative responsabilità.
Poiché lo Stato patrimoniale è la fotografia di un momento,
a fini di analisi occorre mediare stati patrimoniali di più
periodi, quindi occorre riferirsi a capitale netto, capitale
investito ecc. come medie di più periodi (ad esempio
prendendo la semisomma tra il capitale iniziale e quello
finale di un dato esercizio).
Se gli indici di bilancio si attuano mediante la costruzione
di relazioni numeriche fra valori o classi di valori di
bilancio, un’altra tipologia di analisi è volta ad evidenziare
le
variazioni
che
gli elementi
del
patrimonio
di
26
funzionamento subiscono nel corso del tempo: i flussi
finanziari, tipicamente flussi di capitale circolante netto e
flussi di cassa.
ALBERO DEGLI INDICI AZIENDALI
ROI
Return on Investment
ROS
Return on Sales
NAT
Net Assets turnover
COS
Costi delle Vendite
RAI
Ricavi su Attiv. Imm.
Materiali
Costi var.dir.su ricavi
Manodopera
Costi ciclo prod.su ricavi
Rotazione Magazzino
Vendite su Magazzino
Rotazione Crediti
Fatt.su crediti comm.
Stock
Costi car./ecc.cap.prod.su ricavi
Prod. Magazzino
Costi struttura su ricavi
Rotazione Debiti
Costi var.dir. su forn.
Commerciali
Costi comm.su ricavi
Amministrazione
Costi amm.su ricavi
Gestione Finanziaria
Gest.fin.su ricavi
27
SCHEMA SINTETICO DI STATO PATRIMONIALE
Liquidità
Passività
immediate
Correnti
Liquidità
differite
Passività
Disponibilità
Consolidate
Capitale
Immobilizzi
Proprio
netti
Impieghi
Propri
PASSIVO
Mezzi di Terzi
ATTIVO
Mezzi
Capitale Circolante
Capitale Impiegato
RICLASSIFICATO
Fonti
DETERMINANTI GESTIONALI DEL FLUSSO DI CASSA
Reddito
operativo e
ammortam.ti
Flusso di
cassa
operativo
Variazione
CCN
Investimenti
fissi netti
Vendite
Costi
Cap.
Circolante
Deb.
Fornitori
Nuovi
investim.
Disinvestim.
28
CCN=Cap.Circ.(Scorte+Cred.Clienti+Liquidità)
–
Deb.Fornitori
Questo tipo di analisi pone in evidenza il divenire nel
tempo degli impegni finanziari e delle fonti utilizzate per la
loro copertura, fornendo un quadro di insieme delle
politiche finanziarie adottate. In fase di pianificazione si
pongono
come
obiettivi
di
fabbisogno
finanziario,
conseguenti a determinate ipotesi di sviluppo.
6.4 Le premesse di un sistema di budgeting
La progettazione di un sistema di controllo di gestione e
budgeting presuppone di:
•
Decidere il contenuto da dare al budget e l’orizzonte su
cui proiettarlo
•
Definire
preliminarmente
obiettivi
economico-
finanziari operativi
•
Stabilire chi deve fornire le informazioni nel processo
di budgeting
•
Fissare i tempi del budgeting
•
Predisporre
un
preconsuntivo
patrimoniale
ed
economico a chiudere per l’anno in corso
•
Disporre di un esperienza almeno biennale a livello di
consuntivazione, occorre cioè disporre di un minimo di
contabilità analitica.
29
In base all’arco temporale di riferimento si può avere il
budget chiuso, che si elabora una volta l’anno e non viene
più rivisto o il budget aperto, che viene adattato e rivisto
ad ogni sottoperiodo. In base ai livelli di attività, invece il
budget può essere fisso, flessibile (cambiano i volumi di
vendita/produzione), a scenari multipli.
Per quanto riguarda il contenuto del budget distinguiamo
tra budget operativi (commerciale, di produzione, degli
acquisti, delle scorte, di ricerca e sviluppo, dei servizi
generali, del personale) e budget degli investimenti nelle
stesse aree operative. Entrambi i tipi di budget concorrono
alla stesura dei budget finanziari e, insieme a questi del
Master Budget (CE, SP, Investimenti, Flussi finanziari).
30
PARTE II
IL CONTROLLO DIREZIONALE
1. Il controllo direzionale e l’analisi dei costi
Si è detto che, preliminare alla progettazione di un sistema
di budgeting e quindi ad un completo ed affidabile
controllo di gestione risulta essere un’esperienza almeno
biennale nella consuntivazione e nell’analisi dei costi.
Gli scopi tradizionali dell’analisi dei costi rappresentano i
problemi del management:
•
giudizi di efficienza (input);
•
giudizi di produttività (output);
•
giudizi di redditività del portafoglio prodotti;
•
decisioni di convenienza comparata;
•
controllo delle spese generali;
•
analisi gestionale in ottica strategica;
•
formazione del bilancio.
Essa offre molte possibilità in merito al controllo
dell’efficienza, alla verifica della produttività degli
impianti, all’analisi della redditività dei singoli prodotti o
linee di prodotto e quindi quelli che perdono e quelli che
guadagnano, e di conseguenza alla formulazione di prezzi e
tariffe adeguati.
Il controllo direzionale è alimentato da una struttura
informativa specifica, composta da numerosi strumenti:
31
•
strumenti di sintesi contabile consuntiva (contabilità
generale., bilancio, riclassificati e indici);
•
strumenti
(contabilità
contabili/extracontabili
analitica,
rendimenti
consuntivi
fisico-tecnici,
standard)
•
strumenti di analisi preventiva (programmi operativi,
budgeting, reporting economico-finanziario);
•
strumenti di reporting contabile (indicatori di qualità,
indicatori gestionali).
1.1 La contabilità analitica
Tra gli strumenti consuntivi predominanti risultano la
contabilità generale e quella analitica.
La contabilità generale è l’insieme delle rilevazioni
attraverso le quali si raccolgono i costi e i ricavi collegati
agli scambi con i terzi esterni all’impresa e si seguono i
movimenti finanziari dell’impresa. E’ una contabilità che
osserva l’impresa nel suo insieme ed è costituita da una
raccolta di dati economici e quantitativi con la prima
finalità di redigere il bilancio civilistico, secondo le
disposizioni di legge. In altre parole è un serbatoio di
raccolta dati che comprende tutte le informazioni che
nascono dagli scambi che l’impresa effettua con i terzi, sia
in termini di acquisizioni di beni (costi) che di cessioni di
beni o servizi (ricavi).
La contabilità generale utilizza i costi suddivisi per natura,
32
cioè materie prime, materiali ausiliari e di consumo,
stipendi, energia elettrica, ammortamenti ecc., quindi tiene
meticolosamente conto degli scambi dell’azienda nel suo
complesso, prescindendo dalla destinazione degli stessi
all’interno della medesima.
Il fine ultimo della contabilità generale è redigere il
bilancio di esercizio, per cui dai suoi dati sarà possibile
ricavare la situazione finanziaria, attraverso gli indici di
bilancio e i flussi finanziari, l’andamento gestionale
dell’insieme dell’impresa, ma poche utili informazioni alle
scelte direzionali, alla valutazione delle singole unità di
business, finalizzate al conseguimento o meno degli
obiettivi da raggiungere.
Queste informazioni sono, per contro, l’oggetto principale
della contabilità analitica, il suo compito è teso a
determinare le diverse responsabilità gestionali all’interno
dell’azienda, distinguendo reparti e prodotti.
Naturalmente, ci deve essere una stretta correlazione tra i
dati della contabilità generale e quelli della contabilità
analitica, anche se per questi ultimi non è richiesta la
meticolosa precisione dei primi, in quanto ai fini del
controllo di gestione viene privilegiata, inevitabilmente la
rapidità dell’informazione, in modo da consentire un rapido
intervento e da effettuare rapide revisioni di budget,
richieste o imposte dal mercato.
33
Quindi si può affermare che mentre la contabilità generale
è rivolta all’esterno, rileva dati precisi e storici e si riferisce
sostanzialmente al passato, la contabilità analitica è rivolta
all’interno in termini revisionali, e di conseguenza non
precisi, si riferisce al futuro, è protagonista nella stesura del
budget, e ne verifica periodicamente gli scostamenti,
fornendo in tal modo informazioni utili al controllo di
gestione aziendale e alla presa di decisioni. Inoltre, serve a
fornire elementi per la determinazione dei prezzi, per
effettuare scelte di convenienza economica e a controllare
l’efficienza delle singole unità operative (centri di costo),
dei singoli prodotti/servizi o delle commesse.
Risulta importante precisare che gli elementi necessari alla
contabilità analitica sono ricavati dai dati della contabilità
generale, quindi occorre nella redazione del piano dei conti
della contabilità analitica costituire un raccordo tra i dati
della contabilità generale e quelli della contabilità analitica.
A seconda delle specificità aziendali, del mercato in cui si
opera, del/dei prodotti/servizi che offre, nascono necessità
di controllo diverse, per cui si può avere una contabilità
analitica per prodotto, o per commessa, riscontrandosi
frequentemente anche necessità di situazioni ibride o di
necessità di controllo diverse all’interno della stessa
azienda, in relazione alle diverse unità di affari.
Nella progettazione di un sistema di controllo di gestione
34
occorre, quindi, anzitutto, interrogarsi sull’oggetto di
analisi a cui riferire i costi ai fini di una loro analisi,
considerando il modello di business aziendale nella sua
complessità e nelle sue evoluzioni.
La contabilità analitica per prodotto o linea di prodotto
/servizio risulta il caso più classico ed è volta a valutare
l’efficienza reddituale dei singoli prodotti o linee di
prodotto di un’azienda. Si tratta di attribuire ai vari prodotti
i costi relativi, mentre il budget aziendale e il conto
economico generale risultano dalla sommatoria dei vari
budget e conti economici dei vari prodotti. E’ utilizzata
nelle aziende che offrono prodotti standard ad uno o più
clienti. La contabilità analitica per commessa è utilizzata in
tutti quei casi in cui l’azienda produce su commessa. In
questo caso, si pensi ad esempio ad aziende di costruzione
edilizia, di impiantistica, di progettazione, il vero prodotto
dell’azienda è la commessa, con la difficoltà rappresentata
dal fatto che ogni commessa può essere completata in un
tempo superiore all’anno.
E’ necessario in questo caso che per ogni commessa sia
redatto un programma dei lavori e dei ricavi per tutta la
durata della commessa.
Le commesse possono essere classificate come:
•
Commesse esterne
o Di lunga durata e grandi importi
35
o Di breve durata
o Ripetitive, con elementi di standardizzazione
•
Commesse interne
o D’investimento, contengono tutti i costi legati alla
ricerca
e
sviluppo
ed
alle
manutenzioni
straordinarie incrementative
o Di costo, contengono tutte le attività di perdita
aziendale (fermi produttivi, inefficienza della
struttura,
manutenzioni
ordinarie,
vigilanza,
addestramento, ecc.)
o D’offerta (New Business), tutti i costi tipici della
struttura commerciale per acquisire i lavori, nel
caso in cui si riesca ad attribuirli in modo diretto
alle commesse esterne.
Emerge da questa classificazione la possibilità nel concreto
di contabilità analitiche ibride che presentano elementi sia
di quella per prodotto che per commessa, ad esempio nel
caso di azienda che produce su commesse ripetitive di
breve durata, in tal senso, la struttura della contabilità
analitica coincide con una contabilità per prodotto.
1.2 Costi diretti e costi indiretti
Il problema di fondo del calcolo dei costi di prodotto o
commessa risiede nel dover collegare all’unità di prodotto i
costi rilevati e aggregati per natura dai tradizionali sistemi
36
contabili. La necessità di impostare il calcolo su base
unitaria costituisce l’aspetto critico dell’intero processo di
misurazione.
In verità, alcune categorie di costi possono essere misurate
con riferimento all’unità di prodotto e ad essa imputate
attraverso la semplice combinazione di quantità fisiche e
prezzi-costo unitari. E’ il caso ad esempio dei materiali
diretti, i componenti, il lavoro diretto; si richiede in questi
casi la valorizzazione di quantità fisiche per prezzi. Trattasi
di una misurazione oggettiva, in quanto osservabile e
misurabile è la relazione che lega il consumo del fattore
produttivo all’unità di prodotto e che trova i propri aspetti
di criticità nella definizione dei due termini del calcolo:
quali quantità di fattore produttivo considerare, come tener
conto degli scarti fisiologici accettati ed accettabili dal
sistema operativo in essere e quali prezzi- costo prendere in
considerazione per operare la valorizzazione.
Le criticità relative alla imputazione dei costi diretti non
vanno ricercate nelle metodologie di misurazione, ma
nell’adeguatezza
dei
sistemi
operativi:
la
corretta
quantificazione dei consumi di materie o di lavoro diretto
per unità di prodotto non attiene alla sfera amministrativa
ma piuttosto alla corretta formulazione delle distinte base o
dei cicli di lavorazione.
Altre categorie di costi, che in un numero crescente di
37
imprese costituiscono una porzione rilevante dei costi di
produzione, non sono invece direttamente riferibili all’unità
di prodotto. Manca in questo caso una relazione diretta,
misurabile, tra i processi di impiego di tali fattori e il
prodotto.
La determinazione della quota di costo indiretto da
attribuire al prodotto o commessa rappresenta invece l’area
sulla quale tendono a differenziarsi, dal punto di vista
metodologico, i sistemi del calcolo dei costi.
Le metodologie di costing più comuni sono:
•
Direct costing
•
Direct costing evoluto
•
Full costing
•
Centri di costo
•
Activity Based Costing
Ciascuna metodologia presenta specificità in merito alle
diverse finalità conoscitive:
METODOLOGIE
FINALITA’
Direct costing
Produttività
Full costing
Direct costing evoluto,
Activity based costing
Efficienza, redditività,
formazione dei prezzi
Controllo strategico
38
2. Il Direct Costing
Il direct costing muove dalla distinzione tra costi fissi e
costi
variabili.
Osservando
il
comportamento
delle
differenti classi di costo al variare del livello di attività
aziendale è possibile classificare i costi in:
•
Costi variabili
•
Costi fissi
I primi sono costi che variano, nel loro ammontare
complessivo, in misura strettamente proporzionale al
variare del volume di attività, i secondi sono costi che non
variano, o che variano nel loro ammontare complessivo, in
misura non proporzionale al variare del volume di attività.
I costi variabili, che sono sempre diretti, si distinguono in:
•
Costi variabili commerciali
o Provvigioni
o Trasporti su vendite
•
Costi variabili industriali
o Materiali
o Trasporti su acquisti
o Lavorazioni esterne
o Alcune manutenzioni a carattere generale connesse
con il funzionamento di specifici impianti
o Alcuni materiali di consumo impiegati in rapporto
al funzionamento di specifici impianti
o Altri costi di natura variabile a carattere generale
39
(forza motrice, ecc.)
Dai costi fissi discende il problema della loro copertura e
quindi il problema della sottoutilizzazione della capacità
produttiva.
Tale
problema
trova
soluzione
in
un
determinato valore di produttività, ossia il volume di
attività in grado di impiegare convenientemente tali risorse
rigide.
Questa considerazione implica che:
SUCCESSO = CRESCITA DI VOLUME
tuttavia non si tiene conto di fattori come: varietà,
innovazione, diversificazione, organizzazione In questo
tipo di analisi un dato rilevante, in ordine alla problematica
in parola, è il margine lordo di contribuzione.
COMPORTAMENTO DEI COSTI FISSI RISPETTO AI VOLUMI
Valori
Costi Fissi
Volumi
V max
40
Il margine lordo di contribuzione non è altro che la
differenza tra ricavi e costi variabili industriali e
commerciali.
COMPORTAMENTO DEL MARGINE DI CONTRIBUZIONE
Valori
Ricavi
Margine lordo
di
contribuzione
Costi variabili
Volumi
V max
Il Margine lordo di contribuzione, sensibile alla crescita dei
volumi, permette di individuare i quantitativi prodotti
capaci di fronteggiare i costi fissi, e di superarne il livello
per realizzare un risultato netto positivo.
2.1 Analisi del Punto di Pareggio o Break Even Point
Analysis (BEP)
L’analisi del punto di pareggio è basata sul concetto di
copertura dei costi fissi, e cioè data una struttura di costi
fissi, più basso è questo livello, minore sarà il livello di
ricavi necessario per raggiungere il punto di pareggio, cioè
il punto in cui i costi totali eguagliano i ricavi. Viceversa
41
più alto è il livello dei costi fissi, più alto è il livello del
punto di pareggio.
COMPOSIZIONE DEL MARGINE DI CONTRIBUZIONE
PROFITTO
COSTI
FISSI
<
RICAVI
MARGINE
DI
CONTRIBUZIONE
=
COSTI
VARIABILI
VOLUMI
Il punto di pareggio non è altro che quel volume di
produzione al livello del quale non si ha ne’ profitto ne’
perdita. La formula per determinare il punto di pareggio è
Qp = CF / Mc%
Mc%= 1 - CV / P
dove Qp è la Quantità di pareggio
CF sono i Costi Fissi
Mc% è il margine di contribuzione percentuale
CV sono i costi variabili
P il prezzo di vendita.
42
BREAK EVEN POINT ANALYSIS DI UN’AZIENDA
“ELASTICA”
Valori
Ricavi
Costi totali
P
Costi variabili
Costi fissi
Volumi
Q pareggio Q attuale
V max
BREAK EVEN POINT ANALYSIS DI UN’AZIENDA “RIGIDA”
Ricavi
Valori
Costi totali
P
Costi fissi
Costi variabili
Volumi
Q pareggio Q attuale
V max
Collegato al concetto di punto di pareggio è quello di
Margine di Sicurezza (M.D.S.), che non è altro che la
differenza tra le vendite totali e la cifra delle vendite che
risulta in corrispondenza del B.E.P.
L’entità del margine di sicurezza è un dato utile per
43
valutare la forza di un’azienda. Se è elevata significa che si
può verificare un calo sostanziale nelle vendite senza
pregiudicare il conseguimento di un certo profitto, se il
margine, invece, è piccolo ogni calo delle vendite può
avere serie conseguenze. La formula del margine di
sicurezza è:
MDS = R – BEP % / R
dove R sono i ricavi
Capacità
satura
Vuoto di
capacità
I limiti dell’analisi del Punto di Pareggio sono:
•
i costi fissi rispetto ai volumi sono tali solo nel breve
periodo;
•
i costi fissi in realtà sono soggetti a variabilità rispetto
ai soli volumi nel medio-lungo periodo e comunque
dipendono da diverse cause;
•
linearità delle dinamiche dei costi variabili;
•
stazionarietà della struttura esistente.
44
2.2 La Leva Operativa
E’ un concetto utile per comprendere i vantaggi/svantaggi
di chi persegue strategie di crescita sulla base di strutture
aziendali rigide, cioè con alti costi fissi.
L’aumento dei volumi prodotti produce un aumento dei
margini lordi di contribuzione cui corrispondono aumenti
più che proporzionali dei risultati operativi.
EFFETTO LEVA OPERATIVA IN IPOTESI DI CRESCITA DI
VOLUME
2002
Volumi
2003
2004
2005
1.000
1.200
1.600
1.900
100.000
120.000
160.000
190.000
(40.000)
(48.000)
(64.000)
(76.000)
60.000
72.000
96.000
114.000
C.F.
(60.000)
(60.000)
(60.000)
(60.000)
R.O.
0
12.000
36.000
54.000
R.O./M.C.
0,0%
16,6%
37,5%
47,4%
C.F./M.C.
100%
83,4%
62,5%
52,6%
Ricavi
(p = 100)
C.V.
(cv = 40)
M.L.C.
L’indice
di
leva
operativa
R.O./M.C.
esprime
i
45
vantaggi/svantaggi relativi alla crescita in presenza di costi
fissi.
ANALISI DEL PORTAFOGLIO PRODOTTI SECONDO IL
DIRECT COSTING
Prod.A
Prod. B
Prod. C
Totale
Ricavi
10.000
60.000
30.000
100.000
C.V.
(2.000)
(30.000)
(18.000)
(50.000)
M.L.C.
8.000
30.000
12.000
50.000
C.F.
(25.000)
R.N.
M.L.C./
Ricavi
8.000
30.000
12.000
25.000
80%
50%
40%
50%
Questo accade perché i costi fissi riducono la loro
incidenza all’aumentare dei volumi produttivi, in quanto
agisce il seguente vincolo di complementarietà:
(R.O./M.C.) + (C.F./M.C.) = 1
se l’indice di leva operativa cresce, decresce il rapporto
costi fissi / margine di contribuzione. E’ un’analisi utile per
la
valutazione
del
mix
produttivo,
in
ordine
all’evidenziazione, all’interno del portafoglio prodotti, dei
46
migliori/peggiori risultati di prodotto.
A questo proposito si parla di contributo, cioè la differenza
fra prezzo di vendita e costo variabile unitario, che
rappresenta appunto il contributo dell’unità di prodotto
venduto alla copertura dei costi fissi. Se non si produce
nulla, la perdita sarà rappresentata dai costi fissi totali,
mentre il costo variabile unitario rimane lo stesso per
diversi livelli produttivi.
In tal senso il Margine di Contribuzione, per ciascun
prodotto o linea di prodotto, evidenzia la capacità di
contribuire alla copertura dei costi fissi (aziendali di
periodo).
3. Il Direct Costing Evoluto
Il direct costing evoluto, parte dalla considerazione che la
variabilità dei costi fissi nel lungo periodo è causata da
molteplici fattori:
•
introduzione / eliminazione di un nuovo prodotto;
•
attivazione / cessazione di un’attività;
•
ampiezza di gamma offerta;
•
altro.
Di conseguenza una configurazione più idonea del costo
primo variabile (direct costing tradizionale) a
rappresentare il fenomeno in parola è il costo variabile di
lungo periodo, (direct costing evoluto):
47
Costi variabili
di breve periodo
Costo variabile
di lungo periodo
=
+
Costi fissi
specifici
Il direct costing evoluto parte dalla considerazione che
soffermarsi ad analizzare solo i costi variabili è limitativo;
soprattutto nelle odierne condizioni di mercato, dove si
assiste ad una sempre maggiore preponderanza dei costi
fissi. Questa metodologia distingue all’interno della macroclasse dei costi fissi tra:
•
Costi fissi indiretti, come il personale logistico e
tecnico, servizi generali, manutenzioni generiche,
ammortamento di immobili e attrezzature generiche,
ecc.
•
Costi fissi speciali o, anche, specifici o diretti di
prodotto, tipicamente la manodopera diretta e gli
ammortamenti dei macchinari.
I costi fissi specifici possono poi essere attribuiti all’unità
di prodotto ad esempio ore dirette di manodopera o oremacchina oppure al volume totale di prodotto o commessa,
ad esempio attrezzaggi, stampi specifici.
Quindi vengono caricati sul prodotto oltre che i costi
48
variabili, anche i costi fissi diretti attraverso il costo orario
e cioè la sommatoria di manodopera diretta, ammortamenti
industriali,
costi
energetici,
materiale
di
consumo,
utensileria e manutenzioni programmate diviso il numero di
ore pagate standard. Il costo orario va poi moltiplicato per
il tempo impiegato per unità di prodotto o per il tempo da
distinta cicli (a seconda che ci si ritrovi in fase di
consuntivazione o di budgeting).
Uno schema di reporting ispirato al costo variabile di lungo
periodo mostra, oltre al margine lordo di contribuzione o I°
margine (direct costing tradizionale), anche il margine
semilordo di contribuzione o II° margine (direct costing
evoluto), cioè il risultato economico analitico di una
produzione (sorgente o cessante a seconda che si
introduca/elimini la produzione).
In tal senso:
Direct
costing
Ipotesi
stazionarie
di gestione
Azienda
statica
Direct
costing
evoluto
Ipotesi
dinamiche
di gestione
Azienda
con
gestione
strategica
attiva
I costi fissi non attribuibili alle produzioni possono essere
49
distinti in due categorie: i costi fissi “discrezionali” e i costi
fissi di struttura.
Prod.A
Prod. B
Prod. C
Totale
Ricavi
10.000
60.000
30.000
100.000
C.V.
(2.000)
(30.000)
(18.000)
(50.000)
M.L.C.
8.000
30.000
12.000
50.000
(4.000)
(7.000)
(1.500)
(12.500)
4.000
27.000
10.500
37.500
C.F.
specifici
M.N.C.
C.F.
(7.500)
discrez.
C.F.
(7.500)
di struttura
Risultato
25.000
Netto
M.L.C./
Ricavi
80%
50%
40%
50%
Per l’analisi del B.E.P. si può utilizzare il II° margine di
contribuzione se:
•
molti ammortamenti sono a zero
50
•
si può giostrare con il costo della manodopera diretta
(straordinari, lavoro interinale, ecc.)
quindi si può considerare questi costi, variabili, almeno nel
breve periodo.
Il Direct Costing evoluto, come già detto, supera le vecchie
ipotesi di fissità dei costi, affermando che:
•
i costi sono tutti prevalentemente variabili
•
non esiste solo la variabilità legata ai volumi
•
agiscono anche cause di variabilità legate alle strategie
di:
La
o
diversificazione (varietà)
o
di crescita per integrazione (complessità)
o
di internazionalizzazione (globalizzazione)
globalizzazione
ha
comportato
un
più
deciso
orientamento al cliente, non solo per le imprese di servizi,
ma anche per quelle manifatturiere, divenendo, quindi,
strategico passare da una contabilità per prodotti a una
contabilità per clienti o, comunque, affiancare alla
tradizionale costificazione di prodotto un’analisi per
cliente.
Secondo logiche di just in time, con bassi livelli di
magazzino, versatilità produttiva e personalizzazione del
prodotto, non occorre più controllare l’efficienza standard
della produzione, né monitorare il work in progress
(WIP). L’impresa, in effetti, si organizza per processi, volti
51
alla creazione di valore per il cliente, occorrendo analizzare
congiuntamente:
COSTO DEL
PROCESSO DI
SODDISFAZIONE
DEL CLIENTE
COSTO DEL
PROCESSO
INTERNO
(CUSTOMER
ORIENTED)
=
+
COSTO
SOSTENUTO
DAL CLIENTE
(FUNZIONE
CLIENTE)
CONTROLLO
a. i costi del processo customer oriented;
b. i costi sostenuti dal cliente (logistici, di adattamento, di
trasformazione).
CLIENTE n
CLIENTE C
CLIENTE B
MARGINE
PER
CLIENTE
RICAVI DA
CLIENTE
A
COSTI DI
PROCESSO
(CUSTOMER
ORIENTED)
A
52
Le fonti di profittabilità non sono più i prodotti, ma la
fidelizzazione
dei
clienti,
da
monitorare
mediante
un’analisi dei margini di redditività per cliente.
4. Il Full Costing
Finalizzata al controllo dell’efficienza, questa metodologia
si interessa alla correlazione tra fattori produttivi e
produzioni.
Sulla base di tale correlazione si vanno a individuare:
•
costi speciali (nel caso l’impresa rilevi i consumi di
materie con idonei indicatori fisico-tecnici)
•
costi comuni
I costi speciali vengono attribuiti in maniera diretta alle
produzioni (relazione causale) tramite misurazioni fisicotecniche (materiali di consumo, ammortamenti), quindi
occorre un forte sostegno da parte delle misurazioni extra
contabili. L’algoritmo di base è :
costo speciale = Q x P.
I costi speciali possono essere formulati (normalizzati) in
termini di costi preventivo-standard, cioè vengono
precalcolati e inseriti su un supporto informatico che
alimenta la contabilità analitica. Essi sono rilevanti nelle
imprese che operano su commessa.
Le caratteristiche dei costi speciali normalizzati in termini
di costi standard:
53
•
costi “scientifici”;
•
costi preventivi;
•
costi obiettivo;
•
costi ipotetici;
•
costi parametrici.
CREAZIONE DELLA BASE DI DATI STANDARD
CICLI DI
LAVORAZIONE
STD
QUANTITA’
MATERIALI
STD
TARIFFE
ORARIE
STD
PREZZI
MATERIALI
STD
ARCHIVIO
COSTI
STANDARD
I costi comuni sono risorse aziendali non attribuibili alle
produzioni (spese generali, affitto impianti, immobili ad
uso generico) sono rilevanti nelle imprese che producono
beni su grande scala. La sommatoria dei costi speciali di
fabbricazione esprime il costo primo industriale. Tuttavia
se è rilevante il fenomeno della comunanza dei costi il
costo primo industriale risulta parziale ed occorre pervenire
ad una configurazione più completa, cioè il costo pieno
54
industriale.
Ai fini del calcolo del costo pieno industriale occorre,
preliminarmente,
classificare
commerciali
amministrativi,
o
i
costi
in
industriali,
successivamente
si
considerano i soli costi comuni industriali, una quota dei
quali viene aggiunta ai costi speciali industriali per
giungere alla definizione del costo in questione.
Costi speciale
industriale
Costo
pieno
industriale
=
+
Quota di costi
comuni industriali
CONTO ECONOMICO DI ANALISI REDDITUALE CON IL
FULL COSTING INDUSTRIALE
Prod.A Prod.B Prod.C
Ricavi
Totale
200
100
50
350
(75)
(80)
(10)
(140)
115
20
40
175
Costo Industriale
del venduto
Utile Industriale
Lordo
Costi comm.,
amm., gen.
Reddito Netto
(155)
20
55
CONTO ECONOMICO “A COSTI PREVENTIVO-STANDARD E
A COSTI DI BUDGET”
Prod.A
Prod.B
Prod.C
Totale
200
100
50
350
(50)
(70)
(20)
(140)
(10)
(20)
(5)
(35)
140
10
25
175
(20)
15
5
(5)
5
(5)
10
10
115
20
40
175
Ricavi
Costi speciali
STD.
Costi comuni
ind.li ripartiti
U.I.L. sui costi
STD e sui costi
comuni ind.li
Scostam. costi
STD
Scostam. costi
comuni
U.I.L. sui costi
effettivi
Costi
commerciali
(90)
Costi
(65)
amministrativi
Reddito Netto
L’attendibilità
20
di
tale
metodologia
dipende
dall’individuazione di basi di riparto idonee; solitamente si
preferiscono criteri dati da misurazioni fisico-tecniche:
•
ore macchina (per gli ammortamenti);
56
•
ore di manodopera (per il personale di coordinamento);
•
mq (per i canoni di locazione);
•
mc3 (per riscaldamento, illuminazione).
Il costo pieno industriale risulta utile per:
•
giudizi di efficienza industriale;
•
le valutazioni di bilancio (ex art. 2426 C.C.) di prodotti
finiti/semilavorati, commesse in corso di lavorazione,
produzioni interne in economia.
Un’applicazione di tale metodologia è l’analisi di
redditività multibusiness. Di seguito vengono evidenziati:
un conto economico di full costing industriale, un conto
economico di contabilità analitica “a costi preventivostandard e a costi di budget”.
Fortemente diffusa in Italia, anche a motivo della sua
applicabilità ai problemi di valutazione di bilancio, tale
metodologia non è estranea a limiti, essenzialmente dovuti:
a. alla scarsa attendibilità delle basi di riparto (spesso
poche e inappropriate) dei costi comuni;
b. alla limitazione dell’analisi alla determinazione di costi
pieni industriali, esaminando i soli costi comuni
industriali, trascurando i costi comuni commerciali e
amministrativi.
5. I Centri di Costo
I centri di costo sono oggetti intermedi di calcolo che
57
contribuiscono a rendere più attendibile il calcolo del costo
di prodotto. Non sempre è possibile individuare, in un certo
reparto di produzione, i costi differenziati per i diversi
prodotti, in tal caso, è opportuno mettere sotto controllo il
reparto (centro di costo) nel suo insieme in quanto dipende
dalla responsabilità di un solo responsabile che risponde di
tutto il centro di costo. Il centro di costo può essere anche
una funzione aziendale, un dipartimento, un centro di
responsabilità o di profitto, fermo restando che il criterio di
base è quello di determinare un’area di responsabilità. In tal
senso si possono distinguere:
•
centri produttivi
•
centri ausiliari
•
centri funzionali (di solito centri di spese generali).
Anche nel caso in cui sia possibile individuare i costi dei
singoli prodotti, può esserci la necessità di mettere sotto
controllo il reparto nel suo insieme, oltre che i singoli
prodotti, il cui controllo specifico può avere il solo
significato di individuare il prezzo di vendita più
opportuno.
Quindi il controllo di gestione per prodotto non esclude
quello per centro di costo per cui la ripartizione di costi
dalla contabilità generale nella contabilità analitica può
tenere conto delle due esigenze. Nel calcolo del costo pieno
di prodotto non esiste un modello unico, infatti nella prassi
58
aziendale
consolidata
si
individuano
alcune
fasi
fondamentali:
1. imputazione dei costi ai centri in cui sono stati
sostenuti;
2. ribaltamento dei costi dei centri ausiliari/funzionali sui
centri produttivi;
3. quantificazione della produzione dei centri e calcolo
dei coefficienti unitari di costo del centro;
4. imputazione finale ai prodotti di: materie prime e altri
costi diretti non “transitati” per i centri, costi indiretti
rispetto ai prodotti non “transitati” eventualmente.
Dall’esigenza di controllare/contenere una voce di spesa,
non
direttamente
tecnico-produttiva,
che
va
progressivamente crescendo, nelle attuali condizioni di
mercato e cioè le spese generali, si può pervenire a
soluzioni di responsabilizzazione formale, cioè alla
creazione di Centri di Responsabilità Economica (C.R.E.):
•
centri di costo;
•
centri di spesa;
•
centri di profitto;
•
centri di investimento.
I dirigenti sono investiti, in ogni C.R.E., da esigenze di
autocontrollo sui costi attribuiti ai “centri di costo” e “di
spesa” gravanti sulla loro sfera operativa. In questo modo,
le spese generali non sono più anonimi costi aziendali, ma
59
vengono attribuite a soggetti responsabilizzati dai C.R.E.,
tramite il principio della controllabilità. Si delineano così:
costi controllabili, che risultano diretti rispetto a un
C.R.E., costi non controllabili, che sono costi aziendali.
L’idea di fondo è di ingenerare atteggiamenti virtuosi nei
responsabili dei C.R.E., ancorando i miglioramenti, in
riferimento alle spese generali, a forme di incentivo.
6. Activity Based Costing (ABC)
Questa
metodologia
ha
come
obiettivo
quello
di
determinare costi di produzione di lungo periodo, cioè
configurazioni di costo il cui comportamento risulta
variabile per fenomeni osservabili in periodi non brevi;
diversi dalle variazioni di volume prodotto, che nel breve
condizionano il comportamento dei soli costi variabili.
I costi interessati da tale fenomeno sono:
•
costi comuni industriali;
•
costi comuni commerciali;
•
costi comuni amministrativi.
L’Activity
Based
Costing
si
pone,
quindi,
come
metodologia innovativa di controllo delle succitate spese
generali, che altro non sono che costi indiretti rispetto
all’oggetto di riferimento.
Le fasi dell’ A.B.C. sono così sintetizzabili:
•
analisi dei processi aziendali, per individuare le attività
60
componenti (industriali, generali, amministrative);
•
attribuzione dei costi (originariamente classificati per
natura) alle attività, nel caso essi abbiano relazioni
causali dirette;
•
utilizzo di cost drivers (criteri di ripartizione) per quei
costi comuni a più attività;
•
attribuzione dei costi delle attività alle produzioni
finali, nel caso in cui vi sia relazione causale;
•
utilizzo di idonei activity drivers, nel caso in cui le
attività siano inerenti a più produzioni (processi) finali.
I cost drivers di risorse sono i criteri causali di
assorbimento delle risorse comuni (quindi dei costi
comuni) da parte delle attività, come numero ordini, viaggi,
clienti, locali, ecc. Secondo questa metodologia, introdurre,
eliminare, semplificare o modificare tecnicamente dei
prodotti comporta l’insorgere o il venir meno di attività.
L’ABC è una procedura di calcolo dei costi di produzione
migliorativa del Full Costing, nell’ottica di vedere le
produzioni come le cause che generano attività.
I cost drivers di attività sono i fattori causali delle attività
richieste dalle produzioni, ad esempio: numero di
componenti del prodotto, ampiezza del mercato servito,
numero di clienti, numero di set-up.
L’ABC
sollecita
decisioni
di
cambiamento,
quindi
strategiche come:
61
•
introduzione / eliminazione di prodotti
•
integrazione / decentramento produttivo
•
make or buy
•
razionalizzazione delle attività.
Prod.A
Prod.B
Prod.C
Totale
Ricavi
30.000
40.000
30.000
100.000
Costi spec.
(7.000)
(13.000)
(6.000)
(26.000)
industriali
Costi attività (attribuibili con cost drivers)
Attività
(400)
(1.000)
(300)
(1.700)
(600)
(2.000)
(500)
(3.100)
(1.200)
(4.000)
(2.500)
(7.700)
20.800
20.000
20.700
61.500
1
Attività
2
Attività
3
M.P.
Costi di
struttura
(11.500)
Risultato
Netto
50.000
Si tratta di una metodologia, sicuramente avvincente e che
ha contribuito a rendere evidente, soprattutto nelle imprese
62
erogatrici di servizi, come sia l’intensità del ricorso alle
attività e non il volume di produzione variamente espresso,
a consumare risorse e, di conseguenza, a determinare
l’ammontare dei costi indiretti. Tuttavia, si tratta di un
processo di difficile realizzazione nella pratica, per ragioni
pratiche che impongono di impostare la rilevazione
analitica dei costi facendo riferimento a unità coerenti con
la struttura organizzativa (i centri di costo) e per ragioni
inerenti ai processi di responsabilizzazione e di controllo
per loro natura, collegati alla struttura organizzativa.
Quindi nella pratica si assiste ad un contemperamento delle
due esigenze con attribuzione dei costi aggregati per natura
ai centri di costo e rispetto a questa dimensione si
governano i processi di responsabilizzazione, di controllo
direzionale, si articola il sistema di budgeting e di
consuntivazione.
Successivamente
ai
fini
della
determinazione dei costi di prodotto, questi vengono
aggregati per attività
7. Il Budget Commerciale
L’elaborazione del sottosistema dei budget operativi prende
avvio dall’area commerciale, nell’ambito della quale il
processo di budgeting deve considerare due aspetti:
•
da
un
lato,
occorre
definire
l’ammontare
dei
componenti positivi che concorrono alla formulazione
63
del reddito operativo di gestione caratteristica;
•
dall’altro, è necessario determinare l’entità e la natura
dei componenti negativi di reddito connessi alla
gestione della domanda e dei mercati in cui l’azienda
opera.
Si tratta di due dimensioni in relazione di mutua influenza
fra di loro, e cioè gli obiettivi di vendita assumono valenza
realistica
considerando
congiuntamente
le
modalità
operative impiegate per influenzare la dinamica futura di
tali variabili.
Il
processo
di
formulazione
del
budget
nell’area
commerciale si sviluppa in due momenti, connessi
all’elaborazione del:
1. Budget delle vendite,
2. Budget dei costi commerciali, articolato in Budget dei
costi variabili commerciali, Budget dei costi di
marketing e Budget dei costi di innovazione dei
prodotti.
Nel processo di budgeting commerciale, le domande chiave
a cui rispondere con il budget della funzione commerciale
sono
-
cosa vendo
-
a chi vendo
-
dove vendo
-
come vendo
64
Si parte con l’individuazione delle aree di affari e la
costruzione della matrice Aree d’affari/Combinazioni
prodotto/mercato,
interrogandosi
sulle
diverse
combinazioni prodotto/mercato in termini di somiglianzediversità su: struttura dell’offerta, caratteristiche della
domanda, dinamicità concorrenziale, struttura dei costi,
composizione flussi di cassa, ecc.
Successivamente, si individua per ogni area/combinazione
anche il flusso di ordini, la capacità produttiva disponibile e
utilizzata, i margini di contribuzione, i fabbisogni di
circolante, eventuali criticità, quote di mercato.
In sostanza si tratta di identificare le informazioni e di
definire una serie di azioni, con relative leve operative, per
giungere alla determinazione dei volumi di vendita a
quantità e valore per ogni segmento di mercato
significativo e successivamente per ogni divisione, linea di
prodotto e per le altre dimensioni significative. Alcune leve
operative,
che
diventano
obiettivi
conoscitivi
da
determinare in sede di Budget Vendite sono:
•
Variazione media annua dei prezzi netti applicati alla
clientela
•
Variazione della gamma di prodotti
•
Variazione delle condizioni di pagamento di trasporto
•
Aggiunta di servizi significativi per i clienti
•
Introduzione di azioni di comunicazione e di
65
marketing complesse e progetti di sviluppo specifici, al
fine di contattare nuovi clienti in mercati già conosciuti
e/o in nuovi mercati
A questo punto, per ogni segmento di mercato, deve essere
fatta un’analisi con metodo ABC sulla base dei volumi di
fatturato dei clienti. Se da questa analisi deriva che una
parte di fatturato significativa di un segmento di mercato è
realizzata attraverso pochi clienti (Clienti di Classe A),
allora occorre un’analisi preliminare su ogni singolo cliente
attivo, sui clienti nuovi da acquisire e sui clienti attivi che
si pensa di perdere. Per ogni singolo cliente di classe A
vanno individuate le ragioni di eventuali variazioni di
fatturato, cercando di stimare il valore forfetario della
variazione di fatturato. Inoltre, si dovranno ipotizzare
eventuali
azioni operative
per
poter
modificare
o
controllare effetti negativi per l’azienda che sono stati
evidenziati con l’analisi in questione. Infine, viene preso in
analisi l’intero segmento di mercato ponendosi un obiettivo
sintetico di ricavi. Se l’analisi dei singoli clienti e
l’obiettivo complessivo divergono, occorrerà integrare il
programma con altre azioni operative possibili, in caso
contrario
occorrerà
prendere
atto
che
l’obiettivo
complessivo non è giustificabile e quindi si identifica un
obiettivo coerente.
Nel caso in cui il fatturato sia realizzato attraverso molti
66
piccoli clienti (di classe B e/o C), allora non è possibile fare
valutazioni specifiche per ogni singolo cliente attivo, ma si
ragiona sull’intero segmento ponendosi un obiettivo
sintetico di fatturato. Successivamente vengono individuate
le ragioni di eventuali variazioni di fatturato rispetto allo
storico e anche in questo piano si individuano azioni
operative da attuare per inserirle nel piano annuale.
Si tratta di valutazioni basate su una serie di dati statistici e
qualitativi relativi all’anno precedente, di cui i principali
sono:
•
Statistiche storiche delle vendite per cliente / articolo
•
Indicazioni sulla politica dei prezzi netti storica e
prospettica.
•
Indicazioni storiche e prospettiche sui clienti nuovi e
persi di ogni segmento
•
Valutazioni in merito alle condizioni di pagamento
•
Valutazioni generali in merito ai canali di vendita per
determinare azioni di sostegno agli stessi.
La quantificazione dei programmi di vendita deve
accompagnarsi alla determinazione dei costi commerciali
che oltre ad essere determinati nel loro ammontare
complessivo, vengono attribuiti ai diversi segmenti di
mercato in cui opera l’azienda.
Si tratta di definire le risorse destinate a supportare la
domanda, e quindi il livello di costo idoneo a consentire il
67
Uno schema contabile di Budget
commerciale.
GROSSISTI
P1
P2
DETTAGLIO
Tot
P1
P2
Tot
Italia
VENDITE
bdgt costi di
vendita
Estero
CENTRI DI COSTO
Italia
DISTRIBUZIONE
bdgt costi
var. comm.li
Estero
Italia
PROMOZIONE
bdgt costi
marketing
Estero
GEST .E SVILUPPO PROD.
bdgt costi
svil. prodotti
bdgt costi comm.li canale
Budget costi comm.li di prodotto
68
raggiungimento
degli
obiettivi
posti
alla
funzione
commerciale.
8. Il Budget di Produzione
Nel Budget di Produzione vengono affrontate le logiche
decisionali che presiedono al governo di un’area funzionale
di primaria importanza per l’entità delle risorse in essa
gestite. A differenza che nel caso precedente, all’interno
della funzione produzione l’enfasi viene posta interamente
sui criteri d’impiego delle risorse e quindi sui costi, relativi
allo svolgimento dei processi di trasformazione tecnica
attuati in seno all’azienda.
Il processo si articola in.
1. Budget dei costi diretti che si sviluppa in
•
Budget
dei
consumi
di
materie
prime
e
componenti, articolato per prodotto e/o per
tipologia di materia
•
Budget dei costi di manodopera diretta, articolato
per prodotto e/o per unità organizzativa
2. Budget
dei
costi
indiretti,
articolati
per
unità
organizzativa, che si compongono di
•
Budget dei costi energetici
•
Budget dei costi di manutenzione
•
Budget dei costi di supervisione
•
Budget dei costi di ammortamento
69
•
Budget dei costi dei servizi ausiliari (trasporti,
magazzino).
Poiché l’ammontare delle risorse necessarie per lo
svolgimento dei processi di trasformazione è in larga
misura dipendente dai volumi di produzione attuati, i quali
risultano dalla sommatoria dei volumi di produzione
relativi a ciascun prodotto che a loro volta risultano
determinati sia dai volumi di vendita programmati che dalle
variazioni
previste
delle
scorte,
ne
deriva
che
l’elaborazione del budget di produzione si sviluppa in tre
momenti successivi:
1. definizione della politica delle scorte,
2. determinazione dei programmi di produzione
3. elaborazione del budget dei costi di produzione.
La definizione della politica delle scorte contempera le
esigenze delle varie funzioni aziendali, spesso in conflitto
tra di loro, e rappresenta l’elemento connettivo attraverso
cui viene ottenuta l’integrazione tra l’area commerciale e
produttiva cui presiedono logiche profondamente diverse.
Nel primo caso si tende a piegare le esigenze di
dimensionamento delle scorte cercando di assicurare il
miglior servizio possibile al cliente, nel secondo caso si ha
come priorità la necessità di perseguire il migliore
sfruttamento delle risorse tecnologiche affidate. A questi
motivi di contrasto si affianca l’esigenza più generale di
70
comprimere l’investimento in scorte al fine di mitizzare
l’investimento in capitale circolante. Inoltre possono poi
sussistere fattori di carattere strutturale tali da influenzare
le decisioni in merito di scorte, come la capacità di
immagazzinaggio, la situazione finanziaria di breve, la
durata del ciclo produttivo, ecc.
Il programma di produzione consente di indagare in merito
al grado di impiego della capacità produttiva e alla
fattibilità tecnica dei programmi scelti e quindi costituisce
lo strumento fondamentale per la elaborazione del budget
degli investimenti volti ad adeguare la struttura ai livelli di
attività
futuri.
Inoltre,
il
programma
attraverso
la
scomposizione temporale, rispetto a periodi infrannuali,
definisce
le
linee
programmazione
guida
operativa
che
orienteranno
all’interno
del
la
sistema
produttivo, cercando il corretto equilibrio tra i livelli di
vendita, livelli di giacenza e grado di impiego delle
strutture produttive.
Successivamente, con il budget dei costi di produzione, si
traducono in termini monetari i fabbisogni e gli impieghi di
risorse necessari a consentire l’attuazione del programma di
produzione. In questo modo viene dato contenuto
economico alle condizioni operative di efficienza e di
efficacia sottostanti il sistema di trasformazione.
L’elaborazione dei budget operativi della funzione
71
produzione impone la considerazione congiunta di due
dimensioni prevalenti:
1. i centri di costo, che orientano la formulazione dei
singoli documenti di budget rispetto ai reparti o ad altre
unità operative.
2. i fattori produttivi, rispetto ai quali vengono sviluppati
documenti di budget articolati per tipologia di costo.
L’individuazione dei centri di costo risponde all’esigenza
primaria di orientare la rilevazione dei costi rispetto ad
unità organizzative caratterizzate da specificità operative di
impiego
delle
risorse,
si
circoscrivono
cioè
le
problematiche in ambiti definiti caratterizzati da processi
gestionali omogenei. Si possono distinguere tra:
•
centri di costo di produzione, cioè i reparti in cui
avvengono i processi di trasformazione e in cui si
rilevano relazioni dirette tra il grado di impiego e di
assorbimento della capacità produttiva e i livelli di
attività
centri di costo ausiliari, cioè quelle unità
organizzative di supporto ai processi di trasformazione
fisica nelle quali si rilevano relazioni solo indirette tra
il grado di impiego della capacità disponibile e i livelli
di attività espressi dall’azienda.
L’altra dimensione rilevante è rappresentata dai fattori
produttivi tra i quali è possibile distinguere:
72
Uno schema contabile di
Budget di Produzione
PIANO DEI CONTI
M.O.
diretta
Materie Prime
Cod.1
Cod.2
M.O.
indir.
Amm.ti
Imp.
Macch
Energie
FM gas
CENTRI DI COSTO
Di produz.
Rep.1
Bdgt rep.1
principali
Rep.2
Bdgt rep.2
Ausiliari
Magazzino
Bdgt mag.
alla
Centrale
Bdgt
produz.
elettrica
cent.elettr.
Manutenzione
Bdgt man.
Di servizi
Bdgt
Supervisione
superv.
bdgt
Bdgt materie
Bdgt
M.O.D.
prime
M.O.
Bdget amm.ti
Bdget
energie
ind.
Budget dei costi variabili
Budget dei costi indiretti variabili e fissi
73
•
risorse dirette, cioè quantificabili rispetto al prodotto
con procedimento diretto
•
risorse indirette, legate al sistema produttivo, ma
riferibili solo indirettamente all’unità di prodotto.
Il costo relativo ai fabbisogni di risorse dirette (materie
prime e manodopera diretta) può determinarsi con
riferimento a ciascun prodotto attraverso la valorizzazione
di quantità fisiche a un prezzo-costo di acquisto. La
determinazione dei consumi globali di materie prime e
manodopera è il risultato di un processo di analisi attuato
mediante documenti come:
a. distinta base, cioè la composizione del prodotto o
servizio a livello di materie prime e componenti;
b. cicli di lavorazione, cioè la sequenza delle operazioni
per la produzione e il montaggio del prodotto o
l’erogazione del servizio
c. tempi di lavorazione, il tempo occorrente per svolgere
ciascuna operazione a ciclo.
Dall’analisi di questi tre documenti deriva il calcolo del
fabbisogno teorico unitario e del tempo teorico unitario,
successivamente ne deriva il calcolo del fabbisogno e del
tempo effettivo unitario tenuto conto degli scarti ed altre
inefficienze, da cui si determinano sia il fabbisogno che il
tempo complessivo. Nel valutare questi tre documenti
occorre considerare la disomogeneità delle produzioni, le
74
modifiche delle tecnologie, le variazioni nei prezzi-costi
dei fattori produttivi; questo è il motivo per cui si giunge ad
utilizzare i costi standard, ovvero un sistema di
standardizzazione dell’impiego delle risorse e della
manodopera diretta, facendo riferimento a date condizioni
operative di svolgimento del processo produttivo e dei
prezzi unitari degli stessi.
Il costo relativo ai fattori produttivi indiretti (energia,
ammortamenti, manodopera ausiliaria, ecc.) può, invece,
essere riferito in maniera diretta solo ai vari centri di costo,
mentre può essere riferito al prodotto solo in maniera
mediata.
9. Il Budget dei Servizi Generali
Per servizi generali si intendono le unità funzionali volte a
supportare
i
processi
di
trasformazione
economica
complessivi attuati in seno all’azienda. Si tratta delle unità
organizzative al cui interno confluiscono le attività che
presiedono al governo e all’amministrazione dell’intera
struttura aziendale e a cui corrispondono funzioni quali:
•
direzione generale
•
amministrazione e finanza
•
personale e organizzazione
•
centro elaborazione dati
La natura di queste attività rende critica l’elaborazione dei
75
relativi budget, non esistono modelli decisionali specifici
che possano orientare efficacemente la preventivazione dei
fabbisogni di risorse e quindi dei costi in oggetto, infatti si
tratta di un’area caratterizzata da un elevato grado di
discrezionalità,
le
cui
prestazioni
possono
convenientemente misurarsi unicamente in termini di
livello di servizio reso al resto della struttura. Sono proprio
le difficoltà insite nella quantificazione dei risultati dei vari
enti (livello di servizio) e l’impossibilità di porre in
relazione risorse impiegate, risultati conseguiti e volumi di
attività complessivi, che non permettono la rigorosa
determinazione di obiettivi di efficacia e di efficienza
rispetto ai quali orientare il processo di allocazione delle
risorse.
Quindi, l’obiettivo primario perseguito nell’elaborazione di
questi budget è quello di pervenire a un dimensionamento
delle unità organizzative coinvolte, coerente con il livello
di attività che l’azienda intende sviluppare.
Generalmente si assume quale base di riferimento
l’ammontare dei costi sostenuti nel corso del periodo
precedente per poi apportarvi le necessarie correzioni in
considerazione delle prevedibili lievitazioni di costo indotte
dall’inflazione e/o dovute all’introduzione di nuovi
programmi. Si tende cioè a definire un livello massimo di
spesa entro il quale il relativo responsabile deve operare.
76
Tuttavia questa “logica incrementale”, implicitamente,
assume che le attività svolte nel corso dei periodi
precedenti:
•
siano state necessarie
•
lo saranno anche per l’anno a venire
•
rimarranno
prioritarie
anche
rispetto
ai
nuovi
programmi previsti
•
siano svolte nel modo più efficiente possibile.
Queste assunzioni se da un lato contribuiscono alla
lievitazione incontrollata dei costi generali, dall’altro
risultano in larga parte svincolate da un’analisi costibenefici. Al fine di porre rimedio a queste lacune è
possibile ricorrere, come già detto precedentemente, alla
“logica a base zero” o “Zero Base Budgeting”, cioè un
processo
di
programmazione
che
richiede
a
ogni
responsabile di pervenire al proprio budget attraverso
un’analisi sistematica che, prescindendo dalle condizioni
verificatesi in passato, si focalizzi, invece, sulle modalità
attraverso cui ottimizzare l’impiego delle risorse di
struttura alla luce dei programmi di attività definiti a
budget.
In sostanza si tratta di :
•
descrivere le finalità e gli obiettivi di ciascuna unità
funzionale
•
individuare le prestazioni oggetto di misurazione
77
specifica e del relativo carico di lavoro
•
descrivere le modalità alternative con cui assolvere alle
diverse funzioni
•
esaminare ogni singola alternativa in termini di costibenefici
•
infine, elaborare un’analisi incrementale che parta da
zero, espressa in termini di costo e correlata a obiettivi
di risultato, in termini di servizio reso al resto della
struttura.
10. Il Budget degli Investimenti
Questo budget ha la funzione di programmare gli acquisti
esterni o la produzione interna di risorse ad utilità ripetuta
nel tempo, e la sua redazione è una diretta conseguenza
delle richieste provenienti da tutte le aree funzionali
aziendali, influenzando, ovviamente il conto economico.
Gli investimenti possono essere:
a. strategici, sono cioè gli investimenti di tipo innovativo,
necessari per lo sviluppo futuro
b. di espansione, in quanto provvedono all’aumento della
capacità produttiva
c. razionali, che migliorano l’efficienza
d. di sostituzione, perché evitano il degrado tecnologico.
78
11. Il Master Budget Economico
Il momento di sintesi dell’intero sottosistema dei budget
operativi è rappresentato dall’elaborazione del Budget di
Conto Economico e dalla connessa determinazione del
reddito operativo. E’ il momento in cui viene fatta una
prima verifica delle conseguenze economiche complessive
derivanti dallo sviluppo integrato di un insieme di politiche
gestionali. In termini generali, l’elaborazione del prospetto
di Conto Economico non pone particolari problemi di
ordine metodologico, esaurendosi nell’aggregazione dei
costi e ricavi di gestione caratteristica determinati nei
singoli budget funzionali.
Tuttavia, occorre rilevare come l’insieme dei componenti
negativi determinati nell’ambito dei budget operativi risulta
caratterizzato da una sostanziale disomogeneità. Infatti,
mentre nel budget commerciale i costi commerciali sono
parametrati all’ammontare delle vendite previste, nel
budget di produzione i costi diretti e indiretti hanno come
riferimento il volume di produzione globale determinato
sulla base del programma di produzione, che non
necessariamente coincide con il livello delle vendite.
Infine, l’ammontare dei costi afferenti i servizi generali
viene riferito al periodo di budget, senza correlazioni con i
livelli di produzione o di vendita.
Occorre, quindi operare la transizione dal costo della
79
Uno schema contabile di Master Budget Economico
Prod. A
50
Prod. B
25
Prod. C
25
Totale
100
- Costi variabili del venduto
10
5
5
20
Margine Lordo di contribuzione
40
20
20
80
- Costi fissi diretti di prodotto
10
10
5
25
Margine Semilordo di contribuzione
30
10
15
55
Fatturato netto
- Costi fissi indiretti
25
Reddito operativo gestione tipica
30
± Gestione finanziaria
5
± Gestione straordinaria
5
REDDITO ANTE IMPOSTE
20
- Imposte sul reddito
10
REDDITO NETTO AZIENDALE
10
80
produzione ottenuta al costo della produzione venduta
attraverso la valutazione delle rimanenze finali di prodotti
finiti, semilavorati e materie prime, posto che il valore delle
rimanenze
iniziali
dell’esercizio
si
può
precedente.
desumere
Nella
dal
bilancio
valorizzazione
delle
rimanenze occorre attribuire ai singoli prodotti finiti i costi
di diretta imputazione ed eventualmente una quota di costi
indiretti, a seconda della configurazione di costo per cui si
opta, considerando che la natura dei costi indiretti da
imputare e la metodologia scelta dovranno essere coerenti
con le modalità impiegate in sede di consuntivazione, al
fine di mantenere omogeneità di valutazione tra rimanenze
finali (determinate in sede di budget) e rimanenze iniziali
(determinate in sede di redazione di Bilancio d’Esercizio.
Per quanto riguarda, invece, i costi dei servizi generali
essendo costi di periodo e non di prodotto, contribuiscono
nella loro globalità alla formazione del reddito operativo.
12. Il Master Budget Finanziario
La formulazione del sottosistema dei budget operativi, che
recepisce unicamente gli aspetti economici della gestione
connessi alla dinamica dei costi e dei ricavi, non esaurisce
il processo di analisi e verifica proprio del sistema di
budget. E’, altresì, necessario esplicitare le conseguenze
indotte dalle scelte di gestione operativa, riferibili in modo
81
univoco o congiunto alle varie aree funzionali, sul
comporsi delle principali variabili finanziarie.
Il Budget Finanziario esprime, quindi:
•
la qualità dei mezzi finanziari individuati
•
il loro costo (oneri finanziari)
•
il tempo per renderli disponibili
e si compone del Budget di Tesoreria e del Budget di Stato
Patrimoniale.
12.1 Il Budget di Tesoreria
Con il Budget di Tesoreria o di Cassa si passa dalla
dimensione reddituale, sviluppata nei budget operativi
attraverso la determinazione dei costi e dei ricavi, alla
dimensione finanziaria della gestione, con riferimento alla
quale assumono preminenza le nozioni di entrata e uscita
monetaria. Quindi il budget in questione dipende per gli
incassi dal budget delle vendite e per i pagamenti dal
budget degli approvvigionamenti e da quello delle spese.
Il Budget di Cassa fornisce informazioni relative ai tempi e
alle entità delle entrate e delle uscite del periodo
considerato e si configura come uno strumento di controllo
della liquidità reale nei vari periodi dell’anno. In
particolare, consentendo la verifica preventiva della
fattibilità finanziaria dei programmi funzionali, costituisce
uno strumento di governo della gestione orientato al
conseguimento
di
condizioni
ottimali
di
equilibrio
82
finanziario
Si tratta di una metodologia di programmazione a breve
termine volta a:
•
prevenire temporanee eccedenze di cassa che altrimenti
resterebbero
inutilizzate
comportando
un
costo
opportunità
•
predisporre in tempo e a condizioni convenienti le
opportune coperture di temporanei deficit di cassa
•
bilanciare nel breve termine surplus e deficit di cassa,
sia attraverso la compensazione tra entrate e uscite
monetarie sia mediante la manovra concomitante delle
fonti di finanziamento a breve
Compito fondamentale del budget di tesoreria è, quindi, di
accertare in anticipo la disponibilità dei mezzi liquidi nel
tempo per fronteggiare le uscite, prevedere la disponibilità
delle entrate e delle uscite nei vari periodi dell’anno (saldi
mensili e progressivi) e segnalare la prevista disponibilità o
carenza delle risorse liquide in determinati periodi
dell’anno derivanti dalle attività programmate.
L’elaborazione del budget di cassa si concretizza nella
predisposizione, con riferimento a tutto il periodo di
budget, di due prospetti:
1. Il Prospetto delle entrate monetarie, in cui vengono
esplicitati l’ammontare e la cadenza temporale analitica
dei flussi monetari in entrata.
83
2. Il Prospetto delle uscite monetarie, in cui si
evidenziano l’entità e la cadenza temporale analitica
dei flussi monetari in uscita.
Perché da ciascuna classe di costi e di ricavi, cui si
connettono
variazioni
numerarie,
si
possa
passare
all’esplicitazione della dinamica monetaria è necessario che
in sede di piano di marketing e di budget delle vendite
vengano definite le condizioni di incasso e che nei budget
dei costi vengano esplicitate le condizioni di pagamento.
Influiscono naturalmente sul budget di cassa il budget dei
finanziamenti e le operazioni non strettamente connesse
alla gestione operativa (pagamento di imposte, rimborso di
mutui, distribuzioni di dividendi, ecc.), ma che tuttavia
influenzano la situazione finanziaria.
Posto che i documenti in oggetto devono costituire la base
per sviluppare azioni correttive, è opportuno suddividere i
flussi in entrata e in uscita in relazione alla provenienza e al
grado di gestibilità e discrezionalità, a seconda che derivino
rispettivamente:
•
Dalla gestione operativa corrente, in questo caso la
dinamica monetaria risulta in gran parte definita da
condizioni di mercato e limitatamente modificabili nel
breve
•
Dalle attività non direttamente connesse con la gestione
operativa, che hanno una dinamica in larga misura
84
SCHEMA CONTABILE DI PROSPETTO DELLE ENTRATE
VOCI
Entrate per vendite a pronti
Entrate per altri ricavi e proventi d’esercizio
Entrate per crediti in scadenza
Anticipi da clienti
Totale Entrate da Gestione Operativa
Interessi Attivi
Dividendi da controllate/collegate
Totale Entrate da Gestione Non Operativa
Disinvestimenti finanziari e/o tecnici
Aumenti di capitale
Totale Entrate da Gestione Straordinaria
Totale Entrate
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
85
SCHEMA CONTABILE DI PROSPETTO DELLE USCITE
VOCI
Uscite per acquisti a pronti
Salari e stipendi e Oneri sociali e previdenziali
Uscite relative ad altri costi d’esercizio
Pagamenti per forniture in scadenza
Anticipi a fornitori
Totale Uscite da Gestione Operativa
Interessi Passivi
Distribuzione dividendi
Totale Uscite da Gestione Non Operativa
Investimenti finanziari e/o tecnici
Totale Uscite da Gestione Straordinaria
Totale Uscite
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
86
SCHEMA CONTABILE DI BUDGET DI CASSA
VOCI
Saldo iniziale di cassa
Vendite
Affitti Attivi
Dividendi su partecipazione
Realizzo investimenti
Totale Entrate
Acquisti
Salari e Stipendi
Rimborso finanziamenti
Totale Uscite
Saldo mensile
Saldo progressivo
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
87
vincolata in termini sia di cadenza temporale che di
ammontare della spesa (ad es. pagamento delle
imposte).
•
Da programmi afferenti la gestione tipica ma aventi
carattere discrezionale, che sono governabili con un
maggior grado di libertà e ritratta ad esempio, delle
spese in ricerca e sviluppo.
•
Da operazioni aventi carattere straordinario, e quindi
episodiche e solo parzialmente governabili dall’azienda
(ad es. pagamento di dividendi).
Affinché il budget di cassa possa raggiungere il suo scopo è
necessario che i singoli prospetti vengano articolati per
periodi infrannuali relativamente brevi (settimana, decade,
mese). Tanto maggiore è l’intervallo di tempo preso in
considerazione, tanto minore sarà la percezione delle
dinamiche di natura finanziaria.
Il budget di tesoreria è il documento di sintesi all’interno
del quale confluiscono le previsioni di entrata e di uscita.
In particolare, la determinazione della posizione finanziaria
di breve periodo risulta dalla somma algebrica delle
seguenti variabili:
1. saldo di inizio periodo
2. entrate monetarie totali
3. uscite monetarie totali
4. saldo del periodo, derivante dalla differenza tra entrate
88
e uscite del periodo
5. saldo progressivo, derivante dalla somma algebrica tra
il saldo iniziale e il saldo del periodo.
Sulla base del saldo di cassa totale è possibile procedere
alla determinazione degli oneri finanziari da inserire a
completamento del Budget Economico.
12.2 Il Budget Patrimoniale
Il budget di Stato Patrimoniale rappresenta il momento di
estrema sintesi dell’intero processo di budgeting, infatti il
consolidamento dei budget operativi, finanziari e degli
investimenti, contribuendo a variare il complesso degli
impieghi e delle fonti, configurano la struttura patrimoniale
e finanziaria finale dell’azienda.
A differenza del conto economico e della tesoreria, lo Stato
Patrimoniale contiene in sé una valenza informativa che
trascende il breve termine. La dinamica delle varie classi di
attività e passività evidenziano la conformazione strutturale
dell’impresa, e quindi l’insieme dei vincoli e delle
opportunità poste alla gestione in un futuro non solo
prossimo.
L’elaborazione dello Stato Patrimoniale preventivo impone
la considerazione di tutti i fenomeni gestionali, siano o
meno connessi all’attività caratteristica.
La dinamica delle componenti dell’Attivo Patrimoniale
trova computa spiegazione nei budget operativi e finanziari
89
elaborati.
Per quanto riguarda le Attività Correnti:
•
l’ammontare delle liquidità immediate viene definito
nell’ambito del budget di tesoreria
•
le liquidità differite vengono definite dall’ammontare
dei crediti verso clienti, combinando le previsioni di
vendita con le condizioni di incasso
•
il valore delle rimanenze sono diretta conseguenza
della politica delle scorte e può essere agevolmente
determinato
prendendo
a
riferimento
la
loro
quantificazione effettuate nel Budget del Conto
Economico.
Con riguardo alle Attività Fisse Nette, queste possono
essere determinate ricorrendo al budget degli investimenti,
e rettificando i relativi valori dei fondi di accantonamento.
In modo analogo si procede per il Passivo Patrimoniale, in
particolare per le Passività Correnti:
•
l’ammontare dei debiti di finanziamento in essere alla
fine del periodo di budget può essere determinato
associando al valore degli acquisti programmati le
relative condizioni di pagamento
•
il saldo di indebitamento bancario a breve trova
esplicitazione nel budget di tesoreria
Diversa è la prospettiva per quanto concerne le variazioni
delle Passività Consolidate e dei Mezzi Propri. In entrambi
90
ATTIVO
Budget di
cassa
Liquidità
PASSIVO
Esigibilità
Budget debiti
di funzionam.
Budget debiti
di finanziam.
Previsione
dei crediti
Disponibilità
Passività Consolidate
Previsione
delle scorte
Variaz. cap.
proprio
Immobilizzi netti
Capitale Netto
Budget degli
investimenti
Reddito Netto
(budget CE)
91
SCHEMA CONTABILE DI BUDGET PATRIMONIALE
Liquidità
• Cassa
immediate
• Banche
Liquidità differite • Clienti
• Effetti attivi
• Crediti vs collegate/consociate
•
•
•
•
•
•
•
Passività
Banche
Correnti
Fornitori
Cambiali passive
Debiti vs collegate/consociate
Imposte
Anticipi da clienti
Ratei e risconti passivi
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Prestiti obbligazionari
Mutui Passivi
Finanziamenti
Fondo TFR
Capitale sociale
Riserva legale
Riserve statutarie
Utile (perdite) es. precedenti
Utile (perdite) esercizio
•
•
Immobilizzi netti •
•
•
•
•
•
•
•
Disponibilità
Magazzino
Anticipi a fornitori
Partecipazioni
Terreni e fabbricati
Impianti e macchinari
Attrezzature
Brevetti, diritti
Oneri pluriennali
Costruzioni in corso
Anticipi a fornitori
Passività
Consolidate
Capitale
Proprio
Mezzi Propri
FONTI (CAPITALE ACQUISITO)
Mezzi di Terzi
Capitale Circolante
Capitale Impiegato
IMPIEGHI (CAPITALE INVESTITO)
92
i casi le operazioni che inducono tali variazioni sono per lo
più estranee alla gestione operativa d’impresa e frutto di
decisioni identificabili in termini puntuali. Basti pensare
all’accensione o al rimborso di un mutuo, alla distribuzione
di dividendi e al conferimento di risorse finanziarie da parte
dei soci.
93
PARTE III
CARATTERISTICHE PECULIARI DEL
CONTROLLO DIREZIONALE NELLE
COOPERATIVE
1. Il modello economico della cooperativa
Le società cooperative sono società che si prefiggono lo
scopo di procurare ai soci beni o servizi ad un prezzo
inferiore a quello praticato dal mercato oppure possibilità
di lavoro a condizioni più vantaggiose. Quindi la differenza
fondamentale fra le società a fini di lucro e le cooperative è
nello scopo: le prime si propongono il conseguimento di un
lucro da ripartire tra i soci, mentre le cooperative
perseguono finalità mutualistiche, ridurre il costo dei beni
o servizi per i soci o fornire occasioni di lavoro a
condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal
mercato.
Nell’impresa l’attività di produzione economica si sviluppa
attraverso i collegati processi di acquisizione dei fattori
produttivi (materie prime, lavoro, ecc.), di allestimento
delle produzioni e di collocamento dei beni o servizi
ottenuti sul mercato.
L’impresa operante in economia di mercato acquisisce a
condizioni contrattualmente definite i fattori produttivi
nella prospettiva di realizzare un volume di ricavi
94
sufficiente per reintegrare i costi sostenuti e conseguire un
congruo margine per remunerare l’apporto di capitale e la
prestazione dell’imprenditore.
Si tratta di una remunerazione per sua natura residuale
ossia dipendente dal risultato economico conseguito
dall’iniziativa, la cui congruità va apprezzata in relazione
alle condizioni economiche generali e con riferimento alle
attese e motivazioni dell’operatore economico.
Naturalmente detta prospettiva deve concretizzarsi in un
periodo di tempo delimitato dalla capacità dell’azienda di
fronteggiare temporanei squilibri nella dinamica economica
e, quindi, nei correlati flussi monetari, attingendo al
sostegno del capitale proprio o a quello di credito.
Quindi nell’ambito dei tempi di attesa sopportabili, tenuto
conto
delle
proprie
capacità
di
finanziamento,
il
conseguimento dell’equilibrio economico (autosufficienza)
costituisce la condizione di sopravvivenza per l’azienda
operante sul mercato.
Nell’impresa cooperativa, per le sue caratteristiche
fondamentali, sopra richiamate, assume natura residuale,
non
contrattualmente
prestabilita,
non
solo
la
remunerazione discendente dall’apporto di capitale sociale,
ma anche la retribuzione dei conferimenti o i corrispettivi
per la cessione dei beni o servizi, espressione degli scambi
economici sviluppatisi, nell’esercizio, con i soci.
95
In pratica, la logica aziendale di funzionamento della
cooperativa di produttori si esprime nell’attivare un
processo di produzione economica di beni o servizi da
collocare sul mercato attraverso lo scambio, al fine di
conseguire un volume di ricavi che, al netto dei costi per
l'utilizzazione dei fattori produttivi acquistati sul mercato,
consenta di realizzare un congruo margine, risultato lordo
di esercizio, così da poter remunerare alle migliori
condizioni il conferimento di beni o servizi del socio.
Nelle cooperative di consumatori l'attività economica è
rivolta, attraverso la razionalizzazione e l'efficienza dei
processi di acquisizione e di trasformazione dei fattori
produttivi, nei loro aspetti tecnici, economici, organizzativi
e commerciali, a realizzare le migliori condizioni per
consentire ai soci risparmi nei corrispettivi per gli
approvvigionamenti, assumendo come risultato lordo
d'esercizio il saldo del conto profitti e perdite, al lordo dei
corrispettivi per le cessioni di beni o servizi.
La possibilità di assegnare una remunerazione di tipo
residuale ai fattori produttivi (beni e prestazioni di lavoro)
conferiti dai soci consente, in relazione al variabile
andamento dei risultati economici dei diversi esercizi, nelle
cooperative di produttori, di ridurre l’area dei costi
incomprimibili,
determinati
dall’utilizzo
dei
fattori
produttivi. Nelle cooperative di consumo, ad esempio, la
96
reintegrazione dei costi sostenuti per l’allestimento delle
produzioni non è vincolata al conseguimento dei ricavi sul
mercato, in quanto i prezzi-ricavi sono definiti nel rapporto
di scambio economico con i consumatori utenti.
Nel primo caso, l’impresa cooperativa può operare sul
mercato con minori vincoli economici in termini di
remunerazione da assegnare nell’esercizio ai fattori
produttivi impiegati, nel secondo caso è meno dipendente,
per la copertura dei costi sostenuti per allestire la
produzione, dal condizionamento dei risultati pro-tempore
conseguibili sul mercato di collocamento.
Si tratta, in tutta evidenza, di situazioni che attribuiscono
una
maggiore
elasticità
economica
al
modello
di
funzionamento cooperativo rispetto a quello dell’impresa
capitalistica, nella quale viene assegnata in via residuale
solo la remunerazione del capitale apportato.
Questa elasticità tuttavia risulta notevolmente limitata dal
fatto che operando la cooperativa in un’economia di
mercato, i soci possono trovare conveniente altre
alternative rispetto agli scambi economici con la società.
Infatti, la difficoltà della cooperativa di fornire adeguate
condizioni rispetto alle similari alternative del mercato,
tende a determinare nella base sociale spinte ad
abbandonare l’iniziativa, aggravando, in questo modo, la
stessa attività di gestione, per il venir meno di risorse da
97
utilizzare nel ciclo produttivo o di consumatori utenti delle
produzioni allestite. Ne consegue l’esigenza, di fatto,
dell’impresa
cooperativa,
ai
fini
della
propria
sopravvivenza sul mercato, di conseguire nell’attività di
gestione
l’autosufficienza
economica,
cioè,
nelle
cooperative di produttori, conseguire un volume di ricavi
sufficiente a remunerare a condizioni di mercato i fattori
produttivi impiegati (conferimenti di beni e prestazioni di
lavoro), nelle cooperative di consumo, remunerare i fattori
produttivi, pur restando su livelli di prezzo dei beni ceduti
ai soci inferiori a quelli praticati da aziende concorrenti.
Inoltre, nelle cooperative di produzione e lavoro le
prestazioni di lavoro spesso risultano contrattualmente
stabilite e quindi di natura non effettivamente residuale.
Il
conseguimento
di
condizioni
di
autosufficienza
economica non va necessariamente riferito all’esercizio
annuale, ma deve essere perseguito nell’ambito dei
sostenibili tempi di attesa consentiti dalla capacità della
cooperativa di attivare risorse finanziarie proprie o di terzi
a sostegno di temporanei squilibri nella dinamica
economica e nei correlati flussi monetari, evitando, come
già detto, il ricorso ad integrazioni da parte delle economie
dei singoli soci, ad esempio attraverso compensi non
congrui ai conferimenti e prezzi dei beni o servizi conferiti
ai soci che non consentano congrui risparmi. Temporanee
98
situazioni sfavorevoli, percepimento di retribuzioni o
pagamento di corrispettivi non competitivi con alternative
di mercato, possono essere sopportate dai soci solo nella
prospettiva di un loro superamento.
Con riferimento alle modalità di funzionamento sul
mercato, si presenta una importante distinzione tra la
cooperativa pura e quella spuria.
La cooperativa pura non opera atti di scambio sul mercato
concorrenziale in entrambe le fasi del suo circuito
produttivo: fornitori dei suoi fattori o consumatori dei suoi
prodotti sono i soci della società. In essa assume rilievo la
gestione
mutualistica,
consistente
nel
finalizzare
direttamente in termini qualitativi e quantitativi l’attività
produttiva ed economica della società alle esigenze delle
economie particolari dei soci.
La logica della gestione mutualistica condiziona fortemente
le scelte dell’impresa cooperativa, introducendo un
ulteriore vincolo all’interscambio con il mercato. Gli spazi
per un’autonoma ricerca e scelta fra le diverse alternative
nei processi di produzione e/o acquisizione di beni o servizi
vengono a ridursi a parità di altre condizioni rispetto alle
opportunità offerte alle altre aziende operanti sul mercato.
In relazione a ciò si sostiene la mancanza di una piena
autonomia
operativa
nella
gestione
dell’impresa
cooperativa rispetto alle economie individuali dei singoli
99
soci.
Tuttavia, non necessariamente la logica della gestione
mutualistica
determina
la
mancanza
di
autonomia
gestionale rispetto alle economie dei soci.
Il gruppo dirigente della cooperativa è portato da un lato a
stimolare iniziative di coordinamento e di indirizzo con
riguardo alle attese e ai comportamenti dei soci, a supporto
delle esigenze della gestione della società, dall’altro ad
operare con politiche che, pur appagando le attese
economiche e gli interessi generali dei soci, non contrastino
il rafforzamento e l’autonoma sopravvivenza economica
dell’azienda sul mercato.
La riforma del diritto societario, in vigore dal 2004, ha
introdotto la grande suddivisione tra cooperative a
mutualità prevalente e altre cooperative. Suddivisione che
ha importanza sia per aspetti fiscali che civilistici: solo le
cooperative a mutualità prevalente hanno diritto ai benefici
fiscali previsti per la cooperazione. Le altre cooperative
non ne possono godere, ma hanno meno vincoli connessi al
loro status di cooperative e più libere di comportarsi come
società lucrative.
Le caratteristiche della cooperativa a mutualità prevalente
sono:
a. Svolgere la loro attività prevalentemente in favore dei
soci, consumatori o utenti di beni o servizi
100
b. Avvalersi prevalentemente, nello svolgimento della
loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci
c. Avvalersi prevalentemente, nello svolgimento della
loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei
soci.
Quindi, mentre le cooperative pure, per le loro stesse
caratteristiche, sono sicuramente a mutualità prevalente, le
spurie possono o meno ritrovarsi in questa situazione,
quanto più si allontanano dal modello originario di
cooperativa.
Nelle cooperative a mutualità prevalente gli amministratori
e i sindaci documentano la condizione di prevalenza nella
nota integrativa al bilancio.
Per quanto riguarda, invece, gli schemi di Stato
Patrimoniale e di Conto Economico da utilizzare, si
utilizzano gli stessi schemi per le società, tuttavia essi non
risultano in grado di dare l’opportuno risalto alle peculiarità
della gestione cooperativa, quindi è necessario, sia per
l’obbligo di fornire tutte quelle informazioni necessarie per
una rappresentazione veritiera e corretta della situazione
patrimoniale, finanziaria e del risultato di esercizio, sia per
la necessità di dare conto della condizione di prevalenza
mutualistica, sia, ancora, per necessità legate al controllo
direzionale, disporre di strumenti contabili in grado di
rilevare distintamente le poste caratteristiche di una
101
gestione cooperativa.
In un sistema di controllo di gestione orientato alle piccole
e medie cooperative occorre apprezzare nella giusta misura
aspetti particolari delle stesse relativamente ai rapporti con
i soci, le altre cooperative e le relative strutture consortili,
nonché con le associazioni di rappresentanza, rapporti che
hanno un’influenza notevole sia sulla struttura patrimoniale
e finanziaria, sia sulla determinazione del risultato
economico. Di conseguenza, tutti gli strumenti di controllo
direzionale
(pianificazione,
programmazione,
budget,
analisi dei costi, ecc.) dovranno essere rimodellati ed
adeguati alle loro caratteristiche distintive.
2. Particolarità degli aspetti patrimoniali delle
cooperative
Le cooperative si trovano ad operare sia sul mercato che
all’interno del sistema di riferimento, cioè con i soci, le
altre cooperative e i relativi consorzi, e con le centrali di
rappresentanza.
Quindi, in relazione ai conti patrimoniali, si individua la
necessità di separare la rilevazione dei rapporti con i soci
da quella concernente i rapporti con i terzi, fornitori, clienti
o finanziatori.
Occorre, perciò, specificare per i conti dell’attivo tipo
rimanenze di materie prime, acconti, crediti verso clienti e
102
verso altri e per i conti del passivo tipo trattamento di fine
rapporto, debiti verso altri finanziatori (soci sovventori o
altri), acconti, debiti verso fornitori e altri debiti, a seconda
che si riferiscano a rapporti con i soci o altri soggetti.
Il ricorso a queste specificazioni è necessario a causa dei
diversi criteri di valutazione adottati per valorizzare i
rapporti sociali rispetto a quelli esterni.
Infatti, l’acquisto di fattori produttivi dai soci produttori
oppure la cessione dei prodotti finiti ai soci consumatori
possono avvenire, sia a prezzi di mercato, ponderati dal
riconoscimento di integrazioni sui conferimenti e di
rimborsi sugli acquisti nella forma di ristorni, sia in base a
valorizzazioni di natura residuale, già comprensive di parte
del risultato economico cooperativo.
Inoltre, occorre che le poste sopraindicate accolgano
articolazioni rappresentative dei rapporti con le altre
cooperative e i relativi consorzi.
Infatti, la singola cooperativa intrattiene una fitta rete di
rapporti commerciali, finanziari, ecc. con altre cooperative
oppure con consorzi di cooperative, che sono volti a
rafforzare il sistema cooperativo nel suo complesso ed
incentivati e seguiti dalle associazioni di rappresentanza.
Alle centrali cooperative è riconosciuta la possibilità di
costituire appositi fondi per la promozione e lo sviluppo
cooperativo attraverso contribuzioni delle aziende socie.
103
Tali fondi hanno come oggetto sociale esclusivo la
promozione ed il finanziamento di nuove imprese e di
iniziative di sviluppo della cooperazione, per cui si
pongono fra i principali sostenitori esterni delle imprese
cooperative. Al finanziamento provvedono le cooperative
aderenti alle associazioni nazionali, le quali sono chiamate
a versare a tali fondi il 3% degli utili annuali.
Ulteriori specificazioni riguardano poi le voci di patrimonio
netto.
Infatti, accanto alle azioni ordinarie esistono altre due
figure di soci:
•
I soci sovventori
•
I soci di partecipazione cooperativa
Il socio sovventore, limitandosi all’apporto di capitale di
rischio e ad una partecipazione parziale alla gestione,
persegue il massimo di rendimento sulle somme così
investite. Tali risorse necessitano di una distinta rilevazione
contabile, visto che, per l’utilizzazione, risultano vincolate
alle previsione statutarie.
Le azioni di partecipazione cooperativa sono prive del
diritto di voto e privilegiate nella remunerazione e nel
rimborso del capitale versato. In questo caso, si necessita
dell’introduzione
di
sistemi
di
pianificazione
e
programmazione articolati, capaci di supportare la gestione
aziendale.
104
Infine, poiché ai sottoscrittori di capitale è garantita la
conservazione del valore reale della propria quota, è
opportuno tenere distinta la quota parte di utili destinati ad
aumenti gratuiti di capitale, in modo da differenziarla da
eventuali aumenti effettivi di capitale sociale, attraverso
nuove sottoscrizioni di soci.
Nell’esaminare la struttura finanziaria della cooperativa
occorre sottolineare che i soci contribuiscono a sostenere i
fabbisogni finanziari, non solo con l’apporto di capitale
(come avviene nelle società lucrative), ma anche con
prestiti
specifici,
depositi
a
risparmio
e
con
il
finanziamento indiretto costituito dalla dilazione nel
percepimento del compenso sul conferimento dei beni o
della prestazione di lavoro e con le anticipazioni in conto
futuro acquisto di beni o servizi.
Quindi, nell’analizzare le fonti di finanziamento occorre
tenere distinte le fonti di terzi (indebitamento esterno), da
quelle riconducibili ai soci (indebitamento interno).
Quest’ultimo presenta caratteristiche di elasticità e di costo
di più agevole gestione da parte delle cooperative, infatti i
termini di pagamento possono essere adeguati più
facilmente al ritmo di creazione della necessaria liquidità e
gli stessi oneri finanziari possono essere definiti, in via
residuale, ponderando le esigenze di equilibrio del conto
economico.
105
Si tratta, tuttavia di opportunità che presentano dei limiti
dipendenti dalla disponibilità e dalla capacità patrimoniale
e finanziaria delle economie individuali dei soci. Al di là di
certi limiti, i rinvii nel pagamento dei conferimenti o le
richieste di anticipazioni possono risultare incompatibili
con gli equilibri finanziari dei soci o delle aziende
particolari degli stessi e creare situazioni che vanificano il
vantaggio
del
rapporto
associativo,
ripercuotendosi
negativamente sull’economia della cooperativa stessa.
Inoltre
lo
strumento
del
risparmio
dei
soci
è
convenientemente praticabile se fornisce agli stessi, a parità
di rischi, una remunerazione concorrenziale con le
alternative di mercato.
Altra particolarità delle cooperative consiste nei rapporti di
debito e di credito con le strutture consortili o con altre
cooperative con cui si sviluppano integrazioni produttive e
collaborazioni gestionali. Con tali soggetti la cooperativa
può intrecciare rapporti operativi fondamentali per la sua
attività e di cui spesso possiede quote di capitale o gli stessi
fanno parte della sua base sociale.
L’entità di detti debiti e crediti va opportunamente
considerata al fine di ottenere una migliore fotografia della
composizione degli impieghi e delle fonti, in relazione alle
possibili condizioni di realizzo o di estinzione, nonché per
valutare il livello di integrazione, in termini finanziari con
106
le strutture consortili o con le cooperative collegate.
I budget finanziari, nonché il sistema di obiettivi e analisi
di risultati di una cooperativa dovranno, necessariamente,
tener conto di questi aspetti.
3. Particolarità degli aspetti economici delle cooperative
Per quanto riguarda la determinazione del risultato di
esercizio, la prima particolarità consiste nelle modalità di
rilevazione dei rapporti con i soci, in relazione alla
fissazione dei cosiddetti prezzi di scambio.
I criteri di valorizzazione di tali poste risultano diversi da
quelli adottati nelle altre imprese. Infatti, mentre nelle
imprese di tipo capitalistico si persegue la massimizzazione
della
differenza
ricavi-costi,
nelle
cooperative
tale
confronto perde importanza, perché i ricavi, nelle
cooperative di consumo, ed i costi nelle cooperative di
produttori comprendono già buona parte del futuro risultato
di gestione.
In particolare, nelle cooperative di piccole e medie
dimensioni può risultare conveniente sottodimensionare
l’utile di esercizio al fine di sfuggire all’obbligatorietà
dell’accantonamento
a
riserva
legale
in
misura
sostanzialmente maggiore dei limiti previsti per le società
di capitali e alla indivisibilità delle riserve comunque
formate. Mentre nelle cooperative di maggiori dimensioni,
107
la
nascita
di
un
management
autonomo
porta
a
salvaguardare più le esigenze di sopravvivenza e crescita
aziendale che non il soddisfacimento degli obiettivi
economici immediati dei soci, attraverso l’accantonamento
degli utili che si risolve in un autofinanziamento duraturo
per l’azienda.
Occorre, quindi per valutare appieno il risultato economico
cooperativo procedere ad una riclassificazione del conto
economico, in modo da segnalare il complessivo vantaggio
derivante dalla partecipazione all’impresa cooperativa,
giungendo a definire una configurazione di reddito formata
dalla sommatoria dei redditi distribuiti sotto varia forma ai
soci.
Per questo obiettivo si può partire dalla valorizzazione dei
rapporti con i soci secondo due diversi orientamenti :
1. l’utilizzo di criteri di natura residuale
2. l’allineamento ai prezzi di mercato.
Il primo orientamento impone l’esclusione completa dei
rapporti con i soci dal risultato economico, in questo ottica
tali operazioni non danno luogo a componenti di reddito.
Nelle cooperative di produttori, soprattutto se strumentali
alle economie dei soci, il saldo del conto economico
esprime la capacità dei ricavi di coprire i costi di gestione
e, successivamente, di remunerare in misura almeno
soddisfacente gli apporti sociali. Nelle cooperative di
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consumatori, l’adozione di criteri di natura residuale per la
valorizzazione degli acquisti sociali implica lo svolgimento
di gestioni a costi e rimborsi di costi, per cui, ancor più che
nelle cooperative di produttori, si ritiene di essere in
presenza di combinazioni non dotate di un’autonomia tale
da essere considerate aziende. In questo caso il conto
economico, in quanto sommatoria contabile dei costi,
risulta finalizzato alla determinazione dei livelli dei
rimborsi da chiedere ai soci consumatori.
Il secondo orientamento permette di sottolineare più
efficacemente il processo di creazione di valore posto in
essere dalla cooperativa.
Infatti, nelle cooperative di produttori la valorizzazione dei
conferimenti in base ai prezzi di mercato permette di
determinare oggettivamente il concorso del socio alla
gestione e, quindi, il valore aggiunto aziendale, mentre
nelle cooperative di consumatori, grazie alla rilevazione di
un fatturato oggettivo, facilita l’individuazione del risultato
economico. In questo caso la remunerazione dei soci passa
essenzialmente
attraverso
la
pratica
dei
ristorni
(integrazioni sui conferimenti o sugli acquisti).
In particolare, si può fare riferimento a tre criteri per la
valorizzazioni dei conferimenti o consumi sociali:
•
prezzi di mercato in assenza della azienda cooperativa
•
prezzi-costo
o
prezzi-ricavo
spuntabili
dalla
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cooperativa sul mercato
•
costo medio della produzione
Quindi, un sistema di controllo di gestione dovrà essere
disegnato in modo da evidenziare l’incremento di valore
dei conferimenti sociali complessivi per effetto della
gestione e la formazione di un vero risultato cooperativo.
Si tratta, cioè di definire una particolare configurazione di
reddito complessivo, diverso da quello civilistico, formato
dalla somma dei redditi distribuiti, sotto varia forma, ai
soci,
o
imputati
all’azienda
per
finalità
di
autofinanziamento a prescindere dai diversi aspetti di
natura contrattuale.
Nelle cooperative di produttori, il risultato cooperativo così
ottenuto sarà poi chiamato alla copertura delle voci
rappresentanti gli interessi sociali ovvero gli interessi
passivi sui prestiti sociali, l’accantonamento a riserva a
titolo di autofinanziamento, la remunerazione del capitale
di rischio e, infine, la valorizzazione dei conferimenti
effettuati dai soci.
Come già detto, si prescinde, nella costruzione di tale
risultato cooperativo, dalla diversa natura delle voci da
coprire, prescindendo quindi da problematiche di natura
legale.
In particolare, la remunerazione di prestiti sociali e le
retribuzioni ai dipendenti soci, rappresentano un costo
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contrattualmente stabilito e quindi non potranno essere
vincolate alla positività dei risultati gestionali. Di
conseguenza,
in
presenza
di
risultati
cooperativi
insufficienti o addirittura negativi, la necessaria copertura
dovrà avvenire attraverso la movimentazione in senso
negativo delle altre poste, ed in particolare delle riserve
proprie, in linea con lo stesso conto economico civilistico,
dove la perdita di esercizio risulta coperta attraverso
l’utilizzo delle apposite riserve.
Nelle cooperative di consumatori, il risultato cooperativo
serve, in primo luogo alla determinazione dei costi di
produzione, necessari per la determinazione dei prezziricavo, o meglio, dei rimborsi di costo da chiedere ai soci.
In particolare, anche qui, prescindendo da problematiche di
natura legale, al fine di giungere alla determinazione del
reddito complessivo attribuito al socio va elaborato il costo
di produzione totale, il cui volume successivamente va
confrontato con il volume di affari complessivo, relativo sia
ai rapporti con i soci sia con i terzi, nelle cooperative
spurie.
In definitiva si giunge alla determinazione di un risultato
lordo sociale, riconducibile alla attività caratteristica,
derivante dai rapporti extra-sociali, che integrato con i
risultati delle gestioni finanziaria e straordinaria e dalla
imposizione
tributaria,
fornisce
il
valore
aggiunto
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cooperativo,
ovvero
complessivo
ottenuto
la
misurazione
attraverso
la
del
vantaggio
partecipazione
all’impresa.
Tale risultato, analogamente alle cooperative di produttori,
servirà
per
soddisfare
gli
interessi
sociali:
l’autofinanziamento, gli interessi sui prestiti sociali, la
remunerazione del capitale di rischio e i ristorni sui
consumi, quale rimborso per gli acquisti effettuati dai soci.
Nel caso di gestione a costi e rimborsi di costi, il prezzoricavo chiamato a valorizzare le transazioni sociali è pari al
costo di produzione più una somma a copertura degli
eventuali rischi di gestione, pertanto dal confronto con i
costi di produzione si ottiene un saldo della gestione
sociale. Talvolta, a fini di analisi gestionale, si utilizzano
forme di ricavo figurativo.
Anche la struttura degli obiettivi e analisi dei risultati (ad
esempio gli indici di bilancio) dovrà tener conto delle
caratteristiche particolari delle cooperative. Quando la
remunerazione sui conferimenti o il corrispettivo per la
cessione ai soci dei beni o servizi sono rilevati sulla base
dei prezzi di mercato, gli stessi possono interpretarsi,
rispettivamente, come costi di acquisizione e ricavi di
vendita, mentre gli eventuali ristorni, cioè integrazioni al
compenso o rimborso della differenza costo-ricavo,
possono interpretarsi come quote complementari al
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risultato economico esposto in bilancio.
Quindi nel calcolare il ROI, occorre integrare il risultato
economico esposto in bilancio con i ristorni e rapportarlo al
capitale mediamente investito, sintetizzando la capacità
della cooperativa di creare risorse, al netto della quota di
indebitamento, in rapporto al totale degli investimenti in
essere.
Se poi si considera che spesso i prestiti effettuati dai soci e
i depositi di risparmio assumono un ruolo integrativo
rispetto agli apporti di capitale, l’inserimento al numeratore
del suddetto indice degli interessi corrisposti ai soci
permette di evidenziare l’entità delle risorse attribuibili ai
soci in rapporto al totale degli impieghi in essere, per
remunerare l’apporto di capitale proprio e in generale, i
finanziamenti erogati alla cooperativa.
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metodi di pianificazione e controllo di gestione nelle cooperative di