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Università degli Studi di Firenze
Scuola di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea Triennale in Fisica e Astrofisica
Tesi di Laurea Triennale
Calibrazione dei cristalli del prototipo del
calorimetro di Gamma400 con fasci di ioni
Calibration of the crystals of the Gamma400
calorimeter prototype with ion beams
Relatore: Dott.ssa Elena Vannuccini
Correlatore: Prof. Oscar Adriani
Candidato: Miriam Olmi
Anno Accademico 2011/12
Indice
1 Introduzione
1.1 I raggi cosmici . . . . . . . . . .
1.2 Rivelazione di raggi cosmici . .
1.3 Il progetto Gamma400 . . . . .
1.4 Calorimetri e misura energetica
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3
3
4
5
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2 Il calorimetro di Gamma400
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2.1 Il prototipo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
2.2 La prova su fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
3 Calibrazione dei cristalli
3.1 Risposta dei rivelatori . . . . . . . . . . . . .
3.2 Necessità di equalizzare la risposta dei cristalli
3.3 Selezione di eventi non interagenti . . . . . . .
3.4 Interpolazione delle distribuzioni . . . . . . . .
3.5 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.6 Risultati con il fascio a 12.8 GV /c . . . . . . .
3.7 Normalizzazione dei segnali . . . . . . . . . .
Bibliografia
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14
14
16
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21
28
32
33
35
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Capitolo 1
Introduzione
1.1
I raggi cosmici
I raggi cosmici sono particelle di alte energie principalmente originate dalle
supernovae e a tali particelle sono esposti tutti i corpi celesti, come ad esempio la Terra, ma anche i satelliti e gli astronauti che si trovano in orbita
attorno alla Terra. La loro natura è molto varia come si può dedurre dalla
distribuzione del flusso dei raggi cosmici in funzione della loro energia riportato in figura 1.1, il loro flusso si attenua di oltre 30 ordini di grandezza al
variare dell’energia su 14 ordini di grandezza.
Figura 1.1: Flusso di raggi cosmici
I raggi cosmici attirano un grande interesse sia da un punto di vista
pratico e applicativo, a causa dell’effetto che hanno sulla microelettronica
3
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
4
e sulla vita al di fuori dell’area protetta dall’atmosfera terrestre, sia da un
punto di vista scientifico perché è stato osservato che le energie dei raggi
cosmici più energetici raggiungono valori circa 40 milioni di volte superiori
rispetto alle energie raggiunte con l’acceleratore LHC.
Essi sono composti per la maggior parte di protoni e particelle alfa (99%),
per una piccola parte (∼ 1%) di nuclei più pesanti ed elettroni e in quantità
estremamente piccole sono presenti anche tracce di positroni e anti-protoni.
I raggi cosmici si dividono in due categorie: la componente dei primari e
quella dei secondari. I raggi cosmici primari sono prodotti da vari processi
astrofisici e provengono principalmente da regioni esterne al sistema solare
e alle energie più estreme perfino alla Via Lattea; quelli secondari sono il
risultato della spallazione dei primari con il mezzo interstellare.
Quando interagiscono con l’atmosfera terrestre generano altre particelle.
Poiché l’energia delle particelle incidenti è elevata, l’interazione con le molecole
costituenti l’atmosfera terrestre produce una cascata di particelle più leggere
con un angolo di dispersione di circa 1°. In queste cascate sono quindi presenti anche neutroni e mesoni carichi che a loro volta possono interagire o
decadere producendo altre particelle, come ad esempio muoni, che riescono
a raggiungere la superficie terrestre.
1.2
Rivelazione di raggi cosmici
Esistono molti metodi di rivelazione di raggi cosmici. Per misure dirette si
usano palloni posizionati nella stratosfera o satelliti sui quali si collocano
i rivelatori; tali misure fino ad ora sono state effettuate solo per particelle
di energia inferiore a ∼ 1015 eV . Per energie superiori, a causa del basso
flusso, le misure dirette diventano estremamente difficoltose. Tuttavia le
energie sono tali che le interazioni con i nuclei dell’aria generano sciami di
particelle che possono raggiungere la superficie terrestre rendendo possibili
misure indirette. Per queste si utilizzano esperimenti a terra essenzialmente
di tre tipi:
• rivelatori di superficie di sciami cosmici estesi (EAS) nei quali si usa
l’aria come calorimetro passivo;
• rivelatori di luce di fluorescenza nei quali si usa invece l’aria come mezzo
scintillante;
• telescopi Cherenkov.
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
5
Sono però preferibili le misure dirette in quanto è estremamente difficile
risalire all’energia e alla natura dalla particella originaria dallo sciame da
essa prodotto.
1.3
Il progetto Gamma400
Il progetto Gamma400 è un esperimento spaziale russo finalizzato allo studio di fenomeni astrofisici di altre energie. L’esperimento è previsto che sia
operativo nel 2018 e che acquisisca dati fino al 2028. Gli obiettivi di questo
esperimento sono la rivelazione di :
1. raggi γ di energie comprese tra 30 M eV e qualche T eV , che vanno
studiati massimizzando la risoluzione spaziale, angolare ed energetica;
2. elettroni e positroni di energie fino a 10 T eV , per i quali è necessario
migliorare la sensibilità rispetto a quella raggiunta negli esperimenti
precedenti;
3. protoni e nuclei di energie fino a oltre 1015 eV , fino ad oggi esplorate
esclusivamente mediante misure indirette.
Per il 2018 infatti è previsto il lancio di un satellite in cui 2600 Kg del carico
disponibile saranno dedicati alle strumentazioni necessarie per lo studio di
raggi γ e di raggi cosmici. L’orbita del satellite sarà fortemente ellittica
e fissata ad un raggio medio di 200000 Km: in questo modo si avrà la
possibilità sia di puntare continuamente sorgenti cosmiche senza subire la
schermatura da parte della Terra, sia di raccogliere raggi cosmici galattici
provenienti da ogni direzione. Il miglioramento che si vuole ottenere è basato
principalmente su tecnologie innovative per l’acquisizione dati, in particolare
su un convertitore/tracciatore al silicio/tungsteno ad alta risoluzione spaziale
per lo studio dei raggi γ e su un calorimetro molto profondo per lo studio di
nuclei e leptoni nello spazio. Per maggiori informazioni si rimanda a [7].
Poiché questo lavoro di tesi si basa sullo studio del prototipo del calorimetro
di Gamma400, illustriamo ora come sia possibile la misura dell’energia di particelle elettromagnetiche e adroniche assorbendola completamente nel rivelatore.
1.4
Calorimetri e misura energetica
Un calorimetro è un blocco di materiale con uno spessore sufficiente affinché
le particelle incidenti interagiscano col materiale assorbitore e rilascino tutta
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
6
(o quasi) la loro energia all’interno del suo volume. Il blocco di materiale
deve essere collegato ad una strumentazione che permetta di convertire l’energia depositata in un segnale e tale segnale può essere elettrico, acustico,
ottico o termico. Il calorimetro è quindi uno strumento usato principalmente
per misure di energia ma, con un’opportuna segmentazione, è possibile avere
informazioni sul tipo di particella incidente.
I calorimetri si suddividono in due categorie: i calorimetri omogenei, in cui
tutto il materiale assorbitore è anche attivo e sensibile all’energia depositata,
e i calorimetri eterogenei, in cui strati di materiale attivo vengono alternati
a strati di materiale passivo. Questi ultimi sono chiamati anche calorimetri
a sampling poiché solo una parte dell’energia depositata viene misurata.
In generale le particelle incidenti interagiscono con il materiale assorbitore
mentre vi depositano la loro energia. Quando le particelle incidenti sono
abbastanza energetiche, dalla loro interazione col mezzo assorbitore si formano particelle secondarie che, se sufficientemente energetiche, interagiscono
a loro volta col mezzo assorbitore formando gli sciami. Lo sciame si sviluppa
principalmente lungo la direzione longitudinale definita dalla particella incidente ma, subisce anche un allargamento trasversale. Il processo che genera
lo sciame e le dimensioni caratteristiche dello sciame dipendono dal tipo di
particella incidente che lo inizia.
Sciami elettromagnetici Per energie maggiori di 0.1GeV, i processi dominanti nella generazione dello sciame sono bremsstrahlung per gli elettroni e la
produzione di coppie e− e+ per i fotoni. La perdita di energia per radiazione
per gli elettroni può essere descritta dalla formula:
dE
E
(1.1)
=
dx rad X0
in cui E è l’energia dell’elettrone e X0 è la lunghezza di radiazione, che è
una caratteristica del materiale in cui si sviluppa lo sciame. Usando il modello semplificativo secondo il quale l’energia viene divisa equamente tra i
prodotti, si può dimostrare che la profondità, espressa in unità si lunghezze
0
, in cui
di radiazione, a cui si raggiunge il massimo dello sciame è ∝ ln E
Ec
E0 è l’energia della particella incidente e Ec è l’energia critica, ovvero l’energia al di sotto della quale i processi di assorbimento come la ionizzazione
per gli elettroni e gli effetti Compton e fotoelettrico per i fotoni iniziano a
dominare interrompendo la prosecuzione dello sciame. Arrivati a energie inferiori all’energia critica, elettroni e positroni depositano tutta la loro energia
entro una lunghezza di radiazione. I fotoni invece sono più penetranti e si
può vedere sperimentalmente che per assorbire il 95% dei fotoni prodotti nel
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
7
massimo dello sciame servono quasi 10X0 in più del materiale assorbitore. La
distribuzione angolare delle particelle prodotte in sciami elettromagnetici è
molto stretta e per questo motivo l’ampiezza laterale degli sciami elettromagnetici è principalmente determinata da scattering multipli ed è caratterizzata
dal raggio di Molière:
RM =
21M eV
X0 g/cm2 .
Ec
(1.2)
La maggior parte dell’energia viene quindi depositata in una zona interna
relativamente stretta dello sciame: un cilindro di materiale assorbitore posto
lungo l’asse dello sciame e di raggio pari a 2RM è in grado di assorbire circa
il 95% dell’energia dello sciame.
Calorimetri adronici In linea di principio i calorimetri adronici lavorano
seguendo le stesse regole di quelli elettromagnetici, con la grossa differenza
che le interazioni in gioco sono quelle forti e non quelle elettromagnetiche. La
principale caratteristica che li contraddistingue è che per i calorimetri adronici la dimensione longitudinale è determinata dalla lunghezza di interazione
nucleare media, stimata approssimativamente come
λI ≈ 35g/cm2 · A1/3
(1.3)
che per la maggior parte dei materiali attivi è molto più grande della lunghezza di radiazione X0 . Anche l’ampiezza trasversale degli sciami adronici è
notevolmente maggiore di quella degli sciami elettromagnetici. Quest’ultima
infatti è dovuta principalmente a scattering multipli mentre, per gli sciami
adronici, la causa principale è il grande impulso trasverso trasferito nelle
interazioni nucleari. Dalla figura 1.2 possiamo infatti vedere che lo sciame
adronico ha un profilo più complesso e sviluppato in direzione trasversale
rispetto a quello elettromagnetico.
La produzione di particelle secondarie in sciami adronici è dovuta a processi adronici inelastici. Una parte delle particelle secondarie inoltre sono
in grado di generare sciami elettromagnetici che si sviluppano all’interno
dello sciame adronico e si ha quindi che parte dell’energia incidente viene depositata sotto forma di sciami elettromagnetici. Un’altra parte dell’energia
dello sciame adronico è depositata attraverso la perdita per ionizzazione degli
adroni carichi. Una frazione importante dell’energia dello sciame adronico rimane invisibile al calorimetro ed è quella che viene usata per rompere i legami
nucleari nelle interazioni. Nello sciame poi vengono prodotte anche particelle
neutre, come il neutrone o il neutrino, e particelle con una vita media ab-
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
8
Figura 1.2: Confronto tra sciame elettromagnetico e adronico
bastanza lunga e queste particelle posso uscire dal calorimetro riducendo
ulteriormente l’energia che possiamo rivelare. Altre particelle, come i muoni
o i kaoni, nella maggior parte dei casi depositano un minima parte della loro
energia nel calorimetro. Tenendo conto di tutti questi fattori è stato stimato
che la frazione totale di energia invisibile in sciami adronici vale ≈ 30%÷40%.
Il risultato di tutti questi effetti è che la risoluzione energetica per gli adroni
è sostanzialmente peggiore rispetto a quella per gli elettroni e γ.
Capitolo 2
Il calorimetro di Gamma400
Figura 2.1: Immagine di un piano del calorimetro proposto
Per il calorimetro di Gamma400 sono state considerate diverse possibili
configurazioni. L’idea che sta alla base di questa proposta è massimizzare
l’accettanza per la rivelazione di protoni e nuclei di origine cosmica, riuscendo
a rivelare particelle incidenti su tutti i lati del calorimetro. E’ inoltre necessario ottenere una buona risoluzione energetica per la rivelazione di elettroni
e raggi γ e un adeguato potere di discriminazione tra particelle adroniche
ed elettromagnetiche. Per soddisfare questi requisiti il calorimetro deve essere omogeneo, isotropo e finemente segmentato nelle 3 dimensioni spaziali.
Sono state fatte numerose simulazioni dell’apparato in cui i parametri erano
9
CAPITOLO 2. IL CALORIMETRO DI GAMMA400
10
la forma (cubica e di ottaedro troncato) e le dimensioni del cristallo, il materiale scintillante (BGO e CsI(Tl)) e il numero totale e la disposizione dei
cristalli. I risultati di queste differenti configurazioni sono stati confrontati e
i parametri a cui è stata data maggiore importanza per la scelta della configurazione finale sono il fattore geometrico1 e la risoluzione energetica per i
protoni.
Materiale scintillante
Numero di cristalli per lato
Numero complessivo di cristalli
Dimensioni del cristallo
Dimensioni totali del calorimetro
Massa del calorimetro
Profondità del calorimetro (X0 )
Profondità del calorimetro (λI )
Fattore geometrico
CsI(Tl)
20
8000
3.6cm
78.0cm
1683Kg
39
1.8
1.91m2 sr
Tabella 2.1
La migliore configurazione è risultata essere quella cubica con cristalli
di CsI(Tl). Il calorimetro proposto dal gruppo di Firenze (il cui disegno
schematico di un piano viene riportato nella figura 2.1) ha le caratteristiche
riportate in tabella 2.1, ottenute fissando il materiale attivo disponibile a
∼ 1600 Kg. La scelta del CsI è vantaggiosa principalmente per due motivi:
è meno denso del BGO e quindi ci permette di costruire, a parità di massa, un
calorimetro più grande e quindi di avere un’accettanza maggiore. Il secondo
motivo è che ha una lunghezza di radiazione maggiore e questo ci permette di
usare una segmentazione minore riducendo il numero di canali necessari per
la lettura. Le dimensioni dei cristalli sono state infatti fissate a 3.6 cm che è
il raggio di Molière del CsI. Dai dati in tabella 2.1 possiamo vedere che tra
i vari cristalli c’è uno spessore aggiuntivo di 3 mm di materiale passivo che,
considerando il numero e le dimensioni dei cristalli, permette di ottenere un
fattore geometrico di 1.19 m2 sr × 5 2 . Bisogna inoltre notare le dimensioni
del calorimetro in funzione delle lunghezze di radiazione e di interazione:
una profondità di 39 X0 infatti permette un ottimo contenimento di sciami
elettromagnetici di energia molto elevata. La profondità espressa in λI risulta
Il fattore geometrico è definito come il rapporto CI in cui C è il numero di particelle
incidenti sulla superficie del rivelatore nell’unità di tempo ed I è l’intensità, cioè il numero
di particelle incidenti per unità di tempo, di superficie e di angolo solido [12].
2
Solo 5 delle 6 facce del calorimetro saranno in grado di accettare particelle incidenti
poiché una faccia sarà coperta dall’elettronica e dalle strutture di supporto
1
CAPITOLO 2. IL CALORIMETRO DI GAMMA400
11
estremamente minore come era da aspettarsi ma, nonostante questo, una
profondità di 1.9 λI permette comunque un discreto contenimento anche degli
sciami adronici. La risoluzione energetica per gli adroni è risultata essere
∼ 30 ÷ 40% per un efficienza di selezione che varia dal 35%, per energie pari
a 100 GeV , fino al 47%, per energie pari a 10 T eV [11]. E’ stata studiata
anche la risposta del calorimetro per sciami esclusivamente elettromagnetici
e dalle simulazioni si ottiene una risoluzione energetica ∼ 2% per elettroni e
raggi γ di alta energia.
2.1
Il prototipo
Il prototipo del calorimetro di Gamma400 è costituito da 126 cubi di materiale scintillante di 3.6 cm di lato disposti su 14 piani, ognuno dei quali
è costituito da 9 cristalli disposti a formare un quadrato (Figura 2.2). Per
Figura 2.2: Foto del prototipo
prelevare il segnale di ogni cristallo sono stati usati dei fotodiodi Excelitas
VTH2090 di dimensioni 9.2 × 9.2 mm2 e la lettura di tali segnali è avvenuta tramite dei chip CASIS, un amplificatore sensibile alla carica con doppio
guadagno. La selezione del guadagno avviene automaticamente e in tempo
reale sulla base della quantità di carica integrata [8].
CAPITOLO 2. IL CALORIMETRO DI GAMMA400
12
I segnali amplificati sono stati digitalizzati utilizzando un convertitore
analogico-digitale (ADC) a 16 bit.
2.2
La prova su fascio
Nel Febbraio del 2013 il prototipo è stato esposto a fasci di particelle presso
l’acceleratore SPS del CERN di Ginevra. E’ stato usato un fascio di ioni con
Z/A = 2 con due rigidità differenti: 30 GV /c e 12, 8 GV /c. La rigidità è una
grandezza cinematica definita come R = p/q, in cui p è l’impulso della particella e q la sua carica, e di conseguenza si misura in GV /c. Per la calibrazione
dei cristalli sono state fatte diverse acquisizioni dati in cui il fascio a 30 GV /c
è stato puntato su ogni cristallo del primo strato del calorimetro assicurandosi che fosse contenuto nel cristallo selezionato in modo da massimizzare le
capacità di raccolta energetica del calorimetro. Per il cristallo centrale è stato acquisito un maggior numero di eventi rispetto agli altri cristalli in modo
da avere una buona statistica anche per fare un’analisi della risoluzione energetica del calorimetro. Il fascio a 12, 8 GV /c invece è stato puntato solo sul
cristallo centrale per poter poi confrontare i segnali raccolti dal calorimetro
con fasci incidenti di due energie differenti. Per poter valutare il rumore del
circuito di lettura e del calorimetro in generale e calcolare i piedistalli, tra
un pacchetto di ioni e il successivo un impulsatore faceva scattare il trigger
in modo da acquisire solo eventi senza particelle. Nelle figure 2.3(a) e 2.3(b)
possiamo vedere rispettivamente la distribuzione del valore medio del segnale
in canali ADC, canale per canale, e la sua varianza , calcolati con eventi di
impulsatore. Le linee verticali delimitano i 9 chip CASIS, ognuno dei quali
può leggere 16 canali. I canali con basso rumore che vediamo in figura 2.3(a)
sono quelli scollegati. L’ultimo canale di ogni scheda e altri 9 canali della
scheda 7 infatti non sono stati cablati e altri canali risultano scollegati perché
danneggiati.
Nel mio lavoro di tesi i piedistalli e il rumore sono stati valutati secondo
le seguenti relazioni:
P EDi = hADCi i
SIGi = RM S (ADCi )
(2.1)
in cui, in entrambi i casi, ADC è il segnale acquisito in assenza di particelle,
l’indice i indica il canale di lettura e la media è fatta su tutti gli eventi. Il
segnale riportato in tutti i grafici seguenti è ottenuto sottraendo il piedistallo:
Si = ADCi − P EDi .
Durante la prova su fascio, davanti al calorimetro era posto un tracciatore
al silicio sviluppato da una collaborazione dei gruppi di ricerca di Siena e
13
PED (ADC channels)
CAPITOLO 2. IL CALORIMETRO DI GAMMA400
18500
18400
18300
18200
18100
18000
17900
17800
17700
17600
17500
0
20
40
60
80
100
120
140
CASIS Channel
100
120
140
CASIS Channel
SIG (ADC channels)
(a) Piedistalli
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
0
20
40
60
80
(b) Rumore
Figura 2.3: Risposta dei canali ad eventi di impulsatore
Pisa, in grado di misurare con precisione sia la carica che il punto di impatto
della particelle incidente sul prototipo [9] [10]. Questo è stato fatto per poter
eseguire un’analisi congiunta in modo da identificare a priori la carica della
particella incidente, che però non è stata utilizzata in questo lavoro di tesi.
Capitolo 3
Calibrazione dei cristalli
3.1
Risposta dei rivelatori
Il range di segnali che il calorimetro è in grado di rilevare è estremamente ampio. In figura 3.1 infatti possiamo vedere in scala logaritmica la distribuzione
dei segnali acquisiti dal cristallo centrale del primo piano durante la prima
parte della prova su fascio in cui il fascio era impostato a rigidità pari a
30 GV /c.
conteggi
Cristallo centrale primo piano
Entries
5
10
395271
Mean
7170
RMS
1.915e+04
104
103
102
10
1
3
0
100
200
300
400
500
×10
600
canali ADC
Figura 3.1: Distribuzione della risposta di un cristallo di CsI(Tl)
Andando a guardare la risposta del cristallo per piccoli segnali (Figura 3.2), possiamo vedere le ottime prestazioni del calorimetro: siamo in grado
14
15
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
conteggi
Cristallo centrale primo piano
Entries 302868
2200
Mean
RMS
2000
792.2
595.7
1800
1600
1400
1200
1000
800
600
400
200
0
0
500
1000
1500
2000
2500
canali ADC
Figura 3.2: Risposta di un cristallo di CsI(Tl) a piccole energie
infatti di vedere i picchi delle particelle non interagenti che depositano energia solo per ionizzazione. Questo non è scontato in quanto abbiamo visto
sopra che un cristallo è in grado di rivelare fino a energie corrispondenti a
600000 canali ADC ed possibile grazie all’elevatissimo range dinamico del
chip di preamplificazione CASIS.
La perdita di energia per ionizzazione di una particella carica, pesante
(cioè con massa ≫ m0 ) è descritta dalla formula di Bethe-Bloch
2m0 c2 β 2 γ 2
4πe4 N Z z2
δ(γ)
dE
2
ln
=
−β −
(3.1)
−
dx
m0 c2 β 2
I
2
in cui N e Z sono rispettivamente la densità e il numero atomico del materiale
attraversato, z e β sono la carica e la velocità della particella incidente e m0
è la massa a riposo dell’elettrone. Il parametro I rappresenta l’eccitazione
media e il potenziale di ionizzazione del mezzo attraversato ed è normalmente
trattato come un parametro determinato sperimentalmente. Il termine δ(γ)
2
tiene conto delle correzioni di alte energie a causa della densità. In Figura 3.3 è mostrato l’andamento della perdita di energia in funzione di βγ per
particelle con Z = 1: possiamo quindi vedere che l’energia depositata da una
particella in un materiale ha un minimo a βγ ∼ 3 e tale minimo, fissato il
materiale, dipende solo dalla carica della particella incidente. Per velocità
maggiori la perdita di energia risale debolmente appiattendosi.
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
16
Figura 3.3: Andamento della formula di Bethe-Bloch
Nella figura 3.2 vediamo chiaramente tre picchi. Il primo picco corrisponde al rumore: è infatti centrato nello zero e l’ampiezza di questo picco
è dovuta alle fluttuazioni di rumore (∼ 40 canali ADC); gli altri due picchi
corrispondono rispettivamente ai rilasci di energia dei frammenti di 2 H e di
4
He che non hanno interagito e hanno perso energia solo per ionizzazione.
Dalla figura 3.2 possiamo inoltre stimare che il rapporto segnale-rumore vale
circa 7.5 per il picco del deuterio.
3.2
Necessità di equalizzare la risposta dei cristalli
Guardiamo ora i segnali raccolti da due cristalli differenti e per avere maggiore
statistica usiamo sempre la colonna centrale di cristalli. Confrontiamo quindi
sia i segnali raccolti da due cristalli vicini per profondità, ad esempio quelli
del primo e del secondo piano (Figura 3.4(a)), che quelli di due cristalli
differenti per profondità, come ad esempio quelli del primo e dell’ultimo piano
(Figura 3.4(b)).
Come possiamo vedere le risposte dei cristalli non sono le stesse. Dalla figura 3.4(a) possiamo infatti vedere che i picchi generati dai nuclei di
2
H e di 4 He non interagenti hanno posizioni diverse da cristallo a cristallo.
Poiché sappiamo che l’energia depositata per ionizzazione è la stessa in ogni
17
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
(a)
(b)
Figura 3.4: Diversità delle risposte dei vari cristalli
cristallo, si può dedurre che cristalli diversi abbiano guadagni diversi ed è
quindi evidente la necessità di equalizzare la risposta di tutti i cristalli ad
una stessa scala di energia per poter poi lavorare con le risposte di tutti i
cristalli insieme. Si può inoltre notare l’utilità dei segnali generati da particelle non interagenti per la normalizzazione della risposta di ogni cristallo.
Dalla figura 3.4(b) possiamo vedere sempre i picchi del deuterio e dell’elio
non interagenti ma vediamo anche che entrambi sono attenuati nell’ultimo
piano del calorimetro. Questo è dovuto al fatto che in fondo al calorimetro
è più probabile che le particelle incidenti abbiano interagito col materiale
assorbitore frammentandosi e generando degli sciami adronici. Questo porta
ad avere picchi meno pronunciati adagiati su un fondo più popolato rispetto
ai dati del primo e del secondo piano. Questo ci fa notare anche la necessità di ripulire i dati selezionando solo particelle che hanno attraversato il
calorimetro senza interagire per poter vedere meglio i profili dei picchi per
ogni cristallo.
3.3
Selezione di eventi non interagenti
Nelle immagini mostrate nelle figure 3.5-3.7 si possono vedere i vari tipi di
eventi che abbiamo menzionato nelle sezioni precedenti. Possiamo vedere
infatti in figura 3.5 il segnale lasciato dal passaggio di una particella non
interagente attraverso tutti i 14 piani del calorimetro. Nella figura successiva
(Figura 3.6) possiamo vedere un evento in cui il nucleo incidente interagisce
col mezzo assorbente dando luogo ad uno sciame, che, come possiamo notare,
non viene completamente raccolto dal calorimetro. Nell’ultima immagine
(Figura 3.7) possiamo vedere un evento in cui il nucleo ha probabilmente
interagito o poco prima di incidere sul calorimetro o nei primi piani e vediamo
18
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
Energy deposit (ADC channels)
Longitudinal profile
600
550
500
450
400
350
0
1
10
102
3
10
104
2
4
6
8
10
12
14
Layer Number
5
10
Energy deposit (ACD channels)
Figura 3.5: Particella non interagente
come il calorimetro raccolga in questo caso quasi completamente lo sciame
prodotto.
Andando a guardare l’istogramma in scala logaritmica (Figura 3.8) del
numero di cristalli che evento per evento raccolgono un segnale di particella,
identificati dalla relazione Si > 4 · SIGi , possiamo osservare strutture legate
ai tipi di evento sopra descritti. L’elevato numero di volte in cui nessun
cristallo ha raccolto un segnale corrisponde evidentemente alle volte in cui
il trigger è stato fatto partire non dalla particella, bensì dall’impulsatore. Il
secondo picco che si distingue molto bene è in corrispondenza di 14 cristalli
che hanno raccolto un segnale al passaggio di una particella: è logico quindi
associarlo agli eventi non interagenti. La coda di questo picco è dovuta
ai raggi delta. Infatti talvolta durante il processo di ionizzazione vengono
prodotti elettroni di energia abbastanza elevata da allontanarsi dalla traccia
primaria (solitamente indicati con “δ-rays”) e depositare quindi un segnale
rilevabile anche in altri cristalli oltre ai 14 illuminati dalla particella non
19
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
Longitudinal profile
Energy deposit (ADC channels)
3
×10
100
80
60
40
20
0
0
1
10
102
3
10
104
2
4
6
8
10
12
14
Layer Number
5
10
Energy deposit (ACD channels)
Figura 3.6: Particella interagente in profondità nel calorimetro
20
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
Longitudinal profile
Energy deposit (ADC channels)
3
400
×10
350
300
250
200
150
100
0
1
10
102
3
10
104
2
4
6
8
10
12
14
Layer Number
5
10
Energy deposit (ACD channels)
Figura 3.7: Sciame sviluppato da una particella interagente nei primi piani del calorimetro
interagente. Il fondo crescente ci dice che il calorimetro ha raccolto l’energia
depositata da particelle che hanno interagito dopo aver attraversato spessori
diversi di materiale assorbente e che, di conseguenza, hanno illuminato un
numero di cristalli dipendente dalla profondità a cui è avvenuta l’interazione.
Possiamo infine vedere che la distribuzione satura in corrispondenza di 122
cristalli illuminati poiché questo è il numero totale di cristalli collegati e
funzionanti del calorimetro.
Le particelle non interagenti idealmente corrisponderebbero a eventi che
danno un solo segnale in ogni piano, cioè un solo segnale in ogni cubo della
colonna scelta. Tuttavia bisogna considerare che durante il processo di ionizzazione possono essere emessi raggi delta e inoltre bisogna tenere presente che
sia il circuito elettronico di lettura sia i cristalli di scintillatore sono possibili
sorgenti di rumore.
Ad esempio, in figura 3.9, possiamo vedere un evento chiaramente non
interagente ma con segnale proveniente anche da cristalli fuori asse.
21
conteggi
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
Entries 431664
Mean
RMS
78.09
37.57
104
103
0
20
40
60
80
100
120
Figura 3.8: Distribuzione del numero di cristalli che evento per evento raccolgono un
segnale di particella
Per la selezione di eventi non interagenti abbiamo quindi richiesto come
prima cosa che in ogni piano ci fossero almeno uno e massimo due segnali.
Per fare una selezione un po’ più accurata abbiamo inoltre richiesto che ci
fossero massimo tre piani con più di un segnale. Per la scelta di queste
condizioni abbiamo cercato valori dei parametri che ci permettessero di fare
una buona selezione ma senza compromettere troppo la statistica. Possiamo
quindi vedere il risultato confrontando gli istogrammi dei segnali prima e
dopo la selezione degli eventi non interagenti (vedi Fig. 3.10-3.11).
In entrambe le coppie delle figure 3.10-3.11, il secondo istogramma è stato
riempito selezionando gli eventi non interagenti.
3.4
Interpolazione delle distribuzioni
Una volta selezionate le particelle non interagenti, bisogna stimare le posizioni dei picchi in ogni cristallo per poter portare la risposta dell’intero
calorimetro su una stessa scala di energie. Considerando lo spessore di ogni
cristallo, che è 3.6 cm, è evidente che non possiamo trattarlo come un rivelatore sottile e che quindi la distribuzione dell’energia persa dovrebbe avere
un andamento abbastanza gaussiano. Provando però ad interpolare le distribuzioni con una doppia gaussiana si vede bene (Figura 3.12) che la funzione
22
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
Energy deposit (ADC channels)
Longitudinal profile
1900
1800
1700
1600
1500
1400
1300
1200
0
1
10
102
3
10
104
2
4
6
8
10
12
14
Layer Number
5
10
Energy deposit (ACD channels)
Figura 3.9: Esempio di raggio delta
(a) Prima della selezione
(b) Dopo la selezione
Figura 3.10: Effetto della selezione degli eventi non interagenti tra primo e secondo piano
23
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
(a) Prima della selezione
(b) Dopo la selezione
Figura 3.11: Effetto della selezione degli eventi non interagenti tra primo e ultimo piano
non concorda con l’andamento dei dati, in particolare l’intervallo compreso
tra i due picchi risulta più popolato di quello che ci si aspetterebbe.
conteggi
Cristallo centrale
Entries
Mean
RMS
900
800
20940
812.1
472.4
700
600
500
400
300
200
100
0
0
500
1000
1500
2000
2500
canali ADC
Figura 3.12: Esempio di fit con una doppia gaussiana
Per prima cosa bisogna tenere presente che l’andamento gaussiano per assorbitori spessi si ottiene dal teorema del limite centrale e quindi servirebbe
un calorimetro infinitamente profondo per mettere in pratica l’enunciato del
teorema. Di conseguenza è possibile che i dati abbiano un andamento non
perfettamente gaussiano, con delle code più lunghe e popolate del normale
che richiamano la Landau tipica degli assorbitori sottili. In secondo luogo
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
24
esiste un altro fenomeno che più spiegare l’andamento dei dati nell’intervallo
tra i due picchi: la spallazione dell’elio. E’ possibile infatti che l’elio interagisca con il cristallo ma, invece di generare uno sciame, si spacchi semplicemente
in due producendo due nuclei di deuterio che, per la conservazione dell’impulso, procederanno “fianco a fianco”. Se questi due nuclei a loro volta non
interagiscono, l’evento soddisfa la selezione di particelle non interagenti dai
noi fatta e si ottiene quindi un segnale di intensità doppia rispetto a quella
del deuterio che va a popolare appunto la zona tra i due picchi.
Concentrandosi sul profilo del picco dell’elio possiamo inoltre notare delle
evidenti code non gaussiane, più pronunciate a sinistra del picco dell’elio.
Un’ipotesi che tenta di spiegare il motivo di questa struttura particolare
nel picco dell’elio sostiene che essa sia causata dalla ionizzazione diretta del
fotodiodo ad opera del fascio di nuclei. Infatti, se parte del fascio passa attraverso il fotodiodo, esso raccoglie sia il segnale prodotto per ionizzazione
diretta della sua zona di svuotamento sia quello prodotto dalla scintillazione
del cristallo per il passaggio delle particelle ionizzanti. Nonostante non siano
ancora stati analizzati i dati del tracciatore, abbiamo cercato di verificare
se questa possa essere un’ipotesi ragionevole cercando il valore atteso del
segnale generato per ionizzazione nei due materiali.
Sapendo che per particelle al minimo di ionizzazione la perdita di energia
media per ionizzazione del silicio è dE
= 1.664 M eV g −1 cm2 mentre quello
dx
= 1.234 M eV g −1 cm2 e che la profondità della zona di svuodello CsI è dE
dx
tamento del fotodiodo è pari a 150 µm mentre quella di un cristallo è pari a
3.6 cm, possiamo calcolare l’energia depositata dalla particella:
h∆EiSi = 1.664M eV g −1 cm2 · 2.329gcm−3 · 150 · 10−4 cm =
= 0.058M eV = 5,8 · 10−5 GeV
(3.2)
h∆EiCsI = 1.243M eV g −1 cm2 · 4.510gcm−3 · 3.6cm =
= 20.18M eV = 2,018 · 10−2 GeV
(3.3)
Conoscendo l’energia necessaria per creare una coppia elettrone-lacuna nel
Si, pari a 3.6 eV , possiamo calcolare l’entità del segnale prodotto dalla
ionizzazione diretta:
SSi (elettroni) = 5,8 · 10−5 GeV · 0.28 · 109 GeV −1 = 16240 elettroni. (3.4)
Per calcolare il segnale prodotto dalla scintillazione del cristallo servono
informazioni riguardanti l’efficienza del cristallo ma anche coefficienti che
tengano conto dell’accoppiamento ottico cristallo-fotodiodo. Sappiamo che
il fattore di conversione dell’energia in fotoni del CsI è 54 f otoniKeV −1 e
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
25
che l’efficienza quantica del fotodiodo Q è pari a 0.68. Abbiamo calcolato il
fattore geometrico come rapporto tra la superficie del fotodiodo e quella di
2
una faccia di un cubo: G = 0.92
= 0.0653 e con delle simulazioni è stato
3.62
stimato il coefficiente di raccolta dei fotoni ǫCsI = 0.81 . Il segnale prodotto
dal passaggio di una particella ionizzante attraverso il cristallo è quindi:
SCsI (elettroni) = 2,018·10−2 GeV ·54·106 GeV −1 ·0.68·0.0653·0.8 = 38710 elettroni.
(3.5)
Si può quindi vedere che il segnale dovuto alla ionizzazione diretta è circa il
42% di quello causato dalla scintillazione del cristallo.
Guardando sull’istogramma la posizione del picco dell’elio e le strutture che
lo caratterizzano possiamo vedere che questa ipotesi è consistente con i dati
sperimentali. Possiamo infatti vedere che la distanza tra la posizione del
picco dell’elio e quella della sporgenza presente sulla sua coda sinistra è circa
il 40% della posizione del picco dell’elio.
Non siamo in grado di giustificare perché sia più pronunciato il picco corrispondente al fascio sovrapposto con il fotodiodo poiché non è stata ancora
effettuato né uno studio approfondito del problema con simulazioni né l’analisi dei dati del tracciatore. Dai dati del tracciatore infatti si potrebbe ricavare
il profilo del fascio e stimare la sovrapposizione con il fotodiodo verificando
se i profili ottenuti sono consistenti.
Appurato che non è possibile ricavare la posizione dei due picchi da un fit
con una doppia gaussiana, la soluzione che abbiamo trovato è stata di usare
comunque il modello gaussiano ma di restringerlo in un intorno dei picchi.
Inoltre, considerando le strutture dei picchi precedentemente evidenziate,
abbiamo selezionato un intervallo in cui fare il fit asimmetrico rispetto al
picco:
• [picco − 1σ; picco + 2σ]: nel caso dell’elio
• [picco − 2σ; picco + 1σ]: nel caso del deuterio
Per migliorare la qualità dei parametri da stimare, abbiamo eseguito il fit più
volte partendo da una situazione iniziale ottenuta da media e varianza della
distribuzione valutate in un intorno del picco e aggiornando iterativamente i
parametri iniziali e l’intervallo del fit.
Il fit è stato eseguito popolando gli istogrammi con tre metodi diversi.
1
E’ stato stimato con simulazioni in cui dei fotoni interni al cristallo venivano in parte
riflessi e in parte trasmessi dalle 5 facce satinate e venivano poi trasmessi dall’unica faccia
lucidata, su cui è stato poi posto il fotodiodo. Si è visto quindi che nelle riflessioni sulle
faccine satinate si perde circa il 20% del fotoni generati all’interno dei cristalli.
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
26
Istogramma Completo Ottenuto applicando solo le condizioni di particella non interagente. Variando l’intervallo su cui eseguire il fit abbiamo
stimato la posizione del picco del deuterio e dell’elio rispettivamente
(Figura 3.13).
Istogramma I Ottenuto richiedendo che il segnale di ogni piano fosse inferiore a 450 canali ADC. Sull’istogramma così riempito abbiamo poi
eseguito il fit per stimare la posizione del picco del deuterio (Figura 3.14(a)).
Istogramma II Ottenuto richiedendo che il segnale depositato in ogni piano
fosse superiore a 450 canali ADC. Su tale istogramma abbiamo eseguito
il fit per valutare la posizione del picco dell’elio (Figura 3.14(b)).
(a) Picco del deuterio
(b) Picco dell’elio
Figura 3.13: Fit eseguito sull’istogramma completo
(a) Fit eseguito sull’istogramma I
(b) Fit eseguito sull’istogramma II
Figura 3.14: Fit eseguiti sugli istogrammi parzialmente riempiti
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
27
I risultati dei fit eseguiti sugli istogrammi riempiti con i 3 metodi non
sono sensibilmente diversi ma abbiamo scelto di usare l’istogramma completo per valutare il picco del deuterio e l’istogramma riempito selezionando a
priori l’elio per la stima del picco dell’elio per le seguenti considerazioni.
Per quanto riguarda la stima del picco del deuterio, richiedere che il segnale
depositato in ogni piano sia inferiore alla soglia scelta è una condizione molto
dura che fa perdere molta statistica. Per ragioni statistiche infatti i depositi
di energia nei singoli piani possono anche fluttuare verso valori maggiori della soglia ma questo non rende tali eventi da scartare, come facciamo invece
noi con questa condizione. Di conseguenza è più corretto decidere di usare i
valori ottenuti dal fit eseguito sull’istogramma completo.
Per quanto concerne la valutazione del picco dell’elio, la richiesta che il segnale di ogni piano sia maggiore della soglia indicata comporta che vengano
scartati solo i segnali che popolano la coda della distribuzione del deuterio e
questo permette di ottenere un istogramma più pulito dei dati dell’elio.
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
3.5
28
Risultati
Figura 3.15: Illustrazione delle colonne
I risultati ottenuti sono riportati in tabella 3.1 dove i diversi cristalli sono
identificati seguendo la notazione illustrata in figura 3.15.
Tabella 3.1: Posizione dei picchi in ogni cristallo
2
piano
0
1
2
3
4
5
6
7
8
10
11
12
13
0
1
2
3
4
5
6
8
9
10
H
colonna picco±errore
0
377.5±5.3
0
338.4±3.9
0
312.4±4.1
0
266.1±3.7
0
407.8±3.6
0
343.2±4.0
0
401.9±5.5
0
360.7±3.8
0
357.9±3.8
0
207.7±2.9
0
346.4±4.1
0
301.2±3.9
0
375.5±3.9
1
270.8±2.5
1
337.8±2.9
1
389.3±3.1
1
346.7±3.3
1
312.3±2.3
1
324.7±3.7
1
352.0±2.5
1
300.7±1.9
1
339.9±3.1
1
365.3±3.6
4
piano
0
1
2
3
4
5
6
7
8
10
11
12
13
0
1
2
3
4
5
6
8
9
10
He
colonna picco±errore
0
1679.5±7.3
0
1519.8±7.5
0
1405.9±7.4
0
1204.5±7.2
0
1847.3±10.9
0
1530.8±10.2
0
1809.0±10.8
0
1632.2±9.9
0
1615.5±10.7
0
920.2±3.6
0
1533.1±11.2
0
1328.8±10.0
0
1679.3±11.5
1
1206.1±4.9
1
1514.1±6.4
1
1760.9±8.3
1
1552.9±7.3
1
1405.2±6.2
1
1461.5±7.2
1
1589.7±9.7
1
1356.7±6.9
1
1518.2±7.3
1
1622.6±8.1
29
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
11
12
13
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
0
1
2
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
1
1
1
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
393.8±3.7
339.1±2.9
368.8±2.6
276.9±3.7
272.8±5.7
346.1±6.4
378.9±6.1
315.4±5.8
328.9±4.4
372.9±5.4
388.4±6.4
386.2±7.4
319.6±4.6
381.9±4.5
291.9±4.2
363.4±5.3
323.9±4.6
394.2±2.6
355.7±2.6
299.7±2.8
278.5±1.9
369.2±2.8
277.4±2.2
336.9±2.5
311.6±2.6
442.2±3.1
246.1±2.2
419.7±3.4
370.3±2.3
393.8±3.2
266.5±1.3
356.2±2.1
313.1±1.5
293.6±1.5
291.6±2.5
309.7±1.7
293.8±1.6
335.8±1.9
335.6±2.1
376.3±2.1
11
12
13
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
0
1
2
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
1
1
1
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
1762.8±8.1
1532.2±7.7
1664.1±8.2
1240.3±8.3
1218.2±7.7
1525.8±12.0
1651.9±12.8
1353.6±10.2
1464.5±10.0
1671.7±12.9
1705.9±12.8
1702.7±14.7
1442.8±12.0
1720.2±13.0
1281.8±8.7
1656.1±14.7
1421.9±13.4
1750.3±6.3
1590.9±7.1
1351.3±5.4
1268.8±5.6
1678.5±7.5
1244.8±4.9
1530.0±6.5
1400.7±6.2
2002.8±8.7
1100.3±5.7
1879.0±7.5
1672.3±8.2
1774.9±8.2
1182.3±3.4
1580.1±5.1
1399.8±4.4
1330.1±4.5
1288.7±4.5
1397.3±4.9
1342.2±4.2
1495.9±5.9
1509.2±5.2
1695.9±5.9
30
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
10
11
12
13
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
0
1
2
3
4
5
6
7
4
4
4
4
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
7
7
7
7
7
7
7
7
346.7±1.7
298.3±1.6
395.7±1.9
352.6±1.7
330.5±2.6
300.9±3.1
369.8±3.9
372.6±3.7
367.2±2.5
272.9±2.9
315.8±3.1
350.7±3.3
378.3±2.9
362.6±2.7
318.8±3.1
344.4±3.0
392.4±3.1
265.7±2.4
420.8±6.4
319.8±4.9
325.3±3.6
375.0±3.6
388.3±4.3
407.5±3.9
357.8±3.0
385.9±4.7
416.3±5.8
369.7±5.9
293.2±4.9
268.6±2.7
266.7±3.4
426.7±7.7
290.6±2.3
335.5±3.4
368.9±3.5
367.3±3.4
426.1±6.2
342.9±2.9
277.8±2.5
388.1±3.2
10
11
12
13
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
0
1
2
3
4
5
6
7
4
4
4
4
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
6
7
7
7
7
7
7
7
7
1556.2±4.8
1336.1±4.4
1792.7±6.1
1588.7±5.5
1438.2±6.4
1320.4±6.4
1638.0±8.6
1669.9±7.5
1662.8±7.5
1235.6±6.7
1425.7±6.6
1543.9±7.8
1721.0±8.1
1636.7±8.1
1429.1±6.5
1546.7±7.2
1745.6±9.4
1208.7±7.0
1805.6±9.8
1398.9±8.4
1462.1±8.2
1707.8±10.5
1740.9±9.9
1856.9±11.4
1608.2±8.4
1720.6±10.9
1866.4±14.7
1645.9±10.7
1306.5±9.9
1186.4±7.1
1214.0±7.4
1944.6±12.9
1291.7±6.0
1506.3±8.1
1649.4±8.5
1666.8±8.6
1875.6±11.9
1548.9±7.7
1238.9±7.1
1742.1±9.0
31
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
8
9
10
11
12
13
0
1
2
3
4
5
6
7
9
10
11
12
13
7
7
7
7
7
7
8
8
8
8
8
8
8
8
8
8
8
8
8
218.5±1.9
310.4±2.8
347.5±3.8
312.8±2.7
380.5±3.9
286.7±2.7
336.5±4.9
345.6±4.1
325.0±6.3
300.6±4.7
363.5±4.8
278.4±2.9
324.2±3.0
341.8±4.8
344.1±4.4
291.2±4.3
292.2±4.5
435.8±6.2
289.0±3.5
8
9
10
11
12
13
0
1
2
3
4
5
6
7
9
10
11
12
13
7
7
7
7
7
7
8
8
8
8
8
8
8
8
8
8
8
8
8
974.1±3.2
1388.5±7.2
1571.9±8.4
1394.5±7.9
1710.5±9.3
1278.4±8.1
1437.9±7.3
1552.7±10.9
1411.5±13.4
1331.6±10.8
1648.4±15.6
1277.5±10.5
1452.0±9.8
1512.5±10.8
1537.2±11.2
1263.1±9.7
1276.7±10.2
1911.7±19.9
1300.4±10.2
Con questi valori abbiamo verificato che il rapporto tra il valore del picco
del deuterio e quello dell’elio fosse 1:4 poiché, a parità di materiale assorbitore, l’energia depositata delle particelle va come z 2 . Facendo questa verifica, abbiamo però notato che il rapporto non è 1:4 entro l’errore ma viene
sempre un po’ maggiore (vedi Figura 3.16).
Entries
122
Mean
4.473
RMS
0.05927
7
6
5
4
3
2
1
0
4.25
4.3
4.35
4.4
4.45
4.5
4.55
4.6
Figura 3.16: Distribuzione dei rapporti tra le posizioni dei picchi di 2 H e 4 He
32
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
Entries
Mean
RMS
6
122
338.8
46.43
5
5
4
4
3
3
2
2
1
1
0
0
200
250
300
350
400
450
(a) Guadagni dei cristalli per il deuterio
Entries
Mean
RMS
6
1000
1200
1400
1600
1800
122
1515
209.7
2000
(b) Guadagni dei cristalli per l’elio
Figura 3.17
Una prima ipotesi presa in considerazione per giustificare il fatto che il
rapporto tra le posizioni dei picchi non è esattamente pari a 4 riguarda la
differenza di massa tra deuterio ed elio. Infatti, fissata la rigidità R (vedi eq.
3.6), βγ varia al variare della massa secondo la formula:
R=
p
M βγc
=
Ze
Ze
(3.6)
e questa variazione comporta una variazione dell’energia depositata secondo
la formula di Bethe-Bloch (vedi eq. 3.1). Abbiamo però calcolato che la
differenza tra i rispettivi valori di βγ è tale da non provocare differenze
apprezzabili nelle quantità di energia depositata: il rapporto infatti tra le
energie depositate viene pari a 4.003739.
Il rapporto tra i picchi è invece consistente con la tesi secondo la quale il
picco dell’elio è dato dalla somma di scintillazione e di ionizzazione diretta
della zona di svuotamento dei fotodiodi.
Gli istogrammi in figura 3.17 mostrano la distribuzione dei guadagni dei
singoli cristalli per segnali di deuterio ed elio non interagenti. Si può notare
che, sia con i dati del deuterio che con quelli dell’elio, il guadagno in percentuale dei vari cristalli ha una dispersione di circa il 14%, con una differenza
massima del guadagno che arriva a ∼ 50%.
3.6
Risultati con il fascio a 12.8 GV /c
E’ stata fatta anche l’analisi per i dati del fascio a 12.8 GV /c per i soli cristalli
della colonna centrale ed i risultati sono riportati nella tabella 3.2.
Anche con questi dati si può vedere che il rapporto tra la posizione del
picco dell’elio e quella del deuterio è di poco maggiore di 4 in media.
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
2
piano
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
H
colonna picco±errore
4
246.3±2.9
4
334.2±1.7
4
297.7±2.0
4
281.6±1.6
4
275.5±1.9
4
293.7±1.9
4
279.0±2.0
4
319.4±1.7
4
318.4±2.2
4
365.2±1.9
4
332.6±2.1
4
281.1±1.7
4
379.5±1.9
4
333.1±1.9
33
4
piano
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
He
colonna picco±errore
4
1038.7±4.0
4
1441.8±4.6
4
1284.9±4.6
4
1197.6±4.0
4
1174.2±4.3
4
1274.5±4.3
4
1206.6±4.4
4
1377.6±4.3
4
1393.5±4.6
4
1556.3±4.9
4
1430.2±4.3
4
1218.3±3.8
4
1656.9±5.3
4
1463.2±4.8
Tabella 3.2: Posizione dei picchi nella colonna centrale con il fascio a 12.8 GV /c
Per quanto riguarda le posizioni assolute dei picchi, invece, si vede che
queste sono sistematicamente spostate verso valori più bassi. Questo andamento è, in prima approssimazione, consistente con l’andamento della dE
dx
nella regione della risalita relativistica (vedi equazione 3.1).
3.7
Normalizzazione dei segnali
Dai risultati ottenuti possiamo osservare che, per quanto riguarda gli errori
sulla posizione dei picchi, essi sono più piccoli per l’elio rispetto a quelli
del deuterio. Se si considera invece la bontà dei fit, vediamo che l’approssimazione gaussiana è migliore per il picco del deuterio. Nel contesto di questo
lavoro di tesi non è evidente quale sia la normalizzazione migliore ma questo
non è di fondamentale importanza. Lo scopo di questa tesi è infatti effettuare
una calibrazione relativa dei cristalli. La calibrazione assoluta in energia invece verrà effettuata misurando l’energia totale depositata nel calorimetro
dalle particelle interagenti. Un’analisi della risposta del calorimetro agli sciami permetterà inoltre una valutazione finale su quale sia la normalizzazione
migliore. Ci possiamo aspettare comunque che le normalizzazioni siano equivalenti e che la risoluzione energetica sia determinata quasi esclusivamente
dalle fluttuazioni nello sviluppo degli sciami.
34
CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE DEI CRISTALLI
Cristalli centrali del primo e dell’ultimo piano
conteggi
conteggi
Cristalli centrali del primo e del secondo piano
2400
2200
2400
2200
2000
2000
1800
1800
1600
1600
1400
1400
1200
1200
1000
1000
800
800
600
600
400
400
200
0
0
200
2
4
6
(a)
8
10
12
unita’ arbitrarie
0
2
4
6
8
10
12
unita’ arbitrarie
(b)
Figura 3.18: Risultato della normalizzazione rispetto al picco del deuterio
Nelle figure 3.18(a) e 3.18(b), ad esempio, possiamo vedere il risultato
della normalizzazione dei segnali dei cristalli rispetto al picco del deuterio,
ottenuto ponendo arbitrariamente a 1 la posizione del picco del deuterio.
Possiamo osservare come le posizioni dei picchi del deuterio siano ora
tutte coincidenti, a differenza degli istogrammi riportati in figura3.4(a)
Bibliografia
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Instruments and Methods A
[12] J.D. Sullivan, Geometric factor and directional response of single
and multi-element particle telescopes, Nuclear Instruments and Methods,
95(1):5-11, 1971.
35
Scarica

Calibrazione dei cristalli del prototipo del calorimetro di