PA R O L E - C H I AV E
Peer review
La peer review è uno di quei termini magici
che vengono per lo più mormorati fra conoscenti
e personaggi che vivono “dal di dentro” la ricerca
biomedica, essendo considerata, per certi aspetti,
la pietra filosofale dell’attuale mondo scientifico.
Tradotto letteralmente, il termine significa
“revisione tra pari”, o qualcosa di simile. La
parola peer, per la verità, è molto ambigua: può
voler dire sia pari nel senso “di pari rango o età”,
sia peer nel senso di colui o colei che siede nella
camera dei Lord, il ramo più alto del parlamento
britannico. Il termine review è un’altra bella
inglesata, poiché con understatement tutto
albionico sottintende la parola “critica”, cioè il
dare un parere professionale su un atto o su un
prodotto della propria attività. Ma che c’entra
tutto ciò con la peer review che conosciamo?
Beh, se anteponiamo alla espressione la parola
editorial si capisce immediatamente che si sta
parlando del meccanismo attraverso il quale
viene regolata (o forse è meglio dire: affrancata)
la pubblicazione della produzione scientifica, sia
in campo biomedico sia in molte altre discipline.
DA QUANDO ESISTE LA PEER REVIEW?
La peer review ha radici lontane. Non
scomoderei, in questo caso, il codice di
Hammurabi (celebre ricettacolo per i “te lo avevo
detto” del ventesimo secolo) o il generale cinese
Sun Tzu (fonte di ogni saggezza). Piuttosto,
riterrei opportuno sottolineare la similitudine tra
la revisione critica tradizionalmente praticata e la
classica consultazione al capezzale del malato,
magistralmente illustrata dalla fantasia di Collodi.
La malattia di Pinocchio (al quale potremmo
sostituire il manoscritto) è oggetto di
consultazione fra la Fata dai capelli turchini nella
veste del medico di famiglia (consideriamola
l’Editor di una rivista) e specialisti di chiara fama
quali il Grillo parlante, la Civetta e il Corvo (sono
loro, dunque, i referee o revisori). Questi ultimi
sono venuti da lontano per esprimere pareri
autorevoli su come migliorare la salute di
Pinocchio (il manoscritto), affinché la Fata dai
capelli turchini (l’Editor) possa prendere una
decisione giusta sul trattamento da somministrare
a Pinocchio (che, ricordiamolo, è il manoscritto)
onde arrivare alla guarigione (da considerare
alla stregua della pubblicazione).
Mettendola in maniera più diretta: mandami
un manoscritto; tu vorresti che io lo pubblicassi
ma, prima, lo farò vedere a chi so io (compreso
uno statistico che ti torturerà fino all’ultimo “chi
quadrato”); quando sarò pronto, mi farò vivo.
Non chiamarmi, non rompere.
QUALE IMPATTO HA LA PEER REVIEW
SULLA QUALITÀ DELLE CONOSCENZE
BIOMEDICHE?
Non esistono studi comparativi convincenti
che dimostrino che i contributi sottoposti alla
peer review siano metodologicamente migliori;
per la verità, una serie di studi piccoli,
probabilmente non rappresentativi, mette in
dubbio la validità di procedure ampiamente
praticate quali il vicendevole accecamento
(metaforico, naturalmente) di revisori, direttori
delle riviste e autori, o l’attività di formazione dei
revisori. Al punto che una revisione Cochrane
sull’argomento non ha trovato persuasive
evidenze di efficacia della peer review. D’altra
parte, direte voi, non è questa è la conclusione
della maggior parte delle revisioni Cochrane? E
già, cari amici, ma qui si tratta del meccanismo
con cui si assegnano i premi Nobel e attraverso il
quale vengono fatte e disfatte carriere…
Senza contare che ci troviamo in un momento
particolare. Medici e cittadini sono bombardati
da grappoli di informazioni: leggi questo, segui
questa terapia, non sottoporti a questo
trattamento, attenti agli effetti collaterali di
questo farmaco. Come fare, se non si dispone
neanche della certezza di potersi fidare di ciò che
leggiamo sulle riviste internazionali a più elevato
impact factor?
ESISTONO ALTERNATIVE
ALLA PEER REVIEW?
È sorto un movimento internazionale di
ricerca sulla peer review che nell’ultimo decennio
ha fatto notevoli progressi nel comprenderne i
limiti, iniziando ad esaminare seriamente la
possibilità di migliorarla o di trovare delle
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W E B WAT C H
alternative. La più promettente delle quali, a mio
giudizio, è quella basata sulla collaborazione fra
Fata, Pinocchio e Civetta, un’idea presa in prestito
dalla Collaborazione Cochrane.
L’idea è semplice: invii ad una rivista un
protocollo, questo viene criticato, vivisezionato
alla solita maniera ed eventualmente modificato,
finalmente accettato. Gli autori portano avanti lo
studio facendo riferimento al protocollo e non
sulla base di ciò che dice il primario o il Mago
Raul di Lambrate. L’articolo sarà pubblicato sulla
rivista che ha accettato il protocollo. Durante
tutto l’iter, gli autori sono seguiti ed aiutati (sì,
amici, avete letto bene, aiutati) dalla Fata e dalla
Civetta.
Se questa idea prendesse piede nonostante le
resistenze dell’establishment editoriale, forse
arriveremmo ad una notevole contrazione del
mercato editoriale (che bello!!!!) con meno
testate e più qualità (mamma li turchi!).
DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI
La casa editrice mi ha promesso, quale
compenso per il presente contributo, una cassa
di ottimo rosso toscano.
Tom Jefferson
Cochrane Vaccines Field
Servizio Sovrazonale
di Epidemiologia,
ASL 20 Alessandria
[email protected]
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
(PER LETTURA COATTA)
Jefferson TO, Alderson P, Davidoff F, Wager E.
Editorial peer-review for improving the quality of
reports of biomedical studies. The Cochrane Database
of Methodology Reviews 2001, Issue 3. Art. No.:
MR000016. DOI: 10.1002/14651858.MR000016.
Godlee F, Jefferson TO, eds. Peer review in health
sciences. Second Edition. London: BMJ Books, 2003.
Jefferson TO, Alderson P, Davidoff F, Wager E. Effects
of editorial peer review: a systematic review. JAMA
2002; 287: 2784-6.
Jefferson TO, Wager E, Davidoff F. Measuring the
quality of editorial peer review. JAMA 2002; 287:
2786-90.
Wager E, Godlee F, Jefferson TO. How to survive peer
review. London: BMJ Books, 2002.
Pediatri in Africa: l’impegno
di Medici con l’Africa
Il reparto di pediatria dell’ospedale di Uige,
in Angola, è zeppo all’inverosimile, soprattutto
in piena stagione delle piogge quando la
malaria è ancora più cattiva. Ciò che colpisce
entrandovi è la quantità di gente presente,
mamme che portano bambini sulla schiena e
utensili impilati in testa, lattanti avvolti in
fagottini variopinti o afflosciati inermi tra le
braccia che respirano con un gemito flebile
premonitore di un evento tragico. Ovunque
sguardi intensi, intristiti, sorridenti, affranti dal
dolore, il vociare delle donne a volte
minaccioso per ottenere un po’
di spazio sul pavimento dove stendere la stuoia,
a volte simpaticamente pettegolo, si salutano,
si scambiano informazioni, supplicano un po’
di attenzione per il proprio bambino.
Ciò che le immagini e il racconto non riescono
a comunicare, ma che resta impresso nel
ricordo, è un odore intenso, caldo, dovuto al
sudore, alle secrezioni purulente, alla sporcizia
diffusa che prende alla testa e allo stomaco e al
quale dopo un po’ ci si abitua, ci si deve
comunque abituare se si vuole lavorare.
Seimila e duecento parti l’anno, il 5% di
neonati prematuri e il 5% di neonati con
asfissia, una mortalità perinatale di 4,5% (forse
un po’ sottostimata!). Ogni giorno ci sono dai
170 ai 250 bambini presenti. Nel 2004 sono
http://www.mediciconlafrica.org/
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