Modulo 4 – Unità 1
“La riparazione ossea: i fattori meccanici e biologici in gioco”
Dall’intervento del Professor Giorgio Maria Calori
Presidente CIO (Club Italiano dell’Osteosintesi); Primario U.O.C. Chirurgia Ortopedica Riparativa –
Risk Management dell’Istituto G. Pini, Università di Milano; Presidente ESTROT “European Society
Tissue Regeneration in Orthopaedic and Trauma”
La riparazione ossea: i fattori meccanici e biologici in gioco
Oggigiorno la traumatologia moderna è arricchita
da nuove conoscenze nell’ambito della
biomeccanica e della biologia.
La pseudoartrosi, il fallimento della frattura che
non guarisce, oggi non deve essere più
considerato tale bensì permette ampi margini di
manovra: il tessuto di pseudoartrosi non è un
tessuto morto, definitivamente patologico, ma
ancora possiede larghe potenzialità
osteogenetiche se, però, correttamente stimolato.
Per una maggiore comprensione di quale
stimolo necessitano queste lesioni, che si sono
complicate, devono essere preliminarmente
puntualizzati i fattori di rischio che
contribuiscono appunto a determinare, a predire
questo fallimento.
Alcuni sono fattori generali del paziente, quali:
età, sesso, dieta, abitudini alimentari, il fumo,
l’alcol, le droghe e malattie temibili che
interferiscono pesantemente, come il diabete e le
malattie reumatiche oltre ai farmaci.
Vi sono quindi fattori locali, intrinseci alla
lesione originaria, primaria, che sono
commisurati all’evento traumatico, all’intensità
del meccanismo di produzione del trauma,
certamente all’impoverimento della
vascolarizzazione, ma anche all’esposizione della
frattura, alla morfologia della frattura, alla
complicazione. Quanto più è comminuta una
frattura, certamente più è impoverita e quindi
determinerà maggiore rischio nel procedere
verso una normale guarigione.
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Una volta compresi e puntualizzati i fattori di
rischio, ecco che oggigiorno è sempre più
necessario – proprio a fronte della grande
evoluzione tecnologica che permette nuovi
approcci e per quanto detto di trattare
comunque questo tipo di complicanze –
ottemperare una corretta classificazione, un
inquadramento che non solo tenga conto di
quelle che sono le caratteristiche morfologicodescrittive della frattura, come sempre è stato
fatto in passato, ma anche che possano
interpretare quelle che sono le problematiche
generali del paziente.
Quindi non solo osso, ma
anche tessuti molli, anche la storia del paziente,
la morbilità, le peculiarità anche in negativo del
paziente come, per esempio, se è portatore di
diabete, se è soggetto a terapie farmacologiche,
se è un paziente reumatoide, se è un paziente
che ha avuto numerosi interventi chirurgici
preliminarmente o se è impoverito con
un’ampia perdita di sostanza ossea come
estrema complicazione della pseudoartrosi, al
fallimento anziché una semplice pseudoartrosi,
che come una volta veniva definita ipertrofica,
necessiterebbe soltanto una maggiore
stabilizzazione meccanica.
Ecco quindi che è stata sviluppata - e proposta
internazionalmente - una nuova classificazione
ormai in uso in numerosi Paesi basata su di un
principio di scoring system. Da zero a cento
sono pesati dei fattori di rischio che sono per
l’appunto quelli che servono a raccogliere il
punteggio e, in base a questo, vengono definite
delle categorie di rischio per la patologia, in
modo da rendere davvero omogenea la
trattazione di queste patologie, e di
conseguenza di questi pazienti.
Sono pertanto state stabilite 4 categorie: da 0 a
cento lo score; ogni 25 punti una categoria di
gravità maggiore, con un gradiente di gravità.
- Da 0 a 25 punti una prima fascia, è la
categoria che ha problemi meccanici
maggiori, richiede un trattamento
standard, anche solo gestendo una
rigidificazione della sintesi oppure
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-
-
-
derigidificando la sintesi, se fosse questa troppo rigida;
una seconda categoria, da 26 a 50 punti che vanta problematiche minori, però sia
nell’ambito biomeccanico che in quello biologico. In questo ambito è necessario
realizzare cure comunque specializzate, che interpretano anche una stimolazione
biologica. È questo l’ambito dell’applicazione delle biotecnologie, secondo
l’applicazione di una monorail therapy, cioè di una ionoterapia;
la terza fascia, quella più interessante perché più pregnante l’argomento che stiamo
trattando, tra 51 e 75 punti, è una fascia di grande problematica perché compete
patologie che hanno disordini meccanici e biologici maggiori e, comunque, che
necessitano di cure specialistiche di alta tecnologia e, quindi, anche l’applicazione delle
biotecnologie secondo il principio della politerapia;
la quarta fascia, di maggiore gravità oltre i 75 punti, certamente oggi può interpretare
problematiche di amputazione primaria, perché il paziente a volte è così grave e per
necessità personali richiede anch’esso stesso un’amputazione anziché perseguire un
lungo iter magari fallimentare e, comunque, molto penoso di cure con esito incerto
(ovvero a oggi ancor più sono proposte delle sostituzioni protesiche con protesi da
grande resezione se la pseudoartrosi interessa segmenti ossei di ossa lunghe
maggiori).
Tornando alla problematica biologica,
certamente oggigiorno la medicina è una
medicina che tende a essere rigenerativa e non
più solo ripartiva. Oggi molte sono le
puntualizzazioni circa le proprietà
biomeccaniche, funzionali, biochimiche, cioè
tutte quelle circostanze che comunque sono
splittate per poter meglio interpretare gli intimi
meccanismi biologici. Questo deve essere ridato
all’osso, l’osso ha bisogno di ritornare a essere
se stesso e, quindi, quello che manca è quello
che noi dobbiamo fornire secondo un principio
di rigenerazione dei tessuti.
E che cosa manca? Il “concetto del diamante”,
affermato dagli studiosi Thomas Einhorn, Peter
Giannoudis e David Marsh inizialmente, mette a
fuoco quelle che sono le manchevolezze.
Sempre in un ambiente di stabilità meccanica –
che verrà poi spiegato – devono essere sempre
ottemperati i principi della presenza cellulare,
della necessità degli scaffold, sia che questi
siano per il sostegno nella correzione di
deformità o per un riempimento cavitario in
una perdita di sostanza, e i fattori di crescita
che agiscano davvero come facilitatori la
guarigione.
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Questo concetto del diamante poi, ancor più
recentemente, è stato ulteriormente
amplificato con un quinto lato e quindi
portando a un pentagono il diamante, perché
è sembrato – soprattutto dopo il convegno di
Berlino del 2009 – sottolineare internazionalmente
l’importanza della vascolarizzazione. Essa è infatti è
un criterio fondamentale per la guarigione delle
fratture.
Veniamo quindi a puntualizzare singolarmente
le precisazioni dei criteri che abbiamo esposto.
La stabilità meccanica
Quando noi trattiamo problematiche che
interessano ossa lunghe, è differente se
approcciamo situazioni articolari o extraarticolari. La situazione articolare, oltre che la
stabilità, e quindi il ripristino della stabilità,
richiede anche il ripristino della forma, perché le
articolazioni non devono solo sostenere, devono
anche funzionare e quindi articolandosi devono
permettere lo scivolamento, il che richiede
necessariamente una buona reintegrazione di
quelli che sono i criteri di forma, le forme delle
due parti articolari che sposandosi permettono
il movimento. In questa circostanza è necessaria
una stabilità assoluta per garantire, una volta
ricostruita, la buona evoluzione di guarigione di
queste lesioni con pertinenza articolare.
Differente è se il problema è espresso a livello
invece dello shaft, della diafisi ossea: qua è
necessario ripristinare asse, lunghezza e
rotazione, anche nel caso delle pseudoartrosi
così come nella traumatologia acuta e i criteri
sono di stabilità relativa perché oggi vengono
usate certamente con soddisfazione in questi
casi tecniche elastiche, quindi chiodi
endomidollari bloccati, fissatori o placche di
nuova generazione che sono e agiscono come
dei fissatori interni.
Perché questo? Perché i meccanismi di
rimodellamento osseo seguono la legge di Wolff,
il che significa che a seconda dello stimolo che
viene espresso, lo straight dell’osso agisce in fase
di rimodellamento adattandosi allo stress che noi
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vogliamo generare e, quindi, l’importanza di conoscere quali sono questi meccanismi, queste
sollecitazioni meccaniche che noi esprimiamo e che possiamo contribuire a predeterminare
nel momento in cui andiamo a stabilizzare un focolaio di pseudoartrosi.
Va detto al proposito che lo spettro di stabilità
è l’integrità che noi dobbiamo ripristinare.
Lo spettro di stabilità è una convenzione, come
il metro, è uguale a 1, quindi quando si verifica
l’impoverimento per soluzione di continuo
dell’osso, per esempio in due monconi,
certamente è meno di uno; se i monconi sono
tanti e la frattura, la pseudoartrosi è comminuta
a una perdita di sostanza, certamente ancora
minore il valore. Ecco che quindi spettro di
stabilità significa la capacità di stabilità
intrinseca la lesione, cui deve essere aggiunto
quello che noi con l’osteosintesi diamo, quindi
l’osteosintesi deve essere importante al punto
da ripristinare 1 come valore di riferimento.
Se la pseudoartrosi è instabile, noi dobbiamo
avere una sintesi che la stabilizzi, e quindi
riportare a 1 l’indice. Se è ancora più instabile
dovremmo usare un’osteosintesi ancora più
importante o dei criteri di stabilizzazione anche
con degli scaffold, degli innesti ossei per
supportare quello che è ancora più instabile.
Tutto ciò naturalmente deve essere in
considerazione del fatto che più ampio e più
vasto è l’approccio chirurgico, certamente
maggiore è la stabilità che riesco a realizzare,
ma nel fare questo posso produrre un danno
vascolare che può essere più elevato. E quindi,
data l’importanza che abbiamo or ora visto e
sottolineato della vascolarizzazione di questi
focolai - che deve essere certamente preservata
- ecco che bisogna porre e scegliere un criterio
sia di utilità pratica oltre che teorica e teoretica
sull’approccio di queste lesioni.
Va anche detto che questa stabilità, questo
spettro di stabilità deve poter permanere,
nell’ambito della trattazione di questa patologia,
il più a lungo possibile e, quindi, dobbiamo
scegliere dei presidi di osteosintesi che possano
garantire o che possano adattarsi,
modificandone la configurazione in corso di
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trattamento onde ottemperare davvero quelle
che sono le necessità della lesione. Lesione che
ricordiamo essere complicazione di una frattura
non guarita e, quindi, ancora più delicata e
difficile da curare.
Veniamo a degli esempi pratici.
In una fascia prima, dove abbiamo detto il disordine è
meccanico, vediamo una sintesi a dieresi con dei chiodi
molto in uso circa vent’anni fa, che purtroppo, essendo
troppo elastica, non ha permesso una guarigione.
In questo caso un chiodo bloccato semplicemente ha
permesso - garantendo maggiore stabilità soprattutto
sugli elementi torsionali, di scomposizione, cioè
annullando le forze di taglio - ha permesso una buona
guarigione.
Vediamo in fase 2 quando il disordine è meccanico,
meno rilevante e biologico comunque,
e vi è una presenza di entrambi gli elementi di
grado però lieve.
Vediamo in questa osservazione una frattura che
ha pertinenza fine in articolazione, sintetizzata
inizialmente con un chiodo e una placca in una
sintesi ibrida, poi con delle sintesi a minima degli
innesti. Questo disordine, di fatto, non ha
permesso una progressione;…
… successivamente è stata trattata sia dando una
stabilità al focolaio con questa placca - stabilità
interna - e più anche un innesto biologico. Questo
ha permesso una buona evoluzione.
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Approcciando casi più complessi dove, come
abbiamo sostenuto prima, è richiesta la
politerapia, ecco che dobbiamo precisare quali
sono le indicazioni e i risultati di questa
politerapia che è utile alla rigenerazione ossea,
ma bisogna avere delle considerazioni
preliminari che devono essere assolutamente
valutate onde poter scegliere strategicamente
quali tipi di terapia associare per realizzare per
l’appunto questa politerapia richiesta nel caso di
specie.
Va detto che ogni terapia (cellule, scaffold,
fattori di crescita) deve essere scelta
accuratamente e in maniera molto rigorosa
poiché ogni terapia ha un un outcome di
guarigione percentuale. Associandoli in
politerapia noi non aumentiamo le chance di
guarigione, anzi dobbiamo ritenere che a volte
questi elementi che collaborano e
contribuiscono e compongono la politeraia,
agiscano in maniera negativa uno
con l’altro come degli inibitori. Pertanto non si
deve pensare a un’associazione che più è ricca
più permette un maggior risultato se no,
differentemente, la politerapia avrebbe un outcome
addirittura maggiore del 100%, ma questo non è
vero.
Non è vero perché, come abbiamo detto, ci sono degli
elementi critici.
Qual è l’elemento critico più rilevante poiché la
politerapia deve essere scelta accuratamente in base
alle effettive necessità della lesione che stiamo
approcciando a trattare?
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La politerapia deve interpretare delle condizioni ideali di laboratorio, deve poter essere ben
certa, misurata, quantificata, in modo tale che contenendola in un ambito ben circoscritto sia
possibile calcolare la quantità degli elementi impiantati, volendone valutare l’efficacia.
In particolare, proprio per evitare la dispersione
di questi elementi che spesso sono labili e quindi
sul campo operatorio realmente difficili da
conservate in situ e da poterne garantire la
conservazione in sito, il mantenimento in sito per
il periodo necessario, ma soprattutto per potere
realizzare davvero delle condizioni ideali di
laboratorio, ecco che viene avanzato il principio
della camera biologica che è un’evoluzione ultima
di quanto abbiamo detto, cioè del concetto del
diamante, del poligono con la vascolarizzazione, delle applicazioni della politerapia che è stata
via via precisata più recentemente con numerose pubblicazioni e quindi finalmente al
concetto della camera biologica che è un bioreattore naturale, cioè un ambiente
assolutamente ideale, vitale, vascolarizzato, in cui noi in una condizione ideale che abbiamo
ripristinato, con dei principi che or ora andremo ad enunciare e a verificare, ecco che lì si
creano delle condizioni ideali dove anche i casi più difficili possono trovare soluzione.
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La camera biologica è ormai un’acquisizione scientifica
internazionalmente accreditata e vi sono numerosi studi,
in numerose università circa la valutazione e
l’applicazione clinica del trattamento utilizzando il
principio della camera biologica.
Ecco come appare l’algoritmo che ha subìto un’evoluzione dal
diamante, al pentagono, al poligono e qua noi abbiamo i 4
elementi cardini: la M per meccanica; la S per scaffold, sono i
supporti su cui inseminare le cellule; C le cellule; GF i growth
factors, i fattori di crescita; le V rappresentano la
vascolarizzazione. Non è un poligono chiuso perché appunto la
membrana che è quella che servirà a delimitare la camera
biologica deve essere una membrana selettiva con delle
caratteristiche speciali che permette di potere avere non
un’esclusione di questo focolaio, ma che questo focolaio faccia parte dell’organismo, collabori
attraverso le vie necessarie a mettersi in relazione onde potere sviluppare e ottemperare i
processi di guarigione.
Ma facciamo un passo indietro.
Perché la camera biologica?
In questa osservazione di svariati anni fa, ebbi a considerare il
caso di questa giovane donna che aveva subito un politrauma
con un’infezione recidivante…
… per la qual cosa nel dettaglio, aveva e riteneva un
inchiodamento bloccato nell’arto inferiore sinistro al segmento
femorale. Il chiodo è in evidente subsidenza con la vite di Lag
che stava cedendo e fuoriuscendo dal collo il chiodo lateralmente
e intercalare posto, questa gabbia di metallo che all’epoca, più di
10 anni fa, non era nota nel mondo occidentale e che era stata
impiantata come semplice sostegno, non riempita da nulla.
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Questo importante gap di oltre 14 cm creava una
situazione di grave pericolo per la donna in quanto al di là
di tutto non era facile poter prevedere come potere
effettuare la guarigione di un così ampio gap.
La donna è stata quindi da noi tratta con successo e
soddisfazione utilizzando per altro tecniche ormai accreditate
con la fissazione esterna.
Ma molto importante quando abbiamo rimosso questa cage,
questa gabbia di metallo, abbiamo effettuato uno studio
anatomo-patologico con un’istologia che ha approfondito che
cose fosse presente intorno a questa gabbia e quindi questo
tessuto fibroso cicatriziale povero…
…ma internamente è questo l’approfondimento ulteriore
anatomo-patologico, un tentativo di guarigione che comunque
questa lesione aveva condotto cercandone una guarigione che
era, e purtroppo è stata, impossibile di per se stessa perché
non ne aveva le capacità, le potenzialità biologiche oltre che
meccaniche per potere giungere al termine.
Ecco che noi utilizzando una fissazione esterna con criteri
tradizionali siamo riusciti a condurre in porto questa difficile
soluzione e certamente la signora è contenta e ha ripreso la
sua vita e la sua funzione.
Ma cosa si può fare oggi nel 2012, nel 2013 per potere fare
qualcosa di alternativo, di compliance maggiore per la
paziente, di tempi di guarigione più brevi e con magari
maggiore rate di sicurezza per la guarigione della paziente?
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Questo sembra il caso che a noi è utile per chiarire quali
sono i criteri della camera biologica.
La camera biologica è - abbiamo detto - un ambiente
protetto che deve essere garantito come asettico,
vascolarizzato cioè vitale, deve avere intrinsecamente
garantito una stabilità meccanica con i mezzi di osteosintesi
che la circondano atti a mantenere la giusta stabilità e deve
appunto provvedere in queste condizioni a realizzare i
principi del reattore biologico, del bireattore per
promuovere la rigenerazione dei tessuti.
A questo punto dobbiamo capire come creare la camera
biologica.
Valutiamo al proposito questa prima osservazione: il caso di una
frattura ad alta energia distale di gamba…
... trattata correttamente mediante inchiodamento bloccato…
… che purtroppo, a 12 settimane, a seguito di un ulteriore
traumatismo, ha prodotto un cedimento dell’impianto, una
frattura iterativa…
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… subentrando una grande sofferenza dei tessuti che poi sono
evoluti sino a un’infezione acuta profonda.
Che cosa fare davanti a un caso come questo? Certamente il
rischio è l’amputazione.
Che cosa si può fare di alternativo?
Ed ecco come è stata applicata la tecnica della camera biologica:
un debris radicale…
… spinto alla rimozione dei mezzi di sintesi, con un’esposizione
naturalmente contenuta del focolaio, ma ampio il debris…
… in modo da potere esporre la camera, la camera patologica;
vedete la lesione, una volta tolta i mezzi di sintesi con questo
gap, con questa perdita ossea critica.
E a questo punto, realizzata questa camera che è la camera
patologica, dovremo pensare di trasformarla in una camera
virtuosa, una camera biologica, una camera che abbia e
vanti quelle caratteristiche di cui prima abbiamo discusso e
soprattutto che cosa inserire in questa camera biologica.
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Naturalmente cellule, scaffold, fattori di crescita, tutto ciò che è
politerapia; questo è un caso in fascia 3, di grande complessità e
naturalmente richiede una politerapia.
E come chiudere la camera biologica?
Attualmente vi sono differenti possibilità alternative di
chiudere una camera biologia.
Lle prenderemo pertanto in osservazione, una dopo l’altra, per
esemplificare le modalità.
Per piccole perdite di sostanze in regioni dove questo è
possibile, come per esempio nel femore o nel braccio,
un’adeguata mobilizzazione dei tessuti molli è sufficiente anche
coprire con il muscolo, con la fascia, in modo tale da chiudere
l’ambiente, una volta che sia questo stato trattato e quindi reso
uno spazio vitale e vascolarizzato.
Se è necessario e se indicato, possono essere usati anche dei
lembi liberi microvascolari, come in questa osservazione, dove
non è stato effettuato nessun impianto osseo, ma
semplicemente coperto questo gap con un lembo libero micro
vascolare…
… che vedete, a distanza di 16 settimane, ha prodotto una
guarigione spontanea.
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Tornando però al caso che ha introdotto questa carrellata, ecco
che cosa abbiamo fatto successivamente. È stato inserito uno
spaziatore biantibiotato (gentamicina+clindamicina) e
posizionato un fissatore esterno per stabilizzazione a minima,
in modo da rendere stabile l’ambiente.
Questo paziente è stato tenuto sotto osservazione per 8
settimane considerando quello che è la cura degli indici
bioumorali e verificare anche con la terapia appropriata quello
che era la cura dell’infezione…
… a 8 settimane il controllo radiografico: vedete la buona stabilità del
focolaio…
… dopo 8 settimane la ripresa chirurgica, si riapre il focolaio e osserviamo
che si è formata una membrana…
… qui vediamo la membrana che in reazione all’impianto dello
spaziatore biantibiotato di cemento…
… e dopo la rimozione del cemento ecco che cosa appare: i monconi
si sono sterilizzati, l’ambiente è diventato un ambiente pulito,
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certamente dobbiamo realizzare una resezione osteotomica dei margini sulle parti apicali dei
monconi in modo da creare un ambiente vivo, vitale, vascolarizzato, fino a sezione di osso
vivo, ma molto molto importante si è prodotta la membrana come reazione, abbiamo detto, di
tipo infiammatorio alla presenza del cemento che ha costituito un corpo estraneo.
Questa membrana pseudosinoviale mette in continuità i monconi e questa membrana è una
membrana vitale perché vascolarizzata; permette inoltre di poter richiudere, ribaltandosi,
l’ambiente e, quindi, di chiudere la camera biologica.
Inseriti pertanto quelli che sono gli elementi della politerapia,
quindi i fattori di crescita, in questo caso un autograft ottenuto
con tecnologia RIA da fresatura intramidollare femorale, ecco che
la membrana può ribaltarsi…
… delimitando lo spazio e quindi chiudendo questa che è la camera
biologica. Al termine viene realizzata un’osteosintesi definitiva
mediante impianto di fissatore esterno.
Questo il controllo radiologico a 6 settimane.
L’evoluzione a 12 settimane
E a 4 mesi un esame TC che dimostra la mineralizzazione
avanzata della camera biologica che appunto ha sostituito ed è
subentrata con le opportune cure di trattamento alla camera
patologica.
La prima, quella patologica, avrebbe condotto a un’amputazione
se non a un fallimento, questa ha condotto a una buona
guarigione.
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Proseguendo la carrellata, possibilità a seconda anche di quello
che è domandato dalla lesione, di chiudere la camera biologica
possiamo utilizzare come in queste circostanze dove la lesione
piccola degli agenti emostatici: vedete questa correzione di
pseudoartrosi con perdita di sostanza modesta e deformità...
…. utile come anticipato precedentemente, le nuove tecnologie per l’innesto
di osso autologo che oggigiorno può essere raccolto e prelevato mediante
tecniche mini-invasive endomidollari…
… e quindi la cura con intervento definitivo in cui si procede alla
resezione della lesione metatraumatica, alla rivitalizzazione
dell’ambiente, della camera biologica, al posizionamento della
politerapia e vediamo la chiusura con degli agenti omeostatici in
lamina.
Vediamo l’evoluzione...
… e la guarigione in tempi assolutamente abbreviati.
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Un’altra esperienza con agenti emostatici, come in questa
perdita critica ossea di sostanza nell’avambraccio.
Resezione en bloc della lesione pseudotumorale
metatraumatica, inserzione intercalare di innesto in xeno
insemenzato da cellule…
… fattori di crescita, agenti emostatici, politerapia, e la
chiusura con i lembi emostatici che sono stati realizzati
insieme alla tecnologia per il prelievo e la preparazione in
allestimento delle cellule.
Una buona evoluzione e alla rimozione della placca vediamo
oltremodo che l’osso innestato xeno assume una qualità
assolutamente simile a quella dell’osso normale, addirittura
appare più vascolarizzato; sulla sinistra l’osso innestato.
Ulteriore alternativa sempre con l’impiego di materiali
biologici sono delle membrane collageniche che sono già
disponibili sul mercato e possono permettere di chiudere
anche in questo caso delle lesioni che poi vengano trattate
con politerapia.
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Ancora l’osso: noi abbiamo possibilità di chiusura in
determinate circostanze della camera biologica.
Vediamo in questo caso una grave lesione
pseudoartrosica con perdita di sostanza critica dopo il
debris e dopo la resezione en bloc del focolaio
patologico con anche un’infezione in un paziente per
altro con fattori di rischio elevati perché diabetico
fumatore.
Ecco il particolare dopo resezione del focolaio, con
un’ampia perdita di sostanza che è certamente critica
nell’avambraccio.
Questo caso per gravità richiede un approccio assolutamente
multidisciplinare, con impegnate tecniche chirurgiche:
abbiamo realizzato un innesto microvascolare con perone
autologo prelevato dal paziente, ma data la gravità e i fattori
di rischio che erano connessi a questa tipologia di paziente,
onde poter garantire a fronte di numerosi fallimenti
pregressi, ecco che abbiamo pensato di dare il massimo al
paziente, cioè oltre questo innesto microvascolare, abbiamo
pensato di dargli anche le biotecnologie, la buona
stabilizzazione secondo il principio della camera biologica.
E quindi vediamo l’innesto intercalare microchirurgico,
vediamo il principio della stecca alloplastica di posti
neutralizzazione sull’impianto di osteosintesi, è un’osteosintesi
a stabilità angolare, certamente i fattori di crescita, tutto ciò è
sicuramente un buon preliminare per condurre in porto una
guarigione difficile in un paziente ad alto rischio.
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Un altro impiego dell’osso per chiudere la camera
biologica su casi delicati e particolarmente critici è, come
in questa osservazione, dove mancando per un bone loss
la parte mediale in una situazione comunque peraltro
stabilizzata di pseudoartrosi…
… vediamo l’osservazione intraoperatoria…
… viene utilizzato un innesto tricorticato autologo prelevato dal
paziente per chiudere questa camera biologica.
E qui vediamo la chiusura della camera biologica dopo aver
certamente posizionato al suo interno quanto era necessario
dato la criticità della lesione: cellule, fattori di crescita,
scaffold per riempimento in questo caso di filling della lesione
cavitaria.
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Il controllo radiologico a distanza che mostra una buona evoluzione ripartiva; certamente il
portale tricorticato e, quindi, la chiusura con questo
sportello osseo della camera biologica ha sì contribuito alla
stabilità meccanica, ma certamente maggiormente ha
permesso di ottimizzare i processi di guarigione
nell’ambiente appunto del bioreattore naturale che è la
camera biologica.
Un’altra osservazione con l’applicazione di osso nella
chiusura di camera biologica in questa pseudoartrosi
bifasica, quindi sia a livello metafisario, ma con
pertinenza articolare in un giovane che aveva prodotto
una deformità…
-------
… dopo il ribaltamento della bandelletta ileo tibiale, ecco
che è possibile inserire la politerapia: vedete lo scaffold
per supportare la correzione della deformità, la parte
articolare era stata pregevolmente corretta con un
controllo ampliscopico, le cellule, i fattori di crescita…
… ma tutto ciò ben ritenuto dal ribaltamento e dalla
fissazione del lembo osteo-fasciale che viene in tal modo a
chiudere in questo caso la camera biologica e ne permette
una buona guarigione.
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Ancora un’osservazione: in questo caso impiego non di osso
autologo dello stesso paziente, ma di osso omologo. Questo
giovane che aveva avuto 6 interventi chirurgici con un
fallimento, un paziente quindi a rischio biologico, con
problematiche generali…
… è stato da noi trattato con i principi sia meccanici della
buona osteosintesi, della stabilizzazione, ma certamente
con il principio della camera biologica che abbiamo
realizzato contrapponendo la placca di stabilizzazione alla
stecca ossea di banca e naturalmente ritenendolo in sito
con degli agenti sia emostatici che delle lamine biologiche.
Si può osservare che cosa naturalmente la politerapia al
suo interno ha ben prodotto: un’evoluzione e quindi una
guarigione in questa lesione che più trattamenti avevano
perseguito senza successo.
Qui vediamo un dettaglio intraoperatorio, vediamo il
controllo radiologico al termine dell’intervento è evidente
una buona integrazione, una buona stabilizzazione con
correzione della deformità che era anche una deformità di
pertinenza rotazionale.
A 1 mese e a 3 mesi i controlli con radiologia tradizionale e
con TC.
E vediamo a 6 mesi la buona guarigione con imaging che è
sempre utile per avere una corretta valutazione
dell’evoluzione dei processi di guarigione.
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Seguendo la carrellata, l’impiego di osso eterologo si rende
utile soprattutto nell’avambraccio per perdite critiche di
sostanza ossea, con seguente pseudoartrosi complesse.
Tali applicazioni rispettano i criteri già enunciati dove vi è
l’eradicazione con resezione en bloc del focolaio
pseudoartrosico che costituisce un tumore metatraumatico,
una rivitalizzazione dell’ambiente che deve essere
naturalmente garantito circa la vascolarità e la sepsi, quindi
posizionato intercalare per dare dignità di continuità e di
sostegno, vediamo l’innesto, in questo caso di xeno
insemenzato da cellule, con la placca e la stecca in allograft
controlaterale a chiudere la camera biologica come vediamo qui che contiene la politerapia,
quindi le cellule, i fattori di crescita, gli agenti emostatici.
Questo il controllo post-operatorio in questa complessa
lesione che aveva interessato anche l’articolazione prossimale
al gomito per la competenza del capitello radiale.
L’evoluzione successiva a 6 e a 10 mesi mostra una buona
guarigione del focolaio, con osteointegrazione che via via
diventa sempre più convincente…
… sino all’anno del post-operatorio quando la stabilità del
focolaio verificata con criteri radiologici tradizionali e
immagine con TC che ricordiamo dev’essere sempre condotta
per verificare la maturità del focolaio, si arriva all’indicazione
per rimozione dell’impianto di sintesi onde permettere la
completa guarigione del focolaio.
Al reperto intraoperatorio vediamo che si è prodotta un’area
di rarefazione dov’era presente la vite che manteneva in situ
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l’innesto intercalare e, quindi, di impoverimento nell’impianto di xeno intercalato che oggi
infatti noi non trattiamo più con questo mantenimento essendo garantita la sua stabilità per
coartazione e per contenimento nell’ambito della camera tra la placca e la stecca.
Per far fronte a questa circostanza sfavorevole, noi abbiamo impiegato dell’idrossiapatite in
pasta quale rivestimento che malauguratamente ha prodotto una specie di mantello
impermeabile che ha isolato, ma ha anche determinato apoptosi cellulare. Questo purtroppo
non era noto in quanto sono le prime osservazioni al mondo di questa terapia e qui capiamo il
concetto di camera biologica al negativo, purtroppo l’abbiamo ottimizzata alla fine con un
concetto sbagliato di isolamento del focolaio….
… e sebbene al momento della rimozione la continuità fosse
buona, come vediamo anche al controllo radiografico,…
… successivamente già dopo 4 mesi osserviamo il progressivo
riassorbimento del focolaio biotecnologico che era ormai giunto
a maturità sia secondo i criteri di lettura dell’immagine che è
anche funzionale con i test intraoperatori…
… sino al definitivo fallimento con riassorbimento completo
dell’impianto.
Questo naturalmente ha richiesto una nuova chirurgia…
… chirurgia di revisione dove però abbiamo applicato
ulteriormente il concetto della camera biologica stressandolo;
ecco che abbiamo resecato nuovamente en bloc, ma la parte sana
dell’innesto l’abbiamo lasciata, naturalmente cruentandola, in
modo da dare il continuum; l’innesto l’abbiamo verificato
all’indagine anatomo-istologica, quindi necrosi ossea, cellule non
vitali, reazione macrofagica che, come detto, era stata prodotta
appunto da questa impermeabilizzazione con isolamento della
camera biologica.
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Abbiamo quindi inserito uno spaziatore cementato biantibiotato
secondo i principi, ristabilizzato il focolaio in modo da garantire
un’ulteriore stabilità
Questi i controlli nel post-operatorio.
Dopo 2 mesi alla rimozione del cemento, sempre secondo la
tecnica di Masquelet, vediamo ben delimitata, pulita, vitale la
camera biologica che è ancora vuota.
E che noi andiamo a riempire con politerapia e in questo caso
molto utile quando abbiamo dei filling sempre ricordiamo la
tecnologia RIA, cioè intramedullary reaming che viene fatto
mettendo e prelevando osso autoplastico midollare dall’interno
del canale femorale del paziente.
La chiusura della camera che è stata migliorata dalla produzione
di questa membrana del paziente, pseudosinoviale autologa, e
quindi garantisce maggiore vitalità, maggiore stabilità alla
chiusura della camera…
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… il controllo post-operatorio,
a 1 mese,
a 3 mesi già si legge una buona evoluzione osteointegrativa,
soprattutto alle indagini TC,
e quindi certamente buona l’evoluzione in questo caso che si era
ulteriormente complicato il concetto di camera biologica però, e
questo è il take-home message di questo caso, deve essere
ottemperata secondo i principi che sono principi chiari: la camera
dev’essere una camera vitale garantita, ma anche in comunicazione
selettiva con l’ambiente circostante. Se noi la isoliamo
determiniamo una cripta che è tutto quello che non vogliamo
produrre.
Una volta realizzato il debris, ecco la cavità 4x3x3 cm, quindi
questa è in effetti, dopo rimozione a debris dei tessuti patologici,
l’entità della camera biologica.
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Viene ottemperato un miglioramento nella stabilità del focolaio
con un secondo impianto di placca, viene posizionato lo scaffold,
in questo caso con tricalcio fosfato…
… implementandolo con fattori di crescita e con innesti ossei,
ed ecco la buona evoluzione che ha permesso il raggiungimento di
una guarigione.
Guarigione che naturalmente richiede dei tempi per poter
maturare un processo che è di osteosostituzione e che non
segue i principi e le sequenze per le fasi normali di guarigione
di una frattura, ma trattando con le biotecnologie delle
pseudoartrosi o delle perdite ossee ecco che il principio è
quello della osteosostituzione, e quindi sono tempi che
possono richiedere l’anno, l’anno e mezzo a seconda del
distretto e dell’identità della lesione.
Ancora osso sintetico come in questo paziente che aveva subito
più interventi chirurgici precedentemente fallimentari.
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Paziente ad alto rischio cardiopatico con indice diabetico, con
indici bioumorali compromessi, in cui era necessario potergli
ridare una funzione immediata e quindi utilizzato un tipo di osso di
idrossiapatite pronta, rapida in modo tale da garantire una stabilità
immediata dopo la correzione.
Con una buona evoluzione e quindi una buona risposta
l’applicazione di queste tecnologie.
In meno di 6 mesi si è realizzata un’osteointegrazione, una
buona stabilità del focolaio e il paziente già dopo 2 mesi era
capace di poter deambulare semplicemente con un ausilio
posto controlateralmente, ausilio eliminato a 4 mesi.
Quanto sinora abbiamo affermato è quello che è disponibile
sul mercato, scientificamente oggigiorno utilizzabile per
chiudere la camera biologica. Non vi è dubbio che si può creare
una membrana in due tempi, con la tecnica di Masquelet, non
vi è dubbio che si possono usare dei presidi per realizzare la
chiusura della camera in un tempo solo, ne abbiamo visti di
vario tipo, di device, di sistemi con osso o con parti muscolari
o fasciali; certamente quello che è molto challenge oggi e che
stiamo studiando è poter realizzare una membrana ideale, una
membrana biologica che permetta in un tempo solo di chiudere e quindi circoscrivere,
raccogliere, garantire l’autonomia, ma in un rapporto di continuo scambio di informazioni
biologiche e di evoluzione dei processi di guarigione tra gli ambienti, l’ambiente del focolaio
pseudoartrosico e quelli che sono naturalmente tutte le situazioni tissutali del paziente.
Questa membrana biologica è in fase di studio grazie a un gruppo di ricercatori presso
l’Istituto Gaetano Pini di Milano nella Divisione di Chirurgia e Ortopedica Riparativa che ho
l’onore di dirigere e che, posso dire, essere certamente all’avanguardia nella realizzazione di
questa membrana.
È una membrana che dovrà avere delle caratteristiche che servano, che siano utili a potere
raggiungere questo obiettivo, obiettivo ambizioso ma certamente raggiungibile.
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Quali sono, per poter raggiungere questo ambizioso scopo
come abbiamo detto, però le caratteristiche, i principi della
membrana biologica, i concetti.
La membrana deve agire come una barriera che esclude, ma
non esclude dall’organismo il difetto osseo, deve proteggere la
politerapia, il graft, i materiali di scaffold che noi inseriamo
nel focolaio, i fattori di crescita senza farli evacuare per
dispersione soprattutto ematica o liquorale, deve creare e potere permettere la chiusura della
camera biologica, in ottemperanza delle necessità dell’osteosintesi in modo tale da facilitare la
rigenerazione e quindi guidare i processi ossei di rigenerazione tissutale, soprattutto
ottimizzandone il risultato.
La membrana dev’essere quindi biocompatibile, deve essere
cellulata e quindi non artificiale, deve essere uno spaziatore,
deve essere un integratore tissutale, permettere una
maneggevolezza clinica, proprio applicativa e forse il calcio
carbonato aggiunto a substrati minerali ossei può
rappresentare un buon criterio di inizio.
Per potere affinare e identificare questi criteri, il lavoro del
gruppo di ricerca è stato estremamente lungo e difficoltoso.
Noi abbiamo considerato i 2.646 lavori scientifici accreditati
in materia e di questi abbiamo studiato dettagliatamente i
vantaggi e gli svantaggi delle soluzioni proposte in modo
tale da potere cominciare a identificare che cosa davvero
potesse essere utile per la realizzazione di questa membrana
ideale.
Possiamo dire che abbiamo ottemperato criteri che sono biofisici, quindi di morfologia, di
porosità, di struttura, di sostegno della membrana, affinati secondo i principi della
nanotecnologia a multistrato con parte anche di considerazione biologica sulla costituzione
della membrana e crediamo e speriamo che quanto prima questa possa essere disponibile per
la ricerca clinica applicativa che è già iniziata, sebbene in una fase precoce e sperimentale, e
possa essere disponibile per tutti noi.
Abbiamo peraltro pubblicato questi studi in un paper
internazionale con un alto fattore di impatto.
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Collateralmente, il principio della camera biologica nasce
anche come considerazione e può essere utile e pertiene
anche il trattamento dell’osteonecrosi della testa del femore,
ovvero dei condili femorali.
Abbiamo sviluppato uno strumentario dedicato dopo anni di
ricerca, in modo da potere realizzare questa terapia,
politerapia per il trattamento appunto delle necrosi
avascolari della testa del femore con uno strumentario
dedicato…
… che possa agire in modo mininvasivo per permettere il
posizionamento di queste sostanze, di questi elementi utili e
indispensabili alla guarigione.
La tecnica è semplice, è una tecnica come detto a cielo chiuso,
la lesione deve essere considerata come una carie che
dobbiamo raggiungere dall’esterno in profondità, senza però
entrare in articolazione.
Questo il posizionamento del filo di Kirschner cervico-cefalico
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Utilizzando il filo come guida e realizzando una piccola incisione di
circa 2 cm in regione sottotroncanterica, viene posizionata la camicia
attraverso la quale poi vengono agite delle frese: la prima per
raggiungere in maniera millimetrica la regione subcondrale, proprio
perché non si deve entrare in articolazione…
… la seconda per evacuare i tessuti patologici e realizzare una vera
core decompression della lesione.
Abbiamo più recentemente implementato anche degli ulteriori
strumenti per svuotare meglio in maniera eccentrica la lesione sotto
lo strato articolare della testa del femore.
Introduzione della cannula, che permette di raggiungere il punto
desiderato dall’esterno sempre con modalità mininvasiva
e finalmente applicazione di politerapia come in questo caso
clinico…
.. facilitata dalla morfologia dello strumentario, da delle
caratteristiche come, per esempio,
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il repere, che qui è presente radio-opaco, che permette davvero
retraendo la cannula esterna di applicazione, di verificare il
riempimento del difetto osseo, con la politerapia che abbiamo
introdotto.
Ecco quindi che questa è la camera biologica che deve essere
chiusa. In questo caso abbiamo implementato una tecnologia
con questo scaffold xeno, che è un flex, collagenato
parzialmente e quindi demineralizzato parzialmente in maniera
tale da poter agire come una spugna che viene insemenzata di
cellule, ma che una volta introdotta dentro il tunnel attraverso
lo strumentario va a chiudere in maniera efficace pur senza
sigillarlo in una maniera completamente impermeabile, ma garantendo la chiusura della
camera biologica. Ecco abbiamo realizzato il bireattore e questo è sicuramente predittivo di
una buona evoluzione dei processi di guarigione.
In questa modalità è possibile realizzare anche una pressione
che contribuisce a distendere lo strato già impoverito
subcondrale della testa femorale, appunto come detto
indebolita per la presenza di quest’ampia cavità.
La via d’accesso come vedete è mininvasiva, è un intervento che
si può realizzare in circa mezz’ora anche in un ambiente di sala
operatoria a bassa intensità. Il paziente viene ricoverato per un
giorno e riprende una propria deambulazione protetta solo da
due bastoni per circa due settimane. Il rate di guarigione nella serie iniziale clinica
considerato, è comunque oltre a quello che era il rate (70% circa) dei trapianti microvascolari
del perone vascolarizzato in regione cervico-cefalica onde garantire una vascolarizzazione.
Ecco quindi che le biotecnologie in questo caso danno un grande vantaggio perché
permettono di avere una tecnica sicuramente mininvasiva, di poco impatto chirurgico, di
maggiore sicurezza del paziente, e oltretutto garantisce anche un rate di guarigione maggiore
fino al 92%.
E vediamo a distanza la buona evoluzione dove gli innesti
hanno realizzato un’ossificazione subcondrale che agisce
come un supporto di sostegno al cedimento che
differentemente sarebbe intercorso con una modificazione,
un’alterazione della morfologia della forma della testa e,
quindi, un’incompetenza articolare che avrebbe necessitato
unicamente di protesizzazione. In questo modo in un
soggetto siamo in grado di poter rimandare se non evitare
una protesizzazione, ma già rimandare è un buon traguardo soprattutto se la persona è
giovane e questo tipo di patologie incide gravemente in pazienti già di età giovanile.
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Importanza della chiusura della camera biologica: noi
verifichiamo in questa osservazione di un paziente da noi trattato
agli esordi degli impianti applicativi con politerapia dove, non
avendo chiuso vicino a un’articolazione – si tratta di un rarissimo
caso, ne sono stati pubblicati solo 3 a livello mondiale in
letteratura e questo è uno – vediamo che procede
un’ossificazione per dispersione dei fattori di crescita sugli
adduttori e sui muscoli. Questa è una situazione che però può essere evitata, come? Per
l’appunto procedendo a chiudere la camera biologica.
Come in quest’altra osservazione, naturalmente più recente,
dove la chiusura della camera biologica ne permette e ne
favorisce l’osteointegrazione e, quindi, la guarigione del
focolaio,
ma oltremodo, anche a un controllo ampliscopico successivo,
permette di verificarne oltretutto la buona guarigione anche
per competenza articolare.
E veniamo infine alle considerazioni che vogliono essere e
rappresentare un take-home message di questa breve lezione.
Quindi l’autograft: che cosa rappresenta oggigiorno l’autograft?
Certamente il gold standard di trattamento di queste patologie,
di queste lesioni particolarmente quando associate a perdita di
sostanza critica ossea, oggi possono essere evitate in gran parte
delle circostanze dalle biotecnologie, però impiegate secondo i
criteri scientifici di evidenza che vi abbiamo or ora esposto e secondo il principio della camera
biologica in uso con politerapia.
Possono servire le biotecnologie comunque per implementare in casi particolari dove il
paziente ad altissimo rischio, abbiamo visto anche tecnologie microvascolari, o comunque che
impieghino l’autograft del paziente.
Le BMP-7 certamente sono quelle che hanno maggiore efficacia tra le biotecnologie come
fattori di crescita perché unico agente riconosciuto per evidenza scientifica con azione di
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osteoinduzione. Molti studi possono comparare l’efficacia dell’osteoinduzione delle BMP-7
nelle pseudoartrosi all’innesto, al graft autologo.
L’evidenza della BMP-7 nel trattamento delle pseudoartrosi
critiche con perdita di sostanza recidivanti, noi abbiamo
contribuito a evidenziare con questo studio clinico prospettico
randomizzato on going nel 2005 e poi definitivamente pubblicato
nel 2008, che costituisce ancora oggi la sede più ampia di uno
studio in classe A. Su questo studio la casa produttrice ha
recentemente, attraverso gli organismi europei, richiesto la validazione per l’estensione della
label di questo impiego anche al di fuori della tibia, perché questo era sinora riconosciuto al di
fuori degli studi sperimentali come il nostro per l’utilizzo quotidiano.
Le BMP-7 in ogni modo sono state testate, oltre che in studi come il
nostro, in importanti trial, robusti trial multicentrici a livello
internazionale; ne vediamo uno a 3 anni sulla tibia e uno a 4 anni
sul femore, a cui abbiamo partecipato insieme a colleghi
assolutamente di esperienza nel campo.
Le cellule mesenchimali sono sicure, non servono le staminali come
ormai è noto, seguono la legge dei tessuti, possono essere trattati
come terapia consolidata per aspirazione midollare, predisposte e
allestite al di fuori di necessità legali come per esempio il rispetto
degli standard per centro trasfusionale e quindi diciamo allestite in
10/15 minuti in sala operatoria e servono, naturalmente
rispettando quelle che sono le raccomandazioni scientifiche del
prelievo, servono certamente per far parte di questa politerapia.
Gli scaffold sono dei supporti biologici che hanno forma diversa,
hanno proprietà diverse, ma certamente possono servire per
sostenere la dignità di correzione della lesione quando questo è
necessario per implementare la stabilità del focolaio, possono
servire come riempitivi quando c’è una cavità che non richiede
tutto ciò, ma un filling cioè una necessità di essere appunto
colmata, riempita. Essi sono di vario tipo: ci sono scaffold biologici,
ci sono scaffold sintetici e ciascuno ha la propria capacità e bisogna conoscerli tutti perché
bisogna scegliere caso per caso in base a quelle che sono le criticità della lesione che noi
vogliamo approcciare quello che è più utile.
Ci sono scaffold che riassorbono più velocemente, alcuni più lentamente, in alcuni casi è
maggiore una stabilità per meno tempo, in altri invece deve ’essere garantito un tempo
maggiore di stabilità.
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Certamente quello che è più labile nel tempo, però è più efficace nel riassorbimento e quindi
anche nell’interazione dei meccanismi biologici di stimolazione, e quindi noi dobbiamo
scegliere lo scaffold in base alla necessità.
Non dimentichiamo, e l’abbiamo ricordato anche nella
trattazione di questa esposizione, che alcune tecniche
tradizionali sono sempre valide, come il trasporto osseo,
l’artrodesi, abbiamo visto anche il trattamento con impianti
ossei autologhi microvascolari, tutto ciò può comunque, e
l’abbiamo dimostrato, l’abbiamo scritto, implementato
anche qua con le biotecnologie, appunto per pazienti che
rappresentino un indice di severità e, quindi, di rischio più elevato.
La vascolatirà è mandataria; noi dobbiamo sempre rispettare
una buona vascolarizzazione del focolaio e addirittura lo
dobbiamo aiutare a produrre con il principio, come abbiamo
sinora affermato, della camera biologica ed eventualmente
anche implementandola con dei fattori di crescita (ndr,
vascular endothelial growth factor, VEGF) che certamente
contribuiscono molto in caso di perdita di sostanza critica.
La camera biologica rappresenta il key point della
rigenerazione ossea, cioè l’estrema evoluzione del principio del diamante e, quindi, del
pentagono della rigenerazione ossea.
E oggi come oggi è imprescindibile come principio cardine per potere
avere un’effettiva applicazione delle biotecnologie espresse in
politerapia.
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Le direzioni future sono verso una migliore comprensione degli
aspetti soprattutto genetici, quindi quello che è l’implicazione, il
profilo genetico del paziente dovrà essere sempre più
approfondito e non solo quindi gli aspetti metabolici,
dismetabolici, e questo sia con le applicazioni di terapia genica
per diagnosi che per trattamento. In pratica l’utilizzo di questi
principi - già lo stiamo vedendo – serve per entrambe le
considerazioni: nel momento in cui utilizziamo questo tipo di approcci, abbiamo delle
correlazioni sia della diagnosi che della terapia. Probabilmente deve passare ancora qualche
anno perché possa essere tradotta in una maniera più pratica con un algoritmo come invece
già avviene per l’applicazione delle biotecnologie più ordinarie.
Non possiamo concludere questa presentazione senza
rilevare naturalmente l’attenzione alla sostenibilità
economica: noi abbiamo condotto degli studi molto rilevanti
circa l’effettivo impatto economico e dobbiamo rilevare che se
queste biotecnologie vengono impiegate correttamente,
costituiscono un effettivo risparmio economico, sia nei costi
diretti, ma soprattutto indiretti che certamente sono il
maggiore impatto negativo per la società e che rendono
sempre più insostenibile questa nostra cura sanitaria.
In conclusione, il messaggio ultimo è che le biotecnologie
rappresentano una speranza magnifica per l’umanità, per
tutti noi nella cura soprattutto dei casi più difficili, dei casi
più complessi, garantendo maggiore sicurezza, affidabilità e
migliori risultati e ottemperando e oltretutto ottimizzando i
tempi di riparazione ossea e dei tessuti e quindi del malato.
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Richiedono però dei principi cardine che devono essere
rispettati:
L’evidenza scientifica a fianco di evidenze certe che oggi esistono per l’applicazione
anche dei fattori di crescita, di un modo di utilizzo delle cellule, un modo di utilizzo
degli scaffold, la scelta di questi, la politerapia, i principi scientifici che via via
proseguono e si affermeranno nel prossimo futuro, sono presenti anche evidenze
minori e devono essere ben distinte da quelle certe, dalle evidenze scientifiche
internazionalmente riconosciute.
Siccome il mercato è lo stesso dobbiamo riservare l’utilizzo di queste biotecnologie a
casi importanti, per giusta indicazione, seguendo quelli che sono i dettami
dell’evidenza scientifica: questo ne permetterà la sostenibilità economica.
Infatti, come abbiamo visto, verificato e contribuito a chiarire, le biotecnologie non
rappresentano un extracosto, un aumento dei costi, ma in realtà ne possono costituire
un buon risparmio solo però se correttamente impiegate, come d’altronde tutte le
tecniche e le tecnologie.
Ricordiamo però che le biotecnologie inoltre devono essere utilizzate conoscendo e
rispettando l’inquadramento giuridico che ne vincola l’utilizzo; diverso è se sono
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farmaco, se sono tessuto, se sono sangue, seguono delle normative differenziate e noi
dobbiamo saperlo onde poter utilizzarle come terapia sperimentale con quello che ne
consegue, quindi la sottomissione ai comitati etici, il disegno dello studio del progetto,
il consenso informato ad hoc per il paziente e quant’altro, ovvero come terapia ormai
consolidata, come ormai è, cioè in uso, con pubblicazioni internazionali da oltre 2 anni,
presente in letteratura mondiale, dove noi possiamo impiegarla normalmente nella
pratica di tutti i giorni. Dico per eccesso che l’aspirato midollare è più che consolidato,
presente scientificamente nella nostra letteratura da oltre cinquant’anni: questa è una
biotecnologia e quindi vedete che la biotecnologia non è solo una cosa degli ultimi anni
ma certamente è una speranza di oggi.
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La riparazione ossea: i fattori meccanici e biologici in gioco