Modulo 4 – Unità 1 “La riparazione ossea: i fattori meccanici e biologici in gioco” Dall’intervento del Professor Giorgio Maria Calori Presidente CIO (Club Italiano dell’Osteosintesi); Primario U.O.C. Chirurgia Ortopedica Riparativa – Risk Management dell’Istituto G. Pini, Università di Milano; Presidente ESTROT “European Society Tissue Regeneration in Orthopaedic and Trauma” La riparazione ossea: i fattori meccanici e biologici in gioco Oggigiorno la traumatologia moderna è arricchita da nuove conoscenze nell’ambito della biomeccanica e della biologia. La pseudoartrosi, il fallimento della frattura che non guarisce, oggi non deve essere più considerato tale bensì permette ampi margini di manovra: il tessuto di pseudoartrosi non è un tessuto morto, definitivamente patologico, ma ancora possiede larghe potenzialità osteogenetiche se, però, correttamente stimolato. Per una maggiore comprensione di quale stimolo necessitano queste lesioni, che si sono complicate, devono essere preliminarmente puntualizzati i fattori di rischio che contribuiscono appunto a determinare, a predire questo fallimento. Alcuni sono fattori generali del paziente, quali: età, sesso, dieta, abitudini alimentari, il fumo, l’alcol, le droghe e malattie temibili che interferiscono pesantemente, come il diabete e le malattie reumatiche oltre ai farmaci. Vi sono quindi fattori locali, intrinseci alla lesione originaria, primaria, che sono commisurati all’evento traumatico, all’intensità del meccanismo di produzione del trauma, certamente all’impoverimento della vascolarizzazione, ma anche all’esposizione della frattura, alla morfologia della frattura, alla complicazione. Quanto più è comminuta una frattura, certamente più è impoverita e quindi determinerà maggiore rischio nel procedere verso una normale guarigione. 1 Una volta compresi e puntualizzati i fattori di rischio, ecco che oggigiorno è sempre più necessario – proprio a fronte della grande evoluzione tecnologica che permette nuovi approcci e per quanto detto di trattare comunque questo tipo di complicanze – ottemperare una corretta classificazione, un inquadramento che non solo tenga conto di quelle che sono le caratteristiche morfologicodescrittive della frattura, come sempre è stato fatto in passato, ma anche che possano interpretare quelle che sono le problematiche generali del paziente. Quindi non solo osso, ma anche tessuti molli, anche la storia del paziente, la morbilità, le peculiarità anche in negativo del paziente come, per esempio, se è portatore di diabete, se è soggetto a terapie farmacologiche, se è un paziente reumatoide, se è un paziente che ha avuto numerosi interventi chirurgici preliminarmente o se è impoverito con un’ampia perdita di sostanza ossea come estrema complicazione della pseudoartrosi, al fallimento anziché una semplice pseudoartrosi, che come una volta veniva definita ipertrofica, necessiterebbe soltanto una maggiore stabilizzazione meccanica. Ecco quindi che è stata sviluppata - e proposta internazionalmente - una nuova classificazione ormai in uso in numerosi Paesi basata su di un principio di scoring system. Da zero a cento sono pesati dei fattori di rischio che sono per l’appunto quelli che servono a raccogliere il punteggio e, in base a questo, vengono definite delle categorie di rischio per la patologia, in modo da rendere davvero omogenea la trattazione di queste patologie, e di conseguenza di questi pazienti. Sono pertanto state stabilite 4 categorie: da 0 a cento lo score; ogni 25 punti una categoria di gravità maggiore, con un gradiente di gravità. - Da 0 a 25 punti una prima fascia, è la categoria che ha problemi meccanici maggiori, richiede un trattamento standard, anche solo gestendo una rigidificazione della sintesi oppure 2 - - - derigidificando la sintesi, se fosse questa troppo rigida; una seconda categoria, da 26 a 50 punti che vanta problematiche minori, però sia nell’ambito biomeccanico che in quello biologico. In questo ambito è necessario realizzare cure comunque specializzate, che interpretano anche una stimolazione biologica. È questo l’ambito dell’applicazione delle biotecnologie, secondo l’applicazione di una monorail therapy, cioè di una ionoterapia; la terza fascia, quella più interessante perché più pregnante l’argomento che stiamo trattando, tra 51 e 75 punti, è una fascia di grande problematica perché compete patologie che hanno disordini meccanici e biologici maggiori e, comunque, che necessitano di cure specialistiche di alta tecnologia e, quindi, anche l’applicazione delle biotecnologie secondo il principio della politerapia; la quarta fascia, di maggiore gravità oltre i 75 punti, certamente oggi può interpretare problematiche di amputazione primaria, perché il paziente a volte è così grave e per necessità personali richiede anch’esso stesso un’amputazione anziché perseguire un lungo iter magari fallimentare e, comunque, molto penoso di cure con esito incerto (ovvero a oggi ancor più sono proposte delle sostituzioni protesiche con protesi da grande resezione se la pseudoartrosi interessa segmenti ossei di ossa lunghe maggiori). Tornando alla problematica biologica, certamente oggigiorno la medicina è una medicina che tende a essere rigenerativa e non più solo ripartiva. Oggi molte sono le puntualizzazioni circa le proprietà biomeccaniche, funzionali, biochimiche, cioè tutte quelle circostanze che comunque sono splittate per poter meglio interpretare gli intimi meccanismi biologici. Questo deve essere ridato all’osso, l’osso ha bisogno di ritornare a essere se stesso e, quindi, quello che manca è quello che noi dobbiamo fornire secondo un principio di rigenerazione dei tessuti. E che cosa manca? Il “concetto del diamante”, affermato dagli studiosi Thomas Einhorn, Peter Giannoudis e David Marsh inizialmente, mette a fuoco quelle che sono le manchevolezze. Sempre in un ambiente di stabilità meccanica – che verrà poi spiegato – devono essere sempre ottemperati i principi della presenza cellulare, della necessità degli scaffold, sia che questi siano per il sostegno nella correzione di deformità o per un riempimento cavitario in una perdita di sostanza, e i fattori di crescita che agiscano davvero come facilitatori la guarigione. 3 Questo concetto del diamante poi, ancor più recentemente, è stato ulteriormente amplificato con un quinto lato e quindi portando a un pentagono il diamante, perché è sembrato – soprattutto dopo il convegno di Berlino del 2009 – sottolineare internazionalmente l’importanza della vascolarizzazione. Essa è infatti è un criterio fondamentale per la guarigione delle fratture. Veniamo quindi a puntualizzare singolarmente le precisazioni dei criteri che abbiamo esposto. La stabilità meccanica Quando noi trattiamo problematiche che interessano ossa lunghe, è differente se approcciamo situazioni articolari o extraarticolari. La situazione articolare, oltre che la stabilità, e quindi il ripristino della stabilità, richiede anche il ripristino della forma, perché le articolazioni non devono solo sostenere, devono anche funzionare e quindi articolandosi devono permettere lo scivolamento, il che richiede necessariamente una buona reintegrazione di quelli che sono i criteri di forma, le forme delle due parti articolari che sposandosi permettono il movimento. In questa circostanza è necessaria una stabilità assoluta per garantire, una volta ricostruita, la buona evoluzione di guarigione di queste lesioni con pertinenza articolare. Differente è se il problema è espresso a livello invece dello shaft, della diafisi ossea: qua è necessario ripristinare asse, lunghezza e rotazione, anche nel caso delle pseudoartrosi così come nella traumatologia acuta e i criteri sono di stabilità relativa perché oggi vengono usate certamente con soddisfazione in questi casi tecniche elastiche, quindi chiodi endomidollari bloccati, fissatori o placche di nuova generazione che sono e agiscono come dei fissatori interni. Perché questo? Perché i meccanismi di rimodellamento osseo seguono la legge di Wolff, il che significa che a seconda dello stimolo che viene espresso, lo straight dell’osso agisce in fase di rimodellamento adattandosi allo stress che noi 4 vogliamo generare e, quindi, l’importanza di conoscere quali sono questi meccanismi, queste sollecitazioni meccaniche che noi esprimiamo e che possiamo contribuire a predeterminare nel momento in cui andiamo a stabilizzare un focolaio di pseudoartrosi. Va detto al proposito che lo spettro di stabilità è l’integrità che noi dobbiamo ripristinare. Lo spettro di stabilità è una convenzione, come il metro, è uguale a 1, quindi quando si verifica l’impoverimento per soluzione di continuo dell’osso, per esempio in due monconi, certamente è meno di uno; se i monconi sono tanti e la frattura, la pseudoartrosi è comminuta a una perdita di sostanza, certamente ancora minore il valore. Ecco che quindi spettro di stabilità significa la capacità di stabilità intrinseca la lesione, cui deve essere aggiunto quello che noi con l’osteosintesi diamo, quindi l’osteosintesi deve essere importante al punto da ripristinare 1 come valore di riferimento. Se la pseudoartrosi è instabile, noi dobbiamo avere una sintesi che la stabilizzi, e quindi riportare a 1 l’indice. Se è ancora più instabile dovremmo usare un’osteosintesi ancora più importante o dei criteri di stabilizzazione anche con degli scaffold, degli innesti ossei per supportare quello che è ancora più instabile. Tutto ciò naturalmente deve essere in considerazione del fatto che più ampio e più vasto è l’approccio chirurgico, certamente maggiore è la stabilità che riesco a realizzare, ma nel fare questo posso produrre un danno vascolare che può essere più elevato. E quindi, data l’importanza che abbiamo or ora visto e sottolineato della vascolarizzazione di questi focolai - che deve essere certamente preservata - ecco che bisogna porre e scegliere un criterio sia di utilità pratica oltre che teorica e teoretica sull’approccio di queste lesioni. Va anche detto che questa stabilità, questo spettro di stabilità deve poter permanere, nell’ambito della trattazione di questa patologia, il più a lungo possibile e, quindi, dobbiamo scegliere dei presidi di osteosintesi che possano garantire o che possano adattarsi, modificandone la configurazione in corso di 5 trattamento onde ottemperare davvero quelle che sono le necessità della lesione. Lesione che ricordiamo essere complicazione di una frattura non guarita e, quindi, ancora più delicata e difficile da curare. Veniamo a degli esempi pratici. In una fascia prima, dove abbiamo detto il disordine è meccanico, vediamo una sintesi a dieresi con dei chiodi molto in uso circa vent’anni fa, che purtroppo, essendo troppo elastica, non ha permesso una guarigione. In questo caso un chiodo bloccato semplicemente ha permesso - garantendo maggiore stabilità soprattutto sugli elementi torsionali, di scomposizione, cioè annullando le forze di taglio - ha permesso una buona guarigione. Vediamo in fase 2 quando il disordine è meccanico, meno rilevante e biologico comunque, e vi è una presenza di entrambi gli elementi di grado però lieve. Vediamo in questa osservazione una frattura che ha pertinenza fine in articolazione, sintetizzata inizialmente con un chiodo e una placca in una sintesi ibrida, poi con delle sintesi a minima degli innesti. Questo disordine, di fatto, non ha permesso una progressione;… … successivamente è stata trattata sia dando una stabilità al focolaio con questa placca - stabilità interna - e più anche un innesto biologico. Questo ha permesso una buona evoluzione. 6 Approcciando casi più complessi dove, come abbiamo sostenuto prima, è richiesta la politerapia, ecco che dobbiamo precisare quali sono le indicazioni e i risultati di questa politerapia che è utile alla rigenerazione ossea, ma bisogna avere delle considerazioni preliminari che devono essere assolutamente valutate onde poter scegliere strategicamente quali tipi di terapia associare per realizzare per l’appunto questa politerapia richiesta nel caso di specie. Va detto che ogni terapia (cellule, scaffold, fattori di crescita) deve essere scelta accuratamente e in maniera molto rigorosa poiché ogni terapia ha un un outcome di guarigione percentuale. Associandoli in politerapia noi non aumentiamo le chance di guarigione, anzi dobbiamo ritenere che a volte questi elementi che collaborano e contribuiscono e compongono la politeraia, agiscano in maniera negativa uno con l’altro come degli inibitori. Pertanto non si deve pensare a un’associazione che più è ricca più permette un maggior risultato se no, differentemente, la politerapia avrebbe un outcome addirittura maggiore del 100%, ma questo non è vero. Non è vero perché, come abbiamo detto, ci sono degli elementi critici. Qual è l’elemento critico più rilevante poiché la politerapia deve essere scelta accuratamente in base alle effettive necessità della lesione che stiamo approcciando a trattare? 7 La politerapia deve interpretare delle condizioni ideali di laboratorio, deve poter essere ben certa, misurata, quantificata, in modo tale che contenendola in un ambito ben circoscritto sia possibile calcolare la quantità degli elementi impiantati, volendone valutare l’efficacia. In particolare, proprio per evitare la dispersione di questi elementi che spesso sono labili e quindi sul campo operatorio realmente difficili da conservate in situ e da poterne garantire la conservazione in sito, il mantenimento in sito per il periodo necessario, ma soprattutto per potere realizzare davvero delle condizioni ideali di laboratorio, ecco che viene avanzato il principio della camera biologica che è un’evoluzione ultima di quanto abbiamo detto, cioè del concetto del diamante, del poligono con la vascolarizzazione, delle applicazioni della politerapia che è stata via via precisata più recentemente con numerose pubblicazioni e quindi finalmente al concetto della camera biologica che è un bioreattore naturale, cioè un ambiente assolutamente ideale, vitale, vascolarizzato, in cui noi in una condizione ideale che abbiamo ripristinato, con dei principi che or ora andremo ad enunciare e a verificare, ecco che lì si creano delle condizioni ideali dove anche i casi più difficili possono trovare soluzione. 8 La camera biologica è ormai un’acquisizione scientifica internazionalmente accreditata e vi sono numerosi studi, in numerose università circa la valutazione e l’applicazione clinica del trattamento utilizzando il principio della camera biologica. Ecco come appare l’algoritmo che ha subìto un’evoluzione dal diamante, al pentagono, al poligono e qua noi abbiamo i 4 elementi cardini: la M per meccanica; la S per scaffold, sono i supporti su cui inseminare le cellule; C le cellule; GF i growth factors, i fattori di crescita; le V rappresentano la vascolarizzazione. Non è un poligono chiuso perché appunto la membrana che è quella che servirà a delimitare la camera biologica deve essere una membrana selettiva con delle caratteristiche speciali che permette di potere avere non un’esclusione di questo focolaio, ma che questo focolaio faccia parte dell’organismo, collabori attraverso le vie necessarie a mettersi in relazione onde potere sviluppare e ottemperare i processi di guarigione. Ma facciamo un passo indietro. Perché la camera biologica? In questa osservazione di svariati anni fa, ebbi a considerare il caso di questa giovane donna che aveva subito un politrauma con un’infezione recidivante… … per la qual cosa nel dettaglio, aveva e riteneva un inchiodamento bloccato nell’arto inferiore sinistro al segmento femorale. Il chiodo è in evidente subsidenza con la vite di Lag che stava cedendo e fuoriuscendo dal collo il chiodo lateralmente e intercalare posto, questa gabbia di metallo che all’epoca, più di 10 anni fa, non era nota nel mondo occidentale e che era stata impiantata come semplice sostegno, non riempita da nulla. 9 Questo importante gap di oltre 14 cm creava una situazione di grave pericolo per la donna in quanto al di là di tutto non era facile poter prevedere come potere effettuare la guarigione di un così ampio gap. La donna è stata quindi da noi tratta con successo e soddisfazione utilizzando per altro tecniche ormai accreditate con la fissazione esterna. Ma molto importante quando abbiamo rimosso questa cage, questa gabbia di metallo, abbiamo effettuato uno studio anatomo-patologico con un’istologia che ha approfondito che cose fosse presente intorno a questa gabbia e quindi questo tessuto fibroso cicatriziale povero… …ma internamente è questo l’approfondimento ulteriore anatomo-patologico, un tentativo di guarigione che comunque questa lesione aveva condotto cercandone una guarigione che era, e purtroppo è stata, impossibile di per se stessa perché non ne aveva le capacità, le potenzialità biologiche oltre che meccaniche per potere giungere al termine. Ecco che noi utilizzando una fissazione esterna con criteri tradizionali siamo riusciti a condurre in porto questa difficile soluzione e certamente la signora è contenta e ha ripreso la sua vita e la sua funzione. Ma cosa si può fare oggi nel 2012, nel 2013 per potere fare qualcosa di alternativo, di compliance maggiore per la paziente, di tempi di guarigione più brevi e con magari maggiore rate di sicurezza per la guarigione della paziente? 10 Questo sembra il caso che a noi è utile per chiarire quali sono i criteri della camera biologica. La camera biologica è - abbiamo detto - un ambiente protetto che deve essere garantito come asettico, vascolarizzato cioè vitale, deve avere intrinsecamente garantito una stabilità meccanica con i mezzi di osteosintesi che la circondano atti a mantenere la giusta stabilità e deve appunto provvedere in queste condizioni a realizzare i principi del reattore biologico, del bireattore per promuovere la rigenerazione dei tessuti. A questo punto dobbiamo capire come creare la camera biologica. Valutiamo al proposito questa prima osservazione: il caso di una frattura ad alta energia distale di gamba… ... trattata correttamente mediante inchiodamento bloccato… … che purtroppo, a 12 settimane, a seguito di un ulteriore traumatismo, ha prodotto un cedimento dell’impianto, una frattura iterativa… 11 … subentrando una grande sofferenza dei tessuti che poi sono evoluti sino a un’infezione acuta profonda. Che cosa fare davanti a un caso come questo? Certamente il rischio è l’amputazione. Che cosa si può fare di alternativo? Ed ecco come è stata applicata la tecnica della camera biologica: un debris radicale… … spinto alla rimozione dei mezzi di sintesi, con un’esposizione naturalmente contenuta del focolaio, ma ampio il debris… … in modo da potere esporre la camera, la camera patologica; vedete la lesione, una volta tolta i mezzi di sintesi con questo gap, con questa perdita ossea critica. E a questo punto, realizzata questa camera che è la camera patologica, dovremo pensare di trasformarla in una camera virtuosa, una camera biologica, una camera che abbia e vanti quelle caratteristiche di cui prima abbiamo discusso e soprattutto che cosa inserire in questa camera biologica. 12 Naturalmente cellule, scaffold, fattori di crescita, tutto ciò che è politerapia; questo è un caso in fascia 3, di grande complessità e naturalmente richiede una politerapia. E come chiudere la camera biologica? Attualmente vi sono differenti possibilità alternative di chiudere una camera biologia. Lle prenderemo pertanto in osservazione, una dopo l’altra, per esemplificare le modalità. Per piccole perdite di sostanze in regioni dove questo è possibile, come per esempio nel femore o nel braccio, un’adeguata mobilizzazione dei tessuti molli è sufficiente anche coprire con il muscolo, con la fascia, in modo tale da chiudere l’ambiente, una volta che sia questo stato trattato e quindi reso uno spazio vitale e vascolarizzato. Se è necessario e se indicato, possono essere usati anche dei lembi liberi microvascolari, come in questa osservazione, dove non è stato effettuato nessun impianto osseo, ma semplicemente coperto questo gap con un lembo libero micro vascolare… … che vedete, a distanza di 16 settimane, ha prodotto una guarigione spontanea. 13 Tornando però al caso che ha introdotto questa carrellata, ecco che cosa abbiamo fatto successivamente. È stato inserito uno spaziatore biantibiotato (gentamicina+clindamicina) e posizionato un fissatore esterno per stabilizzazione a minima, in modo da rendere stabile l’ambiente. Questo paziente è stato tenuto sotto osservazione per 8 settimane considerando quello che è la cura degli indici bioumorali e verificare anche con la terapia appropriata quello che era la cura dell’infezione… … a 8 settimane il controllo radiografico: vedete la buona stabilità del focolaio… … dopo 8 settimane la ripresa chirurgica, si riapre il focolaio e osserviamo che si è formata una membrana… … qui vediamo la membrana che in reazione all’impianto dello spaziatore biantibiotato di cemento… … e dopo la rimozione del cemento ecco che cosa appare: i monconi si sono sterilizzati, l’ambiente è diventato un ambiente pulito, 14 certamente dobbiamo realizzare una resezione osteotomica dei margini sulle parti apicali dei monconi in modo da creare un ambiente vivo, vitale, vascolarizzato, fino a sezione di osso vivo, ma molto molto importante si è prodotta la membrana come reazione, abbiamo detto, di tipo infiammatorio alla presenza del cemento che ha costituito un corpo estraneo. Questa membrana pseudosinoviale mette in continuità i monconi e questa membrana è una membrana vitale perché vascolarizzata; permette inoltre di poter richiudere, ribaltandosi, l’ambiente e, quindi, di chiudere la camera biologica. Inseriti pertanto quelli che sono gli elementi della politerapia, quindi i fattori di crescita, in questo caso un autograft ottenuto con tecnologia RIA da fresatura intramidollare femorale, ecco che la membrana può ribaltarsi… … delimitando lo spazio e quindi chiudendo questa che è la camera biologica. Al termine viene realizzata un’osteosintesi definitiva mediante impianto di fissatore esterno. Questo il controllo radiologico a 6 settimane. L’evoluzione a 12 settimane E a 4 mesi un esame TC che dimostra la mineralizzazione avanzata della camera biologica che appunto ha sostituito ed è subentrata con le opportune cure di trattamento alla camera patologica. La prima, quella patologica, avrebbe condotto a un’amputazione se non a un fallimento, questa ha condotto a una buona guarigione. 15 Proseguendo la carrellata, possibilità a seconda anche di quello che è domandato dalla lesione, di chiudere la camera biologica possiamo utilizzare come in queste circostanze dove la lesione piccola degli agenti emostatici: vedete questa correzione di pseudoartrosi con perdita di sostanza modesta e deformità... …. utile come anticipato precedentemente, le nuove tecnologie per l’innesto di osso autologo che oggigiorno può essere raccolto e prelevato mediante tecniche mini-invasive endomidollari… … e quindi la cura con intervento definitivo in cui si procede alla resezione della lesione metatraumatica, alla rivitalizzazione dell’ambiente, della camera biologica, al posizionamento della politerapia e vediamo la chiusura con degli agenti omeostatici in lamina. Vediamo l’evoluzione... … e la guarigione in tempi assolutamente abbreviati. 16 Un’altra esperienza con agenti emostatici, come in questa perdita critica ossea di sostanza nell’avambraccio. Resezione en bloc della lesione pseudotumorale metatraumatica, inserzione intercalare di innesto in xeno insemenzato da cellule… … fattori di crescita, agenti emostatici, politerapia, e la chiusura con i lembi emostatici che sono stati realizzati insieme alla tecnologia per il prelievo e la preparazione in allestimento delle cellule. Una buona evoluzione e alla rimozione della placca vediamo oltremodo che l’osso innestato xeno assume una qualità assolutamente simile a quella dell’osso normale, addirittura appare più vascolarizzato; sulla sinistra l’osso innestato. Ulteriore alternativa sempre con l’impiego di materiali biologici sono delle membrane collageniche che sono già disponibili sul mercato e possono permettere di chiudere anche in questo caso delle lesioni che poi vengano trattate con politerapia. 17 Ancora l’osso: noi abbiamo possibilità di chiusura in determinate circostanze della camera biologica. Vediamo in questo caso una grave lesione pseudoartrosica con perdita di sostanza critica dopo il debris e dopo la resezione en bloc del focolaio patologico con anche un’infezione in un paziente per altro con fattori di rischio elevati perché diabetico fumatore. Ecco il particolare dopo resezione del focolaio, con un’ampia perdita di sostanza che è certamente critica nell’avambraccio. Questo caso per gravità richiede un approccio assolutamente multidisciplinare, con impegnate tecniche chirurgiche: abbiamo realizzato un innesto microvascolare con perone autologo prelevato dal paziente, ma data la gravità e i fattori di rischio che erano connessi a questa tipologia di paziente, onde poter garantire a fronte di numerosi fallimenti pregressi, ecco che abbiamo pensato di dare il massimo al paziente, cioè oltre questo innesto microvascolare, abbiamo pensato di dargli anche le biotecnologie, la buona stabilizzazione secondo il principio della camera biologica. E quindi vediamo l’innesto intercalare microchirurgico, vediamo il principio della stecca alloplastica di posti neutralizzazione sull’impianto di osteosintesi, è un’osteosintesi a stabilità angolare, certamente i fattori di crescita, tutto ciò è sicuramente un buon preliminare per condurre in porto una guarigione difficile in un paziente ad alto rischio. 18 Un altro impiego dell’osso per chiudere la camera biologica su casi delicati e particolarmente critici è, come in questa osservazione, dove mancando per un bone loss la parte mediale in una situazione comunque peraltro stabilizzata di pseudoartrosi… … vediamo l’osservazione intraoperatoria… … viene utilizzato un innesto tricorticato autologo prelevato dal paziente per chiudere questa camera biologica. E qui vediamo la chiusura della camera biologica dopo aver certamente posizionato al suo interno quanto era necessario dato la criticità della lesione: cellule, fattori di crescita, scaffold per riempimento in questo caso di filling della lesione cavitaria. 19 Il controllo radiologico a distanza che mostra una buona evoluzione ripartiva; certamente il portale tricorticato e, quindi, la chiusura con questo sportello osseo della camera biologica ha sì contribuito alla stabilità meccanica, ma certamente maggiormente ha permesso di ottimizzare i processi di guarigione nell’ambiente appunto del bioreattore naturale che è la camera biologica. Un’altra osservazione con l’applicazione di osso nella chiusura di camera biologica in questa pseudoartrosi bifasica, quindi sia a livello metafisario, ma con pertinenza articolare in un giovane che aveva prodotto una deformità… ------- … dopo il ribaltamento della bandelletta ileo tibiale, ecco che è possibile inserire la politerapia: vedete lo scaffold per supportare la correzione della deformità, la parte articolare era stata pregevolmente corretta con un controllo ampliscopico, le cellule, i fattori di crescita… … ma tutto ciò ben ritenuto dal ribaltamento e dalla fissazione del lembo osteo-fasciale che viene in tal modo a chiudere in questo caso la camera biologica e ne permette una buona guarigione. 20 Ancora un’osservazione: in questo caso impiego non di osso autologo dello stesso paziente, ma di osso omologo. Questo giovane che aveva avuto 6 interventi chirurgici con un fallimento, un paziente quindi a rischio biologico, con problematiche generali… … è stato da noi trattato con i principi sia meccanici della buona osteosintesi, della stabilizzazione, ma certamente con il principio della camera biologica che abbiamo realizzato contrapponendo la placca di stabilizzazione alla stecca ossea di banca e naturalmente ritenendolo in sito con degli agenti sia emostatici che delle lamine biologiche. Si può osservare che cosa naturalmente la politerapia al suo interno ha ben prodotto: un’evoluzione e quindi una guarigione in questa lesione che più trattamenti avevano perseguito senza successo. Qui vediamo un dettaglio intraoperatorio, vediamo il controllo radiologico al termine dell’intervento è evidente una buona integrazione, una buona stabilizzazione con correzione della deformità che era anche una deformità di pertinenza rotazionale. A 1 mese e a 3 mesi i controlli con radiologia tradizionale e con TC. E vediamo a 6 mesi la buona guarigione con imaging che è sempre utile per avere una corretta valutazione dell’evoluzione dei processi di guarigione. 21 Seguendo la carrellata, l’impiego di osso eterologo si rende utile soprattutto nell’avambraccio per perdite critiche di sostanza ossea, con seguente pseudoartrosi complesse. Tali applicazioni rispettano i criteri già enunciati dove vi è l’eradicazione con resezione en bloc del focolaio pseudoartrosico che costituisce un tumore metatraumatico, una rivitalizzazione dell’ambiente che deve essere naturalmente garantito circa la vascolarità e la sepsi, quindi posizionato intercalare per dare dignità di continuità e di sostegno, vediamo l’innesto, in questo caso di xeno insemenzato da cellule, con la placca e la stecca in allograft controlaterale a chiudere la camera biologica come vediamo qui che contiene la politerapia, quindi le cellule, i fattori di crescita, gli agenti emostatici. Questo il controllo post-operatorio in questa complessa lesione che aveva interessato anche l’articolazione prossimale al gomito per la competenza del capitello radiale. L’evoluzione successiva a 6 e a 10 mesi mostra una buona guarigione del focolaio, con osteointegrazione che via via diventa sempre più convincente… … sino all’anno del post-operatorio quando la stabilità del focolaio verificata con criteri radiologici tradizionali e immagine con TC che ricordiamo dev’essere sempre condotta per verificare la maturità del focolaio, si arriva all’indicazione per rimozione dell’impianto di sintesi onde permettere la completa guarigione del focolaio. Al reperto intraoperatorio vediamo che si è prodotta un’area di rarefazione dov’era presente la vite che manteneva in situ 22 l’innesto intercalare e, quindi, di impoverimento nell’impianto di xeno intercalato che oggi infatti noi non trattiamo più con questo mantenimento essendo garantita la sua stabilità per coartazione e per contenimento nell’ambito della camera tra la placca e la stecca. Per far fronte a questa circostanza sfavorevole, noi abbiamo impiegato dell’idrossiapatite in pasta quale rivestimento che malauguratamente ha prodotto una specie di mantello impermeabile che ha isolato, ma ha anche determinato apoptosi cellulare. Questo purtroppo non era noto in quanto sono le prime osservazioni al mondo di questa terapia e qui capiamo il concetto di camera biologica al negativo, purtroppo l’abbiamo ottimizzata alla fine con un concetto sbagliato di isolamento del focolaio…. … e sebbene al momento della rimozione la continuità fosse buona, come vediamo anche al controllo radiografico,… … successivamente già dopo 4 mesi osserviamo il progressivo riassorbimento del focolaio biotecnologico che era ormai giunto a maturità sia secondo i criteri di lettura dell’immagine che è anche funzionale con i test intraoperatori… … sino al definitivo fallimento con riassorbimento completo dell’impianto. Questo naturalmente ha richiesto una nuova chirurgia… … chirurgia di revisione dove però abbiamo applicato ulteriormente il concetto della camera biologica stressandolo; ecco che abbiamo resecato nuovamente en bloc, ma la parte sana dell’innesto l’abbiamo lasciata, naturalmente cruentandola, in modo da dare il continuum; l’innesto l’abbiamo verificato all’indagine anatomo-istologica, quindi necrosi ossea, cellule non vitali, reazione macrofagica che, come detto, era stata prodotta appunto da questa impermeabilizzazione con isolamento della camera biologica. 23 Abbiamo quindi inserito uno spaziatore cementato biantibiotato secondo i principi, ristabilizzato il focolaio in modo da garantire un’ulteriore stabilità Questi i controlli nel post-operatorio. Dopo 2 mesi alla rimozione del cemento, sempre secondo la tecnica di Masquelet, vediamo ben delimitata, pulita, vitale la camera biologica che è ancora vuota. E che noi andiamo a riempire con politerapia e in questo caso molto utile quando abbiamo dei filling sempre ricordiamo la tecnologia RIA, cioè intramedullary reaming che viene fatto mettendo e prelevando osso autoplastico midollare dall’interno del canale femorale del paziente. La chiusura della camera che è stata migliorata dalla produzione di questa membrana del paziente, pseudosinoviale autologa, e quindi garantisce maggiore vitalità, maggiore stabilità alla chiusura della camera… 24 … il controllo post-operatorio, a 1 mese, a 3 mesi già si legge una buona evoluzione osteointegrativa, soprattutto alle indagini TC, e quindi certamente buona l’evoluzione in questo caso che si era ulteriormente complicato il concetto di camera biologica però, e questo è il take-home message di questo caso, deve essere ottemperata secondo i principi che sono principi chiari: la camera dev’essere una camera vitale garantita, ma anche in comunicazione selettiva con l’ambiente circostante. Se noi la isoliamo determiniamo una cripta che è tutto quello che non vogliamo produrre. Una volta realizzato il debris, ecco la cavità 4x3x3 cm, quindi questa è in effetti, dopo rimozione a debris dei tessuti patologici, l’entità della camera biologica. 25 Viene ottemperato un miglioramento nella stabilità del focolaio con un secondo impianto di placca, viene posizionato lo scaffold, in questo caso con tricalcio fosfato… … implementandolo con fattori di crescita e con innesti ossei, ed ecco la buona evoluzione che ha permesso il raggiungimento di una guarigione. Guarigione che naturalmente richiede dei tempi per poter maturare un processo che è di osteosostituzione e che non segue i principi e le sequenze per le fasi normali di guarigione di una frattura, ma trattando con le biotecnologie delle pseudoartrosi o delle perdite ossee ecco che il principio è quello della osteosostituzione, e quindi sono tempi che possono richiedere l’anno, l’anno e mezzo a seconda del distretto e dell’identità della lesione. Ancora osso sintetico come in questo paziente che aveva subito più interventi chirurgici precedentemente fallimentari. 26 Paziente ad alto rischio cardiopatico con indice diabetico, con indici bioumorali compromessi, in cui era necessario potergli ridare una funzione immediata e quindi utilizzato un tipo di osso di idrossiapatite pronta, rapida in modo tale da garantire una stabilità immediata dopo la correzione. Con una buona evoluzione e quindi una buona risposta l’applicazione di queste tecnologie. In meno di 6 mesi si è realizzata un’osteointegrazione, una buona stabilità del focolaio e il paziente già dopo 2 mesi era capace di poter deambulare semplicemente con un ausilio posto controlateralmente, ausilio eliminato a 4 mesi. Quanto sinora abbiamo affermato è quello che è disponibile sul mercato, scientificamente oggigiorno utilizzabile per chiudere la camera biologica. Non vi è dubbio che si può creare una membrana in due tempi, con la tecnica di Masquelet, non vi è dubbio che si possono usare dei presidi per realizzare la chiusura della camera in un tempo solo, ne abbiamo visti di vario tipo, di device, di sistemi con osso o con parti muscolari o fasciali; certamente quello che è molto challenge oggi e che stiamo studiando è poter realizzare una membrana ideale, una membrana biologica che permetta in un tempo solo di chiudere e quindi circoscrivere, raccogliere, garantire l’autonomia, ma in un rapporto di continuo scambio di informazioni biologiche e di evoluzione dei processi di guarigione tra gli ambienti, l’ambiente del focolaio pseudoartrosico e quelli che sono naturalmente tutte le situazioni tissutali del paziente. Questa membrana biologica è in fase di studio grazie a un gruppo di ricercatori presso l’Istituto Gaetano Pini di Milano nella Divisione di Chirurgia e Ortopedica Riparativa che ho l’onore di dirigere e che, posso dire, essere certamente all’avanguardia nella realizzazione di questa membrana. È una membrana che dovrà avere delle caratteristiche che servano, che siano utili a potere raggiungere questo obiettivo, obiettivo ambizioso ma certamente raggiungibile. 27 Quali sono, per poter raggiungere questo ambizioso scopo come abbiamo detto, però le caratteristiche, i principi della membrana biologica, i concetti. La membrana deve agire come una barriera che esclude, ma non esclude dall’organismo il difetto osseo, deve proteggere la politerapia, il graft, i materiali di scaffold che noi inseriamo nel focolaio, i fattori di crescita senza farli evacuare per dispersione soprattutto ematica o liquorale, deve creare e potere permettere la chiusura della camera biologica, in ottemperanza delle necessità dell’osteosintesi in modo tale da facilitare la rigenerazione e quindi guidare i processi ossei di rigenerazione tissutale, soprattutto ottimizzandone il risultato. La membrana dev’essere quindi biocompatibile, deve essere cellulata e quindi non artificiale, deve essere uno spaziatore, deve essere un integratore tissutale, permettere una maneggevolezza clinica, proprio applicativa e forse il calcio carbonato aggiunto a substrati minerali ossei può rappresentare un buon criterio di inizio. Per potere affinare e identificare questi criteri, il lavoro del gruppo di ricerca è stato estremamente lungo e difficoltoso. Noi abbiamo considerato i 2.646 lavori scientifici accreditati in materia e di questi abbiamo studiato dettagliatamente i vantaggi e gli svantaggi delle soluzioni proposte in modo tale da potere cominciare a identificare che cosa davvero potesse essere utile per la realizzazione di questa membrana ideale. Possiamo dire che abbiamo ottemperato criteri che sono biofisici, quindi di morfologia, di porosità, di struttura, di sostegno della membrana, affinati secondo i principi della nanotecnologia a multistrato con parte anche di considerazione biologica sulla costituzione della membrana e crediamo e speriamo che quanto prima questa possa essere disponibile per la ricerca clinica applicativa che è già iniziata, sebbene in una fase precoce e sperimentale, e possa essere disponibile per tutti noi. Abbiamo peraltro pubblicato questi studi in un paper internazionale con un alto fattore di impatto. 28 Collateralmente, il principio della camera biologica nasce anche come considerazione e può essere utile e pertiene anche il trattamento dell’osteonecrosi della testa del femore, ovvero dei condili femorali. Abbiamo sviluppato uno strumentario dedicato dopo anni di ricerca, in modo da potere realizzare questa terapia, politerapia per il trattamento appunto delle necrosi avascolari della testa del femore con uno strumentario dedicato… … che possa agire in modo mininvasivo per permettere il posizionamento di queste sostanze, di questi elementi utili e indispensabili alla guarigione. La tecnica è semplice, è una tecnica come detto a cielo chiuso, la lesione deve essere considerata come una carie che dobbiamo raggiungere dall’esterno in profondità, senza però entrare in articolazione. Questo il posizionamento del filo di Kirschner cervico-cefalico 29 Utilizzando il filo come guida e realizzando una piccola incisione di circa 2 cm in regione sottotroncanterica, viene posizionata la camicia attraverso la quale poi vengono agite delle frese: la prima per raggiungere in maniera millimetrica la regione subcondrale, proprio perché non si deve entrare in articolazione… … la seconda per evacuare i tessuti patologici e realizzare una vera core decompression della lesione. Abbiamo più recentemente implementato anche degli ulteriori strumenti per svuotare meglio in maniera eccentrica la lesione sotto lo strato articolare della testa del femore. Introduzione della cannula, che permette di raggiungere il punto desiderato dall’esterno sempre con modalità mininvasiva e finalmente applicazione di politerapia come in questo caso clinico… .. facilitata dalla morfologia dello strumentario, da delle caratteristiche come, per esempio, 30 il repere, che qui è presente radio-opaco, che permette davvero retraendo la cannula esterna di applicazione, di verificare il riempimento del difetto osseo, con la politerapia che abbiamo introdotto. Ecco quindi che questa è la camera biologica che deve essere chiusa. In questo caso abbiamo implementato una tecnologia con questo scaffold xeno, che è un flex, collagenato parzialmente e quindi demineralizzato parzialmente in maniera tale da poter agire come una spugna che viene insemenzata di cellule, ma che una volta introdotta dentro il tunnel attraverso lo strumentario va a chiudere in maniera efficace pur senza sigillarlo in una maniera completamente impermeabile, ma garantendo la chiusura della camera biologica. Ecco abbiamo realizzato il bireattore e questo è sicuramente predittivo di una buona evoluzione dei processi di guarigione. In questa modalità è possibile realizzare anche una pressione che contribuisce a distendere lo strato già impoverito subcondrale della testa femorale, appunto come detto indebolita per la presenza di quest’ampia cavità. La via d’accesso come vedete è mininvasiva, è un intervento che si può realizzare in circa mezz’ora anche in un ambiente di sala operatoria a bassa intensità. Il paziente viene ricoverato per un giorno e riprende una propria deambulazione protetta solo da due bastoni per circa due settimane. Il rate di guarigione nella serie iniziale clinica considerato, è comunque oltre a quello che era il rate (70% circa) dei trapianti microvascolari del perone vascolarizzato in regione cervico-cefalica onde garantire una vascolarizzazione. Ecco quindi che le biotecnologie in questo caso danno un grande vantaggio perché permettono di avere una tecnica sicuramente mininvasiva, di poco impatto chirurgico, di maggiore sicurezza del paziente, e oltretutto garantisce anche un rate di guarigione maggiore fino al 92%. E vediamo a distanza la buona evoluzione dove gli innesti hanno realizzato un’ossificazione subcondrale che agisce come un supporto di sostegno al cedimento che differentemente sarebbe intercorso con una modificazione, un’alterazione della morfologia della forma della testa e, quindi, un’incompetenza articolare che avrebbe necessitato unicamente di protesizzazione. In questo modo in un soggetto siamo in grado di poter rimandare se non evitare una protesizzazione, ma già rimandare è un buon traguardo soprattutto se la persona è giovane e questo tipo di patologie incide gravemente in pazienti già di età giovanile. 31 Importanza della chiusura della camera biologica: noi verifichiamo in questa osservazione di un paziente da noi trattato agli esordi degli impianti applicativi con politerapia dove, non avendo chiuso vicino a un’articolazione – si tratta di un rarissimo caso, ne sono stati pubblicati solo 3 a livello mondiale in letteratura e questo è uno – vediamo che procede un’ossificazione per dispersione dei fattori di crescita sugli adduttori e sui muscoli. Questa è una situazione che però può essere evitata, come? Per l’appunto procedendo a chiudere la camera biologica. Come in quest’altra osservazione, naturalmente più recente, dove la chiusura della camera biologica ne permette e ne favorisce l’osteointegrazione e, quindi, la guarigione del focolaio, ma oltremodo, anche a un controllo ampliscopico successivo, permette di verificarne oltretutto la buona guarigione anche per competenza articolare. E veniamo infine alle considerazioni che vogliono essere e rappresentare un take-home message di questa breve lezione. Quindi l’autograft: che cosa rappresenta oggigiorno l’autograft? Certamente il gold standard di trattamento di queste patologie, di queste lesioni particolarmente quando associate a perdita di sostanza critica ossea, oggi possono essere evitate in gran parte delle circostanze dalle biotecnologie, però impiegate secondo i criteri scientifici di evidenza che vi abbiamo or ora esposto e secondo il principio della camera biologica in uso con politerapia. Possono servire le biotecnologie comunque per implementare in casi particolari dove il paziente ad altissimo rischio, abbiamo visto anche tecnologie microvascolari, o comunque che impieghino l’autograft del paziente. Le BMP-7 certamente sono quelle che hanno maggiore efficacia tra le biotecnologie come fattori di crescita perché unico agente riconosciuto per evidenza scientifica con azione di 32 osteoinduzione. Molti studi possono comparare l’efficacia dell’osteoinduzione delle BMP-7 nelle pseudoartrosi all’innesto, al graft autologo. L’evidenza della BMP-7 nel trattamento delle pseudoartrosi critiche con perdita di sostanza recidivanti, noi abbiamo contribuito a evidenziare con questo studio clinico prospettico randomizzato on going nel 2005 e poi definitivamente pubblicato nel 2008, che costituisce ancora oggi la sede più ampia di uno studio in classe A. Su questo studio la casa produttrice ha recentemente, attraverso gli organismi europei, richiesto la validazione per l’estensione della label di questo impiego anche al di fuori della tibia, perché questo era sinora riconosciuto al di fuori degli studi sperimentali come il nostro per l’utilizzo quotidiano. Le BMP-7 in ogni modo sono state testate, oltre che in studi come il nostro, in importanti trial, robusti trial multicentrici a livello internazionale; ne vediamo uno a 3 anni sulla tibia e uno a 4 anni sul femore, a cui abbiamo partecipato insieme a colleghi assolutamente di esperienza nel campo. Le cellule mesenchimali sono sicure, non servono le staminali come ormai è noto, seguono la legge dei tessuti, possono essere trattati come terapia consolidata per aspirazione midollare, predisposte e allestite al di fuori di necessità legali come per esempio il rispetto degli standard per centro trasfusionale e quindi diciamo allestite in 10/15 minuti in sala operatoria e servono, naturalmente rispettando quelle che sono le raccomandazioni scientifiche del prelievo, servono certamente per far parte di questa politerapia. Gli scaffold sono dei supporti biologici che hanno forma diversa, hanno proprietà diverse, ma certamente possono servire per sostenere la dignità di correzione della lesione quando questo è necessario per implementare la stabilità del focolaio, possono servire come riempitivi quando c’è una cavità che non richiede tutto ciò, ma un filling cioè una necessità di essere appunto colmata, riempita. Essi sono di vario tipo: ci sono scaffold biologici, ci sono scaffold sintetici e ciascuno ha la propria capacità e bisogna conoscerli tutti perché bisogna scegliere caso per caso in base a quelle che sono le criticità della lesione che noi vogliamo approcciare quello che è più utile. Ci sono scaffold che riassorbono più velocemente, alcuni più lentamente, in alcuni casi è maggiore una stabilità per meno tempo, in altri invece deve ’essere garantito un tempo maggiore di stabilità. 33 Certamente quello che è più labile nel tempo, però è più efficace nel riassorbimento e quindi anche nell’interazione dei meccanismi biologici di stimolazione, e quindi noi dobbiamo scegliere lo scaffold in base alla necessità. Non dimentichiamo, e l’abbiamo ricordato anche nella trattazione di questa esposizione, che alcune tecniche tradizionali sono sempre valide, come il trasporto osseo, l’artrodesi, abbiamo visto anche il trattamento con impianti ossei autologhi microvascolari, tutto ciò può comunque, e l’abbiamo dimostrato, l’abbiamo scritto, implementato anche qua con le biotecnologie, appunto per pazienti che rappresentino un indice di severità e, quindi, di rischio più elevato. La vascolatirà è mandataria; noi dobbiamo sempre rispettare una buona vascolarizzazione del focolaio e addirittura lo dobbiamo aiutare a produrre con il principio, come abbiamo sinora affermato, della camera biologica ed eventualmente anche implementandola con dei fattori di crescita (ndr, vascular endothelial growth factor, VEGF) che certamente contribuiscono molto in caso di perdita di sostanza critica. La camera biologica rappresenta il key point della rigenerazione ossea, cioè l’estrema evoluzione del principio del diamante e, quindi, del pentagono della rigenerazione ossea. E oggi come oggi è imprescindibile come principio cardine per potere avere un’effettiva applicazione delle biotecnologie espresse in politerapia. 34 Le direzioni future sono verso una migliore comprensione degli aspetti soprattutto genetici, quindi quello che è l’implicazione, il profilo genetico del paziente dovrà essere sempre più approfondito e non solo quindi gli aspetti metabolici, dismetabolici, e questo sia con le applicazioni di terapia genica per diagnosi che per trattamento. In pratica l’utilizzo di questi principi - già lo stiamo vedendo – serve per entrambe le considerazioni: nel momento in cui utilizziamo questo tipo di approcci, abbiamo delle correlazioni sia della diagnosi che della terapia. Probabilmente deve passare ancora qualche anno perché possa essere tradotta in una maniera più pratica con un algoritmo come invece già avviene per l’applicazione delle biotecnologie più ordinarie. Non possiamo concludere questa presentazione senza rilevare naturalmente l’attenzione alla sostenibilità economica: noi abbiamo condotto degli studi molto rilevanti circa l’effettivo impatto economico e dobbiamo rilevare che se queste biotecnologie vengono impiegate correttamente, costituiscono un effettivo risparmio economico, sia nei costi diretti, ma soprattutto indiretti che certamente sono il maggiore impatto negativo per la società e che rendono sempre più insostenibile questa nostra cura sanitaria. In conclusione, il messaggio ultimo è che le biotecnologie rappresentano una speranza magnifica per l’umanità, per tutti noi nella cura soprattutto dei casi più difficili, dei casi più complessi, garantendo maggiore sicurezza, affidabilità e migliori risultati e ottemperando e oltretutto ottimizzando i tempi di riparazione ossea e dei tessuti e quindi del malato. - - - Richiedono però dei principi cardine che devono essere rispettati: L’evidenza scientifica a fianco di evidenze certe che oggi esistono per l’applicazione anche dei fattori di crescita, di un modo di utilizzo delle cellule, un modo di utilizzo degli scaffold, la scelta di questi, la politerapia, i principi scientifici che via via proseguono e si affermeranno nel prossimo futuro, sono presenti anche evidenze minori e devono essere ben distinte da quelle certe, dalle evidenze scientifiche internazionalmente riconosciute. Siccome il mercato è lo stesso dobbiamo riservare l’utilizzo di queste biotecnologie a casi importanti, per giusta indicazione, seguendo quelli che sono i dettami dell’evidenza scientifica: questo ne permetterà la sostenibilità economica. Infatti, come abbiamo visto, verificato e contribuito a chiarire, le biotecnologie non rappresentano un extracosto, un aumento dei costi, ma in realtà ne possono costituire un buon risparmio solo però se correttamente impiegate, come d’altronde tutte le tecniche e le tecnologie. Ricordiamo però che le biotecnologie inoltre devono essere utilizzate conoscendo e rispettando l’inquadramento giuridico che ne vincola l’utilizzo; diverso è se sono 35 farmaco, se sono tessuto, se sono sangue, seguono delle normative differenziate e noi dobbiamo saperlo onde poter utilizzarle come terapia sperimentale con quello che ne consegue, quindi la sottomissione ai comitati etici, il disegno dello studio del progetto, il consenso informato ad hoc per il paziente e quant’altro, ovvero come terapia ormai consolidata, come ormai è, cioè in uso, con pubblicazioni internazionali da oltre 2 anni, presente in letteratura mondiale, dove noi possiamo impiegarla normalmente nella pratica di tutti i giorni. Dico per eccesso che l’aspirato midollare è più che consolidato, presente scientificamente nella nostra letteratura da oltre cinquant’anni: questa è una biotecnologia e quindi vedete che la biotecnologia non è solo una cosa degli ultimi anni ma certamente è una speranza di oggi. 36