BENITO CALONEGO
PIANO TESTUALE (O SOTTOTESTO)
METRICO-RITMICO
SIGNIFICATO ESPRESSIVO E FORME DELLA METRICA TRADIZIONALE E DEL
RITMO
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1. IL RITMO
Il susseguirsi di posizioni toniche e atone, di arsi e tesi, di posizioni forti e di
posizioni deboli è indubbiamente il fattore più rilevante del ritmo. Altri fattori del ritmo
sono la melodia e i valori eufonici (rima, allitterazione, ecc.), l'articolazione sonora, le
pause, la sintassi, il significato (è impossibile percepire veramente il ritmo di un verso
senza averne in certo modo colto il senso, soprattutto perchè ogni ritmo esprime una
determinata tonalità affettiva: la verbalizza e la sonorizza). Nelle figure metriche e nella
rima si raccoglie e precipita uno stato d'animo, un modo d'essere, un atteggiamento.
Il ritmo è il fattore costruttivo del discorso poetico, capace cioè di organizzare
l'interazione dinamica degli altri elementi compositivi, di sottometterli a sè e di
<deformarli> (Tynianov), differenziando in tal modo la poesia dalla prosa. Il ritmo, la
parola ritmata, è qualcosa di più della parola inserita in un normale processo
comunicativo. Esso non è in ogni caso un dato tecnico che si aggiunge alle parole.
Il ritmo non è una componente formale isolata e semanticamente vuota, ma
appare in stretta correlazione con i significati verbali. Proprio perchè non ha natura
meccanica, esso viene assumendo la propria forma (anche se solo a livello di immagine
mentale) attraverso scelte, decisioni, ecc. (90)
Il ritmo assume un ruolo significativo ai fini anche della costruzione del senso
poetico di una frase, di un'espressione, ecc.... Il ritmo ha il potere di iconizzare il
significato espresso, come risulta dall'esempio che segue.
limpidi orizzonti
orizzonti
limpidi
Il ritmo largo della prima riga "disegna" un orizzonte ampio, sconfinato, mentre il ritmo
stretto della seconda lo restringe indebitamente.
La celebre frase poetica di Ungaretti
M'i l l u m i n o // d'i m m e n s o
che ha una struttura analoga a <limpidi orizzonti>, presenta un elemento che dilata
ulteriormente lo spazio, l'a capo alla fine del verso. I due brevissimi versi iconizzano il
senso di immensità.
In fondo al capitolo si possono vedere altri esempi suggestivi in cui il ritmo,
iconizzando il contenuto semantico, svolge un rilevante ruolo espressivo che incide sul
senso poetico del testo.
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2. IL VERSO
Il verso è caratterizzato da una struttura metrica composta da:
- un numero preciso di posizioni;
- una pausa principale alla fine della sequenza o frase ritmica;
- una o più pause interne, dette cesure;
- una gerarchia di ictus o accenti ritmici, primari e secondari, grazie ai quali si modula
il ritmo poetico.
Il verso è una linea che si ferma, non perchè sia arrivata a una frontiera
materiale e perchè le manchi lo spazio, ma perchè la sua cifra interna è compiuta e la
sua virtù è consumata (P. Claudel
Il verso si contrappone alla prosa perchè in quest'ultima il ritmo è il risultato
della strutturazione semantica e sintattico-morfologica del discorso, mentre nel verso il
ritmo è elemento che determina la struttura, e nell'ambito del ritmo vanno ricondotti
significato e forma (Tomacevsky).
Nel verso le parole sembrano sporgere, venire in primo piano, mentre in prosa
scivoliamo su di esse, soffermandoci solo sulle parole centrali della frase.
3. I VERSI ITALIANI
Il verso italiano è caratterizzato dal numero delle posizioni, e dagli accenti
ritmici. Questi ultimi non sono fissi rigidamente su alcune posizioni, ma relativamente
mobili, in modo da consentire le diverse configurazioni ritmiche entrate nella tradizione
poetica grazie alla loro potenzialità armonica (92).
Come si calcolano le posizioni del verso italiano?
- Dopo l'ultimo accento ritmico si considera sempre e soltanto una sola sillaba in
posizione libera. Esempio:
custòde, cavàllo, lìbro, ecc... (non ci sono problemi)
pietà/ +1 (come se fosse scritto pietàde)
cùllano/ -1 (come se fosse scritto cùlla)
dòndolano/ -2 (come se fosse scritto dòndo)
- La vocale finale di una parola di regola si contrae con la vocale iniziale della parola
che segue, formando una sola posizione. Esempio: bandiera italiana.
- Di solito due vocali vicine, anche se costituenti due sillabe distinte, formano una sola
posizione. Esempio: Tua; Mia, ecc.
- Le vocali del dittongo formano due posizioni quando c'è la dieresi. Esempio: Trivi a,
Fu ne re o, ae re o.
Per esigenze metriche il poeta può accorciare o allungare la parola utilizzando
le
figure
morfologico-metriche.
(V,
<<Figure
morfologico-metriche>>
nell'Appendice)
Nelle tavole allegate vengono proposte le principali configurazioni ritmiche dei
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versi che seguono.
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Versi parisillabi e versi imparisillabi
A seconda del numero delle posizioni, i versi italiani si distinguono in parisillabi
e imparisillabi, e si distinguono tra loro per una caratteristica assai importante: i primi,
presentano quasi sempre la tendenza all'uniformità ritmica, invece i secondi presentano
al loro interno una certa varietà di ritmi, che li rende più ricchi di potenzialità
espressive e musicali. Per questo motivo i versi parisillabi non piacevano a Dante, che
preferiva nell'ordine l'endecasillabo e il settenario.
Quinario - E' un verso attestato sin dai primordi della poesia italiana. Lo
ritroviamo spesso nella poesia moderna, specialmente quando si attua il tentativo di
riprodurre la metrica classica dei versi italiani. La disposizione degli accenti consente
delle varianti.
Settenario - per la varietà e ricchezza di ritmi, il settenario fu sin dall'antichità,
dopo l'endecasillabo - col quale è in stretta relazione - il verso più importante della
poesia italiana e venne impiegato da solo o alternato a quinari ed endecasillabi. Come
l'endecasillabo, il settenario attraversa tutta la storia della nostra letteratura e lo
ritroviamo spesso nella poesia contemporanea, anche se in forme <liberate> da vincoli
ritmici o formali troppo stretti.
Endecasillabo - è il re dei versi italiani, una misura che ha in sè infinite
possibilità di variazione. Presenta una pausa dopo la quinta posizione (Endecasillabo a
minore) o dopo la settima (E. a maiore)
Come risulta dalla tavola n. 2, l'endecasillabo può assumere molte
configurazioni ritmiche diverse. All'interno di ciascun tipo di configurazione ritmica
sono ancora possibili diversificazioni "ritmiche" determinate dal materiale linguistico,
dallo stile personale, ecc. Ad esempio i due endecasillabi che seguono hanno la stessa
configurazione ritmica (accento sulla seconda, la sesta, la settima e la decima
posizione), ma un ritmo reale diverso:
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<<Le donne, i cavalier, l'armi, gli amori>>
<<che al ceppo delle quer/ce agita il vento>>.
Il differente ritmo deriva da molteplici elementi, dalla differente costruzione sintattica
(nel primo verso abbiamo un elenco di nomi, nel secondo una frase con il soggetto alla
fine, una frase che stringe e fonde tutti gli elementi in unità), dalle numerose fusioni di
vocali finali e iniziali di parola (sinalefe) nel secondo verso, che dilatano e rallentano il
ritmo, dalle qualtà foniche delle parole, ecc...
Naturalmente lo stesso discorso vale per tutti i tipi di versi.
Altri versi sono il ternario o trisillabo, il quaternario o quadrisillabo, il senario,
l'ottonario, il novenari e il decasillabo.
Oltre ai versi precedenti la poesia italiana conosce alcuni versi doppi, ossia
quelli che scaturiscono dal raddoppio dello stesso verso o dalla somma di due versi. Il
ritmo che ne deriva ha un fascino particolare poichè risulta meno scandito, meno
rapido. Di solito ha un andamento più largo e più lento. Nell'esempio che segue, tratto
dalla <<Sacra di Enrico Quinto>> del Carducci, vediamo come la versificazione in
quinari semplici produrrebbe un ritmo rapido e spezzato che annullerebbe l'effetto di
solennità prodotto dal doppio quinario, come pure l'ampiezza della visione e del
racconto.
Quando cadono le foglie, quando emigrano gli augelli
e fiorite ai cimiteri son le pietre de gli avelli,
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monta in sella Enrico Quinto il delfin da' capei grigi,
e cavalca a grande onore per la sacra di Parigi.>>
Quando cadono le foglie,
quando emigrano gli augelli
e fiorite ai cimiteri
son le pietre de gli avelli,
monta in sella Enrico Quinto
il delfin da' capei grigi,
e cavalca a grande onore
per la sacra di Parigi.
Quinario doppio: è uguale al decasillabo per il numero delle sillabe, ma è
diverso per la disposizione degli accenti. Inoltre ha una pausa più forte dopo la prima
parte, che costituisce un vero e proprio emistichio:
Senario doppio: è formato da due senari accoppiati, dopo il primo dei quali si ha
la cesura.
Settenario doppio: imita l'alessandrino, il verso più importante della poesia
francese importato in Italia. Fu ripreso tra il Sei e il Settecento dal poeta Pier Jacopo
Martello.
Ottonario doppio: è il verso più lungo della letteratura italiana, usato tra gli altri
dal Carducci.
Esametro: si compone di un settenario e di un novenario, largamente usato dal
Carducci. Vediamone un esempio.
Sogno d'estate (Giosuè Carducci)
Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti
la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra 'l sonno
in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggì su 'l Tirreno.
Sognai, placide cose dei miei novelli anni sognai.
Non più libri: la stanza da 'l sole di luglio affocata,
rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato
de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,
cari selvaggi colli che il giovane april rifiorìa.
Scendeva per la piaggia con mormorii freschi un zampillo
pur divenendo rio: su 'l rio passeggiava mia madre
florida ancor ne gli anni, traendosi un pargolo a mano
cui per le spalle bianche splendevano i riccioli d'oro.
Andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria,
superbo de l'amore materno, percosso nel core
da quella festa immensa che l'alma natura intonava.
Però che le campane sonavano su dal castello
annunziando Cristo tornante dimane a' suoi cieli;
e su le cime e al piano, per l'aure, pe' rami, per l'acque,
correa la melodia spiritale di primavera;
ed i pèschi ed i meli tutti eran fior bianchi e vermigli,
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e fior gialli e turchini ridea tutta l'erba al di sotto,
ed il trifoglio rosso vestiva i declivi de' prati,
e molli d'auree ginestre si paravano i colli,
e un'aura dolce movendo quei fiori e gli odori
veniva giù dal mare; nel mar quattro candide vele
andavano andavano cullandosi lente nel sole,
che mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva.
La giovine madre guardava beata nel sole.
Io guardava la madre, guardava pensoso il fratello,
questo che or giace lungi su 'l poggio d'Arno fiorito,
quella che dorme presso ne l'erma solenne Certosa;
pensoso e dubitoso s'ancora ei spirassero l'aure
o ritornasser pii del dolor mio da una plaga
ove tra note forme rivivono gli anni felici.
Passar le care immagini, disparvero lievi co 'l sonno.
Lauretta empieva intanto di gioia canora le stanze,
Bice china al telaio seguia cheta l'opra del l'ago.
4. RIMA
E' l'identità di suono in due o più parole dalla vocale tonica fino alla fine. Es.: màno /
melogràno - Màrio / acquàrio - mòndo / rotòndo.
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Funzioni della rima
- collega un verso con un altro, crea un senso di continuità che la sintassi e il significato
espresso verbalmente spesso non sanno offrire;
- collega tra loro i due o più termini (che rimano tra loro), in un rapporto insieme di
equivalenza e di opposizione semantica;
- amalgama il piano sensoriale con quello logico: le parole rimate, con la loro singolare
armonia di suono e differenza di significato, sono un amalgama di sensoriale e di
logico, un arresto, una precipitazione del logico in forma sensoriale, sono l'icona in cui
l'idea resta fissata;
- rende musicale, cioè armonicamente pregnante, il materiale linguistico;
- produce uno stato d'animo irripetibile e definibile solo con quelle parole, in quella
disposizione (Mario Santagostini, Il manuale del poeta, ed. Oscar Mondadori);
- suggerisce associazioni, idee nuove e imprevedibili;
- corregge il naturale calo dell’attenzione al termine del verso, stimolandone la
riattivazione.
Nella poesia del Novecento si è assistito ad un ridimensionamento dell'importanza
della rima e in taluni casi al suo rifiuto, motivato con tutta probabilità dalla ricerca della
<<parola autentica>> e dal generale rifiuto delle forme tradizionali. Tuttavia l'uso della
rima, che non è mai stato abbandonato del tutto, da qualche tempo è tornato
prepotentemente o sotterraneamente in numerosi poeti, quasi a dimostrare che essa
resta uno strumento indispensabile, un <<valore aggiunto>> a cui é impossibile
rinunciare.
La rima può essere, a seconda della sua collocazione nella successione dei versi:
- baciata o accoppiata (AA BB CC DD ...)
" Nella torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto." (G. Pascoli)
Viene impiegata soprattutto nella poesia popolare e in quella per i bambini. Un
esempio:
Quando piove (O. Cicogna)
Quando piove lento lento
e fa freddo e tira il vento,
nella casa sta il bambino,
nel suo nido l'uccellino,
nella cuccia il cagnolino,
presso il fuoco il mio gattino.
E il ranocchio senza ombrello ?
Sotto il fungo sta bel bello.
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- alternata
(AB AB AB ...)
" Ne più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque
Zacinto mia che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque." (U. Foscolo)
- incrociata
(AB BA)
" Io son da l'aspettar omai sì stanca
sì vinta dal dolor e dal disio
per la sì poca fede e molto oblio
di chi del suo tornar, lassa, mi manca." (Gaspara Stampa)
- rinterzata
(ABC ABC)
" Questo m'era ne' voti. Or miei desiri
pace ebber qui tra fiumi e tra montagne
de le secure muse in conpagnia:
pace: se non che te ne' miei sospiri
chiamo, te che da noi si discompagne
e il caro aspetto de la donna mia."
(G. Carducci)
- incatenata
(ABA BCB CDC DED ...)
E' il sistema di rime della "Divina Commedia", tuttora attivo e in buona salute.
L'aquilone (Giovanni Pascoli)
C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d'antìco: io vìvo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle querce agita il vento.
Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch'erbose hanno le soglie:
un'aria d'altro luogo e d'altro mese
e d'altra vita: un'aria celestina
che regga molte bianche ali sospese...
sì, gli aquiloni! E' questa una mattina
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che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d'albaspina.
Le siepi erano brulle, irte; ma c'era
d'autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera
bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.
Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.
…………………………………….
- rima al mezzo
Particolarmente interessante la rima al mezzo: rimano parole terminali e parole interne
al verso. Queste ultime di solito sono collocate al termine dell'emistichio, cioè a metà
del verso. Esempio:
"Loreto impagliato e il busto / d'Alfieri, di Napoleone,
i fiori in cornice (le buone / cose di pessimo gusto)..." (G. Gozzano)
Nella poesia contemporanea tendono a prevalere rime in qualche modo libere da
schemi precostituiti e rime imperfette.
a) Rima imperfetta
-assonanza : equivalenza di suoni vocalici a partire dalla vocale tonica (v. su cui cade
la voce). Es.: témpo / lénto - fàme / pàne
-consonanza: equivalenza delle sole consonanti a partire dalla vocale tonica.
Es.: vènto / piànte - ròmpe / càmpo sedéndo / miràndo.
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5. LA STROFE
La strofe é formata da un gruppo di versi (frasi ritmiche) riuniti tra loro in
maniera da costituire un periodo ritmico. Questa struttura può essere regolata da schemi
precisi (rima, metro, ecc.) oppure, come accade nella poesia contemporanea, può
assumere una forma libera da schemi, secondo il gusto e in un certo qual modo,
l'arbitrio dell'autore.
- Distico - E' formato da due versi uguali a rima baciata (A / A) . Esempio:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna ..." (G.Pascoli)
- Terzina o terza rima - E' formata da tre versi, di solito endecasillabi, che rimano
secondo lo schema seguente: A B A - B C B - C D C... Usata in modo inarrivabile nella
"Divina Commedia".
- Quartina - E' formata da quattro versi, in genere endecasillabi, ma anche ottonari, a
rime baciate: A A B B, alternate: A B A B, incrociate: A B B A, o disposte
diversamente. Può essere isolata o far parte di un sonetto.
- Sestina - E' formata da sei versi, di norma quattro a rime alternate e due a rima
baciata, secondo lo schema seguente: A B A B C C
- Ottava - E' formata da otto versi, di solito endecasillabi, rimanti secondo lo schema
seguente: A B A B A B C C. Non é che una sestina cui siano stati aggiunti due versi a
rima alternata. E' la strofe tipica della poesia cavalleresca, romanzesca ed eroicomica
(Boccaccio, Poliziano, Pulci, Boiardo, Ariosto, Tasso, Tassoni), ed ha tradizioni
gloriose. Particolarmente adatta alla narrazione in versi, fu portata dall'Ariosto e dal
Tasso alla sua più alta capacità espressiva. Un esempio tratto dalla <<Gerusalemme
Liberata>> del Tasso. Siamo all'epilogo del combattimento fra Tancredi e la sua amata
Clorinda.
Ma ecco ormai l'ora fatale è giunta,
che 'l viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta,
che vi s'immerge, e 'l sangue avido beve;
e la veste, che d'or vago trapunta
le mammelle stringea tenera e lieve,
l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e 'l piè le manca egro e languente.
- Distico elegiaco - E' formato da due versi composti o doppi che imitano
rispettivamente l'esametro (settenario + novenario) e il pentametro latino (settenario +
ottonario, oppure quinario + settenario).
- Strofe saffica - Formata da tre endecasillabi e da un quinario, è stata usata non di rado
dal Carducci. (Vedi <<Ave Maria>> nell'Antologia)
- Strofe alcaica - E' formata da due doppi quinari sdruccioli, da un novenario piano e da
un decasillabo piano. Vediamo un esempio tratto da >Nell'annuale della fondazione di
Roma> di G. Carducci.
Te redimito di / fior purpurei
5+5
april te vide su / il colle emergere
5+5
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dal solco di Romolo torva
riguardante su i selvaggi piani
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- Strofe libera o polimetro - E' formarta da un numero di versi non definito, inoltre tali
versi possono presentare misura e ritmo differenti; le rime, saltuarie, sono regolate dal
gusto del poeta.
(V. più avanti "Canzone a strofe libera")
- Vi sono poi strofe legate a componimenti particolari, come ad esempio quelle della
canzone, della canzone sestina, della canzone ciclica, ecc... (V. al paragrafo seguente
"Canzone" e "Canzone sestina").
6. IL METRO
Con il termine metro si intende il numero di posizioni di ogni verso, in pratica la
lunghezza o misura del verso (11 posizioni l'endecasillabo, 10 il decasillabo, ecc...), ma
si intende anche e soprattutto la struttura metrico - ritmica del componimento poetico
(strofe, versi, ecc...), il sistema di rime e gli altri elementi utili per accentuarne la
musicalità. Nelle antologie il metro così inteso è illustrato da una breve rubrica.
Vediamo un esempio.
L'ORA DI BARGA (G. Pascoli)
Sul capo del Poeta, il quale non conosce altra gioia al mondo che quella di contemplare
e meditare nel suo cantuccio d'ombra, si spande il suono dell'orologio del paese, che lo
scuote e gli ricorda che l'ora di andarsene è arrivata, è anzi tardi. E il Poeta, prima
repugna un poco, esita, poi persuaso si leva e si avvia verso casa.
METRO - Sestine di quinari doppi, a rime alterne i primi quattro, e gli ultimi due a rima
baciata; con gli accenti costantemente sulla quarta e sulla nona, che, dividendo ciascun
verso in due parti eguali, imprimono al ritmo una cadenza monotona e blanda, come
quella delle campane.
Al mio cantuccio, donde non sento
se non le reste brusir del grano,
il suon dell'ore viene col vento
dal non veduto borgo montano:
suono che uguale, che blando cade,
come una voce che persuade.
Tu dici, E' l'ora; tu dici, E' tardi,
voce che cadi blanda dal cielo.
Ma un poco ancora lascia che guardi
l'albero, il ragno, l'ape,lo stelo,
cose ch'han molte secoli o un anno
o un'ora, e quelle nubi che vanno.
Lasciami immoto qui rimanere,
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fra tanto moto d'ale e di fronde;
e udire il gallo che da un podere
chiama, e da un altro l'altro risponde,
e, quando altrove l'anima è fissa.
gli strilli di una cincia che rissa.
E suona ancora l'ora, e mi manda
prima un suo grido di meraviglia
tinnulo, e quindi con la sua blanda
voce di prima parla e consiglia,
e grave grave grave m'incuora:
mi dice, E' tardi; mi dice , E' l'ora.
Tu vuoi che pensi dunque al ritorno,
voce che cadi blanda dal cielo!
Ma bello è questo poco di giorno
che mi traluce come da un velo!
Lo so ch'è l'ora, lo so ch'è tardi;
ma un poco ancora lascia che guardi.
Lascia che guardi dentro il mio cuore,
lascia ch'io viva del mio passato;
se c'è sul bronco sempre quel fiore,
s'io trovi un bacio che non ho dato!
Nel mio cantuccio d'ombra romita
lascia ch'io pianga su la mia vita!
E suona ancora l'ora, e mi squilla
due volte un grido quasi di cruccio,
e poi, tornata blanda e tranquilla,
mi persuade nel mio cantuccio:
è tardi! è l'ora!. Si, ritorniamo
dove son quelli ch'amano ed amo.
Di solito non si presta sufficiente attenzione alla metrica e al ritmo della singola
poesia. E' un vero peccato, perchè la musicalità è un elemento essenziale del testo
poetico, anche agli effetti semantici. Percepire il ritmo e le finalità espressive che lo
riguardano non è un fatto insignificante, sia al fine di cogliere il senso poetico del testo,
sia per il piacere sensibile e intellettuale che ne può ricavare. Se uno legge <<L'ora di
Barga>> con la consapevolezza che la cadenza monotona e blanda del doppio quinario
iconizza il suono delle campane, tale cadenza assume una connotazione emotivosentimentale più ricca; lo stesso discorso si può fare per la poesia, sempre di Pascoli,
<<La voce>>, dove la diversa accentuazione dei versi in posizione pari e dispari ritrae il
contrasto dei sentimenti. (V. la prima strofe della poesia al cap. 3.3)
7. LE FORME METRICHE O COMPONIMENTI
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- Il sonetto - E' costituito da due quartine e due terzine di endecasillabi, rimanti secondo
lo schema seguente: ABBA, ABBA, CDE, DCE, o altri analoghi. Esso si presta a una
straordinaria polivalenza di toni espressivi al punto da divenire la forma metrica italiana
per eccellenza, esportata all'estero e copiata con grande successo. Nessun poeta ha
potuto evitarlo come una sorta di apprendistato o di ABC poetico.
Nell'esempio il Carducci si rivolge al fratello Dante, morto suicida alcuni anni
prima, per annunciargli la morte del figlioletto che portava il suo stesso nome.
Funere mersit acerbo (G. Carducci9
O tu che dormi là su la fiorita
collina tosca, e ti sta il padre a canto;
non hai tra l'erbe del sepolcro udita
pur ora una gentil voce di pianto?
E' il fanciulletto mio, che a la romita
tua porta batte: ei che nel grande e santo
nome te rinnovava, anch'ei la vita
fugge, o fratel, che a te fu amara tanto.
Ahi no! giocava per le pinte aiole
e arriso pur di vision leggiadre
l'ombra l'avvolse, ed a le fredde e sole
vostre rive lo spinse. Oh, giù ne l'adre
sedi accoglilo tu, chè al dolce sole
ei volge il capo ed a chiamar la madre.
- La canzone - E' un componimento strofico decisamente complesso e "forte". Dante lo
definisce un componimento in "tragico stile", per un pensiero espresso in unità. Essa
consta di cinque o più strofe uguali, costituite da due elementi: la fronte e la sirima. Tra
di esse c'é spesso un verso - la chiave - che avverte del terminare di una serie di rime.
Dopo la chiave, la canzone si riavvolge su se stessa, dando una estrema organicità e
varietà simmetrica alla composizione. Vediamone un esempio tratto dal Canzoniere del
Petrarca (93).
Di pensier in pensier, di monte in monte,
mi guida Amor, ch'ogni segnato calle
provo contrario alla tranquilla vita.
Se 'n solitaria piaggia rivo o fonte,
se 'n fra due poggi siede ombrosa valle,
ivi s'acqueta l'alma sbigottita;
e come Amor l'invita,
1° piede
FRONTE
2° piede
CHIAVE
or ride or piange, or teme or s'assecura;
e 'l volto che lei segue ov'ella il mena,
si turba e rasserena,
c
1^ volta
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A
B
C
A
B
C
D
E
e
ed in un esser picciol tempo dura;
SIRIMA
onde a la vista uom di tal vita esperto
dirìa:<Questo arde e di suo stato è incerto.>
2^ volta
D
F
F
Importantissima variante della canzone é la canzone sestina o sestina lirica, composta di
sei strofe, ciascuna di sei endecasillabi, più tre versi finali. Le parole terminali dei versi
della prima strofe ritornano identiche nelle altre strofe secondo un ordine particolare
(retrogrado a croce).Vediamone un esempio concreto, tratto dalle Rime di Dante.
(1^ strofe)
1 Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra
2 son giunto, lasso, ed al bianchir de' colli,
3 quando si perde lo color ne l'erba:
4 e 'l mio desio però non cangia il verde,
5 sì è barbato ne la dura petra
6 che parla e sente come fosse donna.
(2^ strofe)
6 Similemente questa nova donna
1 si sta gelata come neve a l'ombra:
5 chè non la muove, se non come petra,
2 il dolce tempo che riscalda i colli,
4 e li fa tornar di bianco in verde
3 perchè li copre di fioretti e d'erba
(3^ strofe)
(4^ strofe)
(5^ strofe)
(6^ strofe)
Come appare con evidenza, la struttura strofica della canzone è quanto mai
complessa. Il rapporto tra il fattore <costruzione>, o meglio gioco costruttivo, e il
fattore <spontaneità> (ispirazione, ecc...) è sbilanciato a favore del primo. Nei poeti
minori tale squilibrio irretisce l'ispirazione in gabbie metriche complicate e rigide che
finiscono con l'uccidere la poesia.
A partire dalla fine del secolo XVI vennero inseriti nella canzone versi sciolti,
cioè non legati da rima, e si abolì l'ordine rigido delle rime. Si arrivò così alla canzone
libera, nella quale l'unico schema da rispettare, per altro in maniera molto elastica, era
dato dall'alternanza di versi endecasillabi e settenari. La canzone libera si presenta così
come un caso emblematico di dissoluzione delle forme metriche tradizionali, sostituite
da nuove forme più adeguate alla nuova sensibilità che, in qualche modo, si era trovata
compressa o inibita dal rispetto rigido della metrica della tradizione. Il suo maggior
artefice é il Leopardi. Vediamo un esempio di canzone libera in cui si alternano senza
regola endecasillabi e settenari, e il gioco delle rime, piuttosto rade, è lasciato libero di
aderire al sentimento e al gusto del poeta.
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Canto notturno di un pastore errante dell'Asia (Giacomo Leopardi)
(terza strofe)
Pur tu solinga, eterna peregrina*,
che sì pensosa sei, tu forse intendi,
questo viver terreno,
il patir nostro, il sospirar che sia;
che sia questo morir, questo supremo
scolorar del sembiante,
e perir della terra, e venir meno
ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
il perchè delle cose, e vedi il frutto
del mattin, della sera,
del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
rida la primavera,
a chi giovi l'ardore, e che procacci
il verno co' suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
star così muta in sul deserto piano,
che in suo giro lontano, al ciel confina;
ovver con la mia greggia
seguirmi viaggiando a mano a mano;
e quando miro in ciel arder le stelle;
dico tra me pensando:
a che tante facelle?
che fa l'aria infinita, e quel profondo
infinito seren? che vuol dir questa
solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono; e della stanza
smisurata e superba,
e dell'innumerabile famiglia;
poi di tanto adoprar, di tanti moti
d'ogni celeste, d'ogni terrena cosa,
girando senza posa,
per tornar sempre là donde son mosse;
uso alcuno, alcun frutto
indovinar non so. Ma tu per certo,
giovinetta immortal, conosci il tutto:
Questo io conosco e sento,
che degli eterni giri,
che dell'esser mio frale,
qualche bene o contento
avrà fors'altri; a me la vita è male.
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(*) Il poeta si rivolge alla luna.
- Componimento in versi sciolti - Il testo é composto di endecasillabi, gli unici versi che
si prestano ad essere usati senza limitazione di rime o di strutture strofiche. L'uso é
codificato a partire dal '500. Data la sua duttilità, l'endecasillabo sciolto si presta a
diversi toni, dall'ironica sottigliezza alla grave solennità. Prendiamo ancora un esempio
dal Leopardi.
La vita solitaria (Giacomo Leopardi)
Talor m'assido in solitaria parte,
sovra un rialto, al margine d'un lago
di taciturne piante incoronato.
Ivi, quando il meriggio in ciel si volve,
la sua tranquilla imago il Sol dipinge,
ed erba o foglia non si crolla al vento,
e non onda incresparsi, e non cicale
strider, nè batter penna augello in ramo,
nè farfalla ronzar, nè voce o moto
da presso nè da lunge odi nè vedi.
Tien quelle rive altissima quiete;
ond'io quasi me stesso e il mondo oblio
sedendo immoto; e già mi par che sciolte
giaccian le membra mie, nè spirto o senso
più le commova, e lor quiete antica
co' silenzi del loco si confonda.
- Componimenti minori sono la canzonetta, la ballata, l'ode, l'inno, il madrigale, il
sirventese, lo strambotto o rispetto, lo stornello, l'ode classica, ecc...
8. L'EVOLUZIONE DELLE FORME METRICHE
Alla fine dell'Ottocento c'è stato un momento cruciale per la sorte delle istituzioni
metriche. Da allora abbiamo assistito alla frantumazione del metro, ma non al suo
abbandono: Ciò appare con evidenza nella breve poesia che segue, in cui il settenario
risulta spesso suddiviso in due versicoli:
Un'altra notte (G. Ungaretti)
In quest'oscuro
colle mani
gelate
distinguo
il mio viso
Mi vedo
abbandonato nell'infinito
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La tensione è portata anche e soprattutto sull'aspetto visivo del verso, con
l'invenzione del poema in prosa e del verso libero che tende ad avere il sopravvento.
Tuttavia , poichè da sempre l'evoluzione della poesia è affidata a un continuo gioco di
destabilizzazione e di normalizzazione e non si deve pensare alla storia della poesia
come a una storia che procede dalla norma all'anarchia, nel Novecento si assiste anche
alla ripresa di metri e ritmi apparentemente desueti. Il verso libero, tra l'altro, non si
ottiene cancellando tout court le forme metriche tradizionali, ma forzando dall'interno
le possibilità offerte dalle forme chiuse, fino a renderle in qualche modo esplosive,
cariche di capacità innovatrici. La "rivoluzione metrica" vissuta o subita da ogni poeta
del Novecento in maniera personale, produce nuove forme e nuovi usi delle forme
codificate, e questo permette di portare entro il terreno della poesia i più vari moduli
linguistici. Se il Novecento è lessicalmente e stilisticamente così vario, ciò è dovuto
anche alla rivoluzione metrica (94).
9. ESEMPI DI ANALISI DEL PIANO METRICO-RITMICO
Pianto antico (G. Carducci)
(SONO SOTTOLINEATE LE POSIZIONI ACCENTATE)
L'albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da' bei vermigli fior
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nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
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Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de l'inutil vita
estremo unico fior,
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sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra,
nè il sol più ti rallegra
nè ti risveglia amor.
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L'esilità della struttura metrica (un'odicina anacreontica), in apparente contrasto
con il tono grave, raffrena in una sorte di dolce nenia la piena del dolore, conforme al
virile umanesimo carducciano.
La poesia è composta di quattro strofe di settenari. Rimano tra loro a) il secondo
e il terzo verso di ogni strofe, b) tutti gli ultimi versi delle strofe.
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Dall'analisi del ritmo si arguisce che i versi più carichi di emozione sono il
quinto, il sesto, il dodicesimo e il quindicesimo, poichè presentano una configurazione
ritmica diversa dalla normale e dagli altri versi. Al quinto verso il ritmo si raffrena, a
fatica riprende lena al sesto: segno di un groppo di dolore, di qualcosa che lacera
l'anima del poeta.
La prima strofe è metricamente la più regolare, la più tranquilla, la meno carica
di sofferenza, una specie di preludio al dramma. Nell'ultima strofe il ritmo acquista una
vera e propria solennità funebre (97). Negli ultimi due versi subisce un sensibile
rallentamento.
Dove la luce
Come allodola ondosa
nel vento lieto sui giovani prati,
le braccia ti sanno leggera, vieni.
Ci scorderemo di quaggiù,
e del male e del cielo,
e del mio sangue rapido alla guerra,
di passi d’ombre memori
entro rossori di mattine nuove.
Dove non muove foglia più la luce,
sogni e crucci passati ad altre rive,
dov’è posata sera,
vieni, ti porterò
alle colline d’oro.
L’ora costante, liberi d’età,
nel suo perduto nimbo
sarà nostro lenzuolo.
La poesia si articola in quattro strofe, la prima e l'ultima di tre versi, le altre di
cinque versi ciascuna, secondo lo schema: 3 5 / 5 3. I versi sono endecasillabi e
settenari, tranne il quarto che è un novenario. Da notare che quest'ultimo segue il terzo
verso, stranamente composto da un novenario più un bisillabo. Eccoli i due versi:
Le braccia ti sanno leggera, vieni.
Ci scorderemo di quaggiù
(9 , 2)
(9)
Si può ritenere che l'inceppamento ritmico del terzo verso coincida con il
momento più critico per il poeta, emotivamente parlando, che sia cioè una spia
dell'emozione che ha <generato> la poesia.
Gli endecasillabi della prima strofe sono a minore , cioè hanno la cesura dopo la
quinta posizione, mentre quelli della terza strofe sono a maiore (cesura dopo la settima
posizione). Un segnale del diverso clima emotivo delle due strofe in parola?
Il ritmo della poesia, è largo, lento, armonioso. Ha tutte le caratteristiche di un
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andante cantabile.
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Regole metriche