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Salvatore Bellia
Salvatore Bellia
Conoscere e Gestire lo
Stress Lavoro-Correlato
INDICE
- COS È LO STRESS .........................................................................
3
- LO STRESS CORRELATO ALL’ ATTIVITÀ LAVORATIVA ...........
4
- LE CAUSE DEL FENOMENO .........................................................
5
- CONSEGUENZE DELLO STRESS .................................................
7
- PATOLOGIE CORRELATE ............................................................
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- NORMATIVE .................................................................................
11
- LA VALUTAZIONE DELLO STRESS ..............................................
13
- ASPETTI PREVENTIVI ……………..............................................
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COS’È LO STRESS
Il concetto di stress viene ampiamente utilizzato ed abusato nell’uso comune,
impropriamente associato a caratteristiche negative quali depressione, ansia, tensione emotiva
e ad altre condizioni di affaticamento psicologico, cui quasi sempre viene assegnato un
carattere negativo.
Ciò non è però corretto, in quanto di per sé lo stress rappresenta semplicemente un insieme
di reazioni di natura adattativa che l’organismo mette in atto per fronteggiare i vari stimoli
provenienti dall’ambiente esterno.
Questi meccanismi non determinano necessariamente una risposta negativa, anzi a volte
possono allenare la capacità individuale di fronteggiare gli stimoli esterni; è questo il
concetto di eustress, o stress positivo.
Solo quando le richieste da parte dell’ambiente esterno oltrepassano la capacità di
adattamento dell’organismo si crea una condizione negativa che può determinare lo
sviluppo di una patologia e che prende il nome di distress.
Questa condizione di stress, si ripercuote su diversi sistemi e apparati del nostro organismo
(nervoso, endocrino, immunitario, cardiovascolare) e determina inoltre l’ attivazione dei
meccanismi di allerta del Sistema Nervoso (reazioni di attacco e fuga): vengono rilasciati gli
ormoni, aumenta la frequenza, il respiro si fa più profondo, si tendono i muscoli.
A determinare, a parità di stimolo stressogeno, l’evoluzione verso l’eustress o il distress,
saranno poi la predisposizione e la suscettibilità soggettive, poiché la risposta allo stress
è diversa da individuo a individuo.
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LO STRESS CORRELATO ALL’ ATTIVITÀ LAVORATIVA
Negli ultimi anni, a partire dai paesi dell’Europa del Nord e dalle nazioni a maggiore
sviluppo tecnologico, quali Stati Uniti e Giappone, l’attenzione verso la componente
psicosomatica di alcune patologie è cresciuta enormemente, in relazione alla riduzione
degli indicatori di benessere dell’individuo. Indagando tra le cause del processo
stressogeno, è emersa chiaramente la correlazione tra disagio psicofisico e attività lavorativa
che, per le sue caratteristiche, può essere considerata come una delle principali fonti di
stress della vita di ogni uomo.
Nasce quindi il concetto di stress occupazionale, definito dal NIOSH (National Institute
for Occupational Safety and Health), come l'insieme delle risposte nocive fisiche ed
emozionali che avvengono quando le richieste lavorative differiscono dalle capacità, dalle risorse
e dalle esigenze del lavoratore.
Nelle società industriali, infatti, il lavoro è una condizione imprescindibile dalla
sopravvivenza dell’individuo, il quale, proprio per questo è costretto a subirne tutti gli
aspetti. Mansioni ripetitive, eccessivi carichi di lavoro, responsabilità verso terzi, conflitti
interpersonali e problemi economici, sono solo alcune delle condizioni che caratterizzano il
contesto lavorativo e che possono influire negativamente sullo stato di benessere. Inoltre, la
necessità di mantenere il posto di lavoro, anche se sgradito, fino al raggiungimento dell’età
pensionabile, conferiscono al problema un carattere di cronicità. Infatti, calcolando in almeno
trentacinque anni la durata media della vita lavorativa di un individuo, si capisce perché anche
lievi conflitti possono sfociare in patologie anche gravi o esacerbare un quadro clinico
preesistente.
Da ciò la necessità di intervento e soprattutto di non sottovalutare il fenomeno; infatti, se da
un lato sono in diminuzione le malattie di natura professionale, d’altro canto si registra un
importante aumento delle condizioni di disagio lavorativo e delle cosiddette malattie aspecifiche.
L’indicatore che in qualche modo fornisce una stima di queste situazioni patologiche non
riferibili a quadri clinici ben definiti è rappresentato dal numero di assenze per malattia, che
infatti risulta in costante aumento.
Oltre alla diffusione di queste “malattie aspecifiche”, contribuiscono ad incrementare il
numero di giornate perse per malattia anche l’aumento della vita media (con l’avanzare dell’età
aumentano i periodi di assenza prolungati) e la scarsità di servizi di supporto psicosociale e di
supporto al personale con prole in età preadolescenziale.
Il risultato finale di questi processi, oltre all’influenza negativa sullo stato di benessere,
comporta una riduzione delle prestazioni lavorative. Si assiste infatti, oltre al già citato
aumento delle giornate di assenza, all’incremento dell’errore umano (e quindi anche degli
infortuni), alle difficoltà nei rapporti interpersonali, alla mancanza di entusiasmo e
motivazione, all’eventuale abuso di sostanze e ad altri comportamenti che alla fine si
traducono in un danno per la produttività aziendale.
Queste condizioni, associate all’ incremento della spesa economica successivo ai costi per
la medicalizzazione e/o l’ ospedalizzazione, comportano, dal punto di vista dell’azienda,
ingenti danni economici, ragion per cui le compagnie più sensibili e lungimiranti hanno
deciso da tempo di attuare programmi preventivi di tutela della salute psicofisica dei
lavoratori che, come dimostrato da molte ricerche, presentano un ottimo rapporto costobeneficio (costituendo quindi una notevole fonte di risparmio per l’azienda) e permettono
di preservare il capitale umano rappresentato dal personale esperto.
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LE CAUSE DEL FENOMENO
In funzione del ruolo fondamentale svolto dalla predisposizione individuale nella genesi
dello stress negativo, i fattori in grado di determinare questa condizione (stressors)
risultano molteplici. Per meglio comprendere il fenomeno dello stress di natura
occupazionale possiamo ricondurre i principali indici stressogeni a due categorie
principali: fattori ambientali e fattori lavorativi.
FATTORI AMBIENTALI
Rientrano in questa categoria tutte le condizioni di natura non occupazionale che possono
influire sulla psiche dell’individuo modificandone lo stato di benessere.
Un primo importante settore gremito di potenziali pericoli per la salute psicofisica della
persona è rappresentato dall’ambiente familiare: la sua struttura e i suoi ruoli; i problemi
economici che derivano dal suo mantenimento; le questioni immobiliari; i confitti tra i
componenti del nucleo familiare (liti, separazione, divorzio); le esigenze alimentari, di
vestiario o di altri generi di necessità; le questioni relative alla prole (gravidanza, parto,
allevamento, scolarizzazione, conflitti generazionali); gli animali domestici; le malattie o i
decessi che possono colpire un congiunto. Queste sono tutte condizioni che comportano
l’instaurarsi dello stato di tensione (risposta adattativa dell’organismo) alla base del processo
di stress.
Fuori dal nucleo familiare, l’interazione dell’individuo con l’ambiente rappresenta l’altro
importante settore in cui sono comprese alcune delle principali cause di stress soprattutto in
relazione al confronto della persona con le altre componenti del contesto sociale. Ne sono un
chiaro esempio la situazione economica personale e generale, il livello di scolarizzazione
personale, i ruoli e i comportamenti sessuali, le amicizie, i rapporti sociali, l’immagine
corporea, la gestione del tempo libero, l’igiene personale, la dieta e i comportamenti
alimentari, ma anche i grandi temi sociali, come la politica, il sesso, il governo, la religione, la
sanità, la contraccezione, l’ambiente.
FATTORI LAVORATIVI
Secondo il NIOSH le condizioni lavorative che sono in grado di determinare stress
possono essere suddivise in sei categorie principali:
CARATTERISTICHE DELLE MANSIONI – sono considerate situazioni stressanti gli eccessivi
carichi di lavoro, le pause poco frequenti, i lunghi orari di lavoro e il lavoro a turni, le mansioni
frenetiche e routinarie con poca inerenza con le proprie competenze, il mancato sfruttamento
delle abilità del lavoratore, ecc. Utilizzando la valutazione ERI si è visto che il numero di ore
lavorative influisce sui meccanismi di sforzo-ricompensa ed ha un ruolo importante nella genesi
dello stress lavoro-correlato.
GESTIONE AZIENDALE – possono determinare distress la mancata partecipazione dei
lavoratori ai processi decisionali, la scarsa comunicazione tra azienda e dipendenti,
l’assenza di politiche familiari, l’eccessiva burocrazia.
RELAZIONI INTERPERSONALI – contribuiscono a rendere nocivo il contesto lavorativo un
ambiente poco socievole e la mancanza di supporto tra i colleghi e tra questi e i dirigenti; in
generale tutti i conflitti sul posto di lavoro.
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RUOLI LAVORATIVI – in questo campo è stato dimostrato che le troppe responsabilità,
ma anche delle aspettative lavorative conflittuali o incerte, sono un sicuro indice di stress.
PROSPETTIVE DI CARRIERA – insicurezza nel lavoro e mancanza di opportunità di
crescita, avanzamento e promozione, così come rapidi cambiamenti a cui i lavoratori sono
impreparati, possono determinare l’insorgenza di stress. Lo stesso discorso può essere
fatto in relazione a salari inadeguati.
AMBIENTE LAVORATIVO – condizioni sgradevoli o pericolose, come affollamento,
rumore, inquinamento dell’aria e problemi ergonomici, vengono percepite dal lavoratore
come nocive e quindi stressanti. In generale tutti i fattori di rischio lavorativo possono
essere percepiti come fattori stressanti ed interferire col benessere dell’individuo.
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CONSEGUENZE DELLO STRESS
Lo stress può influire sulla vita dell’individuo a vari livelli: determinando patologia,
modificando la qualità della vita (abitudini scorrette e voluttuarie, comportamento
antisociale) o interferendo con l’attività lavorativa (assenze dal lavoro, infortuni, ritardi).
STRESS E QUALITA’ DELLA VITA
Studi scientifici dimostrano come lo stress incida in maniera significativa sulla qualità
della vita soprattutto in quei soggetti con reddito medio-basso. Stranamente i dati
dimostrano come gli indici di stress cosiddetti minori abbiano un impatto maggiore sullo
stato di benessere generale rispetto agli stressors maggiori (es. detenzione in carcere o
morte del coniuge).
La condizione di disagio psicologico cui è sottoposto l’individuo esposto a situazioni stressanti
determina uno stato di tensione emotiva cui l’organismo risponde instaurando meccanismi di
difesa dal mondo esterno. Si assiste così al manifestarsi di crisi depressive, comportamenti sleali e
antisociali (furti, piccole illegalità), isolamento sociale, incremento delle abitudini voluttuarie
(tabagismo), utilizzo di sostanze d’abuso (alcol, droghe); spesso poi questi atteggiamenti si
riflettono anche sulla famiglia (problemi psicologici nella prole) e comportano un eccessivo ricorso
alla tutela assicurativa.
Tra le altre abitudini scorrette indotte dallo stress, è stata dimostrata anche una
correlazione statistica, seppur debole, con la diminuzione dell’attività fisica. Ciò andrebbe
imputato a un deficit della volontà e della capacità di impegnarsi a fondo in un’attività
extralavorativa, determinato dallo stato di stress.
Non va dimenticato, infine, il lato economico, sia individuale che relativo alla spesa
sanitaria pubblica: in funzione delle sue conseguenze, alti livelli di stress comportano
anche un maggiore ricorso ai medici di medicina generale, inoltre, è dimostrato che in caso
di stress le spese sanitarie aumentano del 50%.
STRESS E ATTIVITA’ LAVORATIVA
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, alti livelli di stress occupazionale sono
correlati con un maggior rischio di infortuni e di decessi. Inoltre si registra un aumento dei
disordini psicologici, strettamente correlato con il rischio da stress lavorativo e le eccessive
richieste sul posto di lavoro.
Infatti, così come tutte le condizioni in cui l’organismo non riesce a far fronte alle
richieste dell’ambiente esterno siano in grado di determinare distress, allo stesso modo nel
caso dell’attività lavorativa l’individuo è soggetto a forti pressioni che non sempre è in
grado di controllare. Si generano così dei comportamenti scorretti rivolti verso quella che
viene considerata la causa principale o quantomeno una concausa del proprio stato
emotivo.
Sono indicatori considerati “classici” l’assenteismo e il ritardo cronico, le pause
prolungate, gli infortuni ripetuti e l’abitudine di ritardare il rientro al lavoro dopo vacanze
o permessi. Questi atteggiamenti si riflettono naturalmente anche sulla performance
lavorativa: si diventa intolleranti alla propria mansione, aumentano gli errori, si
distruggono gli strumenti di lavoro, non si portano a termine i compiti assegnati e non si
rispettano i tempi di consegna. Si alterano inoltre i rapporti con i colleghi: si riducono
collaborazione, socializzazione e comunicazione, aumentano competitività e rifiuto delle
regole.
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Lo stress inoltre non fa distinzioni gerarchiche: infatti, se da un lato gli impiegati
manifestano un eccessivo bisogno dei supervisori o diventano ipercritici nei loro confronti,
dall’altro i manager vedono diminuire la loro capacità direttiva e non riescono a motivare i
sottoposti. Tuttavia fa differenze di genere: le malattie correlate a questo tipo di disagio,
infatti, colpiscono le donne con una percentuale doppia rispetto ai colleghi uomini.
Questo processo scatena una catena di eventi che si traduce in una diminuzione della
produttività: aumentano i dipendenti che preferiscono lasciare il proprio posto di lavoro e quindi
l’azienda, oltre a perdere un importante capitale umano (i lavoratori esperti), è costretta ad
affrontare ingenti spese per reclutare ed addestrare nuovi lavoratori; inoltre, aumentando i
soggetti con poca esperienza, si assiste ad un incremento degli incidenti sul lavoro, si riduce la
capacità produttiva aziendale e contemporaneamente aumentano sia il carico di lavoro che le
responsabilità per i supervisori, maggiormente soggetti ad assenteismo e interruzione volontaria
del rapporto lavorativo.
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PATOLOGIE STRESS CORRELATE
Lo stimolo stressogeno determina nell’organismo una risposta, che richiede uno sforzo di
adattamento cui corrisponde un alto consumo energetico. L’esposizione a stimoli ripetuti,
specie se non bilanciati da eventi positivi e in relazione all’intensità, la durata e la sinergia
tra di essi, può determinare un deficit dei meccanismi di difesa e sfociare in uno stato di
malattia (distress).
La risposta allo stress è costituita da due fasi: ACUTA (o di allarme); CRONICA (o
adattativa). In questa fase l’organismo si trova in equilibrio precario tra eustress e distress: a
questo punto può recedere e rientrare in una condizione di benessere o passare alla fase
successiva, quella di esaurimento, in cui il perdurare degli eventi stressanti comporta
l’esaurimento funzionale e l’instaurarsi della condizione di distress. L’insieme delle tre fasi
costituisce la cosiddetta Sindrome da Stress Negativo.
Le condizioni patologiche associate a stress si possono quindi considerare come il risultato di
una risposta adattativa dell’organismo troppo intensa e prolungata nel tempo che determina
l’esaurimento funzionale dei meccanismi di difesa fisiologici.
Gli apparati e i sistemi maggiormente colpiti sono: cardiovascolare, nervoso, endocrino,
gastrointestinale, immunitario.
APPARATO CARDIOVASCOLARE
In anni recenti una particolare attenzione è stata riposta al rapporto tra le patologie
cardiovascolari e i livelli di stress della vita quotidiana, ampiamente riconosciuti come fattore
eziologico determinante. Lo stress infatti può agire sia in maniera diretta, quindi attraverso
meccanismi neuroendocrini, che in maniera indiretta, tramite la promozione di comportamenti
non salutari. Se da un lato, infatti, la presenza di stress è associata con un maggiore rischio di
sviluppo di patologie cardiovascolari (es. infarto miocardico, angina, coronaropatia, tachicardia,
ipertensione arteriosa e varicosità venose), dall’altro esiste una associazione statisticamente
significativa a livelli medio-alti di stress con comportamenti scorretti (tabagismo, consumo di
alcol, riduzione dell’esercizio fisico, ipercolesterolemia, ecc.), tutti fattori di rischio per lo sviluppo
di cardiopatie.
SISTEMA NERVOSO
Anche tra disordini di natura nervosa e stress sono state osservate sia un’importante
associazione che una relazione più che significativa con la sua componente occupazionale. Infatti
è stata riscontrata un’importante correlazione, soprattutto per depressione, ansia e
somatizzazione, tanto da poter definire un rapporto direttamente proporzionale tra rischio di
deficit psicologico e incremento dello stress lavorativo.
Le condizioni più spesso riscontrate variano dai disturbi dell’umore, alle alterazioni del
ritmo sonno-veglia, ai conflitti interpersonali e familiari, fino al burnout, alla depressione e
alle tendenze suicide.
APPARATO GASTROINTESTINALE
In molti studi gli eventi stressanti sono stati associati con l’insorgenza o l’esacerbazione
di molte patologie dell’apparato digerente, tra cui i disturbi funzionali gastrointestinali, le
malattie infiammatorie, la malattia da reflusso gastroesofageo, l’ ulcera peptica e la
sindrome del colon irritabile.
Diversi meccanismi sono stati ipotizzati per spiegare questo fenomeno: ipereattività del
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sistema vegetativo e iperstimolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, feedback negativo
delle citochine infiammatorie sulla risposta infiammatoria.
APPARATO CUTANEO
Molti studi scientifici sottolineano la correlazione tra disturbi cutanei e patologie nervose.
Ovviamente lo stesso discorso vale anche per lo stress, anche se sarebbero necessari ulteriori
approfondimenti per meglio chiarire questo rapporto. Allo stato attuale, esiste evidenza
scientifica di un ruolo degli eventi stressanti nello scatenare o esacerbare una patologia
cutanea per quello che riguarda dermatiti eczematose, infezioni da herpes virus, orticaria,
psoriasi, alopecia areata, dermatite atopica.
SISTEMA IMMUNITARIO
Un altro importantissimo ruolo dello stress nel determinare lo stato di malattia riguarda
le sue interazioni col sistema immunitario. E’ dimostrato infatti che elevati livelli di stress
aumentano la suscettibilità alle infezioni, promuovono lo sviluppo di neoplasie, malattie
infiammatorie e autoimmuni; stimolano inoltre la produzione di alcune citochine
infiammatorie, per alcune delle quali è stato dimostrato addirittura un rapporto
direttamente proporzionale.
APPARATO MUSCOLO-SCHELETRICO
Esiste una correlazione, nota ma non chiara, tra lo stress lavoro-correlato e i disordini
muscoloscheletrici. Sappiamo, ad esempio, che livelli sonori non eccessivi ma persistenti,
come quelli del classico rumore d’ufficio, determinano uno stato di tensione muscolare
prolungato, scientificamente dimostrato mediante l’ utilizzo di metodiche
elettromiografiche. Inoltre l’esposizione a stress occupazionale comporta una minore
capacità di recupero.
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NORMATIVE
In virtù della fondamentale importanza ricoperta dall’ integrità psicofisica nella tutela
dello stato di benessere del lavoratore, il fenomeno dello stress viene affrontato a livello
scientifico sin dagli anni ’50. Le crescenti evidenze dell’ influenza di questo fattore di
rischio sui processi aziendali hanno portato la Comunità Internazionale all’ emanazione di
diverse normative per la tutela del lavoratore da questo tipo di disagio sin dai primi anni
’80, con un crescendo che ha convinto successivamente anche l’ Unione Europea ad
imporre ai paesi membri la necessità di valutare e prevenire il fenomeno.
Anche in Italia, in maniera velata con il D.Lgs 626/94 ed in seguito esplicitamente con il
D.Lgs 81/2008, affrontare lo stress lavoro correlato diventa un obbligo normativo.
LEGISLAZIONE INTERNAZIONALE
Uno dei primi organismi internazionali ad occuparsi di salute mentale è stato l’
International Labour Organization (ILO), l’agenzia ONU che si occupa della promozione
dei diritti umani nell’ambiente di lavoro, con le Convenzioni C155 (Occupational Safety
and Health Convention) del 1981 e C161 (Occupational Health Services Convention) del
1985, nelle quali viene più volte sottolineata la necessità della tutela della salute psicofisica
del lavoratore come uno dei primi intenti della sicurezza sul lavoro.
Anche la Comunità Europea si è spesso occupata del problema dello stress correlato all’
attività lavorativa, con pubblicazioni (Spice of Life or Kiss of Death? Working on Stress, 1999)
e direttive nelle quali gli stati membri vengono invitati a prestare particolare attenzione al
crescente problema dello stress legato al lavoro (Conclusioni del Consiglio del 15.11.01;
Risoluzione del Parlamento Europeo sulla promozione della salute e della sicurezza sul
lavoro del 24.02.05); fino ad arrivare alla stesura del famoso Accordo Quadro Europeo sullo
stress lavoro-correlato del 8.10.2004, cui si fa riferimento anche nella Legislazione Italiana
(art. 28, c. 1, D.Lgs 81/08).
Infine molti altri organismi internazionali si sono battuti per il riconoscimento dello
stress tra i fattori di rischio lavorativo, tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità che
nel 2005, nel corso della Conferenza di Helsinki sulla Salute Mentale, ha adottato il ”Piano
d’Azione sulla salute mentale per l’Europa”, nel quale vengono consigliate alcune iniziative
volte a preservare lo stato di benessere psico-fisico nei luoghi di lavoro.
LEGISLAZIONE ITALIANA
PRIMA DEL D. LGS 81/2008
Un accenno al problema del disagio psicosociale sul posto di lavoro era contenuto già nel
D.Lgs n. 626 del 1994, che all’art.4 (Obblighi del datore di lavoro del dirigente e del preposto)
comma 1 imponeva la valutazione di “tutti i rischi per la sicurezza e per la salute dei
lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari”.
Inoltre tra i requisiti professionali degli addetti e dei responsabili del servizio di prevenzione e
protezione era richiesto un attestato di frequenza a specifici corsi riguardanti tra l’altro il tema
della salute psicosociale.
Ovviamente questo semplice accenno non ha costituito di per sé un obbligo alla
valutazione e alla prevenzione del problema dello stress occupazionale, che quindi non è
stato mai realmente affrontato.
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IL DECRETO LEGISLATIVO 81/2008 e s.s.m.m.
Col Testo Unico in materia di tutela della Salute e della Sicurezza nei luoghi di Lavoro,
finalmente l’Italia si adegua alla legislazione europea, imponendo con l’art. 28 (Oggetto
della valutazione dei rischi) comma 1 che la valutazione debba “riguardare tutti i rischi
per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di
lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavorocorrelato, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004”.
Purtroppo però, la scadenza inizialmente fissata per la valutazione dello stress
(31.12.2008) viene più volte prorogata dal Legislatore, fino ad arrivare alla data del
31.12.2010 che però non rappresenta una scadenza, bensì la data di avvio delle operazioni
di valutazione.
Quanto alle modalità con cui effettuare la valutazione, il D.Lgs 106/2009 stabilisce che spetti
alla Commissione Consultiva Permanente per la Salute e Sicurezza sul Lavoro, istituita Presso
il Ministero del Lavoro e della previdenza sociale, come previsto dall’art.6 del D.Lgs 81, il
compito di elaborare le indicazioni necessarie.
Più volte attese, tali indicazioni giungono il 18.11.2010 e in esse viene ribadita l’ importanza
della valutazione dei fattori oggettivi, che costituiscono la fase cosiddetta preliminare, seguita
poi dall’ analisi delle componenti soggettive qualora le iniziative intraprese dalle aziende per
arginare il rischio da stress risultino inefficaci.
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LA VALUTAZIONE DELLO STRESS
Dalla metà del secolo scorso, quando venne identificato il fenomeno dello stress, gli
studiosi di tutto il mondo hanno cercato di mettere a punto degli strumenti per la sua
valutazione. Per la natura estremamente insidiosa e variabile di questo fattore di rischio,
però, nessuno di essi può considerarsi definitivo.
In Italia il problema è noto da tempo, ma solo con l’ introduzione dell’ obbligo normativo
imposto dal D.Lgs 81/2008 si è provveduto ad affrontare il problema della corretta metodologia di
valutazione. In attesa di conoscere le indicazioni della Commissione Consultiva Permanente per la
Salute e Sicurezza sul Lavoro, molti enti si sono cimentati nel fornire il giusto approccio. La
Regione Lombardia, la Regione Toscana, il Coordinamento Tecnico Interregionale della
Prevenzione nei luoghi di lavoro, l’ ISPESL, sono solo alcuni degli organismi che hanno fornito
delle Linee Guida, diverse per certi aspetti ma tutte accomunate da una convinzione: la necessità
di considerare il doppio approccio, oggettivo e soggettivo, ai fini di una corretta valutazione.
APPROCCIO OGGETTIVO
Si effettua quando la misura del rischio da stress occupazionale viene intrapresa in
maniera obiettiva, analizzando le caratteristiche degli ambienti e del contesto lavorativo,
offrendo delle valutazioni indipendenti dalle percezioni dei lavoratori e delle loro personali
risposte ai fattori stressanti. Appartengono a questo tipo di approccio le cosiddette misure
di situazione e gli indicatori di esposizione:
MISURE DI SITUAZIONE – si tratta della valutazione di quelle condizioni, proprie
dell’ambiente lavorativo, che possono essere percepite dal lavoratore come fonte di stress.
Si distinguono:
– caratteristiche della mansione (orari di lavoro, routine, burocrazia, soddisfazione
lavorativa, lavoro notturno o a turni, supporto da colleghi o superiori, responsabilità, prospettive
di carriera, retribuzione, possibilità di crescita formativa, partecipazione al processo decisionale,
lavoro straordinario, incentivi, livello di concentrazione o vigilanza, gratificazione, ecc)
– caratteristiche dell’ambiente lavorativo (microclima, condizioni ergonomiche,
illuminazione, rumore, agenti tossici, agenti biologici o altri rischi professionali, postazione
lavorativa, struttura gerarchica aziendale, servizi per i lavoratori, programmi formativi,
programmi assistenziali, programmi di prevenzione, comunicazione azienda-dipendenti, politiche
“familiari”, ecc)
– caratteristiche dei cicli produttivi (adeguatezza delle attrezzature, inerenza dei compiti
con la mansione, carichi di lavoro, frequenza delle pause, possibilità di comunicazione, condizioni
di rischio per la salute, tempi di esecuzione dei compiti, ecc)
Il vantaggio dell’ utilizzo di questi strumenti è dato da una valutazione obiettiva e
indipendente dalla percezione individuale dello stress da parte del lavoratore, mentre gli
svantaggi sono rappresentati dalla necessità di valutare gli ambienti di lavoro e dalla richiesta
di personale esperto e adeguatamente formato sulle caratteristiche negative per la salute, ma
anche sui comportamenti nocivi della catena produttiva.
INDICATORI DI ESPOSIZIONE – sono basati sulla considerazione che l’esposizione a livelli
nocivi di stress determina sul lavoratore delle modificazioni della performance o dello stato di
salute il cui riscontro può essere utilizzato per realizzare una stima dell’esposizione stessa. Si
distinguono quindi misure di performance e indicatori patologici.
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– misure di performance (assenteismo, infortuni ripetuti, ritardo cronico, pause prolungate,
ritardato il rientro al lavoro dopo vacanze o permessi, mancato rispetto dei tempi di consegna,
incapacità di portare a termine i compiti assegnati, richieste di trasferimento, eccessivo ricorso
all’aiuto dei supervisori, errori frequenti, incapacità di collaborare o socializzare con i colleghi o i
superiori)
– indicatori patologici (cortisolo, catecolamine, frequenza cardiaca, pressione arteriosa,
funzione insulinica, pupillometria, elettromiogramma, encefalogramma e potenziali evocati,
endorfine, colesterolo)
Anche in questo caso il vantaggio dell’ utilizzo di questi strumenti è dato da una
valutazione obiettiva e indipendente dalla percezione individuale dello stress da parte del
lavoratore, mentre gli svantaggi sono rappresentati dal fatto che tali indicatori forniscono una
stima generale (non occupazionale) dei livelli di stress, nonché necessitano della raccolta di
campioni biologici e di laboratori debitamente attrezzati, con costi maggiori rispetto ad altre
procedure.
APPROCCIO SOGGETTIVO
Si effettua quando l’attenzione è posta esclusivamente sull’individuo e sulla personale
consapevolezza che egli possiede del proprio stato di disagio psicofisico.
Questo tipo di approccio, in assoluto il più diffuso e utilizzato, si attua essenzialmente
mediante la somministrazione di interviste ai lavoratori tramite l’ utilizzo di questionari
autovalutativi, con il vantaggio di fornire una stima personale per ogni lavoratore dei suoi
livelli di stress, ma con diversi svantaggi, quantomeno per i più blasonati strumenti esistenti in
letteratura, quali il Job Content Questionnaire di Karasek, l’ Effort Reward Imbalance di
Siegrist, l’ Occupational Stress Indicator di Cooper o il più recente HSE Indicator Tool dell’
Health and Safety Executive.
Tali strumenti, infatti, che comunque risentono della caratteristica di suscettibilità
individuale, nascono con una finalità più epidemiologica che valutativa, sono per lo più in
lingua inglese e costruiti su realtà molto attive nel campo della prevenzione come quella
anglosassone o scandinava, molto diverse dal contesto lavorativo italiano, inoltre pochi
possiedono una versione tradotta in lingua italiana (che non è un adattamento ma una
mera traduzione) e la maggior parte di essi è stata realizzata prima del 2000, quindi
potrebbero non essere aggiornati rispetto ai notevoli cambiamenti sociali e lavorativi degli
ultimi anni, infine la quasi totalità di essi è protetta da rigide norme di copyright.
Come detto, le indicazioni dei più importanti enti che si occupano di Salute e Sicurezza
sul lavoro depongono per l’ utilizzo di entrambi gli approcci, ma anche analizzando tutti i
fattori precedentemente descritti, resterebbero comunque delle lacune dovute all’eccessiva
vastità del fenomeno e alle implicazioni individuali che comporta e che quindi
genererebbero delle variabili non calcolabili.
Inoltre, un approccio realmente completo, o quantomeno il più completo possibile,
renderebbe necessario il coinvolgimento di più specialisti (psicologi, psichiatri, medici del
lavoro e altre figure della prevenzione, ecc) e imporrebbe di rivolgere verso il lavoratore e
l’azienda un’ onerosa attenzione in termini di tempo e soprattutto di costi, cosa che si
scontra con le politiche della quasi totalità delle compagnie, ma anche con la volontà dello
stesso lavoratore.
Realizzare lo strumento perfetto, quindi, risulta quantomeno utopistico, ma nonostante
ciò è possibile mettere a punto un buon compromesso in grado di valutare i principali
indici di stress, tenendo conto sia delle reazioni individuali che degli stimoli ambientali.
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In questo senso, quindi, possiamo considerare idoneo, nella maggior parte dei casi, uno
strumento valutativo che presenti le seguenti caratteristiche:
- autosomministrativo: in questo modo si riduce per il Medico Competente il tempo
da dedicare alla valutazione, si ottiene una maggiore sincerità nelle risposte e si
permette al lavoratore di dedicare alla compilazione il tempo e i modi ritiene necessari.
- di facile comprensione: affinché possano essere inclusi nell’indagine tutte le
categorie di lavoratori, indipendentemente dal grado di istruzione posseduto.
- anonimo: in modo da ottenere dal lavoratore la massima sincerità possibile nelle
risposte.
- non eccessivamente esteso: se così non fosse sia i lavoratori che l’azienda
potrebbero opporre resistenza ritenendo eccessivo lo spreco di risorse.
- completo e versatile: in questo modo tramite un unico strumento sarà possibile
effettuare una valutazione valida per tutte le mansioni e tutte le aziende.
- ad approccio sia soggettivo che oggettivo: in quanto uno strumento veramente
completo deve tenere conto sia delle caratteristiche stressanti fornite dall’ambiente
lavorativo (componente oggettiva), che della suscettibilità individuale del lavoratore
(componente soggettiva).
Infine tra le altre importanti caratteristiche di cui tenere conto troviamo sia la valutazione
comparativa tra i valori di stress e le patologie ad esso correlabili, che la globalizzazione del
mondo del lavoro: sarebbe quindi auspicabile realizzare uno strumento utilizzabile in tutti
i paesi e che come tale, sia tradotto in molteplici lingue.
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ASPETTI PREVENTIVI
In relazione alle conseguenze sociali, sanitarie e lavorative che l’esposizione ad elevati
livelli di stress comporta, l’introduzione di programmi preventivi volti a eliminare, o
quantomeno ridurre, le complicanze che derivano da questo fenomeno risulta un
intervento necessario.
Le misure preventive possono essere individuali o collettive; nel primo caso si agisce su un
individuo per cui è stato valutato un livello eccessivo di stress o per il quale è stato
dimostrato che la mansione comporti una esposizione eccessiva; in caso di misure
collettive, invece, è necessario predisporre programmi globali di gestione dello stress.
Secondo il NIOSH, le strategie preventive più diffuse sono essenzialmente due:
– Programma di assistenza agli impiegati. Circa la metà delle grandi aziende
negli USA ne ha uno. Riduce i sintomi dello stress come ansia e disturbi del sonno, non
è costoso ed è facile da sviluppare. D'altro canto agisce solo sui sintomi a breve termine
e ignora importanti cause di stress, in quanto si focalizza sui fattori lavorativi e non su
quelli ambientali.
– Modifiche organizzative. Consiste nell'identificazione degli aspetti lavorativi più
stressanti e nella realizzazione di strategie per eliminarli. Il vantaggio di questo
approccio consiste nell' azione diretta sui principali fattori di stress, ma spesso i
manager si trovano a disagio nel dover effettuare radicali cambiamenti della struttura
organizzativa dei carichi di lavoro.
PROGRAMMI DI PREVENZIONE DELLO STRESS
I programmi di prevenzione sono un passo ormai necessario nelle strategie per
fronteggiare lo stress; infatti dalla letteratura scientifica sappiamo che questi interventi
agiscono sia sullo stato di salute dell’individuo (migliorano lo stato di benessere generale e
la percezione della propria salute psicologica) che sull’attività lavorativa (influiscono
positivamente su produttività, professionalità, assenteismo, valutazione organizzativa).
In questi anni poi il tema della prevenzione dello stress sta ricevendo una grande
attenzione: in tutto il mondo stanno nascendo diverse iniziative in tal senso, come l’HSE
(Health Safety Executive; Gran Bretagna), il Combat Workstress Approach (Olanda), il
SOBANE (Screening, OBservation, ANalysis, Expertise; Belgio).
L’Italia, tramite l’ISPESL, partecipa al progetto europeo PRIMA-EF (Psychosocial RIsk
MAnagement - European Framework) per la gestione dei rischi psico-sociali con
particolare attenzione allo stress lavoro correlato e alla violenza sul lavoro.
Esempi di programmi preventivi in grado di ridurre i livelli di stress sono: abbattimento
dello stress; miglioramento della forma fisica; screening dell’ipertensione; controllo
dell’abuso di alcol, farmaci e droghe; controllo del fumo di sigaretta; nutrizione e
dietologia; screening tumorale; programmi specifici per le singole mansioni (ergonomia,
lavori pericolosi, antinfortunistica).
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Il NIOSH ha identificato all’interno dei programmi di prevenzione dello stress tre fasi
principali:
1. Identificazione del problema. (creare un gruppo di lavoro composto da dirigenti,
impiegati e rappresentanti dei lavoratori; utilizzare un questionario per capire la
percezione dei lavoratori delle condizioni di lavoro e dei livelli di stress, le condizioni di
salute e la soddisfazione lavorativa; valutare gli indici di stress come: assenteismo,
malattia, cambi di turno, cattive prestazioni lavorative).
2. Intervento. (identificare le cause di stress da modificare; proporre le strategie di
intervento; comunicare il piano di intervento agli impiegati).
3. Valutazione. (condurre valutazioni a breve e lungo termine; misurare la percezione
degli impiegati delle condizioni di lavoro, stress, salute e soddisfazione lavorativa;
ridefinire gli interventi e ricominciare dal punto 1).
Per realizzare un adeguato programma di gestione dello stress è opportuno monitorare
sia i parametri indicatori di stress fisico (patologie correlate, abitudini di vita), sia le
influenze dello stress sulla produttività. E’ inoltre importante realizzare percorsi formativi
che aiutino gli impiegati a riconoscere e gestire lo stress facilitando la risposta adattativa.
Il NIOSH ha evidenziato alcune caratteristiche applicabili ai programmi di prevenzione
per aumentare la produttività e ridurre lo stress. Tra esse: riconoscimenti per i lavoratori
con buone prestazioni, opportunità di carriera e l’introduzione di una cultura organizzativa
che valuti i lavoratori individualmente.
Altre caratteristiche importanti, come evidenziato in uno studio della The St.Paul Fire
and Marine Insurance Company pubblicato sul Journal of Applied Psychology sui
programmi di prevenzione ospedaliera, includono: educazione allo stress per impiegati e
dirigenti, cambiamenti nelle politiche aziendali con procedure per ridurre le cause di
stress, creazione di programmi di assistenza ai lavoratori. Dai risultati di questo studio è
stata riscontrata una riduzione del 50% della frequenza degli errori dei medici e del 70%
delle pratiche di malasanità. Non va dimenticato inoltre di elevare i livelli di soddisfazione
lavorativa: studi recenti dimostrano la sua efficacia nel contrastare sia gli effetti dello stress
e che quelli del burnout.
Inoltre possono essere consultati esperti nel campo della prevenzione nei luoghi di lavoro
o possono essere richieste le prestazioni di consulenti esterni più specializzati; l’importante
è però che dopo che i provvedimenti di gestione dello stress siano stati attuati, venga svolta
una verifica periodica al fine di accertarne l’efficacia.
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Dr.
Salvatore Bellia
Specialista in Medicina del Lavoro
Medico Autorizzato per la Radioprotezione Medica
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Istituto B. Ramazzini srl
Medicina del Lavoro e Igiene Industriale
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