CONFIMI
Rassegna Stampa del 24/06/2014
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INDICE
CONFIMI
24/06/2014 Eco di Bergamo
«Le Pmi sono pronte a ripartire ma vanno sostenute nell'export»
6
24/06/2014 Il Giornale del Piemonte
Dai Confidi al digitale
7
24/06/2014 Il Giornale della Liguria
Dai Confidi al digitale
8
CONFIMI WEB
23/06/2014 www.repubblica.it 06:52
Ice, Sace e Simest via all'intesa con Confimi
10
23/06/2014 borsaitaliana.it 15:05
Economia e finanza: gli avvenimenti di LUNEDI' 23 giugno -2-
11
SCENARIO ECONOMIA
24/06/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Né buono né cattivo Rompere il tabù del potere»
13
24/06/2014 Il Sole 24 Ore
Guidi: 20 miliardi sbloccati, ora piano per il made in Italy
16
24/06/2014 Il Sole 24 Ore
La flessibilità si conquista con i fatti
18
24/06/2014 Il Sole 24 Ore
Riaprire il cantiere Eurobond
20
24/06/2014 Il Sole 24 Ore
«Priorità agli investimenti pubblici»
22
24/06/2014 Il Sole 24 Ore
«Le imprese non fanno finanza»
24
24/06/2014 La Repubblica - Nazionale
Blitz di Marchionne scavalca il sindacato e parla agli operai Maserati
26
24/06/2014 MF - Nazionale
Piazza Affari non crede a Merkel vestita da colomba
27
24/06/2014 MF - Nazionale
Festa anche a maggio per il riparmio gestito con 7 miliardi di raccolta netta
28
24/06/2014 MF - Nazionale
La ripresa c'è, ma va coltivata
29
SCENARIO PMI
24/06/2014 Corriere della Sera - Bergamo
Sob, investimenti per battere la crisi con volumi produttivi in crescita
32
24/06/2014 Il Sole 24 Ore
«La ricetta? Presenza sui mercati»
33
24/06/2014 Il Sole 24 Ore
Pmi, il filo che lega Italia e Germania
35
24/06/2014 Il Sole 24 Ore
Brand e hi-tech attirano capitali
37
24/06/2014 Il Sole 24 Ore
A Parma boom di iscrizioni ai corsi sull'agroalimentare
39
24/06/2014 Il Sole 24 Ore
Hi-tech e globalizzata, la meccanica sfida la crisi
40
24/06/2014 Il Sole 24 Ore
I contoterzisti della moda si alleano per esportare con marchi propri
42
24/06/2014 La Repubblica - Bologna
La ripresa è iniziata dopo oltre due anni sale la produzione
44
24/06/2014 Avvenire - Nazionale
Chimica, c'è l'export oltre la crisi
45
24/06/2014 ItaliaOggi
Interdis riporta in vita VéGé
46
24/06/2014 MF - Nazionale
CHINA DESK
47
CONFIMI
3 articoli
CONFIMI - Rassegna Stampa 24/06/2014
5
24/06/2014
Eco di Bergamo
(diffusione:54521, tiratura:63295)
«Le Pmi sono pronte a ripartire ma vanno sostenute nell'export»
Andrea Iannotta
La sottoscrizione dell'accordo quadro-operativo tra Confimi e Ice-Agenzia per la promozione all'estero rappresentate dai rispettivi presidenti, Paolo Agnelli e Riccardo Monti - avvenuta ieri all'ex Borsa Merci, ha
fatto da sfondo al convegno su «Pmi ed export», che ha focalizzato l'attenzione del folto pubblico presente
sulla via da seguire, soprattutto da parte dellePmi, verso l'internazionalizzazione.
«Siamo qui per ripartire - ha sostenuto Agnelli - per capire quali possibilità ha quel 50% di imprese che
fondano sul "made in Italy" la loro attività. Settori come l'agroalimentare, il mobile, l'arredo hanno notevoli
potenzialità di vendita nel mondo. E con il protocollo sottoscritto oggi con Ice possiamo fortemente dare una
mano a queste imprese. Per l'altro 50%, che si occupa della costruzione di prodotti a basso contenuto
tecnologico, occorre tutta un'altra storia».
E qui l'imprenditore chiama in causa il governo, snocciolando i numeri della crisi che da anni ormai attanaglia
la nostra economia, numeri e cause che non possono essere dimenticati «per voltare pagina», come aveva
sottolineato in precedenza il viceministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda. «In 5 anni - ha ricordato il
presidente di Confimi - abbiamo perso 600mila imprese, la disoccupazione ha raggiunto il 14% e quella
giovanile il 43%. La crisi sarà finita quando le imprese ricominceranno ad assumere. E questo è successo
perché abbiamo il costo del lavoro più alto d'Europa». Cui si aggiunge «l'elevato costo dell'energia, perché il
fisco si trattiene buona parte di quanto viene pagato per mega watt acquistato. Anche il "credit crunch", la
stretta creditizia è tuttora viva e presente tra noi, non solo perché le grandi banche non vogliono rischiare, ma
anche per i parametri (fissati da Eba, Bce, Basilea 3) in base ai quali solo i ricchi, con andamento positivo e
patrimonio solido, possono avere denaro. Chi ha attraversato il deserto, stremato ma vivo, si vede negare un
po' d'acqua dalle banche».
Sul calo della domanda interna Agnelli ha poi ricordato che «la globalizzazione ha portato in Italia prodotti
costruiti all'estero per un valore di un 1 miliardo di euro in un anno solo da Cina e India, senza contare gli
altri. Prodotti portati via alle nostre aziende». Ma le imprese, nonostante tutto, non si arrendono e anche il
protocollo siglato con Ice può essere utile per «espandere il made in Italy nel mondo». Con quella voglia di
intraprendere «che ha saputo innovare, percorrere strade nuove - come ha sostenuto Giorgio Gori,
neosindaco di Bergamo -, esempio di come si affrontano le crisi».
Per il vice ministro Calenda, obiettivo dell'accordo tra Confimi e Ice - che si propone la collaborazione
finalizzata all'internazionalizzazione delle piccole imprese, a tariffe scontate del 25% sui preventivi elaborati, e
che ha trovato il consenso di Paolo Malvestiti, presidente della Camera di commercio, e di Giorgio Bonassoli,
assessore provinciale alle Attività produttive - è «cercare indicazioni di come si sta muovendo il commercio
internazionale. Se l'Italia esporta più di Francia e Germania il merito è degli imprenditori. Però ora è
necessario che anche le Pmi si rivolgano a quei mercati di consumo che si stanno sviluppando. L'intesa con
Ice è importante, a patto che porti a risultati positivi, sviluppata su un piano concreto».
Il presidente dell'Ice Monti - intervenuto al dibattito con Massimo D'Aiuto, amministratore delegato di Simest,
Gianmarco Boccia e Gabriele Busti, in rappresentanza, rispettivamente, di Sace Lombardia e della Regione
Lombardia - ha evidenziato che «l'Ice nasce per aiutare le aziende, soprattutto le Pmi, ad esportare. È la
nostra missione, con l'obiettivo di creare più ricchezza e occupazione per il nostro Paese». •
CONFIMI - Rassegna Stampa 24/06/2014
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Economia
24/06/2014
Il Giornale del Piemonte
Pag. 7
(diffusione:12684, tiratura:39829)
Dai Confidi al digitale
Tanto interesse per il confronto sui temi più caldi SCENARI INESPLORATI Il credit crunch e le tecnologie
innovative rappresentano una sfida
Grande interesse per la sessione pomeridiana di «Finanziare la ripresa. Le sfide del credito alle imprese» il
convegno organizzato da BancaFinanza ieri al Castello del Valentino di Torino. Dopo il lunch si sono svolti
contemporaneamente tre workshop tecnici che hanno visto rappresentanti della finanza, delle imprese e delle
categorie confrontarsi e approfondire alcuni dei temi introdotti nella mattinata. Tre i worksop organizzati in
contemporanea nelle affascinanti sale del castello sabaudo. Il primo verteva su «Sistema Bancario e fonti di
finanziamento delle Pmi - Minibond. La funzione dei Consorzi Fidi nel nuovo scenario del credito». A
confrontarsi, moderati dal giornalista economico Nino Sunseri, il responsabile finanza della Banca Popolare di
Vicenza, Paolo Altichieri, Giandandrea Bertello (corporate division Bnl, Gruppo Bnp Paribas), Massimo Gibin
(responsabile Servizio Credito e Finanza Giovani imprenditori di Api Torino), Andrea Giotti (Direttore generale
diEurofidi) e Danilo Rivoira, responsabile Area Crediti Banca Credito Cooperativo di Cherasco). Nel secondo
worksop si è invece approfondito il tema de «La ristrutturazione dei debiti bancari delle imprese, tra credit
crunch e nuove normative (fontialternative di finanziamento alle imprese). Moderati dal caposervizio
all'Economia di QnQuotidiano nazionale, si sono confrontati Aldo Boffa, direttore di Cogart Cna Piemonte),
Massimo Gasparotto (Ad Mondialpol service spa), Enrico Merli (rappresentante Avvocatura di Torino,
Consiglio nazionale forense) e Marco Rosati (amministratore delegato di Zenit sgr). Molto attuali e
interessanti anche gli argomenti del terzo workshop, che verteva sulla «Revisione dei modelli distributivi e
sviluppo canali digitali: quali benefici per le aziende?». Moderati da Maurizio Montagna, giornalista di
BancaFinanza, ne hanno discusso Marco Barbuti (responsabile della direzione del progetto multicanalità
integrata di Isp di Intesa Sanpaolo), Raimondo Marcialis (commissione finanza, AssiomForex), Gianluigi
Pesce(Responsabile multichannel Corporate Strategy, Unicredit) e Rainer Steger (Responsabile Dolomiti
Direkt).
CONFIMI - Rassegna Stampa 24/06/2014
7
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I WORKSHOP SULLE NUOVE OPPORTUNITÀ
24/06/2014
Il Giornale della Liguria
Pag. 7
Dai Confidi al digitale
Tanto interesse per il confronto sui temi più caldi SCENARI INESPLORATI Il credit crunch e le tecnologie
innovative rappresentano una sfida
Grande interesse per la sessione pomeridiana di «Finanziare la ripresa. Le sfide del credito alle imprese» il
convegno organizzato da Banca Finanza ieri al Castello del Valentino di Torino. Dopo il lunch si sono svolti
contemporaneamente tre workshop tecnici che hanno visto rappresentanti della finanza, delle imprese e delle
categorie confrontarsi e approfondire alcuni dei temi introdotti nella mattinata. Tre i worksop organizzati in
contemporanea nelle affascinanti sale del castello sabaudo. Il primo verte va su «Sistema Bancario e fonti di
finanziamento delle Pmi - Minibond. La funzione dei Consorzi Fidi nel nuovo scenario del credito». A
confrontarsi, moderati dal giornalista economico Nino Sunseri, il responsabile finanza della Banca Popolare di
Vicenza, Paolo Altichieri, Giandandrea Bertello (corporate division Bnl, Gruppo Bnp Paribas), Massimo Gibin
(responsabile Servizio Credito e Finanza Giovani imprenditori di Api Torino), Andrea Giotti (Direttore generale
di Eurofidi) e Danilo Rivoira, responsabile Area Crediti Banca Credito Cooperativo di Cherasco). Nel secondo
worksop si è invece approfondito il tema de «La ristrutturazione dei debiti bancaridelle imprese, tra credit
crunch e nuove normative (fonti alternative di finanziamento alle imprese). Moderati dal caposervizio
all'Economia di QnQuotidiano nazionale, si sono confrontati Aldo Boffa, direttore di Cogart Cna Piemonte),
Massimo Gasparotto (Ad Mondialpol service spa), Enrico Merli (rappresentante Avvocatura di Torino,
Consiglio nazionale forense) e Marco Rosati (amministratore delegato di Zenit sgr). Molto attuali e
interessanti anche gli argomenti del terzo workshop, chevertevasulla«Revisionedeimodelli distributivi e
sviluppo canali digitali: quali benefici per le aziende?». Moderati da Maurizio Montagna, giornalista di Banca
Finanza, ne hanno discusso Marco Barbuti (responsabile della direzione del progetto multicanalità integrata
di Isp di Intesa Sanpaolo), Raimondo Marcialis (commissione finanza, Assiom Forex), Gianluigi Pesce
(Responsabile multichannel Corporate Strategy, Unicredit) e Rainer Steger (Responsabile Dolomiti Direkt).
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I WORKSHOP SULLE NUOVE OPPORTUNITÀ
CONFIMI WEB
2 articoli
23/06/2014
06:52
www.repubblica.it
Sito Web
pagerank: 8
LE TRE AGENZIE E L'ASSOCIAZIONE DEGLI IMPRENDITORI PUNTANO A MIGLIORARE LE
PROCEDURE PER L'EXPORT
Prosegue la marcia della Confimi, la "terza Confindustria" che ormai con 30mila aziende iscritte e 410mila
dipendenti se la batte con la Confapi per il secondo posto. «Ormai la trasmigrazione dalle altre due
associazioni è continua, segno che qualcosa nella rappresentanza non è andato», dice il presidente di
Confimi, Paolo Agnelli. Oggi pomeriggio alla Camera di Commercio di Bergamo firmerà un accordo di
cooperazione con l'amministratore delegato della Simest Massimo D'Aiuto e i presidenti di Sace e Ice,
Giovanni Castellaneta e Riccardo Monti. Scopo: aiutare le piccole e medie imprese che sono l'essenza della
Confimi, tutte manifatturiere, ad esportare di più e con più facilità. «Ci sembra fondamentale quest'intesa che
firmiamo con l'agenzia governativa per l'export, con quella per l'assicurazione dei crediti all'export e infine con
la private equity pubblica Simest, che valuterà se entrare nel capitale di certe imprese», spiega il presidente
di Confimi. Le quattro organizzazioni contano di dar vita a una vera e propria "cabina di regia"
dell'internazionalizzazione. Agnelli, imprenditore bergamasco dell'alluminio, è a capo di un gruppo di famiglia
di 14 imprese e 130 milioni di fatturato, dalle pentole rese celebri da MasterChef fino alle trafilerie di alluminio
per auto. (eugenio occorsio) Paolo Agnelli, presidente della Confimi
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 24/06/2014
10
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Ice, Sace e Simest via all'intesa con Confimi
23/06/2014
15:05
borsaitaliana.it
Sito Web
pagerank: 5
ECONOMIA - Milano: incontro "Expo, nuovi progetti d'impresa per la cultura"
Ore 17,00. Presso Palazzo Affari ai Giureconsulti, via Mercanti, 2
- Milano: al via le celebrazioni per il 50mo compleanno della Linea 1 del Metro' di Milano. ore 18,00. Presso la
Sala Buzzati della Fondazione Corriere Della Sera
- Bergamo: incontro Confimi Impresa "Pmi ed export: uno sguardo sul mondo". Ore 14,30. Presso Palazzo
dei Contratti, piazza Liberta'
- Novara: Assemblea Associazione Industriali di Novara "Costruire il futuro: idee e proposte per il rilancio
dell'economia". Ore 17,00
Partecipa, tra gli altri, Alberto Baban, vice presidente Confindustria e presidente P.I. di Confindustria. Presso
Banco Popolare Divisione BPN, Auditorium, Via Negroni 11, - Parma: Assemblea Unione Parmense degli
Industriali. Ore 17,30
Partecipa, tra gli altri, Giorgio Squinzi, presidente Confindustria. Presso Teatro Regio, Via G. Garibaldi 16/A
--In collaborazione con Borsa Italiana www.borsaitaliana.it
Red(RADIOCOR) 23-06-14 12:44:05 (0304) NNNN
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Economia e finanza: gli avvenimenti di LUNEDI' 23 giugno -2-
SCENARIO ECONOMIA
10 articoli
24/06/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
«Né buono né cattivo Rompere il tabù del potere»
Paola Pica
di Paola Pica a pagina 25
Patrizia Grieco, neo presidente dell'Enel e una lunga carriera da capo azienda prima in Italtel, poi in Siemens
e Olivetti. Le donne chiamate ai vertici dei gruppi pubblici e delle istituzioni stanno disegnando una nuova
leadership in Italia?
«Siamo di fronte a un'occasione straordinaria. L'incoraggiamento legislativo, con le cosiddette quote di
genere, e le nomine volute dal governo Renzi, mettono le donne in grado di diventare veri e propri agenti del
cambiamento».
Possiamo parlare di donne e potere o questo binomio è ancora tabù?
«Le cose stanno cambiando rapidamente, ma certo le donne hanno fin qui diffidato del potere, quando non
ne hanno avuto paura, per un retaggio culturale tra i più pesanti e penalizzanti per l'intera società. Il potere
non è buono o cattivo. Dipende da come lo usi».
Proposte?
«Bisogna cambiare la percezione di chi è destinatario delle azioni di quel potere. Di chi sente solo un effetto
avverso, un contrasto ai diritti. La parola chiave è discontinuità. Solo chi non ha potuto partecipare avrà uno
sguardo nuovo e una forza innovatrice. Che poi è il cuore della questione: superare le stratificazioni
corporative e aprire al merito, ai giovani, ai talenti, siano essi femminili o maschili».
Non vorrà nasconderci il fatto che le donne che approdano nei consigli di amministrazione o salgono al
vertice pagano ancora un prezzo alla cooptazione, alla «graziosa concessione»?
«La sociologa Chiara Saraceno parla efficacemente di antitrust, di "cartello" del potere che cerca di
conservare, di proteggere lo status quo. Io dico che il nostro compito primario è il rinnovamento, il ricambio
generazionale. Se non assumiamo il ruolo di agenti del cambiamento veniamo meno alla nostra missione».
Essere motore del cambiamento è quello che ha chiesto il governo di Matteo Renzi a lei e alle altre presidenti
di società a capitale pubblico?
«Direi che si tratta di una richiesta implicita»
Considera la maggiore partecipazione delle donne un obiettivo del suo mandato?
«Dentro il perimetro dato sì. Ma non ne faccio una questione solo femminile. Dobbiamo riuscire a trattenere i
nostri giovani migliori, attrarre talenti dall'estero».
È un caso che proprio quando vengono chiamate le manager, tutte alla presidenza, nessuna in un ruolo
operativo, venga introdotto anche il tetto alle retribuzioni?
«Ho accettato l'incarico sapendo quale sarebbe stato il mio compenso. Sono dell'idea che competenze e
responsabilità vadano adeguatamente retribuite, ma oggi scontiamo le esasperazioni del passato, eccessi
non solo italiani. Quanto alle deleghe, sono quelle che ho chiesto: mi occuperò di governance, audit e, di
concerto con l'amministratore delegato Francesco Starace, di relazioni istituzionali».
Lei siede nel board di Cnh, società del gruppo Fiat-Chrysler. Che rapporto ha con Sergio Marchionne?
«Lo stimo molto, è un uomo coerente e portatore di discontinuità importanti. Sono lusingata di sedere in un
consiglio internazionale e di alto profilo».
Dopo tanti anni di «trincea» essere presidente le sembra limitante?
«Al contrario, lo considero un riconoscimento. Il presidente svolge un ruolo di garanzia verso il mercato e tutti
gli "stake holder", i portatori di interesse».
È un «mestiere» che si impara?
«Ci sono dei criteri da rispettare e il primo è l'indipendenza. Poi c'è la distinzione netta delle deleghe. Il
terreno dei manager non va invaso. Il presidente, poi, è un presidio sulla trasparenza e quest'ultima è un
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/06/2014
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intervista Patrizia Grieco (Enel)
24/06/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/06/2014
14
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grande valore per la società perché così si attraggono gli investitori e si stabilizza l'azionariato. Detto questo,
sono un po' secchiona e mi sottopongo a quattro-cinque ore di formazione al giorno. Il ritmo è indiavolato e
mi piace moltissimo».
Tocca alla presidente dirimere i conflitti?
«Ecco, mentre del potere non bisogna avere timore, dei conflitti sì. Possono fare molto male a una società
quotata, vanno prevenuti. Come? Ancora una volta con una governance efficace e la trasparenza, un collante
universale».
Laureata in Giurisprudenza ha dovuto «studiare» le telecomunicazioni. Ricomincia da capo ora con l'energia?
«Sembrerà strano, ma non sapere come nasce il bit e concentrarsi invece sul come il bit può essere utilizzato
è stato un fattore di successo»
Cos'altro ha favorito la sua carriera?
«Il sostegno della famiglia, quella d'origine e quella formata con mio marito e mia figlia, che oggi è mamma a
sua volta, mentre io sono una nonna orgogliosa. È sempre stato normale che io lavorassi fuori casa. Questo
tipo di serenità è fondamentale, anche le relazioni professionali ne beneficiano. Come del resto molti uomini
in carriera ben sanno».
Quindi suo marito è stato un «mammo»?
«No. È un ottimo padre ed è già molto».
In passato lei è stata critica sul telelavoro e alcune forme di smart working. La pensa ancora così?
«Ci sono fasi nella vita di ognuno noi in cui c'è bisogno di più flessibilità. Ma poi il lavoro, specie in azienda,
resta fatto di scambio, di relazioni, di crescita collettiva. L'organizzazione può e deve essere migliorata, ma
rinunciare al fattore umano è una perdita».
Il Terzo settore la vede impegnata con «Save The Children» e ora con la fondazione Enel Cuore della quale
assumerà la presidenza. Quale sarà il futuro della Onlus di gruppo?
«In dieci anni di vita Enel Cuore ha portato avanti 570 progetti a favore di 400 mila beneficiari per 52 milioni di
erogazioni. Sono numeri importanti. Nel 2014 ci occuperemo degli "holes", i "buchi" nella società, quelle ferite
che si aprono dove il Welfare non arriva e dove sprofondano prima di tutti i bambini. Cercheremo di
intervenire su scuola, famiglia, povertà».
Siamo alla vigilia del semestre europeo a guida italiana. Quali sono le priorità per il settore?
«Condivido il pensiero del presidente dell'Autorità per l'energia Guido Bortoni: la dimensione dei problemi
energetici e della loro soluzione è irrinunciabilmente europea. La Ue è stata finora troppo timida su questioni
cruciali come la sicurezza degli approvvigionamenti, l'ambiente, l'integrazione di reti e mercati. Un semestre
dura poco, ma c'è il tempo per dare la spinta giusta».
paolapica
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Chi è La carriera
Cita come il passaggio «più difficile» della sua lunga carriera l'addio, nel 2002, all'Italtel dove era entrata 25
anni prima appena ventenne e laureata in Giurisprudenza. Nell'azienda milanese delle reti per le
telecomunicazioni, Patrizia Grieco, milanese, classe 1952, aveva raccolto il testimone di Marisa Bellisario, la
prima signora italiana della tecnologia, scalando il vertice passo dopo passo, a partire dalla direzione degli
affari legali per chiudere da amministratrice delegata. L'incarico successivo è di ad di Siemens Informatica,
società della multinazionale tedesca: «Un'esperienza fondamentale che ha poi compensato il dispiacere di
aver chiuso l'esperienza in Italtel», racconta. Un passaggio nella consulenza, con Value Partners, e poi di
nuovo all'industria, questa volta in Olivetti, che ha lasciato per assumere la presidenza di Enel. Siede nel
consiglio di Cnh (Fiat Chrysler) e di Save the Children
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Una fotografa un'immagine
24/06/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/06/2014
15
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La luce nascosta a scuola A sinistra una foto scattata da Monika Bulaj in una delle più grandi scuole per
ragazze in Afghanistan tratta dal libro «NUR La luce nascosta dell'Afghanistan». La fotografa e scrittrice nata
a Varsavia ma triestina d'adozione, da anni viaggia in Europa dell'Est, Asia Centrale e Medio Oriente. Dopo
anni di esplorazioni, munita di una Leica e di un taccuino, ha raccontato il suo viaggio nella terra degli afgani,
dove ha fotografato la scuola con 13 mila allieve, 50 per classe, 11 aiutanti, 230 insegnanti. Molte di loro racconta la Bulaj - insegnavano durante il periodo talebano alle proprie figlie e alle bambine dei vicini. Eroine
della cospirazione» (Foto Monika Bulaj)
Foto: #tempodelledonne
24/06/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Guidi: 20 miliardi sbloccati, ora piano per il made in Italy
Carmine Fotina
Venti miliardi di nuovi finanziamenti. È l'impatto, previsto dal ministro dello Sviluppo economico Federica
Guidi, delle norme sul credito non bancario varate con il Dl competitività. «A livello Ue - dice - ci batteremo
per regole sempre più pro industria». Dopo l'estate un decreto per il made in Italy. Fotina u pagina 6
ROMA
«Il ritardo del decreto competitività? Nessun mistero, normale lavoro tecnico: la pubblicazione è questione di
ore». Federica Guidi, ministro dello Sviluppo economico, prova a passare già alla fase 2 dopo l'approvazione
delle norme sulla finanza per la crescita. Sul suo tavolo fanno capolino le stime sui 20 miliardi di nuovi
finanziamenti alle imprese, il pacchetto made in Italy che sarà approvato dopo l'estate, le prime ipotesi di
Agenda per il rinascimento industriale europeo.
Il semestre italiano di presidenza Ue è una finestra irripetibile. Come la sfrutterà il governo?
La mia intenzione è riprendere con forza l'obiettivo di 20% di Pil europeo espresso dalla manifattura. Un
principio che sarebbe un peccato abbandonare, a maggior ragione in un semestre in cui la leadership sarà
assunta dall'Italia, che resta a pieno titolo la seconda manifattura europea.
Il target, già annunciato, finora non è stato reso vincolante. Che cosa dovrebbe cambiare adesso?
C'è innanzitutto un'esigenza largamente condivisa su questo punto, che ho percepito nei mie primi incontri
bilaterali incluso quello che ho avuto oggi con il ministro dell'Economia olandese. È chiaro tuttavia che l'Italia
dovrà farsi sentire, ad esempio per riformare il Consiglio competitività che mi troverò a presiedere.
In che termini?
Il Consiglio va rafforzato sia nei poteri sia nella governance. Pensiamo a un organismo sul modello
dell'Ecofin, con la capacità di leggere in maniera trasversale tutte le policy o le indicazioni che l'Europa
prende: calcolando e anticipando le ricadute che ogni decisione potrà avere sui settori industriali.
La governance però va abbinata ai contenuti. C'è già un'Agenda della presidenza italiana?
Ci abbiamo lavorato, la stiamo già condividendo con i partner. Le dico i primi due punti: energia con il rilancio
delle grandi infrastrutture, e in questo l'Italia può giocare un ruolo di hub continentale, e una massiccia opera
di semplificazione e sburocratizzazione di vincoli che si sono sedimentati a livello europeo. Sui singoli
dossier, poi, le posso ribadire la nostra posizione sul nuovo pacchetto clima-energia: l'Europa deve fare i
conti con sistemi di competizione globali, per questo anche gli obblighi ambientali necessitano di una lettura
più ampia che non può limitarsi ai Paesi membri.
E sul fronte italiano? La task force per l'Industrial compact che aveva preannunciato non è ancora arrivata.
È una questione di giorni, si sta per insediare. Devo confessarle che in questi mesi mi ha reso un po' insonne
il fatto che la parte di sviluppo industriale è stata annegata nella gestione di alcune emergenze che abbiamo
trovato al nostro arrivo: l'attuazione dei decreti attuativi, le crisi aziendali, le misure sulla finanza per la
crescita appena varate. Ma so benissimo che ora c'è bisogno di ragionare in termini di prospettiva. Per
questo la task force sull'Industrial compact italiano entro l'anno produrrà un documento di sintesi sia
sull'innovazione industriale sia sul rilancio dei settori manifatturieri di base, dall'automotive agli
elettrodomestici alla siderurgia. Ma so che non basterà se non faremo anche una vera opera di eliminazione
o riduzione di adempimenti burocratici che ricadono sulle imprese: e questo arriverà con una «regulatory
review» entro l'autunno. Gli investitori esteri spesso non ci chiedono che certezze e possiamo fare molto
anche con pochi oneri in meno e qualche procedura semplificata in più, come i nuovi visti veloci per chi
investe in startup.
E il piano per il made in Italy. Che posto occupa nell'agenda di governo?
Siamo praticamente già pronti con un decreto legge. Ma motivi di gestione parlamentare dei provvedimenti ci
inducono ad attendere la ripresa dopo la pausa estiva. Sarà un piano ambizioso per favorire
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/06/2014
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L'intervista. Il ministro: dal Dl sui finanziamenti non bancari più industria in Europa
24/06/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/06/2014
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l'internazionalizzazione delle nostre imprese anche modificando le strutture che se ne occupano.
Interverremo anche sulla questione irrisolta dell'attrazione degli investimenti esteri definendo finalmente un
unico interlocutore per le imprese straniere, poi vedremo se sarà un'Agenzia o una struttura già esistente alla
quale però andranno compiti più chiari e definiti. Anche le ambasciate ci daranno una grossa mano, come
prima sentinella sul posto per intercettare le intenzioni di investimento in Italia che, come ho avuto modo di
appurare nei mie viaggi istituzionali, a partire da quello in Cina, sono sempre più concrete.
Ministro, torniamo per un attimo alla stretta attualità. Che fine ha fatto il decreto competitività? Non è stato
ancora pubblicato sulla Gazzetta ufficiale: è vero che ci sono state criticità e problemi di copertura?
Non mi risultano problemi. Il pacchetto approvato il 13 giugno dal governo, tra competitività e Pa, è molto
corposo e in questi giorni è stato svolto un normale lavoro sui testi, anche in vista di possibili spacchettamenti
d'intesa con il Quirinale. E, per le coperture, le devo dire che si può fare sempre di più nella vita, ma nel
complesso abbiamo lavorato bene d'intesa con il ministero dell'Economia anche per far fronte a inevitabili
ragioni di tenuta dei conti.
Di certo l'allargamento del Fondo di garanzia, con relativo rifinanziamento di 500 milioni, non è mai andato
oltre le bozze iniziali.
Su questo ci sentiamo tranquilli. Il Fondo funziona e, quando sarà necessario, potremo rifinanziarlo senza
difficoltà. Così come confermo che raddoppieremo da 2,5 a 5 miliardi il plafond della "nuova Sabatini".
Avete calcolato gli effetti delle misure per investimenti e credito?
Con questi interventi, uniti all'incentivo Ace per la capitalizzazione, pensiamo di poter dare uno shock
all'economia reale. Il credito d'imposta per gli investimenti, che si affianca alla nuova Sabatini, serve a
intercettare segnali di vivacità che giungono dal manifatturiero e in un anno può attivare 8 miliardi di spese
agevolabili. Le misure di liberalizzazione del credito, per favorire canali alternativi a quello bancario, potranno
invece liberare fino a 20 miliardi di finanziamenti aggiuntivi.
Intanto, però, ad attenderla c'è una valanga di ricorsi sullo "spalma incentivi" per l'energia rinnovabile. Sarà
possibile una mediazione in Parlamento?
Si vedrà che cosa decideranno le Camere, non posso escludere miglioramenti o correzioni. Ma ci tengo a
ribadire che quest'operazione, come questo governo ha già fatto con le riduzioni per Irpef e Irap, ha
un'obiettivo di redistribuzione: qualche sacrificio per chi in questi anni ha goduto di extrabenefici per favorire
una fascia di imprese che paga dal 30 al 50% in più rispetto ai concorrenti europei. Nel dettaglio, poi, ricordo
che le riduzioni interesseranno solo il 4% degli impianti che beneficiano del 60% degli incentivi totali, in
pratica 8mila operatori su 200mila. Per tutti invece ci saranno una serie di vantaggi in termini di
semplificazioni sui nuovi impianti.
Sui debiti della Pubblica amministrazione il commissario Ue Tajani ha aperto una procedura per i tempi di
pagamento. E sul nuovo piano di smaltimento degli arretrati sembra calato il silenzio. Che succede?
La procedura mi sembra comunque singolare viste le misure varate dal governo con il decreto Irpef, anche
con l'anticipo della fattura elettronica e il monitoraggio per evitare strutturalmente che in futuro si ripresenti il
fenomeno. E sul pagamento degli arretrati da completare entro il 21 settembre il governo ha preso un
impegno. E finora gli impegni li abbiamo rispettati.
Tanti obiettivi, ma anche più di un intoppo. Dov'è finito il credito d'imposta per gli investimenti in ricerca
approvato con il decreto Destinazione Italia? Mancano le coperture?
Direi piuttosto che sono state fatte delle verifiche insieme all'Economia, dove il decreto è alla firma del
ministro. Ma le assicuro: renderemo operativa anche questa misura.
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Foto: Piano made in Italy. Il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi
24/06/2014
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La flessibilità si conquista con i fatti
Adriana Cerretelli
A due giorni da un vertice europeo che si annuncia molto difficile nel tentativo non solo di far quadrare il
teorema delle nomine Ue ma anche e soprattutto di evitare uno strappo lacerante con la Gran Bretagna di
David Cameron, Angela Merkel si muove a passi felpati per ricucire tutte le possibili smagliature evitando di
lacerare irrimediabilmente il tessuto usurato dell'Unione.
È disposta a fare concessioni, dunque, la cancelliera tedesca. Però non fino al punto di scardinare regole e
principi fondamentali che rappresentano i pilastri dell'identità europea. La scelta democratica, sia pure molto
embrionale, del presidente della Commissione Ue nella persona di Jean-Claude Juncker uscito vincente
insieme al Ppe dal confronto con le urne, diventa quindi irrinunciabile. Ma negoziabile con una serie di
compensazioni per i renitenti. Cameron però non pare disposto a cedere. Intende difendere a tutti i costi, il
potere esclusivo dei Governi di fare le nomine.
L'altra sfida che incalza la Merkel arriva dall'Italia di Matteo Renzi che tra una settimana erediterà la
presidenza semestrale dell'Unione. E intende sfruttarla per provare a cambiare verso all'Europa, mettendo al
centro della sua governance economica non più e soltanto gli assolo rigoristi ma crescita, occupazione e
investimenti per far ripartire il motore europeo.
Un dato per tutti: nel prossimo decennio, a politiche invariate, l'eurozona crescerà in media dell'1,1%
all'anno, la metà degli Stati Uniti, per non parlare dei paesi emergenti. Come riassorbire a questi ritmi 27
milioni di disoccupati Ue? E come sperare, senza un'adeguata spinta da parte della crescita, di abbattere
debiti e deficit lievitati anche su l filo di austerità eccessiva e conseguente recessione?
Nella sua battaglia Renzi può contare sul consenso degli altri leader socialisti, in primis la Francia debole di
François Hollande assediata dal Front National, primo partito alle europee di maggio, che ha perciò margini
minimi per rispettare gli impegni anti-deficit e pro-riforme presi a Bruxelles. Può giocare sull'ascesa del voto
euroscettico, sintomo palpabile del disagio con cui oggi dovunque, soprattutto i ceti più deboli, vivono
l'Europa e le sue politiche. Può scommettere infine sul bisogno di sviluppo economico che per una volta
accomuna tutti i paesi: anche la Germania, che certo va molto meglio di tanti altri ma appare una locomotiva
alquanto spompata se i suoi ritmi di crescita negli ultimi 5 anni sono stati inferiori a quelli del Giappone.
Anche se la congiuntura politica ed economica rema indubbiamente a favore delle ambizioni italiane, saltare
subito a una felice conclusione sarebbe azzardato. Ancora ieri, per interposto portavoce e poi in prima
persona, la Merkel ha mandato a dire che, certo, esiste nel patto di stabilità uno spazio di flessibilità, del resto
già utilizzato su scadenze degli impegni e investimenti: però il patto non si tocca, va rispettato. Prima di lei, il
suo ministro del Tesoro, Wolfgang Schäuble, non proprio un'anima morbida, aveva apertamente parlato del
legame che esiste tra riforme e flessibilità del patto, naturalmente p
er chi le fa. Giovedì a Lussemburgo, poi, il presidente dell'Eurogruppo ha annunciato per fine anno una
rivisitazione semplificatoria dei codici dell'euro-governance. Insomma, tutti in Europa sono ormai convinti che
l'economia ha bisogno di forti ricostituenti per guarire dal "rachitismo" da cui è afflitta. Non a caso si sa già
che dal vertice Ue di giovedì e venerdì a Bruxelles scaturirà una nuova parola d'ordine ufficiale: crescita e
occupazione. Sempre che le regole vigenti siano rispettate. Nelle loro pieghe non mancano spazi da sfruttare:
i tempi più lunghi di rientro da deficit e debiti o per il pareggio di bilancio in circostanze eccezionali o quando
la crescita continui a tradire le attese, i margini per investimenti per chi mantenga gli impegni sul sentiero
virtuoso sul quale si sia incamminato, interpretazioni più benevole dei bilanci se accompagnati da carnet
convincenti di riforme, un occhio di riguardo sulla gestione dei fondi strutturali Ue, etc. Naturalmente la
flessibilità sarà concessa caso per caso e farà sempre rima con la credibilità di chi la invoca. Solo chi starà
alle regole ne ricaverà un buon tornaconto. La nuova via europea al pragmatismo, improcrastinabile anche
per disinnescare la bomba sociale che potrebbe altrimenti prima o poi scoppiare addosso all'eurozona, non
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/06/2014
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EUROPA E CRESCITA/ 2
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promette sconti a nessuno. Presidenza Ue o no, l'Italia di Renzi non può illudersi di fare eccezione.
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24/06/2014
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Riaprire il cantiere Eurobond
Alberto Quadrio Curzio
Il 1° luglio inizia il semestre di presidenza italiana del Consiglio europeo la cui impostazione sembra già
delineata dal presidente del Consiglio Renzi. È quella della crescita e dell'occupazione nella Ue, nella Uem e
in Italia su cui riflettiamo qui sotto il profilo politico, economico, istituzionale lasciando sullo sfondo anche le
caute aperture di ieri della Cancelliere Angela Merkel sull'interpretazione flessibile del patto di stabilità.
Le scelte politiche. Il recente vertice parigino dei capi di stato o di Governo socialisti o socialdemocratici della
Ue ha segnato una piena convergenza sulla necessità di rilanciare la crescita e l'occupazione attraverso una
interpretazione più flessibile del Patto di stabilità e di crescita, soprattutto per gli investimenti. Hollande e
Renzi si sono trovati d'accordo evitando tuttavia di alzare i toni verso la Germania. Questa scelta si è
accompagnata al placet, quale presidente della Comissione europea, a Jean-Claude Junker. All'apparenza
non si tratta di grandi scelte perché si parla (senza agire) da tempo della necessità di rilanciare la crescita
mentre la presidenza di Junker era pressoché scontata essendo il candidato del Ppe che ha vinto le elezioni.
Non sono però scontate le politiche economiche della nuova Commissione.
La "nuova" politica economica. Di questa si è interessato anche l'Fmi il cui direttore generale, Lagarde, ha di
recente esposto le sue valutazioni all'Eurogruppo. L'Fmi da un lato esprime apprezzamento per il
consolidamento fiscale attuato nella Uem e per le politiche monetarie della Bce.
Da un altro lato sottolinea la preoccupazione per la bassa crescita e la disoccupazione avanzando delle
proposte di rilancio oltre a quelle sul completamento del mercato interno e della unione bancaria per la
prosecuzione delle riforme strutturali nazionali.
Due altre proposte sono per noi molto importanti. La prima riguarda gli investimenti che non hanno ancora
raggiunto il livello precrisi e che stanno riprendendo più lentamente di quanto è accaduto in precedenti
recessioni. Perciò l'Fmi chiede (a fianco delle riforme strutturali per la competitività nei singoli Paesi debitori e
all'alleggerimento del cuneo fiscale) un rilancio degli investimenti in infrastrutture che dovrebbero fare sia i
Paesi creditori (leggasi Germania) sia la Ue/Uem mobilitando finanziamenti per le reti trans-europee in
energia, telecomunicazioni, trasporti. In aggiunta si insiste sulla facilitazione di accesso delle imprese e in
particolare delle Pmi agli strumenti del mercato dei capitali. Infine si suggerisce alla Bce di acquistare titoli a
cominciare da quelli sovrani, se l'inflazione rimarrà troppo bassa. In definitiva per noi tutto ciò significa che la
Uem e la Ue dovrebbero fare una politica economica espansiva anche per evitare che dalla recessione si
passi alla deflazione.
La seconda proposta dell'Fmi è centrata sul Patto di stabilità e crescita europeo. L'Fmi rileva (anche se in
modo diplomatico) che lo stesso è diventato troppo complicato e con troppi obiettivi. Si suggerisce di mettere
come obiettivo finale unico la riduzione del debito sul Pil usando operativamente il bilancio strutturale. Inoltre
si rileva il rischio che PSC potrebbe scoraggiare gli investimenti. In tutto ciò leggiamo a modo nostro la
proposta implicita di reinterpretare il PSC per togliere almeno parte degli investimenti (specie in infrastrutture)
dal calcolo
dei deficit.
Le scelte economico-istituzionali. La possibilità di attuare delle politiche espansive descritte molto dipenderà
dal probabile nuovo Presidente della Commissione Juncker, dalla composizione e dalla coesione della
Commissione. Di Juncker si è detto molto di recente ma si è dimenticato un episodio importante del 2010
quando egli era Presidente dell'eurogruppo. Si tratta dell'articolo scritto con Giulio Tremonti sul Financial
Times del 5 dicembre nel quale si proponeva la emissione di Eurobond. Ne seguì una polemica tra Juncker e
il Governo tedesco che, subito, si oppose alla proposta di eurobond. Le credenziali europeiste di Juncker
vanno ben oltre sia per la sua lunga presidenza dell'eurogruppo (2005-2012) sia come co-autore del
programma dei quattro presidenti (Barroso per la Commissione, Van Rompuy per il Consiglio, Draghi per la
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Bce, Juncker per l'eurogruppo) "Verso un'autentica unione economica e monetaria" che nel 2012 e nel 2013
è stato apprezzato da tutte le Istituzioni europee. Nello stesso sono indicate i passi necessari per temi, per
procedure (a diritto vigente e con modifica dei trattati) e per tempi (entro 18 mesi, fino a 5 anni, oltre i 5 anni)
di rafforzamento della Uem. Tra queste vi è un'adeguata capacità di bilancio per l'Uem, una fiscalità per le
risorse proprie, le intese contrattuali per le riforme di Stati membri sostenute da incentivi, la emissione di
euro-BoT. Per noi significa attuare quelle "cooperazioni rafforzate" previste dai trattati europei per dare alla
Uem dei veri poteri di politica economica da affiancare alla Bce. Da questo programma bisogna ripartire per
solidificare la Uem e la Ue nel nuovo ciclo quinquennale istituzionale europeo nel quale anche la Germania
dovrebbe capire che solo la Bce e il rigore non rilanceranno la crescita e l'occupazione.
Una conclusione sull'Italia. Il nostro Paese potrebbe fare parecchio in questo scenario sia per la Uem che
per se stesso. Nel semestre di Presidenza italiana del Consiglio Europeo è meglio lasciare la ritualità e le
procedure alla burocrazia di Bruxelles che sa gestire bene questi semestri. Il Presidente Renzi dovrà infatti
essere concentrato su poche scelte importanti.
Per i Commissari ci vorrebbe un italiano in un comparto rilevante dell'economia reale anche attraverso una
ricomposizione degli attuali "dicasteri" perché difficilmente potremo avere cariche apicali avendo già Draghi
alla Bce. Per i programmi, Renzi potrebbe ripartire da quello dei quattro Presidenti per rinforzarlo sul lato
degli investimenti e anche per prefigurare nel medio-lungo termine quegli Euro-bond per la crescita (ancor
meglio se fossero gli EuroUnionBond proposti da Prodi e da me) senza i quali la Uem sarà sempre debole. Di
ciò si comincerà a discutere già nel vertice europeo dei prossimi giorni al quale il presidente del Consiglio
Europeo, Van Rompuy, presenterà una agenda strategica che non necessariamente dovrà essere quella del
Governo italiano, di cui Renzi tratterà oggi in Parlamento, nel suo semestre di presidenza europea.
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24/06/2014
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«Priorità agli investimenti pubblici»
Previsto il finanziamento dei progetti infrastrutturali anche con il risparmio dei privati I MARGINI DI
MANOVRA Per il presidente del Consiglio europeo occorre «usare tutta la flessibilità concessa dal Patto di
stabilità e di crescita»
Beda Romano
LUSSEMBURGO. Dal nostro inviato
Tra giovedì e venerdì i leader dell'Unione si riuniranno prima a Ypres e poi a Bruxelles per rispondere
all'ondata di euroscetticismo emersa nelle ultime elezioni europee. Dinanzi al successo dei partiti più radicali,
i Ventotto tenteranno di dare una nuova immagine di concretezza. Le linee-guida della prossima
Commissione, che dovrebbe nascere entro fine anno, si concentreranno sull'economia, in particolare con un
rilancio degli investimenti e una applicazione flessibile del Patto di Stabilità.
Il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy ha trasmesso ieri alle delegazioni nazionali un
progetto di dichiarazione che sarà pubblicata al vertice di questa settimana. Cinque sono gli obiettivi che il
prossimo presidente dell'esecutivo comunitario, con ogni probabilità l'ex premier lussemburghese JeanClaude Juncker, dovrà perseguire: il rilancio economico, la lotta alla povertà, la nascita di una unione
dell'energia, la gestione dell'immigrazione, la cooperazione in campo internazionale.
Il progetto di dichiarazione, circolato ieri qui in Lussemburgo dove si svolgeva un Consiglio affari esteri, non
è particolarmente concreto o innovativo. Van Rompuy mette l'accento sulla necessità di invertire il circolo
vizioso tra bassa crescita, rischio di deflazione e disoccupazione elevata. Sostiene quindi la necessità di
«usare tutta la flessibilità concessa dal Patto di Stabilità e di Crescita», prevedendo un risanamento
differenziato dei bilanci e investimenti per aiutare la domanda.
«L'idea di dedurre gli investimenti dal calcolo del disavanzo è seducente - spiega un alto responsabile
europeo -, ma non vedo possibilità per attuarla. L'ipotesi richiederebbe una modifica del Patto, che nessuno
vuole». Realistico, il ministro degli Esteri Federica Mogherini ha commentato: in Europa si sta sempre più
diffondendo «la consapevolezza della necessità di utilizzare tutti gli strumenti che abbiamo già a livello
europeo per investire sulla crescita e sulla creazione di posti di lavoro». Oltre non si può andare.
Van Rompuy propone quindi di sfruttare pienamente il mercato unico, promuovere l'imprenditoria, terminare i
negoziati su un accordo di libero scambio tra Ue e Usa entro il 2015. Il presidente del Consiglio europeo
dedica nel documento di quattro pagine grande importanza alle questioni sociali, chiedendo sistemi
previdenziali giusti, ed energetiche, proponendo l'idea di una unione energetica sulla scia della grave crisi
ucraina. L'energia deve diventare una fonte «accessibile», «sicura» ed «ecologica».
Sul versante dell'immigrazione, la dichiarazione - che sarà discussa a livello diplomatico prima di essere
approvata dai capi di stato e di governo - sottolinea come i flussi migratori debbano essere gestiti con
responsabilità e solidarietà dai Paesi membri. La richiesta italiana di una revisione del Principio di Dublino,
che prevede la domanda di asilo nel primo paese di sbarco, non è presa in conto direttamente, ma la lista
degli impegni è vaga e potrebbe consentire di perseguire anche questa strada.
Infine, Van Rompuy vuole che nei prossimi cinque anni la nuova Commissione si adoperi per rafforzare il
ruolo dell'Europa sul piano internazionale, migliorando il coordinamento tra le diverse politiche estere
nazionali; rafforzando la collaborazione nella difesa e nella sicurezza; ed esortando i partner internazionali a
discutere delle grandi questioni globali, dai diritti umani alla prevenzione dei conflitti, dalla non proliferazione
delle armi nucleari alla gestione delle crisi umanitarie.
La proposta di dichiarazione del presidente del Consiglio europeo omette il tema delicatissimo del rimpatrio
delle competenze dal centro alla periferia. Pur di venire incontro alla Gran Bretagna - che rischia di subire
una grave sconfitta con la nomina di Juncker alla Commissione a cui Londra si è opposta - Van Rompuy si
limita a parlare della necessità di gestire l'Unione «in linea con i principi di sussidiarietà e proporzionalità»,
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Le vie della ripresa IL DOCUMENTO VAN ROMPUY
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assicurando «un dialogo effettivo con i parlamenti nazionali».
È forte il desiderio dei Paesi a guida socialista di ottenere un riorientamento della politica economica verso la
crescita dal loro appoggio al popolare Juncker nella corsa alla Commissione. L'aspetto più concreto della
dichiarazione preparata da Van Rompuy riguarda il rilancio degli investimenti. L'idea conviene anche alla
Germania che così forse potrebbe evitare acquisti di debito da parte della Banca centrale europea nel
tentativo di sostenere la domanda e lottare contro la deflazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Il nuovo motore della crescita Investimenti pubblici. In % del Pil* (*) media
2007-2012 Fonte: Ocse FRANCIA 3,22 GERMANIA 1,61 GRECIA 2,67 ITALIA 2,18 POLONIA 4,99 SPAGNA
3,53 OLANDA 3,47 SVEZIA 3,38 GRAN BRETAGNA 2,29 GIAPPONE 3,29 COREA SUD 5,12 STATI UNITI
4,19
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«Le imprese non fanno finanza»
Squinzi: bisogna concentrarsi sui problemi delle aziende e tornare a farle crescere LE SCELTE DI
BRUXELLES «È fondamentale il documento con le priorità per rilanciare gli investimenti consegnato dall'Italia
a Van Rompuy»
Nicoletta Picchio
ROMA
«O si affronta l'incertezza e l'opportunità del cambiamento o si accetta un declino forse lento ma
irreversibile». Per l'impresa «la scelta è facile, perché da sempre vive queste alternative». Per le istituzioni «in
Italia non lo è stato finora, ma deve esserlo adesso». Giorgio Squinzi batte sulla necessità di cambiare passo
per crescere e creare occupazione. «Il presidente del Consiglio e il governo quest'obiettivo se lo sono dato fin
dall'inizio e non possiamo che apprezzare e sostenere chi si prende un tale impegno e ne fissa anche i
tempi». In queste settimane si sta aprendo una fase che il numero uno di Confindustria ha definito
«stimolante e inedita, per alcuni aspetti decisiva». E cioè dal voto europeo è uscita una forte legittimazione
per il governo, si sta per avviare il semestre di presidenza Ue a guida italiana. Un'opportunità «che non
bisogna lasciarsi sfuggire» perché in Europa si adotti un industrial compact che rimetta al centro l'economia
reale e si aggiunga al rigore anche la crescita. «Una maggiore flessibilità debito-Pil è fondamentale, credo
che per alcuni investimenti su ricerca e innovazione quel 3% non deve essere l'obiettivo», ha detto Squinzi
commentano l'apertura della Cancelliera tedesca e il documento presentato dall'Italia al commissario per
l'economia Van Rompuy. «È fondamentale, ci sarà un motivo se l'Europa è l'unica area economica mondiale
che non sta crescendo».
Bisogna «ridare fiducia al Paese, rassegnato alla routine, a correre con i freni tirati o le gomme sgonfie».
Una sfida «grande, che obbliga tutti ad uno impegno comune». Parlando all'assemblea di Federchimica, di
cui è stato presidente, Squinzi ha sottolineato la battaglia per snellire la burocrazia, una missione al centro
del suo mandato in Confindustria e che «da 20 anni è pane quotidiano nella chimica». Proprio in
Federchimica, e grazie alla presidenza di Benito Benedini, ha raccontato Squinzi, era stato formulato il testo
ripreso nel sesto comma dell'articolo 1 della riforma Bassanini: «La promozione dello sviluppo economico, la
valorizzazione dei sistemi produttivi, la promozione della ricerca applicata sono interessi pubblici primari che
lo Stato, le Regioni, la Province, i Comuni e gli altri enti locali assicurano nell'ambito delle rispettive
competenze».
Invece in Italia si è creata un'«elefantiaca macchina statale». Prima che «frani definitivamente occorre
ridimensionarla». In Italia, ha spiegato il presidente di Confindustria, c'è un «macroscopico paradosso»: la più
grande vitalità imprenditoriale e i maggiori ostacoli al fare impresa. Non esiste luogo al mondo che richieda:
«sette anni per autorizzare un negozio, quindici per un supermercato, undici per decidere di non autorizzare
un rigassificatore, 170 giorni in media per incassare una fattura della Pa». E poi conferenze di servizi, una
burocrazia che «sembra compiacersi nel ritardare gli investimenti e distruggere posti di lavoro». In Italia, ha
aggiunto «il sabotaggio della crescita appare sistematico e va rimediato se vogliamo ritrovare la crescita».
Occorrono le riforme. Le imprese stanno facendo la propria parte «a scuola dalla crisi sono andate» e hanno
«imparato molto. Non hanno mai fatto turbofinanza e continueranno a non farla, bisogna concentrarsi sui
problemi veri delle imprese e tornare a farle crescere», ha detto all'assemblea degli industriali di Parma. La
lezione «non è stata compresa fino in fondo dalle istituzioni». Il primo nodo da sciogliere è quella della Pa.
Burocrazia e i debiti: «Si pagano e basta, è una prova di civiltà da parte dello Stato», ha detto Squinzi,
ricordando che sono stati pagati 23 miliardi a fronte di un debito di 100. Anche le relazioni industriali devono
essere un «fattore di competitività». Squinzi ha sollecitato una revisione delle regole: «Il contratto collettivo
dovrà governare questa riforma con scelte funzionali a realizzare una contrattazione aziendale realmente e
totalmente correlata all'andamento economico e della produttività dell'impresa».
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Le vie della ripresa LE PRIORITÀ DELLE IMPRESE
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Squinzi è tornato sul tema della corruzione: «Noi lavoriamo nelle regole e le rispettiamo, chi non lo fa deve
stare fuori da casa nostra, su questo sarò inflessibile». Si è soffermato anche sul falso in bilancio, ritenendolo
una questione che vada affrontata con la delega fiscale: «I falsi in bilancio non devono esistere. Se ci fosse
una normativa fiscale più semplice, che non si presta ad interpretazioni, sarebbe anche meglio. Sono contro
tutti i tipi di reato finanziario, nel modo più assoluto, non dimentichiamoci che qui abbiamo complicato le cose,
l'abuso di diritto fiscale è una costante nel Paese».
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LE PRIORITÀ E LE OPPORTUNITÀ
Una svolta per le istituzioni
«O si affronta l'incertezza e l'opportunità del cambiamento o si accetta un declino forse lento ma
irreversibile». Così il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha sintetizzato il bivio a cui si trovano le
istituzioni italiane. Una scelta che per l'impresa «è facile, perché da sempre vive queste alternative». Ma per
le istituzioni, e qui emerge il vero problema, «in Italia non lo è stato finora, ma deve esserlo adesso». Giorgio
Squinzi quindi chiede ancora una volta che si cambi passo e che si acceleri una volta per tutte per consentire
al Paese di crescere e creare occupazione
L'occasione europea
In queste settimane si sta aprendo una fase che Squinzi definisce «stimolante e inedita, per alcuni aspetti
decisiva», vista la forte legittimazione ottenuta dal Governo alle Europee e l'avvio del semestre di presidenza
Ue a guida italiana. Un'opportunità importante «che non bisogna lasciarsi sfuggire» perché in Europa si adotti
un industrial compact che rimetta al centro l'economia reale e si aggiunga alla scelta del rigore anche quella
della crescita. «Una maggiore flessibilità debito-Pil è fondamentale», soprattutto per alcuni investimenti su
ricerca e innovazione
Meno burocrazia
Parlando all'assemblea di Federchimica, il presidente di Confindustria ha sottolineato che snellire la
burocrazia è una missione che ha messo al centro del suo mandato in Confindustria e che «da 20 anni è
pane quotidiano nella chimica». Proprio in Federchimica, e grazie alla presidenza di Benito Benedini, era
stato formulato il testo ripreso nel sesto comma dell'articolo 1 della riforma Bassanini: «La promozione dello
sviluppo economico, la valorizzazione dei sistemi produttivi, la promozione della ricerca applicata sono
interessi pubblici primari»
Foto: Presidente di Confindustria. Giorgio Squinzi
24/06/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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L'ad incontra capireparto e delegati sbloccando la vertenza Confermato il passaggio di 500 addetti da
Mirafiori a Gugliasco
(p.g.)
TORINO. Sergio Marchionne tratta direttamente con gli operai di Grugliasco e sblocca l'assunzione di 500
cassintegrati di Mirafiori alla Maserati. Nella notte l'ad del Lingotto lascia improvvisamente gli Stati Uniti e con
un blitz si presenta alle 11 nello stabilimento di Grugliasco. Pochissimi, tra gli stessi dirigenti di vertice del
Lingotto, sanno della trasferta decisa all'ultimo momento. Marchionne riunisce circa 200 tra capi e delegati
sindacali. Si dice preoccupato per il fatto che le notizie degli scioperi circolino in America e proietta un filmato
in cui riceve il plauso dell'ex leader del sindacato americano Bob King. Poi spiega che «senza garanzie non è
possibile fare investimenti», e sblocca la riassunzione dei 500 cassintegrati di Mirafiori.
All'incontro non vengono invitati i delegati della Fiom («Un caso di apartheid sindacale», dice l'ex sindacalista
Giorgio Airaudo) e la scelta non manca di suscitare polemiche: «Se Marchionne era arrabbiato per il nostro
sciopero sarebbe stato più utile dircelo in faccia», commentavano i delegati della Cgil. Susanna Camusso
giudica comunque «positivo il fatto che sia stato superato un blocco che sapeva tanto di ritorsione». Il
riferimento di Camusso è al fatto che Marchionne avesse bloccato le assunzioni perché arrabbiato per lo
sciopero della Fiom e anche per il blocco degli straordinari annunciato dai sindacati che hanno sempre
firmato accordi con l'azienda.
Anche i sindacati del sì infatti (Fim, Uilm, Fismic e Ugl) sono rimasti a loro volta spiazzati dalla mossa di
Marchionne e chiedono «un incontro per chiarire quel che è stato detto ai delegati negli stabilimenti».
Le sigle chiedono anche di «riprendere il negoziato interrotto sul contratto aziendale». Nella trattativa si
dovrà discutere anche degli aumenti aziendali: «Vogliamo che riguardino anche i cassintegrati», dicevano ieri
i delegati della Maserati all'ad. In serata Marchionne è tornato negli Stati Uniti.
L'incidente del blocco degli straordinari e delle assunzioni sembra chiuso. Anche perché, deve aver fatto
notare qualcuno all'ad, ridurre la produzione quando il mercato tira rischia di essere autolesionista.
Foto: IL MANAGER L'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne e, a sinistra, il leader della Fiom,
Maurizio Landini
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/06/2014
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Blitz di Marchionne scavalca il sindacato e parla agli operai Maserati
24/06/2014
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Pag. 1
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Piazza Affari non crede a Merkel vestita da colomba
Marcello Bussi
Non ci può essere sviluppo senza abbattere i principi chiave dell'austerity. A partire dal Compact ( De Mattia
a pag. 2) La partita per una maggiore flessibilità del Patto di Stabilità è appena cominciata e la presunta
apertura di ieri della cancelliera tedesca Angela Merkel è solo il segno che quando si sta nel deserto è
talmente forte il bisogno d'acqua che si vedono i miraggi. E così, dopo aver letto con un certo sconcerto la
girandola di dichiarazioni di molti politici italiani, Berlino ha mandato avanti il portavoce della cancelliera,
Steffen Seibert, per riportare tutti con i piedi per terra dicendo che «un prolungamento delle scadenze» di
rientro dal deficit «è possibile ed è già stato utilizzato». Per esempio da Francia e Spagna. In Italia la
girandola è continuata, ma poco importa. D'altronde se ci fosse stata una vera svolta della Merkel, la borsa
se ne sarebbe accorta immediatamente. E invece Piazza Affari ha chiuso in ribasso dell'1,3% e nessun altro
in Europa è andato peggio. La realtà è che si continua a procedere a piccoli passi, c'è tempo fino alla fine
dell'anno. Come ha detto venerdì scorso il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, allora «sarà il
momento opportuno per rivedere le procedure utilizzando i margini che ci sono per renderle meno
complesse». Che cosa questo comporti all'atto pratico è tutto da vedere. I negoziati saranno lunghi e in realtà
non si capisce nemmeno quanto sia forte la volontà di rimettere in discussione il Patto di Stabilità. Come ha
ricordato il portavoce della Merkel, nel Patto c'è anche «clausola sugli investimenti per le riforme strutturali»
che consente ai Paesi con deficit inferiore al 3% del pil di deviare temporaneamente dalla politica di
consolidamento per realizzare investimenti pubblici che favoriscano il rilancio dell'economia. Proprio su
questo punta il governo Renzi, che ha inviato un documento al presidente del Consiglio Ue Herman Van
Rompuy come contributo per il vertice dei capi di Stato e di governo che si svolgerà il 26 e 27 giugno a
Bruxelles, in cui propone una serie di priorità per le politiche dell'Ue nei prossimi cinque anni. La prima è
quella di «ripensare a mente fresca la strategia più efficace per ripristinare la crescita, creare occupazione e
promuovere la coesione». In attesa di concretizzare questa dichiarazione d'intenti, gli indici Pmi sull'attività
economica in Eurolandia a giugno diffusi ieri hanno deluso: il composito è sceso ai minimi da sei mesi a 52,8
punti (53,5 il consenso), il manifatturiero a 51,9 (52,1) e quello dei servizi a 52,8 (53,3). In Germania il Pmi
composito ha toccato i minimi da 8 mesi, attestandosi a 54,2 punti dai 55,6 di maggio. Ma il calo più pesante
è stato quello della Francia, a 48 punti da 49,3, con l'indice rimasto sotto quota 50 per il secondo mese
consecutivo, segno che l'attività economica è in contrazione. Mentre il premier britannico David Cameron è
deciso a portare fino in fondo la sua crociata contro l'ascesa del candidato della Merkel, il lussemburghese
Jean-Claude Juncker, alla presidenza della Commissione Ue. Cameron ha infatti detto a Van Rompuy che
imporrà «un voto senza precedenti» ai leader dell'Ue sulla sua nomina. Finora non era mai successo che la
nomina del presidente della Commissione Ue avvenisse con un voto palese, ufficialmente c'era sempre stato
il consenso di tutti (riproduzione riservata)
PIL EUROZONA Variazione tendenziale
Foto: Angela Merkel
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/06/2014
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LA CANCELLIERA PARLA DI UN PATTO DI STABILITÀ PIÙ FLESSIBILE MA IL LISTINO MILANESE
PERDE PIÙ DI UN PUNTO
24/06/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 1
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Festa anche a maggio per il riparmio gestito con 7 miliardi di raccolta
netta
Paola Valentini
Festa anche a maggio per il riparmio gestito con 7 miliardi di raccolta netta/ (a pag. 6) Prosegue a pieno ritmo
la raccolta del risparmio gestito in Italia. A maggio, in base ai dati Assogestioni, l'industria ha ottenuto flussi
netti per 7,145 miliardi dopo i 7 di aprile. Il dato porta il totale di raccolta da inizio anno a 43,6 miliardi, importo
che si avvicina ai 62,5 miliardi messi a segno in tutto il 2013. Il risultato è da attribuire ancora una volta ai
fondi aperti, che hanno fatto la parte del leone con una raccolta netta di 6,1 miliardi. Le gestioni di portafoglio
hanno invece ottenuto 932 milioni. Nei primi cinque mesi dunque i fondi aperti hanno attirato in tutto 34,5
miliardi e se la tendenza sarà confermata il traguardo dei 46,6 miliardi raccolti in tutto il 2013 sarà raggiunto
molto prima di fine anno. Quanto alle macrocategorie dei fondi aperti, le più gettonate sono state quelle dei
flessibili (+4,3 miliardi). Positivo anche l'andamento dei prodotti bilanciati (+887 milioni), obbligazionari (+836
milioni), hedge (+318 milioni) e azionari (+292 milioni). La raccolta e l'effetto performance fanno volare il
patrimonio complessivo gestito dai fondi aperti a 610,9 miliardi (dai 597 di fine aprile): era da dicembre 2007,
chiuso con asset per 616 miliardi, che l'industria dei fondi aperti non superava la soglia dei 600 miliardi. A
livello di masse totali, gestioni collettive e gestioni di portafoglio raggiungono il nuovo record storico di 1.428
miliardi di euro. Il settore dei fondi comuni è dunque tornato a godere di ottima salute e a esso i risparmiatori
guardano con nuovo interesse, complici anche i tassi ai minimi che rendono poco appetibili titoli di Stato e
conti di deposito. Senza dimenticare che le banche oggi hanno ripreso a puntare sul collocamento dei
prodotti di risparmio gestito per compensare il calo dei margini dell'attività tradizionale di prestiti. Non a caso i
fondi di diritto italiano, che sono collocati soprattutto da sgr di emanazione di banche italiane, da qualche
mese hanno ricominciato a registrare risultati di raccolta positivi e a maggio hanno registrato flussi per 2,4
miliardi. Sempre positiva la tendenza di quelli esteri, che lo scorso mese hanno ottenuto 3,7 miliardi. Sul
fronte delle singole società di gestione, prima per raccolta a maggio è risultata Ubi Banca (3,5 miliardi),
seguita da Intesa (2,4 miliardi) e Anima (1 miliardo). Segno meno invece per Pioneer (-1,5 miliardi). «Al
risultato negativo ha contribuito la scadenza di un mandato di gestione di un cliente istituzionale che ha
comportato riscatti da tempo pianificati e parzialmente compensati da flussi in entrata su altri prodotti»,
spiegano da Pioneer. Tra gli operatori esteri spiccano Invesco (496 milioni), Deutsche Asset and Wealth
Management (399 milioni) e Jp Morgan Asset Management (253 milioni). Va oltretutto ricordato che la fiducia
accordata dai risparmiatori ai fondi deve fare anche i conti con l'aumento della tassazione delle rendite
finanziarie, che dal 1° luglio passerà dal 20 al 26%. Un balzello in più che pone non pochi problemi ai gestori,
i cui rendimenti subiranno un prelievo di un quarto a partire dal prossimo mese. Proprio sul fronte fiscale
giace ormai da qualche anno nel cassetto un provvedimento che dovrebbe introdurre i piani di risparmio
agevolati fiscalmente. Si tratta dei cosiddetti pir, piani di risparmio a lungo termine fiscalmente agevolati,
chiesti a gran voce da Assogestioni e che consentono di abbassare la tassazione sui rendimenti nel caso in
cui gli strumenti finanziari vengano detenuti per un certo periodo di tempo. I pir servirebbero per allungare
l'orizzonte temporale degli investimenti e costituirebbero un'alternativa in più per risparmiatori italiani che
vogliono costruirsi una previdenza complementare. Finora i piani di risparmio a lungo termine fiscalmente
agevolati sono rimasti lettera morta, ma, visti i numeri record messi a segno dall'industria italiana del
risparmio gestito e gli scenari sempre più problematici sul fronte della previdenza pubblica, i tempi potrebbero
essere maturi per introdurre anche in Italia questi piani di accumulo di lungo periodo. (riproduzione riservata)
LA RACCOLTA NETTA DEL RISPARMIO GESTITO IN ITALIA
GRAFICA MF-MILANO FINANZA Flussi netti di risorse ai prodotti italiani e agli esteri che comunicano i dati
mensili - In milioni di euro
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/06/2014
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BOOM CONTINUO
24/06/2014
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La ripresa c'è, ma va coltivata
L'ex titolare dell'Economia: rinegoziare i trattati è molto complesso, ma al loro interno ci sono spazi per
contrattare
Silvia Berzoni e Andrea Fiano
«La situazione ancora non è pienamente risolta ma credo che alcuni indicatori dell'economia italiana stiano
mostrando che effettivamente la ripresa c'è». L'ex ministro dell'Economia del governo Letta, Fabrizio
Saccomanni, registra con soddisfazione i progressi del Paese certificati anche dal Fmi ma suggerisce di non
abbassare la guardia. «È necessario consolidare l'abbozzo di ripresa con uno sforzo ulteriore, soprattutto sul
fronte delle riforme strutturali come ci chiede tutto il resto del mondo. Questo quadro, supportato dalle nuove
misure prese della Banca centrale europea, che rappresentano un forte sostegno al rilancio sia del credito sia
dell'economia reale, potrà fornire un forte impulso», dice Saccomanni ai microfoni di The Floor, la nuova
trasmissione di Class Cnbc che ha debuttato lo scorso week-end. Domanda. L'Italia è alla vigilia del semestre
di presidenza europea. Ci giochiamo il tutto per tutto? Cosa riuscirà a ottenere Renzi? Risposta. È esagerato
dire che l'Italia si gioca il tutto per tutto. Dallo scorso anno abbiamo già impostato il lavoro sulla presidenza
italiana. L'obiettivo era chiaro: voltare pagina sul fronte della strategia macroeconomica complessiva e porre
maggiore enfasi e attenzione alle esigenze di crescita economica e della lotta alla disoccupazione, soprattutto
giovanile. Renzi si sta muovendo in questa direzione. Anche altri Paesi iniziano a riflettere sulla necessità che
le istituzioni europee diano un contributo alla nuova strategia di maggior crescita. Penso, per esempio, alla
Bei o al bilancio comunitario, da cui si potrebbero ottenere maggiori risorse per gli investimenti. È
fondamentale che governi e istituzioni europee lavorino per gli stessi obiettivi. D. Secondo lei si potrebbe
addirittura arrivare a negoziare il vincolo del rapporto deficit/ pil al 3%? R. Credo di no. Rinegoziare un trattato
non è una cosa facile, la sua modifica richiede l'unanimità di tutti i Paesi, compresa la Germania, che non
credo sia d'accordo nonostante alcune aperture (vedere articolo a pagina 2, ndr). Esiste invece la possibilità
di utilizzare i margini di flessibilità già consentiti dai trattati e di utilizzare al meglio gli strumenti delle istituzioni
europee. Su questo ci sono ampi margini di manovra. D. L'ha stupita la decisione di Tajani di aprire una
procedura contro l'Italia sul pagamento dei debiti della Pa, proprio in questo momento? R. Sì, francamente
credo sia un grande malinteso. Dai governi Monti e Letta sino a oggi abbiamo fatto sforzi molto consistenti
per rimborsare in anticipo, rispetto alle vecchie norme del passato, importanti ammontari di debiti, accumulati
soprattutto dalle amministrazioni locali. Certamente l'iniziativa è legittima dal punto di vista delle regole
comunitarie ma avviene in un momento in cui il problema è avviato alla soluzione. Forse, ci sono stati stimoli
di carattere politico. D. Le recenti misure della Bce saranno davvero utili per rafforzare l'azione di credito più
tradizionale delle banche? R. La Bce, in piena collaborazione con le banche centrali nazionali, ha messo a
punto strumenti mirati proprio al rilancio dell'erogazione del credito alle Pmi, attraverso meccanismi duplici di
incentivazione e disincentivazione. Bisogna anche considerare che in Italia il sistema bancario ha fatto
parecchia pulizia nei conti e soprattutto le grosse banche hanno aumentato gli accantonamenti a fronte delle
sofferenze. Questo insieme di fattori contribuirà certamente a ricreare uno spazio di manovra per una
maggiore erogazione del credito. Resta il fatto che, come sostengono le banche, oggi la domanda di credito è
fiacca e marginale per gli investimenti in progetti a lungo termine. Serve, quindi, una regia europea che
permetta ai capitali privati di associarsi. D. C'è qualche rischio, come sostengono alcuni negli Usa, di
contraccolpi sull'euro derivanti dai tassi negativi sui depositi presso la Bce? R. Si tratta di una misura
necessaria e uno strumento importante per evitare che le banche parcheggino i loro fondi sul bilancio della
Bce invece che cercare, con un'attenta valutazione del rischio, di investirea tassi più convenienti
nell'economia reale. Non ci sono stati contraccolpi sull'euro, se non un lieve calo, altamente desiderato da
parte degli esportatori. L'euro, però, oggi rischia di essere la valuta nei confronti della quale tutti vogliono
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/06/2014
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INTERVISTA PARLA SACCOMANNI LE MISURE BCE SONO UN PUNTELLO AL RILANCIO, MA SENZA
RIFORME...
24/06/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 5
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/06/2014
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deprezzarsi e alla lunga non è sostenibile. D. Alla conferenza degli Alumni della Bocconi a New York ha
guidato una discussione sullo shadow banking. Nuovi soggetti in grado di ridimensionare il ruolo delle
banche? R. Quando lavoravo nel campo della regolamentazione ho sempre incassato l'accusa che l'eccesso
di regolamentazione sulle banche in realtà favoriva l'uscita di capitali verso aree meno regolate. In realtà, il
nostro obiettivo, come comunità internazionale, era proprio quello di estendere la regolamentazione a tutti i
comparti del sistema finanziario. Lo stesso Financial Stability Board lo continua a mettere tra i suoi obiettivi
primari: arrivare a una completa supervisione su un fenomeno che, statistiche alla mano, sta crescendo
esponenzialmente. Se regolato in maniera efficiente da questo mercato potrebbero arrivare stimoli ulteriori
agli investimenti a lungo termine delle imprese, ovvero rafforzamento del capital e innovazione tecnologica.
(riproduzione riservata)
SCENARIO PMI
11 articoli
24/06/2014
Corriere della Sera - Bergamo
Pag. 10
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Sob, investimenti per battere la crisi con volumi produttivi in crescita
La svolta del 2011 Con il cambio di proprietà anche l'investimento da 1,5 milioni per prodotti di grande
dimensioni
F.Sp.
La Sob di Cenate Sotto, produttore di scatole in cartone ondulato da spedizione, è entrata a far parte del
Consorzio Italiano Scatolifici, portando così a tre (su 73 aziende a livello italiano) le adesioni provinciali
«Facciamo già parte di Gifco (Gruppo italiano fabbricanti cartone ondulato, ndr), che però comprende un po'
tutti gli attori della filiera, dalle multinazionali fino ai semplici produttori di fogli - spiega il presidente di Sob,
Luca Errante -. L'auspicio è che il Cis possa rappresentarci in maniera più specifica: al gruppo chiediamo di
fare chiarezza nei rapporti all'interno del comparto, in particolare per quanto riguarda i regolamenti tecnici».
In una situazione di calo dei consumi - e di conseguenza delle scatole - anche questo settore ha visto
aziende diminuire i volumi di produzi0ne. La Sob invece li ha visti aumentare, grazie ad un allargamento dei
mercati. L'azienda, nata nel 1965, è stata acquisita nel 2011 dalla famiglia Errante, proprietaria anche della
I.S. Imballaggi Speciali di Mezzago (Monza e Brianza) che fattura 3 milioni di euro all'anno e che produce
scatole principalmente in cartone ondulato abbinato ad altri materiali come poliuretani antiurto o carte
siliconate per il settore della colla, che isolano il contenuto nella scatola dall'imballaggio stesso. Nello
stabilimento di Cenate, dove lavorano 26 dipendenti, vengono ogni anno realizzati circa 20 milioni di metri
quadri di scatole. A dare nuovo impulso alla produzione l'acquisto, con un investimento di 1,5 milioni, coinciso
con il cambio di proprietà, di una macchina per fustellati rotativi con stampe in quadricromia in alta
definizione, specifica per stampe su cartone patinato: «Circa 1,5 degli 8 milioni di euro di fatturato realizzato
nel 2013 vengono da questa linea , che ci ha permesso di aprire nuovi mercati e aumentare il giro d'affari dice Errante -. Grazie a questa rotativa siamo ora in grado di servire le aziende che utilizzano fustellati di
grandi dimensioni». Oltre alla fustellatrice rotativa, la Sob ha altre 4 linee: 3 per casse americane e una
fustellatrice piana, tutte automatiche e in grado di stampare in quadricromia.
Visto il tipo di produzione, la quasi totalità dei clienti della Sob è lombarda, ma un 5% circa dei volumi è
destinata all'export in Svizzera e Austria: «Negli ultimi anni il giro d'affari del manifatturiero lombardo è sceso
per la crisi - prosegue Errante -. La Sob è riuscita però a conquistare quote di mercato grazie al
potenziamento delle linee produttive avvenuto nell'ultimo triennio. L'anno scorso abbiamo ottenuto un ottimo
+15% in più di volumi rispetto al 2012, mentre quest'anno siamo per ora in linea rispetto al fatturato di 12
mesi fa. La strategia a medio termine è consolidare e migliorare il nostro portafoglio, grazie ad un'innovazione
continua» .
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Foto: Fabbrica La sede di Cenate Sotto
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/06/2014
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La strategia Un nuovo impianto ha permesso di aprire altri mercati
24/06/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 9
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«La ricetta? Presenza sui mercati»
I DATI Sono 130 le realtà con stabilimenti produttivi e organizzazione all'estero: il 70% sono piccole e medie
aziende
Cristina Casadei
«Bisogna cercare il mercato e andare dove è». I confini ormai non ci sono più e l'area dove si produce è
quella migliore per vendere, ci lascia intendere Werther Colonna che è presidente del gruppo Ivas di San
Mauro Pascoli. L'azienda produce pitture e vernici per l'edilizia e ha anche una specializzazione sugli articoli
decorativi. «I nostri prodotti hanno un costo unitario basso, l'esportazione, con l'incidenza della logistica, è
difficile e quindi diventa necessario avere un'organizzazione stabile nei paesi dove c'è mercato». Questo vuol
dire capire da dove arriverà una domanda crescente e trasferirsi. Non è facile insediarsi all'estero ma è la via
scelta da molte aziende. Lo ha ricordato il presidente di Federchimica, Cesare Puccioni ieri nella sua
relazione: «Sono 130 le imprese chimiche dotate di impianti di produzione all'estero. E di queste il 70% sono
Pmi. Ciò significa che anche queste imprese hanno intrapreso la strada dell'internazionalizzazione
produttiva». La Ivas che ha 120 dipendenti e fattura 40 milioni di euro è un esempio. Così per la penisola
balcanica e l'est europa produce in Serbia, ha stabilimenti produttivi in Algeria e oggi, racconta Colonna, «ci
stiamo attrezzando per il Regno Unito.
Raccontare la chimica significa incrociare specializzazioni lontanissime tra loro ma lo stesso anelito verso
l'innovazione. Così, parlando con Colonna ci dice che «la versatilità chimica è già sinonimo di ricerca. Non
abbiamo prodotti standard, la nostra è innovazione continua». Martino Verga che è l'anima del gruppo ClericiSacco di Cadorago (Como) dove vengono prodotti enzimi e fermenti lattici destinati all'industria lattiero
casearia e microrganismi per l'industria farmaceutica quasi si stupisce sentendosi chiedere quanti nuovi
prodotti inventa. «La nostra è innovazione continua», dice. Ogni giorno i chimici del suo gruppo sono al lavoro
su nuove ricerche. «Investiamo il 6% del nostro fatturato in ricerca e sviluppo e il 40% dei nostri collaboratori
ha una laurea», continua. Ci tiene a sottolineare la selezione dura per entrare nella sua azienda e le
opportunità che vengono date ai giovani, in cui ha molta fiducia. «Puntiamo sui giovani, del resto molti premi
Nobel hanno fatto importanti scoperte prima dei 30 anni», sottolinea Verga. Le aziende del suo gruppo sono
a Cadorago, vicino Como, Zelo Buon Persico, Pasturago e Skurup, una cittadina svedese dove Verga
fabbrica caglio per i mercati del nord Europa. La sua è un'azienda molto proiettata all'estero. Per i suoi
numeri la si potrebbe considerare una Pmi - ha 250 dipendenti e 60 milioni di fatturato -, un po' atipica però:
sono appena «una decina», quantifica Verga, le aziende competitor dello stesso livello a livello globale. Dalla
Svezia al Sudamerica è quindi facile mangiare un formaggio che contiene qualcosa del Caglificio Clerici. Del
resto, precisa Verga, «esportiamo in 100 paesi nel mondo e per i fermenti lattici l'export arriva al 70%». Le
aree più significative? I Brix e poi l'Europa.
Chi invece ormai si sostiene di solo export è la Endura di Bologna. Cosimo Franco, l'amministratore
delegato, racconta che solo il 5% delle vendite è in Italia. Il resto finisce nei prodotti di multinazionali
americane, europee, cinesi e giapponesi note in tutto il mondo per i loro insetticidi domestici. L'azienda, che
ha 90 dipendenti e fattura 30 milioni di euro, è infatti specializzata in principi attivi per insetticidi domestici e
ha stabilimenti produttivi in diversi paesi. «In India per il mercato indiano, in Cina dove siamo presenti con
una partnership per il mercato asiatico». La competizione internazionale impone l'avanguardia nella ricerca
«in cui investiamo tra il 6 e il 10% del fatturato - sottolinea Franco -. Non dimentichiamo che in questo tipo di
chimica la parte di investimento negli studi tossicologici è molto significativa. Per portare sul mercato una
molecola bisogna investire dai 5 ai 15 milioni di euro. La ricerca è per noi un capitolo fondamentale: in Italia
abbiamo 18 ricercatori su 90 dipendenti». In altre parole il 20% degli addetti si occupa di innovazione.
È la competizione globale.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/06/2014
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Le imprese. I casi di scuola Clerici-Sacco, Endura e Ivas
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/06/2014
Pag. 9
Il Sole 24 Ore
24/06/2014
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24/06/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 11
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Pmi , il filo che lega Italia e Germania
Nel 2013 in aumento le fusioni e acquisizioni tedesche e anche quelle in direzione opposta LA CLASSIFICA
L'Italia è secondo Paese al mondo per destinazione dopo gli Stati Uniti, il primo in Europa
Alessandro Merli
FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente
Le imprese familiari tedesche guardano sempre di più all'estero per le loro operazioni di fusione e
acquisizione e l'Italia è al secondo posto fra i Paesi in cui investono fuori dai confini della Germania, subito
dopo gli Stati Uniti e prima di Francia e Polonia. Ma l'interesse è crescente anche nella direzione opposta,
cioè fra le imprese familiari italiane che puntano su acquisizioni da realizzare in Germania.
La percentuale in aumento delle operazioni di M&A in Italia delle imprese tedesche a controllo familiare,
molte delle quali fanno parte del Mittelstand, la spina dorsale dell'industria, è rivelato da uno studio realizzato
dallo studio legale e tributario Roedl & Partner con la collaborazione di diverse istituzioni finanziarie
internazionali.
Il 35% delle operazioni è condotto nella stessa Germania, il 24% negli Stati Uniti, il 19% in Italia, il 16% in
Francia e Polonia, l'economia europea a più alto tasso di crescita. Le altre destinazioni sono rappresentate
con quote molto inferiori. Spagna e Turchia hanno perso terreno rispetto al recente passato.
Se nel Sud Europa in genere il prezzo delle imprese acquisite è spesso considerato, secondo il sondaggio,
un fattore rilevante, le acquisizioni in Italia sembrano dettate soprattutto da altri elementi strategici. «Le
imprese familiari tedesche - dice Stefan Brandes, responsabile della Roedl & Partner nel nostro Paese cercano chi, come molte aziende italiane, ha prodotti di eccellenza e personale qualificato, più che andare
alla ricerca dell'Italia come mercato. Aiuta il fatto che il tessuto imprenditoriale dei due Paesi è molto simile.
Gli stessi settori manifatturieri sono i punti di forza di entrambe le economie, dall'auto alla meccanica, dalla
farmaceutica all'alimentare e all'elettronica, solo per fare qualche esempio».
Sono anche i settori nei quali le imprese tedesche a controllo familiare hanno realizzato la quota maggiore di
acquisizioni nel 2013.
Il legale coautore dello studio rileva che l'interesse delle imprese familiari della Germania nei confronti
dell'Italia esisteva anche l'anno precedente (la ricerca è giunta alla sua terza edizione), ma che in molti casi
non si era concretizzato «a causa dell'incertezza prevalente in Italia», mentre adesso i potenziali investitori
tedeschi mostrano una maggiore fiducia nel sistema Paese e per questo sono numerose le operazioni andate
a buon fine in questi ultimi anni.
La maggior parte delle acquisizioni riguarda imprese con fatturati fra i 10 e i 100 milioni di euro. In qualche
caso, la vendita da parte degli imprenditori italiani è sta decisa in seguito al cambio generazionale e, secondo
Brandes, la scelta è caduta sulle imprese familiari tedesche per affinità.
Su alcune delle cessioni hanno pesato anche gli effetti della crisi, a volte dovuta alla difficoltà di imprese di
piccole dimensioni, o troppo concentrate sul mercato nazionale, a competere sui mercati globali.
«In questo senso, l'acquisizione può portare a maggior sviluppo delle imprese italiane e a maggior
occupazione in Italia - afferma Brandes in risposta alle obiezioni che spesso vengono sollevate su questo tipo
di investimenti - Inoltre non è l'approccio delle imprese familiari tedesche quello di acquisire aziende all'estero
per appropriarsi semplicemente del know-how».
Anche se non era oggetto dello studio, il contatto della Roedl con gli operatori partecipanti rivela che è in
aumento anche l'interesse delle imprese italiane per la Germania.
Le previsioni degli analisti sono di un ulteriore aumento dell'attività di fusione e acquisizione delle imprese
controllate dalle famiglie tedesche anche nel 2014, che per la maggior parte non hanno sentito pesanti effetti
della crisi e non accusano problemi di accesso ai finanziamenti.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/06/2014
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La questione industriale LE PROSPETTIVE
24/06/2014
Il Sole 24 Ore
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© RIPRODUZIONE RISERVATA Percentuale di fusioni e acquisizioni per Paese nel2013 Le operazioni
tedesche Germania Stati Uniti Italia Francia Polonia Cina Spagna Regno Unito Repubblica Ceca Russia
Svizzera Slovacchia India Turchia
24/06/2014
Il Sole 24 Ore - Emilia-romagna rapporti24/ territori
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Brand e hi-tech attirano capitali
In dirittura d'arrivo la legge regionale su attrattività e investimenti Il 2014 si è aperto con timidi segnali di
recupero al traino dell'export ma dietro i big la filiera di artigiani e terzisti continua a soffrire
Ilaria Vesentini
Serve benzina ad alto numero di ottani per far scattare la macchina produttiva della via Emilia, che negli anni
della crisi ha raggiunto mete lontane dove vendere. Oggi «c'è bisogno che riparta anche la domanda interna
e di incentivi che stimolino gli investimenti, perché i numeri della congiuntura sono ancora contraddittori ma il
sentiment che circola tra gli imprenditori è positivo, oggi serve un po' di fiducia. Abbiamo ancora buone carte
da giocarci nella competizione globale». Le parole del presidente di Confindustria Emilia-Romagna, Maurizio
Marchesini, raccontano di un motore manifatturiero ancora in ottime condizioni nella fascia medium e hightech, di marchi ambiti sulle piazze globali, di risorse umane ad alta competenza che continuano a far gola agli
investitori internazionali ma anche di effetti debilitanti su valore aggiunto e coesione sociale legati a perdita di
ricchezza delle famiglie e contrazione del credito.
La congiuntura
Dopo un 2013 che ha visto scendere il Pil regionale dell'1,6%, le imprese attive del 2,6%, gli occupati
dell'1,6%, gli ordini industriali del 3,3% e i prestiti alle imprese del 3,8%, il 2014 si è aperto per il
manifatturiero emiliano-romagnolo sotto una luce nuova. Nel primo trimestre di quest'anno i dati
Unioncamere-Confindustria-Intesa Sanpaolo annunciano che l'emorragia si è fermata: la produzione
industriale è passata dal -2,7% della media 2013 a un timido +0,1% tendenziale; lo stesso dicasi per il
fatturato, trainato da un +4,8% dell'export (+5,9% su base annua secondo i dati Istat); il grado di utilizzo degli
impianti (82,3) è 5 punti sopra il valore di un anno prima e, soprattutto, c'è un inatteso segno più davanti al
trend dell'occupazione: +0,5% tendenziale. «Questa è l'ottima notizia, in mezzo a numeri che ancora non
fotografano una svolta ma solo una lenta aspettativa di ripresa con stime di crescita del Pil allineate alla
dinamica nazionale», dice Marchesini. E non si stanca di ripetere che la politica industriale più utile alle
imprese è quella per gli investimenti, come dimostra il successo della nuova legge Sabatini. «Il nostro
ministro emiliano allo Sviluppo economico, Federica Guidi, sta lavorando in questa direzione per potenziare
risorse e misure e aspettiamo al varco - aggiunge il presidente - la nuova legge regionale sull'attrattività».
La ripresa dell'industria è basilare per trainare tutta la filiera di artigiani e terzisti che ha alle spalle, la vera
ricchezza competitiva del made in Emilia-Romagna che i big non si possono permettere di perdere. Un
tessuto di microrealtà che continua a soffrire anche perché l'accesso al credito rimane difficile. Pure nel
chiaroscuro del panorama economico - sottolinea l'ultimo Rapporto Bankitalia - l'Emilia-Romagna resta una
delle poche regioni italiane simile a un land tedesco, con una quota di addetti nel manifatturiero che, sebbene
in calo, è ancora il 25% del totale (30% con le costruzioni), un'incidenza dell'industria medium e high-tech in
rapida ascesa e una straordinaria vocazione all'export. Non c'è però tempo per restare seduti sugli allori,
ammonisce lo studio Unicredit-Regioss: la via Emilia sta perdendo posizioni, tra le regioni europee, in termini
di competitività territoriale e va acuendosi il gap tra performance delle grandi imprese (sopra i 250 milioni di
fatturato) e quelle delle Pmi. Che piccolo non sia più bello gli imprenditori emiliano-romagnoli lo hanno
imparato (lo confermano i 238 contratti di rete per 745 imprese coinvolte firmati nella regione, seconda solo
alla Lombardia) ma devono anche fare i conti con un modello distrettuale che non è più garanzia di
produttività.
L'attrattività
Promessa a fine 2013, dovrebbe arrivare in aula a luglio la legge regionale sull'attrattività e gli investimenti,
«un provvedimento molto innovativo e ciò spiega i tempi lunghi del suo iter, ma siamo alle strette finali»,
assicura il nuovo assessore regionale alle Attività produttive, Luciano Vecchi. La norma punta non solo a
rimodulare oneri e agevolazioni fiscali per chi investe lungo la via Emilia, ad assicurare contributi e accesso
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/06/2014
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Dentro il manifatturiero
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alla rete per la ricerca, ma ridisegna il modello organizzativo della Pa che si fa garante degli impegni presi
verso l'imprenditoria e della sburocratizzazione.
«Portare a termine la legge sull'attrattività è solo il primo dei tre assi del mio mandato. Il secondo - dice
Vecchi - è la riprogrammazione dei fondi strutturali europei 2014-2020, i finanziamenti più cospicui per la
riqualificazione territoriale ed energetica, per la ricerca e per la formazione all'insegna della smart
specialization strategy: avremo in dote quasi due miliardi e mezzo di euro tra fondi Ue e cofinanziamenti, di
cui 481 milioni per lo sviluppo regionale (Por-Fesr), quasi il 50% in più rispetto al settennio precedente. Conto
di approvare tutti gli strumenti quadro tra l'ultima seduta di giugno e inizio luglio, in vista poi della trattativa
Stato-Bruxelles. Terzo pilastro del mio operato sarà completare la ricostruzione post terremoto e gli interventi
dopo alluvioni e trombe d'aria».
Gli investimenti esteri
Tra gli investitori esteri che hanno puntato il faro sulla via Emilia non ci sono solo Philip Morris, che investirà
500 milioni di euro nel nuovo stabilimento alle porte di Bologna (con 600 nuove assunzioni), o il colosso
giapponese Toyota, che potenzierà il sito ferrarese di carrelli elevatori, o Fresenius, che investe altri 15
milioni nel polo biomedicale di Mirandola. A oggi sono 386 le aziende emiliano-romagnole che hanno un
azionista estero, il 2,8% delle società attive in regione che valgono però il 15,2% in termini di fatturato
sviluppato sul totale. E a parlare straniero sono soprattutto metalmeccanica, alimentare e moda, raccontano
le elaborazioni del centro studi Unioncamere.
L'appeal del brand Emilia-Romagna
Ferrari è stato riconfermato il marchio più noto al mondo. Il Parmigiano reggiano è l'alimento più contraffatto.
Max Mara per la moda, Technogym nelle attrezzature sportive ma anche Yoox nel commercio sono tra i
brand che fanno parlare di più di loro sulla stampa internazionale. E la Riviera è il divertimentificio italiano per
eccellenza. «In qualsiasi angolo del pianeta l'Emilia-Romagna è sinonimo di qualità e mette d'accordo tutti,
riscuotendo l'interesse di turisti, imprenditori, investitori», spiega Klaus Davi responsabile dell'Osservatorio
sulla stampa estera, che ha curato la ricerca "L'immagine del brand Emilia-Romagna", da poco presentata a
Milano.
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Foto: Giovani promesse. Gli studenti di UniboMotorsport, il team di aspiranti ingegneri dell'Alma Mater, alle
prese con la vettura monoposto da competizione che costruiscono dalla A alla Z nei laboratori bolognesi
24/06/2014
Il Sole 24 Ore - Emilia-romagna rapporti24/ territori
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A Parma boom di iscrizioni ai corsi sull'agroalimentare
I.Ve.
«In dieci anni abbiamo costantemente aumentato il numero di iscritti, oggi diplomiamo 2mila studenti all'anno,
il 30% stranieri, e il 98% trova occupazione a sei mesi dal titolo. Abbiamo raggiunto la capacità massima,
dobbiamo fermarci», afferma Enzo Malanca, presidente di Alma, la Scuola internazionale di cucina italiana
nata nel 2004 alla Reggia di Colorno (Parma) e diventata il più autorevole centro di formazione dei
professionisti in cucina, dai cuochi ai manager della ristorazione.
«Stiamo avviando ora la quarta edizione del corso Its per l'agroalimentare qui a Parma, per il precedente
ciclo abbiamo ricevuto 70 domande di iscrizione su 20 posti disponibili. Una selezione all'ingresso che
permette di formare i migliori talenti con garanzie occupazionali altissime», afferma Alessandro Rigolli,
responsabile marketing di Cisita, la società di formazione dell'Unione parmense degli industriali e del Gruppo
imprese artigiane.
Due voci che testimoniano il fermento nella food valley emiliana in tema di formazione, complici sicuramente
la reputazione della food valley parmigiana e la crescente consapevolezza delle aziende - per lo più Pmi che a fare la differenza nella competizione globale sono le competenze delle risorse umane. Non a caso,
anche i corsi di laurea a numero programmato del dipartimento di Foood science & technology dell'Università
di Parma (Scienze e tecnologie alimentari e Scienze gastronomiche) sono da anni al completo. E iniziano a
germogliare anche numerosi percorsi di alta specializzazione. Dopo il master in Cultura, organizzazione e
marketing dell'enogastronomia territoriale lanciato dall'ateneo parmigiano arriva ora Mafood, il primo master
in Agribusiness & food management targato Università di Parma e Gruppo 24 Ore, che dal prossimo 15
settembre aprirà un percorso full time (quattro mesi di aula e sei di stage) di alta specializzazione puntando a
replicare il successo del primo master in Marketing management, che in 14 anni ha formato oltre 450
professionisti del marketing e della distribuzione dei prodotti made in Italy. «Solo negli ultimi due anni
abbiamo lavorato con più di cento aziende parmensi del food - spiega Rigolli di Cisita - nell'ambito di
interventi formativi che spaziano dalla sicurezza alimentare alle norme per la tutela dell'ambiente, dai
regolamenti per il confezionamento e l'etichettatura alle strategie per l'internazionalizzazione».
Internazionalizzazione è la parola chiave anche di Alma, che la settimana scorsa ha siglato con Aims
Institute di Bangalore un accordo che permetterà agli studenti indiani di frequentare i corsi di Colorno diretti
dal grande maestro della cucina italiana, Gualtiero Marchesi. Ultimo tassello di un network che la scuola di
cucina italiana, enogastronomia, sommellerie e hotellerie ha composto mettendo in rete istituti formativi di
cucina di 20 Paesi diversi, «per trasformare i futuri cuochi dei cinque continenti in ambasciatori della nostra
cucina nel mondo e delle nostre materie prime di qualità», sottolinea Malanca.
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/06/2014
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In aula
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Dalle macchine agricole al packaging, dall'auto agli elettrodomestici: un macrosettore che realizza oltre la
metà delle esportazioni regionali LA FOTOGRAFIA Vacchi (Ima): per noi ordini in crescita Goldoni
(Federunacoma): siamo una delle àncore di salvezza del made in Italy Rau (Nomisma): territorio
caratterizzato da numerose multinazionali tascabili
Carlo Andrea Finotto
La Via Emilia come un albero di trasmissione, lungo il quale girano ingranaggi diversi per dimensioni e
specializzazioni. Dalle macchine utensili di Piacenza a quelle per il settore alimentare di Parma, dalle
macchine agricole di Reggio Emilia all'automotive ed elettrodomestico di Modena, per arrivare all'imballaggio
di Bologna. La suddivisione è rozza, perché i settori, sorti ognuno intorno al proprio "genius loci" - che siano
quelli vocati a velocità e lusso come Ferrari, Maserati, Ducati, o quelli di derivazione agroalimentare come
Barilla, Parmigiano reggiano - si contaminano tra loro e non rispettano le convenzioni dei confini. In questa
regione, come racconta Guido Piovene in "Viaggio in Italia", i motori (in ogni loro declinazione) sono una delle
principali passioni (e ossessioni), insieme al cibo.
Non stupisce quindi che su 50 miliardi circa di esportazioni nel 2013, 28 competano alla meccanica. Un
macrosettore che, con un rapporto medio export/ricavi intorno al 50% e una platea di piccoli terzisti, dovrebbe
arrivare intorno ai 70 miliardi di fatturato. Fatturato della meccanica che cresce (+1,4%) anche nel primo
trimestre 2014, trainato dall'export (+6,2%). I dati (Unioncamere, Confindustria, Intesa Sanpaolo) sono
entrambi sopra la media regionale del manifatturiero (+0,2% e +4,8%).
In questo meccanismo ben oliato la crisi, soffocante come l'afa della pianura padana, ha cercato di insinuare
più di un granello di sabbia. Crollo delle esportazioni (-23% nel 2009) e tracollo del mercato interno. Le
aziende metalmeccaniche emiliane saranno anche toste ma la crisi l'hanno sentita. «Spesso gli effetti
maggiori - perdite di commesse, riduzioni di personale, chiusure - si sono ribaltati sulla rete di subfornitura»
spiega Concetta Rau, economista di Nomisma.
Le aziende meccaniche, tuttavia, non si sono piegate neppure con il terremoto che si è sommato alla crisi
economica. Hanno anticorpi adeguati. «La crisi - spiega Concetta Rau - c'è stata e c'è ancora, ma non per
tutti. I settori e le aziende con più forte vocazione tecnologico-innovativa e proiettate all'estero hanno resistito
meglio e oggi colgono i segnali di ripresa». Un esempio sono le macchine per imballaggio, raggruppate sotto
Ucima: quasi il 40% delle aziende sono concentrate in Emilia-Romagna (245 su 635) e realizzano il 65% dei
6 miliardi di fatturato totale (cresciuto, quest'ultimo, del 7,6% nel 2013 e del 20,5% nei primi tre mesi
dell'anno). Il comparto comprende alcune multinazionali tascabili capaci di imporsi a livello mondiale, come la
Ima di Alberto Vacchi (che guida anche Unindustria Bologna), che ha chiuso il 2013 in crescita del 15,8% a
760,9 milioni di fatturato e nel primo trimestre dell'anno ha fatto segnare un +32% di ricavi. «Guardiamo con
fiducia al 2014 - sottolinea Vacchi - anche grazie agli ordini superiori rispetto allo stesso periodo 2013».
È proprio nella metalmeccanica emiliano-romagnola, secondo Concetta Rau, che si trovano in modo
particolare, «quelle aziende globalizzate che trainano la ripresa». Merito anche del grado di innovazione. Non
a caso il tasso di brevettazione (dati Istat, brevetti per milione di abitanti) vedono la regione leader, con un
dato di 131,1, davanti alla Lombardia con 117,8.
Caratteristiche diffuse in vari comparti: «Con la nostra capacità e lungimiranza di andare a cercare
costantemente nuovi mercati le nostre aziende sono una delle àncore di salvezza del made in Italy» afferma
Massimo Goldoni, titolare dell'omonima azienda e presidente di Federunacoma, l'associazione dei costruttori
di macchine agricole. In regione, per capirci, ne circolano 349.789. Dalle motozappe alle mietitrebbiatrici. Ce
ne sono 50mila solo in provincia di Modena, poco meno di 49mila nel Bolognese, 47mila nel Ravennate.
Qualche segnale incoraggiante c'era stato a inizio anno sulle immatricolazioni dei trattori, ma a maggio si era
già esaurito: «Il mercato italiano si dibatte ancora in un mare di difficoltà. Purtroppo non c'è una politica di
sistema che aiuti le imprese, resta il problema del credito e gli effetti della nuova Sabatini non si avvertono
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Hi-tech e globalizzata, la meccanica sfida la crisi
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ancora appieno» è il giudizio di Goldoni che può valere per tutta la meccanica. Massimo Goldoni è appena
stato in Albania per la fiera di settore rivolta al Sudest Europa, «dove si aprono opportunità interessanti»,
spiega, così come in Sud Africa, Russia, Brasile e India. Del resto l'Emilia-Romagna è la prima regione
d'Italia per export pro capite: 11.532 euro contro i 10.893 della Lombardia. Un primato che si spiega con
l'elevatissima propensione internazionale di molte aziende. La Bertazzoni, azienda familiare reggiana alla
sesta generazione, che opera nel comparto elettrodomestici, vanta il 93% dei ricavi oltreconfine: «Siamo sul
mercato da oltre 130 anni - spiega l'ad Paolo Bertazzoni - ci sta premiando un mix di ingegneristica
d'avanguardia, legame con il territorio, design e cultura della buona tavola. Abbiamo chiuso il 2013 a 78
milioni di fatturato, in crescita dell'11%, nonostante il periodo di contrazione del settore».
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24/06/2014
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I contoterzisti della moda si alleano per esportare con marchi propri
L'ECCELLENZA CARPIGIANA Dal Duemila a oggi la quota di imprese posizionate nella fascia alta di
mercato è salita dal 58 al 70% e le griffe (tra cui Twin Set, Stone Island,Liu-Jo) fanno il 54% del fatturato
totale
Natascia Ronchetti
Nuove alleanze cambiano la faccia del distretto della maglieria e dell'abbigliamento di Carpi, uno dei più
importanti in Italia, oltre 1.100 imprese, sulle 7.500 che compongono il sistema moda della regione, e un
fatturato che supera gli 1,4 miliardi. Nel regno del fashion system emiliano - dove sono cresciuti grandi nomi
del made in Italy come Twin Set, Blumarine, Liu-Jo, Spw-Stone Island, Giorgio Armani Operation - sono
soprattutto i contoterzisti a invertire la rotta e a cercare partnership strategiche per lanciarsi nella produzione
in conto proprio e misurarsi sui mercati esteri.
Nei cinque comuni del Modenese che costituiscono il cluster raccolto intorno a Carpi il grande fermento delle
micro e piccole imprese che operano nella filiera della lavorazione conto terzi è non solo una risposta alla
crisi che ha indebolito le piccole realtà in un mercato dominato dai big ma è anche una nuova sfida per
agganciare le esportazioni. «Parliamo di reti di fatto e aggregazioni con le quali piccoli contoterzisti si
cimentano con nuove linee produttive», conferma Simone Morelli, assessore alle Attività produttive del
Comune di Carpi, che gestisce l'Osservatorio sul distretto. «È un fenomeno del tutto nuovo - prosegue Morelli
- con il quale piccole aziende provano a fare il salto di qualità in sinergia con altre imprese». Nell'area si
concentra la maggioranza dei 12.600 addetti del settore nella provincia di Modena, cuore di un sistema
regionale che annovera colossi del fashion come Aeffe di Alberta Ferretti e Gilmar (San Giovanni in
Marignano, nel Riminese), Max Mara (Reggio Emilia), Les Copains (Bologna). Marchi storici e nuovi brand, in
corsa soprattutto sui mercati esteri.
L'impatto delle nuove aggregazioni non è ininfluente. Nel solo cluster di Carpi, infatti, a fronte di 260 imprese
finali ci sono quasi 850 aziende che operano nella subfornitura, piccole realtà fino a ieri tagliate fuori dai
grandi numeri che adesso tentano la scalata. A tracciare la strada sono le griffe. Come Blumarine, marchio
del gruppo Blufine, 330 milioni di euro di fatturato dei quali il 70% generato dalle vendite oltreconfine, a partire
dai mercati asiatici. O come Moschino, Pollini, Jean Paul Gualtier, Alberta Ferretti, prodotti da Aeffe, che con
oltre 258 milioni di fatturato (più del 58% generato dalle esportazioni) cresce soprattutto in Cina e in Medio
Oriente. In questo scenario piccoli brand fanno capolino tra maison che, proprio partendo da Carpi, si sono
affermate negli ultimi anni a livello internazionale.
Tra queste ultime Twin Set di Simona Barbieri e Liu-Jo. Twin Set, acquisita al 72% dal fondo statunitense
Carlyle, in tre anni ha triplicato il fatturato (raggiungendo nel 2013 i 177,3 milioni) e ora ha lanciato un piano di
sviluppo all'estero con nuovi negozi monomarca, che si aggiungono agli attuali 45. In particolare, dopo la
recente inaugurazione di Valencia, sempre in Spagna sono previsti il nuovo store di Barcellona e quello di
Palma di Mallorca. Seguiranno Parigi, Lione e Berlino. «Vogliamo consolidare l'attuale posizionamento sul
mercato - spiega l'ad di Twin Set, Tiziano Sgarbi - attraverso una strategia di sviluppo dei monomarca
presenti sul territorio italiano e internazionale, in un'ottica di espansione a più ampio raggio che coinvolgerà
dai prossimi mesi altre importanti location estere, concentrandosi soprattutto su Francia, Spagna, Germania e
Russia». Oggi Twin Set è tra i marchi di punta di un distretto il cui peso è confermato dall'export: più di 641
milioni nel 2013, valore che lo colloca al terzo posto in regione dopo il cluster delle piastrelle di Sassuolo e la
packaging valley di Bologna.
Numeri ai quali vanno aggiunti quelli del distretto dell'abbigliamento di Rimini (l'anno scorso ha esportato per
530,6 milioni). Comprendendo anche i calzaturifici di San Mauro Pascoli - tra i quali spiccano brand come
Sergio Rossi e Quinto Casadei - e quelli di Fusignano-Bagnacavallo, il sistema moda emiliano-romagnolo
sfiora gli 1,5 miliardi di export.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/06/2014
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La filiera del tessile-abbigliamento-calzature
24/06/2014
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/06/2014
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Il posizionamento su una fascia alta o medio-alta di mercato riguarda ormai il 70% delle imprese carpigiane,
contro il 58% dei primi anni Duemila. E sono le grandi griffe a fare da traino al cluster: assorbono infatti oltre il
54% del fatturato totale. Internazionalizzazione e innovazione restano i grandi obiettivi perseguiti da Carpi
Fashion System che, cofinanziato dalla Fondazione Cassa di risparmio di Carpi e dalle associazioni di
categoria, incentiva le aggregazioni e le reti di impresa. A sua volta il Comune emiliano lavora al progetto di
un centro di documentazione internazionale sulla moda, da realizzare nel Torrione degli Spagnoli, grazie al
via libera da parte del ministero ai Beni culturali. Il centro metterà a disposizione un archivio storico sul
distretto, rivolto a imprese, ricercatori e stilisti.
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Senza confini
Le aziende di Carpi
Il distretto modenese della maglieria è il più importante tra i cluster della moda regionali
1.100
Variazione 2013 dell'export
Il polo carpigiano ha perso terreno oltreconfine secondo il monitor Intesa Sanpaolo
-1,8%
L'export della moda riminese Secondo distretto della moda per vendite estere, dietro Carpi che vale 641
milioni di export 2013
531 milioni
Le imprese della filiera Tac
Sulla via Emilia operano 1.379 aziende tessili, oltre 5mila di abbigliamento e 991 calzaturiere
7.416
Foto: Al top. Collezione primavera-estate 2014 di Twin Set
24/06/2014
La Repubblica - Bologna
Pag. 9
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Tra gennaio e marzo lieve recupero dell'industria emiliana Forte crescita dell'export, mentre langue il mercato
interno Ancora cattivi i segnali dal credito: in discesa i prestiti bancari a famiglie e imprese
ENRICO MIELE
LA CRISI del manifatturiero lungo la via Emilia rallenta. Nei primi tre mesi del 2014, fatturato e ordini sono
leggermente cresciuti, stoppando il periodo "nero" che andava avanti da oltre due anni. Vola invece l'export
dell'industria - salito del 5,6% in un solo trimestre - mentre le banche continuano a tenere chiusi i rubinetti del
credito.
La cautela è d'obbligo. Ma dopo l'ultima indagine di Unioncamere, Confindustria Emilia Romagna e Intesa
Sanpaolo, s'intravedono i primi spiragli di luce. La produzione, ad esempio, è aumentata dello 0,1% rispetto
ai primi mesi dell'anno scorso.
La ripresa, però, è a macchia di leopardo: la recessione continua nella moda (-2,1%) e del legno e
arredamento (-3,1%), mentrei settori legatia meccanica ed energia, più aperti all'export, sono cresciti
dell'1,1% (bene anche l'alimentare). A sorprendere sono anche le vendite all'estero, arrivate nel primo
trimestre a quota 12,5 miliardi, con un balzo in avanti del 5,6%. Boom dovuto soprattutto ai mercati europei e
agli Stati Uniti. Nell'industria emiliana aumenta anche l'occupazione: in tre mesi c'è una crescita dello 0,5%,
circa duemila addetti in più (in un periodo in cui l'Italia ha "bruciato" oltre 16mila posti di lavoro). Ma per gli
imprenditori non basta: «Se vogliamo che il lento recupero dell'economia regionale diventi vera ripresa,
devono ripartire la domanda interna e gli investimenti. Questi sono i fattori fondamentali su cui puntare per
dare una scossa reale», avverte il presidente della Confindustria regionale, Maurizio Marchesini. La nota
stonata è, invece, quella del credito: i prestiti a famiglie e imprese a marzo scorso sono crollati del 3,6%. ©
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9 RIMESTRI IN "ROSSO" Gli indicatori dell'economia dell'Emilia Romagna erano calati per nove trimestri
consecutivi
+0,1% INDUSTRIA Nei primi tre mesi del 2014 la produzione industriale è cresciuta dello 0,1%
+5,6% EXPORT Nel primo trimestre vola a +5,6% l'export dell'industria emiliana
+2mila POSTI DI LAVORO Il primo trimestre si chiude con una crescita dell'occupazione dello 0,5%, 2mila
addetti in più
9,7% LA DISOCCUPAZIONE La disoccupazione in Emilia Romagna è arrivata al 9,7%, quasi il triplo di 5 anni
fa
-3,6% PRESTITI BANCHE A marzo calano del 3,6% i prestiti a famiglie e imprese in Regione
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/06/2014
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La ripresa è iniziata dopo oltre due anni sale la produzione
24/06/2014
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 21
(diffusione:105812, tiratura:151233)
Persi 10mila posti, chiuse 100 aziende. La rinascita dall'estero Balzo delle vendite all'estero (+14%) e la
produzione viaggia a ritmi quasi doppi rispetto al resto del manifatturiero Federchimica: su Sistri e logistica
occorre semplificare
DIEGO MOTTA
MILANO La linea di confine per l'industria chimica è rappresentata da quei 10mila posti di lavoro persi negli
anni della Grande Crisi, con la chiusura di 100 impianti in tutta Italia. Da allora, dal punto più basso mai
toccato in tempi recenti, è iniziata la lenta risalita, che ha portato nei primi quattro mesi del 2014 a una
crescita della produzione (+2,9%) quasi doppia rispetto alla media del manifatturiero nazionale (+1,6%).
«Forse la recessione si sta allontanando, forse finalmente si può pensare a una vera ripresa» ha detto ieri a
Milano, all'assemblea annuale di Federchimica, il presidente Cesare Puccioni. Nel 2013 la chimica è
diventata il secondo settore per esportazione nel nostro Paese, con un valore di quasi 28 miliardi, preceduto
soltanto dalla meccanica strumentale. A fronte di una domanda interna crollata di circa il 20%, anche a
seguito della perdurante difficoltà dell'edilizia, è stato l'export a garantire la tenuta delle nostre aziende, con
un balzo del 14%. È come se la domanda interna rappresentasse il passato da cui le nostre imprese fanno
fatica a staccarsi (anche se il +1% in volume fatto registrare nel quadrimestre in questione, è comunque un
importante segnale in controtendenza) mentre il futuro è legato sempre più alla presenza nei mercati esteri
che corrono, da agganciare il più presto possibile per poter vincere nella competizione globale: solo nei Paesi
emergenti, la domanda di chimica è quadruplicata dal 2003 a oggi e la quota di questi mercati è passata dal
26% al 53%. È in questo spartiacque tra il "prima" e il "dopo" che si gioca la sfida dei prossimi mesi, per un
settore che ha avviato nell'ultimo decennio un riposizionamento obbligato sui temi del territorio e della
sostenibilità ambientale. Per questo, non sono parse casuali le parole pronunciate dal presidente di
Confindustria, Giorgio Squinzi, davanti alla platea di imprenditori che per molto tempo ha rappresentato come
numero uno di Federchimica. «In Italia, il sabotaggio della crescita appare sistematico e va rimediato» se il
Paese vuole uscire dalla crisi, ha detto il leader degli industriali. Quali sono gli ostacoli che impediscono il
definitivo rilancio delle imprese chimiche? «Non vogliamo meno controlli» ha spiegato Puccioni, ma una
regolamentazione che sia più «semplice, chiara e stabile». Nel mirino ci sono soprattutto il Sistri, il sistema di
controllo della tracciabilità dei rifiuti, e l'imminente riforma della logistica. Nel primo caso, è toccato allo stesso
ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, presente all'incontro, riconoscere che il modello pensato per
gestire 10 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi «non ha funzionato e va cambiato». Secondo Federchimica,
«occorre facilitare le bonifiche, invece di normarle in modo da renderle impossibili». Quanto al trasporto delle
merci pericolose, le aziende del settore hanno fatto notare che l'effetto della nuova legge è stato quello di
riversare sulle strade la movimentazione dei prodotti che prima venivano trasportati su ferro.
Complessivamente, il primo nemico da abbattere su entrambi i fronti è sempre lo stesso: la burocrazia. ©
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Chimica, c'è l'export oltre la crisi
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ItaliaOggi
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Interdis riporta in vita VéGé
Obiettivo: raddoppiare la rete dei punti vendita in un triennio
DI IRENE GREGUOLI VENINI
Interdis torna alle sue origini e diventa VéGé: l'obiettivo è raddoppiare la rete dei punti vendita, oggi 1.495, in
tre anni, accogliendo nuovi soci, che potranno mantenere il loro brand ricadendo però sotto il marchio
ombrello del gruppo; arriverà anche una nuova insegna, nel 2015, che identificherà superette, ovvero negozi
con una superfi cie di 600-800 metri quadri, in cui sarà dato ampio spazio ai prodotti freschi. Inoltre, saranno
rilanciati due brand storici, Pantamarket per i cash & carry e Sosty per i discount. VéGé è nata infatti 55 anni
fa come prima unione volontaria italiana di medie e grandi imprese della distribuzione prendendo a esempio il
modello europeo della VéGé, acronimo di Verkoop Gemeenshap, in italiano «comunità di vendita», costituita
in Olanda nel 1935. Al gruppo si deve, per esempio, l'introduzione nella Penisola dei cash & carry alla fi ne
degli anni 50 e l'invenzione dei primi discount italiani nel 1974. Nel 1996 VéGé era con uita, insieme a Selex,
in Euromadis, durata due anni; l'eredità dell'impresa è stata raccolta poi da Interdis, che ha chiuso il 2013 con
un giro d'affari di 2,6 miliardi di euro, in crescita del 6,8%; a maggio di quest'anno è stato registrato, secondo i
dati Nielsen, un aumento del fatturato del 5,5% rispetto allo stesso periodo dell'anno passato. «L'idea da cui
nasce questo cambiamento è che un brand come VéGé non poteva perdere la sua storia», spiega Giorgio
Santambrogio, amministratore delegato del nuovo gruppo (in precedenza direttore generale di Interdis), di cui
fanno parte diverse insegne tra cui Sidis, Dimeglio, Eté e Migross. «Abbiamo fatto una ricerca ce questo con
Nielsen da cui è emerso con Nielsen da cui è emerso che il 53% degli intervistati sopra i 40 anni ha un
ricordo di VéGé e che questo marchio per loro significa sicurezza, mantenimento di promesse e value for
money. Quello che vogliamo fare oggi è creare un polo aggregante della distribuzione organizzata in Italia
facendo con uire i soci di Interdis in VéGé e accogliendo nuove imprese». Alla cooperativa Gruppo VéGé
faranno capo tre società controllate: VéGé Brands, VéGé Retail, il braccio commerciale operativo, e VéGé
Franchising, dedicata all'ulteriore espansione della rete. «Il punto di forza è che se un'impresa ha la propria
insegna, la accogliamo con il suo marchio in modo da non disperdere il suo patrimonio di notorietà sul
territorio, mettendo un welcome logo sulla vetrofania del negozio in cui si sottolinea che fa parte del nostro
gruppo. Inoltre, per chi si associa è possibile vendere l'intera gamma di prodotti Delizie, il nostro brand, cui si
lega un concept che include un magazine, un catalogo, un'app, la presenza su Facebook e su YouTube»,
continua l'a.d. «Vogliamo infatti essere all'avanguardia nell'area social e digital, usando questi mezzi per
comunicare la nostra offerta, per esempio abbiamo già iniziato a mettere video ricette basate sui prodotti a
marchio Delizie dello chef Leonardo Romanelli su YouTube, postando poi le foto su vari social network.
Anche perché la fi sicità dei punti vendita nel mondo del food non verrà soppiantata dall'e-commerce».
L'obiettivo è raddoppiare la rete acquisendo nuovi soci e puntando non sugli ipermercati ma sui superstore
nelle città. «Il format vincente sarà però la superette di attrazione, soprattutto nei piccoli centri, con
un'insegna che lanceremo nel 2015: saranno negozi di 600-800 metri quadri, vocati maggiormente al fresco
grazie a un ampliamento delle aree dedicate alla gastronomia, ortofrutta, macelleria e ittico servito»,
sottolinea Santambrogio. Nel nuovo progetto trova spazio anche il rilancio di due vecchie insegne, che erano
molto note, ovvero Pantamarket, brand sotto a cui andranno tutti i nuovi cash & carry, e Sosty per
compensare il vuoto d'offerta di piccoli discount in Centro Italia.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 24/06/2014
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Il gruppo della distribuzione ritorna alle origini con il marchio nato 55 anni fa
24/06/2014
MF - Ed. nazionale
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a cura di Mariangela Pira
L'indice Pmi torna positivo L'indice Pmi manifatturiero Hsbc cinese (dato preliminare) è salito a 50,8 punti a
giugno, in rialzo rispetto ai 49,4 punti del dato definitivo registrato a maggio. L'indicatore, posizionandosi per
la prima volta nel corso dell'anno al di sopra della soglia di 50 punti, segnala aspettative di espansione
economica. La lettura «è l'ultimo segnale che, almeno in alcuni settori, la pressione ribassista si è allentata»,
commenta Julian EvansPritchard, economista di Capital Economics. L'esito, prosegue l'esperto, «indica che
l'approccio mirato del governo alla crescita sta funzionando. Bene l'aumento delle componenti sui nuovi ordini
e sull'output». Cnpc nel mirino dei revisori China National Petroleum Corporation è tra gli 11 gruppi cinesi nel
mirino dei revisori contabili. I profitti derivanti dalla vendita del gas nel 2012 sarebbero stati sottostimati per
71,3 milioni di euro, segnala l'Ufficio Nazionale di Revisione Contabile cinese. Consiglio internazionale per
Ucrg Universal Credit Rating Group (Ucrg) ha eletto a Pechino un consiglio internazionale per sovrintendere
all'attività della società, nata a Hong Kong un anno fa. Il gruppo ha annunciato la costituzione del consiglio al
Summit on Construction of Asia Credit System. L'ex primo ministro francese Dominique de Villepin sarà il
presidente. Urcg è nata dall'unione della cinese Dagong con la russa RusRating e la statunitense EganJones. L'obiettivo della società è la riforma del sistema di rating a livello globale. (riproduzione riservata)
Foto: www.milanofi nanza.it/desk_china in collaborazione con
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