CONFIMI
Rassegna Stampa del 11/02/2014
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INDICE
CONFIMI
11/02/2014 Corriere della Sera - Bergamo
«Tra sei mesi partirà anche l'occupazione»
6
11/02/2014 La Repubblica - Torino
Il Collegio edile dell'Api ha confermato Frascarolo
8
11/02/2014 Il Giornale di Vicenza
Lo spettacolo teatrale aiuta il progetto in Africa
9
11/02/2014 L'Arena di Verona
Nel 2013 crescono gli iscritti al fondo Solidarietà Veneto
10
CONFIMI WEB
10/02/2014 www.adnkronos.com
Api Torino: Frascarolo confermato presidente collegio edile
12
10/02/2014 torino.repubblica.it 10:19
Edilizia: Api Torino, Frascarolo confermato presidente collegio edile
13
10/02/2014 www.liberoquotidiano.it 09:59
Edilizia: Api Torino, Frascarolo confermato presidente collegio edile
14
10/02/2014 spoletonline.com
CONFIMI IMPRESA INAUGURA LA NUOVA SEDE DI PONTE SAN GIOVANNI AL VIA
ANCHE LA MOSTRA D'ARTE ' OVER COMMUNICATION'
15
SCENARIO ECONOMIA
11/02/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Fiat rimborsa 5 miliardi al fondo Usa per Chrysler
17
11/02/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Province, tasse locali giù con 1 miliardo di risparmi
19
11/02/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Quel piano segreto di Passera per l'economia
21
11/02/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Dumping dei salari? Colpa degli industriali non dei lavoratori»
22
11/02/2014 Il Sole 24 Ore
Il Tesoro: sì alla bad bank ma senza fondi pubblici
23
11/02/2014 Il Sole 24 Ore
Meno tasse in Italia e più Europa
24
11/02/2014 Il Sole 24 Ore
Le imprese hanno ragione, dobbiamo intervenire subito
26
11/02/2014 Il Sole 24 Ore
La campana svizzera suona per l'Europa
28
11/02/2014 La Repubblica - Nazionale
ArcelorMittal interessato a rilevare l'Ilva
29
11/02/2014 La Repubblica - Nazionale
Alitalia verso l'intesa sugli esuberi Etihad terrà sia Linate sia Malpensa
30
11/02/2014 La Repubblica - Nazionale
Finmeccanica scarica AnsaldoBreda "Mette a rischio stabilità del gruppo"
31
11/02/2014 La Stampa - Nazionale
"Sì alla bad bank, ma niente soldi pubblici"
33
11/02/2014 La Stampa - Nazionale
E l'Europa ci commissariò
34
11/02/2014 La Stampa - Nazionale
Merkel alla Svizzera "Siete un problema"
35
11/02/2014 Il Messaggero - Nazionale
Referendum sugli immigrati la Ue teme l'effetto contagio
37
11/02/2014 Il Messaggero - Nazionale
Crediti dubbi, quattro cantieri delle banche
39
11/02/2014 Il Giornale - Nazionale
Mediaset vince la Champions in tv batosta per Sky
40
11/02/2014 MF - Nazionale
Corte dei Conti si dia da fare se vuole che le agenzie di rating considerino i tesori
italiani
41
11/02/2014 MF - Nazionale
La fallita Regione Lazio non taglia nulla
42
SCENARIO PMI
11/02/2014 Corriere della Sera - Bergamo
Recessione finita ma non per il lavoro
44
11/02/2014 Il Sole 24 Ore
Solo chi esporta riesce a resistere, senza spinte alla domanda interna la crescita
resta allo «zerovirgola»
46
11/02/2014 Il Messaggero - Nazionale
Industria, produzione a picco nel 2013 (-3%)
48
11/02/2014 Il Fatto Quotidiano
"Sbagliato fermarsi adesso, i partiti ci aiutino a fare il salto"
49
CONFIMI
4 articoli
11/02/2014
Corriere della Sera - Bergamo
Pag. 3
(diffusione:619980, tiratura:779916)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Gli imprenditori Prudente fiducia tra le organizzazioni di categoria
«Tra sei mesi partirà anche l'occupazione»
Malvestiti: «Segnali positivi che fanno ben sperare» Dalle Pmi Losma: «Servono organizzazione, prodotto e
presenza estera per rafforzare la tendenza» Tunnel edilizia Bettineschi: «La situazione non è affatto positiva
e credo che resterà così per tutto l'anno»
Fabio Spaterna
Ottimismo misto a cautela. Prevale la fiducia, ma non sono uniformi le reazioni delle associazioni ai numeri
dell'ultima indagine congiunturale; anche perché i dati, che indicano per la produzione industriale una ripresa
significativa, sono meno positivi per altri settori dell'economia bergamasca. Tra i più entusiasti è il presidente
della Camera di Commercio, Paolo Malvestiti, che intravede una controtendenza incoraggiante: «Da tempo
non avevamo segnali positivi di questo tipo, che fanno ben sperare per il 2014. In ambito industriale non solo
l'esportazione tiene, ma ad aumentare l'ottimismo ora c'è anche l'aumento delle vendite in Italia». Per
Malvestiti, che è anche presidente provinciale di Ascom, la soddisfazione per i dati congiunturali è doppia: «I
numeri sul commercio rappresentano la più grossa sorpresa da qualche anno a questa parte. Il +1,1% di giro
d'affari dell'ultimo trimestre è un risultato auspicato, ma inaspettato, così come il +3,7% sul non alimentare,
con il settore calzaturiero e dell'abbigliamento che, dopo un lungo periodo di sofferenza, possono guardare
con ottimismo al futuro». Che i numeri di fine anno non siano un caso isolato lo pensa anche Ercole Galizzi,
presidente di Confindustria Bergamo: «Il dato è ormai positivo da tre trimestri consecutivi sia da un punto di
vista congiunturale che strutturale, quindi almeno per la produzione industriale l'inversione di tendenza c'è, e
si vede. A trainare la ripresa è ancora l'export, con qualche debole segnale di crescita degli ordini interni. Le
tante imprese bergamasche che fanno prevalentemente affari in Italia continuano quindi ad essere in
difficoltà, con la situazione controbilanciata da un fatturato d'esportazione 2013 che si allinea con quello
dell'anno precedente, a dimostrazione della qualità dei nostri prodotti e della capacità delle aziende orobiche
di restare sul mercato internazionale nonostante le difficoltà». Resta la preoccupazione per una ripresa
produttiva alla quale non ha però fatto seguito un adeguato aumento occupazionale: «Per quello bisognerà
aspettare ancora, ma anche qui i valori negativi sono ridotti - aggiunge Galizzi -: qualche novità importante
potrebbe arrivare nei prossimi mesi». Lo sfasamento tra crescita della produzione industriale e
dell'occupazione secondo Giancarlo Losma, presidente della Piccola Industria di Confindustria, sarebbe di
circa sei mesi: «L'occupazione dovrebbe aumentare a metà anno. L'inversione di tendenza è ormai
indiscutibile, ma non dobbiamo aspettarci una ripresa con l'acceleratore schiacciato. Ma questi segnali per
ora ci bastano, con molte nostre aziende che stanno continuando a crescere in una situazione a macchia di
leopardo. Per confermare questo trend nei prossimi mesi serve continuare a investire in termini di
organizzazione, prodotto e internazionalizzazione: se arrivano gli ordini, presto ripartirà anche l'occupazione».
Più cauto Paolo Agnelli, presidente di Apindustria Bergamo e numero uno nazionale di Confimi: «Le medie
possono essere influenzate da alcune aziende di eccellenza della Bergamasca, che continuano a
rappresentare casi più unici che rari sul mercato internazionale. Il tutto mentre tante altre imprese restano in
un mare di lacrime: credo che potremo dire di essere definitivamente usciti dalla crisi solo quando anche
l'occupazione tornerà a crescere». Se sul fronte industriale a prevalere è comunque la fiducia, i numeri degli
altri settori non lasciano dormire sonni tranquilli ai loro rappresentanti. A cominciare dall'artigianato, che pur
segnando un +0,5% su base trimestrale è ancora lontano, secondo il presidente dell'Associazione Artigiani
Angelo Carrara, dall'intravedere la luce in fondo al tunnel: «Sicuramente è meglio di niente, ma così come
non mi sono mai fasciato la testa quando le cose andavano malissimo, non credo sia opportuno adesso farsi
prendere dall'entusiasmo. Invertire la tendenza in un contesto del genere, con il pubblico che mette in
continuazione i bastoni tra le ruote alle imprese, resta comunque un record». Chi infine non riesce ancora
nemmeno a tirare fuori la testa dalle sabbie mobili della crisi è l'edilizia. «La situazione non è per niente
CONFIMI - Rassegna Stampa 11/02/2014
6
11/02/2014
Corriere della Sera - Bergamo
Pag. 3
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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positiva, e credo che purtroppo resterà tale almeno per tutto il 2014 - sostiene il presidente di Ance Bergamo,
Ottorino Bettineschi -. Prima delle ripresa il comparto del mattone deve risolvere tanti problemi, a partire dal
patto di stabilità tra i sindaci che di fatto blocca i lavori pubblici fino al problema del credito, che crea sempre
più difficoltà all'edilizia privata».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Hanno detto
Foto: Industriali Il presidente Ercole Galizzi
Anche sul lavoro mi attendo a brevequalche segnale positivo
Foto: Ascom Il presidente Paolo Malvestiti
I dati sul commercio sono la più grande sorpresa da molti anni
Foto: Confimi Il presidente Paolo Agnelli
Si potrà dire che c'è ripresa solo quando l'occupazione tornerà a salire
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7
11/02/2014
La Repubblica - Torino
Pag. 12
(diffusione:556325, tiratura:710716)
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Affari&affari "Il prossimo quadriennio decisivo per la nostra filiera"
Il Collegio edile dell' Api ha confermato Frascarolo
ALESSANDRO Frascarolo continueràa guidare il Collegio edile dell'Api, l'associazione delle piccole e medie
imprese torinesi. L'imprenditore, attivo soprattutto nelle costruzioni private, siede già nella giunta dell'Aniem,
l'associazione nazionale imprese edili manifatturiere, ed è vicepresidente di Confimi Impresa. Resterà al
vertice del Collegio fino al 2018 e spiega che «le sfide da affrontare nel quadriennio saranno decisive per la
nostra filiera.
Il settore è molto colpito dalla crisi economica e, più di altri, stenta a individuare segnali concreti di ripresa».
Dunque, dice Frascarolo, «l'impegno è di ritrovare la spinta propulsiva per una rinascita economica». Oggi il
Collegio edile dell'Api Torino conta oltre cento imprese che danno lavoro a 1.200 persone e nei prossimi mesi
intende creare una confederazione regionale.
Foto: Alessandro Frascarolo
CONFIMI - Rassegna Stampa 11/02/2014
8
11/02/2014
Il Giornale di Vicenza
Pag. 21
(diffusione:41821, tiratura:51628)
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SOLIDARIETÀ
Lo spettacolo teatrale aiuta il progetto in Africa
La serata sosterrà il Cuamm Questa sera alle 20.30, al teatro San Marco di Vicenza andrà in scena lo
spettacolo "Cirano de Bergerac" di Edmond Rostand, in un adattamento di Maximilian Nisi, presentato dalla
Compagnia dell´Orso di Lonigo. La rappresentazione teatrale è promossa Apindustria e dai Lions club di
Vicenza, Arzignano e Valdagno a favore dell´organizzazione Medici con l´Africa Cuamm. Medici con l´Africa
Cuamm è la prima organizzazione non governativa (ong) in campo sanitario riconosciuta in Italia. Si spende
per il rispetto del diritto umano fondamentale alla salute e per rendere l´accesso ai servizi sanitari disponibile
a tutti. Elisa Beniero, membro di Giunta e presidente del Gruppo giovani imprenditori di Apindustria Vicenza
ha spiegato: «È da molti anni che supportiamo l´organizzazione con iniziative tangibili come quella realizzata
lo scorso dicembre con la donazione di una borsa di studio per un giovane futuro medico mozambicano. È
fondamentale sostenere questo grande continente per poter far emergere tutta la sua grande potenzialità».
«Il ricavato - ha aggiunto Anna Martini del Lions club - sarà interamente devoluto per l´allestimento del
reparto di neonatologia dell´ospedale di Tosamaganga, in Tanzania». © RIPRODUZIONE RISERVATA
CONFIMI - Rassegna Stampa 11/02/2014
9
11/02/2014
L'Arena di Verona
Pag. 33
(diffusione:49862, tiratura:383000)
Nel 2013 crescono gli iscritti al fondo Solidarietà Veneto
Vanna Giantin Solidarietà Veneto aumenta il numero di iscritti, a dispetto della crisi e in controtendenza
rispetto al trend nazionale. Ieri nella sede di Confindustria sono stati presentati i dati consuntivi 2013 di
questo fondo pensione regionale contrattuale, creato 24 anni fa e promosso da Confindustria, Cisl e Uil,
Apindustria e dalle associazioni artigiane Confartigianato, Cna, Casartigiani e Federclaai. «Alla fine del 2013 i
lavoratori associati erano 46.899 con un +2,15% rispetto al 2012», ha spiegato Vanna Giantin, presidente di
Solidarietà Veneto. «Il saldo positivo si è ottenuto grazie a oltre 2.300 nuove adesioni e anche alla
consistente riduzione (-28%) del numero di richieste di riscatto per "perdita di requisiti"». Un segnale positivo,
per la Giantin: «Questi numeri accendono una speranza sulla ripresa del mercato del lavoro locale e
dimostrano l'importanza, per un fondo territoriale, di offrire agli iscritti una consulenza personalizzata, rispetto
a quella dei fondi nazionali». Paolo Stefan, direttore di Solidarietà Veneto ha illustrato i rendimenti finanziari
del 2013, tutti con segno positivo: «Spiccano le performance dei comparti destinati ai più giovani, trascinati
dal mercato azionario: il Dinamico ha registrato +11% netto e il Reddito + 5,64%». Superiore al Tfr anche il
risultato del comparto Prudente, + 2,96%, mentre il Garantito Tfr si è attestato su un +0,87%. «La strategia
del fondo è votata alla prudenza», ha commentato Stefan. «Ciò ci consente di offrire ai lavoratori risultati
solidi nel lungo periodo». Ma quali sono i dati della provincia scaligera? A Verona Solidarietà Veneto ha ampi
margini di crescita: attualmente gli iscritti sono il 4% del totale, cioè circa 1.900, +6,15% rispetto al 2012.
Oltre metà degli associati fa riferimento al settore metalmeccanico (56%): seguono alimentare (11%),
costruzioni (7%), grafico-cartario (5%), chimico e moda (2% ciascuno). L'età media degli iscritti nel Veronese
è poco inferiore ai 42 anni e con una netta prevalenza di uomini, 79%. Le aziende associate sono 333, il 6%
delle 5.740 totali. Alla presentazione dei dati hanno partecipato anche Alessandro Molinari, vicepresidente di
Solidarietà Veneto, che ha parlato dei nuovi investimenti del fondo; Marco Restani, responsabile dell'Ufficio
previdenziale di Confindustria; Massimo Castellani, segretario generale della Cisl e Mario Borin vicedirettore
di Apindustria Verona. «Le casse pubbliche sono in difficoltà e le prospettive future non sono rosee: la
previdenza complementare è importante perché va a integrare la pensione pubblica, che sarà sempre più
bassa, soprattutto per chi non ha la fortuna di avere un contratto a tempo indeterminato», ha dichiarato
Castellani. «È bene, però, pensarci fin da subito attraverso, ad esempio l'iscrizione dei figli come "familiari a
carico"». D'accordo anche Borin, che guarda sempre al futuro delle nuove generazioni. «Il valore della
previdenza integrativa è un valore aggiunto», ha rimarcato il vicedirettore di Apindustria Verona. «È positivo
che Solidarietà Veneto sia andata a incontrare proprio i giovani nelle scuole e nelle Università per
sensibilizzarli su questo importante tema».
CONFIMI - Rassegna Stampa 11/02/2014
10
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
PREVIDENZA. Iniziativa di Confindustria, Apindustria Confartigianato, Cna, Casartigiani, Federclaai[\FIRMA],
Cisl e Uil
CONFIMI WEB
4 articoli
10/02/2014
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Torino, 10 feb. (Labitalia) - Alessandro Frascarolo è stato riconfermato presidente del Collegio edile di Api
Torino per il periodo 2014-2018. L'indicazione è arrivata dal nuovo Consiglio direttivo della categoria di pmi
dell'edilizia eletto dall'Assemblea degli associati. Frascarolo - che è anche nella Giunta di presidenza
dell'Aniem (Associazione nazionale imprese edili manifatturiere), e vice presidente d Confimi Impresa, svolge
attività di imprenditore edile nel settore dell'edilizia privata.
"Le sfide da affrontare nel quadriennio - spiega Frascarolo -, saranno molto impegnative e decisive per tutta
la filiera rappresentata dal Collegio Edile. Il settore è pesantemente colpito dalla crisi economica e, più di altri,
stenta ad individuare segnali concreti di ripresa. L'impegno che è stato assunto è quello di tentare di ritrovare
la spinta propulsiva per avviare una nuova stagione di rinascita economica e di ripresa dell'occupazione".
Frascarolo ha quindi sottolineato che "l'edilizia dovrà riaffermare la propria centralità nell'economia italiana ed
il ruolo trainante che le compete, dovrà individuare nuove posizioni di mercato sviluppando le opportunità
derivanti dalla green economy e dalla sostenibilità ambientale, puntando sulla qualità e sulla riqualificazione
del patrimonio esistente, dovrà aprirsi alla collaborazione tra le imprese per potere risultare competitiva anche
all'estero dove il brand Italia è ancora un valore aggiunto su cui contare"."Occorre, pero' - ha concluso - che
ci sia una chiara azione politica di sostegno, una concreta riapertura del credito, una nuova sensibilità
sindacale e, infine, occorre che ci sia l'alleanza solidale con tutte le altre filiere economiche e professionali
italiane".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 11/02/2014
12
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Api Torino: Frascarolo confermato presidente collegio edile
10/02/2014
10:19
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Torino, 10 feb. - (Adnkronos) - Alessandro Frascarolo è stato riconfermato presidente del Collegio edile di Api
Torino per il periodo 2014-2018. L'indicazione è arrivata dal nuovo Consiglio direttivo della categoria di pmi
dell'edilizia eletto dall'Assemblea degli associati. Frascarolo - che è anche nella Giunta di presidenza
dell'Aniem (Associazione nazionale imprese edili manifatturiere), e vice presidente d Confimi Impresa, svolge
attività di imprenditore edile nel settore dell'edilizia privata. "Le sfide da affrontare nel quadriennio - spiega
Frascarolo -, saranno molto impegnative e decisive per tutta la filiera rappresentata dal Collegio Edile. Il
settore è pesantemente colpito dalla crisi economica e, più di altri, stenta ad individuare segnali concreti di
ripresa. L'impegno che è stato assunto è quello di tentare di ritrovare la spinta propulsiva per avviare una
nuova stagione di rinascita economica e di ripresa dell'occupazione". Frascarolo ha quindi sottolineato che
"l'edilizia dovrà riaffermare la propria centralità nell'economia italiana ed il ruolo trainante che le compete,
dovrà individuare nuove posizioni di mercato sviluppando le opportunità derivanti dalla green economy e dalla
sostenibilità ambientale, puntando sulla qualità e sulla riqualificazione del patrimonio esistente, dovrà aprirsi
alla collaborazione tra le imprese per potere risultare competitiva anche all'estero dove il brand Italia è ancora
un valore aggiunto su cui contare"."Occorre, pero' - ha concluso - che ci sia una chiara azione politica di
sostegno, una concreta riapertura del credito, una nuova sensibilità sindacale e, infine, occorre che ci sia
l'alleanza solidale con tutte le altre filiere economiche e professionali italiane".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 11/02/2014
13
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Edilizia: Api Torino, Frascarolo confermato presidente collegio edile
10/02/2014
09:59
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Torino, 10 feb. - (Adnkronos) - Alessandro Frascarolo è stato riconfermato presidente del Collegio edile di Api
Torino per il periodo 2014-2018. L'indicazione è arrivata dal nuovo Consiglio direttivo della categoria di pmi
dell'edilizia eletto dall'Assemblea degli associati. Frascarolo - che è anche nella Giunta di presidenza
dell'Aniem (Associazione nazionale imprese edili manifatturiere), e vice presidente d Confimi Impresa, svolge
attività di imprenditore edile nel settore dell'edilizia privata.
"Le sfide da affrontare nel quadriennio - spiega Frascarolo -, saranno molto impegnative e decisive per tutta
la filiera rappresentata dal Collegio Edile. Il settore è pesantemente colpito dalla crisi economica e, più di altri,
stenta ad individuare segnali concreti di ripresa. L'impegno che è stato assunto è quello di tentare di ritrovare
la spinta propulsiva per avviare una nuova stagione di rinascita economica e di ripresa dell'occupazione".
Frascarolo ha quindi sottolineato che "l'edilizia dovrà riaffermare la propria centralità nell'economia italiana ed
il ruolo trainante che le compete, dovrà individuare nuove posizioni di mercato sviluppando le opportunità
derivanti dalla green economy e dalla sostenibilità ambientale, puntando sulla qualità e sulla riqualificazione
del patrimonio esistente, dovrà aprirsi alla collaborazione tra le imprese per potere risultare competitiva anche
all'estero dove il brand Italia è ancora un valore aggiunto su cui contare"."Occorre, pero' - ha concluso - che
ci sia una chiara azione politica di sostegno, una concreta riapertura del credito, una nuova sensibilità
sindacale e, infine, occorre che ci sia l'alleanza solidale con tutte le altre filiere economiche e professionali
italiane".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 11/02/2014
14
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10/02/2014
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L'assessore Rometti: ' Il mix creatività e impresa è indispensabile; bisogna uscire dai canoni tradizionali'
Simona Trentini
Venerdi scorso, 7 febbraio, al numero 118 di Via della Scuola a Ponte San Giovanni, Confimi Impresa Umbria
ha inaugurato la sua nuova sede di rappresentanza. La presentazione dei nuovi locali è stata anche
occasione di un'altra inaugurazione: la mostra d'arte contemporanea "Over Communication"
dell'artista perugino Simone Chiorri e della giapponese Yuko Otake.
A fare gli onori di casa il presidente di Confimi Impresa Mario Brustenga, il nuovo direttore Sonia Gaudenzi (
che ricordiamo, da pochi mesi ha sostituito Guido Perosino divenuto presidente della quadrilatero MarcheUmbria S.p.a.) e l'assessore regionale Silvano Rometti. Presenti anche i due artisti Simone Chiorri e Yuko
Otake.
"Questa è la casa delle imprese" ha sottolineato Sonia Gaudenzi, volendo mettere in risalto che la causa del
trasferimento dal centro storico perugino è stata decisa soprattutto per essere più vicini alle imprese.
Nei nuovi locali di via della Scuola saranno sempre operative anche le due strutture che aderiscono a Confimi
Impresa Umbria: il consorzio di garanzia fidi, Apifidi centro Italia, e la società di formazione Apiform s.r.l.
Confimi, ospitando la mostra ad ingresso libero dei due artisti Chiorri e Otake, ha dimostrato ampia
disponibilità ad abbracciare un mondo profondamente diverso dal proprio, quello dell'arte. L'assessore
Silvano Rometti ha spiegato come il mix creatività e impresa sia fondamentale per non rimanere affossati nei
soliti canoni tradizionali. I quadri di Simone Chiorri e Yuko Otake, presentati da Claudia Bottini, uniscono due
grandi culture, quella occidentale e quella orientale. L'intento è comune: dare forza al concetto di
"comunicazione" attraverso immagini e colori. Al di la dello scritto e del verbalizzato, l'immagine comunica in
modo molto più profondo. Le loro opere hanno anche un altro fine in comune, quello della ricerca
dell'archetipo.
La mostra è patrocinata dalla Regione Umbria, dalla provincia di Perugia e Terni e dall'assessorato alla
cultura del Comune di Perugia.
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 11/02/2014
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CONFIMI IMPRESA INAUGURA LA NUOVA SEDE DI PONTE SAN
GIOVANNI AL VIA ANCHE LA MOSTRA D'ARTE ' OVER COMMUNICATION'
SCENARIO ECONOMIA
19 articoli
11/02/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 25
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Fiat rimborsa 5 miliardi al fondo Usa per Chrysler
Marchionne: con Veba nessun sospeso. Resta il nodo delle pensioni statunitensi
Massimo Gaggi
NEW YORK - Adesso Sergio Marchionne ha le mani libere. Deliberata l'acquisizione del 100% del capitale
Chrysler da parte di Fiat con la conseguente nascita di Fca (Fiat Chrysler Automobiles), restituiti al Tesoro fin
dal 2011 tutti i prestiti ottenuti dal governo federale due anni prima, ai tempo della bancarotta del gruppo di
Auburn Hills, ieri è andato a posto l'ultimo tassello del mosaico: la Chrysler ha comunicato di aver raccolto i
circa 5 miliardi di dollari necessari per rimborsare totalmente il debito verso Veba Trust, il fondo sanitario di
dipendenti e pensionati del gruppo americano.
A questo punto Fiat-Chrysler ha estinto tutti gli obblighi che aveva contratto ed è totalmente libera nello
sviluppo delle sue strategie industriali e finanziarie. È lo stesso amministratore delegato Marchionne a voler
esprimere la soddisfazione del gruppo per questo risultato: «L'operazione porta a compimento prima del
previsto il percorso che ha condotto i governi statunitense e canadese, la Uaw (il sindacato dell'auto, ndr ) e
la Veba, insieme a Fiat, ad assumersi il compito di far sì che Chrysler tornasse ad essere un'azienda vitale.
Fiat e Chrysler hanno soddisfatto insieme tutti gli impegni finanziari assunti per Chrysler nel 2009. Nessuno
rimane in sospeso. È il risultato di 5 anni di duro lavoro delle persone di Chrysler. Tutto ciò pone le basi per
una nuova fase di rafforzamento della nostra presenza a livello globale».
Via libera, dunque, alla definizione del piano del nuovo gruppo Fca che verrà presentato a maggio. Altro duro
lavoro: adesso Fiat-Chrysler opera con le mani libere, ma sempre con le maniche rimboccate. Nonostante
l'annuncio di un'operazione indubbiamente positiva che, tra l'altro, farà risparmiare a Fca 134 milioni di dollari
di interessi l'anno, ieri in Borsa il titolo Fiat ha perso terreno, chiudendo a -0,82%. Quella di fare di due
aziende che pochi anni fa erano sull'orlo della dissoluzione un gruppo solido capace di tenere testa nei
decenni a venire ai maggiori gruppi mondiali dell'auto rimane una sfida difficile, come alcuni organi di stampa
anglosassoni continuano a sottolineare, pur riconoscendo gli enormi progressi fatti dalle due aziende e i
successi colti da Marchionne.
Alle analisi in chiaroscuro del Financial Times e del Wall Street Journal , nei giorni scorsi si è aggiunta quella
del columnist di Fortune e del Washington Post Allan Sloan, secondo il quale non è stata posta sufficiente
attenzione su un fatto: con l'acquisizione del 100% di Chrysler, Fiat si è assunta anche la responsabilità del
fondo pensioni dei dipendenti del gruppo americano che attualmente è sottofinanziato per 5,5 miliardi di
dollari: meno dei 9,8 di un anno fa, ma più dei 4,9 pagati da Fiat per Chrysler. Qualora le cose dovessero
prendere una piega molto negativa e il fondo dovesse andare in default, dice Sloan, Fiat sarebbe
responsabile coi suoi asset per quel debito previdenziale.
Una fonte del Lingotto si è limitata a replicare che queste obbligazioni previdenziali sono state inserite nel
bilancio Fiat fin dal 2011. Rischi, insomma, ce ne sono sempre. Né potrebbe essere altrimenti: nel sistema
americano le grandi aziende rispondono del loro fondo previdenziale, se ne hanno uno. Ma i mercati, davanti
a un'azienda che continua a crescere e che negli ultimi mesi ha ulteriormente migliorato la sua posizione sul
mercato Usa, non sembrano particolarmente preoccupati. Questo sembra suggerire, almeno, la facilità con la
quale Chrysler è riuscita a reperire i 5 miliardi necessari per l'operazione di ieri: un'emissione obbligazionaria
garantita di 3 miliardi di dollari e prestiti garantiti per altri due. Il gruppo si è visto offrire da una molteplicità di
banche e operatori risorse in eccesso ai 5 miliardi di dollari (circa 4 miliardi di euro) necessari. Una situazione
ben diversa da quella del 2011 quando Chrysler riuscì, ma con molta più fatica, a ottenere i fondi necessari
per rimborsare i prestiti del Tesoro .
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Strategie Con l'estinzione del bond attesi risparmi sugli interessi per 134 milioni di dollari l'anno fino al 2016
11/02/2014
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Foto: Fca Sergio Marchionne al vertice di Fiat Chrysler
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Province, tasse locali giù con 1 miliardo di risparmi
Abolizione, spunta un emendamento al ddl: risorse vincolate a meno imposte e investimenti Stipendi Tra le
spese circa 160 milioni all'anno vengono impiegati per gli stipendi
Lorenzo Salvia
ROMA - I numeri non sono ancora chiari, il messaggio invece sì. Usare i risparmi che arriveranno dal taglio
delle province per frenare quella stangata occulta che tra addizionali, Imu e via tassando va sotto il nome di
imposte locali. Non una promessa generica ma un obbligo da fissare nel disegno di legge che riduce i poteri
delle province e le trasforma in assemblee di sindaci, sempre in attesa della loro cancellazione dalla Carta
costituzionale. Il cosiddetto ddl svuota province è al Senato, in commissione Affari costituzionali. E la norma
anti stangata fa parte del pacchetto di emendamenti presentato dal relatore, il deputato pd Luciano Pizzetti, e
concordato con il governo che sarà messo ai voti nei prossimi giorni.
«Nel bilancio di ciascuna città metropolitana e di ciascuna provincia - dice il testo - è istituito un capitolo su
cui confluiscono i risparmi conseguiti in attuazione» della riforma. «Tali risorse possono essere utilizzate
unicamente per la riduzione dei tribuiti locali e per investimenti». Di quanti soldi parliamo? L'equazione non è
facile da risolvere. Dentro la grande x ci sono di sicuro quei 160 milioni di euro che spendiamo ogni anno per
gli stipendi di consiglieri e assessori. Sui risparmi indiretti, invece, la dottrina è divisa in materia. Il ministro per
gli Affari regionali Graziano Delrio parla di un miliardo di euro, l'Istituto Bruno Leoni del doppio. Mentre per
l'Unione delle province i costi in realtà aumenterebbero. In ogni caso la stangata occulta e locale viaggia su
altri ordini di grandezza: 108 miliardi, una cifra più che raddoppiata negli ultimi 15 anni. L'impresa è ardua,
quindi, ma almeno si prova ad invertire la rotta. E non c'è solo questo nel pacchetto del relatore.
Si fa marcia indietro sulle città metropolitane, che nell'esame parlamentare erano praticamente raddoppiate.
Si torna alle originarie 10, compresa Reggio Calabria che partirà solo nel 2016. Via Brescia, Bergamo,
Salerno, via anche le tre venete frutto di fusioni incrociate, come quella fra Treviso e Padova. «L'intenzione dice il relatore Pizzetti - è evitare che venga snaturata una riforma che vuole semplificare». Con lo stesso
obiettivo vengono eliminate le cosiddette province ciambella. Già il nome dice tutto ma per capire bisogna
leggere un passaggio del vecchio testo arrivato dalla Camera: nelle province che diventano città
metropolitane, se un terzo dei comuni non vuole aderire può uscire e creare una nuova provincia. Stesso
discorso per gli enti territoriali dello Stato, dalle prefetture ai provveditorati: ci saranno sei mesi di tempo per
presentare un piano di riordino da sottoporre al commissario per la spending review, Carlo Cottarelli. Città
metropolitane, province ciambella ed enti territoriali: tre modifiche accennate dal presidente di Confindustria
Giorgio Squinzi la settimana scorsa, proprio nel giorno in cui dava l'ultimatum ad Enrico Letta e stringeva la
mano a Matteo Renzi. Tre modifiche sono come tre indizi, fanno una prova. E la riforma delle province sarà
un piccolo test per i nuovi equilibri politici che potrebbero arrivare nelle prossime settimane. Resta però da
vedere se si farà in tempo a far passare tutte queste modifiche. Gli emendamenti depositati in commissione
sono quasi 3 mila, 2.200 solo di Forza Italia, non a caso è stato proprio Matteo Renzi a parlare di
«ostruzionismo assurdo». E se il ddl non viene approvato entro febbraio c'è il rischio che a primavera 52
province vadano al voto, affossando per sempre la riforma. In teoria il voto è stato congelato con la legge di
Stabilità, ma quella norma non viene considerata a prova di bomba. Ancora una volta, quindi, si corre con il
fiatone.
Eppure nella furia della riorganizzazione c'è anche una modifica del relatore in apparente controtendenza. Il
sindaco della città metropolitana e il presidente della nuova provincia, scelto fra i sindaci del territorio, non
saranno necessariamente a costo zero come previsto finora. Gli statuti potranno prevedere per loro
un'indennità. No, non è il ritorno della casta. Ma la semplice costatazione che, senza un minimo di stipendio,
una grana del genere non se la prenderebbe nessuno.
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Il caso Marcia indietro sulle città metropolitane che nell'esame parlamentare erano raddoppiate: si torna alle
originali dieci
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La mappa Province commissariate nel 2014 LEGENDA Province commissariate dal 2012 Province
commissariate dal 2013 Le città metropolitane Pescara Massa Carrara Varese Siena Verona Reggio Calabria
Como Bergamo Padova Parma Piacenza Reggio Emilia Lecco Brescia Novara Cremona Monza Brianza
Milano Venezia Torino Sondrio Arezzo Firenze Perugia Bologna Modena Forlì-Cesena Rimini Pesaro-Urbino
Ferrara Rovigo Barletta Andria Trani Lecce Matera Cosenza Crotone Ascoli Piceno Grosseto Terni Teramo
Livorno Pisa Pistoia Prato Latina Napoli Salerno Potenza Isernia Fermo Chieti Bari Alessandria Verbano
Cusio Ossola Cuneo Savona Ancona Brindisi Asti Vicenza Genova Roma Vibo Valentia La Spezia Biella
Belluno Avellino Catanzaro Taranto Benevento Frosinone Rieti Foggia PROVINCE Diventano enti di secondo
livello con funzioni ridotte: per presidenti e consiglieri non è prevista l'elezione diretta Saranno gestite
direttamente dai sindaci del territorio, riuniti in assemblea, che lavoreranno a titolo gratuito. Il presidente è
nominato dall'assemblea dei primi cittadini In attesa del disegno costituzionale di abolizione, le Province
saranno commissariate. Nascono le città metropolitane In sospeso: il capoluogo è ora commissariato C.D.S. D'ARCO
11/02/2014
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Quel piano segreto di Passera per l'economia
Un documento di 196 pagine per il «rilancio»
ALAN FRIEDMAN
N el mezzo della tempesta economica e della crisi dell'euro dell'estate del 2011, mentre il capo dello Stato
stava mettendo in stand-by Mario Monti per un eventuale incarico alla presidenza del Consiglio, l'allora
amministratore delegato di Banca Intesa, Corrado Passera, stava stilando un documento segreto di 196
pagine per Giorgio Napolitano.
Sono giorni terribili. Lo spread tra titoli di Stato italiani e quelli tedeschi passa dal primo giugno al 2 luglio da
173 punti a 301. Il 5 agosto arriverà la celebre lettera della Banca centrale europea che chiede esplicitamente
interventi per stabilizzare finanziariamente il Paese. Il 20 settembre ecco il declassamento di Standard &
Poor's.
In quegli stessi mesi Passera propone a Napolitano un piano per il rilancio dell'economia, che comprende
«un vero shock strutturale positivo», intitolandolo: «Un Grande Piano di Rilancio».
Monti, nella sua video intervista per il libro Ammazziamo il Gattopardo , ha confermato che conosceva bene il
documento del banchiere e che «una volta con il presidente Napolitano mi è capitato, tra lui e me, di fare
riferimento a questo lavoro di Passera».
Nella prima bozza di agosto, come nella quarta versione di novembre in nostro possesso, saltano fuori
svariati obiettivi, compreso quello di raggiungere una crescita di almeno il 2% all'anno nel medio periodo;
portare i conti pubblici in pareggio già entro il 2012 e riportare il debito pubblico intorno al 100% del Prodotto
interno lordo (Pil) entro tre anni.
C'era, sempre nella quarta bozza, la reintroduzione dell'Ici sulla prima casa, l'aumento dell'Iva a 23% entro
settembre 2012, e un piano per abbattere il debito anche grazie alla presunta raccolta di 85 miliardi di euro
con una tassa patrimoniale del 2% su tutta la ricchezza immobiliare esclusa la prima casa, i depositi bancari
e i titoli di Stato.
La recessione ha fatto sì che nel 2012 il Pil si sia contratto del 2,4%. Il rapporto deficit-Pil invece di essere in
pareggio è arrivato, sempre nel 2012, al 3%. Il debito-Pil è salito invece a fine 2012 a 127% (oggi è al 133%).
L'Imu sulla prima casa è stata introdotta nel dicembre 2011. L'Iva è stata aumentata da 20 a 21% nel
dicembre 2011, mentre oggi è al 22%. Il piano della patrimoniale non è stato mai adottato.
Viene fuori dal documento un senso di grande fretta, comprensibile dal punto di vista di chi lo scriveva, salvo
il fatto che c'era ancora in sella un governo, anche se con una maggioranza litigiosa e rancorosa.
«Nelle ultime settimane si è perso un grande patrimonio di credibilità che occorre ricostruire al più presto», si
legge nel documento. «Per rimettere in carreggiata l'Italia serve un Grande Piano di Rilancio per la crescita e
la riduzione del debito con un'ampiezza circa dieci volte maggiore di quella recentemente introdotta e con
molta maggiore enfasi sulla crescita sostenibile. Non proporla agli italiani, adesso e con sincerità, costruendo
il vasto consenso necessario attraverso la condivisione di benefici e sacrifici, potrebbe, in tempi brevissimi,
mettere a serio rischio la nostra economia, e forse, la nostra stessa democrazia».
Bisognerà aspettare qualche mese perché Passera venga poi incaricato nel governo Monti di guidare il
ministero dello Sviluppo economico. Ma in quell'estate si stava già lavorando per quanto sarebbe accaduto il
12 novembre del 2011.
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Leggi l'intero documento che Corrado Passera ha inviato nel 2011 a Giorgio
Napolitano su www.corriere.it
Foto: Il frontespizio e l'ultima pagina della quarta bozza (la prima è di agosto) del documento che Passera
propose a Napolitano nel novembre 2011
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La rivelazione Lo scrisse per il presidente della Repubblica mesi prima della nascita del governo Monti
11/02/2014
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«Dumping dei salari? Colpa degli industriali non dei lavoratori»
Paghe ridicole «Anche molti italiani hanno delocalizzato qui da noi e offrono paghe ridicole»
C.Del.
LUGANO - La famiglia viene dal Salento ma lei, Ada Marra, è nata a Losanna 41 anni fa e oggi è talmente
svizzera da sedere in Parlamento a Berna per il partito socialista. E pronuncia parole spiazzanti. «Il
referendum? Ha vinto chi ritiene che i problemi di questo Paese derivino dagli immigrati ma non è così, le
quote non sono la soluzione. Non tarderemo ad accorgercene». Poche sono state in Svizzera le voci
d'accordo con lei. Proviamo ad analizzare il responso delle urne partendo da un quesito: la caduta dei salari
provocata dall'immigrazione è reale o no, specie in Ticino? «Lo è senz'altro. Ci sono datori che offrono paghe
mensili di 1.500 franchi, una miseria. Sono svizzeri ma anche italiani che hanno delocalizzato le aziende. E
allora il problema sono gli immigrati o gli imprenditori che sfruttano il dumping salariale?» .
I sindacati propongono in alternativa un salario minimo di 4 mila franchi: è praticabile ?
«A maggio torneremo a votare proprio sul salario minimo. Sarà interessante vedere la risposta degli elettori».
Ma questo non spiega ancora la vittoria del sì...
«Determinante è stato il voto di cantoni interni molto tradizionalisti ma che di stranieri ne vedono ben pochi.
Invece in zone dove il fenomeno è massiccio, come a Ginevra o Basilea, i contrari sono stati la maggioranza.
Certo consapevoli che senza gli stranieri l'economia non regge» .
Allora come mai in Ticino i sì sono stati il 68%?
«È probabile che in Ticino la paura giochi un peso maggiore: se la crisi investe persino regioni forti come
Piemonte e Lombardia i timori crescono. Ma se il Ticino vuole tutelarsi può prendere contromisure impedendo
lo sfruttamento dei lavoratori» .
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INTERVISTA La deputata Ada Marra
11/02/2014
Il Sole 24 Ore
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Il Tesoro: sì alla bad bank ma senza fondi pubblici
Isabella Bufacchi
Isabella Bufacchi u pagina 24
ROMA
Il premier Enrico Letta «non ha mai espresso contrarietà all'ipotesi di una bad bank», hanno puntualizzato
ieri mattina fonti della Presidenza del Consiglio in risposta a un articolo del Financial Times che ritraeva un
Esecutivo contrario a questa eventualità per timore delle ricadute negative sul rating sovrano. Nel pomeriggio,
il ministero dell'Economia di Fabrizio Saccomanni ha precisato di non ritenere «necessario l'impiego di risorse
pubbliche nazionali o comunitarie», pur valutando positivamente «tutte le iniziative che gli operatori del
credito e della finanza stanno mettendo in campo per alleggerire il proprio patrimonio dai prestiti deteriorati,
liberando capitale da impiegare a sostegno di imprese e consumi».
Il doppio intervento, prima di Palazzo Chigi e poi del Mef, ha un doppio obiettivo. Letta lascia aperta la porta
alla vasta gamma di interventi possibili per risolvere strutturalmente il problema delle sofferenze che gravano
sui bilanci delle banche italiane, compresa la bad bank centralizzata con fondi statali; Saccomanni frena le
aspettative dei mercati partiti a razzo sulla creazione in Italia di un istituto sullo stile dell'irlandese NAMA e
della spagnola Sareb. La Banca d'Italia, secondo fonti bene informate, non punta sulla bad bank centralizzata
ma piuttosto sulle cartolarizzazioni come strumento per liberare i bilanci dai crediti in sofferenza.
Il tema delle sofferenze è incandescente e l'Italia non può permettersi improvvisazioni o passi falsi: la
gestione della vicenda del Montepaschi, con stop-and-go che hanno frastornato gli addetti ai lavori, ha
danneggiato l'immagine e la reputazione dell'Italia. Solo lo scorso dicembre l'Fmi aveva promosso le banche
italiane, «in grado di assorbire il costesto attuale di debolezza economica e uno scenario di protratta crescita
a rilento»: a differenza di quelle irlandesi e spagnole, non sono state travolte dalle bolle speculative
immobiliari e l'Italia, a differenza di Irlanda e Spagna, non ha chiesto aiuti esterni (Efsf-Esm) per
ricapitalizzare il sistema bancario. Sulle banche italiane, tuttavia, ora sono accesi i riflettori dei mercati per
colpa delle dimensioni delle sofferenze e della mancanza di soluzioni in alternativa agli aumenti di capitale.
Alberto Gallo, strategist per il fixed income di RBS, sostiene che l'Italia deve fare molto di più: l'operazione
annunciata da IntesaSan Paolo e la possibilità che UniCredit e Mediobanca si muovano in questa direzione
secondo Gallo «sono positive ma non bastano a rafforzare l'intero sistema perchè le banche italiane di media
e piccola dimensione rappresentano il 70% dei prestiti bancari e sono sottocapitalizzate, hanno una bassa
redditività e le loro sofferenze continuano ad aumentare».
L'impatto sul rating sovrano di una bad bank finanziata con risorse pubbliche resta un punto interrogativo. Il
diavolo, come al solito, sta nei dettagli, come affermano Giacomo Barisone, analista per il rating sovrano
italiano di DBRS, e Peter Burbank, analista per il rating delle banche italiane di DBRS: «Se l'Italia dovesse
creare una bad bank di sistema, molti aspetti dovranno essere chiariti. Viste le dimensioni del problema e il
numero d'istituzioni bancarie, è fondamentale che qualsiasi iniziativa di questo tipo venga condotta con la
dovuta pianificazione, nella massima trasparenza rispetto al tipo di asset coinvolti, il suo inquadramento
giuridico, la sua struttura definitiva. Può avere un impatto positivo sul rischio-Paese perchè rafforzerebbe il
sistema bancario favorendo una migliore trasmissione del credito all'economia reale, ma tutto dipende da
come viene fatta». DBRS analizzerà il rating dell'Italia come programmato in calendario l'11 aprile. «Terremo
conto di vari fattori, tra i quali la solidità del sistema bancario, l'evoluzione dello scenario macroeconomico e
l'attuale quadro politico che rende difficile l'implementazione del programma di riforme».
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Foto: Presa di posizione sulla bad bank. La sede del Ministero dell'Economia
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CREDITO
11/02/2014
Il Sole 24 Ore
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Meno tasse in Italia e più Europa
Alberto Quadrio Curzio
Sulla situazione europea ed italiana si sono di recente espressi, con diverse ma complementari visioni,
Giorgio Napolitano e Ignazio Visco. Vediamo tre temi economici da loro trattati (rinviando quelli istituzionali
europei esaminati dal presidente Napolitano)dai quali discendono anche messaggi al governo europeo ed a
quello italiano. Partiamo da una costatazione.
La crisi non è superata. Che questa sia la situazione italiana risulta dai recenti dati sull'industria e sulle
sofferenze bancarie.
La produzione industriale, nell'aggiornamento Istat a dicembre 2013, è scesa su base annuale del 3% dopo
un calo del 6,4% del 2012. Neppure i dati mensili segnano una netta inversione perché la variazione
congiunturale di dicembre è negativa dopo tre mesi di (modesti) incrementi consecutivi. Le variazioni
tendenziali sono invece tutte negative salvo quella di novembre. Un po' meglio va la manifattura con dei
tendenziali di dicembre positivi per sei comparti ma con un calo su base annuale del 2,8%. Tutto ciò non
contribuisce, ovviamente, a fermare l'erosione dalla base industriale malgrado un gruppo di imprese
manifatturiere esportatrici forti.
Le sofferenze bancarie - in base ai dati di Bankitalia - si sono accentuate a dicembre 2013 su dicembre 2012
con un incremento del 28% che è di gran lunga superiore al 17,9% di dicembre 2012 sul 2011. Questa
impennata può essere in parte dovuta alla Asset Quality Review della Bce che impone alle banche massima
prudenza e rigore. I crediti concessi ai settori produttivi sono calati del 5,5% sulla chiusura del 2012 anche se
i dati mensili rivelano una attenuazione nella decrescita dei prestiti. È un dato da non sottovalutare su cui
Banca d'Italia intravede una svolta a questa lunga recessione.
Riforme e crescita. Per avere una visione più ampia consideriamo quanto ha detto il governatore della Banca
d'Italia Visco rivolgendosi agli operatori bancari e finanziari. I dati che egli ha fornito dimostrano la gravità
della nostra crisi non solo perché cresciamo meno della Uem ma perché abbiamo un tasso di disoccupazione
al massimo dagli anni '50 e raddoppiato rispetto agli anni pre-crisi, una disoccupazione giovanile
insostenibile, un calo negli ultimi tre anni degli investimenti per occupato di quasi il 9% a fronte di un aumento
del 2% in Francia e dell'8% in Germania, un divario crescente tra la nostra produttività e quella degli altri due
grandi Paesi della Uem.
Isegnali di ripresa sono deboli e perciò la nostra crescita non andrà sopra lo 0,75% nel 2014.Quanto al
nostro debito pubblico(che su base annuale va rifinanziato per 400 miliardi)è noto il miglioramento per tassi,
spread e per il ritorno degli investitori esteri ma - rileva Visco - deve essere sotto fermo controllo sia con il
rispetto dei vincoli europei di bilancio (che consentiranno anche più flessibilità per finanziare investimenti
pubblici) sia spingendo la crescita economica.
A questo fine - conclude Visco - sono urgenti la riduzione del carico fiscale sui fattori della produzione con
tagli selettivi di spesa per eliminare gli sprechi e con interventi volti a rendere più efficiente l'amministrazione
pubblica. A noi pare che questa sia una richiesta ormai generalizzata che non ha ancora trovato una risposta
adeguata da questo governo come dai precedenti.
Banche e imprese. Venendo alle imprese e alle banche dalle quali siamo partiti,Visco è chiaro
nell'argomentare che sono necessarie ulteriori riforme anche se non si negano dei miglioramenti.Per le
banche le condizioni di liquidità sono migliorate,si è ridotto il rifinanziamento presso la Bce verso la quale
sono anche ben avviati i rimborsi dei prestiti a tre anni, è continuato l'ammortamento dei crediti deteriorati pur
con forti penalizzazioni sul rendimento del capitale.Incombono però gli stress test della Bce, gli ulteriori
necessari aumenti di capitale, la necessità di un miglioramento nella governance. Nei rapporti con le imprese
bisogna migliorare la valutazione nel merito di credito perché le aziende faticano ancora ad ottenere credito e
lo pagano molto più della media europea. È chiaro che pesano sulle banche i crediti deteriorati (saliti dal 2008
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LA QUESTIONE INDUSTRIALE
11/02/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
dal 3% al 13%) perché le imprese si sono indebolite nella crisi e questo potrebbe richiede uno sviluppo di
operatori specializzati che i più hanno interpretato come il possibile varo di una " bad bank". Per le imprese
Visco evidenzia la forte e crescente competitività del segmento che esporta e che è un modello di dimensione
ed innovazione verso il quale devono crescere le Pmi anche reperendo sul mercato nuovi e maggiori capitali
di rischio con l'assistenza delle banche che svolgerebbero così un ruolo più pro-attivo.
La situazione europea. L'analisi sull'Italia non può prescindere da quella sull'Europa per la quale riprendiamo
l'ufficialità dell'intervento del Presidente Napolitano al Parlamento europea. Egli rileva che le politiche fiscali e
di bilancio rigorose erano necessarie contro la crisi dei debiti sovrani di vari Paesi e per salvare l'euro ma non
erano e non sono sufficienti. Infatti, il rischio di un circolo vizioso tra rigore e recessione, che può diventare
deflazione, esiste e per superarlo bisogna rilanciare la crescita e l'occupazione. Perciò alle riforme strutturali
nei singoli paesi vanno affiancate misure forti per il rilancio degli investimenti privati e pubblici su progetti
nazionali ed europei. Perciò - continua il Presidente - è necessario un saggio dosaggio «al di là del
riferimento a parametri rigidamente intesi» tra la situazione debitoria di ciascun Paese e i tempi-modi per il
riequilibrio finanziario.
In conclusione. Urge rilanciare la crescita europea e ciò richiede più risorse Ue per investimenti e maggiore
flessibilità ,pur nel rigore,sui vincoli di bilancio nazionali. Molto dipenderà dalle (rinnovate) Istituzioni europee.
La crescita italiana è ancora più urgente con riallocazione di risorse pubbliche a sgravi fiscali sui fattori di
produzione e per spingere banche ed imprese, che devono fare la loro parte, ad aggregazioni, produttività,
innovazione, competitività. Molto dipenderà dal Governo.
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11/02/2014
Il Sole 24 Ore
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Le imprese hanno ragione, dobbiamo intervenire subito
Carlo Calenda
Gentile Direttore,
nei giorni scorsi si sono moltiplicati i segnali di forte disagio da parte del mondo produttivo. Chiunque va sul
territorio sa che il malessere è molto più profondo degli echi che arrivano a Roma. Credo che il Governo
debba innanzitutto riconoscere apertamente che questo malessere è perfettamente giustificato. Negli ultimi
venti anni l'impresa è stata sistematicamente trascurata e i tantissimi deficit di sistema (burocrazia, energia,
fisco eccetera) sono diventati pesi insostenibili.
Viceministro dello Sviluppo economico
N essun Paese quanto il nostro si è dato da fare per distruggere il proprio principale asset economico. Viene
rimproverato al nostro Governo di non aver agito con determinazione per cambiare questa situazione.
Potremmo scegliere di rispondere elencando le misure adottate, sottolineando la difficoltà della situazione di
finanza pubblica ereditata o il quadro politico eccezionale in cui ancora operiamo. Per carità, sono tutte cose
vere, ma in questo modo non faremmo che ripetere la stessa litania di ogni esecutivo che ci ha preceduto. Se
le imprese sono scontente del nostro lavoro dobbiamo prenderne atto e predisporre immediatamente, con
loro, una strategia alternativa più incisiva.
Vorrei partire spiegando perché ritengo che investire ogni euro disponibile sull'industria è un buon affare per
il Paese e non solo per le imprese. C'è oggi una straordinaria opportunità che l'Italia può cogliere e che deriva
da una nuova fase della globalizzazione, caratterizzata da tre fattori: l'accelerazione degli accordi di libero
scambio, che miglioreranno la possibilità di accesso ai mercati per le nostre Pmi; il riallineamento dei costi di
produzione tra economie emergenti e mature, che apre nuove opportunità per trattenere e valorizzare il
manifatturiero nei Paesi occidentali; il numero di consumatori potenziali del nostro sistema Paese (prodotti,
paesaggio, cultura e stile di vita) che aumenta anno dopo anno in maniera esponenziale.
Se non fossimo perennemente rinchiusi in un dibattito nazionale asfittico, ci accorgeremmo che non solo non
siamo condannati al declino, ma che abbiamo la concreta possibilità di aprire una nuova e duratura fase di
crescita e di benessere. Una parte del sistema imprenditoriale è già nelle condizioni di poter approfittare di
questa situazione. Per questo il nostro export cresce negli ultimi anni più di quello francese e non di rado
anche di quello tedesco (anche se per ottenere questo risultato molte imprese italiane hanno dovuto contrarre
i propri margini). Per questo gli investitori internazionali stanno riportando l'Italia al centro delle loro strategie.
Ci sono però ostacoli che rischiano di vanificare queste opportunità: 1) una parte molto rilevante di Pmi
italiane è esclusa da questo processo di internazionalizzazione, soprattutto a causa dei deficit di sistema che
ne frenano la crescita; 2) la domanda internazionale non può sostituire completamente un mercato interno
che continua ad essere fermo. Se non interverremo su questi due freni non ci sarà alcuna svolta nel 2014, nel
2015 o nel 2016. E su questo occorre essere chiari: che la crescita sia dello 0,5 o dell'1 per cento non cambia
di una virgola la lunga lista di guasti ventennali che dobbiamo comunque riparare. Il dibattito "ripresina verso
ripresona" è tanto inutile quanto stucchevole.
Non esistono ricette facili e univoche per migliorare la competitività di un sistema economico. Ci sono però
alcune cose che dagli errori del passato possiamo imparare. In primo luogo il rischio che iniziative dirigiste di
politica industriale si traducano in fondi non spesi e in norme barocche. È passata quasi sotto silenzio la
notizia che del piano "Industria 2015", lanciato nel 2006, è stato speso circa il 3%. Un disastro da non
replicare. Questo approccio, ancora molto in voga presso alcune alte burocrazie ministeriali, dovrebbe
cambiare immediatamente, aprendo un confronto trasparente con il mondo delle imprese su come e dove
spendere le risorse che oggi languono nei ministeri (e non sono poche), disperse in mille capitoli.
Se le aziende ritengono prioritario, ad esempio, cancellare tutti gli incentivi, a fronte di una diminuzione
generalizzata del carico fiscale, si deve procedere in questa direzione senza indugio. Se, al contrario, si
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MALESSERE GIUSTIFICATO / LA LETTERA DEL VICEMINISTRO
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ritiene che interventi mirati (sul modello della Sabatini bis e del bonus per le ristrutturazioni) possano avere
maggiori effetti, in particolare sulla domanda interna, occorre prendere un impegno pubblico preciso sui tempi
e sulle modalità di erogazione. È davvero tempo che nei vari dicasteri la responsabilità dei ministri sulla
gestione diventi molto più centrale.
È impossibile correggere vent'anni di errori in pochi mesi, possiamo però impegnarci a fare subito due cose
in fondamentale discontinuità con il passato: coinvolgere sempre le imprese nelle decisioni che riguardano la
politica economica del Paese e destinare ogni euro disponibile alla competitività del sistema produttivo, per
poter cogliere le opportunità che il dividendo della globalizzazione può portare a tutti gli italiani.
Viceministro dello Sviluppo economico
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11/02/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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La campana svizzera suona per l'Europa
Adriana Cerretelli
La Svizzera non è nuova alle crisi di nervi xenofobiche e nemmeno ai sentimenti isolazionisti e anti-europei.
Sul filo di una preoccupazione quasi ossessiva: la difesa dell'identità nazionale e di un florido modello di
sviluppo da parte di un popolo di 8 milioni di persone, circondate da oltre 500 milioni di "diversi", non importa
se nella specie altrettanto europei. Ventidue anni fa, in piena febbre da mercato unico, il no all'adesione allo
Spazio economico europeo era stato clamoroso almeno quanto l'attuale sì al ripristino delle quote
all'immigrazione. Due voti anti-storici.
Tanto è vero che nel primo caso il governo di Berna si precipitò a intavolare faticosi negoziati bilaterali per
non auto-escludere il Paese dalle enormi promesse economiche dell'integrazione economica europea, visto
che l'Ue era e resta il principale mercato di sbocco dei prodotti elvetici. Tanto è vero che anche questa volta è
virtualmente certo che sarà ricalcato un copione analogo. Per evitare che, insieme agli accordi di Schengen
per la libera circolazione delle persone tra Unione e Svizzera, in vigore dal 2002, non finisca per saltare
anche tutta la rete di accordi bilaterali che consentono alle grande multinazionali come alle banche elvetiche
di beneficiare del mercato unico europeo, pur non facendo parte dell'Unione.
Di sicuro l'Europa, da Bruxelles a Berlino, da Roma a Parigi, non ha preso bene la levata di scudi
referendaria. Che per la verità non è affatto piaciuta al governo di Berna, dichiaratamente contrario, e
tantomeno ai settori economici del Paese che temono «l'incertezza tossica» creata dal voto: i contraccolpi
sugli investimenti, il deterioramento dei rapporti con l'Ue e la semi-chiusura dei rubinetti di un'immigrazione
Ue che alimenta il 20% della manodopera, il 25% nel settore bancario, il 45% in quello chimico. Per il 69%
lavoratori altamente qualificati (contro una media Ue del 35%), italiani e tedeschi le nazionalità straniere più
numerose.
Come sostituirli? Volente o nolente, nonostante tutti i distinguo e prese di distanze, anche gli interessi
svizzeri sono finiti nella rete delle interdipendenze europee, che poi sono l'anticamera di quelle globali.
Difficile districarsi da quel groviglio, impossibile a breve trovare alternative altrettanto promettenti. In poche
parole Berna è condannata a trovare un accordo con l'Europa per ridurre al minimo i danni di un voto che non
può essere ignorato ma di sicuro annacquato per renderlo alla fine quasi inoffensivo per il sistema nazionale.
Se il danno potenziale dell'arroccamento è evidente per la Svizzera, quello collaterale per l'Europa è forse
meno scoperto ma almeno altrettanto insidioso. A quattro mesi dalle elezioni europee, la vittoria degli antieuropeisti e xenofobi della Confederazione rappresenta un tonico inatteso e per questo ancora più gradito per
le file dei partiti nazionalisti e euroscettici che già minacciavano, stando ai sondaggi, di sedere su un quinto
dei seggi del prossimo Europarlamento. Come dire che la Svizzera non è poi quel Paese a parte che può
sembrare a prima vista.
Recessione economica, disoccupazione record, rigore esagerato, democrazie umiliate dalle tecnocrazie,
paura di ogni tipo di globalizzazione, sfiducie diffuse sono gli ingredienti di malessere e frustrazioni che presto
potrebbero far scoprire all'Europa di avere in casa tante altre "Svizzere" da condannare, cresciute tra le
proprie mura. Nel colpevole disinteresse dei governi e dei partiti tradizionali che li sostengono. Non a caso di
limitare l'immigrazione europea si parla anche in Gran Bretagna, in Germania, Austria e Svezia.
Sarebbe una sciagura per l'Europa che sta lentamente uscendo dalla crisi dell'euro e ritrovando la ripresa,
sia pure fragile e incerta. Per questo, forse più che per gli svizzeri che ne conoscono bene i rintocchi, questa
volta il campanello di Berna suona per l'Europa. Finora troppo sorda per sentirlo.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/02/2014
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TRA POPULISMO E REALPOLITIK
11/02/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 20
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ArcelorMittal interessato a rilevare l'Ilva
Aziende russe, cinesi, gli italiani Marcegaglia e Arvedi restano alla finestra
MARIO DILIBERTO
TARANTO - La multinazionale franco-indiana ArcelorMittal mette gli occhi sull'Ilva di Taranto. La grande
acciaieria pugliese, commissariata dopo gli sviluppi della clamorosa inchiesta per disastro ambientale,
sembra aver attirato le mire del gruppo internazionale. Un sondaggio sulla possibilità di subentrare alla
famiglia Riva sarebbe stato affidato ad alcuni mediatori. Impossibile al momento valutare lo stato della
trattativa. Ma già un anno fa, prima ancora della nomina del commissario Enrico Bondi, la ArcelorMittal
avrebbe contattato i Riva. L'abboccamento all'epoca sarebbe stato rifiutato.
Oggi il quadro, però, è cambiato. Voci d'interessamento hanno coinvolto anche altre società: gruppi cinesi e
russi, ma anche le italiane Marcegaglia e Arvedi. Anche se finora nessuno è sceso in campo ufficialmente,
quella di ArcelorMittal sembra essere la manifestazione d'interesse più concreta e soprattutto i Riva sembrato
intenzionati a prenderla in considerazione.
Il gruppo Riva è fiaccato da una battaglia giudiziaria partita il 26 luglio del 2012, con il sequestro di sei reparti
dell'area a caldo che secondo le perizie disposte dal gip Patrizia Todisco sono la fonte di un inquinamento
che provoca «malattia e morte». Da allora l'inchiesta ha vissuto tappe roventi, scandite da manette e
sequestri miliardari. E a giorni è attesa la richiesta di rinvio a giudizio per oltre 50 indagati, con in prima fila
proprio Emilio Riva e i suoi figli Fabio e Nicola.
Attualmente la grande fabbrica è affidata al commissario Enrico Bondi che ha il compito di realizzare gli
interventi di risanamento previsti dall'Aia per abbattere l'impatto ambientale di cokerie e acciaierie. Un
percorso reso complicato dall'imponenza degli investimenti, stimati in quasi due miliardi di euro. A questo
proposito è stato convertito in legge il decreto che consente al commissario di aumentare il capitale sociale.
Si tratta della quarta legge "salva Ilva".
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/02/2014
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Il gruppo indiano in contatto con la famiglia Riva e con il commissario Bondi, peseranno i costi della bonifica Il
caso
11/02/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 21
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Cinquanta nostri piloti chiesti in prestito da Abu Dhabi Molti dei voli cancellati tra Milano e Roma saranno
sostituiti da rotte europee Oggi e domani incontro decisivo con i sindacati. Polemica tra Lupi e Moretti
LUCIO CILLIS
ROMA - Trattative serrate coi sindacati per chiudere l'accordo entro venerdì sera. I vertici Alitalia e le sigle
sindacali che in queste ore si stanno confrontando sui 1.900 esuberi sembrano prossimi ad un'intesa che con
molta probabilità potrebbe arrivare prima del fine settimana. Il piano industriale prevede la riduzione di 280
piloti, 350 assistenti di volo e di 1.270 unità tra del personale di terra (480 operatori terra, 190 manutenzione
e 600 negli uffici). Complessivamente il progetto firmato dall'ad Gabriele Del Torchio prevede risparmi per
295 milioni, di cui 128 sul costo del lavoro. Accanto ai tagli arrivano anche delle novità per un nutrito gruppo
di piloti Alitalia, molto corteggiati dalle compagnie del Golfo per la loro professionalità. Nelle ultime ore si
sarebbe profilato un prestito a favore di Etihad di circa 50 primi ufficiali che potrebbero trasferirsi ad Abu
Dhabi per il biennio 2014-2015 potendo contare su stipendi e benefit di tutto rispetto se confrontati con gli
standard italiani.
Intanto il corposo staff di dirigenti del vettore arabo, una quarantina, prosegue a Fiumicino nella sede di
Alitalia, la due diligence: sotto esame ci sono la finanza, il marketing, l'analisi dei costi e dei fornitori e anche il
settore legale della compagnia italiana. Nel contempo un'altra delegazione di Abu Dhabi, sta verificando
l'effettivo ammontare dei debiti verso le banche e i maggiori creditori di Alitalia. Per questo con molta
probabilità verrà sforato il termine dei 30 giorni riservati alla trattativa e fonti vicine al dossier ritengono sia
molto più probabile una chiusura della due diligence per metà marzo.
I sindacati, in attesa del via libera definitivo all'accordo con l'azienda chiedono però ad Etihad uno sforzo
supplementare sullo sviluppo della "nuova Alitalia": «Ci aspettiamo un piano coraggioso di creazione di nuove
rotte sul lungo raggio. Il nostro vettore ha un bacino di clienti prossimo ai 30 milioni e grazie anche alla
ripresa dell'economia, molti italiani potrebbero riprendere a volare e a salire su aerei Alitalia anche per andare
oltre l'Europa» dice Marco Veneziani, segretario nazionale trasporto aereo della Uil.
Lo stesso piano industriale che chiede ai lavoratori sacrifici per 128 milioni di euro, viene incontro alle
esigenze di rilancio di alcune rotte: in particolare gli scali di Milano avranno due anime ben definite e
separate. Linate, nelle intenzioni di Del Torchio, si candidaa diventare il mini-hub del Nord verso l'Unione
Europea, grazie al taglio obbligato di voli da e verso Roma Fiumicino, oggi semivuoti. Da Malpensa, invece,
Alitalia (ed Etihad) si allungherà su nuove rotte intercontinentali.
Ma sul futuro degli aeroporti milanesi ieri è scoppiata un'inusuale quanto durissima polemica tra
l'amministratore delegato di Ferrovie, Mauro Moretti, e il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi che alle
dichiarazioni del capo di Fs («due scali a Milano sono troppi, i milanesi devono scegliere tra Linate e
Malpensa»), ha replicato così: «Stiamo lavorando intensamente perché non si realizzi solo tav ma ci si occupi
anche di trasporti regionali che devono migliorare.
Le Ferrovie dovrebbero impegnarsi su questo, visto che gli indirizzi in materia li dà il governo». Lupi ha poi
aggiunto: «Sono di Milano e l'idea che il problema di Malpensa sia la presenza di Linate, ha un po' stancato
tutti noi: non è che se si chiude un aeroporto si sviluppa un altro e Malpensa, in particolare, è strategico. Il
problema è avere un sistema competitivo, o meno».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/02/2014
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Alitalia verso l'intesa sugli esuberi Etihad terrà sia Linate sia Malpensa
11/02/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 22
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L'ad Pansa: polo ferroviario ok, ma non è compito nostro "È un'operazione insostenibile finanziariamente,
rischia di vanificare tutti i sacrifici fatti"
LUCA PAGNI
MILANO - I treni rischiano di lasciare a piedi Finmeccanica. E gli autobus di mandarla addirittura fuori strada.
«Investire nei trasporti potrebbe mettere a repentaglio il futuro del gruppo. Non ho nulla contro la costruzione
di un polo del settore, ma questo non può essere il compito del gruppo in questo momento. Gli investimenti ci
servono per fare altro».
Lo aveva già sostenuto in passato: AnsaldoBreda può avere un futuro solo al di fuori della società controllata
dal Tesoro. Ma Alessandro Pansa, amministratore delegato di Finmeccanica, non aveva mai usato
espressioni così nette, come quelle pronunciate ieri alla Commissione Attività produttive della Camera.
Di fronte alle domande di chiarimenti dei parlamentari, il manager - già direttore finanziario poi promosso
dopo l'arresto dell'ex ad Giuseppe Orsi per le presunte tangenti per gli elicotteri Agusta in India - non ha
esitato a chiamare in causa il suo azionista di rilievo, perché si trovi una soluzione. perché Finmeccanica non
è più disponibile a coprire le perdite e tantomeno a investire per il rilancio delle sue controllate. Il miliardo di
euro messo a disposizione per far crescere il gruppo - ha ribadito Pansa - è tutto destinato al settore Difesa e
Sicurezza.
Come è previsto dal piano industriale e come è stato comunicato a più riprese al mercato. «Attorno a Breda
non abbiamo la possibilità di costruire nulla e la società non ha i mezzi per risanarsi da sola. Solo
un'adeguata partnership, con un soggetto italiano e internazionale potrebbe aiutare l'azienda in un percorso
di ristrutturazione». In sostanza, Pansa- ancora una volta- fa sapere ai suoi azionisti che il settore Trasporti di
Finmeccanica deve andare sul mercato e staccarsi dalla holding.
Sempre rispondendo alle domande dei parlamentari, Pansa ha affermato che «BredaMenarini Bus è fonte di
perdita del nostro gruppo»: secondo le ultime stime il rosso per il 2013 si aggira tra i 150 e i 180 milioni; cui
vanno aggiunto 100-120 milioni di accantonamenti per appalti gravati da contenzioso. Inoltre, il manager ha
sottolineato come si stia «lavorando, di concerto con il Ministero dello sviluppo, a più di un'operazione
possibile, volta a preservare stabilimenti e dipendenti».
In quale direzione? «Stiamo lavorando a delle operazioni, di concerto con il Ministero, con cui collaboriamo
quotidianamente per trovare una soluzione comune all'industria degli autobus italiana, che non riguardi solo
BredaMenarini Bus ma anche altri soggetti italiani. Stiamo anche valutando alternative a questa scelta, che
noi sposiamo qualora si riesca a trovare un soggetto nazionale in grado essere sufficientemente forte sul
piano patrimoniale».
Per quale motivo, Pansa è tornato sull'argomento in modo così deciso? Secondo alcuni osservatori, è stato
un modo per sollecitare il governo a riprendere il progetto che prevedeva il passaggio di AnsaldoBreda e
Ansaldo Sts (il gruppo leader nella segnaletica ferroviaria con i conti in attivo) sotto il cappello del Cassa
Depositi Prestiti, per la costituzione di un grande gruppo dei trasporti, visto che Cdp controlla già Fincentieri.
E che è già intervenuta per acquistare il pacchetto di maggioranza di Ansaldo Energia, dando ossigeno
finanziario a Finmeccanica. La "moral suasion" di Pansa sbloccherà la situazione? Di sicuro ha provocato la
reazione dei parlamentari: Guglielmo Epifani (Pd) ha fatto capire che sul tema sarà chiamato un
rappresentante del Governo in Commissione. Le controllate nei trasporti ANSALDOBREDA L'intero settore
trasporti di Finmeccania impiega 6500 addetti e fattura 1,7 miliardi AnsaldoBreda produce treni, tram e
metropolitane BREDAMENARINIBUS Lo stabilimento Menarini di Bologna è ancora il centro dell'azienda di
autobus urbani in crisi di ordinativi e produzione ANSALDO STS Quotata in Borsa, Ansaldo Sts è controllata
da Finmeccanica solo al 40%. È leader mondiale nella segnaletica ferroviaria PER SAPERNE DI PIÙ
www.finmeccanica.com www.fiatgroup.com
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/02/2014
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Finmeccanica scarica AnsaldoBreda "Mette a rischio stabilità del gruppo"
11/02/2014
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Foto: IL MANAGER Alessandro Pansa, amministratore delegato del gruppo Finmeccanica
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11/02/2014
La Stampa - Ed. nazionale
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"Sì alla bad bank, ma niente soldi pubblici"
Il Tesoro: sostegno solo con fondi di garanzia e veicoli come la Bei e il fondo italiano d'investimento L'ad di
Unicredit: è utile per gli istituti di medie dimensioni, a noi non serve
LUCA FORNOVO TORINO
A rendere più faticoso il cammino del governo Letta ci mancava solo il pasticcio della bad bank di sistema, la
"banca cattiva" in cui scaricare crediti deteriorati fino a un massimo di 300 miliardi di euro. Un'operazione
come quella fatta in Spagna con i 40 miliardi del prestito Ue usato per nazionalizzare le banche iberiche è
impensabile. E il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni ci tiene a chiarirlo subito con una nota: per la
bad bank non sarà necessario usare fondi pubblici né comunitari. Un'apertura alla bad bank di sistema,
sabato al convegno degli operatori finanziari Forex, l'aveva fatta il governatore della Banca d'Italia, Ignazio
Visco che però era stato generico circa l'impiego di soldi pubblici e si era limitato a chiedere più ambizione
nelle iniziative per cedere i crediti deteriorati. Ieri nel giorno in cui Bankitalia ha aggiornato a 155,8 miliardi di
euro il record delle sofferenze bancarie (+24,6%), il Tesoro ha fissato rigidi paletti alla bad bank di sistema.
L'appoggio di Palazzo Chigi si limita per ora a fondi di garanzia e veicoli di sostegno degli investimenti, quali
la Banca europea per gli investimenti e il fondo italiano d'investimento. Non è escluso che possa esserci
anche un intervento di Confidi e della Cassa Depositi e Prestiti. Per Francesco Galietti di Policy Sonar, il nodo
della garanzia di Stato è destinato «a tenere banco tanto su dossier di sistema come quello della bad bank
che su questioni specifiche come la privatizzazione di Poste e Sace». L'idea della bad bank non piace affatto
alle associazioni dei consumatori. Adusbef e Federconsumatori «invitano il governo a riflettere, prima di
effettuare l'ennesimo salvataggio delle banche a spese dei contribuenti e dei correntisti e risparmiatori». Ma il
progetto di un'unica bad bank trova tiepide se non addirittura contrarie le grandi banche. Come nel caso di
Unicredit con l'ad Federico Ghizzoni che ieri a Genova è stato molto chiaro: serve per le banche di medie
dimensioni a noi no, «noi andiamo avanti per la nostra strada». E cioè quella che vede Unicredit al fianco di
Intesa Sanpaolo per mettere insieme un po' di miliardi di crediti deteriorati. Ma se un veicolo di sistema
generale penalizzerebbe i grandi istituti, che lavorano per una soluzione propria, sarebbe invece di grande
aiuto per quelle banche medio-piccole la cui massa critica e le condizioni di bilancio sono un po' meno solide
e che rischiano di cedere crediti a prezzi di saldo. A banche come Mps, Banco Popolare, Bper e Carige, che
si trovano sotto la spada di Damocle degli stress test della Banca centrale europea, farebbe comodo aderire
a un'unica bad bank in modo da riuscire a trovare acquirenti per i crediti deteriorati e ripulire i loro bilanci.
Investitori che sembrano non mancare visto che nella nota di ieri il Tesoro ha ricordato i colloqui avuti dal
ministro Saccomanni a New York e Londra con i grandi fondi e operatori finanziari, interessati al mercato
italiano. Nel caso italiano circa 300 miliardi di euro di crediti deteriorati (incagli, sofferenze, ristrutturati). A
dicembre le sole sofferenze, secondo i dati di Banca d'Italia, hanno sfondato quota 150 miliardi (155,8
miliardi) di cui 100 di aziende e soprattutto nei comparti delle costruzioni e della manifattura.
Foto: Il ministro
Foto: Fabrizio Saccomanni, titolare del ministero dell'Economia, appoggia la bad bank di sistema ma senza
risorse pubbliche
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/02/2014
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IL MINISTRO SACCOMANNI FISSA I PALETTI SUL VEICOLO DI SISTEMA PER I CREDITI DETERIORATI.
BANKITALIA: SOFFERENZE BANCARIE RECORD SOPRA I 155 MILIARDI
11/02/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
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Un Paese senza memoria sembra scordare il deficit di credibilità per l'Italia nel 2011
Francesco Manacorda
A PAGINA 27 E l'Europa ci commissariò Èun Paese senza memoria quello che ha già archiviato il fatto che
appena due anni e mezzo fa - nel terribile semestre prima del novembre 2011 - non solo l'Italia fosse sull'orlo
di un baratro finanziario, ma anche i governi europei, e non esclusivamente europei, vedessero il nostro
Paese portatore di un pericoloso contagio da instabilità che rischiava di toccare l'intero continente. Da dove
partire, allora, per ricordare il clima mefitico di qui mesi, con l'assedio dei mercati e il montante disagio delle
cancellerie internazionali? Magari dal passo più prossimo alla fine, da quella surreale conferenza stampa del
4 novembre al G20 di Cannes dove il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi («niente crisi, i ristoranti sono
pieni») e il ministro dell'Economia Giulio Tremonti si ritrovano accanto senza che i loro sguardi s'incrocino e
dove mezza stampa internazionale - pur smentita - assicura di aver sentito Tremonti dire al suo premier che
se non se ne va al più presto sarà il disastro. Otto giorni dopo, è il 12 novembre, Berlusconi rassegna le sue
dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica. L'8 novembre il nostro governo ha firmato il pacchetto
di sei misure destinate a rafforzare il Patto di stabilità europeo, mentre il 9 novembre lo spread tra i Btp e i
Bund tedeschi, uno dei principali indicatori del grado di fiducia nella solvibilità dell'Italia, ha toccato un livello
mai più raggiunto: 575 punti. Oppure si può saltare al fotogramma precedente, a quel 23 ottobre in cui
rispondendo a centinaia di giornalisti dopo il vertice europeo Angela Merkel e Nicolas Sarkozy si scambiano
un'occhiata d'intesa e un risolino beffardo quando gli viene chiesto se Berlusconi ha dato rassicurazioni sulla
situazione dell'Italia. Anche qui passeranno pochi giorni prima che, il 26 dello stesso mese, il governo italiano
si debba presentare con una lettera di impegni - peraltro corretta perché Bruxelles non la considerava
abbastanza incisiva - alla Commissione europea. Ma si può risalire anche a ben prima nell'elenco di segnali
chiarissimi che la gestione dell'Italia, con il suo enorme debito pubblico e un peso specifico della sua
economia che non limiterebbe gli effetti di un'implosione a quelli - pur gravi - del caso greco, allarmano oltre
ogni dire i partner europei e gli investitori esteri. Eccoci al 6 agosto, quando al governo italiano arriva la
lettera firmata dal presidente della Bce Jean-Claude Trichet e da Mario Draghi, alla guida della Banca d'Italia
ma già successore in pectore di Trichet. Non ci sono solo richieste durissime negli indirizzi generali della
finanza pubblica, prima fra tutte quella di raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2013 e non più entro il
2014, ma anche misure dettagliate che sanno davvero di commissariamento: riduzione significativa dei
dipendenti pubblici, prendendo in considerazione anche riduzioni di stipendio; piena liberalizzazione degli
ordini professionali; una programma forte di privatizzazioni... Del resto già il 6 giugno, sul nostro giornale, il
Governatore della Banca centrale del Lussemburgo Yves Mersch e membro ovviamente del direttorio della
Bce, intervistato da Tonia Mastrobuoni annuncia che la Banca centrale potrebbe anche smettere di comprare
titoli di Stato italiani, per sostenerne le quotazioni, se Palazzo Chigi non mette mano alle riforme. E' un altro
segnale che rimbalza sui mercati internazionali del distacco sempre più profondo tra i partner europei,
preoccupati di un contagio che Mersch cita esplicitamente. Si potrebbe andare ancora più indietro per
raccontare quella faglia che si andava allargando tra l'Italia e il resto d'Europa, ma quel che è certo è che
dimenticare quel crescente deficit di credibilità che nel corso dei due anni successivi è stato in buona parte
recuperato - sebbene con un prezzo molto alto in termini di politiche di bilancio restrittive - significa far torto ai
fatti.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/02/2014
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E l'Europa ci commissariò
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Merkel alla Svizzera "Siete un problema"
TONIA MASTROBUONI INVIATA A BERLINO
*Bruxelles. L'impatto del referendum con cui la Svizzera ha deciso di limitare il flusso di lavoratori immigrati
«è molto preoccupante sia per quanto riguarda l'Italia, sia per gli altri accordi con l'Unione europea». Emma
Bonino è stata chiara a margine della riunione dei 28 nella capitale belga. *Berlino. Profondo scetticismo
sull'esito della votazione in Svizzera è stato espresso anche dalla Germania: «Il governo tedesco rispetta
l'esito della consultazione - ha riferito il portavoce di Angela Merkel, Seibert - che, dal nostro punto di vista,
solleva problemi notevoli». Mastrobuoni e Mattioli ALLE PAGINE 8 E 9 La prima doccia fredda è arrivata ieri
da un sito, «X28» che conta i posti di lavoro disponibili in circa 300mila aziende svizzere. Ebbene, nel Paese
che ha appena votato per un freno all'arrivo degli immigrati, sono 110mila i posti vacanti, alla ricerca di
qualcuno che li occupi, a dispetto dei grotteschi allarmi sulle invasioni di stranieri. E, comprensibilmente, dal
Paese da cui provengono moltissimi lavoratori che si sono trasferiti in Svizzera, la Germania, è arrivata ieri
una delle reazioni più dure al referendum di domenica. Dopo gli italiani, che sfiorano quota 300mila, i tedeschi
sono il secondo gruppo di stranieri più presente nella confederazione, circa 280mila. Un tedesco su due che
si è trasferito all'estero, è andato a vivere nella confederazione, negli ultimi anni. Ed è inutile, come ha fatto
ieri il quotidiano svizzero «Les Temps», titolare a tutta pagina «Bruxelles, abbiamo un problema», citando il
famoso allunaggio fallito dell'Apollo 13. Le reazioni arrivate ieri da Berlino e dalla Ue sono chiare: è Berna
che deve trovare il modo di risolvere l'impasse provocata dalla consultazione popolare, proponendo in tempi
brevi una soluzione concreta. In tarda mattinata la posizione del governo tedesco è stata esplicitata dal
portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert: «Prendiamo atto del risultato del referendum e lo rispettiamo,
ma dal nostro punto di vista crea notevoli problemi». Una reazione simile a quella già registrata dal ministro
delle Finanze Schaueble, che aveva parlato di «guai» per la Confederazione, dopo il responso delle urne.
Secondo il portavoce di Merkel ora è compito di Berna spiegare quali conseguenze intende trarre dal risultato
del referendum e comunicarli all'Unione europea, ed è ovvio che non saranno colloqui facili. D'altra parte, ha
aggiunto Seibert, «è nel nostro interesse garantire il fatto che il rapporto tra la Ue e la Svizzera sia il più
stretto possibile». Dalla riunione dei ministri degli Esteri a Bruxelles, la reazione di Frank-Walter Steinmeier è
stata altrettanto esplicita, e in sintonia con l'omologo francese, Laurent Fabius. «Credo ha puntualizzato
Steinmeier che la Svizzera si sia fatta del male da sola con questo risultato». Berna deve sapere, ha
aggiunto, che quello che i tedeschi definiscono «pescare l'uvetta», cioè il fatto di concepire il rapporto con la
Ue «à la carte», «non può durare, come strategia». Rapporti leali, presuppongono «il rispetto di decisioni
fondamentali che sono state già prese dalla Ue». Il francese Fabius ha parlato di una «cattiva notizia» per
l'Europa, ed è andato oltre il suo collega tedesco, ha già minacciato di «rivedere i nostri rapporti con la
Svizzera». Nella Confederazione vivono oltre 100mila francesi. Il voto, ha sottolineato il ministro, è
preoccupante perché significa che la Svizzera «si vuole isolare». Paradossale, per un Paese che esporta il
57% delle proprie merci in Europa e ha il continente come principale partner commerciale. Anche Emma
Bonino è stata chiara, a margine della riunione dei 28 a Bruxelles: l'impatto del referendum «è molto molto
preoccupante sia per quanto riguarda l'Italia, sia per gli altri accordi con l'Ue». Per capire che piega
prenderanno le relazioni Ue-Svizzera, domani sarà un giorno importante. Ci sarà la riunione del Coreper
(rappresentanti dei 28) che dovrebbe dare alla Commissione Ue il mandato per negoziare l'accordo
«istituzionale» per l'adattamento automatico dell'acquis svizzero a quello Ue. La Commissione punta ad
avere il mandato nonostante il cattivo segnale inviato dal referendum, perché ritiene utile mantenere lo
«status quo» finché il Governo non decide come tradurre in legge la volontà dei cittadini di mettere un tetto ai
lavoratori stranieri. Ma il Coreper potrebbe inviare un segnale più duro, congelando il mandato e l'accordo
Paure Un cartello per il sì al referendum anti immigrazione «La smoderatezza fa danni Stop all'immigrazione
di massa»
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La Ue in allarme dopo il referendum anti-stranieri
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Tutti gli accordi con Bruxelles L'area di libero scambio n L'accordo tra Paesi europei (al quale aderì anche
Berna) su una zona priva di dazi, quote e preferenze tariffali sui prodotti industriali scambiati risale al 1972. A
differenza di una unione doganale, i membri di un'area di libero scambio non hanno la stessa politica
doganale verso i Paesi non membri.
Il mercato delle assicurazioni n Tra i primi accordi firmati tra l'Unione europea e la Svizzera, nel 1989, c'è
anche quello sul mercato delle assicurazioni nel settore non-vita: prevede che le società svizzere e quelle con
sede negli altri Paesi Ue possano aprire o acquisire liberamente agenzie nelle due aree.
La circolazione delle persone n L'accordo è entrato in vigore nel 2002. Prevede che cittadini Ue e svizzeri
abbiano uguali diritti di entrata e di soggiorno, oltre che di accesso a un'attività economica. Medesime le
condizioni di trattamento anche in materia di sicurezza sociale e delle qualifiche professionali.
I controlli alle dogane n Dopo l'accordo siglato nel 1990 sulla sicurezza delle dogane (che permette di
semplificare lo sdoganamento delle merci), nel 2002 la Svizzera aderisce a Europol e Eurojust, due agenzie
Ue per la collaborazione della polizia e della giustizia nell'ottica di rafforzare la lotta contro la criminalità.
Accordi di Schengen e Dublino n Firmato nel 2004 il primo facilita i viaggi tra Svizzera e Paesi Ue attraverso
controlli alle frontiere comuni. Dello stesso anno l'accordo di Dublino: garantisce che una domanda di asilo
venga esaminata da un solo Stato nello spazio Dublino per evitare che chi chiede asilo venga rinviato da un
Paese all'altro.
I regimi pensionistici n All'interno degli accordi bilaterali firmati nel 2004 tra Berna e l'Unione europea c'è
anche quello sui regimi pensionistici: l'intesa ha lo scopo di evitare la doppia imposizione per i pensionati Ue
domiciliati in Svizzera.
Le conseguenze
Credo che la Svizzera si sia fatta male da sola con questo risultato Frank-Walter Steinmeier
Una cattiva notizia Potremo rivedere i nostri rapporti con Berna Laurent Fabius
11/02/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Referendum sugli immigrati la Ue teme l'effetto contagio
Oscar Giannino
La vittoria di misura in Svizzera del referendum sulle quote per stranieri, europei compresi, esprime un forte
segnale. Continua a pag. 20 Servizi alle pag. 8 e 9 segue dalla prima pagina Esprime, a poche settimane dal
voto per il Parlamento europeo, il segnale di un'Europa dei forti che si chiude su se stessa. Ma al contempo è
un errore esacerbarne il significato, come è avvenuto ieri. Angela Merkel è stata cauta, ha detto di «prendere
atto della volontà degli svizzeri», ma ha aggiunto che «il risultato apre seri problemi». Laurent Fabius,
ministro degli Esteri francese, è stato secco: «Rivedremo le relazioni con la Svizzera». La Commissione
Europea, in una nota molto dura, ha ricordato che con la Svizzera sussistono 7 grandi accordi bilaterali
sottoscritti nel 1999 sul libero movimento delle persone e delle merci, sui trasporti, agricoltura, ricerca,
procedure di acquisto pubblico e altro ancora. E poiché sono legalmente interconnessi, se cade la piena
libertà di movimento delle persone con l'area europea sono destinati a cadere tutti. Il presidente del
parlamento europeo, Martin Schulz, ha aggiunto che «potremmo dover tornare alle pattuglie di frontiera ai
confini, non posso credere che Berna voglia questo». Prima di precipitare le cose, forse è il caso di capire.
Certo, a vincere è stata la destra populista. Ma i referendum e la democrazia diretta sono uno degli invidiabilipilastri della libertà della Svizzera, una libera confederazione che affonda le sua radici nel
giuramento sul pratone di Grütli, il 1 agosto 1291. La Svizzera è tra i Paesi al mondo con la più alta
percentuale di stranieri rispetto alla popolazione, il 23% su un totale di 8 milioni, una proporzione pari a quasi
tre volte quella italiana. Negli anno '90, la Svizzera ha spalancato le porte a decine di migliaia di asilanti dal
Kosovo, come a centinaia di migliaia tra immigrati albanesi, est-europei, africani. Non è un caso che i sì nel
referendum siano stati alti nei cantoni con meno immigrati. Dovunque nel mondo, anche da noi, l'avversione
è più alta dove è più bassa l'integrazione. Ma il problema non riguarda certo solo o particolarmente i 70 mila
frontalieri italiani, dei quali più o meno metà artigiani e autonomi, e l'altra metà invece occupati in imprese
svizzere o italiane trapiantate in Svizzera ma risiedendo in Italia, e coperti da un accordo di ristorno fiscale tra
Canton Ticino e Comuni italiani di residenza che occorreva rinnovare prima del referendum, invece di
attendere colpevolmente come l'Italia ha deciso di fare. C'è un problema nella Svizzera tedesca che riguarda
il numero crescente di tedeschi e austriaci che vi si spostano per esercitare professioni liberali, e che
affollano le università svizzere, in particolare medicina non riuscendo a superare le barriere al numero chiuso
nei loro Paesi. E, naturalmente, c'è il problema derivante dall'aumento a doppia cifra dell'immigrazione da
Grecia, Spagna e Italia in questi ultimi due anni di eurocrisi. Di qui la paura che welfare e servizi pubblici non
bastino ai nuovi arrivati, esattamente come a Londra il premier Cameron ha annunciato di voler tagliare il
welfare britannico anche ai cittadini della Ue. Tuttavia, vedremo che cosa ora farà il governo di Berna, nel
corso dei tre anni a disposizione dopo il referendum per realizzare nuovi accordi con Bruxelles. Se davvero si
dovesse pensare a rigidi permessi di lavoro individuali per ogni Paese di provenienza, senza autorizzazione a
portare al seguito le famiglie, non solo la Svizzera si porrebbe in contrasto con la Convenzione europea dei
diritti dell'uomo, fino al punto di dover lasciare il Consiglio d'Europa. Ciò significherebbe un'enorme difficoltà
per la Svizzera di continuare ad attirare elevate professionalità in campo banco-finanziario e nel managament
delle moltissime multinazionali che in Svizzera hanno sede. È largamente impensabile che avvenga una cosa
simile. C'è un precedente. In realtà, se gli accordi maggiori tra Svizzera e Ue sono i 7 ricordati ieri dalla
Commissione Ue, il totale delle intese vigenti sulle materie più minute supera il migliaio. Sono stati redatti
come razionale strategia alternativa, dopo il no prevalso in un altro referendum svizzero, nel 1992, all'ipotesi
di entrare nello Spazio economico europeo (dove per esempio si colloca la Norvegia). Fu una scelta di
enorme ragionevolezza. Ed è esattamente quella che deve entrare in campo ora, tra Berna e noi dell'Unione
Europea. Sono accordi di cui la Svizzera ha enormemente beneficiato. E anche i Paesi Ue seguirono, dopo
quel referendum, una linea intelligente, abolendo per i cittadini svizzeri le code negli aeroporti che altrimenti
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/02/2014
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Svizzera, stop ai comunitari. Bruxelles minaccia conseguenze
11/02/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/02/2014
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sarebbero state loro destinate insieme ad asiatici e africani. Il complesso economico banco-industriale
elvetico queste cose le sa benissimo, tanto è vero che ha tentato di orientare il voto in senso opposto all'esito
del referendum. Ma ha perso. E ora dovrà rimediare. Ha contribuito al sentimento di isolamento antieuropeo
anche la brutta botta portata a segno in questi ultimi due anni da Germania e Francia, al seguito degli Usa,
contro il segreto bancario per decenni presidio della forza off shore degli intermediari elvetici. Solo dalle
transazioni finanziarie relative alle commodities si genera ormai il 10% del Pil svizzero, in concorrenza con
Singapore, Dubai e Hong Kong. Ed è per non perdere questa forza crescente che la Svizzera ha dovuto
negoziare con Usa e Ocse la disponibilità a protocolli bilaterali di cooperazione anche in campo fiscale con
scambio di informazioni. L'Italia proprio su questo ha commesso forse un errore. Protesa al successo
dell'emersione volontaria fiscale appena varata dal governo Letta, Roma ha preferito rinviare la chiusura degli
accordi con Berna sui nostri frontalieri e sulla cooperazione tributaria. Per non pregiudicare maggiori entrate
da emersione, cioè per fare più paura a chi ha patrimoni non dichiarati in Svizzera, il governo ha pensato
fosse meglio rinviare la chiusura di accordi di cooperazione. Ora occorre rimediare e puntare al dialogo.
Questo atteggiamento farebbe il gioco dei populisti. Che non ci sono solo in Svizzera. Ci sono anche da noi in
Italia e li conteremo nelle urne per il Parlamento europeo, ci sono in Gran Bretagna con l'Ukip di Nigel
Farage, in Germania con l'Afd, in Olanda con il Pvv di Wilders, in Francia con la signora Le Pen. Il
referendum svizzero è certamente parte della più ampia crisi dell'Europa, riflette la mancanza di leadership e
di visione nella realtà odierna del nostro continente. Ma andiamoci piano prima di trattare gli svizzeri come un
popolo di xenofobi. Hanno resistito agli Asburgo come al Terzo Reich, e nel 1936 a Berlino gli atleti elvetici
non omaggiavano Hitler col saluto romano, come i nostri e i britannici. Un'Europa migliore si può costruire
solo rimediando insieme agli errori e alle paure. © RIPRODUZIONE RISERVATA
11/02/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
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Crediti dubbi, quattro cantieri delle banche
Intesa, Unicredit e Kkr: un fondo per l'equity di pmi Il piano di Mediobanca I SOLDI DEI DUE BIG PER
RICAPITALIZZARE AZIENDE IN TENSIONE SEI POPOLARI PRONTE PER PIAZZETTA CUCCIA LE
AVANCE SU RELEASE
r. dim.
MILANO Quattro cantieri aperti per gestire i crediti deteriorati delle banche italiane: una torta (in verità
tutt'altro che saporita) di circa 146 miliardi. Alcuni di questi progetti non saranno vere e proprie bad bank in
senso tecnico, ma al contrario punteranno a rilanciare aziende in tensione finanziaria ma che, con l'intervento
di un investitore, nel capitale di rischio, potranno rimettersi in carreggiata. E' questa l'iniziativa di Unicredit e
Intesa Sanpaolo che si avvalgono dell'appoggio di Kkr: dovrebbe concretizzarsi in un fondo con relativa sgr.
Dovrebbe avere una dotazione di partenza di circa 500 milioni, se dovesse decollare potrebbe salire ancora.
Poi c'è il fondo in gestazione da quasi un anno da parte di Mediobanca, che allo stato, sembra interessare sei
popolari. Il Banco Popolare, avendo in casa una scatola in cui assemblare le sofferenze (Release) sta
valutando concretamente come riorganizzarsi. Infine c'è un quarto progetto: ha come regista Mc Kinsey con
l'obiettivo di non essere alternativo, ma anzi complementare agli altri. DOTAZIONE DI 500 MILIONI Sabato è
arrivato lo tsunami della proposta fatta da Ignazio Visco al Forex: oltre a benedire le iniziative in corso
(«vanno a razionalizzare la gestione dei crediti deteriorati con la creazione di strutture dedicate in grado di
aumentare l'efficienza delle procedure e la trasparenza di questi attivi»), il governatore ha lanciato il sasso:
«Interventi più ambiziosi, da valutare anche nella loro compatibilità con l'ordinamento europeo, non sono da
escludere, possono consentire di liberare, a costi contenuti, risorse da utilizzare per il finanziamento
dell'economia». Tutti hanno letto nelle sue parole l'idea di una bad bank di sistema che ieri è stata ben
accolta dal ministro Fabrizio Saccomanni: bene purchè «a tale scopo non sia necessario l'impiego di risorse
pubbliche nazionali o comunitarie». Insomma no a importare il modello Sareb, la soluzione adottata a maggio
2012 dal governo di Madrid di mettere soldi pubblici per acquistare le sofferenze delle banche. Unicredit e
Intesa Sanpaolo, intanto, procedono spedite con il loro progetto assieme al colosso del private equity di New
York. I consulenti (Alvarez & Marsal, Francesco Gatti dello studio d'Urso Gatti Bianchi, Tommaso Di Tanno
dello studio Di Tanno associati) stanno valutando la veste societaria dell'operazione che - su questo punto ci
sarebbe certezza - riguarderà pmi e non società di dimensioni considerevoli, tipo Risanamento. Sembra
prevalere l'ipotesi di costituire un fondo e non un veicolo con altra veste. L'altro dubbio riguarda le modalità
tecniche di intervento degli istituti: potrebbero conferire i crediti svalutati nel fondo ricevendo quote dello
stesso oppure apportare denaro che, aggiunto alla liquidità immessa da Kkr potrebbe servire per acquistare (
a sconto) i crediti vantati dalle stesse banche verso l'impresa in tensione. Il fondo investirebbe nel capitale di
rischio dell'azienda che rivitalizzandosi, sarebbe in grado di tornare a pagare i debiti. A questo fondo
potrebbe far capo un altro fondo, coltivato in casa di Intesa (progetto Reoco) per valorizzare gli immobili. Di
un altro fondo è sponsor Mediobanca per gestire i crediti dubbi di alcune banche. Sei popolari avrebbero
manifestato interesse: Bper, Bpm, Ubi, CreVal, Vicenza e Bari. La maggiore popolare, il Banco, invece, sta
studiando come utilizzare Release, la bad bank nata nel 2009 nel riassetto di Italease: su 3 miliardi di
impieghi, ci sono 2,5 di crediti deteriorati: oltre Primus Capital c'è interesse da Apollo. Da qualche giorno poi,
un noto studio legale milanese sta studiando un'iniziativa di Mc Kinsey che sarebbe complementare alle altre
in gestazione.
Foto: La sede della Banca d'Italia
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/02/2014
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RISTRUTTURAZIONI
11/02/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Mediaset vince la Champions in tv batosta per Sky
Marcello Zacché
Quella manovra con i tastini del telecomando di Sky che i calciofili fanno ormai a occhi chiusi per guardare la
Champions League, dal 2015 non sortirà più alcun risultato. Schermo bianco. Niente più euro-partita del
martedì o mercoledì: i diritti in esclusiva per trasmettere la (ex) Coppa dei campioni li ha ieri conquistati
Mediaset, a partire (...) segue a pagina 10 dalla prima pagina (...) dalla Champions 2015-16 e per tre anni.
Per i 4,7 milioni di abbonati a Sky sarà la prima volta. Il Biscione ha offerto una cifra che indiscrezioni
finanziarie stimano sui 660 milioni (contro i 450 del precedente triennio) e con questa ha battuto Sky su tutti i
fronti: avrà i diritti per la trasmissione in diretta delle partite su pay tv (Mediaset Premium), oltre che per una
gara in chiaro sulle reti Mediaset. A questi diritti si aggiungono, sempre in esclusiva, quelli per le dirette
streaming su dispositivi fissi e mobili, oltre che per le differite e gli highlight . Un Bingo con il quale Mediaset
passa al contrattacco rispetto alla strategia «pigliatutto» di Sky Italia. Quella di strappare, anche a prezzi fuori
mercato per una pay tv, programmi e format generalisti (come X Factor alla Rai o Italia's got talent al
Biscione) per abbattere lo share dei concorrenti. Ebbene ora, proprio sul prezioso terreno del calcio in diretta,
è arrivata l'inattesa contromossa. Per la società controllata dalla Fininvest dei Berlusconi e presieduta da
Fedele Confalonieri la mossa può avere almeno un paio di significati. Il primo, tattico negoziale, è quello di
essersi dotata di un prodotto - la Champions - con il quale potersi sedere al tavolo di eventuali trattative
proprio con il gigante di Rupert Murdoch. Vuoi per dividersi la Champions, magari già a partire dal prossimo
anno (nel quale è previsto che le partite siano in diretta su Sky, con a Mediaset la sola esclusiva, in chiaro,
della partita «top» del mercoledì); vuoi per avere una carta in più da giocarsi in primavera, quando sarà la
volta dell'assegnazione dei diritti del campionato italiano di serie A, sempre per il triennio 2015-2018. In
questo caso il rischio che corre il Biscione è quello di trovarsi di fronte a una doppiaofferta di Sky, sia per il
satellite, sia per il digitale terrestre, sul quale il gruppo di Murdochsta studiando da tempo come muoversi.
Ecco perché i 660 milioni offerti da Mediaset paiono un investimento così importante da giustificare diversi
scenari. Dal lato finanziario la mossa del gruppo di Cologno Monzese non è comunque considerata
azzardata. Non tanto per il bilancio attuale, che viene dal mezzo miliardo di perdite del 2012, che dovrebbe
aver chiuso il 2013 in leggero utile e che presenta una posizione finanziaria netta in miglioramento, ma
negativa per 1,5 miliardi (al 30 settembre scorso). Il punto è un altro: il progetto per creare una nuova società
(newco) nel settore della pay tv (proprio quello coinvolto nei diritti del calcio) in cui far confluire Mediaset
Premium e la spagnola Digital+, della quale il Biscione detiene il 22% ma potrebbe crescere rilevando il 56%
nelle mani del gruppo Prisa. Una quota che interessa - guarda caso - ancora Murdoch. Ma su cui
Mediasethaundiritto di prelazione. In altri termini, le potenzialità della newco digitale sono quelle che
autorizzano a pensare all'esistenza di investitori interessati e pronti a versare fior di quattrini. È quello che
pensa la Borsa, che dalla notizia della newco ha spinto al rialzo il titolo Mediaset. Per quantoriguarda l'identità
dei futuri soci, ci sono tutte le ipotesi: da Al Jazeera a Telefonica. E, naturalmente, anche Murdoch. Marcello
Zacché
IL CONFRONTO 2,2 mln* 4,76 mln Abbonati 5.908 3,7 mld 2,8 mld*** 6.800** Dipendenti Fatturato Ricavi
pubblicitari in Italia (31 dic 2012) (30 giu 2013) 2,3 mld (31 dic 2012) 314 mln (gen-nov 2013) Gruppo
Mediaset Sky Italia *Premium ***L'anno fiscale di Sky Italia chiude a giugno **Compresi collaboratori
Foto: VITTORIA La Champions League passa a Mediaset. Il presidente Fedele Confalonieri e (a destra) il
patron di Sky Rupert Murdoch L'EGO
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/02/2014
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all'interno ESCLUSIVA PER TRE ANNI
11/02/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Corte dei Conti si dia da fare se vuole che le agenzie di rating considerino
i tesori italiani
Mario Comana
Corte dei Conti si dia da fare se vuole che le agenzie di rating considerino i tesori italiani (Comana a pag. 14)
La decisione della Corte dei Conti di intentare una causa per danni nei confronti delle agenzie di rating per i
downgrading del 2011 ci coprirà di ridicolo in tutto il mondo. Non solo e non tanto per l'iniziativa in sé, ma per
la motivazione secondo la quale, stando alle anticipazioni giornalistiche, ciò sarebbe dovuto alla
sottovalutazione del patrimonio artistico e culturale del nostro Paese. È vero che tale patrimonio è
potenzialmente una grandissima fonte di reddito, ma purtroppo cozza contro segnali fortemente
contraddittori, come la recente diminuzione dell'insegnamento della storia dell'arte nei licei. Se l'Italia è la
prima a non far seguire i fatti alle affermazioni, come possiamo pensare che ci credano gli altri? Sembriamo
un po' quei nobili squattrinati, che abitano ancora il palazzo di famiglia, barocco ma fatiscente, e che
pretendono di godere ancora dell'allure dei bei tempi andati, mentre il sospeso dal salumiere sale tutti i giorni.
C'è molta ignoranza alla base dell'iniziativa della magistratura contabile, sia della logica del rating sia della
sua funzione. Sembra che il giudizio delle agenzie sia interpretato come un apprezzamento, o un mancato
apprezzamento, verso l'Italia nel suo complesso, e non solo della valutazione della capacità di rimborso di un
debito pubblico, che lo stesso accusatore non sa tenere sotto controllo. Quasi un'offesa a titolo personale più
che una stima dell'attitudine a generare flussi di cassa adeguati al servizio del debito. La questione è se sia
possibile estrarre risorse dall'immenso, innegabile e inestimabile patrimonio artistico italiano: in teoria sì,
tantissime; in pratica no. E allora, le agenzie di rating dovrebbero pesare di più il frutto potenziale o quello
reale? Ovviamente il secondo. Ma è interessante ragionare sul punto che indirettamente viene evocato dalla
Corte: come mettere a reddito l'arte, la cultura, la storia, le bellezze naturali di questo straordinario Paese. E
non certo per un intento mercantile, di svilimento della cultura, ma al contrario proprio perché solo facendola
vivere, e fruttare, la si conserva. Le anime belle di cui altrettanto abbonda l'Italia, sembrano sognare uno
stivale ibernato nella sua condizione di museo asettico, cristallizzato nella riproposizione di se stesso. Questo
approccio è stupido, come tutti quelli eccessivamente dogmatici, perché porterebbe solo costi e non benefici.
La conservazione dei beni è estremamente onerosa, e può essere affrontata solo se i beni culturali sono
fruibili e fruttuosi (la condivisione della radice dei due termini non è casuale). Il che richiede due cose: un
approccio imprenditoriale e il sostegno della rete infrastrutturale. Esattamente le due cose che le anime belle
respingono, arrivando perfino a rendere difficili, quasi impossibili, anche gli interventi improntati al
mecenatismo. Approccio imprenditoriale vuol dire che dall'investimento per la salvaguardia di un sito, di
un'opera, devo trarre almeno un rientro in tempi ragionevoli: non per far mercato dell'arte, ripeto, ma proprio
per preservarla. Quindi occorrono l'inventiva, l'intraprendenza, la capacità di aggregare servizi intorno alla
mera visita ecc. E le infrastrutture servono perché se a Pompei o a Reggio Calabria, piuttosto che ad Alzano
Lombardo o a Pietrasanta, non si arriva rapidamente e con comodità, sarà difficile sviluppare un flusso di
entrate. La Corte dei Conti farebbe meglio a dedicare le sue attenzioni a quell'infinita serie di irregolarità
amministrative, piccole e grandi corruttele, sprechi e incompiute che ostacolano la messa a reddito del
patrimonio artistico e anzi ne minano la conservazione. E se proprio vuole richiamare l'attenzione su questo
tema, provi a stimolare la diffusione della cultura artistica che, dal provvedimento di riduzione
dell'insegnamento della storia dell'arte, sembra piuttosto inibita. (riproduzione riservata) *docente di
Economia degli intermediari finanziari, Luiss Guido Carli - Roma
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/02/2014
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COMMENTI
11/02/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 14
(diffusione:104189, tiratura:173386)
La fallita Regione Lazio non taglia nulla
Edoardo Narduzzi
Avrebbe potuto Sergio Marchionne salvare e rilanciare la Fiat senza decidere profondi interventi, anche di
chiusura e di riorganizzazione, dei siti produttivi? E potevano salvarsi dalla crisi due colossi della tecnologia
del Novecento come Motorola e Nokia senza passare per ristrutturazioni radicali? Chiunque ha una minima
conoscenza di come funzionano le aziende risponderebbe secco in un nanosecondo: «No, non sarebbe stato
possibile». Ma la più profonda recessione nel mondo occidentale dal 1929 non ha riguardato solo il settore
privato. Sotto la spinta del triumvirato di forze che anima la globalizzazione (l'innovazione tecnologica, la
finanza apolide e la strategia del Partito comunista cinese) le macchine pubbliche pensate da politici e
sindacati europei, anche per gestire un generoso stato sociale, vanno rapidamente riorganizzate. Non è più
sostenibile un welfare state, erogatore di servizi sanitari in disavanzo il cui finanziamento debba poi ricadere
sulle generazioni future. In altri termini, politici e sindacalisti non possono più creare a tavol i n o diritti ai quali
non corrispondono flussi di cassa in grado di finanziarli nel tempo. Il caso della regione Lazio è, da questa
prospettiva, doppiamente unico: con più di 12 miliardi di debiti accumulati è la regione più indebitata d'Italia; è
anche la Regione italiana dove è più elevata la pressione fiscale, con un'addizionale Irpef del 2,33% e con
l'Irap al 4,82%. Nel frattempo l'ente territoriale continua, pur essendo la sua sanità commissariata da sette
anni, a erogare servizi in profondo disavanzo annuo per almeno 611 milioni. Lo scorso novembre la Corte dei
Conti, sicuramente con eccessivo ritardo, ha certificato che il Lazio è «da almeno un decennio in condizioni di
insolvenza finanziaria». Detto in altro modo, costringe lo Stato nazionale a emettere altri Btp per finanziare la
sua incapacità di riformarsi. Fosse un'organizzazione privata, come la Fiat, la sua Giunta avrebbe solo due
opzioni: riformare in profondità tagliando i costi di funzionamento per recuperare l'equilibrio di gestione,
oppure dichiarare il fallimento e sparire come ente locale indipendente. La terza, quella del Chapter 11, è
stata nei fatti già consumata da più di un lustro di mancate decisioni politiche. Ma nonostante il fallimento
conclamato, la Giunta Zingaretti non sembra particolarmente preoccupata di ristrutturare in fretta. Ha appena
nominato i nuovi direttori generali di Asl e Aziende ospedaliere. Se pensate che abbia accorpato qualche Asl
magari per razionalizzare dei costi allora pensate male: nella foresta pietrificata della sanità del Lazio
neppure il conclamato default riesce a ridurre la numerosità delle Asl. Anzi, si è creata una inutile Cabina di
regia, molto criticata dal ministero dell'Economia, per dare uno strapuntino a politici non più eletti. Neppure il
default accertato riesce a far agire come il mondo globale pretende. (riproduzione riservata)
Foto: Nicola Zingaretti
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/02/2014
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COMMENTI & ANALISI
SCENARIO PMI
4 articoli
11/02/2014
Corriere della Sera - Bergamo
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Industria sempre in crescita da tre trimestri Le prospettive Atteso un proseguimento della fase positiva, ma
non un'accelerazione, sempre grazie all'estero Artigianato sul fondo Non si sente ancora il rilancio della
domanda. L'attività si mantiene sui minimi storici
Stefano Ravaschio
Un po' a sorpresa, l'indagine congiunturale della Camera di Commercio di fine anno sancisce da un punto di
vista statistico l'uscita della recessione, almeno per l'industria bergamasca. La produzione ottobre-dicembre
mostra infatti per il terzo trimestre consecutivo un segno positivo, sia nel confronto con il periodo precedente,
sia su base annua, con l'indice di produzione a quota 97,5 (con base 100 il dato del 2005), sempre
abbondantemente sotto i livelli di prima della crisi (109,8 all'inizio del 2008), ma anche ai massimi degli ultimi
due anni. Tra ottobre e dicembre si è infatti irrobustita decisamente (più 3,1% nel trimestre, più 3,5% su base
annua) la crescita ancora modesta e incerta del trimestre estivo, con un andamento più vigoroso anche
rispetto alla media regionale (+2,6 nel trimestre, +2,4 su base annua) e buone premesse per il 2014. Sulla
media annuale pesa il tonfo del primo trimestre, che limita allo 0,3% la crescita del consuntivo 2013 (meno
0,1% la media regionale), ma il risultato è particolarmente positivo se confrontato con il meno 4,9% del 2012.
L'andamento degli ordini conferma la ripresa, ma indica anche che questa resta trainata essenzialmente dalla
domanda internazionale. Nel trimestre gli ordini esteri sono infatti cresciuti del 2,8%, quelli nazionali appena
dello 0,6% e su base annua gli ordini dall'estero sono cresciuti dell'8% contro un modesto più 0,4% di quelli
interni.
Ulteriori conferme sulla ripresa arrivano oltre che dall'andamento del fatturato (più 1,8% nel trimestre e più
5,5%su base annua) e dal ciclo delle scorte (dove per la prima volta da due anni prevalgono valutazioni di
scarsità a indicare un utilizzo delle riserve), dalla maggiore diffusione del recupero produttivo nei vari settori,
a partire dalla meccanica (le principali eccezioni sono il tessile e l'industria dei materiali non metalliferi, come
il cemento, ancora in contrazione). Sale al 41,9% la quota di imprese industriali del campione che dichiara un
forte aumento tendenziale, mentre scendono al 25,6% quelle che evidenziano un calo accentuato. La stessa
Camera di Commercio però ricorda che la lunga durata della crisi ha comportato la chiusura di molte aziende
e quindi un'erosione dell'universo di riferimento dell'indagine campionaria. Inoltre la ripresa di oggi è anche il
risultato di una dura selezione e di un difficile adattamento a nuovi, inferiori, livelli di produzione, che
comporta anche effetti negativi sull'occupazione,
Nonostante qualche positivo segnale di riduzione dell'effettivo utilizzo della Cassa integrazione, comunque su
livelli elevati (3,5% del monte ore) , gli addetti dell'industria sono scesi in media dell'1,2% sia nel 2012, sia nel
2013.
Le imprese industriali del campione smorzano gli entusiasmi sul futuro del mercato del lavoro, limitandosi ad
attendere per l'occupazione un tendenziale minore pessimismo. Invece, in generale è previsto un
proseguimento della fase positiva della produzione, anche se non un'ulteriore accelerazione. E ancora una
volta c'è attesa per un sostegno soprattutto dalla domanda internazionale, nonostante il rafforzamento
dell'euro e l'incerto contesto globale, anche se stanno migliorando pure le attese sulla domanda interna, con
spunti positivi delle vendite già a fine 2013.
La ripresa nel complesso vigorosa dell'industria non si vede ancora nell'artigianato manifatturiero, dove la
congiuntura resta debole, quasi piatta, con variazioni di pochi decimali (più 0,5% nel trimestre, ma meno
0,4% su base annua) che non allontanano più di tanto l'indice della produzione (quota 72,7 sull'indice 100 in
base 2005) dai minimi storici. Anche nell'aziende artigiane, però, per il secondo trimestre consecutivo
prevalgono leggermente le variazioni tendenziali positive. In media d'anno il 2013 vede la produzione
dell'artigianato manifatturiero in calo dell'1,5%, poco meglio della media regionale (meno 1,9%).
L'occupazione resta stazionaria, mentre per il futuro l'artigianato ha attese positive sulla domanda estera,
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/02/2014
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Recessione finita ma non per il lavoro
11/02/2014
Corriere della Sera - Bergamo
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/02/2014
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mentre non si attende miglioramento per produzione, occupazione e domanda interna
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3,5
Foto: Per cento La crescita su base annua della produzione industriale bergamasca nel periodo ottobredicembre 2013. L'indice, in crescita da tre trimestri consecutivi, è tornato ai massimi degli ultimi due anni
11/02/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Solo chi esporta riesce a resistere, senza spinte alla domanda interna la
crescita resta allo «zerovirgola»
Paolo Bricco
Paolo Bricco u pagina 3
MILANO
La timidezza, talvolta, può diventare afasia. L'afasia può trasformarsi in inettitudine. Occupati dell'economia,
cara politica, perché sennò l'economia si occuperà di te. Da agosto, in molti sono stati impegnati in un gioco
di società: ripresa sì, ripresa no, ripresa forse? Un divertissement che ha visto impegnati soprattutto i politici
di professione e l'enorme "generone" della chiacchiera e dell'intermediazione professionale del denaro
pubblico, ma che non ha mai convinto - anzi, ha innervosito - il ceto imprenditoriale. Bastava, a settembre e
nei mesi successivi, andare a chiedere a un artigianato di Treviso o a un medio imprenditore della meccanica
di Torino se, lui, la vedeva o no la ripresa. Lo chiedevi e, poi, era meglio se ti mettevi a correre fuori
dall'azienda, e andava bene se soltanto gli improperi ti raggiungevano. Ieri il gioco di società, che da agosto
ha interessato le élite di questo Paese, si è concluso. La produzione industriale, a dicembre, è scesa di quasi
un punto rispetto a novembre (per la precisione -0,9%) ed è calata dello 0,7% in confronto allo stesso mese
del 2013. Lo ha sancito l'Istat. Dunque, stiamo precipitando di nuovo - se mai ne fossimo usciti - nel tunnel in
fondo a cui, se va bene, c'è una "crescita" da "zerovirgolaqualcosa".
Le sofferenze, sempre a dicembre, sono aumentate del 24,6% su base annua. Lo ha rilevato la Banca
d'Italia. Dunque, la tossicità dei crediti andati a male si sta propagando sempre più nelle vene del nostro
sistema industriale e finanziario. Allo stesso tempo sta assumendo i caratteri di una schizofrenia la dinamica
consumi interni-export. Il Centro Studi Confindustria ha stimato ieri che, a gennaio, la produzione industriale
crescerà dello 0,3% rispetto a questo pessimo dicembre. E ha segnalato che «la componente ordini del Pmi
manifatturiero - in area di espansione da sette mesi - indica in gennaio un significativo incremento (il secondo
più ampio in quasi tre anni), pur se in rallentamento rispetto al picco di dicembre (53,9 da 54,3); quella
relativa agli ordini esteri mostra un forte progresso della domanda (indice a 55,6 da 57,1), grazie alle maggiori
commesse provenienti soprattutto dagli Usa». Ecco che l'industria italiana sta riuscendo a penetrare anche
negli Stati Uniti: un elemento di novità, dato che tradizionalmente questi ultimi rappresentano un mercato
difficile, non semplice da presidiare, neppure per le nostre multinazionali tascabili, figuriamoci per le piccole
imprese. Peraltro, sui mercati globali le nostre imprese riescono a contribuire alla definizione del valore
aggiunto delle catene manifatturiere internazionali. Creiamo ricchezza e la esportiamo. E questa ricchezza,
poi, si espande in tutto il mondo. Basta osservare le statistiche del progetto di Oecd e Wto "Made in the
World": giusto per fare un esempio, nell'export automotive tedesco - uno dei massimi concentrati di
tecnologia, finezza industriale e successo commerciale premium - un decimo del valore aggiunto è di stretta
provenienza italiana. Bene così, dunque. Anzi, male. Perché, a questo punto, l'attività delle imprese sembra
spaccata verticalmente in due: i mercati internazionali da un lato e la morta gora del mercato interno dall'altra.
Il problema è che la stagnazione dei consumi italiani sta trasformando l'ambiente in cui si muovono le nostre
imprese in una palude. Non a caso Nomisma ha sottolineato che «per uscire dalla crisi occorre il rilancio della
domanda aggregata», con il capoeconomista Sergio De Nardis che ha ammesso: «A questo punto la ripresa
del 2014 rischia di essere ancora più debole dello 0,7% di consensus». Dunque, il Paese non può più
tollerare questa seconda schizofrenia: da un lato la parte produttiva, che avrà mille difetti e limiti ma che ogni
giorno deve confrontarsi con il responso dei mercati, e dall'altra la componente pubblica e di governo - se non
parassitaria - almeno dedita a una sorta di noia moraviana, secondo un principio di osservazione lontana e in
fondo disinteressata delle cose che accadono a centinaia, se non a migliaia, di chilometri dagli uffici delle
burocrazie. Qualcosa di molto diverso dalla quotidianità di chi si confronta con i concorrenti, qualche volta li
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/02/2014
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LE INCERTEZZE SUL RILANCIO
11/02/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
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batte, altre volte viene sconfitto da loro, sempre ci prova. Ormai è tardi.
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/02/2014
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11/02/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 6
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Industria, produzione a picco nel 2013 (-3%)
DICEMBRE IN ROSSO MA SI CONFERMANO PRIMI SEGNI DI RIPRESA SQUINZI: «COMPETITIVITÀ GIÙ
CON IL CROLLO DEGLI INVESTIMENTI PUBBLICI»
R. Amo.
ROMA Novembre aveva fatto sperare in una svolta dopo oltre due anni di rosso. Invece l'ultimo mese del
2012 ha riportato la produzione industriale ad un amaro bilancio, non previsto nemmeno dagli analisti.
Secondo i dati Istat dicembre ha fotografato una nuova caduta dello 0,7% sull'anno precedente. Tanto da far
sprofondare la produzione media dell'intero anno al -3% rispetto al 2012. Il risultato di dicembre non
impedisce però una crescita dell'industria nel quarto trimestre, visto che la produzione guadagna lo 0,7%
rispetto al periodo precedente. Luci ed ombre, poi, emergono dai dati sull'apertura delle partite Iva: nel 2013
si registra un calo del 4,4% rispetto all'anno precedente, ma dicembre, dopo un bimestre disastroso, lascia
ben sperare: con una ripresina del 2,9%. LUCI E OMBRE Eppure, segnali di fiducia arrivano invece dal
Centro Studi Confindustria, che prevede a gennaio un aumento della produzione dello 0,3% rispetto al mese
precedente (dopo il calo dello 0,9% a dicembre su novembre). Questo mentre il superindice Ocse «continua
a segnalare una variazione positiva in termini di slancio dell'attività economica» in Italia e nell'Eurozona. Per il
Csc è da segnalare infatti un «significativo» incremento, il settimo consecutivo, della componente ordini del
Pmi manifatturiero e «un forte progresso» degli ordini esteri, grazie alle commesse Usa. L'altalena tra segni
più e segni meno preoccupa invece l'ufficio studi di Confcommercio, che indica il rischio che «la nostra
economia si avviti in una fase di continui stop and go che non permette di avviarsi su un sentiero di
miglioramento consolidato». Tornano ai dati Istat, il calo tendenziale di dicembre è dovuto ai segni meno di
beni strumentali (-5,6%), energia (-3,2%) e beni di consumo (-1%). In controtendenza solo i beni intermedi
(+5,6%). Quanto ai diversi settori, soffrono soprattutto la fabbricazione di macchinari e attrezzature n.c.a. (9,9%), le industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-6,9%) e i computer, prodotti di elettronica e ottica,
apparecchi elettromedicali, di misurazione e orologi (-6,5%). Il maggiore incremento è invece per i
farmaceutici (+8%). Intanto, secondo il numero uno di Confindustria, Giorgio Squinzi, il conto della
competitività persa dal nostro Paese e da attribuire ai troppi tagli agli investimenti pubblici in infrastrutture, e
ai pochi interventi sulla spesa. I numeri parlano infatti di una flessione degli investimenti di «circa il 23% tra il
2009 e il 2012» (con una tendenza indicata da Confindustria del «-26,2% nel 2015»), ha sottolineato in
occasione della Mobility Conference a Milano, a fronte di una spesa corrente « in costante crescita». ©
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/02/2014
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ISTAT
11/02/2014
Il Fatto Quotidiano
Pag. 6
(tiratura:100000)
di Stefano Feltri
Sarebbe un peccato che la spinta venisse interrotta. Non per me, o per il governo, ma per i beneficiari di
questi interventi", il ministro del Welfare Enrico Giovannini sa di essere in bilico e ne approfitta per fare il
punto di quanto fatto finora. Ministro Giovannini, in queste settimane c'è stata una dura polemica tra
Confindustria e governo sulle prospettive dell'economia. Hanno ragione i pessimisti o gli ottimisti? La
produzione industriale è andata peggio delle aspettative, ma il quarto trimestre registra un +0,7 per cento
congiunturale, il primo aumento dopo due anni e mezzo, e il superindice Ocse, che anticipa di 6-7 mesi
l'andamento di Pil e produzione, continua a crescere. Quindi? Dagli ordini dell'industria di novembre, al saldo
positivo del terzo trimestre tra i nuovi contratti di lavoro e quelli cessati, pur in un contesto in cui la
disoccupazione è cresciuta, si trae sempre la stessa conclusione: ci sono settori in ripresa, ancorché limitata,
come il manifatturiero, e altri in difficoltà, come il terziario o le costruzioni. Quando torneremo ai livelli di prima
della crisi, quelli del 2007? Non bastano uno o due anni a recuperare una perdita del 10 per cento del reddito
delle famiglie. Per questo la ripresa va estesa al più presto ad altri settori, così da riassorbire la cassa
integrazione e creare nuovi posti di lavoro, soprattutto per i giovani. Ci sono 20 mila giovani per i quali, in
cinque mesi, è stata fatta una richiesta di assunzione a tempo indeterminato grazie agli incentivi del governo.
Stessa cosa per le 20 mila donne e ultracinquantenni assunti con altri incentivi. Per loro qualcosa è cambiato.
Anche se ovviamente non basta a compensare la chiusura di tante imprese. Per accelerare la ripresa
dobbiamo tagliare i salari o dare più soldi agli italiani per favorire la domanda interna? Serve la riduzione del
costo del lavoro. Non della parte salariale, quanto del cuneo fiscale. Abbiamo ridotto per la prima volta da
anni i premi Inail pagati dalle imprese e dato 3 miliardi di liquidità a costo zero per tre mesi alle imprese
rinviando il pagamento dei premi a maggio, proprio per sostenere la ripresa. Ma devono crescere anche gli
investimenti. Con la legge di stabilità e riusando fondi comunitari abbiamo aumentato le risorse per
investimenti pubblici e per lavori nei Comuni. E bisogna destinare risorse per nuove imprese condotte da
giovani, come abbiamo fatto con i finanziamenti di giugno, cui ora si aggiungono i fondi della Banca europea
per gli investimenti, che usa il decreto Giovannini come cornice giuridica. I manager Electrolux dicono: i
lavoratori italiani costano troppo. Se si guarda il costo del lavoro reale, salari più oneri sociali al netto
dell'inflazione, fatto 100 il 2007 ora siamo a 87. Una riduzione di 13 punti, la stessa che c'è stata in Spagna,
tanto celebrata per la sua riforma del lavoro, dove la disoccupazione è però doppia di quella italiana.
Diminuire le ore lavorate e i salari può avere un senso in un momento di crisi, ma non consente di far ripartire
la domanda interna. Il trasferimento all'estero della sede legale e fiscale della nuova Fiat è un problema? Le
multinazionali fanno le multinazionali: è naturale che guardino ai costi. Per colpa del peso del debito pubblico,
la nostra pressione fiscale sulle imprese è molto alta. Ma nelle unità produttive italiane c'è personale
qualificato che non è facile trovare altrove. Dicono che il Jobs Act di Matteo Renzi non le sia piaciuto. Quando
Renzi lo ha annunciato ho lodato il fatto che si tornava a parlare di lavoro. Le proposte sono ancora in fase di
elaborazione e nel frattempo sono arrivate altre idee, che si aggiungono a quelle del governo. Ora serve una
sintesi, per migliorare le regole del mercato del lavoro. Che però non è fatto solo di regole. Abbiamo lavorato
con le Regioni per la Garanzia Giovani: i centri per l'impiego e le agenzie private per la prima volta saranno in
rete tra loro e i giovani che si iscriveranno a questo programma saranno "con-tendibili", si potrà offrire loro un
lavoro, un tirocinio, una esperienza di servizio civile o di autoimprenditorialità da qualunque parte d'Italia, non
solo dagli uffici della Provincia di residenza. È una rivoluzione, anche se meno visibile di una proposta di
legge. Il suo nome è tra quelli considerati più in bilico in caso di rimpasto. Se la sua esperienza si dovesse
chiudere a breve, le resterebbe qualche rimpianto? Con maggiori fondi a disposizione si sarebbe potuto fare
di più, le politiche del lavoro costano. Ma questo governo ha messo 5 miliardi sul lavoro, sia per le politiche
passive che attive, queste ultime in aumento del 20 per cento. Politiche che ora vanno realizzate appieno.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/02/2014
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"Sbagliato fermarsi adesso, i partiti ci aiutino a fare il salto"
11/02/2014
Il Fatto Quotidiano
Pag. 6
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/02/2014
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Abbiamo messo in cantiere molte cose che produrranno risultati nel 2014, sarebbe un peccato che questa
spinta venisse interrotta. Non per me, o per il governo, ma per i beneficiari di questi interventi. Spero che un
rinnovato spirito unitario delle forze politiche che sostengono il governo ci consenta di completare un salto
che abbiamo già iniziato, per esempio mettendo 800 milioni per la lotta alla povertà, cosa mai fatta nel
passato. L'allontanamento di Antonio Mastrapasqua dall'Inps per i suoi conflitti di interesse è uno spartiacque
o solo spoil system? È uno spartiacque: il fatto che il governo abbia deciso di presentare un disegno di legge
che determina l'incompatibilità, non solo per l'Inps, ma per molti altri enti nazionali è di grande importanza.
Cosa pensa dallo scontro Landini-Camusso dentro la Cgil sulla legge sulla rappresentanza? È bene che un
ministro non entri in questi aspetti, ma il tema della rappresentanza è molto rilevante. Il governo ha scelto di
lasciare alle parti sociali il compito di trovare un accordo, poi raggiunto da Cgil, Cisl e Uil e Confindustria, cui
ora si uniscono altre parti. Certo, in alcune aree economiche è più difficile applicarlo. Ma è meglio che prima
le parti sociali facciano i loro accordi e solo dopo ci sia, se necessario, un intervento legislativo. MINISTRO
DEL WELFARE Enrico Giovannini, economista, è stato capo della statistica per l'Ocse e dal 2009 al 2013
presidente dell'Istat. È uno dei ministri tecnici del governo Letta Ansa
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