Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Capitolo 7 DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE a cura di Vittoria Perrotti Giovanna Orsini Guido Novello Antonio Scarano Maurizio Piattelli Orazio Martini Fabrizio Morelli Lorenzo Ravera 69 Implantologia Pratica 70 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE LE ATROFIE OSSEE DEI MASCELLARI a cura di Vittoria Perrotti Giovanna Orsini 71 Implantologia Pratica Introduzione Le ossa mascellari si distinguono dagli altri distretti dell’organismo poiché presentano un caratteristico riassorbimento dei processi alveolari. Infatti, in assenza di riabilitazione protesica, in una bocca totalmente edentula si innescano una serie di alterazioni morfologiche, che hanno come risultato un’atrofia cosiddetta da non uso (fig. 1-3). La prima formazione ad essere interessata da queste modificazioni è il processo alveolare, che va incontro ad una riduzione, prima in ampiezza e poi in altezza, a carattere progressivo ed in senso centripeto. L’entità del riassorbimento ha la massima espressione nei primi tre mesi dopo un’estrazione, si riduce dopo sei mesi e tende ad una relativa stabilizzazione tra il primo e il secondo anno. Se l’atrofia è di grado moderato, il processo alveolare assume forma a “U” ed è ricoperto da osso compatto; in caso di atrofia più accentuata, diviene sottile e acuto; se infine l’atrofia è grave, può scomparire completamente1. 72 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Classificazione e Anatomia dei mascellari atrofici Nella letteratura scientifica degli ultimi anni sono state proposte numerose classificazioni del riassorbimento osseo nei mascellari edentuli2-7. La più versatile, da un punto di vista clinico, resta quella di Cawood e Howell8 del 1988, in base alla quale, sia nella mandibola che nel mascellare superiore, si possono distinguere sei classi: * Classe I: alveolo con elemento dentario; * Classe II: alveolo post-estrattivo; * Classe III: cresta alveolare post-estrattiva tardiva; * Classe IV: cresta a lama di coltello, di altezza adeguata, ma spessore insufficiente; * Classe V: cresta piatta sia in altezza sia in spessore; * Classe VI: cresta depressa. Come precedentemente accennato, la perdita di elementi dentari provoca un’evoluzione in senso atrofico dei tessuti di sostegno, caratterizzata da modificazioni scheletriche che portano ad una considerevole alterazione nella configurazione delle ossa residue in corrispondenza del mascellare superiore e della mandibola. Il riassorbimento osseo ha un andamento centripeto nel mascellare superiore e centrifugo nella mandibola, poiché viene condizionato dal diverso sviluppo morfologico che i processi alveolari hanno nelle due arcate9-10. Questo processo involutivo della cresta ossea comporta, inoltre, modificazioni nella qualità e nella quantità dei tessuti molli di rivestimento, con riduzione o perdita totale della gengiva fissa cheratinizzata ed esuberanza di mucosa alveolare mobile11. In corrispondenza del mascellare superiore, si osserva spesso un restringimento dell’arcata dentale. Nella regione molare questo restringimento è di solito trascurabile, mentre risulta molto pronunciato nella regione premolare, canina e incisiva. La riduzione del raggio di curvatura dell’arcata superiore è determinata dall’obliquità vestibolare del processo alveolare, che segue l’inclinazione assiale degli elementi dentari1. Nella mandibola, il riassorbimento del processo alveolare ha un andamento centrifugo, che provoca un allargamento dell’arco residuo nella regione dei molari, determinato dall’inclinazione linguale dei molari mandibolari e dei loro processi alveolari. Nella regione anteriore della mandibola, le modificazioni dell’arcata variano individualmente in seguito alla diversa inclinazione dei canini e degli incisivi inferiori1. Se l’atrofia da non uso coinvolge altre regioni del mascellare superiore e della mandibola, l’osso residuo può entrare in rapporto con formazioni che normalmente sono molto lontane dal processo alveolare. In corrispondenza del mascellare superiore, la spina nasale anteriore può trovarsi a sporgere quasi all’estremità anteriore della cresta residua ed il processo zigomatico può partire direttamente dai suoi settori latero-posteriori. In corrispondenza delle porzioni posteriori, l’atrofia può spingersi così indietro da raggiungere l’uncino del processo pterigoideo e farlo divenire sporgente al di sotto della cresta alveolare. In casi di atrofia estrema, il pavimento del seno mascellare può presentarsi assottigliato e discontinuo in più punti. Nel processo alveolare inferiore, quando l’atrofia si estende alla parte superiore del corpo della mandibola, la cresta ossea può scendere fino a livello della protuberanza mentoniera in avanti, e a livello delle spine mentali al Fig. 1 e 2 Atrofia del processo alveolare del mascellare superiore. Si osserva osso maturo con ampi spazi midollari. Colorazione eseguita con blu di toluidina e fucsina acida. 10X Fig. 3 Atrofia del mascellare superiore. Sono presenti scarse trabecole ossee. Colorazione eseguita con blu di toluidina e fucsina acida. 4X 73 Implantologia Pratica di dietro della lamina mentale. Nella regione distale, questo processo involutivo può raggiungere la linea obliqua e, in casi di estrema atrofia da non uso della mandibola, il margine superiore dell’osso può avvicinarsi gradualmente a livello del canale mandibolare e del foro mentoniero. La parete superiore del canale mandibolare può divenire estremamente sottile e discontinua in più punti. Se l’atrofia mandibolare raggiunge un grado estremo, la cresta alveolare può scendere al di sotto del fondo del solco sottolinguale e le ghiandole sottolinguali possono anche sporgere sopra il livello della cresta alveolare. In casi di atrofia pronunciata, anche i frenuli e le inserzioni muscolari possono assumere una posizione superficializzata12. e quindi consentire un’adeguata metodica implantare (fig. 4, 5). Brusati e coll. hanno evidenziato come sia essenziale ristabilire i rapporti tridimensionali scheletrici maxillo-mandibolari, ripristinando i tessuti di sostegno prima o contemporaneamente al posizionamento di impianti16. È necessario inoltre scegliere accuratamente il protocollo chirurgico da applicare, anche perché ci si può trovare di fronte a quadri clinici estremamente eterogenei in cui, in zone diverse dell’arcata di uno stesso paziente, ci sono diversi gradi di riassorbimento1619 . Per quanto riguarda la scelta di una metodica implantare, essa dipenderà dall’orientamento clinico del chirurgo e dalle diverse esigenze protesiche20-21. Il trattamento implanto-protesico rappresenta il trattamento principe nella riabilitazione della mandibola edentula22. In particolare, la zona di elezione è rappresentata dalla regione frontale o interforaminale, che generalmente conserva una sufficiente quantità d’osso in altezza per consentire l’inserimento di impianti dentari20. Nei casi gravemente atrofici è spesso necessario ricorrere alla terapia di rigenerazione ossea guidata e ad innesti di osso autologo o biomateriali alloplastici. Queste metodiche possono essere utilizzate in combinazione. Eziopatogenesi delle atrofie dei mascellari La causa principale delle atrofie dei mascellari è rappresentata dalla perdita degli elementi dentari, che può avvenire in seguito a carie, affezioni parodontali, combinazione delle precedenti e restauri traumatici (otturazioni, corone, protesi); mentre il numero dei denti perduti in seguito a motivi puramente chirurgici è modesto. Con il passare degli anni, aumenta il contributo delle affezioni parodontali alla perdita di elementi dentari, mentre pare diminuire il contributo apportato dalla carie. Per quanto riguarda le influenze sistemiche è fondamentale valutare il metabolismo del calcio e i fattori ad esso correlati, ossia tutte le situazioni in cui si ha un diminuito apporto di questo elemento: diete povere di calcio, malattie da malassorbimento e patologie connesse ad inadeguato assorbimento della vitamina D. Gli organi deputati all’assorbimento del calcio sono rappresentati dal fegato, dai reni e dall’intestino: qualsiasi alterazione della funzionalità di questi apparati è in grado di creare malassorbimento della vitamina D, elemento indispensabile per l’utilizzo del calcio a livello osseo. Molto importante è il ruolo del metabolismo dell’ormone paratormone, anche se paradossalmente uno studio condotto da Lekkas non è stato in grado di evidenziare una correlazione significativa tra iperparatiroidismo e altezza residua della cresta alveolare13. È altresì nota la stretta correlazione esistente tra osteoporosi e menopausa, che si traduce in una relazione diretta tra diminuzione di 17 beta estradiolo, ormone di produzione ovarica, e densità ossea. Gli estrogeni svolgerebbero anche un’azione positiva, promuovendo la trasformazione di calcifediolo in calcitriolo, che è il metabolita più efficace nello stimolare l’assorbimento intestinale del calcio. Il bilancio negativo delle donne in menopausa potrebbe essere correlato anche ad un’aumentata produzione di interleuchina1(IL-1), che rappresenta un potente stimolatore del riassorbimento osseo14-15. Principi Guida per il Trattamento Terapeutico Le attuali possibilità riabilitative dei pazienti con mascellari atrofici di classe IV, V, VI prevedono l’impiego di tecniche di rigenerazione ossea, da sole o combinate a diverse tecniche accrescitive (trattate in capitoli specifici), al fine di ottenere un ripristino dei tessuti andati perduti in parte o totalmente Fig. 4 e 5 Mascellare superiore post sinus lift a 3 mesi. Il tessuto osseo si presenta maturo e ricco di lacune osteocitarie. Colorazione eseguita con blu di toluidina e fucsina acida. 4X 74 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE PROCEDURE CHIRURGICHE RIABILITATIVE a cura di Guido Novello 75 Implantologia Pratica Introduzione e classificazione dei difetti ossei Nell’obiettivo di mantenere il principio “dell’implantologia guidata protesicamente” e quindi di garantire solide basi strutturali ad impianti di adeguate dimensioni per una protesi congrua che ripristini funzioni ed anche estetica, abbiamo spesso la necessità di utilizzare alcune tecniche chirurgiche accessorie per compensare difetti ossei, di svariate origini, che interrompono la continuità dell’arcata alveolare o non danno sufficienti dimensioni quali e quantitative per ospitare gli impianti preposti al carico masticatorio. L’origine di questi difetti può essere traumatica, da avulsione dentarie con o senza fratture alveolari; iatrogena, dall’uso incongruo di protesi mobili a supporto mucoso, in particolare nelle malocclusioni (2a e 3a classe scheletrica con riassorbimenti dei gruppi frontali inferiori e superiori); esito di parodontopatie, le più frequenti e ad andamento più rapido perché supportate da infezioni batteriche; metaboliche, esito di malattie sistemiche (osteoporosi, diabete, menopausa, paratiroidismi, fumo) che interessano il metabolismo del calcio. Il risultato è un cambiamento morfologico delle ossa mascellari, con un abbassamento strutturale dell’anatomia della cresta alveolare sui tre piani dello spazio, che crea, in funzione del distretto interessato, abbassamenti verticali della cresta, assottigliamenti in spessore fino a ridurla alle corticali, avvallamenti trasversali con difetti monocorticali o andamenti a “becco” della cresta. Dal punto di vista biodinamico la conseguenza più eclatante che rileviamo negli abbassamenti verticali è l’aumento dello spazio interocclusale, soprattutto nei settori diatorici, che nelle riabilitazioni protesiche può portare all’inversione del rapporto corona-radice (1/3 : 2/3). Questo richiederà particolare attenzione in fase di progettazione protesica, per la distribuzione dei carichi in funzione del numero degli impianti, delle dimensioni della struttura protesica, degli spessori e forma della travata. Il difficile compromesso sarà di natura estetica per l’aumentata dimensione dei denti, per la perdita del profilo corticale, per la riduzione del supporto labiale e alterati profili di emergenza che richiedono particolari manovre igieniche di mantenimento. Ora se è possibile accettare compromessi di natura estetica al fine di ottimizzare la funzione nei settori diatorici, non ci è concesso nei gruppi frontali che partecipano nei rapporti relazionali nel principio del sorriso. Logica conseguenza sarà il nostro impegno, nell’ambito di una progettazione riabilitativa, di ricostruire quei difetti ossei e mucosi che possono compromettere l’estetica dei gruppi frontali e la funzione dei settori masticanti. Tra le molte classificazioni proposte in letteratura ritengo quella HVC di Wang1 (fig. 1) la più semplice e di immediata lettura ai fini dell’orientamento terapeutico da adottare per la soluzione dei casi (tab. 1). Questi difetti ossei li possiamo classificare in: 1) verticali per una insufficiente altezza della cresta alveolare; 2) trasversali per difetti in larghezza della cresta alveolare; 3) misti che contemplano entrambe le esigenze. Fig. 1 Classificazione HVC dei difetti della cresta.(Tratto da Hom-Lay Wang, Khalaf Al-Shammari Classificazione HVC di difetti della cresta: una classificazione ad orientamento terapeutico. Int J Periodontics Restorative Dent 2002; 22:335-343). 76 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Classe di difetto Protesi fissa Impianto H-s Procedura di “arrotolamento” Procedura a borsa Innesto di tessuto molle inlay Procedure di espansione della cresta Innesti monocorticali a inlay/onlay GBR H-m Procedura a borsa Innesto di tessuto molle inlay Innesti monocorticali a inlay/onlay GBR H-l Innesto di tessuto molle inlay Innesto interposizionale Innesti monocorticali a inlay/onlay GBR Innesto interposizionale Estrusione ortodontica GBR V-s V-m Innesto interposizionale Innesto di tessuto molle inlay Estrusione ortodontica GBR Innesti ossei onlay Distraction osteogenesis V-l Innesto interposizionale Innesto di tessuto molle inlay (scarsa prevedibilità) GBR Innesti ossei onlay Osteogenesi a distrazione C-s Combinazione di procedure d’innesto del tessuto molle Innesti monocorticali a inlay/onlay GBR C-m Combinazione di procedure d’innesto del tessuto molle (scarsa prevedibilità) Combinazione di GBR, innesti monocorticali inlay/onlay e osteogenesi a distrazione C-l Difficile da correggere. Si può migliorare trasformandolo in un piccolo difetto con procedure combinate di innesto del tessuto molle Difficile da correggere Grandi innesti in blocco extraorale (tibia, costola, volta del cranio). Necessarie procedure multiple Tab. 1 Classificazione HVC e orientamento terapeutico da adottare per la risoluzione dei casi. (Tratto da Hom-Lay Wang, Khalaf Al-Shammari Classificazione HVC di difetti della cresta: una classificazione ad orientamento terapeutico. Int J Periodontics Restorative Dent 2002; 22:335-343). 77 Implantologia Pratica 78 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE TECNICHE rIgENEraTIvE 79 Implantologia Pratica 80 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE I bIomaTErIalI a cura di antonio Scarano maurizio Piattelli 81 Implantologia Pratica L’elevata percentuale di successi ottenuta in pazienti riabilitati con impianti osteointegrati, ha determinato un interesse della ricerca verso metodiche via via sempre più raffinate, che mirano alla possibilità di inserire impianti in zone dove vi sia un’insufficiente quantità d’osso1-3. Per fare questo occorre rigenerare l’osso distrutto da processi di riassorbimento utilizzando dei materiali che favoriscono la rigenerazione ossea. La perdita e l’insufficienza funzionale del tessuto osseo rappresentano i problemi più frequenti nelle riabilitazioni implanto-protesiche complesse. La perdita di tessuto osseo può essere compensata con un innesto di osso autologo o trapianto di osso vascolarizzato, in alternativa il chirurgo deve ingegnarsi per “ricostruire”, utilizzando i tessuti residui o con ciò che viene messo a disposizione dalla Bioingegneria. è a questo punto che si inserisce l’Ingegneria Tissutale, un nuovo campo multidisciplinare che applica i principi dell’ingegneria e delle scienze biomediche per elaborare prodotti artificiali o biologici in grado di ripristinare o comunque mantenere la funzione di tessuti ed organi danneggiati4-5. Ciò che caratterizza tali tessuti è la distinzione, durante il processo di produzione, di tre momenti fondamentali: - prelievo del tessuto naturale - procedure di ingegnerizzazione del tessuto - realizzazione vera e propria del sostituto biologico ingegnerizzato. In queste tre fasi, il passaggio innovativo ed essenziale è rappresentato proprio dalla ingegnerizzazione che determina la trasformazione sostanziale del tessuto di origine, fino ad ottenere un prodotto finale che risulti impiantabile sull’uomo e che sia in grado di favorire o determinare in modi diversi la riparazione tessutale. Il campo dell’ingegneria tessutale elabora dunque prodotti di origine biologica fino a creare dei derivati completamente nuovi, con caratteristiche tali da essere usati durante la pratica clinica nella guarigione e nella ricostruzione ossea. Proprio nel campo della ricostruzione ossea si sono verificati negli ultimi venti anni, significativi miglioramenti con l’introduzione dei sostituti ossei6. Si definisce biomateriale un materiale concepito per interfacciarsi con i sistemi biologici per valutare, dare supporto o sostituire un qualsiasi tessuto, organo o funzione del corpo (International Consensus Conference on Biomaterials, Chester, Gran Bretagna, 1991). Il biomateriale è dunque un materiale destinato a stare a contatto con i tessuti biologici allo scopo di sostituire un organo o un tessuto. L’uso dei biomateriali ha consentito, negli ultimi 15 anni, di risolvere con successo i problemi clinici odontoiatrici relativi alla carenza di supporto osseo in parodontologia, protesi e implantologia7-8. A livello implantologico, l’utilizzo dei sostituti ossei osteoconduttori, cioè con funzione di substrato per la successiva rigenerazione ossea, ha determinato una modificazione nelle procedure chirurgiche in presenza di creste alveolari inadeguate per altezza, spessore e qualità. I sostituti ossei hanno il compito di facilitare la rigenerazione ossea sfruttando soprattutto l’effetto osteoconduttivo. La rigenerazione ossea sfrutta tre meccanismi: osteogenesi, osteoconduzione ed osteoinduzione. La rigenerazione ossea utilizza questi meccanismi e qualora si faccia ricorso all’uso di biomateriali si sfrutta soprattutto l’effetto osteoconduttivo del biomateriale. I biomateriali possono essere classificati in base alla reazione tissutale in: - biotollerati: il biomateriale è circondato da una capsula fibrosa e non da osso, è il caso degli acciai. - bioinerti: il biomateriale è circondato da osso che appare in intimo contatto, ma non esiste alcuno scambio ionico. - bioattivi: esiste un legame con l’osso circostante con il quale esiste anche uno scambio ionico, è il caso dell’idrossiapatite, biovetri e fosfato-tricalcico. Un altro modo per classificare i biomateriali è la loro riassorbibilità, si possono quindi distinguere biomateriali riassorbibili, non riassorbibili e parzialmente riassorbibili. Altra distinzione molto importante è la derivazione dei biomateriali che possono essere di origine biologica o sintetica. I biomateriali di origine biologica possono essere di origine autologa, omologa ed eterologa. Si definiscono biomateriali di origine autologa quando provengono dallo stesso paziente, si definiscono di origine omologa quando derivano da un individuo diverso ma della stessa specie ed infine di origine eterologa il biomateriale, che deriva da una specie diversa, come ad esempio di origine bovina, suina ecc. Vari materiali sono stati utilizzati per la rigenerazione, con elevate percentuali di successo degli impianti inseriti nelle aree trattate, tuttavia pochi studi hanno messo in evidenza la quantità e la qualità dell’osso rigenerato, fondamentali per l’osteointegrazione degli impianti posizionati. Il materiale da innesto, utilizzato in questa procedura, dovrebbe essere totalmente riassorbibile ed essere sostituito da osso vitale9-10. I biomateriali maggiormente utilizzati sono: osso autologo (frammenti ossei prelevati dalla cresta iliaca, dalla mandibola, dalla tuberosità mascellare, dalla teca cranica); sostituti ossei (tricalcifosfati, osso spugnoso disidratato, demineralizzato o congelato, idrossiapatite porosa, osso bovino inorganico, proteine osteoinduttive), oppure una combinazione di questi materiali. Il materiale maggiormente utilizzato e giudicato il gold standard è l’osso autologo, prelevato sia da zone intraorali che extraorali 11-13. L’uso dell’osso autologo presenta tuttavia degli svantaggi: la quantità prelevabile da siti intra-orali è limitata ed è per questo che trova scarse indicazioni nel rialzo di seno mascellare. Per reperire una maggiore quantità di osso si sono sviluppate tecniche chirurgiche che prevedono il prelievo di osso da siti extra-orali. Queste tecniche non sono però scevre da rischi post-operatori, rendendo più difficile l’approccio psicologico con il paziente che deve essere sottoposto ad 82 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE un secondo intervento chirurgico12. Da non sottovalutare, inoltre, che l’incidenza di complicazioni post-chirurgiche del sito donatore ammonta al 10%12. * Effetto induttivo (stimolazione rigenerativa). Lo schema riassume le fasi di guarigione ossea di un difetto osseo riempito con biomateriale. guarigione ossea in presenza di biomateriali La guarigione ossea è un processo complesso e dinamico che si conclude con il ripristino della continuità anatomica e funzionale. Qualora si verifichi una lesione, si innesca una cascata di eventi che portano all’iniziale deposizione di fibrina e alla formazione di un coagulo ematico14. Le piastrine rappresentano la componente piu’ importante in questa fase iniziale. Il reticolo di fibrina non solo intrappola le cellule sanguigne e arresta il sanguinamento, ma lega anche vari fattori di crescita e citochine che promuovono la risposta di guarigione15. Nelle prime ore le cellule che accorrono sono soprattutto neutrofili. Successivamente si riscontrano prevalentemente macrofagi16. In questa fase avviene la maggiore attivazione di segnali chimici, rappresentati da citochine e fattori di crescita2. Si assiste infatti alla liberazione di numerosi GFs, tra cui PDGF (“Platelet-Derived Growth Factor”) e TGF (“Transforming Growth Factor”). Questi GFs, per esempio, controllano l’afflusso di fibroblasti nel sito ove si è verificata la lesione. Altri fattori di crescita coinvolti nel processo possono essere le interleuchine, FGF (“Fibroblast Growth Factor”), TNF (“Tumor Necrosis Factor”), IGF (“Insulin-like Growth Factor”), EGF (“Epidermal Growth Factor”). Dopo alcuni giorni si ottiene la riparazione del danno e la riepitelizzazione17. Nel caso della riparazione del tessuto osseo, le piastrine rilasciano numerosi mediatori chimici, tra cui TGF che, durante l’iniziale fase infiammatoria del processo di guarigione ossea, danno inizio alla formazione del callo osseo. In questo modo, alla fase di formazione dell’ematoma come immediata risposta alla lesione, può seguire una fase di formazione intramembranosa e/o un’ossificazione di tipo endocondrale, con ricostituzione della continuità del tessuto18. Tali fenomeni includono complesse interazioni che si stabiliscono tra numerosi fattori regolatori locali e sistemici, quali fattori di crescita e differenziazione, ormoni, citochine, e componenti della matrice extracellulare. In presenza di biomateriali, i fattori di crescita vengono assorbiti o bagnano semplicemente la superficie del sostituto osseo consentendone l’integrazione con il tessuto osseo. La rigenerazione ossea guidata mediante l’utilizzo di riempitivi (biomateriali) rappresenta ormai una tecnica consolidata da decenni di sperimentazione chirurgica. Essendo un processo che comunque avviene anche senza l’intervento di farmaci, la funzione di un biomateriale è quella di coadiuvare, e possibilmente velocizzare, la naturale formazione endogena di tessuto osseo provocando: * Effetto tenda. * Riduzione del volume cavitario. * Effetto conduttivo. Intervento chirurgico Sanguinamento (il sangue riempie il difetto e bagna la superficie del biomateriale) Liberazione dei fattori di crescita osteoinducenti (proteine non collageniche) Stimolazione delle cellule mesenchimali nella porzione centrale del difetto Stimolazione delle cellule endosteali della parete ossea residua Produzione tridimensionale del collagene, posizionamento tridimensionale delle cellule ossee, mineralizzazione della fibra collagena tramite cristalli di idrossiapatite e la fosfatasi alcalina. Rimodellamento osseo sotto l’influenza del carico Si assiste dunque ad una fase infiammatoria, proliferativa e riparativa. Le caratteristiche ideali di un biomateriale sono: * Assenza di reazione da corpo estraneo * Totale riassorbimento * Effetto osteoconduttivo/osteoinduttivo * Accelerazione dei processi fisiologici di guarigione * Prevenzione dei processi di infiammazione ed infezione * Turnover uguale a quello dell’osso * Rispetto della fisiologia ossea dal punto di vista meccanico e omeostatico. Pochi dei numerosi biomateriali presenti sul mercato pos- 83 Implantologia Pratica seggono tutte le caratteristiche sopra menzionate. Ottenuta l’integrazione ossea del sostituto osseo, si assiste ad una graduale sostituzione dello stesso da parte di tessuto osseo. Il processo di riassorbimeto e di sostituzione da parte di nuovo osso avviene solitamente nell’arco di qualche anno. Biomateriali di origine biologica I biomateriali di origine biologica, sia omologa che eterologa, prima di essere usati in clinica vengono sottoposti ad una serie di trattamenti aventi lo scopo di ridurre o eliminare il rischio di risposta antigenica e di trasmissione di patologie dovute ad agenti patogeni19-21. Una volta prelevato il tessuto si esegue: * lavaggio con acqua ossigenata, alcool o altri solventi * delipilidizzazione * liofilizzazione * congelamento * deproteinizzazione * trattamento ad alte temperature (600-1200 °C) * sterilizzazione con calore o con raggi a 2,5 Mrad Non è possibile sottoporre il tessuto osseo a sterilizzazione in autoclave, in quanto il tessuto, contenendo ancora notevoli quantità di sostanza organica, subirebbe un processo di macerazione favorita dall’apporto di vapore in forma satura che porterebbe al disfacimento dello stesso in tempi rapidi. Il trattamento con acidi, alte temperature 300°C per 15-18 ore e la disidratazione con azoto liquido (-70°C) consentono di variare la componente organica rispetto alla componente inorganica. Il trattamento con i metodi sopra descritti consente di eliminare il rischio di trasmissione di patologie virali o secondarie a priori. Ovviamente il trattamento ad alte temperature determina delle modifiche strutturali dell’idrossiapatite dell’osso di partenza, modificandone anche le proprietà biologiche, che spesso risultano peggiorate se paragonate alle proprietà del materiale di partenza. Il trattamento ad alte temperature determina prima la calcinazione del materiale di partenza, producendo una forma allotropica del cristallo di idrossiapate e poi un processo di ceramizzazione. Fig. 1 Numerose particelle di osso autologo unite da osso giovane neoformato. Blu di toluidina e fucsina acida 40X. Fig. 2 L’osso neoformato circonda l’osso autologo neoformato. Blu di toluidina e fucsina acida 100X. Aspetti Biologici dei Biomateriali Osso autologo L’osso autologo è il materiale di prima scelta in quanto promuove tutti e tre i meccanismi di riparazione ossea11. A differenza degli xenoinnesti ed alloinnesti, presenta gli stessi antigeni di istocompatibilità e pertanto non determina una risposta immunitaria. L’osso autologo, prelevato da osso intraorale ed extra-orale e successivamente innestato, istologicamente si presenta con un aspetto simile a quello dell’osso ospite. In una biopsia di tessuti duri, contenente osso autologo, si osserva che tutte le particelle sono circondate da nuovo osso (fig. 1, 2, 3). Da ciò si può dedurre che l’osso innestato si comporta come un materiale osteoconduttivo. L’osso autologo è considerato il miglior materiale da innesto, per tale motivo riteniamo uti- Fig. 3 Tutte le particelle di osso sono in evidente stato di rimodellamento e di sostituzione da parte di nuovo osso. Blu di toluidina e fucsina acida 100X. 84 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE le sottolineare le differenze esistenti con altri biomateriali. La differenza più significativa con i materiali artificiali (HA, carbonato di calcio) consiste nel fatto che la particella circondata da nuovo osso è vitale, mentre le differenze esistenti con l’osso mineralizzato sembrano essere veramente minime22. L’esame istomorfometrico dimostra che la percentuale di osso neoformato è del 42%, gli spazi midollari rappresentano il 40%, mentre l’osso autologo residuo il 18%. Accanto a numerosi vantaggi economici e biologici occorre sottolineare l’unico vero svantaggio dell’osso autologo: sottoporre il paziente ad un secondo intervento chirurgico con aumentata morbilità. Occorre che il chirurgo abbia una maggiore esperienza, soprattutto se si ricorre a siti donatori extraorali. osso demineralizzato (DFDba) La demineralizzazione ed il freeze-drying del materiale osseo da innesto, determinano l’eliminazione della componente mineralizzata e la liberazione delle BMP (Bone Morphogenetic Protein) che inducono la differenziazione di cellule mesenchimali in osteoblasti, aumentandone così le potenzialità osteogenetiche23. Le particelle di osso demineralizzato che si trovano localizzate vicino all’osso pre-esistente, sembrano partecipare all’attività osteogenetica (fig. 4, 5), mentre le particelle localizzate a distanza maggiore non mostrano segni di processi di rimineralizzazione od osteogenesi24. In altre zone è possibile osservare particelle ancora non rimineralizzate all’interno dell’osso neoformato, prodotto da osteoblasti in fase attiva. Fenomeni di rimineralizzazione sono presenti all’interfaccia tra l’osso neoformato e la matrice demineralizzata. All’interno della matrice demineralizzata sono presenti nuclei di mineralizzazione, i quali tendono a fondersi tra loro, facendo assumere alla particella di osso demineralizzato una colorazione simile all’osso normale. In qualche caso la particella di osso demineralizzato è completamente circondata da osso neoformato. Le trabecole di osso neoformato Fig. 4 La porzione di osso demineralizzato a contatto con la superficie di osso preesistente è andata incontro a mineralizzazione (OS), mentre la restante parte (D) non presenta zone di mineralizzazione. Non si osservano zone di neoformazione ossea. Blu di toluidina e fucsina acida 100X. mostrano differenti aspetti microscopici: alcune hanno un aspetto di osso lamellare osteonico maturo, mentre altre hanno l’aspetto di tessuto mineralizzato distrofico, non lamellare, simile alla dentina interglobulare e con presenza di ampie lacune osteocitiche. Le particelle di DFDBA possono determinare una risposta infiammatoria, sono scarsamente riassorbibili e vanno incontro ad una parziale mineralizzazione24. Uno studio comparativo eseguito su pazienti ha dimostrato come il processo di demineralizzazione altera la risposta ossea25. L’esame istomorfometrico dimostra che la percentuale di osso neoformato è del 29%, gli spazi midollari rappresentano il 37%, mentre le particelle di DFDBA rappresentano il 34%. osso bovino inorganico L’osso bovino inorganico rappresenta un biomateriale di origine ossea bovina la cui matrice organica è stata dena- Fig. 5 In ultrastruttura si evidenziano numerose fibre collagene con scarse zone di mineralizzazione. Fig. 6 Particella di osso bovino inorganico osservata alla microscopia elettronica a scansione a trasmissione. 85 Implantologia Pratica Fig. 7 Prelievo di osso bovino inorganico prelevato dopo 8 mesi in rialzo di seno mascellare. In microscopia elettronica a scansione si osservano differenti tessuti a contatto con il biomateriale. Fig. 8 Si osserva osso neoformato (ON) a diretto contatto con la superficie dell’osso bovino inorganico. Non si osservano zone di riassorbimento o spazi otticamente vuoti. Fig. 9 In un campo si osserva una cellula multinucleata (M) in corrispondenza di una zona di riassorbimento (R) della particella di osso bovino inorganico (B). Fig. 10 Interfaccia tra osso bovino inorganico ed osso giovane neoformato in ultrastruttura. turata ed eliminata, rimane soltanto la porzione mineralizzata (fig 6). Innestato in difetti ossei umani appare, dopo il periodo di guarigione, circondato da osso neoformato (fig. 7, 8). Le lacune osteocitarie presenti nelle particelle disposte più perifericamente sembrano essere sempre riempite da osteociti, mentre nelle particelle disposte in una zona più centrale, all’interno delle lacune osteocitarie (fig. 9, 10), si osservano cellule con caratteristiche morfologiche differenti dagli osteociti; solo in alcuni casi le lacune osteocitarie appaiono vuote26. Mancano spazi otticamente vuoti all’interfaccia tra osso neoformato e osso bovino inorganico (fig. 11). Dalle osservazioni istologiche si evince come l’osso bovino inorganico sia un materiale scarsamente riassorbibile27. Studi a lungo termine eseguiti sul rialzo del seno mascellare mettono in evidenza la scarsa riassorbibilità del materiale. L’esame istomorfometrico dimostra che la percentuale di osso neoformato è del 39%, gli spazi midollari rappresentano il 34% mentre l’osso bovino inorganico residuo è del 27%. Fig. 11 Deposizione di matrice osteoide sulla particella di osso bovino inorganico in microscopia ottica (in alto a sinistra) ed in microscopia elettronica (a destra). 86 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Idrossiapatite L’idrossiapatite Ca10(PO4)(OH)2 nella sua forma naturale, estratta dai coralli marini, è molto porosa; viceversa le forme sintetiche sono ceramiche la cui porosità e solubilità chimica risultano molto ridotte e possono essere controllate alla produzione. La maggior parte delle particelle di idrossiapatite sono circondate da osso (fig. 12). In alcune zone le particelle sembrano essere cementate da osso neoformato di spessore variabile. Piccoli spazi midollari sono presenti tra le particelle e, all’interno di questi spazi, si osservano cellule mesenchimali ed alcuni capillari (fig. 13). è da considerarsi un biomateriale scarsamente riassorbibile28. L’esame istomorfometrico dimostra che la percentuale di osso neoformato è del 41%, gli spazi midollari rappresentano il 30%, mentre l’idrossiapatite residua è del 31%. Fig. 12 Granuli di idrossiapatite in osso neoformato. Blu di toluidina e fucsina acida 100X. Fig. 13 Alcune particelle di HA in fase di sostituzione ossea. Blu di toluidina e fucsina acida 400X. Fig. 14 Particelle di carbonato di calcio (B) in parte circondate da osso ed in parte in fase di riassorbimento. Blu di toluidina e fucsina acida 200X. Carbonato di calcio è un biomateriale costituito soprattutto da carbonato di calcio sotto forma di aragonite (97-98%), stronzio, fluoruro, magnesio, sodio, potassio. Possiede una porosità di più del 45%, con pori di circa 150 µm di diametro. Le particelle di carbonato di calcio sono unite da tessuto osseo neoformato. All’interfaccia tra carbonato di calcio ed osso neoformato non è possibile osservare la presenza di spazi otticamente vuoti (fig. 14). In alcune porzioni, dalla superficie del granulo di carbonato di calcio si riscontrano delle aree di riassorbimento. La formazione di osso sembra iniziare direttamente sulla superficie esterna del biomateriale: in alcuni casi, vicino alle particelle del biomateriale, è possibile osservare la presenza di cellule mesenchimali che si trasformano in pre-osteoblasti ed osteoblasti e la presenza di matrice osteoide. In nessun campo si individuano cellule infiammatorie29. Occasionalmente sono presenti piccoli capillari negli spazi midollari che si trovano tra Fig. 15 Trabecole ossee (O) che colonizzano le particelle di carbonato di calcio. Blu di toluidina e fucsina acida 200X. 87 Implantologia Pratica le particelle (fig. 15). L’esame istomorfometrico dimostra che la percentuale di osso neoformato è del 42%, gli spazi midollari rappresentano il 40%, mentre il biomateriale residuo il 18%. distinguere la particella dall’osso a contatto con essa. L’osso neoformato unisce tutte le particelle tra loro. In nessun campo si è osservata la cavitizzazione delle particelle con neoformazione di osso, che viene invece a formarsi attorno alle porzioni più esterne dei granuli (fig. 16). È un biomateriale che si riassorbe nell’arco di 12-18 mesi (fig. 18)30. L’esame istomorfometrico dimostra che la percentuale di osso neoformato è del 40%, gli spazi midollari rappresentano il 42%, mentre l’osso autologo residuo 18%. Biovetri I Biovetri (BV) sono costituiti da particolari granuli di vetro attivo e amorfo, di 300-350 µm di diametro, costituiti a loro volta dal 45% in SiO2, dal 24,5% in CaO, dal 24,5% in NaO2 e dal 6% in P2O5, conosciuti come 45S5. Il BV diventa adesivo dopo essere venuto a contatto col sangue, il che ne facilita la manipolazione e può essere applicato direttamente nel sito del difetto o mischiato precedentemente al sangue del paziente. Le particelle di biovetro si presentano circondate da osso neoformato e l’osservazione ad alto ingrandimento dell’interfaccia osso-biovetro non ha rivelato nessuno spazio otticamente vuoto, tanto che alcune volte è impossibile Acido polilattico/acido poliglicolico Si tratta di un materiale sintetico, riassorbibile, formato da un polimero di acido polilattico e poliglicolico, che viene degradato nel giro di 50-60 giorni. Nelle biopsie è presente osso corticale, maturo, con segni di rimodellamento nel terzo apicale, mentre nella parte centrale e coronale si riscontra osso più trabecolare. In alcune aree è possibile osservare Fig. 16 Granuli di biovetro in fase di riassorbimento, scarse le trabecole ossee in neoformazione. Blu di toluidina e fucsina acida 400X. Fig. 17 Residui di acido polilattico/acido poliglicolico (freccia) in osso neoformato. Blu di toluidina e fucsina acida 100X. Fig. 18 L’osso neoformato ha completamente sostituto i granuli di biovetro. Blu di toluidina e fucsina acida 100X. Fig. 19 Osso in rimodellamento, scarsa la quantità di acido polilattico/acido poliglicolico residuo. Blu di toluidina e fucsina acida 100X. 88 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE osso non ancora mineralizzato. Non è stata osservata la presenza di infiltrato infiammatorio (fig. 17, 19)31. Al rientro chirurgico, le particelle del materiale innestato non venivano identificate e anche l’istologia mostrava che il materiale era completamente riassorbito. L’analisi istomorfometrica mette in evidenza una percentuale di osso mineralizzato di 43%, una percentuale di acido polilattico/poliglicolico del 1%, quindi gli spazi midollari rappresentavano il 56%. matrice bovina inorganica addizionata di un peptide sintetico Questo biomateriale è una nuova combinazione di matrice di HA derivata da osso bovino naturale anorganico a cui è assorbito un peptide sintetico capace di legare cellule ed in grado di migliorare i risultati in difetti parodontali infraossei. L’HA porosa derivata dall’osso bovino ha delle dimensioni di 250-420 µm. La matrice con il peptide emula le proprietà del collagene nel promuovere il legame, la migrazione e la differenziazione cellulare. In realtà si è visto che la matrice bovina inorganica addizionata di un peptide sintetico promuove il legame e la proliferazione dei fibroblasti del legamento parodontale sulle particelle di HA naturale e sintetica e permette la migrazione delle stesse sul gel di agarosio. Istologicamente la maggior parte delle particelle di matrice bovina inorganica addizionata di un peptide sintetico trovate insieme all’osso neoformato (fig. 20, 21, 22), non mostrano segni di riassorbimento e sono completamente circondate da osso maturo. L’osso è a diretto contatto con le particelle del biomateriale e non sono presenti gap tra la matrice bovina inorganica addizionata di un peptide sintetico e l’osso32. Non si riscontrano infiltrato infiammatorio o cellule multinucleate intorno alle particelle di biomateriale. L’analisi istomorfometrica mette in evidenza una percentuale di osso mineralizzato del 40% ed una percentuale di matrice bovina inorganica addizionata di un peptide sintetico del 23%, quindi gli spazi midollari rappresentano il 37%. Fig. 20 Porzione di matrice bovina inorganica addizionata di un peptide sintetico circondata da tessuto osso. Blu di toluidina e fucsina acida 200X. Fig. 22 Particella di matrice bovina inorganica addizionata di un peptide sintetico in uno spazio midollare. Anche in assenza di osso nativo si osserva osso in neoformazione al centro della particella. Blu di toluidina e fucsina acida 100X. Solfato di calcio Il solfato di calcio è stato utilizzato per la prima volta come sostituto osseo in ortopedia nel 1900; da allora è stato utilizzato in odontoiatria, per rigenerare siti parodontali, difetti peri-implantari e come riempimento nel rialzo di seno mascellare 33-35, in otorinolaringoiatria 36 ed in ortopedia37. Peltier et al. hanno usato il solfato di calcio mischiandolo con osso autologo o allogenico ed hanno osservato che difetti ossei di cani o di pazienti avevano un periodo di guarigione più veloce rispetto ai difetti non riempiti con il solfato di calcio. Negli ultimi anni, altri ricercatori hanno usato il solfato di calcio in difetti parodontali ed implantari, dimostrando che i difetti ossei parodontali ed endodontici andavano incontro a guarigione. Recentemente è stato utilizzato per riempire lo spazio creato dalla distrazione ossea; uno studio di Ruhaimi ha messo in evidenza come i siti trattati con Fig. 21 L’osso colonizza il centro della particella di matrice bovina inorganica addizionata di un peptide sintetico. Blu di toluidina e fucsina acida 200X. 89 Implantologia Pratica Fig. 23 Primissime fasi di guariogione di difetto osseo riempito con solfato di calcio. Numerosi globuli rossi in contatto con il solfato di calcio. Osservazione in Microscopia elettronica a trasmissione. Fig. 24 Particolare dell’immagine precedente a maggiore ingrandimento. Fig. 25 Difetto osseo riempito con solfato di calcio. Il solfato di calcio (freccie) appare di colore nerastro, poche le trabecole ossee in neoformazione. Blu di toluidina e fucsina acida 20X. Fig. 26 Difetto trattato con solfato di calcio dopo 20 gg. Si osserva il solfato di calcio (frecce bianche) e numerose trabecole ossee in neoformazione (frecce nere). Blu di toluidina e fucsina acida 20X. Fig. 27 Particolare dell’immagine precedente. Trabecole ossee in neoformazione all’interno del solfato di calcio. Blu di toluidina e fucsina acida 50X. Fig. 28 Biopsia di tessuto rigenerato nel grande rialzo di seno mascellare eseguito dopo 9 mesi. Blu di toluidina e fucsina acida 40X. 90 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Fig. 29 Altro caso di rigenerazione ossea nel grande rialzo di seno mascellare. Blu di toluidina e fucsina acida 50X. Fig. 30 Solfato di calcio (S) in difetto osseo. Blu di toluidina e fucsina acida 40X. Fig. 31 Trabecole ossee in fase di neoformazione (freccia). Blu di toluidina e fucsina acida 50X. Fig. 32 Solfato di calcio quasi completamente sostituito da nuovo osso. Blu di toluidina e fucsina acida 100X. il solfato di calcio presentavano fenomeni di osteogenesi superiore ai siti controllo38. Ottimi risultati sono stati ottenuti dall’utilizzo del solfato di calcio nel riempimento di cavità ossee residue dopo asportazione di lesioni benigne. Il materiale è stato utilizzato anche come membrana per la rigenerazione dei tessuti parodontali o peri-implantari ed alcuni autori suggeriscono di utilizzare il solfato di calcio come membrana, soprattutto quando è difficile ottenere una chiusura primaria30. L’osservazione a piccolo ingrandimento mette in evidenza tessuto osseo neoformato con ampie cavità osteocitarie. In alcuni campi si osservano dei piccoli residui di solfato di calcio, di aspetto grigio scuro, circondati da osso o da cellule ad attività fagocitaria. Si notano anche depositi di fosfato di calcio che appaiono come delle zone diffuse, colonizzate da cellule presumibilmente mesenchimali e da fluidi biologici (fig. 23, 24). In nessun campo si riscontrano cellule infiammatorie (fig. 25-32). L’osservazione dei preparati istologici in luce po- larizzata permette di valutare meglio i piccoli residui delle particelle di solfato di calcio che presentano una caratteristica birifrangenza (fig. 26)40. L’analisi istomorfometrica mette in evidenza una percentuale di osso mineralizzato di 48%, una percentuale di solfato di calcio del 13%, quindi gli spazi midollari rappresentano il 39%. 91 Implantologia Pratica Conclusioni Nessuna differenza è stata riscontrata clinicamente con l’utilizzo dei diversi biomateriali. I numerosi studi clinici mettono in evidenza una percentuale alta di sopravvivenza degli impianti inseriti in osso rigenerato con i diversi biomateriali. Molti ricercatori, al fine di chiarire l’utilità di un biomateriale nella rigenerazione, hanno eseguito delle biopsie ossee per la valutazione istomorfometrica ed istochimica. In tutti i prelievi è stato osservato osso neoformato, che unisce le particelle dei vari biomateriali; ciò significa che nessun biomateriale preso in considerazione ha inibito la neoformazione ossea. Tuttavia i fenomeni di neoformazione ossea non sono sufficienti a chiarire l’utilità di un biomateriale rispetto ad un altro. Sono state prese in considerazione la quantità di osso mineralizzata, la quantità di spazi midollari e la quantità di biomateriale residuo. Prendendo in considerazione questi parametri, si riscontrano delle differenze tra i vari biomateriali. In modo particolare per ciò che riguarda la quantità di biomateriale residuo. L’acido polilattico/acido poliglicolico risulta il biomateriale più riassorbibile, seguito dal solfato di calcio, dai biovetri, dal carbonato di calcio, idrossiapatite, matrice bovina inorganica addizionata di un peptide sintetico, osso bovino inorganico e DFDBA. Occorre fare anche alcune riflessioni riguardo alla quantità di materiale residuo e alla quantità di osso rigenerato in funzione della fisiologia ossea. Il turnover del tessuto osseo è di circa 7-12 mesi, quindi un biomateriale deve avere un rimaneggiamento di tipo osteoclastico ed essere completamente riassorbito in tempi di 7-12 mesi. Tempi di riassorbimento superiore o inferiori ai 7-12 mesi non rispettano la fisiologia ossea, in quanto non entrano nel meccanismo del turnover osseo. Il sostituto osseo ideale è quindi quello che ci consente di ottenere tessuto osseo, attraverso i meccanismi sopra descritti ed essere totalmente riassorbibile. Diversamente alla fine del processo di guarigione ossea in presenza di biomateriale otterremo un mix di osso/biomateriale di cui ignoriamo le caratteristiche meccaniche e biologiche. 92 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE RIGENERAZIONE OSSEA GUIDATA a cura di Giovanna Orsini 93 Implantologia Pratica Introduzione dobbiamo però aspettare l’inizio degli anni ‘80, quando il gruppo di ricerca di Nyman e coll. cominciò a studiare, in maniera sistematica, l’uso di membrane nella rigenerazione parodontale. Grazie a questi primi promettenti risultati, alla fine degli anni ‘80 iniziò una intensa sperimentazione clinica sulla rigenerazione ossea4-5. Negli ultimi 15 anni l’utilizzo di membrane come barriere per facilitare la rigenerazione del tessuto osseo ha contribuito a migliorare i risultati in implantologia1. Il concetto di rigenerazione ossea guidata (GBR: “guided bone regeneration”) fu introdotto per la prima volta da Hurley e coll. nel 1959, per il trattamento della fusione spinale sperimentale2. Negli anni ‘60 furono sperimentati filtri microporosi di laboratorio (Millipore) come ausilio alla guarigione di difetti ossei3. Per l’impiego clinico e sperimentale delle membrane 94 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Basi scientifiche della GBR La ricostruzione di grossi difetti ossei è stata da sempre un problema da affrontare in ortopedia e chirurgia orale. I deficit ossei possono essere causati da trauma, infezione, resezioni per tumori maligni del cavo orale e delle ossa mascellari. Inoltre, la sempre più alta richiesta di rimpiazzare denti mancanti con impianti, anche in zone con scarsa qualità e quantità di osso, costituisce una ulteriore indicazione al bisogno di ricorrere a metodi per la formazione di nuovo osso. Per capire come sia possibile creare nuovo osso, è necessario esaminare i meccanismi che intervengono nella riparazione del tessuto osseo6. La guarigione ossea è un processo complesso e dinamico, che si conclude con il ri- pristino della continuità anatomica e funzionale dell’osso. Qualora si verifichi una lesione, si innesca una cascata di eventi che portano all’iniziale deposizione di fibrina e alla formazione di un coagulo ematico7. Il reticolo di fibrina non solo intrappola le cellule del sangue ed arresta il sanguinamento, ma lega anche vari fattori di crescita e citochine che promuovono la guarigione8. Un ruolo preponderante è svolto dalle piastrine, che rilasciano numerosi mediatori chimici, tra cui il fattore di crescita TGF che, durante l’iniziale fase infiammatoria del processo, dà inizio alla formazione del callo osseo9-11. In questo modo, alla fase di formazione dell’ematoma, che rappresenta una risposta immediata alla lesione, può seguire una fase di ossificazione intramembranosa e/o di tipo endocondra- Fig. 1 Membrana in e-PTFE, non riassorbibile, nell’uomo. La rimozione è avvenuta dopo 9 mesi. Blu di toluidina e fucsina acida 4X. Fig. 2 Membrana in e-PTFE, non riassorbibile, nell’uomo. La rimozione è avvenuta dopo 12 mesi. Blu di toluidina e fucsina acida 4X. Fig. 3 Membrana in e-PTFE, non riassorbibile, nell’uomo: maggiore ingrandimento della figura 2. Durante la rimozione, una piccola quantità di osso neoformato è rimasta in contatto con la membrana . Blu di toluidina e fucsina acida 10X. Fig. 4 Membrana in e-PTFE, non riassorbibile, nel coniglio. La membrana è rimasta in sede 15 giorni ed è stata associata al solfato di calcio. Blu di toluidina e fucsina acida 4X. 95 Implantologia Pratica le, con ricostituzione della continuità del tessuto (revisione in Bostrom, 1998)12. Il maggiore ostacolo al processo di formazione di nuovo osso è costituito dalla presenza di tessuto connettivo molle, che può disturbare o prevenire totalmente l’osteogenesi nell’area della lesione o del difetto1. Infatti, i fibroblasti sono in grado di produrre uno o più fattori inibitori della differenziazione delle cellule ossee e quindi dell’osteogenesi1. Le membrane sono utili a creare un compartimento protettivo del coagulo sanguigno, ed in particolare a mantenere lo spazio necessario al processo di osteogenesi e ad escludere la proliferazione di cellule dei tessuti molli5. Principi e materiali per GBR La GBR rappresenta un’evoluzione della rigenerazione tissutale guidata (GTR: “guided tissue regeneration”), che viene utilizzata per la rigenerazione dei tessuti persi a seguito della malattia parodontale. Le procedure di GBR sono correlate soprattutto all’implantologia, nei casi in cui ci siano spessori ossei inadeguati all’inserimento degli impianti; vengono frequentemente utilizzate in siti postestrattivi, creste alveolari insufficienti, difetti parodontali, deiscenze e fenestrazioni in associazione agli impianti dentali13. Hermann e Buser hanno discusso cinque fattori chirurgici fondamentali per il successo delle tecniche di GBR14: * Uso di membrane adeguate; Fig. 5 Membrana in ePTFE, non riassorbibile, nel coniglio. La membrana è stata usata in associazione all’ osso autologo. Prelievo a 30 giorni. Blu di toluidina e fucsina acida 4X. Fig. 6 Membrana in ePTFE, non riassorbibile, nel coniglio. La membrana è stata usata in combinazione con osso autologo. Blu di toluidina e fucsina acida 4X. Fig. 7 Membrana in ePTFE, non riassorbibile, nel coniglio. La membrana è stata usata in associazione al solfato di calcio. Prelievo a 30 giorni. Blu di toluidina e fucsina acida 4X. Fig. 8 Membrana in ePTFE, non riassorbibile, nel coniglio. Particolare di una parte di membrana a stretto contatto con l’osso neoformato, che si presenta compatto. Blu di toluidina e fucsina acida 10X. 96 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE * Guarigione primaria dei tessuti molli; * Creazione e mantenimento di uno spazio protetto; * Adattamento intimo e stabilizzazione della membrana rispetto all’osso circostante; * Periodo di guarigione sufficientemente lungo. I prerequisiti per una membrana-barriera ideale includono: biocompatibilità, integrazione tissutale, mantenimento di spazio, versatilità all’uso clinico. Le membrane più ampiamente documentate sono quelle di politetrafluoroetilene espanso (e-PTFE), non riassorbibili (fig. 1-3). Sono state usate per la prima volta come veicoli di “osteopromozione” da Dahlin e coll.5 in un esperimento sui ratti. Successivamente, lo stesso Autore ha verificato l’efficacia di queste membrane nei primati e, anche in questo caso, ha ottenuto una rigenerazione ossea completa dei difetti trattati15. Becker e coll. hanno esaminato la GBR in associazione ad impianti dentali, nei cani, mostrando un’elevata neoformazione ossea intorno agli impianti16. Il posizionamento immediato degli impianti in siti postestrattivi, in associazione all’uso di membrane, costituisce un’altra area di grosso interesse della GBR. Infatti questa procedura ridurrebbe il riassorbimento crestale postestrattivo, assicurando un miglior mantenimento delle dimensioni dell’osso. I primi studi sperimentali a tale riguardo sono stati effettuati da Becker e coll. e Warrer e coll.17-18. Dati recenti hanno dimostrato il largo impiego di queste metodiche che, in casi appropriatamente selezionati, hanno dato degli ottimi risultati19. Come hanno riportato numerosi Autori, l’uso di membrane e-PTFE può avere dei limiti, poiché prevede la necessità di una seconda chirurgia per la rimozione della membrana e per l’alta frequenza di esposizione della stessa20-21. Per minimizzare il disagio dei pazienti, diminuire i costi e ridurre il rischio di infezione post-operatoria sono state introdotte le membrane riassorbibili, che hanno dimostrato risultati comparabili a quelli ottenuti mediante l’uso di membrane non riassorbibili sia in studi su modelli animali22, sia in casi clinici23-24. Attualmente, le membrane riassorbibili utilizzate sono costituite da collagene, acido poliglicolico, acido polilattico, oppure copolimeri. La degradazione del materiale determina, dopo un certo periodo, la perdita dell’integrità strutturale della barriera, provocandone il collasso (revisione in Oh e coll. 2003)25. Uno dei principali problemi tecnici incontrati nelle procedure GBR per trattare difetti ossei perimplantari è costituito dal fatto che questi ultimi hanno bisogno di materiali mantenitori di spazio1. Le tecniche attuali prevedono spesso l’utilizzo di membrane riassorbibili e non, in associazione a vari biomateriali. La combinazione di queste metodiche è stata ampiamente riportata nella letteratura scientifica degli ultimi 10 anni26-39. Fig. 9 e 10 Membrana in e-PTFE, non riassorbibile, nel coniglio. A maggiore ingrandimento si nota la struttura intrecciata della membrana e l’intimo contatto con l’osso neoformato. Blu di toluidina e fucsina acida 20X. GBR in associazione a biomateriali Le procedure GBR si sono rivelate utili non solo per rigenerare osso nei difetti parodontali infraossei, ma anche per formare nuovo tessuto osseo in siti anatomici che ne sono completamente privi1. In questo caso è stata determinante l’introduzione dei biomateriali nelle diverse tecniche accrescitive dei mascellari. Il biomateriale ideale da innesto dovrebbe essere totalmente riassorbibile ed essere sostituito da osso vitale e compatto. Alcuni tra i biomateriali maggiormente utilizzati sono l’osso autologo, l’osso di banca demineralizzato o mineralizzato, l’osso bovino inorganico, l’idrossiapatite, i biovetri, il solfato di calcio, etc...40-48. Questi biomateriali possono essere utilizzati o meno in combinazione con tecniche di GBR (fig. 4-10). In generale, l’utilizzo di un biomateriale in associazione alle membrane aiuta a mantenere lo spazio, 97 Implantologia Pratica prevenendo il collasso della membrana e promuovendo l’osteogenesi. Uno studio recente ha valutato istologicamente il comportamento di diversi biomateriali utilizzati in varie tecniche di rigenerazione ossea, in chirurgia orale48. Risultati promettenti sono stati riportati nei casi in cui era utilizzato osso autologo e GBR, matrice ossea demineralizzata e GBR, osso bovino deproteinizzato e GTR52, solfato di calcio e GBR ed infine solfato di calcio da solo46. Comunque, non è stato dimostrato che l’uso combinato di GBR e biomateriali sia più efficace delle tecniche GBR da sole o dei biomateriali da soli. Mardas e coll. hanno osservato delle differenze non tanto nella quantità dell’osso rigenerato, quanto nella qualità di quest’ultimo, che appariva più maturo e compatto quando veniva usata l’associazione membrane-biomateriale52. mascellare, preparatori alla chirurgia implantare54. Il successo delle metodiche di GBR consente l’osteopromozione e permette il contemporaneo o successivo corretto posizionamento degli impianti dentali. Comunque, una rigenerazione ossea guidata prevedibile può avvenire solo a condizione che la membrana rimanga sommersa ed indisturbata per un periodo di circa sei mesi53. Anche se si rispettano le linee guida descritte da alcuni Autori per minimizzare il rischio di esposizione delle membrane e-PTFE, questa eventualità è considerata una delle complicanze più frequenti nella pratica clinica53. Il trattamento dell’esposizione della membrana e-PTFE è l’immediata rimozione della stessa, a cui può seguire un reintervento con il posizionamento di una seconda membrana, in grado di promuovere ulteriormente la maturazione dell’osso neoformato53. In conclusione, gli studi clinici e sperimentali presi in esame mettono in evidenza una alta sopravvivenza e buona qualità dell’ osso rigenerato con procedure di GBR, con o senza l’utilizzo di diversi biomateriali33-38, 40, 53, 54. Le membrane, utilizzate come barriere, si distinguono in non riassorbibili, da rimuovere, e riassorbibili, in cui non è necessario il rientro chirurgico, e vengono utilizzate rispettivamente a seconda delle esigenze cliniche e in base alla preferenza dell’operatore53. Numerosi Autori hanno dimostrato che entrambi i tipi di membrana presi in considerazione determinano neoformazione ossea4952 . Non ci sono tuttavia ancora dati sufficienti a chiarire in maniera inconfutabile l’utilità di un tipo di membrana rispetto ad un altro. Indicazioni terapeutiche in implantologia e conclusioni L’utilizzo della rigenerazione ossea guidata trova largo impiego nel campo dell’implantologia. Le membrane possono essere utilizzate: in difetti alveolari postestrattivi; in difetti ossei perimplantari a quattro pareti, quando la superficie dell’impianto è esposta, ma delimitata completamente da tessuto osseo; oppure nelle fenestrazioni implantari, in cui la porzione media o apicale dell’impianto viene esposta al di fuori della cresta ossea; o ancora nelle deiscenze implantari, quando viene esposta la parte coronale dell’impianto53. Inoltre, le metodiche GBR trovano indicazione in protocolli che prevedono un approccio a più fasi, per aumenti di cresta localizzati e interventi di rialzo del seno 98 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE PRP (Plasma Rich Platelet) a cura di Guido Novello 99 Implantologia Pratica Il gruppo del Prof. Marx R.E. pubblicò nel 1998 una metodica che utilizzava il plasma autologo concentrato per arricchire gli innesti ossei o i biomateriali dei fattori di crescita presenti nelle piastrine, accelerando la velocità di formazione dell’osso ed incrementandone la densità1-2. Le piastrine vengono isolate a partire dal sangue del paziente che centrifugato, separa la parte corpuscolata dalla parte chiara plasmatica (PRP) ed ulteriormente centrifugato dà il concentrato piastrinico (CP) ed il pellet piastrinico (PPP) che, debitamente miscelato con il calcio gluconato si trasforma in un gel utilizzato come membrana in rigenerativa3-4(fig. 4-8). Il concentrato piastrinico attivato con il calcio gluconato ed il botropase può essere miscelato all’osso autologo o ad una matrice ossea di sintesi (fig. 9). Il concentrato piastrinico è ricco di G.Fs (Grow Factors) (fig. 1) osteoinduttivi e di proteine morfogenetiche (BMPs) 5-6-7. I G.Fs sono mediatori biologici che regolano gli eventi cellulari coinvolti nella riparazione dei tessuti come la sintesi del DNA, la chemiotassi, la differenziazione e la sintesi della matrice. Tra questi il PDGF (Platelet Derived Growth Factor) che stimola la proliferazione di cellule staminali midollari ed ha azione angiogenetica (fig. 2), il TGF-β (Trasforming GFB) mitogeno per i fibroblasti e i preosteoblasti nella formazione della matrice ossea e del collagene, (fig. 3) l’IGF-I e II (insulina GF-I e II) che incrementano il numero di osteoblasti9-10-11. tutti i GFs sono contenuti nel cP dei granuli piastrinici α il PDGF stimola la proliferazione di cellule staminali midollari ed ha azione angiogenetica Fig. 1 Grow Factors. Fig. 2 PDGF. il tGF-ß promuove la differenziazione dei preosteoblasti, stimola gli osteoblasti a rilasciare matrice ossea ed i fibroblasti a depositare matrice di collagene Fig. 3 TGF- β. Fig. 4 Centrifugazione a 260 G (7 min.x1750 giri). (Cortesia del Dott. O. Martini). 100 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Fig. 5 Provette (contenenti citrato di Na) dopo centrifugazione. Si notano 4 strati: 1 fibrina (500 micro/l); 2 plasma con piastrine (500 micro/l); 3 plasma ricco di piastrine (500 micro/l); 4 globuli bianchi ed ematocrito. (Cortesia del Dott. O. Martini). Fig. 6 Con apposite micropipette si prelevano le piastrine dalla terza frazione. (Cortesia del Dott. O. Martini). Fig. 7 Il P.R.P. dopo gelificazione effettuata con CaCl (30 min.) o con Batroxobina (15 min.). (Cortesia del Dott. O. Martini). 101 Implantologia Pratica Fig. 8 Frazioni negli Eppendorf. (Cortesia del Dott. O. Martini). Fig. 9 Gel di P.R.P. mescolato con chip di osso autologo. (Cortesia del Dott. O. Martini). 102 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE TECNICHE ACCRESCITIVE a cura di Guido Novello 103 Implantologia Pratica Bone Grafting Gli innesti ossei autologhi sono prelevati da sedi donatrici in forma di tasselli spongiosi, cortico-spongiosi o “bone chips” e trasposti in sedi ospite che necessitano di interventi ricostruttivi1. Caratteristica dell’innesto autologo è la vitalità delle cellule proprie dell’osso e degli elementi mesenchimali indifferenziati che inizialmente vengono alimentati per diffusione dai fluidi extracellulari del letto ricevente. L’attecchimento invece è funzione della possibilità di rivascolarizzazione dell’innesto, condizione necessaria ai processi di riparazione osteoinduttivi ed osteoconduttivi che partecipano alla sostituzione dell’osso trasposto e ne determinano l’integrazione2-3. È stato dimostrato che cellule circolano nei vasi dell’innesto appena cinque ore dopo il trapianto e la rivascolarizzazione inizia già quarantotto ore dopo l’intervento4-5. SITI oSSEI doNAToRI pRElIEVI SEdI ENdoRAlI SEdI ExTRAoRAlI Branca orizzontale della mandibola Anca Trigono retromolare Coste Tuber maxillae Tibia Sinfisi mentoniera Calvaria Fig. 1 Sedi di prelievo osseo. Linea amelo-cementizia degli incisivi Linea amelo-cementizia dei canini Apici degli incisivi Apici dei canini Fig. 2 Sinfisi mentoniera. Fig. 3 Branca orizzontale della mandibola. Fig. 4 Trigono retromolare. 104 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Condizione necessaria affinché i processi di differenziazione cellulare siano orientati verso il fenotipo osteoblastico è la stabilità dell’innesto. L’innesto osseo deve essere considerato un fenomeno dinamico che, se sottoposto a stress meccanici intrinseci od estrinseci, subisce importanti processi di rimodellamento nella forma e nell’architettura6. In funzione della tipologia e dell’entità del difetto osseo da compensare, prediligiamo sedi di prelievo diverse che distinguiamo in intraorali ed extraorali (fig. 1) Tra le intraorali la sinfisi mentoniera, l’angolo mandibolare, il trigono retromolare, il tuber maxillae (fig. 2, 3, 4, 5). Tra le extraorali la cresta iliaca, la tibia, la calvaria, le coste. Vantaggio del prelievo intraorale è il minor costo biologico per il paziente ma, di contro la ridotta disponibilità d’osso; principio che si inverte per i siti donatori extraorali. I rischi per tutti gli innesti sono l’infezione o la necrosi dell’innesto, con possibili osteiti od osteomieliti. Questa evenienza si può verificare nei casi in cui gli innesti si espongono all’ambiente orale notoriamente infetto. È quindi importante valutare preoperatoriamente la situazione dei tessuti molli necessari a coprire l’innesto, privi di tensione. Il riassorbimento dell’innesto è un’evenienza probabile che dipende percentualmente dalla qualità e l’origine dell’innesto, la sua rivascolarizzazione e dagli stress a cui viene sottoposto. Fig. 5 Tuber maxillae. 105 Implantologia Pratica Grande rialzo del seno mascellare La perdita degli elementi dentari nei settori posteriori del mascellare superiore comporta un riassorbimento e un abbassamento della cresta alveolare che, associata alla pneumatizzazione del seno mascellare che la sovrasta, riduce l’altezza e lo spessore dell’osso a dimensioni insufficienti ad ospitare impianti di adeguate dimensioni per supportare i carichi masticatori dei diatorici7 (fig. 6). La possibilità di riabilitare questi settori con impianti osteointegrati implica necessariamente una accurata diagnosi strumentale radiografica tridimensionale che quantifichi, nei rapporti 1:1, la disponibilità di osso residuo (possibilmente anche la densità), lo spessore crestale, il volume della cavità basale del seno da riempire e lo spazio interocclusale con l’arcata antagonista. Si desume quindi che per avere anche un corretto rapporto occlusale sia consigliata una dima radiopaca e per avere i dati richiesti, una TAC spirale (denta scan), magari con un adeguato supporto software per lo studio tridimensionale (fig. 7a - 7b). Importante valutare dalle radiografie l’anatomia e la conformazione della cavità antrale (presenza di setti) e lo stato della membrana basale di Schneider per escludere eventuali patologie che possano controindicare l’intervento (sinusiti, cisti o tumori sinusali, interventi pregressi). L’indicazione quindi al grande rialzo con accesso laterale alla Caldwell-Luc, piuttosto che al mini rialzo per via crestale tipo Summers, è dato dall’altezza disponibile della cresta ossea che, se inferiore ai 5 mm depone per il primo, se superiore per il secondo8-9. Il limite non è vincolante, lo è la stabilità primaria degli impianti nei casi di inserimento contestuale. Di qui l’importanza della qualità ossea che in quei distretti è solitamente scarsa, con una densità tipo III o IV. La differenza è nel lavorare a “cielo aperto” visualizzando la membrana basale e la cavità da riempire nel primo caso, o a “cielo coperto” con maggiore cautela, idealizzando il risultato nel secondo10-11. Qualora non fosse possibile garantire la stabilità primaria degli impianti è consigliabile differire il posizionamento dai 6 ai 12 mesi in funzione del materiale utilizzato per il riempimento e dei relativi tempi di guarigione. La tecnica è quella proposta da Boyne e James nel 198012 e prevede la creazione di una finestra nella parete antero-laterale, il delicato scollamento e sollevamento della membrana basale, con adeguati strumenti e l’inserimento del materiale biologico di riempimento sul pavimento del seno mascellare (fig. 8). A tale proposito la Consensus Deve- Fig.6 Anatomia del seno mascellare. Fig. 7a Progettazione tridimensionale computerizzata. Fig. 7b Sezione tomografica dell’arcata superiore. 106 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE lopment Conference on Sinus Lift13 del 1996 ai fini della prognosi ai 5 anni ha evidenziato come “golden standard” l’osso autologo particolato, a seguire i materiali sintetici puri e mescolati ad autologhi, gli eterologhi, misti e puri e per ultimi gli omologhi. La mineralizzazione dell’innesto è centripeta ed avviene soprattutto dal pavimento e dalla parete mediale del seno per cui alcuni autori hanno previsto, in funzione dei volumi di riempimento, la differenziazione a strati dei materiali da utilizzare14. Questo handicap sarà colmato dai nuovi materiali osteoinduttivi di sintesi (BMP) attualmente allo studio. Differenza fanno le superfici e la forma implantari, la qualità ossea d’origine, il fumo e la protesizzazione sovrastante. A B C D E Fig. 8 Richiami schematici: a) Sollevamento del periostio e scolpitura della finestra ossea mediante fresa b) Distacco della finestra, con scalpello, ed inizio del sollevamento endostale c) Si completa il sollevamento con appositi scollatori, senza produrre lacerazioni d) Inserzione occlusale degli impianti, dopo aver sollevato in parte anche il lembo palatale e) Inserimento della massa di riempimento mediante applicatore e successiva sutura 107 Implantologia Pratica GRANDE RIALZO BILATERALE DEL SENO MASCELLARE CON PRELIEVO OSSEO DALLA CRESTA ILIACA inoltre una grave atrofia della cresta alveolare mascellare e presenza di sinus procidens (fig. 9). Si è proceduto all’eliminazione degli elementi in estensione, all’estrazione della radice 25, optando poi per l’intervento di grande rialzo bilaterale del seno mascellare con trapianto di osso autologo prelevato dalla cresta iliaca anteriore (Intervento eseguito in collaborazione con l’equipe del Dr. N. Mannucci presso U.O. di odontostomatologia e Chirurgia maxillo-facciale dell’Ospedale di Pordenone S. Maria degli Angeli) e qui di seguito dimostrato (fig. 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16). Dopo circa 4 mesi e mezzo è stata eseguita la TC per valutare il volume osseo, esame necessario per controllare l’andamento della cresta e scegliere di conseguenza le misure degli impianti. Si è notato così un riassorbimento maggiore dell’innesto sul lato destro, per cui abbiamo deciso di inserire gli impianti in tempi brevi (fig. 17, 18). caso clinico Dr. Sergio Dus Riassunto: Caso di paziente (40 anni) parzialmente edentula nei settori posteriori con presenza di atrofia mascellare e seno procidens, alla quale è stato eseguito intervento di grande rialzo del seno mascellare con innesto di osso autologo prelevato dalla cresta iliaca anteriore. Dopo 6 mesi sono stati inseriti gli impianti (Oralplant) 12X4.5 su 14, 16, 25, 26, 46. Mentre gli impianti di sx avevano una buona stabilità primaria, sul lato dx non si trovò una adeguata resistenza; questo fatto poteva essere imputato essenzialmente alla granulometria dell’innesto di dx più minuta. Dopo 8 mesi sono stati scappucciati gli impianti con inserimento delle viti di guarigione. L’osteointegrazione era buona si pensò tuttavia di caricarli gradualmente con degli elementi provvisori afunzionali per non traumatizzare eccessivamente l’osso ma stimolandolo lentamente e progressivamente. Fase implantare Passati più di 5 mesi dall’intervento, si è proceduto all’inserimento degli impianti (Oralplant). L’intervento di implantologia iniziò con lo scollamento del lembo, la preparazione dei siti implantari l’inserimento degli impianti, cercando di ottenere una stabilità primaria necessaria per raggiungere una migliore osteointegrazione. Mentre gli impianti dal lato sinistro avevavo una buona stabilità primaria, dal lato opposto questa stabilità era notevolmente ridotta. Infatti rivalutando poi l’intervento del rialzo del seno, l’innesto effettuato dal lato sinistro presentava una granulometria maggiore rispetto a quello del lato destro. Qui di seguito l’illustrazione dell’intervento implantare (fig. 19, 20, 21, 22, 23). Questa paziente fortemente motivata a risolvere il proprio caso con una riabilitazione di protesi fissa e non amovibile si presentò nello studio avendo una situazione di ricostruzione superiore con protesi fissa da 15 a 25 eseguita in passato e mancanza dei premolari e molari nel settore superiore destro e del II premolare e molari nel settore superiore sinistro, inoltre la mancanza dei molari inferiori di destra. All’esame radiografico si evidenziava residuo radicolare del 25 e 13 compromesso parodontalmente in seguito a trauma dovuto ai due elementi in estensione; Inserimento degli abutments La fase di protesizzazione definitiva è stata rimandata per alcuni mesi, ma la paziente ha riferito un immediato beneficio anche con gli elementi provvisori, in quanto è stata ristabilita una buona funzione masticatoria (fig. 24, 25). In seguito sono stati inseriti gli elementi definitivi in oro porcellana, raggiungendo così oltre alla funzione masticatoria un adeguato risultato estetico (fig. 26, 27). Ringrazio tutti i miei collaboratori ed in particolare: Dr. J. Cozzolino, Dr. N. Mannucci e la sua équipe. Fig. 9 OPT preoperatoria. 108 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Fig. 10 Incisione per accesso alla cresta iliaca. Fig. 11 Prelievo di midollare. Fig. 12 Prelievo di corticale. Fig. 13 Incisione, scollatura lembo ed antrotomia per accesso al seno mascellare. Fig. 14 Innesto di osso misto corticale e midollare. Fig. 15 Antrotomia e scollamento membrana lato destro. 109 Implantologia Pratica Fig. 16 Innesto di osso misto ma come si nota con granulometria minuta rispetto all’altro. Fig. 17 OPT dopo l’intervento. Fig. 18 TC dopo quattro mesi. Fig. 19 TC dopo quattro mesi. Fig. 20 Incisione e scollamento del lembo. Fig. 21 Inserimento degli impianti in 25 e 26, con una buona stabilità primaria. 110 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Fig. 22 Incisione e scollamento del lembo del lato destro. Fig. 23 Impianti inseriti maggiormente per cercare una migliore stabilità primaria. Fig. 24 Monconi inseriti per la ricostruzione protesica. Fig. 25 Fase riabilitativa con elementi provvisori. Fig. 26 Protesizzazione definitiva, visione destra. Fig. 27 Protesizzazione definitiva, visione sinistra. 111 Implantologia Pratica GRANDE RIALZO DEL SENO MASCELLARE caso clinico Dr. Guido Novello Fig. 28 OPT preoperatoria. Fig. 29 Situazione clinica preoperatoria. Fig. 30 Bone graft di cresta iliaca. Fig. 31 Accesso laterale al seno mascellare. Fig. 32 Posizionamento contestuale degli impianti. 112 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Fig. 33 Riempimento con osso autologo in chips e copertura della botola con membrana riassorbibile. Fig. 34 Risultato finale con impianti inseriti. Mini rialzo del pavimento del seno mascellare Una tecnica meno invasiva del grande rialzo del pavimento del seno mascellare con concomitante inserimento di impianti è stata proposta da Summers nel 199415. La tecnica contempla l’utilizzo di una serie di osteotomi a testa concava e tagliente con la punta leggermente conica. Questi, usati progressivamente nel diametro, permettono di creare l’alveolo implantare raccogliendo materiale biologico in testa, che per l’effetto idraulico creato, spinge e solleva la membrana basale del seno. Lo scalpello non va inserito nel seno, poichè sarà l’addizione di materiali biologici ulteriori, spinti progressivamente dall’accesso crestale con gli osteotomi stessi, che creerà l’effetto tenda e successivamente una cupola ossea attorno all’apice dell’impianto posizionato contestualmente (tecnica BAOSFE Bone Added Osteotome Sinus Floor Elevation) (vedi tecnica di Summers alla pagina seguente). Non solo, la forma conica dell’osteotomo consente di compattare l’osso delle pareti alveolari migliorandone la densità. Naturalmente il materiale innestato non garantisce l’immediata stabilità dell’impianto che è data dall’osso alveolare di origine che deve avere almeno 5 mm di altezza16-17. La tecnica originale viene semplificata riducendo i tempi tecnici ed il disagio per il paziente, qualora l’osso basale lo permetta, utilizzando nelle fasi iniziali una progressione di frese fino al pavimento del seno per poi sfondare e compattare con gli osteotomi adeguati. 113 Implantologia Pratica tecnica di summers 6 mm Osteotomi di Summers dal n°1 al 5 impiegati per la messa a dimora di impianti immediati. Grazie alla loro configurazione questi osteotomi raschiano e compattano l’osso via via che vengono fatti avanzare. A riempimento dell’osteotomia si impiegano materiali da innesto. Dimensioni pre-operatorie della cresta ossea al di sotto del pavimento del seno adatte per l’esecuzione della tecnica BAOSFE. Un alveolo da 6 mm può essere modificato per accogliere un impianto da 10 mm, mentre una sede da 9 mm può essere approfondita per accogliere un impianto da 13 mm. Nell’osso tenero si introduce un osteotomo di piccolo calibro (osteotomo di Summers n°1) con la semplice pressione manuale o con un martelletto fino ad arrivare al margine del seno. Nell’osso più compatto si arriva a questa profondità con una fresa, da azionare sempre con molta cautela. L’obiettivo è quello di rimanere staccati dalla membrana con la prima osteotomia. Si alesa l’osteotomia con osteotomi di Summers n° 2 e 3. La taglia 3 serve a praticare un’osteotomia leggermente sottodimensionata in grado di accogliere un impianto di 3,75 mm di diametro. Prima di fare qualsiasi tentativo di sollevare il pavimento del seno, si dovrà inserire nell’osteotomia una miscela ossea preparata. Questa deve contenere dell’osso autologo prelevato, possibilmente, dallo stesso settore osseo. A questo si possono aggiungere diversi altri materiali da innesto. 114 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Si reinserisce nel pavimento del seno lo stesso osteotomo di dimensioni massime impiegato precedentemente. Attraverso la compressione dello strumento il materiale da innesto ed i liquidi intrappolati esercitano una certa pressione sulla membrana sinusale. Dopo aver aggiunto altro osso, in piccoli incrementi, si riporta l’osteotomo nel seno. Ogni incremento di materiale provoca un rialzo della membrana di 1-1,5 mm. La punta concava dell’osteotomo intrappola osso e fluidi nel suo movimento di avanzamento all’interno. Si crea una forza idraulica che diffonde la pressione in tutte le direzioni. Questa forza serve a far alzare la membrana su un’area più ampia rispetto a quella della sola osteotomia. Una volta dislocato il pavimento del seno, l’innesto è libero di spostarsi liberamente, sollevando la membrana senza che lo strumento entri nel seno. L’impianto funge da osteotomo terminale, spingendo la membrana fino all’altezza massima. 115 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE GRANDE RIALZO DEL SENO MASCELLARE CON SOLFATO DI CALCIO E GEL PIASTRINICO a cura di Orazio Martini 117 Implantologia Pratica Introduzione Il rialzo del pavimento del seno mascellare è una tecnica chirurgica che, sempre più frequentemente, viene utilizzata per inserire degli impianti in presenza di gravi atrofie dell’osso mascellare. Queste perdite ossee in altezza e spessore sono dovute, in parte, alla pneumatizzazione del seno mascellare con abbassamento del pavimento dello stesso, e, in parte, a riassorbimento della cresta alveolare conseguente alla perdita degli elementi dentari. La tecnica chirurgica iniziale, è stata proposta da Boyne e James e successivamente è stata modificata da Misch e Tatum1 con l’apertura di una finestra ossea vestibolare ed il sollevamento della membrana di Schneider. Dopo l’apertura dello sportello osseo, quindi, si procede al riempimento della cavità che si viene a formare a livello sinusale con osso autologo2. L’osso autologo è sicuramente il miglior materiale da innestare in questo tipo di intervento, soprattutto nel caso che il sito ricevente sia particolarmente atrofico (classe IV di Misch). L’ osso infatti, contiene fattori di crescita (B.M.P.) e cellule staminali che favoriscono l’osteoinduzione e l’osteoconduzione3. D’altra parte, però, la grande quantità di materiale necessaria per il riempimento della cavità sinusale, necessita sempre di un prelievo extraorale (cresta iliaca o piatto tibiale) mal sopportato dal paziente (per il dolore che spesso segue l’intervento e per la frequente presenza di complicazioni con notevole aumento della morbilità)4. Per morbilità s’intende lo stato patologico in cui si viene a trovare il paziente dopo un intervento chirurgico. Si rende, inoltre, sempre necessario un doppio intervento chirurgico che viene eseguito nella stessa seduta. Per questo motivo, molti Autori, hanno proposto e studiato delle sostanze alternative da utilizzare come innesto. Questi materiali possono essere catalogati a seconda della provenienza, come: omologhi5, eterologhi o alloplastici. 118 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Materiali e metodi Tra i materiali alloplastici, recentemente, è stato proposto anche il solfato di calcio7 che ha la caratteristica di essere completamente riassorbito e nella sua forma pre-indurita (con granuli di diametro di 1,7 mm) presenta una velocità di riassorbimento adeguata all’intervento proposto8. Con il recente sviluppo dell’ingegneria tissutale, inoltre, negli ultimi anni sono stati utilizzati dei fattori di crescita osteogenici di derivazione piastrinica che dovrebbero avere lo scopo di accelerare e migliorare la qualità dell’osso in via di formazione nella sede d’intervento. Nell’organismo umano, infatti, le piastrine fungono sia da cellule dell’emostasi, sia da “reservoir”di fattori di crescita (PDG-F/, TGF-beta/ IGF / e altri). Alcuni Autori9 hanno recentemente dimostrato che il materiale rilasciato dalla degranulazione piastrinica ha capacità mitogene e tra queste sono particolarmente interessanti le capacità osteogeniche e osteoinduttrici di TGF-beta e di IGF10. L’uso del concentrato piastrinico deriva dal concetto del collante fibrinico11 che è stato usato da parecchi chirurghi nel passato12. A conferma della potenziale capacità di accelerare la guarigione tissutale e di favorire la neoformazione ossea, sono stati effettuati studi su di un ampio numero di casi clinici e i risultati sono stati decisamente incoraggianti13. Le tecniche utilizzate per la preparazione del gel-piastrinico sono molto varie, a seconda degli autori che le hanno proposte, ma essenzialmente si differenziano per l’esecuzione di una centrifugazione singola o doppia su sangue venoso prelevato al paziente. Dal lato pratico, sembra che i risultati ottenuti con le diverse metodiche si sovrappongano. L’uso del gel piastrinico, infatti, sembra accelerare la neoformazione ossea e la sua densità favorendo la rigenerazione in chirurgia pre- implantare (innesti ossei, grande rialzo del seno mascellare, innesti onlay mandibolari, osteodistrazioni alveolari). Di recente, è stata descritta da alcuni Autori una metodica di semplice esecuzione (anche ambulatoriale)14-15 che permette di avere concentrazioni piastriniche elevate anche con il prelievo di minime quantità di sangue (50-60 ml). Questa tecnica, che in questo intervento è stata utilizzata, verrà descritta dettagliatamente nel prossimo paragrafo. Fig. 1 Prima radiografia, prima dell’inizio dei lavori. Fig. 2 Apertura dello sportello osseo nella parete anteriore del seno mascellare di dx. Si vede la membrana di Schneider. Case report Paziente di sesso femminile, di anni 48, in buone condizioni di salute e con anamnesi negativa. Alla visita pre-chirurgica presenta una marcata atrofia, con perdita ossea in altezza, della cresta alveolare del mascellare superiore di sinistra in zona molare. Alla prima visita, la paziente presentava un elemento dentario ampiamente compromesso in sede 27 (fig. 1). Questo dente è stato estratto prima dell’inizio dei lavori. L’osso, quantitativamente, rientra nella classe IV di Misch, con un’altezza residua della cresta alveolare inferiore ai 2 mm. La paziente viene informata sull’intervento proposto sulle sue possibili complicanze e sulle eventuali soluzioni terapeutiche alternative al fine di ottenere il suo consenso alla terapia. Vengono quindi eseguite le indagini radiologiche (RX arcate dentarie e dentalscan) e vengono sviluppate una ceratura diagnostica e una mascherina pre-chirurgica per lo studio preliminare del caso. Il piano di trattamento, prevede l’esecuzione di due interventi chirurgici da eseguirsi a distanza di cinque mesi l’uno dall’altro. Nel primo intervento, viene eseguito il rialzo del pavimento del seno mascellare ed è previsto l’inserimento di un primo impianto in sede 26 (Tuber-Plant Oralplant ø4.5 h 13). In questa sede lo spessore osseo residuo lo permette e l’impianto che viene inserito è finalizzato a mantenere lo sportello 119 Implantologia Pratica osseo (aperto con l’intervento) sollevato in alto. Nel secondo intervento, invece, che viene eseguito a distanza di 5 mesi dal primo, s’inserisce il secondo impianto in sede 27 (Tuber-Plant Oralplant ø4.5 h 14) e si effettua una carotazione del tessuto osteoide neoformato mediante una fresa trephinetor di 3.8 mm di diametro per una altezza di 12 mm. Questo prelievo verrà poi inviato in un laboratorio di istologia per la valutazione della qualità e del grado di maturazione del tessuto neoformato. Primo intervento chirurgico Viene praticata una anestesia loco-regionale con Articaina SP 1:100.000. Viene sollevato un lembo muco-periosteo dopo incisione crestale paramarginale palatale e dopo aver praticato due incisioni di rilasciamento verticali, una mesiale ed una distale. Si procede quindi all’apertura di uno sportello osseo, di Fig. 3 Inserimento del solfato di calcio nel seno mascellare con spostamento in alto della membrana. Fig. 4 Inserzione del PRP nella cavità formata. Fig. 5 Inserzione per zeppare il seno di solfato granulare mescolato con PRP. Fig. 6 Inserzione del primo impianto per sostenere lo sportello osseo. Fig. 7 Chiusura della cavità creata con solfato di calcio indurito con fast-set. 120 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE forma rotondeggiante, e di diametro adeguato, mediante frese diamantate ad alta velocità (fig. 2). Sollevata la membrana di Schneider con dei sollevatori manuali, si procede al riempimento della cavità, che si è venuta a creare, con solfato di calcio solubile, indurito con fastset (solfato di bario), e solfato di calcio granulare (fig. 3), mescolati con il gel piastrinico (fig. 4, 5), ottenuto dalla centrifugazione del prelievo di sangue venoso (50 cc.) effettuato alla paziente prima di iniziare l’intervento chirurgico. Il solfato di calcio si inizia a compattare partendo dai recessi mesiali e distali e dal fondo della cavità. S’inserisce quindi l’impianto in posizione mesiale con visione diretta del sostegno osseo allo sportello, e si completa poi il riempimento della cavità (fig. 6, 7). Il prelievo per la preparazione del gel piastrinico, viene effettuato con provette sterili contenenti il 10% di sodio citrato (Becton Dickinson vacutainer system), mentre la centrifugazione viene eseguita per 10 min. a 180 xg. Dalla centrifugazione si ottengono 4 strati: fibrina-P.P.P.-P.R.P.G.R e G.B (fig. 8). Lo strato soprastante chiaro è ricco di fibrina; quello intermedio è relativamente povero di piastrine (P.P.P.), mentre il terzo strato invece è quello con la maggior concentrazione di piastrine (P.R.P.) e infine l’ultimo strato è quello contenente la parte corpuscolata (fig. 9). Mediante un Eppendorf viene prelevato il P.R.P. dal terzo strato, ponendo attenzione a non creare turbolenze, e quindi si innesca la formazione del gel mediante l’aggiunta di una miscela di calcio-cloruro al 10% per un tempo di 15 minuti (fig. 10, 11, 12, 13). Il gel così ottenuto viene posto a contatto con l’osso del pavimento del seno mascellare e della parete nasale opportunamente cruentati, ed inoltre, viene mescolato con il solfato di calcio durante il riempimento della cavità. Fig. 8 Centrifugazione di sangue venoso. Fig. 9 Preparato dopo centrifuga. Fig. 10 Prelievo del P.R.P. dal terzo strato mediante un Eppendorf. Fig. 11 P.R.P. dopo preparazione. 121 Implantologia Pratica Fig. 12 Densità finale del P.R.P.. Fig. 14 Posizionamento di una membrana collagene riassorbibile (PAROGUIDE) a chiudere l’opercolo osseo. Fig. 13 P.R.P. pronto per l’uso. Fig. 15 Rx eseguita dopo il primo intervento (Grande rialzo del seno mascellare con inserzione di un impianto in sede 26). Fig. 16 Radiografia di controllo ad un mese dopo il primo impianto. 122 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Alla fine lo sportello viene chiuso con una membrana collagene riassorbibile, incollata sul bordo dell’apertura con una colla biologica (cianoacrilica) che la fa aderire perfettamente ai margini (fig. 14). Si procede quindi alla sutura del lembo, inserendo al di sotto la fibrina ottenuta dal procedimento di centrifugazione (1° strato) innanzi descritto. Alla paziente, che aveva già iniziato la terapia antibiotica 2 ore prima dell’intervento (2 gr. amoxicillina-ac.clavulanico in unica somm.), viene prescritta una terapia analgesica e antiflogistica. diametro 3.8 per un’altezza di 12 mm. S’inserisce quindi l’impianto in sede 27, sfruttando l’opercolo realizzato per il prelievo, e si procede alla sutura mediante punti staccati. Il decorso post-operatorio non ha presentato problemi ed è stato monitorato con una visita in seconda giornata ed una a distanza di sette giorni in concomitanza di quest’ultima sono stati tolti i punti di sutura e si è controllata la guarigione del lembo. Risultati Il caso presentato ha avuto un decorso post-operatorio ottimale, con una bassissima morbilità post-chirurgica. Dopo il primo intervento la paziente ha presentato una lieve tumefazione del viso in regione sott’orbitale che in quarta giornata era completamente scomparsa. Alla rimozione dei punti di sutura, la restituzione ad integrum dei tessuti era completa. Dopo il secondo intervento, la mor- Secondo intervento chirurgico A distanza di 4 mesi dal primo intervento, si solleva un lembo mucoperiosteo mediante una incisione crestale paramarginale con due incisioni di scarico laterali. Si procede quindi al prelievo della carota ossea, per eseguire l’esame istologico, utilizzando una fresa trephinetor di Fig. 17 Radiografia intermedia, a sei mesi dal grande rialzo del seno mascellare, eseguita dopo il secondo intervento chirurgico (prelievo per istologia ed inserimento del secondo impianto in sede 27). 123 Implantologia Pratica Discussione La tecnica di rialzo del seno mascellare rappresenta una opportunità terapeutica valida ed efficace per riabilitare protesicamente l’arcata superiore. La metodica utilizzata in questo case-report prevede l’utilizzo del solfato di calcio come materiale di riempimento della cavità del seno. Premesso, come è gia stato evidenziato, che il miglior materiale da utilizzare in questo ambito è l’osso autologo, è però necessario considerarne anche gli svantaggi: limitata disponibilità, apertura di un secondo sito chirurgico, morbilità post-chirurgica elevata. Tra gli altri materiali eterologhi e alloplastici utilizzati in alternativa all’osso autologo, il D.F.D.B.A. sembra, da studi recenti, non dia luogo alla formazione di un osso qualitativamente ottimale, mentre le idrossiapatiti non vengono completamente riassorbite generando quindi un osso qualitativamente e quantitativamente scarso. Gli impianti inseriti in bilità evidenziata dalla paziente è stata minore rispetto alla prima volta, con assenza quasi completa di algie o edemi. Le radiografie eseguite a distanza di 1 mese, 6 mesi, 1 anno e 2 anni (quest’ultima eseguita a lavoro ultimato e caricato protesicamente) hanno sempre evidenziato una buona opacizzazione perimplantare un buon livello di elevazione della membrana schneideriana (fig. 15, 16, 17, 18). L’addensamento osseo evidenziato radiologicamente è inoltre migliorato nel tempo soprattutto dopo che è stato effettuato il carico protesico (dapprima provvisorio e poi definitivo). L’esame istologico, eseguito sul prelievo effettuato nel secondo intervento (dopo 5 mesi quindi dal grande rialzo), ha dimostrato la presenza di un tessuto osteoide con neo-trabecolatura e osteoblasti a palizzata in attiva replicazione. Erano presenti, inoltre, osteociti e vasi sanguigni mentre erano assenti cellule infiammatorie (fig. 19, 20, 21, 22, 23, 24). Fig. 18 Radiografia finale a due anni dal grande rialzo del seno mascellare con lavoro protesico inserito. 124 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Fig. 19 Carota ossea versante coronale 25X. Fig. 20 Carota ossea versante apicale 25X. Fig. 21 Normale trabecolatura osteoblasti, midollare, osteociti, grosso vaso nella midollare a sin. E.E 100X. Fig. 22 Neotrabecole e osteoblasti a palizzata E.E. 100X. Fig. 23 Spazi osteocitari e vaso E.E. 100X. Fig. 24 Midollare senza cellule infiammatorie E.E.. 125 Implantologia Pratica Conclusioni Il risultato di questo lavoro sembra indicare nell’utilizzo del solfato di calcio combinato con il P.R.P. una valida alternativa tra i materiali alloplastici di riempimento utilizzati nell’intervento di Grande rialzo del seno mascellare. Il riscontro istologico, inoltre confermerebbe questa ipotesi. È inoltre importante valutare la scarsa morbilità per il paziente e la semplificazione nell’esecuzione dell’intervento che puo’ essere eseguito a livello ambulatoriale. È naturalmente necessaria una corretta valutazione prechirurgica, una buona preparazione dell’operatore e una approfondita conoscenza dell’istodinamica tissutale. Questo lavoro, comunque, alla luce delle conoscenze più recenti, ha una validità puramente indicativa essendo necessario effettuare degli studi longitudinali più approfonditi e su di una più ampia casistica prima di poter confermare la validità della metodica presentata. questo tipo di osso, quindi, presentano una integrazione percentualmente deficitaria. L’osso eterologo bovino, infine, anch’esso molto utilizzato, viene riassorbito molto lentamente all’interno dell’innesto impiegando anni prima di indurre la formazione di un’osso di buona qualità. Il solfato di calcio nella sua forma emidrata, invece, viene rapidamente e completamente riassorbito, accelera la neoformazione ossea e la neovascolarizzazione formando, secondo le ultime ricerche, un lattice di fosfato tricalcico a contatto con le pareti ossee che agisce da osteoinduttore. La massa compatta del materiale, inoltre, contrasta efficacemente la pneumatizzazione del seno e chiude lo sportello osseo evitando l’invaginazione dei tessuti molli. A questo si aggiunga la facile reperibilità del materiale, il costo contenuto e l’assenza di effetti collaterali anche in presenza di micro-perforazioni della membrana (per la significativa azione batteriostatica svolta dal materiale). La combinazione del solfato di calcio con il P.R.P., che libera fattori con capacità chemiotattiche ed angiogenetiche, dovrebbe aumentare le potenzialità osteoinduttrici stimolando la proliferazione osteoblastica anche da parte delle cellule perivascolari (periciti). Queste azioni dovrebbero in definitiva accelerare la formazione dell’osso nell’ambito dell’innesto e migliorarne la qualità. L’esame istologico eseguito sembra infatti confermare queste considerazioni. 126 Implantologia Pratica MINI RIALZO DEL SENO MASCELLARE caso clinico Dr. Guido Novello Fig. 35 OPT preoperatoria. Fig. 36 Introduzione del materiale biologico nel pavimento del seno con gli osteotomi di Summers. Fig. 37 Posizionamento dell’impianto Tuber-Bi. Fig. 38 Rx controllo postoperatorio immediato. Fig. 39 Rx di controllo a 6 mesi. 116 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE LE GRIGLIE IN TITANIO IN IMPLANTOLOGIA a cura di Fabrizio Morelli Lorenzo Ravera 127 Implantologia Pratica Introduzione L’avvento della implantologia osteointegrata ha rivoluzionato l’approccio terapeutico per il ripristino della funzione masticatoria con percentuali di successo molto elevate1-2. L’esigenza di inserire gli impianti secondo una posizione protesicamente guidata, anche in presenza di scarse quantità di osso residuo e con rapporti intermascellari sfavorevoli, ha determinato la nascita di molte tecniche di ricostruzione ossea chirurgica con elevate percentuali di successo documentate da vari Autori, con follow up a medio e lungo termine3-4-5-6-7-8-9-10. In questo capitolo viene presentata una tecnica di ricostruzione ossea che prevede l’utilizzo di un innesto di osso autologo fissato nel sito ricevente mediante una griglia in titanio, con o senza l’inserimento contestuale di impianti. 128 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Osso autologo Osso di tipo midollare e corticale con attività osteogenetica11-12-13-14, osteoinduttiva15-16-17-18-19, osteoconduttiva20 donato dallo stesso individuo ricevente. Osteogenesi Da un punto di vista embriogenetico l’ossificazione presenta due processi differenti e distinti: Intramembranosa: l’osso si forma dalla trasformazione di cellule mesenchimali totipotenti in rapida attività in osteoblasti, i quali originano le fibre collagene e la matrice intercellulare che rappresentano la parte organica (tessuto osteoide) dell’osso non ancora calcificato. Successivamente, per precipitazione di sali di calcio che vanno a saturare gli spazi intercellulari, avviene la mineralizzazione con formazione di osso immaturo, di tipo non lamellare. Il processo di differenziazione, che viene a coinvolgere altre cellule mesenchimali totipotenti, determina la formazione di un sistema di vasi con funzione di apporto di sostanze nutritive. Encondrale: tipica delle ossa lunghe, l’ossificazione avviene per sostituzione della cartilagine di coniugazione, che funge da modello, in matrice organica (tessuto osteoide) e per successiva mineralizzazione con un processo simile alla ossificazione intramembranosa. Siti di prelievo intraorali: - sinfisi mentoniera (fig. 1) - trigono retromolare - branca ascendente della mandibola - tuber maxillae - osso di fresatura dal sito implantare (fig. 2) Extraorali: - cresta iliaca - coste - calvaria - piatto tibiale - olecrano Caratteristiche Tutte le zone donatrici intraorali e la calvaria hanno una ossificazione di tipo intramembranosa e rappresentano le zone di elezione per quantità moderate di osso avendo riscontrato un minore riassorbimento dell’innesto durante la sua fase di maturazione. Le altre sedi extraorali rappresentano siti di prelievo per grandi quantità di osso ma di derivazione encondrale e, quindi, con una minore efficacia perché maggiore è il riassorbimento dell’innesto21-22-23. Vantaggi - riconosciuto come proprio dall’organismo - impossibilità di reazione immunitaria e/o trasmissione di infezioni virali - ha attività osteogenetica, osteoinduttiva, osteoconduttiva - buon mantenitore di volume - costo zero Fig. 1 Aspetto della sinfisi mentoniera dopo prelievo di osso autologo con fresa trephine di 8 mm di diametro. Fig. 2 Osso di fresatura raccolto da fresa chirurgica di preparazione dell’alveolo implantare. 129 Implantologia Pratica Svantaggi - necessita, spesso, di un secondo sito chirurgico - maggiori sequele post-operatorie - quantità limitata - atteggiamento di difesa del paziente - possibile insuccesso Il RAP non si attiva in alcune malattie quali: insufficienza polmonare, insufficienza cardiaca congestizia, diabete tipo I, alcune malattie croniche del fegato24-25-26. La sua mancata attivazione può compromettere le varie fasi della maturazione dell’innesto osseo determinando, in alcuni casi, l’insuccesso27-28-29. Incorporazione Trasformazione dell’osso innestato in osso immaturo di tipo non lamellare in cui le fibre collagene, disposte in vari strati successivi, hanno direzioni diverse all’interno del singolo strato. L’incorporazione si compone delle seguenti tre fasi che si intersecano tra di loro temporalmente30-31. Fase osteogenica: attivazione della plasmina e del blastema fibro-cellulare con formazione di ponti vascolari innesto-osso ricevente (0-4 settimane). Fase osteoinduttiva: si sviluppa un’attività osteoclastica con decalcificazione, liberazione di BMP (proteine morfogenetiche dell’osso) che determina: 1) trasformazione delle cellule mesenchimali in osteoblasti 2) aumentata sintesi DNA 3) aumentata duplicazione cellulare con formazione di tessuto osteoide (matrice organica dell’osso). Il tessuto osteoide, successivamente, si mineralizza dando origine a osso immaturo non lamellare (2 settimane -6 mesi). Fase osteoconduttiva: proliferazione di nuove cellule ossee sulla matrice inorganica dell’osso innestato (fino ad un anno). Sostituzione: trasformazione dell’osso immaturo non lamellare in osso maturo lamellare in cui le fibre collagene, all’interno di uno strato o lamella, hanno disposizione parallela fra loro e in una unica direzione32. Rimodellamento: l’osso lamellare, sottoposto al carico funzionale, si rimodella organizzandosi in una nuova trabecolatura secondo delle linee di forza che si estrinsecano durante il carico funzionale33-34-35. Maturazione dell’innesto di osso autologo Introduzione La maturazione dell’innesto di osso autologo nel sito chirurgico ricevente avviene attraverso le fasi della: incorporazione, sostituzione, modellamento. Questo processo è mediato dal “fenomeno acceleratorio regionale” (RAP) il quale, innescato dal trauma chirurgico nel sito ricevente, determina un fenomeno di accelerazione dei processi tissutali fisiologici. Fig. 3 Griglia in titanio come si presenta prima della sua modellazione. Fig. 4 Esposizione parziale della griglia a 6 settimane. Fig. 5 Stesso caso della fig. 4 a 9 settimane. 130 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE GRIGLIE IN TITANIO Cause di insuccesso: 1) griglia non perfettamente stabilizzata e quindi mobile 2) spigoli acuti e/o margini decubitanti sulla gengiva 3) errore nel riposizionamento del lembo gengivale 4) caso clinico al di fuori delle indicazioni 5) protesi comprimente la gengiva sovrastante la griglia Insuccesso totale: esposizione importante della griglia con completo riassorbimento dell’innesto osseo e perdita dell’eventuale impianto. Insuccesso parziale: 1) gengiva integra al termine del periodo di attesa con una incompleta, ma sufficiente, rigenerazione ossea 2) esposizione precoce della griglia con una incompleta, ma sufficiente, rigenerazione ossea. (fig. 4, 5) Introduzione Le griglie in titanio sono state utilizzate, già da parecchi anni, sia in chirurgia maxillo-facciale36-37-38-3940-41 , che nel cavo orale principalmente associate solo a membrane42-43, oppure ad osso autologo e proteine morfogenetiche44-45, oppure unicamente ad osso autologo46-47-48-49-50-51-52 (fig. 3). Composizione: titanio commercialmente puro al 99% ad uso biomedicale. Indicazioni: 1) difetto a quattro pareti con deficit osseo maggiore od uguale a 2 mm. 2) difetto a tre pareti 3) difetto angolare a due pareti con biotipo gengivale spesso 4) comunicazione oro-antrale 5) stabilizzazione di frammento osseo fratturato. Controindicazioni: 1) difetto a due pareti con biotipo gengivale sottile 2) difetto a una parete 3) rialzo di cresta ossea 4) motivazione del paziente Vantaggi: 1) facilità nella modellazione 2) stabilità dimensionale dopo la modellazione 3) fissità del dispositivo nel sito ricevente 4) protezione dai traumi Svantaggi: 1) adattamento del dispositivo non sempre agevole 2) possibile interferenza coi tessuti molli sovrastanti 3) in alcuni casi difficoltà nella rimozione per colonizzazione ossea della superficie esterna (effetto osteoconduttivo). STATISTICA SuCCESSO GRIGLIE In uno studio retrospettivo effettuato su n° 141 griglie in titanio da noi utilizzate nell’arco di 10 anni, è possibile constatare come, in presenza di deficit osseo, l’inserimento di uno o più impianti associato alla tecnica di innesto di osso autologo ed utilizzo di griglie in titanio come dispositivo di fissazione dell’innesto stesso, offra percentuali di successo molto elevate, sovrapponibili a quelle evidenziate nella letteratura internazionale3-4-5-67-8-9-10-46-47-48-49-50-51-52 . Le cause di insuccesso sono state determinate da una non perfetta fissazione della griglia all’osso del sito ricevente, con esito in micromovimenti che hanno compromesso il processo di maturazione dell’innesto, e da una insufficiente modellazione ed adattamento della griglia con esito in spigoli vivi, linee di piegatura acute che, decubitando sui tessuti molli sovrastanti, hanno causato una soluzione di continuo la quale, comunque, solo in n° 8 casi ha determinato la rimozione precoce della griglia con un insuccesso parziale in 6 casi e totale negli altri 2 (tab. 1, 2, 3; graf. 1, 2, 3). SESSO DEI PAZIENTI ETÀ DEI PAZIENTI 82 90 81 90 80 80 59 70 70 60 60 50 50 40 40 30 30 20 20 10 10 0 0 57 23 A M SI IA ED M AS M A IM E IN I CH M M IN M FE AS M Graf. 1-2 In questi due grafici si può notare la suddivisione per sesso dei pazienti e per età valutando un picco di età media di 57 anni. 131 Implantologia Pratica STATISTICA GRIGLIE DIFETTI A 4 PARETI DIFETTI A 3 PARETI DIFETTI A 2 PARETI STABILIZZ. FRATTURA COMUNIC. ORO-ANTR. MASCELLARE SUP. 2 68 14 2 1 MASCELLARE INF. 0 42 11 1 - STATISTICA GRIGLIE MASCELLARE SUP. TOTALE GRIGLIE (141) TOT. GRIGLIE RIMOSSE ANTICIPATAMENTE 87 4 (4,7%) MASCELLARE INF. STATISTICA GRIGLIE DIFETTI A 4 PARETI DIFETTI A 3 PARETI DIFETTI A 2 PARETI STABILIZZ. FRATTURA COMUNIC. ORO-ANTR. MASCELLARE SUP. 0 (0,0 %) 3 (4,5 %) 1 (7,1 %) 0 (0,0 %) 0 (0,0 %) MASCELLARE INF. 0 (0,0 %) 2 (4,8 %) 2 (18,2 %) 0 (0,0 %) - Tab. 1-2-3 È significativo come la più alta percentuale di insuccesso (18,2% rimozione anticipata) si verifichi nei difetti a 2 pareti in mandibola, dove è più frequente avere un biotipo gengivale sottile, come indicato nelle controindicazioni. Graf. 3 Percentuali di successo rapportate ai differenti tipi di difetto osseo. 132 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE CONSIdERAzIONI GENERALI SuLLA TECNICA CHIRuRGICA Nel trattamento di un difetto osseo mediante innesto di osso autologo e osteosintesi con griglia in titanio, con o senza inserimento di impianti, è importante valutare l’estensione del difetto, la quantità di osso da innestare, nonché la sua tipologia (osso corticale e/o midollare), il sito donatore, la possibilità di fissazione del dispositivo ed il successivo trattamento dei tessuti molli di copertura. 1) Valutazione del difetto osseo: bisogna inquadrare la tipologia del difetto, classificarlo e valutare se rientra nelle indicazioni o controindicazioni (es. difetto a due pareti) a questa tecnica (fig. 6, 7). Quest’ultima eventualità non impedisce, in modo assoluto, l’utilizzazione della metodica ma, senz’altro, ne riduce la predicibilità. Bisogna valutare la grandezza del difetto osseo e procedere alla sua misurazione. In presenza di un impianto bisogna considerare quanto esso fuoriesca dall’osso e l’entità del difetto attorno all’impianto stesso. Queste misurazioni permettono di valutare meglio il volume osseo necessario all’innesto e la programmazione del sito donatore. 2) Valutazione della quantità e qualità dell’osso donatore: la quantità deve corrispondere almeno al volume del difetto riscontrato, anzi è consigliabile un prelievo in eccesso per meglio distribuire l’innesto lungo i margini del difetto. Per quanto riguarda la qualità è utile poter utilizzare osso sia corticale che midollare in parti eguali, avendo l’accortezza di disporre la parte midollare all’interno del difetto e più in superficie quella corticale. 3) Valutazione del sito donatore: il sito ricevente rappresenta una possibile fonte di osso sia come osso di fresatura, qualora sia previsto l’inserimento contestuale di uno o più impianti, che come prelievo di osso nelle zone adiacenti al difetto utilizzando piccole frese trephine, pinze ossivore, graftings ossei, tecnica piezoelettrica (fig. 8). Una ulteriore quantità di osso autologo può essere prelevata dai siti intraorali di elezione quali sinfisi mentoniera, trigono retromolare, branca montante della mandibola, tuber maxillae. 4) Fissazione della griglia: la griglia viene dapprima stabilizzata dalla vite tappo dell’impianto avendo cura di preparare, mediante fresa su turbina, un foro di diametro adeguato a quello della vite tappo. Successivamente si termina la modellazione adattando i margini della griglia che normalmente si estendono oltre i limiti del difetto osseo per circa 2 mm valutando l’eventuale presenza di zone anatomiche di rispetto. È importante che i margini della griglia non presentino spigoli vivi, pieghe acute che possono essere causa di interferenza sui tessuti molli sovrastanti e determinarne la loro sofferenza. La completa e stabile fissazione della griglia si ottiene con una o più viti da osteosintesi autofilettanti inserite lungo i suoi margini. (fig. 9) Fig. 7 Stesso caso della fig. 6 ad estrazione avvenuta; è importante valutare a questo punto il volume del difetto osseo. Fig. 8 Griglia utilizzata per una rigenerazione palatina fissata inizialmente con vite tappo dell’impianto e vite da osteosintesi di 4,5 mm di lunghezza vestibolarmente. Notare i prelievi di osso autologo mediante piccola fresa trephine. Fig. 6 Elemento dentario 11 a lembo aperto, come si presenta prima della sua estrazione. 133 Implantologia Pratica Fig. 9 Stesso caso della fig. 8 con completa stabilizzazione della griglia con seconda vite da osteosintesi in posizione palatina. Fig. 10 Caso clinico A: disegno del lembo a forma trapezoidale con base più larga. Fig. 11 Caso clinico A: prelievo di osso autologo dalla sinfisi mentoniera mediante fresa trephine da 8 mm di diametro. Fig. 12 Conservazione dell’osso autologo in dappen sterile con soluzione fisiologica a temperatura ambiente. 5) Trattamento dei tessuti molli: il disegno del lembo, la necessità di eventuali incisioni di scarico mesiali e/o distali devono tener conto dell’entità del difetto osseo e dell’eventuale inserimento di uno o più impianti. Ad innesto terminato si deve procedere ad un allungamento del lembo con le consuete incisioni periostee alla sua base, di entità sufficiente a chiudere, senza tensioni, l’aumentato volume. In presenza di protesi mobile questa deve essere, valutando caso per caso, accuratamente scaricata nella zona corrispondente alla griglia, onde prevenire fenomeni di decubito con esposizione precoce della griglia stessa. e vasocostrittore 1:100.000 si scolpisce un lembo a tutto spessore con una prima incisione crestale in caso di edentulismo, oppure lungo il solco gengivale del dente da estrarre in caso di implantologia post-estrattiva immediata. Si prosegue effettuando due incisioni di scarico, mesiale e distale, con una direzione obliqua ottenendo un lembo trapezoidale a base più larga. (fig. 10) Effettuato lo scollamento a tutto spessore, il lembo viene ribaltato verso il fornice e trattenuto da appositi strumenti (divaricatori). L’inserimento dell’impianto viene effettuato secondo un asse protesicamente guidato, circa 2 mm apicalmente alla giunzione amelo-cementizia dei denti contigui, se presenti. Si prosegue con il prelievo dell’osso autologo che viene conservato in soluzione fisiologica a temperatura ambiente, per evitarne la disidratazione. (fig. 11, 12) La manipolazione del prelievo osseo richiede cautela ed TECNICA CHIRURGICA Il paziente viene trattato alcuni giorni prima dell’intervento con sciacqui di clorexidina allo 0,2% e due ore prima, e per i successivi 5 giorni, con antibiotico ad ampio spettro. Previa anestesia con anestetico locale al 2% 134 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE attenzione, il tempo tra il prelievo ed il suo utilizzo deve essere il più breve possibile per mantenere vitali le cellule, soprattutto quelle della porzione midollare. La modellazione della griglia in titanio viene effettuata con apposite tronchesine estendendola circa 2 mm oltre i margini del difetto. (fig. 13, 14) La griglia viene controllata direttamente sul sito chirurgico senza ancora la presenza dell’osso innestato, migliorandone l’adattamento ed evitando accuratamente spigoli, angoli acuti che possono determinare una sofferenza della gengiva sovrastante con il rischio di deiescenza ed esposizione della griglia stessa. In presenza di denti contigui è importante evitarne il contatto con la griglia, rimanendo ad una distanza di circa 1-2 mm. La modellazione della griglia si conclude effettuando, con fresa montata su turbina, un foro di dimensione adeguata al passaggio della vite tappo dell’impianto. (fig. 15, 16, 17) L’osso autologo, precedentemente prelevato, viene introdotto nel difetto riempiendolo in modo congruo e completo. (fig. 18) La griglia, precedentemente modellata ed adattata, viene posizionata con molta attenzione e cautela nel sito ricevente e fissata, inizialmente, con la vite tappo dell’impianto. Successivamente vengono posizionate 1 - 2 vitine da osteosintesi lungo i bordi della griglia raggiungendo, così, il massimo della stabilità e fissità con l’osso basale, condizione indispensabile per un completo successo. (fig. 19, 20, 21) Mediante incisioni periostee alla base del lembo si procede al suo allungamento ed alla successiva sutura a punti staccati. (fig. 22, 23, 24) Nelle due settimane seguenti vengono effettuati controlli a giorni alterni. La sutura viene rimossa tra il 14° e 20° giorno, valutando caso per caso. Controlli radiografici vengono effettuati dopo 1-2-3 mesi. La rimozione della griglia ed il contestuale posizionamento della vite di guarigione transmucosa sull’impianto avviene, mediamente, dopo 4 mesi dall’intervento (fig. 25, 26, 27, 28) a cui segue la protesizzazione definitiva e la conclusione del caso clinico. (fig. 29) Fig. 14 Si continua la modellazione della griglia. Fig. 15 Formazione del foro di dimensioni adeguate al passaggio della vite tappo dell’impianto. Fig. 13 Fase iniziale della modellazione della griglia. 135 Implantologia Pratica Fig. 16 Completamento della modellazione della griglia e inserimento della vite tappo dell’impianto. Fig. 17 Utilizzazione del cacciavite della vite tappo dell’impianto per posizionare la griglia nel sito chirurgico ricevente. Fig. 18 Caso clinico A: riempimento del difetto con l’osso autologo precedentemente prelevato. Fig. 19 Caso clinico B: posizionamento dell’impianto 2 mm circa apicalmente alla giunzione amelo-cementizia dei denti contigui. Fig. 20 Caso clinico B: posizionamento e fissazione della griglia mediante la vite tappo dell’impianto e n°2 viti da osteosintesi in zona vestibolare. Fig. 21 Caso clinico A: posizionamento e fissazione della griglia mediante la sola vite tappo dell’impianto essendo sufficiente a garantire una buona stabilità della griglia stessa. 136 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Fig. 22 Caso clinico A: fase iniziale dell’allungamento del lembo gengivale. Fig. 23 Caso clinico A: completamento dell’allungamento del lembo gengivale con aumento della “stoffa” a disposizione. Fig. 24 Caso clinico A: sutura a punti staccati. Fig. 25 Caso clinico B: riapertura del lembo gengivale dopo 4 mesi ed evidenziazione della griglia in titanio. Fig. 26 Caso clinico B: rimozione della griglia e completa maturazione dell’innesto di osso autologo. Fig. 27 Caso clinico A: riapertura del lembo gengivale dopo 5 mesi ed evidenziazione della griglia in titanio. 137 Implantologia Pratica Fig. 28 Caso clinico A: rimozione della griglia e completa maturazione dell’innesto di osso autologo. Fig. 29 Caso clinico A: corona in metallo-ceramica in posizione 11 ad un controllo dopo un anno dalla protesizzazione (odontotecnico Sig. Massimiliano Robba). 138 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE TECNICHE dIsTraTTIvE 139 Implantologia Pratica 140 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE dIsTraZIONE OsTEOGENETICa a cura di vittoria Perrotti 141 Implantologia Pratica Introduzione La distrazione osteogenetica è una tecnica di graduale allungamento osseo che ha lo scopo di rigenerare nuovo tessuto, sfruttando i normali meccanismi di guarigione della ferita ossea. Rispetto ad altre tecniche con lo stesso obiettivo, ha il vantaggio di consentire la correzione, contestualmente, di difetti ossei e dei tessuti molli. In passato veniva utilizzata principalmente in chirurgia ortopedica, nell’allungamento osseo o nelle correzioni delle deformità e dei difetti diafisari. Solo di recente è stata applicata al complesso cranio-facciale. I successi ottenuti in questo distretto corporeo hanno fatto sì che la distrazione osteogenetica venisse proposta dalla letteratura internazionale come una valida alternativa alle tecniche chirurgiche tradizionali, al fine di ottenere un rialzo di cresta in presenza di severi difetti dei tessuti molli e duri, conseguenti ad atrofie, traumi, malformazioni congenite ed esiti di resezioni tumorali. La tecnica di distrazione osteogenetica è stata recentemente introdotta come alternativa a procedure chirurgiche utilizzate in passato, come il riposizionamento del nervo alveolare inferiore, il rialzo del pavimento del seno mascellare, la rigenerazione guidata dei tessuti, gli innesti di osso autologo. Attualmente viene utilizzata anche per la rigenerazione periimplantare. 142 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Processi Biologici La distrazione osteogenetica è un processo biologico che ha inizio quando una trazione costante si applica al callo osseo, che si sta formando tra due segmenti scheletrici osteotomizzati. La forza di distrazione applicata all’osso è in grado di creare tensione anche nei tessuti molli adiacenti: vasi sanguigni, tessuto muscolare, nervi, mucosa, legamenti, periostio e cartilagine. Si innescano quindi, una serie di cambiamenti adattativi dei tessuti molli e duri, che prendono il nome di “istogenesi distrazionale”. La distrazione osteogenetica può essere distinta in tre periodi sequenziali: latenza, distrazione e consolidamento. A 5 giorni dalla frattura, si forma nel canale midollare dei due segmenti ossei una rete di anse capillari in crescita3. Da un punto di vista clinico, il periodo di latenza stabilito dalla maggior parte degli autori è di 5-7 giorni. Periodo di distrazione Periodo in cui viene applicata una trazione progressiva, che crea nuovo osso. Nella distrazione osteogenica, il normale processo di guarigione delle fratture è interrotto per l’applicazione di una graduale forza di trazione a livello del callo soffice. Quest’ultima crea microambienti dinamici in grado di stimolare la formazione dei tessuti, in direzione parallela al vettore di distrazione. A livello istologico, i tessuti sottoposti a tensione subiscono cambiamenti sia a livello cellulare che sub-cellulare, da cui ne derivano effetti stimolanti la crescita e determinanti la forma del tessuto neoformato4. Si assiste ad un aumentato processo di angiogenesi, con aumentata ossigenazione dei tessuti, e l’incremento della proliferazione fibroblastica, con intensificazione dell’attività biosintetica. Si osserva un’alterata espressione fenotipica dei fibroblasti, che mostrano una polarizzazione funzionale, con orientamento degli stessi e delle fibre collagene da essi prodotte nella direzione del vettore di distrazione. L’applicazione di tensioni meccaniche sul callo osseo determina un aumento dell’espressione dei geni per le proteine morfogenetiche dell’osso 2 e 4 (BMP-2 e BMP-4), evento che favorisce la neoformazione ossea5. Farhadieeh e coll.6 hanno inoltre riscontrato, nella regione distratta, un’importante presenza dei fattori di crescita insulino-simile (IGF-1) e fibroblastico (bFGF), probabilmente responsabili della proliferazione degli Periodo di latenza Periodo compreso tra la separazione dei due frammenti ossei e l’inizio della trazione; coincide anche con la formazione del callo osseo. La sequenza istologica durante la fase di latenza è simile a quella che si osserva nel processo di guarigione delle fratture. La separazione chirurgica dell’osso in due segmenti comporta un’interruzione vascolare e, quindi, uno stravaso di sangue dall’osso danneggiato e dai tessuti molli, che determina la formazione di un ematoma intorno ed in mezzo ai segmenti stessi. L’ematoma è convertito in coagulo e l’estremità dei frammenti va incontro ad un fenomeno necrotico. In questa fase si riscontra un notevole aumento di elementi vascolari immaturi e di capillari ed un’elevata proliferazione cellulare1. Molto rapidamente anche il coagulo subisce una conversione in tessuto di granulazione, ricco di cellule infiammatorie, fibroblasti, collagene e capillari neoformati. Questa fase infiammatoria dura da 1 a 3 giorni, al termine dei quali comincia a formarsi il callo: fase di callo soffice2. Fig. 1 e 2 Nelle fasi iniziali del processo di distrazione osteogenica, il tessuto osseo presenta aree caratterizzate da ampi spazi midollari, colonizzati da cellule e un’intensa angiogenesi. Colorazione eseguita con blu di toluidina e fucsina acida. 10X 143 Implantologia Pratica osteoblasti e della formazione dei precursori mesenchimali. Cillo e coll.7 hanno valutato l’effetto della tensione meccanica ciclica, evento base del processo distrattivo, sull’espressione, nelle cellule umane osteoblasta-simili, del fattore di crescita trasformante β-1 (TGF-β-1), IGF-1, bFGF e di due citochine, interleuchine 1 e 6. Questo esperimento ha dimostrato che, sotto deformazione meccanica, l’espressione dei fattori di crescita e di IL-6 aumenta, mentre restano invariati i livelli di IL-1(β)8. La persistenza della deformazione tiene alti i livelli di TGF-β-1 e IGF-1, evento che determina proliferazione cellulare, differenziazione e sintesi di matrice extra-cellulare. Quindi l’effetto dei carichi meccanici sulle cellule del gap distrattivo è diretto e costituisce il fattore guida della crescita ossea durante la distrazione. Durante la fase iniziale di distrazione, il tessuto fibroso del callo soffice ed anche i fibroblasti di forma affusolata cominciano ad essere orientati longitudinalmente lungo l’asse di distrazione. Tali cellule formano fibrille collagene, raggruppate in fibre, a livello delle estremità distale e prossimale dei tessuti interframmentari. Tra il terzo ed il settimo giorno di distrazione i capillari crescono all’interno del tessuto fibroso in modo da estendere la rete vascolare non solo verso il centro del gap, ma anche verso il canale midollare di entrambi i segmenti ossei adiacenti. I capillari neoformati sono paralleli tra loro e all’asse di distrazione e invadono attivamente il tessuto fibroso rifornendolo di cellule indifferenziate che poi andranno incontro a differenziazione in fibroblasti, condroblasti o osteoblasti. La risposta vascolare è più intensa durante le prime fasi di distrazione, in associazione quindi con il reclutamento locale di cellule progenitrici e la loro proliferazione e differenziazione (fig. 1, 2). Durante la seconda settimana di distrazione si formano i primi osteoni. Gli osteoblasti, localizzati tra le fibre collagene, vi depongono matrice osteoide e cominciano a sviluppare osso immaturo, gradualmente ampliato da apposizioni circonferenziali di collagene e osteoide9. L’osteogenesi inizia dalle estremità prossimali dell’osteotomia e continua verso il centro del gap distrattivo. Dalla fine della seconda settimana, l’osteoide comincia a mineralizzare. In questa fase si può rintracciare una specifica struttura zonale. Nel mezzo del gap distrattivo, dove l’influenza degli stress tensionali è massima10, si localizza un’interzona radiotrasparente, fibrosa, scarsamente mineralizzata. Tale zona consiste di fasci paralleli di fibre collagene, altamente organizzati e orientati longitudinalmente, insieme a fibroblasti di forma affusolata e cellule mesenchimali immerse nella matrice. L’interzona funge da centro di proliferazione fibroblastica e formazione di tessuto fibroso. Alla periferia dell’interzona fibrosa ci sono due zone con osteoni primari cilindrici orientati longitudinalmente, ricoperti da uno strato di osteoblasti. La neoformazione ossea dipende dalla crescita degli osteoni primari, la cui lunghezza aumenta rapidamente, soprattutto durante le prime fasi di distrazione11. Con l’incremento del gap distrattivo la colonna di osso si allunga e si ispessisce. Alla fine del periodo distrattivo, tra i segmenti ossei originari e l’osso rigenerato, diventano evidenti due zone addizionali di osteoni primari in fase di rimodellamento. Periodo di consolidamento Periodo che permette la maturazione e la corticalizzazione dell’osso rigenerato dopo l’interruzione della forza distrazionale. Terminata la fase di distrazione, Fig 3 e 4 Area di distrazione osteogenica. Alla periferia di regioni di osso preesistente, ricco di osteociti, si osserva osso neoformato, più intensamente colorato con fucsina acida. Colorazione eseguita con blu di toluidina e fucsina acida. 4X 144 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE l’interzona fibrosa ossifica gradualmente e una distinta zona di osso trabecolare riempie completamente il gap (fig. 3, 4). La dinamica della neoformazione ossea durante la distrazione di osso membranoso è simile a quella delle ossa lunghe. In seguito alla maturazione dell’osso neoformato, la zona con osteoni primari diminuisce significativamente fino ad essere completamente riassorbita. Nei mesi successivi, l’impalcatura ossea formata inizialmente viene rinforzata da osso lamellare con una direzione parallela al vettore distrattivo. L’osso corticale e la cavità midollare sono ripristinati; i canali di Havers vengono rimodellati, come ultima tappa della ricostruzione corticale. La maturazione dell’osso distratto continua per un anno o più, prima che la struttura del tessuto osseo neoformato possa essere ritenuta paragonabile a quella dell’osso preesistente. Radiograficamente, si osserva osso rigenerato solo alla fine del periodo di distrazione. Tale osso è orientato lungo la direzione del vettore di distrazione ed è distinto in tre parti: due aree con aumentata densità adiacenti ai segmenti ossei residui, ed una zona centrale, radiolucente. Istologicamente, il gap tra i segmenti ossei distratti viene occupato per primo da tessuto fibroso, il quale si orienta nella direzione del vettore di distrazione man mano che la distrazione stessa procede. La formazione di osso comincia da entrambe le pareti di osso residuo e avanza verso l’interzona centrale fibrosa. Block e coll.12 hanno osservato Fig. 5 e 6 Regioni ossee in cui è stata eseguita una distrazione osteogenica. Osso neoformato compatto ricco di osteociti e grandi spazi midollari ampiamente colonizzati da cellule. Colorazione eseguita con blu di toluidina e fucsina acida. 10X che, in un periodo compreso tra le 6 e le 8 settimane, il gap veniva colmato da osso con caratteristiche di osso lamellare maturo (dimostrato anche da Ueda13 in uno studio in vivo effettuato su cani), sulla cui superficie si rintracciano osteoblasti. La presenza di queste cellule è indicativa di un’attiva deposizione ossea. Durante la fase di mineralizzazione le trabecole ossee si fanno più dense anche se gli spazi midollari restano ancora ampi (fig. 5, 6). È stato dimostrato14 che, alla fine della fase attiva della distrazione, il grado di mineralizzazione del nuovo osso era del 24,3%. Al termine del periodo di consolidamento si riscontrava invece un valore pari a 77,8%, che continuava ad aumentare durante i tempi successivi fino ad assumere caratteristiche analoghe a quelle dell’osso preesistente (fig. 7). Fig. 7 Si osserva osso maturo con presenza di aree in fase di rimodellamento, che appaiono più intensamente colorate con fucsina acida. Colorazione eseguita con blu di toluidina e fucsina acida. 4X 145 Implantologia Pratica Tecniche chirurgiche per il rialzo di creste alveolari L’aumento di cresta alveolare è una procedura chirurgica fondamentale per ripristinare l’osso alveolare riassorbito, qualora il piano di trattamento protesico preveda una riabilitazione mediante una protesi supportata da impianti. La distrazione osteogenetica alveolare consente di ottenere, rispetto alle tecniche tradizionali, un aumento verticale illimitato di osso, insieme ad un incremento dei tessuti molli sovrastanti la cresta. Con questa metodica, quindi, la morfogenesi della cresta alveolare può considerarsi completa. È indicata in caso di gravi resezioni tumorali o traumi facciali che abbiano cau- sato importanti perdite di massa ossea15,16. Comunque una condizione importante per l’indicazione a questa tecnica è una cresta ristretta, ma corretta nel rapporto interarcata e normoconformata, sottoposta ad uno studio prechirurgico che abbia confermato la possibilità di incorporare l’impianto secondo un asse funzionale, protesicamente guidato17. La distrazione osteogenetica alveolare si è rivelata, in definitiva, una tecnica chirurgica con bassa morbilità intra e post-operatoria. Eventuali complicanze che insorgono sono di entità minima e, comunque, risolvibili prestando la dovuta attenzione alle procedure da effettuare18. 146 Capitolo 7 - DOVE L’OSSO NON C’è OVVERO LA RICOSTRUZIONE DELLE CRESTE ALVEOLARI ATROFICHE Lo SpLit CreSt a cura di Vittoria perrotti Giovanna orsini 147 Implantologia Pratica Nell’area premaxillare, le atrofie possono essere corrette chirurgicamente in funzione di una successiva terapia implantare, attraverso la tecnica della frattura bicorticale, definita: “Edentulous Ridge Expansion” (E.R.E) da Malchiodi e coll, tecnica di “Split Crest” da altri Autori. La tecnica di separazione bicorticale consiste nell’inserzione di impianti nello spazio ottenuto con l’espansione della cresta che, dopo essere stata fratturata, viene dislocata in senso vestibolare. La tecnica è stata inizialmente descritta da Tatum nel 1970 ed è stata successivamente ripresa da vari Autori con differenze anche sostanziali1. Nella forma classica l’intervento consiste nel sollevamento di un lembo mucoperiosteo a spessore parziale, attraverso una incisione paracrestale palatina. Una volta scoperta la cresta, si pratica un’osteotomia e successivamente, con degli espansori ossei, si dilata progressivamente la cresta dopo aver eseguito dei solchi di svincolo a livello osseo, che facilitano la dislocazione in senso vestibolare della parete ossea fratturata a legno verde. Nello spazio che si viene a creare per opera degli espansori ossei, si zeppa una miscela di osso autologo e osso di banca demineralizzato e liofilizzato (DFDBA)2. Si sutura e si attendono 4-6 mesi per il posizionamento dell’impianto3. Quando si ha una stabilità primaria sufficiente gli impianti possono essere inseriti in un unico tempo chirurgico. Una variante di questa tecnica messa a punto da Bruschi e Scipioni nel 19904 è rappresentata dall’espansione senza innesto osseo, eventualmente con l’aggiunta di una membrana in e-PTFE5-8. Un’altra variante delle tecniche prima descritte è stata proposta da Malchiodi e coll.9. La separazione bicorticale viene eseguita con lembo a spessore totale, senza svincoli ossei vestibolari e il posizionamento degli impianti può avvenire in un unico tempo10 o in due tempi, dopo riempimento degli spazi creati con microinnesti di osso autologo e fissazione rigida della cresta fratturata e dislocata per mezzo di una griglia di titanio nitrurato. Nella tecnica classica, la quantità di osso che si rigenera al di sotto della membrana dipende dallo spazio al di sotto di essa11-13. Questo spazio diminuisce se si ha il collasso della membrana14. In questa tecnica modificata si riesce ad evitare il problema. La modifica sostanziale consiste nell’incisione di un lembo a spessore totale e nell’uso di una griglia in titanio che protegge la rigenerazione del tessuto osseo ed al contempo fa ottenere una fissazione rigida dei segmenti ossei separati. In uno studio su 25 pazienti trattati con questa tecnica in associazione con frammenti di osso autologo si è concluso che in tutti i 25 casi il tessuto formatosi al di sotto della griglia aveva i caratteri macroscopici dell’osso maturo, rivestito superficialmente da un sottile strato periosteo imprigionato nelle maglie della griglia10. L’esame microscopico ha dimostrato invece che le particelle di osso autologo zeppato erano avvolte in una matrice di osso neoformato, senza interposizione di tessuto connettivo9-10,15,16. L’indicazione all’uso di questa tecnica è relativa al mascellare superiore, che ha un grado di elasticità tale da non ri- chiedere svincoli ossei vestibolari, indispensabili invece per la separazione bicorticale nella mandibola17. Mediante la tecnica dello Split Crestale è possibile ottenere l’aumento di creste alveolari atrofiche nel profilo vestibolobuccale, in zone edentule del mascellare superiore3, 4, 8, 18,19. Il protocollo è indicato nelle regioni edentule caratterizzate da una buona dimensione verticale dell’osso disponibile, con ispessimento della cresta in profondità. Spazi edentuli delimitati mesialmente e distalmente dalla presenza di elementi dentari naturali richiedono una maggiore accortezza dell’operatore, nello split della porzione da incrementare. In questi casi si consiglia di associare due osteotomie verticali della corticale vestibolare, per evitare l’interessamento del parodonto dei denti limitrofi. Nella mandibola lo spessore e la rigidità delle corticali impediscono la diastasi controllata delle pareti e determinano difficoltà oggettive nella realizzazione della tecnica descritta. Qualora l’indagine pre-chirurgica sia condotta con tomografia computerizzata, così da poter diagnosticare preoperatoriamente l’esiguità dello spessore osseo vestibolo-buccale, è opportuno eseguire lo scollamento, scheletrizzando esclusivamente il profilo più coronale della cresta, per preservare la vascolarizzazione del peduncolo periostale. La perdita avanzata di osso alveolare in senso vestibolo-buccale, in spazi edentuli limitati, può residuare per vari fattori quali parodontiti, complicazioni endodontiche o fratture radicolari, estrazioni complesse o semplicemente edentulie di lunga durata che rientrano nella classe IV di Cawood ed Howell. Questa condizione anatomica residua può impedire l’inserimento immediato di impianti, a causa della inadeguata morfologia del substrato, che determina sia difficoltà immediate per l’ancoraggio e la stabilità primaria dell’innesto alloplastico, sia l’imprevedibilità del risultato estetico. In questi casi, il trattamento di scelta per reintegrare la perdita dell’osso alveolare, prima dell’incorporazione dell’impianto, è l’aumento localizzato della cresta13, 20-22. In rigenerazione ossea guidata, l’utilizzo di membrane favorisce una più completa osteogenesi del sito da reintegrare. Al fine di ottenere risultati ancora più prevedibili, Simion e coll.8 hanno abbinato le tecniche di split crestale con quelle di GBR, per ottimizzare i vantaggi delle singole metodiche. L’utilizzo di una membrana in ePTFE con tecnica di split crestale, associata a impianti immediati o con protocollo a due fasi, offre il vantaggio di una rigenerazione ossea completa in spazi a quattro pareti23. Nei casi di creste residue di dimensioni estremamente esigue in senso vestibolo-buccale, ma con una buona estensione in altezza, il protocollo di split crestale, associato a membrane, con tempo chirurgico implantare dilazionato è comunque un approccio terapeutico prudente, poiché l’eventuale insuccesso della GBR evita al paziente il danno economico determinato dalla perdita degli impianti. Questo atteggiamento chirurgico può limitare, in casi selezionati, protocolli più invasivi, con innesti ossei autologhi che necessitano una aggressione chirurgica di una seconda zona donatrice25. 148