dossier D O LA TERAPIA ANTIBIOTICA Dossier a cura di M. Casarola1, O. Codella2, E. Concia3, A. Conforti5, G. Cornaglia 6, C. Melotti1, P. Sandri1, T. Sandrini1, G.E. Senna4, M. Sighele1, L.Vettore7. S 1. MMG; 2. Internista, Medicina Interna A, Ospedale Policlinico di Verona; 3. Direttore Cattedra Malattie Infettive, OCM Verona; 4. Primario Servizio Allergologia, OCM Verona; 5. Ricercatrice, Dip. Medicina e Sanità Pubblica, Università di Verona; 6. Direttore Cattedra Microbiologia, Università di Verona; 7. Presidente Società Italiana di Pedagogia Medica. S I E R Questo “dossier” sulla terapia antibiotica è di dimensioni maggiori del consueto perché il tema riveste un’importanza particolare nella pratica professionale del medico. Si è ritenuto opportuno definire nella prima parte le conoscenze teoriche, comunque essenziali e irrinunciabili, per praticare in modo corretto ed efficace la scelta e la prescrizione della terapia antibiotica; il lettore vi potrà infatti trovare espresse in modo succinto, ma sperabilmente chiaro, le risposte degli Esperti ai seguenti quesiti: - perché e come si sviluppano le infezioni? - perché s’instaurano le resistenze batteriche e come il medico può ridurne l’impatto negativo sulle proprie decisioni terapeutiche? - come e quando serve il laboratorio microbiologico? - quali conoscenze sulle caratteristiche farmacologiche degli antibiotici sono indispensabili per consentire una loro prescrizione corretta? - quale strategia è consigliabile per scegliere l’antibiotico giusto quando possa essere solo presunta l’eziologia dell’infezione e non si disponga dei dati microbiologici e di sensibilità? - come evitare i rischi gravi di reazioni allergiche alla somministrazione di antibiotici? Nella seconda parte questi principi trovano applicazione concreta nelle indicazioni alla terapia antibiotica per le infezioni più frequenti: la polmonite nel paziente adulto a domicilio e in quello le cui condizioni consigliano il ricovero in ospedale (le infezioni urinarie erano già state trattate recentemente su Dialogo sui farmaci). Un ampio contributo sarà dedicato alla particolarità della terapia antibiotica per tutte le infezioni più frequenti nel bambino. Infine, vengono pubblicati i risultati ottenuti nel trattamento domiciliare della polmonite dell’adulto da un gruppo di Medici di Famiglia veronesi, grazie all’applicazione di una linea guida da loro stessi concordata sulla base delle evidenze scientifiche internazionali e molto simile agli indirizzi terapeutici teorici riportati nel dossier. Fisiopatologia delle infezioni a cura di: E. Concia - Direttore Cattedra Malattie Infettive, OCM Verona La strategia del nemico La malattia infettiva costituisce il risultato della complessa interazione tra microrganismo e ospite. L’esito del contatto dipende da variabili appartenenti ad entrambi gli organismi. Per quanto riguarda il microrganismo i fattori determinanti l’esito sono i seguenti: patogenicità, virulenza, 256 invasività, carica infettante e tossinogenesi. La patogenicità consiste nell’attitudine del microrganismo a provocare infezione o malattia in un determinato organismo superiore. Tale caratteristica è in genere speciespecifica e si manifesta nel tipo di rapporto che il microrganismo è in grado di instaurare con l’ospite con cui viene in contatto. Su questa ba- se i microrganismi possono essere distinti in simbionti (rapporto di reciproco vantaggio), commensali (moltiplicazione dei microrganismi senza apparente vantaggio del microrganismo superiore), parassiti o patogeni (rapporto a vantaggio del microrganismo e dannoso per l’organismo superiore). La virulenza costituisce la capacità di singoli ceppi di specie patogene n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 dossier di produrre una serie di fattori che ne favoriscono la sopravvivenza, la moltiplicazione ed il superamento delle difese dell’ospite. L’invasività è l’attitudine a superare le barriere di difesa superficiale dell’ospite propria delle specie in grado di provocare infezioni profonde senza la liberazione di tossine. Tappa precedente all’invasione tissutale è generalmente l’adesione dei microrganismi alla cute o alle mucose dell’ospite attraverso specifici antigeni che legano recettori dell’ospite condizionando anche specifici fenomeni di tropismo tissutale. In alcune circostanze le suddette proprietà non sono sufficienti a sbilanciare l’equilibrio ospite-microrganismo a favore di quest’ultimo in assenza di una significativa carica infettante. L’entità della carica infettante, ovvero il numero di unità microbiche necessarie per provocare l’infezione, è variabile a seconda delle specie. La specie di microrganismo e la supposta carica infettante condizionano la scelta dell’antibiotico, tra quelli dotati di attività soltanto batteriostatica o anche battericida, e la necessità di ricorrere all’impiego di associazioni antibiotiche al fine di ottenere un effetto sinergico e quindi più potente, soprattutto in presenza di elevata carica infettante. Vi sono infine alcuni microrganismi la cui azione patogena è basata sulla capacità di produrre tossine codificate su base genetica; la perdita di questa proprietà determina in genere l’incapacità di generare malattia. Le tattiche difensive Per quanto riguarda le variabili relative all’organismo superiore, esse sono tutte riconducibili alla capacità di difesa, la cui compromissione può essere determinata dalla presenza di patologie o di condizioni a rischio o da fattori genetici. I fattori di difesa si strutturano a vari livelli: prima e seconda linea di difesa e fattori aspecifici e specifici. n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 Tra i meccanismi aspecifici esiste innanzitutto la barriera anatomo-funzionale rappresentata dalla cute, dalle mucose e dai loro secreti che oppongono un immediato ostacolo all’entrata dei microrganismi anche grazie alla produzione di sostanze nocive per i microrganismi stessi (lisozima, alfa-1-antitripsina, pH acido).Altro meccanismo aspecifico di primo livello è la presenza di una flora batterica endogena che ha un effetto limitante e competitivo sulla moltiplicazione di potenziali patogeni. Dopo il superamento del primo livello di blocco, si innescano altre reazioni aspecifiche di difesa come la produzione di proteine della fase acuta e del complemento e il rilascio di citochine che aumentano la permeabilità vascolare, determinano l’attivazione di cellule fagocitiche e natural killer e possono avere di per sé attività antinfettiva (azione antivirale dell’interferone). I meccanismi specifici di difesa costituiscono la risposta immunitaria dell’ospite alle infezioni. Questa si basa su fattori umorali, le immunoglobuline, che vengono prodotte in presenza di antigeni ed hanno una prevalente azione di neutralizzazione nelle infezioni virali e di opsonizzazione e innesco della batteriolisi complemento-mediata nelle infezioni batteriche. Il braccio effettore della risposta immunitaria è dato dall’immunità cellulo-mediata che si basa sull’azione di linfociti T helper, implicati nell’attivazione dei macrofagi soprattutto nelle infezioni da batteri intracellulari, e di linfociti T citotossici, fondamentali nell’eliminazione dei virus. Il delicato equilibrio tra microrganismo e ospite si gioca quindi sulla prevalenza dei fattori di aggressività dell’uno o di quelli difensivi dell’altro, con la determinazione di una patologia infettiva classica quando l’aggressività del microrganismo sia tale da annientare un individuo sano e di una patologia opportunista quando microrganismi commensali o a bassa patogenicità si confronta- no con deficit dei meccanismi di difesa dell’ospite. Nel caso di pazienti immunocompromessi è spesso necessario utilizzare farmaci battericidi e/o potenziare la terapia impiegando associazioni di antibiotici. Tuttavia nemmeno tale complessa strategia non consente sempre di ottenere il successo clinico. Il terzo elemento che può entrare nel rapporto microrganismo-ospite condizionandone l’esito è la terapia antinfettiva. In generale l’azione dei farmaci antinfettivi si esplica nel neutralizzare a vari livelli i meccanismi effettori del microrganismo che ne consentono la penetrazione, la moltiplicazione e l’azione lesiva. Il successo di una terapia antinfettiva dipende da vari e complessi fattori. Innanzitutto nella terapia empirica occorre valutare quali sono i microrganismi più frequentemente implicati e le caratteristiche di resistenza agli antibiotici che possono variare a seconda dell’ambiente in cui è stata contratta l’infezione. Inoltre, a fronte di una dimostrata azione in vitro, è necessario considerare gli elementi farmacocinetici e farmacodinamici che condizionano l’adeguata concentrazione del principio attivo nel sito di infezione ed il mantenimento di livelli circolanti non nocivi per l’organismo umano. Si deve tenere conto infatti della Minima Concentrazione Inibente (MIC) dell’antibiotico nel sito di infezione e le concentrazioni ivi raggiungibili in vivo. La scelta dell’intervallo di somministrazione è condizionata dalle caratteristiche di dipendenza dal tempo o dalla concentrazione che le diverse classi di antibiotici possiedono. Le scarse informazioni epidemiologiche Appare alquanto problematico ricostruire una visione epidemiologica delle malattie infettive di interesse prevalentemente ambulatoriale poiché non esiste in Italia un sistema di rilevazione attendibile di tali 257 D O S S I E R dossier D O S S I E R patologie ed anche perché la diagnosi di certezza con specifico orientamento eziologico spesso non è possibile a questo livello di assistenza. Tra le patologie infettive di più frequente riscontro a livello comunitario figurano le infezioni delle alte e basse vie respiratorie e dell’orecchio. La seconda causa di visita ambulatoriale, dopo l’esame routinario del bambino sano, è l’otite media acuta; infatti entro i primi 3 anni di vita tutti i bambini manifestano almeno un episodio di questa patologia ed il 50% di essi è affetto da recidive. Altra problematica assai comune, soprattutto in età pediatrica, sono le faringotonsilliti che motivano il 10% delle visite ambulatoriali. In un’indagine condotta recentemente in Italia, l’incidenza di rinosinusiti risulta pari al 24-29% fino a 50 anni e al 17% dopo questa fascia di età1. Per quanto riguarda le polmoniti di comunità, nel 1990 l’incidenza media in Italia è stata di circa 12 casi/1.000 abitanti ovvero circa 700.000 casi di cui il 3% ha necessitato di ricovero ospedaliero1. Da alcuni anni l’Istituto Superiore di Sanità effettua una sorveglianza dell’andamento dell’epidemia influenzale: da questo registro risulta che nell’inverno 2000-2001 si sono verificati in Italia 55 casi/1.000 assistiti. Il Ministero della Salute elabora annualmente un Bollettino Epidemiologico relativo alle patologie soggette a notifica (www.ben.iss.it), ma anche dal suo esame si traggono poche informazioni utili sull’incidenza delle malattie da agenti infettivi curabili con terapia antibiotica e in particolare non sono disponibili dati che indichino la frequenza relativa delle malattie batteriche rispetto alle virali. Secondo gli ultimi dati statistici for- niti dall’Istituto Superiore di Sanità e risalenti purtroppo soltanto al 1994, il tasso di mortalità per cause infettive in Italia è stato pari a 3.388 casi/100.000 abitanti, ovvero le malattie infettive hanno causato in quell’anno lo 0,3% dei decessi. Se si considerano le polmoniti, calcolate a parte, queste hanno rappresentato l’1,2% dei decessi.Tali valori sono ovviamente trascurabili se si paragonano a quelli relativi alle patologie cardiovascolari (57% dei decessi) o ai tumori (28,2%)2. Non ci sono ragioni plausibili per ritenere che i rapporti reciproci siano mutati significativamente in tempi più recenti. BIBLIOGRAFIA 1. E. Concia: infezioni delle vie respiratorie. 1999 PG Edizioni Scientifiche. 2. Sito web: www.iss.it Il nemico “intelligente”: i batteri a cura di: G. Cornaglia - Direttore Cattedra Microbiologia, Università di Verona Le resistenze batteriche I batteri hanno imparato quasi subito a convivere con gli antibiotici, sviluppando tutta una serie di meccanismi di resistenza che hanno da sempre ostacolato la terapia delle infezioni. Si noti che il fenomeno sta per ripetersi anche con gli antivirali, via via che questi principi attivi diventano più numerosi e disponibili. L’abbondanza di molecole sempre nuove, resa possibile dagli sforzi di ricercatori e case farmaceutiche (con scopi certo differenti, ma con risultati fortunatamente coincidenti) ha per anni reso possibile una certa “non chalance” nell’uso di questi farmaci, tanto che molti antibiotici hanno spesso vissuto una stagione molto più effimera del dovuto, nell’illusione che, spuntata un’ar- 258 ma, ce ne fosse dietro l’angolo sempre una disponibile. Lo sfruttamento intensivo delle strutture molecolari conosciute, con una lunga serie di “variazioni sul tema”, ha invece creato un vuoto, che oggi non siamo in grado di riempire né con la scoperta di nuove strutture da sfruttare né con ulteriori modifiche delle vecchie molecole. Le nuove tecniche scese in campo, dalla modellistica computerizzata alle più aggiornate tecniche di biologia molecolare e analisi del genoma, non hanno dato finora i risultati sperati; anche a volere essere ottimisti, sembra oggi molto improbabile che queste tecniche riusciranno a partorire prima di un congruo numero di anni qualcosa di utile (cioè non una brillante idea, peraltro ancora di là da venire, ma un vero farmaco da somministrare a un vero paziente). Nel frattempo, le vetrine delle farmacie (ma anche quelle dei congressi internazionali) sono sempre più desolatamente povere di nuovi prodotti. Quel po’ che si vede sembra destinato a vita (prevedibilmente) effimera o possiede uno spettro di attività talmente limitato da destinarlo alla sola funzione di prodotto di nicchia per patogeni o situazioni particolari. In queste condizioni diventa ancora più importante per il medico pratico usare bene gli antibiotici che ha a disposizione, sia perché l’efficacia “garantita” del singolo prodotto e la possibilità di usarlo in situazioni cliniche diverse sono sempre meno plausibili (per effetto, come abbiamo visto, del ridotto spettro antibatteri- n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 dossier co di base e delle resistenze acquisite), sia perché quando un farmaco funziona bisogna tenerselo caro ed evitare di sprecarlo (non solo per un pur opportuno senso civico-ecologico ma perché le alternative dietro l’angolo non ci sono più). L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha fatto osservare proprio quest’anno che, paradossalmente, le resistenze si creano sia usando “troppo” antibiotico che usandone “troppo poco”. Il primo rischio è ovviamente legato alla situazione di opulenza che genera spreco e, da un punto di vista evolutivo, pressione selettiva. Un pericolo non ancora avvertito ma già presente è, per esempio, l’aumentata frequenza delle infezioni fungine, conseguente allo squilibrio indotto nell’ecosistema dall’eccessiva presenza di antibiotici ad azione antibatterica. Ma anche il secondo rischio, quello del “troppo poco”, non è affatto limitato a paesi del Terzo Mondo o con gravi carenze sanitarie, ma si verifica in modo subdolo anche alle nostre latitudini tutte le volte che si prescrive una terapia antibiotica per periodi troppo brevi (facilitati in ciò dalla presenza sul mercato di principi attivi consigliati con queste posologie, gradite ai pazienti), oppure non si completa un ciclo di terapia, o si prescrivono dosi di antibiotico troppo ridotte o distanziate tra loro, o si fa ricorso a un farmaco scarsamente efficace per propri limiti intrinseci (troppo vecchio, superato dall’evoluzione delle resistenze), o quando … il paziente (o il medico?) prendono dall’armadietto dei medicinali una confezione (magari aperta) lasciata lì chissà in quale occasione e per chissà quanto tempo. Ancora, l’avere a disposizione farmaci ad ampio spettro può essere rassicurante dal momento che nella grande maggioranza dei casi la scelta dell’antibiotico si basa su dei criteri empirici, ma purtroppo l’uso allargato di antibiotici ad ampio spettro è uno dei principali fattori responsabili dell’aumento delle resistenze. Quindi, modificare l’uso improprio n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 degli antibiotici e contribuire a limitare il dilagare delle resistenze batteriche significa in primo luogo tornare a una corretta pratica diagnostico-terapeutica e considerare l’antibiotico quello che è,cioè non un “male da evitare” ma un farmaco indispensabile, non facile da conoscere e prescrivere. Infine, per dare al problema tutta l’importanza che merita, va sottolineato che la resistenza agli antibiotici può essere trasmessa da una persona ad un’altra attraverso i batteri, da un batterio ad un altro attraverso i plasmidi, da un plasmide all’altro attraverso trasposoni (unità genetiche veicolanti resistenze multiple). L’isolamento negli USA e in Giappone di ceppi di stafilococchi meticillino-resistenti, sui quali non è efficace la vancomicina, ci ripropone l’inquietante scenario dell’impossibilità di curare alcune malattie infettive. Sorveglianza microbiologica regionale Nel 1998, il costante aumento delle resistenze batteriche agli antibiotici ha indotto la Regione Veneto a predisporre un Sistema di Sorveglianza Regionale, tuttora attivo, che raccoglie i risultati degli antibiogrammi eseguiti nei Laboratori di Microbiologia degli Ospedali dei capoluoghi delle province venete. Il Sistema di Sorveglianza è coordinato, presso l’Università di Verona, dalla Sezione di Microbiologia del Dipartimento di Patologia, Centro di Riferimento Regionale per le Resistenze ai farmaci antibatterici (diretto dalla Prof.ssa Roberta Fontana). Come esempio dei dati raccolti dal Centro si rinvia al dossier sulle infezioni delle vie urinarie, pubblicato in Dsf n. 3/1999, dove sono riportate le percentuali di resistenza agli antibiotici calcolate - sui risultati di tutta la Regione Veneto - per i microrganismi isolati più frequentemente da urocolture in pazienti non ospedalizzati. I dati microbiologici inte- grali, aggiornati annualmente, sono disponibili presso la Direzione Prevenzione della Regione Veneto (tel. 041-2791.352). D Suggerimenti pratici per l’utilizzazione del laboratorio di microbiologia clinica S Un uso intelligente del laboratorio di microbiologia da parte del prescrittore può contribuire parecchio a limitare la diffusione delle resistenze agli antibiotici, sia attraverso una corretta identificazione del microrganismo sia, e questo è più intuitivo, attraverso l’antibiogramma. Tale uso è ampiamente praticato nell’ospedale sui più vari campioni biologici (sangue, urine, escreato, secrezioni, ecc.); al contrario, molte ragioni - per lo più di carattere logistico - limitano il ricorso del medico di base al laboratorio di microbiologia e così, in gran parte delle infezioni riscontrate sul territorio, la terapia è essenzialmente empirica. L’incertezza sul microrganismo implicato porta inevitabilmente ad utilizzare antibiotici a largo spettro nel tentativo di “non lasciare fuori niente”. Una corretta diagnosi eziologica, che solo il laboratorio è in grado di fare, consentirebbe l’impiego di farmaci più mirati, a spettro più ristretto e, magari, anche più attivi su quel particolare microrganismo. Di fatto l’indagine microbiologica sarebbe possibile anche nella medicina del territorio sui tamponi faringei e sui campioni di urine (sui campioni spontanei di espettorato è forse meno utile per i molti falsi negativi); si tratta infatti di materiali relativamente facili da ottenere senza alcuna manovra invasiva e per la corretta esecuzione dei quali basta osservare minimi accorgimenti di sterilità e tempestività nell’invio al laboratorio. Anche la prescrizione e l’interpretazione dell’antibiogramma non comportano, per il medico di base, richieste o conoscenze particolari, dato che viene ormai effettuato di rou- 259 O S I E R dossier D O S S I E R tine su tutti i batteri patogeni. Ogni laboratorio effettua l’antibiogramma con un assortimento di antibiotici prefissato, che generalmente è stato scelto in base al tipo di batterio, all’epidemiologia delle resistenze a livello locale e possibilmente al tipo di antibiotici realmente disponibili per il medico (nel caso delle infezioni comunitarie, quindi, i tipici antibiotici ospedalieri non dovrebbero figurare sul referto, e viceversa). Generalmente nell’antibiogramma compare solo uno dei principi attivi appartenenti alla stessa famiglia farmacologica (penicilline semisintetiche, macrolidi, tetracicline, chinoloni, ecc.), e quindi con sensibilità e resistenze crociate: ciò rende equivalente la scelta terapeutica dell’uno o dell’altro principio apparte- nente alla medesima famiglia. In linea di massima ciò è vero anche per le molecole di sintesi più recente (e pertanto meno sperimentate e spesso più costose), le quali per lo più si differenziano dalle meno recenti per le caratteristiche farmacocinetiche più che per diversità di spettro; tuttavia non si può negare che laddove la molecola più recente raggiunga una migliore diffusibilità in determinati distretti, oppure possa essere usata a dosaggi inferiori e quindi sia meglio tollerata, essa possa realizzare un’efficacia clinica maggiore dei suoi congeneri verso certi tipi d’infezione. Si constata tuttavia una certa disaffezione di molti medici per gli esami microbiologici, e in ciò anche il laboratorio ha la sua parte di respon- sabilità, per lo più ascrivibile alla scarsa tempestività della risposta. Per questo, solo in pochi casi il medico a domicilio può attendere il referto microbiologico per prescrivere la terapia. Si può tuttavia osservare che comunque la risposta del laboratorio potrebbe dare al medico valide indicazioni sulla correttezza della diagnosi presuntiva e dell’antibiotico scelto anche se nel frattempo la terapia antibiotica fosse già iniziata, contribuendo così a creare una mini-epidemiologia personale; naturalmente ciò comporta nel breve periodo un certo costo, verosimilmente compensato dalla crescita nel medio periodo delle informazioni epidemiologiche ancora così carenti nel nostro Paese. Gli antibiotici, ovvero l’arma non letale a cura di: A. Conforti - Ricercatrice, Dipartimento Medicina e Sanità Pubblica, Università di Verona I farmaci antibatterici sono gli unici farmaci realmente curativi che abbiamo oggi a disposizione. Pochi farmaci si sono rivelati utili, spesso “salvavita” come gli antibiotici, tuttavia la terapia antibiotica non è una terapia di comodo né una terapia facile. Presuppone infatti, oltre alle capacità cliniche, al senso critico e alla conoscenza delle proprietà del farTabella 1 maco usato, una serie di imprescindibili regole generali che derivano dalle caratteristiche peculiari degli antibiotici, e sono riconducibili a dei concetti che si imparano sui banchi universitari ma che poi spesso rimangono in quel bagaglio teorico di conoscenze distante e distaccato dalla scelta prescrittiva.Tali regole potrebbero essere riassunte così: scegliere l’antibioti- co giusto, somministrarlo alla dose giusta per il giusto periodo di tempo. Le conoscenze utili sul meccanismo d’azione Classicamente gli antibiotici vengono suddivisi in batteriostatici, quando producono inibizione tem- - Meccanismo d’azione delle principali classi di antibiotici (esclusi gli antitubercolari) Meccanismo d’azione Antibatterici Attività Inibizione della replicazione e trascrizione del DNA chinoloni battericidi Blocco o deviazione della sintesi proteica macrolidi, tetracicline, aminoglicosidi batteriostatici/battericidi Inibizione della sintesi della parete cellulare betalattamine, teicoplanina battericidi Alterazione della membrana cellulare polimixine, amfotericina B battericidi Antimetaboliti sulfamidici batteriostatici 260 n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 dossier poranea della crescita delle cellule batteriche sensibili, e battericidi quando si ha una inibizione definitiva della crescita e morte della cellula. In realtà questa suddivisione non è rigida e dipende anche dalla sensibilità delle cellule trattate, dalle concentrazioni di farmaco raggiunte e dai tempi di esposizione al farmaco: vi sono farmaci batteriostatici a basse concentrazioni, ma battericidi a concentrazioni più alte (ad esempio alcuni macrolidi tra cui l’eritromicina). Nella scelta di un antibiotico batteriostatico o battericida sono determinanti le risorse fisiologiche del paziente. La tabella 1 riassume i meccanismi d’azione dei principali antibiotici. L’uso intelligente delle conoscenze di farmacocinetica Uno dei presupposti per il successo di una terapia antibatterica è il raggiungimento nella sede dell’infezione di concentrazioni attive. In altre parole, la concentrazione minima nella sede di infezione dovrebbe essere uguale o superiore alla Concentrazione Minima Inibente (MIC) del farmaco per il microrganismo, anche se recenti evidenze suggeriscono che anche concentrazioni sub-inibenti di antibiotici possono indurre la fagocitosi e quindi essere efficaci; d’altra parte concentrazioni plasmatiche uguali o anche superiori alla MIC possono risultare inefficaci se analoghe concentrazioni non vengono raggiunte nella sede dell’infezione. Ciò dà ragione del fatto che gli ascessi (e in genere i “santuari” infettivi) per lo più non guariscono con la sola terapia antibiotica, e necessitano pertanto di essere drenati. Queste considerazioni spiegano l’indiscussa utilità dei dati forniti dall’antibiogramma, ma anche la loro fallibilità, tanto che antibiotici indicati come attivi dall’antibiogramma possono talora fallire e al contrario si possono ottenere guarigio- n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 ni con scelte terapeutiche effettuate su base empirica e non confortate dai risultati microbiologici; si noti che in questi caso il risultato clinico deve essere considerato più affidabile di quello laboratoristico, rendendo ancora una volta apprezzabile il detto:“squadra che vince non si cambia”. Solamente pochi antibatterici superano sempre, ai dosaggi consueti, la barriera emato-liquorale e non tutti raggiungono il tessuto osseo, i polmoni, le strutture oculari o la prostata in quantità terapeuticamente utili. Cotrimoxazolo, macrolidi, fluorochinoloni e tetracicline diffondono meglio nelle secrezioni bronchiali, rispetto a cefalosporine, aminoglicosidi, penicilline; gli aminoglicosidi raggiungono nella midollare renale concentrazioni anche 10 volte maggiori di quelle plasmatiche. La scelta della via di somministrazione e del dosaggio dei vari antibatterici deve quindi tenere in considerazione, in funzione della sede dell’infezione e delle condizioni del paziente, le caratteristiche di diffusibilità e di concentrazione tissutale dell’antibiotico. Metabolismo ed eliminazione sono fasi della farmacocinetica che pure condizionano la scelta del farmaco, anche all’interno di uno stesso gruppo terapeutico. Per esempio, tra i fluorochinoloni l’eliminazione renale è predominante per ofloxacina, lomefloxacina e cinoxacina, mentre pefloxacina è eliminata prevalentemente per via non-renale; per questo essa non richiede aggiustamenti di dosaggio nel paziente con insufficienza renale, mentre la sua emivita aumenta notevolmente nell’insufficienza epatica grave. Tradizionalmente la dose e la frequenza di somministrazione di un antibiotico vengono scelte con la finalità di ottenere concentrazioni relativamente costanti durante tutto il trattamento; tuttavia oggi sembra dimostrato che per alcuni antibiotici, ad esempio gli aminoglicosidi, l’effetto terapeutico sia superio- re quando alti picchi di concentrazione sono seguiti da periodi di attività sub-inibitoria.1 D O Interazioni: ogni giorno una nuova S Lo studio delle interazioni tra farmaci rappresenta uno dei settori della medicina dove appare più marcata la distanza tra l’evoluzione di conoscenze teoriche (gli studi sono spesso condotti su modelli sperimentali e volontari sani) e la possibilità di tradurre i risultati in suggerimenti clinicamente utili. Di fatto, da una parte molte “potenziali” interazioni riportate in letteratura non trovano conferme sul piano clinico, e dall’altra, alcuni eventi avversi gravi, dovuti ad interazioni, sono riconosciuti con molto ritardo e attraverso osservazioni casuali o segnalazioni aneddotiche. Molti fattori contribuiscono al difficile riconoscimento delle interazioni che possono essere mascherate dalla malattia, o essere influenzate da variabilità individuale, fattori genetici o ambientali. Di fatto quelle clinicamente rilevanti durante una terapia antibatterica non sono frequenti, ma possono essere drammatiche. Eritromicina, claritromicina e ciprofloxacina sono degli inibitori degli enzimi metabolizzanti i farmaci e possono portare nell’anziano ad un aumento degli effetti (terapeutici e tossici) di antidepressivi, carbamazepina, fenitoina, ciclosporina e teofillina. Esiste una discreta documentazione sulla riduzione dell’efficacia dei contraccettivi orali da parte di tetracicline, penicilline e cefalosporine (attraverso una diminuzione del ricircolo enteroepatico) e da parte di rifampicina (per induzione del metabolismo epatico). La co-somministrazione di miorilassanti ad azione periferica non depolarizzanti (tubocurarina, mivacuronio) e aminoglicosidi può causare un prolungamento del blocco neuromuscolare per un’azione additiva 261 S I E R dossier D O S Il “pomfo per gli antibiotici” ovvero... le cattive abitudini sono dure a morire!!! a cura di: G.E. Senna - Primario Servizio Allergologia, OCM Verona La teoria S I E R In merito all’uso inveterato di effettuare, prima di un ciclo di antibiotico-terapia parenterale, un pomfo di prova per accertare l’eventuale allergia del paziente da trattare, il “Memorandum” stilato dalla Società Italiana di Allergologia e Immunologia Clinica sulla “Diagnosi di allergia/ intolleranza ai farmaci” recita quanto segue: “…è comunque da proscrivere la pratica del cosiddetto “pomfo di prova” effettuato per lo più da personale non specializzato e con metolodologia non corretta subito prima della terapia. Tale pratica è da considerare assolutamente errata in quanto: 1) alcuni farmaci indiluiti possono dare cutireazioni aspecificatamente positive; 2) la quantità non controllata di un farmaco direttamente iniettato nel derma può causare reazioni generalizzate anche molto gravi”1. La pratica Uno studio condotto presso il Policlinico Universitario di Verona sulla pratica del pomfo al quale hanno partecipato 17 reparti su 50 interpellati ha dato luogo a questi risultati2: 1) il pomfo di prova è prassi comune a tutti i reparti e viene eseguito, letto ed interpretato da personale paramedico nell’82,3% dei casi; 2) l’anamnesi allergologica viene regolarmente effettuata in 16 dei 17 reparti ed è raccolta da personale medico (69%), ma anche paramedico (31%); 3) il personale paramedico riceve disposizioni precise in merito all’esecuzione del pomfo in 5 reparti (29%), mentre negli altri le istruzioni sono solo verbali; 4) il pomfo è praticato indiscriminatamente per qualsiasi categoria di antibiotici e prevede l’inoculazione di quantità variabili di farmaco che vanno da 0,01 mg a 30 mg, in singola o duplice somministrazione. Le soluzioni La prevenzione delle reazioni allergiche causate dall’assunzione di antibiotici propone soluzioni parzialmente differenti a domicilio o in ospedale. Due elementi sono tuttavia identici in ambedue le condizioni: l’impropriatezza assoluta della pratica del pomfo, e l’essenzialità di un’anamnesi accurata per escludere precedenti allergici. Si sottolinea con forza che tale anamnesi dev’essere raccolta solo da chi ne abbia la competenza professionale, perché dalle informazioni ottenute dipende l’effettiva valutazione del rischio; la pregressa assunzione di antibiotici beta-lattamici senza alcuna reazione riduce fortemente il rischio attuale. 262 Stabiliti questi due punti fissi, le differenze essenziali nel comportamento medico sono le seguenti. a) Sul territorio, qualora l’anamnesi rilevi di fatto un rischio ragionevole di reazione allergica, il curante può prendere tre decisioni efficaci: - prescrivere un principio attivo non beta-lattamico (cioè non penicillinico o cefalosporinico) tra quelli presumibilmente efficaci nell’infezione da trattare; - usare comunque la somministrazione per via orale e non quella parenterale; - chiedere la consulenza specialistica dell’allergologo. Qualsiasi prova di sensibilizzazione all’antibiotico dev’essere sconsigliata a domicilio, cioè in condizioni di per sé insicure. b) In ospedale, dove le procedure terapeutiche possono essere attuate in condizioni di maggiore sicurezza, le decisoni efficaci da prendere sono le seguenti: - nel caso di anamnesi positiva per diatesi allergica generica (cioè non ancora documentata nei confronti di principi attivi beta-lattamici), scelta della via orale e se possibile sostituzione dell’antibiotico con un altro principio attivo di struttura differente; - nel caso di allergia certa e specifica all’antibiotico, sua sostituzione con un principio attivo con struttura differente (non beta-lattamica); - nel caso eccezionale di assoluta insostituibilità del principio attivo, si può procedere a test di sensibilizzazione in condizioni garantite di sicurezza: diluizione molto elevata del principio attivo in soluzione fisiologica (1:1.000.000, cioè una concentrazione che può rappresentare anche la prima tappa di una procedura di desensibilizzazione); predisposizione dei mezzi d’intervento immediato in caso di shock anafilattico (accesso venoso, adrenalina, ventilazione assistita, corticosteroidi, antistaminici, soluzione fisiologica per infusione e.v.); somministrazione molto lenta e.v. della soluzione iperdiluita dell’antibiotico sotto stretto controllo del medico. Nei casi dubbi, e soprattutto per la definizione precisa della condotta da tenere nel futuro del paziente, è utile la consulenza specialistica dell’allergologo. BIBLIOGRAFIA 1.Memorandum SIAIC sulla Diagnosi di allergia/intolleranza ai farmaci. Giorn It Allergol Immunol Clin 1988; 8 : 56896. 2.Dama AR, Alberti A, Scroccaro G, Zanoni G, Crivellaro MA, Bonadonna P, Senna GE. Giorn It Allergol Immunol Clin 1998; 8 : 535-8. n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 dossier sulla giunzione neuromuscolare. Anche i cibi possono interagire con gli antibiotici, si consiglia quindi di evitare la somministrazione vicino ai pasti e l’assunzione contemporanea di prodotti che contengono calcio, ferro, vitamine e antiacidi. I chinolonici possono aumentare i livelli plasmatici di caffeina se assunti con caffè, cola, tè, cioccolato2. In cauda venenum, ovvero l’illusione della tossicità selettiva Agire selettivamente su strutture e funzioni tipiche della cellula batterica è la caratteristica che differenzia gli antibiotici da qualsiasi altro farmaco. Questo non significa purtroppo che gli antibiotici non sono tossici per l’uomo, come ricordano gli esempi riportati qui di seguito. La colite pseudomembranosa era conosciuta prima dell’introduzione degli antibiotici e può tuttora insorgere in pazienti che non ne fanno uso; è tuttavia evidente che i casi sono aumentati drammaticamente in seguito all’uso degli antibiotici e che in particolare i pazienti trattati con lincomicina o clindamicina, cefalosporine, penicilline beta-lattamasi resistenti, o una combinazione di più antibiotici sono a più alto rischio. Una perdita dell’udito clinicamente riconoscibile si verifica nel 2-4% dei pazienti trattati con aminoglicosidi e la percentuale si alza notevolmente (fino al 44%) in pazienti con endocardite da Pseudomonas che ricevono per un periodo prolungato dosi elevate di gentamicina. Anche il rischio di nefrotossicità, sotto forma di necrosi tubulare acuta o più comunemente di una insufficienza renale non-oligurica ad evoluzione graduale, appare legato alla dose totale di aminoglicoside (durata del trattamento) e ai livelli ematici (un’ora dopo la dose e subito prima della dose successiva) oltre che ad altri fattori come l’età, malattie concomitanti epatiche, disidratazione, ipovolemia, sepsi e uso di ACE-inibitori, cefalosporine, diuretici, FANS e ciclosporina. Fototossicità, reazioni a livello del sistema nervoso centrale, psichiatriche e tendinopatie sono effetti avversi caratteristici dei fluorochinoloni, con marcate differenze fra i diversi principi attivi in relazione ai diversi gruppi chimici in alcune posizioni-chiave3. 1. Goodman&Gilman’s: The pharmacologic basis of therapeutics, l0th edition, 2001. 2. Esempi tratti da: Garattini S, Nobili A: Interazioni tra farmaci, Selecta Medica 2001. 3. Esempi tratti da: Dukes MNG, Aronson JK: Meyler’s side effects of drugs, 40th edition 2000. a cura di: M. Casarola, C. Melotti - MMG,Verona; L.Vettore - Presidente Società Italiana Pedagogia Medica n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 tere profondamente “etico” – se così si può dire – poiché si propone contemporaneamente la guarigione del paziente, la minima incidenza di effetti collaterali, la riduzione del rischio d’induzione dell’antibioticoresistenza nel germe e infine il risparmio di risorse economiche della collettività. Occorre pertanto esaminare il problema tenendo conto di molti fattori, quali ad esempio l’età e le condizioni fisiologiche e patologiche preesistenti del soggetto, il germe presumibilmente implicato con più probabilità in quell’episodio infettivo, la possibilità che l’infezione apra la strada a complicanze, specie se potenzialmente severe, l’eventuale carattere di recidiva che l’episodio O S S I E BIBLIOGRAFIA L’oscuro oggetto del desiderio: strategie per una terapia efficace Nella pratica clinica della Medicina Generale si presenta spesso la necessità per il Medico di impostare una terapia antibiotica. Le patologie più comuni riguardano l’apparato respiratorio e le vie urinarie, e coinvolgono pazienti che, quanto ad età, vanno dall’adolescente al vecchio. La scelta dell’antibiotico corretto è – o meglio dovrebbe essere – il prodotto finale di un ragionamento complesso che il medico applica a quel particolare episodio infettivo in quel particolare paziente, rifuggendo in egual misura i pessimi consigli della forza dell’abitudine, le suggestioni commerciali e la fretta di decidere. La “fatica” intrinseca a questo procedimento riveste tuttavia un carat- D ricopre, le altre terapie in atto in quel paziente e così via. In queste decisioni il medico ospedaliero può generalmente giovarsi con maggiore facilità dei supporti tecnologici e laboratoristici che l’ambiente gli mette a disposizione e ciò gli consente di affrontare con maggiore tranquillità le infezioni più gravi spesso in soggetti con multimorbilità e difese naturali più compromesse. Tuttavia, nonostante queste opportunità, anche il medico in ospedale raramente può instaurare “ab initio” una terapia antibiotica mirata, cioè con la scelta del farmaco strettamente indicato nella infezione specifica ed è spesso obbligato a scelte terapeutiche su basi empiriche. D’altro canto il medico di famiglia dispone di 263 R dossier D O S S I E R sussidi diagnostici meno sofisticati, ma ha il vantaggio di una conoscenza del paziente, protratta nel tempo, e dell’ambiente in cui vive che gli rendono più agevole la “personalizzazione” della diagnosi così come della terapia, cioè il loro adattamento su misura alle condizioni complessive del singolo paziente, in situazioni sicuramente meno protette, ma generalmente anche meno impegnative di quelle che s’incontrano in ospedale. Dunque, in entrambi i casi la scelta iniziale della terapia antibiotica avviene spesso su basi empiriche, nell’ospedale per la gravità che frequentemente non consente attese decisionali (anche se prima di ogni inizio terapeutico debbono essere avviate tutte le indagini microbiologiche presumibilmente indicate dai segni e sintomi in atto), sul territorio per la difficoltà oggettiva di servirsi in tempi utili dei dati laboratoristici e strumentali. Pertanto, sia in ospedale che sul territorio, la scelta della terapia antibiotica richiede il rispetto di regole tra loro simili e comunque sempre metodologicamente rigorose; tali regole spesso vengono applicate sequenzialmente attraverso ragionamenti impliciti o addirittura inconsapevoli; il renderli espliciti è verosimilmente un’operazione comunque vantaggiosa. Regole per la scelta “empirica” della terapia antibiotica 1. Valutare nel caso specifico la pro- babilità di un’etiologia infettiva: richiede che si considerino i sintomi e segni in atto, le condizioni precedenti e attuali del paziente, gli eventi della sua storia recente e passata, le condizioni epidemiologiche e ambientali. 2. Distinguere su basi probabilistiche, in base alla situazione clinica e a quella epidemiologica, una causa batterica rispetto a cause virali, fungine o protozoarie; la distinzione 264 spesso non è semplice e può essere facilitata dalla classificazione previa della situazione contingente in una delle seguenti tre categorie: a) condizioni notoriamente dovute nella maggioranza dei casi a etiologie non batteriche: per es. infezioni virali per la presenza di quadri clinici classicamente causati da virus come il morbillo, la varicella, la mononucleosi infettiva; sintomi del raffreddore, tanto più se con anamnesi di possibile contagio; sintomi a carico delle alte vie respiratorie in periodo di epidemia influenzale; micosi comuni come il mughetto. In queste condizioni, salvo complicazioni intercorrenti, non si giustifica alcuna terapia antibatterica; b) condizioni notoriamente dovute nella maggioranza dei casi ad etiologia batterica: per es. tonsillite follicolare, otite media acuta purulenta, sinusite acuta purulenta, eresipela, cistite della donna adulta, blenorragia, colecistite acuta febbrile; altre patologie acute infettive nelle quali sia stato dimostrato l’agente batterico infettante (per es. faringite acuta con tampone positivo per streptococco; uretrite con tampone vaginale positivo per Chlamydia trachomatis o per Ureaplasma urealyticum). In queste condizioni è d’obbligo la terapia antibiotica (v. oltre per i criteri di scelta del principio attivo); c) condizioni che possono essere causate sia da batteri che da agenti non batterici e nelle quali i sintomi clinici e i dati microbiologici e/o strumentali non sono dirimenti: per es. affezioni acute della basse vie respiratorie nell’adulto, in assenza di conferma radiologica; otiti acute non purulente; bronchiti acute in soggetti senza BPCO; faringite acuta febbrile senza riscontro microbiologico. In queste condizioni la prescizione di antibioticoterapia dipende dalla valutazione complessiva degli elementi sotto proposti, con la considerazione probabilistica dei rapporti tra benefici, rischi e costi della prescrizione rispetto alla non prescrizione. 3. Definire la localizzazione e l’estensione dell’affezione morbosa sulla base dei sintomi e dei segni locali e sistemici e – quando indicato – dei risultati delle indagini laboratoristiche e strumentali. 4. Ipotizzare in ordine di probabilità il possibile agente etiologico sulla base della localizzazione individuata o presunta dell’affezione (apparato respiratorio, genito-urinario maschile o femminile, gastroenterico; sistema nervoso; cute e tessuti sottocutanei; setticoemia, ecc.) e dopo aver considerato le condizioni epidemiologiche locali e le caratteristiche cliniche del singolo paziente con particolare riferimento all’età, alla gravità della condizione in atto (spesso per la presenza di comorbilità), al rischio effettivo di complicanze. Nella formulazione dell’ipotesi etiologica è utile la consultazione di fonti aggiornate ad hoc (per es. La Guida alla Terapia Antibiotica periodicamente pubblicata da The Medical Letter). 5. Acquisiti gli elementi che rendono probabile un’etiologia batterica e indicata una terapia antibiotica, scegliere “empiricamente” il principio attivo e la sua posologia in relazione ai seguenti criteri: • sospetto etiologico basato sulla clinica (v. sopra) e sui dati epidemiologici: agenti più probabili e dati statistici sulle resistenze (quando disponibili localmente); • caratteristiche cliniche del paziente: età, gravità dei sintomi, urgenza, patologie concomitanti, funzionalità degli emuntori, ecc. Una particolare attenzione va riservata ai pazienti anziani perché in essi sono frequenti una diminuita tolleranza dal punto di vista gastroenterico, una ridotta capacità di eliminazione epatica dei farmaci, una ridotta filtrazio- n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 dossier ne renale, la concomitanza di altre terapie con l’aumentato rischio di interazioni farmacologiche, abitudini errate (autoriduzioni della posologia, sospensioni precoci del trattamento, scarsa idratazione durante la terapia, ecc.). D’altro canto una condizione di gravidanza accertata o presunta obbliga alla scelta di farmaci sicuri (penicilline, alcune cefalosporine, eritromicina) scartando altri farmaci; • ipotesi di scelta dei principi attivi in base alla sensibilità presunta dei germi sospetti (indicazioni utili possono essere tratte da La Guida alla Terapia Antibiotica di The Medical Letter). È questo il momento di decidere l’ampiezza di “spettro” più opportuna (per es. qualora due agenti batterici abbiano probabilità simili di essere causa di una specifica situazione, va privilegiato l’antibiotico probabilmente attivo su entrambi); • valutazione dell’opportunità di effettuare associazioni antibiotiche per potenziare l’effetto, o per allargare lo spettro, o per ridurre la probabilità di resistenza, o infine per diminuire il dosaggio e quindi gli effetti indesiderati; • calcolo dei dosaggi in funzione dei dati farmacocinetici (emivita, diffusibilità, metabolismo) e delle condizioni del singolo paziente (età, dimensioni corporee, funzionalità degli emuntori in relazione al metabolismo e alle vie di eliminazione); • scelta dei tempi e delle vie di somministrazione in relazione alle caratteristiche farmaceutiche e farmacocinetiche del principio attivo, nonché alle caratteristiche e alle condizioni del paziente (la via parenterale trova indicazione soprattutto quando la via orale non sia praticabile per ragioni farmaceutiche o per intolleranza individuale), oppure in condizioni di gravità che richiedano il raggiungimento tem- n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 pestivo di concentrazioni attive elevate. Alcune condizioni che limitano fortemente l’uso di un prodotto orale che sarebbe di prima scelta, in favore di un antibiotico iniettivo possono essere: la concomitanza dell’uso da parte del paziente di molti altri farmaci orali, la non-collaborazione del paziente per un handicap psichico o fisico, la presenza di disfagia di origine neurologica, un’anamnesi di severa intolleranza gastroenterica; • previsioni di durata, dipendenti dalla natura e dalla gravità dell’infezione: esistono in letteratura indicazioni in funzione del tipo d’infezione sulla durata standard, che va peraltro adattata alle condizioni del singolo paziente. La durata non va mai abbreviata, salvo la comparsa di effetti indesiderati che richiedono la sostituzione con altro principio attivo; in previsione della necessità di terapie protratte sarà opportuno – quando possibile – scegliere ab initio principi attivi senza tossicità cumulativa; • costo della terapia: a parità di efficacia e di effetti collaterali va privilegiato il farmaco meno costoso. 6. Monitorare in itinere la terapia instaurata e ottimizzare i risultati mediante: a) valutazione dell’efficacia: graduale miglioramento del quadro clinico, oggettivabile al massimo dopo 3-5 giorni dall’inizio della terapia. In sua carenza le decisioni vanno riviste, considerando le seguenti possibilità alternative: • diagnosi errata; • farmaco inefficace → sostituzione con un altro o più principi attivi; • dosaggio insufficiente per ragioni posologiche, farmacocinetiche o di compliance → aumento del dosaggio, e/o cambiamento della via di somministrazione, e/o associazione con altro anti- biotico, e/o sostituzione dell’antibiotico di prima scelta; D b) sorveglianza e prevenzione degli effetti indesiderati prevedibili e imprevisti e decisioni conseguenti; O c) sorveglianza del decorso della malattia e delle eventuali complicanze, con variazioni decisionali conseguenti. Una scelta ragionata dell’antibiotico corretto ha sicuramente una ricaduta positiva sull’andamento della malattia e contemporaneamente ha una sicura valenza in termini epidemiologici e di costi sociali. Una prescrizione non ragionata o – peggio – indiscriminata, anche se in alcune fortunate circostanze decapita le infezioni potenzialmente pericolose al primo loro manifestarsi (si noti a tale proposito il crollo numerico delle infezioni reumatiche in epoca post-antibiotici e la relativa diminuzione delle endocarditi), nella maggioranza dei casi contribuisce allo sviluppo di ceppi batterici resistenti, all’aumento dei costi sanitari, all’aumento nella popolazione delle reazioni allergiche e delle reazioni avverse (infezioni da miceti, effetti gastroenterici, epato o nefrotossicità, ecc.). Va infine sottolineato che la pratica della medicina generale e la conoscenza della storia del singolo paziente possono aiutare nella scelta terapeutica, ma anche che in questo contesto è talora necessario apportare dei correttivi a quella che sarebbe una scelta “ottimale” fondata sulla evidence based medicine, condizionando la scelta stessa alla situazione che, vuoi per contingenze di tipo ambientale, vuoi per la presenza di co-morbidità e di politerapie, non consentono purtroppo di riprodurre le scelte risultate ottimali nei soggetti reclutati per le sperimentazioni cliniche controllate in condizioni ottimali quanto spesso non realistiche. 265 S S I E R dossier D O S S I E R Il trattamento a domicilio delle infezioni acute delle basse vie respiratorie a cura di: M. Casarola, C. Melotti - MMG, ULSS 20 Verona La diagnosi di malattia respiratoria acuta nell’adulto si basa sulla anamnesi, sulla obiettività e talvolta sulla radiografia del torace. La differenziazione tra forme ad esclusivo impegno bronchiale e forme ad interessamento parenchimale, infatti, può richiedere l’esecuzione di una radiografia. I criteri per la sua esecuzione – oltre ovviamente alla concreta possibilità di eseguirla rapidamente, affidabilmente e senza eccessivi disagi per il paziente – possono schematizzarsi nei seguenti: 1. dubbio diagnostico reale, non risolvibile con gli strumenti clinici (è inutile fare la radiografia se la diagnosi di broncopolmonite è già molto probabile con i dati dell’anamnesi e dell’esame obiettivo); 2. decisioni terapeutiche effettivamente diverse in dipendenza dal risultato dell’indagine (è inutile fare la radiografia se comunque si è intrapresa per altre ragioni di opportunità una terapia antibiotica adeguata; l’indagine può risultare più utile in caso di risposta clinica non soddisfacente alla terapia antibiotica). Al di là del dato della localizzazione strettamente anatomica dell’infezione, occorre prestare attenzione alla presenza o meno di segni o sintomi che possano far temere una progressione di malattia con insorgenza di complicanze, necessità di ospedalizzazione o pericolo di vita per l’ammalato. Si tenga sempre presente la possibilità che il quadro clinico sia sfumato o francamente atipico (ad esempio negli anziani, o in pazienti trattati in precedenza con antibiotici per altri motivi ecc.) La presenza di alcune condizioni deve allertare il medico conducendolo ad una osservazione più stret- 266 ta dell’ammalato, e può orientare la scelta terapeutica; come si vedrà poi in dettaglio, proprio alcune di queste condizioni vanno analizzate per decidere la necessita del ricovero ospedaliero: • età superiore a 65 anni; • malattie cardiache con stato di labile compenso cardiocircolatorio; • diabete; • anemia; • alcoolismo cronico e tossicodipendenze; • malattie neoplastiche; • stato di scadente nutrizione; • deficit immunitario congenito o acquisito; • gravidanza; • nefropatia; • epatopatia; • broncopneumopatia cronica. In base all’approccio sopra descritto, che deriva dalla conoscenza del soggetto, dalla sua anamnesi e dall’obiettività, cioè dagli elementi essenziali per una buona pratica clinica nella medicina di famiglia, occorre chiedersi quale sia l’agente infettivo più probabilmente implicato nell’infezione in questione, tenendo presente che nella pratica corrente della medicina di base, è difficile porre un sospetto eziologico sulla base della sola clinica; necessiterebbe infatti, ma è raramente disponibile, la conoscenza delle probabilità etiologiche sulla base della letteratura e dell’osservazione epidemiologica aggiornata del territorio. In effetti, anche la letteratura conferma che in oltre il 60% dei casi di polmonite acquisita in comunità non è possibile identificare l’agente infettivo. Le distinzioni seguenti debbono pertanto considerarsi solo come indicative. a) L’infezione “tipica”, cioè quella ad esordio acuto, con febbre elevata, tosse produttiva, talora cianosi e dispnea o dolore toracico, impegno cardiaco e respiratorio e positività dei segni obiettivi, può orientare verso una infezione da S. Pneumoniae, H. Influenzae, M. Catharralis o S. Aureus, microorganismi più frequentemente implicati nelle età avanzate. b) L’infezione “atipica”, cioè quella ad esordio insidioso e progressivo, sintomatologia sfumata, con tosse secca e minore compromissione dello stato generale, può orientare verso un’infezione da Chlamydia Pneumoniae o da Mycoplasma Pneumoniae, più frequenti in età giovane. Tali distinzioni potranno orientare utilmente nella scelta ragionata della terapia, che comunque richiede quasi costantemente un approccio empirico. In base alle considerazioni sopra esposte e agli attuali dati della letteratura gli antibiotici più indicati per la terapia delle infezioni del tratto respiratorio inferiore sono: macrolidi, penicilline semisintetiche, fluorochinolonici, tetracicline e cefalosporine. Nel protocollo terapeutico (la descrizione del quale e i risultati della sua applicazione sono riportati nell’articolo successivo) sperimentato nel 1998-1999 da un gruppo di MMG del territorio veronese e successivamente confluito nella Linea guida del progetto PSAT del 2000, il criterio fondamentale nell’adozione dell’antibiotico di prima scelta è stato quello dell’età: al di sotto dei 60 anni veniva consigliato un macrolide da associare, in mancanza di miglioramento del quadro clinico in terza giornata, con amoxicillina-clavulanico (1 g per tre volte al dì); al di so- n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 dossier pra dei 60 anni si consigliava invece di iniziare con amoxicillina + clavulanico associando, in caso di insuccesso, un macrolide; nei pazienti allergici alle penicilline, un chinolonico di ultima generazione da solo (levofloxacina o moxifloxacina) appare una valida ed affidabile alternativa. In assenza di studi clinici controllati che forniscano dati definitivi in merito, una durata del trattamento a dosi piene compresa tra i 10 e i 15 giorni era considerata congrua. Va detto che nella letteratura internazionale sono presenti varie linee guida per il trattamento delle infezioni respiratorie acquisite in comunità, spesso in contrasto tra loro soprattutto nell’uso delle penicilline: infatti alcune linee guida suggeriscono l’utilizzo di una penicillina semisintetica da sola (amoxicillina), altre consigliano ab initio la sua associazione con un inibitore delle betalattamasi (ac. clavulanico). A nostro giudizio, anche se le resistenze alle penicilline dello S. pneumoniae sono in Italia ancora contenute, la prescrizione iniziale sul territorio dell’associazione di amoxicillina con acido clavulanico può giustificarsi in molti casi per i maggiori rischi del trattamento domicilare, connessi alla difficoltà di attuare uno stretto monitoraggio, e per l’opportunità di ridurre al minimo i casi in cui si renda necessario il cambiamento dell’antibiotico in corso d’opera. a cura di: P. Sandri,T. Sandrini, M. Sighele - MMG, ULSS 20 Verona; L.Vettore - Presidente Società Italiana di Pedagogia Medica Nei primi anni novanta molti medici di famiglia veronesi cominciarono a rendersi conto che la gestione domiciliare, sia diagnostica che soprattutto terapeutica delle infezioni delle basse vie respiratorie, stava diventando non più un episodio isolato, ma un evento piuttosto frequente nella attività professionale del Medico di Medicina Generale (MMG). D’altronde, la terapia delle infezioni delle vie respiratorie superiori è di competenza “naturale” della medicina di primo livello; e poiché la diagnosi differenziale fra infezioni delle “alte” o “basse” vie respiratorie non è sempre agevole, molti MMG avevano iniziato a trattare a domicilio con successo questi pazienti soprattutto nei casi a basso rischio o con sintomi non preoccupanti. Tuttavia parecchi dubbi e incertezze accompagnavano questa pratica; proviamo ad elencare i più importanti: • la difficoltà, se non l’impossibilità frequente, di individuare l’agente eziologico; • la mancanza di dati epidemiologici “locali” relativi agli agenti mi- n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 crobici o virali e la conseguente necessità di rifarsi a risultati di studi effettuati altrove, quasi sempre in altri Paesi; • la conseguente necessità di effettuare una terapia antibiotica empirica, grossolanamente mirata sull’agente etiologico presunto ma non accertato; • l’utilità diagnostica effettiva della radiografia del torace, soprattutto nei pazienti giovani e a basso rischio; • il ruolo terapeutico dei farmaci non antimicrobici: steroidi, mucolitici e sedativi della tosse; • i criteri per l’identificazione dei pazienti che possono essere curati a domicilio, così da minimizzare i rischi sanitari per il paziente, ma anche quelli medico legali per il curante. La letteratura scientifica non forniva in quel tempo soluzioni esaurienti per questi problemi. Obiettivi della ricerca Nella situazione appena descritta l’obiettivo principale della ricerca fu la sperimentazione di una linea gui- O S S I Risultati dell’applicazione di un protocollo terapeutico per il trattamento domiciliare delle polmoniti Premessa D da diagnostica e soprattutto terapeutica, “ragionata” e fortemente “adeguata” alle caratteristiche organizzative e culturali del servizio sanitario nella realtà veronese, che permettesse al MMG di curare a domicilio con sufficiente sicurezza le infezioni delle basse vie aeree, evitando tutte le volte in cui era possibile il ricovero in ambiente ospedaliero. La terapia domiciliare rispondeva sia ad una esigenza di razionalizzazione nell’uso delle risorse in una ottica di buona economia sanitaria , sia alla legittima preferenza del paziente di essere curato a casa propria quando esistano i presupposti scientifici per farlo. Grazie anche al finanziamento da parte della Regione Veneto di un progetto obiettivo sul tema, 25 MMG di Verona e provincia decisero pertanto di preparare e sperimentare una linea guida per la terapia domiciliare delle polmoniti acquisite in comunità (CAP, Community Acquired Pneumonia). La linea guida fu scritta dopo una serie di incontri “alla pari” fra i MMG aderenti volontariamente alla sperimentazione, con la consulenza 267 E R dossier D Box 1 - Scheda raccolta dati O S S I E R 268 n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 dossier metodologica di un docente universitario. Furono necessari 5 incontri per confrontare le idee e le esperienze dei singoli MMG, raffrontare queste con la letteratura internazionale e stendere la linea guida di comportamento terapeutico. Poiché i medici coinvolti erano soltanto coloro che avevano volontariamente deciso di partecipare al progetto e alle discussioni preparatorie, si decise di comune accordo di: a) stendere una linea guida solo terapeutica, lasciando ai medici partecipanti la scelta autonoma dell’utilizzazione o meno della radiografia del torace per documentare l’esistenza di un focolaio broncopneumonico in presenza dei sintomi d’infezione delle basse vie aeree; b) preparare una linea guida capace di fornire una serie di consigli di rapida lettura, pragmatici, ed orientati a professionisti “esperti “ del problema, cioè uno strumento ben diverso dal consueto capitolo sul tema dei trattati di medicina; c) realizzare una scheda cartacea agevole da compilare in ogni singolo caso di CAP, sia per monitorare il caso clinicamente, sia per raccogliere i dati utili in modo ordinato e standardizzato, ai fini di una loro successiva elaborazione e valutazione; d) indicare dei criteri precisi per orientare l’eventuale decisione di ricovero ospedaliero al momento della diagnosi o durante il decorso. La scheda di registrazione dei dati clinici e terapeutici, è riportata nel box 1. I criteri per l’ospedalizzazione sono elencati nell’articolo di pag. 270. Protocollo terapeutico adottato 1) Nei pazienti di età < 60 anni, senza altre patologie di fondo concomitanti: n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 a) Terapia iniziale: macrolide per via orale (per es.: Claritromicina 500 mg x 2/die; se non è praticabile la via orale, somministrare per i.v.; oppure Roxitromicina 150 mg x 2/die; oppure Rokitamicina 400 mg x 2/die; oppure Eritromicina 1 g x 4/die, tutti per os). b) In caso di risposta ancora insoddisfacente al terzo giorno di terapia, sostituire con: amoxicillina + ac. clavulanico 1 g ogni 8 ore al dì per os; se non è praticabile la via orale: sulbactam 500 mg + ampicillina 1000 mg 1 fl ogni 8-12 h i.m. 2) Nei pazienti di età > 60 anni o < 60 anni con altre patologie di fondo concomitanti (che consentano comunque la terapia a domicilio): a) Terapia iniziale: amoxicillina + ac. clavulanico (da indicare nella scheda con A) 1 g ogni 8 ore al dì per os; se non è praticabile la via orale: sulbactam 500 mg + ampicillina 1000 mg 1 fl ogni 8-12 h i.m. b) In caso di risposta ancora insoddisfacente al terzo giorno di terapia, aggiungere macrolide per os (da indicare nella scheda con M), ai dosaggi pieni sopra riportati (se non è praticabile la via orale, somministrare per i.v.). Solo per pazienti con problemi particolari si giustifica la somministrazione di una cefalosporina di 2-3 generazione (per es.: Cefotaxime 1 g ogni 8 h i.m.; oppure Ceftriaxone 1 g/die i.m.); o di un fluorochinolonico (per es. Ciprofloxacina 500-750mg x 2/die per os). Note: - Indicare le motivazioni della variante terapeutica. - Durata complessiva prevedibile della somministrazione terapeutica: 10 giorni, o almeno fino a 3 giorni dopo lo sfebbramento). - In caso di mancata o insoddisfacente risposta alla terapia sopra descritta a dosi piene in sesta giornata dal suo inizio, riconsiderare le ipotesi diagnostiche e le scelte te- rapeutiche, nonché l’opportunità del ricovero ospedaliero. D O Risultati Hanno partecipato allo studio 25 MMG della ASL 20 di Verona - Regione Veneto. I casi totali di CAP considerati furono 201: di questi 193 (96%) furono immessi in trattamento e 8 furono esclusi (4%). L’età media dei 193 pazienti trattati era di 55 anni; di questi 44% erano maschi, 56% femmine. Dei pazienti immessi in trattamento: • 182 furono trattati con successo (94,3%); • 8 furono ricoverati in itinere per polmonite (4,1%); • 3 furono ricoverati in itinere per altri motivi (1,6%). Il periodo intercorso tra la comparsa dei sintomi e la prima visita è stato: • da 0 a 1 giorno nel 32%dei casi; • da 2 a 4 giorni nel 50,5% dei casi; • da 5 a 10 giorni nel 13,5%; • da 11 a 20 giorni nel 3%; • sopra i 30 giorni nel 1%. I sintomi più frequentemente riscontrati sono stati tosse nel 98% e febbre nel 85% dei pazienti. In percentuali molto inferiori sono stati rilevati: mialgia (32%), dispnea (31%) e dolore toracico (24%). Cefalea,cianosi e confusione si sono presentati rispettivamente nel 12%, 2% e 6% dei casi. Ai 182 pazienti trattati con successo a domicilio i MMG effettuarono: • 298 visite ambulatoriali (in media 1,6 visite per paziente); • 334 visite domiciliari (in media 1,8 visite per paziente); • 632 visite in totale (in media 3,5 visite per paziente). Dei 201 pazienti che contattarono il MMG con il sospetto di CAP per 102 (51%) fu richiesta una radiografia del torace al momento della diagnosi 269 S S I E R dossier D O Figura 1 - Confronto tra sensibilità diagnostica dell’esame obiettivo e della radiografia del torace 80 74,30 E.O. positivo e Rx positivo Figura 2 - Percentuali d’uso delle classi antibiotiche fluorochinolonico 5,3% aminoglicoside 0,4% 70 S S 60 50 E.O. positivo e Rx negativo E.O. negativo e Rx positivo cefalosporina 11,1% macrolide 50,0% 40 I 30 E 10 penicillina protetta 32,2% 20 11,90 13,90 0 R e per 49 (27% dei pazienti trattati) come conferma della guarigione. L’88% delle 102 radiografie iniziali diede esito positivo per CAP; l’esame obiettivo polmonare (EO) è risultato positivo nell’86% dei casi; nel rimanente 14 % il sospetto clinico fu confermato dalla radiografia. I dati raccolti ci permettono inoltre di effettuare un confronto fra l’esame obiettivo (EO) e la Radiografia, rappresentato in figura 1. Terapia Nel 64,5% dei casi il trattamento antibiotico iniziale ebbe successo e pertanto fu mantenuto fino alla guarigione; nel 33% dei casi si rese necessaria durante il decorso la sostituzione con un altro principio attivo o l’associazione di due principi attivi; per il rimanente 3,5 % si dovette ricoverare il paziente in ospedale. Dei 193 pazienti immessi in trattamento domiciliare, 129 furono trattati in monoterapia (figura 2): in 122 di questi (94,6%) la scelta terapeutica ebbe successo, mentre i rimanenti 7 furono ricoverati. Con la terapia di seconda scelta (associazione di due principi attivi e/o sostituzione dell’antibiotico somministrato inizialmente) furono trattati 62 pazienti: 59 con successo (95,2%); gli altri tre furono ricoverati. Nel 91% dei casi trattati con monoterapia il trattamento farmacologico si protrasse per non più di 14 giorni e nel 28% non più di 7 giorni. Nei casi che richiesero la sostituzione dell’antibiotico o l’associazione di due principi attivi la durata del trattamento non superò i 14 giorni nel 89% e non superò i 7 giorni nel 47 %. La media complessiva dei giorni necessari alla guarigione fu di 12,6. Considerazioni sintetiche conclusive I medici partecipanti alla sperimentazione ritengono che i principali obbiettivi del progetto siano stati raggiunti, e che - in particolare – facendo tesoro dei risultati di questa esperienza risulti in futuro più semplice: 1) diagnosticare i pazienti affetti da CAP; 2) individuare con maggior sicurezza rispetto al passato i criteri per la loro ospedalizzazione; 3) scegliere la terapia antibiotica adeguata facendo riferimento alla linea guida terapeutica costruita sulla base della letteratura internazionale e successivamente validata da un gruppo di MMG operanti nello stesso territorio. L’ospedalizzazione dei pazienti con polmonite acquisita in comunità a cura di: O. Codella - Internista, Medicina Interna A, Ospedale Policlinico Verona Il paziente con polmonite contratta in comunità deve essere ricoverato in ospedale quando non è possibile iniziare o continuare un trattamen- 270 to domiciliare, e in particolare quando si verifichi anche una sola delle seguenti condizioni: • insufficienza respiratoria medio- grave con sintomi di allarme (>30 atti respiratori al minuto a riposo, presenza di cianosi labiale o alle estremità, utilizzo dei n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 dossier muscoli accessori del respiro); co e dei risultati dell’emogasanalisi. • diabete insulino-trattato o dia- bete di tipo II scompensato; • cardiopatia in compenso abile (classi II e III NYHA); • insufficienza renale cronica con creatinina superiore a 2,5 mg/dl; • pazienti immunodepressi o con ricorrenti fenomeni infettivi negli ultimi 12 mesi; • cirrosi epatica scompensata; • anemia con Hb < 8g/dL; • stato di grave malnutrizione (malattie infiammatorie croniche, neoplasie, etilismo, psicosi); • condizioni socio-economiche o psichiche che impediscano un adeguato trattamento domiciliare; • comparsa di uno dei precedenti criteri durante il trattamento domiciliare. Questi criteri derivano da una semplificazione della scala di Fine1, che attribuisce un punteggio differenziato ai vari elementi di rischio,così da prescrivere il ricovero quando il punteggio globale (> 90) comporti un rischio sensibile di morte (> 8 %). Nei pazienti con polmonite comunitaria a rischio, dopo il ricovero in ospedale, sono immediatamente indicati i seguenti accertamenti: radiografia del torace, emogasanalisi, esame emocromocitometrico, colture dell’escreato e almeno due emocolture (si noti che non in tutti i laboratori di microbiologia è possibile eseguire una corretta coltura anche in presenza di antibiotici nel sangue, come spesso succede nei pazienti già trattati a domicilio e che non possono restare senza terapia). Inoltre, se il paziente è immunodepresso è indispensabile isolare lo/gli agente/i infettante/i, per cui appena possibile è indicata una broncoscopia con aspirato bronchiale; infine, se è presente versamento pleurico va eseguita toracentesi per esami colturali. L’opportunità di indirizzare il paziente in unità di cura intensiva va valutata sulla base del quadro clini- n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 Sul trattamento antibiotico in ospedale delle polmoniti comunitarie non c’è univocità in letteratura. Le linee guida statunitensi differiscono notevolmente da quelle europee, per cui non appare opportuno proporne alcuna. Dalle evidenze sperimentali si possono tuttavia trarre risposte utili alle seguenti domande: 1) È preferibile usare un solo antibiotico ad ampio spettro, oppure più antibiotici in associazione? L’uso di antibiotici ad ampio spettro non ha dato migliori risultati rispetto alle penicilline semisintetiche e ai macrolidi. In uno studio2 condotto su 12.945 pazienti con età superiore ai 65 anni, l’associazione tra amoxicillina o una cefolosporina di II generazione e un macrolide o, in alternativa, l’uso di un solo fluorochinolone di ultima generazione (levofloxacina o moxifloxacina) sono risultati entrambi ampiamente efficaci nel trattare empiricamente i pazienti ricoverati, con una diminuzione significativa dei decessi a 30 gg. Le cefalosporine di III generazione, le associazioni con inibitore delle beta-lattamasi e gli aminoglicosidi non hanno dimostrato una maggior efficacia rispetto ai trattamenti sopracitati e dovrebbero essere riservati solo ai pazienti immunodepressi. 2) I nuovi antibiotici sono più efficaci dei vecchi? Dalla letteratura non emerge una significativa superiorità dei nuovi antibiotici; in particolare non è dimostrata una maggior efficacia dei macrolidi di recente introduzione rispetto all’ eritromicina, che risulta solo meno tollerata. Anche le associazioni con inibitori delle beta-lattamasi non sono più efficaci dell’amoxicillina ad alte dosi. I nuovi fluorochinoloni sembrano invece più efficaci dei precedenti. Tuttavia potrà sembrare singolare, ma l’unico trattamento che realmen- te riduce la degenza ospedaliera sembra essere la ginnastica respiratoria con espirio contro resistenza (bottle blowing physiotherapy). 3) Quanto incidono le resistenze batteriche sull’efficacia terapeutica? Oltre a ciò che è stato detto in precedenza, è opportuno aggiungere che, nelle polmoniti acquisite in comunità,il microrganismo più frequentemente coinvolto è lo S. pneumoniae.Ampiamente dimostrata è la resistenza di alcuni ceppi del microrganismo nei confronti dei macrolidi, mentre non così significativa risulta, almeno in Italia, la resistenza nei confronti delle penicilline. In uno studio, su 135 ceppi solo 8 risultavano resistenti alla penicillina e nessuno mostrava alti livelli di resistenza; pertanto, un dosaggio elevato dell’antibiotico si dimostra quasi sempre sufficientemente efficace. 4) È preferibile la somministrazione endovenosa o quella orale? La via di somministrazione di scelta è quella orale. Molti lavori dimostrano che la somministrazione endovenosa non è più efficace di quella orale; pertanto l’uso endovenoso dovrebbe essere riservato solo a quei pazienti che presentino reali controindicazioni alla somministrazione orale (per esempio, grave nausea e vomito, shock settico). In sintesi: il trattamento combinato di alte dosi di amoxicillina (1g x 3-4/die) associato ad un macrolide sembra essere la migliore scelta empirica nei pazienti ospedalizzati. I fluorochinoloni di ultima generazione utilizzati da soli rappresentano una valida alternativa nei pazienti allergici alla penicillina. Evidentemente un approccio del tutto diverso, che tuttavia non rientra negli obiettivi di questo dossier, deve essere tenuto nei confronti delle infezioni respiratorie contratte in ambiente ospedaliero, dove è rilevante il rischio di contagio con 271 D O S S I E R dossier D O S S I E R germi più pericolosi (gram negativi, stafilococchi, ecc.) e frequenti sono le multiresistenze agli antibiotici di più comune impiego. Analogamente, un discorso a parte meriterebbe sia sul territorio che in ospedale il trattamento della polmonite da Legionella pneumophila, della quale peraltro non è nota l’effettiva frequenza nel nostro Paese. Da poco tempo la diagnosi precoce è facilitata dal dosaggio degli antigeni specifici nelle urine, di pari specificità (del 100%), anche se con sensibilità lievemente minore, della coltura dell’espettorato (70 vs 80 %); la potenziale gravità dell’infezione consiglia costantemente il ricovero e la terapia antibiotica dev’essere pronta e massiccia, giustificandosi in questo caso anche la somministrazione endovenosa (macrolide alle dosi maggiori, potenziato nei casi più gravi dall’aggiunta di rifampicina 600 mg/die per os). BIBLIOGRAFIA 1. MJ Fine, TE Auble, DM Yealy et al: A prediction rule to identify low-risk patients with community aquired pneumonia. N Engl J Med 1997; 336: 243-50. 2. Gleason PP, Meehan TP, Fine JM, et al. Associations between initial antimicrobial therapy and medical outcomes for hospitalized elderly patients with pneumonia. Arch Intern Med 1999; 159: 2562–72. BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO - Aubier M, Verster R, Regamey C, Geslin, Vercken J-B, and the Sparfloxacin European Study Group. Once-daily sparfloxacin versus high-dosage amoxicillin in the treatment of community-acquired, suspected pneumococcal pneumonia in adults. Clin Infect Dis 1998; 26: 1312–20. - Bjorkqvist M, Wiberg B, Bodin L, Barany M, Holmberg H. Bottle-blowing in hospital-treated patients with community-acquired pneumonia. Scand J Infect Dis 1997; 29: 77–82. - Chan R, Hemeryck L, O’Regan M, Clancy C, Feely J. Oral versus intravenous antibiotics for community-acquired lower respiratory tract infection in a general hospital: open randomised controlled trial. BMJ 1995; 310: 1360–62. - File TM Jr, Segreti J, Dunbar L, et al. A multicenter, randomized study comparing the efficacy and safety of intravenous and/or oral levofloxacin versus ceftriaxone and/or cefuroxime axetil in treatment of adults with community-acquired pneumonia. Antimicrob Agents Chemother 1997; 41: 1965–72. - Friedland IR, McCracken GH Jr. Management of infections caused by antibiotic-resistant Streptococcus pneumoniae. Engl J Med 1994; 331: 377–82. - Gleason PP, Meehan TP, Fine JM, et al. Associations between initial antimicrobial therapy and medical outcomes for hospitalized elderly patients with pneumonia. Arch Intern Med 1999; 159: 2562–72. - Leikin DR, Schuchat A, Kolczak M, et al. Mortality from invasive pneumococcal pneumonia in the era of antibiotic resistance, 1995–1997. Am J Public Health 2000; 90: 223–9. - Marrie T. Community acquired pneumonia. 5 June 2001 Clinical Evidence (BMJP) (www.evidence.org/IpBinCE/Ipext. dll?f = templates&fn = mainh? htms2.0). Community acquired penumonia. May 2001, National Guideline Clearinghouse (www.guideline.gov). - Ramirez JA, Ahkee S. Early switch from intravenous antimicrobials to oral clarithromycin in patients with community acquired pneumonia. Infect Med 1997; 14: 319–23. - Siegel RE. The significance of serum vs. tissue levels of antibiotics in the treatment of penicillin-resistant Streptococcus pneumoniae and community-acquired pneumonia. Are we looking in the wrong place? Chest 1999; 116: 535–38. - Siegel RE. The significance of serum vs. tissue levels of antibiotics in the treatment of penicillin-resistant Streptococcus pneumoniae and community-acquired pneumonia. Are we looking in the wrong place? Chest 1999; 116: 535–38. - Siegel RE, Halperin NA, Almenoff PL, Lee A, Greene JG. A prospective randomized study of inpatient IV antibiotics for community-acquired pneumonia: the optimal duration of therapy. Chest 1996; 110: 965–71. Linee guida per la terapia delle più comuni infezioni pediatriche a cura di: M. Previdi - Pediatra di Libera Scelta Polmoniti di comunità La diagnosi di polmonite nel bambino, a livello ambulatoriale, si basa su criteri prevalentemente clinici: febbre, tosse, tachipnea, rientramenti toracici, dolore toracico, compromissione delle condizioni generali. L’obiettività è indicativa di interessamento alveolare in presenza di ipofonesi, soffio bronchiale e di rantoli crepitanti. Non sempre però, in particolare nei casi lievi e in quelli iniziali, è 272 agevole la differenziazione tra forme con interessamento polmonare e quelle che si limitano ad un interessamento tracheale e bronchiale. La distinzione comporta notevoli differenze sul piano terapeutico. Le bronchiti sono infatti a prevalente eziologia virale e anche quelle di origine batterica non necessitano in genere di terapia antibiotica, avendo un decorso spontaneamente risolutivo. Il metodo più pratico per differenziare i casi con interessamento pol- monare è quello di valutare la frequenza respiratoria: si considera indicativo di polmonite, in presenza di febbre e tosse, una frequenza respiratoria superiore ai 60 atti al minuto nei bambini di età inferiore ai 2 mesi, a 50 atti in quelli di età compresa tra i 2 e i 12 mesi e a 40 atti in quelli oltre i 12 mesi. Naturalmente il bambino deve essere tranquillo e a riposo. La conferma radiologica rappresenta il gold standard per la diagnosi di polmonite ma questa non è ritenu- n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 dossier ta necessaria se non in casi particolari, quali: - condizioni patologiche preesistenti (patologia polmonare cronica, immunodeficit); - sospetto versamento pleurico; - persistenza o aggravamento del quadro clinico nonostante adeguata terapia medica. L’eziologia comprende forme virali (i virus rappresentano una causa importante nei primi due anni di vita, con un’incidenza che supera il 50% dei casi, mentre nel resto dell’età pediatrica è intorno al 20%) e forme batteriche.Tra queste ultime i patogeni prevalenti sono rappresentati da Streptococcus pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae, Haemophilus influenzae, Chlamydia pneumoniae, Chlamidya trachomatis, Staphylococcus aureus, Enterobatteri. L’importanza relativa dei vari batteri è fortemente influenzata dall’età del bambino (tabella 1). Non vi sono elementi clinici, laboratoristici e radiologici mirati a differenziare, in modo pratico, le forme di polmonite in base all’eziologia. Pur conservando la sua validità, non deve essere intesa in senso rigido, la classica differenziazione tra polmonite tipica (insorgenza rapida di febbre elevata con brividi, dolore toracico, tosse produttiva, con infiltrati lobari all’Rx torace) indicativa di eziologia batterica, e polmonite atipica (insorgenza graduale, condizioni generali non compromesse, cefalea, mialgie, tosse non produttiva, febbre modesta, con ispessimenti peribronchiali ed interstiziali e sovradistensione polmonare all’Rx torace) indicativa di eziologia virale o da M. pneumoniae o da C. pneumoniae. La terapia antibiotica è quindi sempre indicata in tutti i casi di polmonite, anche nelle forme virali che teoricamente non la richiederebbero. La scelta dell’antibiotico e le modalità della sua somministrazione sono indirizzate soprattutto dall’età del bambino, dalle sue condizioni generali e dall’epidemiologia delle n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 resistenze delle varie specie batteriche. Bambino di età inferiore ai 6 mesi C’è indicazione al ricovero ospedaliero e sono in genere indicati antibiotici per via parenterale. Nel neonato si consiglia in genere l’associazione ampicillina + aminoglicoside. Nel lattante è indicata una terapia con un beta-lattamico (cefalosporina di II o III generazione). Nel sospetto di una infezione da S. aureus sono indicate la teicoplanina o la vancomicina. Nel caso di una polmonite da C. trachomatis (caratterizzata da un inizio insidioso, tra gli 1 e 3 mesi di età, con tosse persistente, tachipnea e assenza di febbre; obiettivamente sono presenti rantoli e, a differenza delle forme da virus respiratorio sinciziale, è assente il wheezing) sono indicati i macrolidi. Bambino tra i 6 mesi e i 5 anni Le specie batteriche prevalentemente coinvolte sono: S. pneumoniae e H. influenzae. L’antibiotico consigliato in prima battuta è l’amoxicillina 100 mg/kg/ die in 3 somm. per 7-10 giorni, considerato che il problema delle resistenze ai beta-lattamici di S. pneumoniae è nel nostro paese ancora contenuto e che in ogni caso è superabile, anche in presenza di ceppi resistenti, usando un dosaggio ele- vato di amoxicillina (che presenta la MIC più bassa rispetto agli altri beta-lattamici nei confronti di questo batterio). Per quanto riguarda l’H. influenzae la percentuale di resistenze all’amoxicillina è circa del 20%, ma questo batterio è presente soprattutto nei paesi in via di sviluppo, o in bambini con situazioni di immunodeficit o di patologie organiche (bronchiectasie, fibrosi cistica). Come seconda scelta è possibile l’utilizzazione dell’associazione amoxicillina-acido clavulanico che migliora l’attività nei confronti dell’H. influenzae beta-lattamasi produttore o di una cefalosporina orale (cefuroxima-axetil 20-30 mg/ kg/die in 2 somministrazioni, cefpodoxime 8 mg/kg/die in 2 somministrazioni, cefprozil 30 mg/kg/die in 2 somministrazioni). In caso di mancata risposta clinica entro 48 ore dall’inizio della terapia si dovrà prendere in considerazione l’impiego di un macrolide (eritromicina 50 mg/kg/die in 3 somm. o equivalenti) per la possibilità di un’infezione da M. pneumoniae o C. pneumoniae, patogeni un tempo ritenuti esclusivi del bambino più grande e dell’adolescente che, invece, sono presenti anche nel bambino in età prescolare (fino ad un 30% dei casi). Nei casi che già in fase di presentazione o nella loro evoluzione presentino caratteri di gravità (quali - Frequenza dell’eziologia batterica della polmonite in rapporto all’età del bambino Tabella 1 Microrganismo S. pneumoniae H. influenzae S. aureus Enterobatteri M. pneumoniae C. trachomatis C. pneumoniae < 3 mesi +++ + ++ +++ + +++ - 4 mesi – 4 anni ++++ +++ + +++ + > 4 anni +++ ++ + ++++ ++ ++++ : molto frequente ; +++ : frequente ; ++ : occasionale ; + : raro 273 D O S S I E R dossier D O S S I E R compromissione dello stato generale, distress respiratorio e/o necessità di ossigenoterapia, presenza di disidratazione o vomito ripetuto, patologia di base – immunodeficit, patologie organiche – mancata risposta al trattamento antibiotico, inaffidabilità della famiglia) è indicato il ricovero ospedaliero con indicazione all’utilizzo di cefalosporine di II o III generazione per via parenterale, eventualmente associate ad un macrolide. Bambino di età superiore ai 5 anni La maggior parte delle forme batteriche sono dovute a M. pneumoniae e a C. pnuemoniae. In prima battuta si raccomanda quindi l’impiego di un macrolide (eritromicina 50 mg/kg/die in 3 somm. o equivalenti) per 7-10 giorni. Una mancata risposta clinica entro 48 ore può suscitare alcuni dubbi di comportamento. È noto che la risposta del micoplasma all’antibiotico può essere lenta e questo potrebbe giustificare, se le condizioni del paziente non sono in peggioramento, il prosieguo della terapia con il solo macrolide. Potrebbe trattarsi invece di una infezione da S. pneumoniae resistente ai macrolidi (nel nostro Paese la percentuale di resistenze è del 2030%) o di una associazione micoplasma-pneumococco (questa possibilità aumenta con l’aumentare dell’età del bambino). In questo caso è opportuno passare ad un trattamento con amoxicillina 100 mg/kg/die in 3 somministrazioni o ad una cefalosporina iniettiva di II o III generazione a seconda della gravità del quadro clinico, eventualmente in associazione con un macrolide. Se il quadro clinico già dall’inizio appare compromesso è opportuno prendere in considerazione il ricovero ospedaliero (vedi le indicazioni al ricovero nel paragrafo precedente) e l’utilizzazione da subito di una cefalosporina iniettiva di II o III generazione in associazione con un 274 macrolide per 10-14 giorni. In questi casi, se dopo 48-72 ore, si è ottenuto un evidente miglioramento clinico è possibile sostituire le cefalosporine iniettive con cefalosporine orali (cefuroxima-axetil, cefpodoxima o cefprozil). BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO - Gruppo di lavoro sulle linee guida per la prescrizione ambulatoriale degli antibiotici, Bologna: Prescrizione ambulatoriale degli antibiotici nelle infezioni respiratorie. Medico e Bambino 19, 431-447, 2000. - Esposito S, et al. Le polmoniti di comunità nel bambino. Area Pediatrica 1, 3540, 2001. - Gruppo APCP, Verona: Broncopolmonite. Occhio clinico Pediatria 3, 22- 25, 2000. - Panizon F Dieci anni di “novità” in pediatria ambulatoriale. Medico e Bambino 5, 296-3001, 2001. - Chiamenti, C, et al. Linee guida per la diagnosi e il trattamento delle polmonitibroncopolmoniti acute nel bambino. Dialogo sui farmaci 1, 35-37, 1999. Faringotonsilliti Eziologia Nella maggior parte dei casi (50%) l’eziologia delle faringotonsilliti acute nel bambino è di origine virale: Adenovirus, Parainfluenza, Rhinovirus, VRS, Echo, HSV, EBV, CMV, Influenza, Coxsackie, più un 30% di casi in cui non è possibile isolare alcun patogeno, ma che si ritengono comunque di origine virale. Lo Streptococcus pyogenes o streptococco beta-emolitico di gruppo A è la causa batterica più comune (15% dei casi). La diagnosi e il trattamento della faringotonsillite streptococcica è importante perché la terapia antibiotica, iniziata entro 9 giorni dal suo inizio, previene il rischio di malattia reumatica. La terapia inoltre previene le complicanze suppurative e comporta una più rapida risoluzione dei sintomi. Altri streptococchi beta-emolitici (di gruppo C e G) possono essere causa di faringite, il cui decorso è tuttavia autolimitante e non comporta il rischio di malattia reumatica. Discusso è il ruolo eziologico di Mycoplasma pneumoniae e di Chlamidia pneumoniae; il coinvolgimento faringeo in questo caso fa parte di un più diffuso coinvolgimento dell’albero respiratorio e il beneficio del trattamento antibiotico è dubbio. Diagnosi L’obiettivo è differenziare le faringiti da S. pyogenes, che possono giovarsi del trattamento antibiotico, da quelle causate da altri agenti eziologici. La diagnosi si deve basare sull’integrazione dei test di laboratorio con elementi epidemiologici e clinici orientativi di infezione streptococcica: • età superiore ai 2 anni; • stagionalità: inverno ed inizio primavera; • decorso clinico: esordio rapido di faringodinia, febbre > 38,5°C, cefalea, vomito, dolori addominali; • eritema faringotonsillare; • essudato faringotonsillare (presente solo nel 50 % dei casi e comunque presente anche in forme virali, in particolare da Adenovirus); • linfoadenite cervicale; • assenza di tosse e rinite. L’esame colturale è il gold standard per la diagnosi eziologica. La coltura, tuttavia, in assenza di valutazione clinica, non è in grado di differenziare il malato dal portatore sano (circa il 10% dei bambini presenta lo S. pyogenes come parte della normale flora faringea ed è quindi “portatore” del batterio). Utili possono essere i test rapidi immunoenzimatici; questi test possiedono una elevata specificità, pari a quella dell’esame colturale (95%) ma hanno una sensibilità inferiore (80-90%); un risultato positivo si ritiene quindi indicativo di infezione streptococcica, mentre un risultato negativo non va inteso in senso assoluto ma richiede un esame colturale di conferma. n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 dossier La valutazione dei titoli anticorpali (TAS, Streptozyme ecc.), che esprimono solo il riscontro immunologico di una pregressa infezione da streptococco, non è utile nella diagnosi delle forme acute. Terapia È indicato il trattamento antibiotico dei pazienti sintomatici con test colturale o test rapido positivo. Non è indicato il trattamento del portatore asintomatico. I contatti asintomatici di soggetti con infezione streptococcica non devono essere sottoposti a tampone faringeo e, nel caso di una sua positività a trattamento antibiotico, tranne che in presenza di una storia personale di malattia reumatica o di familiari affetti da malattia reumatica. La penicillina V (250 mg = 400.000 U, per 2-3 somministrazioni per 10 giorni nei bambini; 500 mg = 800.000 U per 2-3 somministrazioni per adolescenti e adulti) rappresenta l’antibiotico di scelta (non sono state mai rilevate resistenze dello S. pyogenes alla penicillina). In assenza di un’adeguata formulazione pediatrica di penicillina V, l’amoxicillina (50mg/kg/die in 2 somministrazioni per 10 giorni) rappresenta una valida alternativa. Una alternativa appropriata (soprattutto in situazioni in cui si sospetti una scarsa compliance al trattamento orale) è rappresentata dalla benzatinpenicillina: una singola somm. intramuscolare (600.000 U < 27 kg di peso; 1.200.000 U > 27 kg) è in grado di assicurare concentrazioni plasmatiche adeguate. Nei pazienti allergici alle penicilline sono indicati i macrolidi (eritromicina 50 mg/kg/die in 3 somm. o claritromicina 15 mg/kg/die in 2 somministrazioni per 10 giorni o azitromicina 10 mg/kg/ die in 1 somm. per 5 giorni), tenendo però presente che in un 20-30% dei casi lo S. pyogenes è resistente ai macrolidi. Nei pazienti allergici alle penicilline che non abbiano avuto reazioni di ipersensibilità immediata, di tipo ana- n. 6 • Novembre-Dicembre 2001 filattico, sono quindi preferibili le cefalosporine orali, in particolare quelle di “prima generazione”, attive in prevalenza sui Gram + (cefalexina 50 mg/kg/die in 2 somm. per 10 giorni). Naturalmente le cefalosporine vanno evitate nei soggetti con reazioni di tipo anafilattico alle penicilline, dal momento che fino al 15% di questi possono presentare analoghe reazioni alle cefalosporine. In caso di faringiti ricorrenti con coltura positiva per streptococco è indicata la ripetizione di un ciclo di trattamento con un antibiotico stabile alle beta-lattamasi (la presenza di copatogeni beta-lattamasi produttori può essere responsabile del fallimento della terapia con penicillina): amoxicillina-ac. clavulanico 50 mg/kg/die in 2 somm. per 10 giorni; amoxicillina associata negli ultimi 4 giorni del ciclo a rifampicina 20 mg/kg/die in 2 somm.; una cefalosporina. La profilassi antibiotica non è raccomandata tranne che per la prevenzione di ricadute di malattia reumatica. BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO - Gruppo di lavoro sulle linee guida per la prescrizione ambulatoriuale degli antibiotici, Bologna: Prescrizione ambulatoriale degli antibiotici nelle infezioni respiratorie. Medico e Bambino 19, 431442, 2000. - XXV Rapporto del Comitato sulle malattie infettive. American Academy of Pediatrics.IV ed. Italiana. CIS 2000: 522532. - Pichichero M. E. Group A Beta-hemolytic Streptococcal Infections. Pediatrics in Review 19, 291-302, 1998 - Wald E. R. Antibiotic Treatment of Pharyngitis. Pediatrics in Review 22, 255-256, 2001-09-13. - Schwartz B et al. Pharyngitis – Principles of Judicious Use of Antimicrobial Agents. Pediatrics 101, 171-174, 1998. Otite media acuta Eziologia Nel 70% dei casi l’eziologia è batterica: Streptococcus pneumoniae (25- 50% dei casi), Haemophilus influenzae non tipizzabile (15-30%), Moraxella catarrhalis (5-20%), meno frequenti lo S. pyogenes e lo S. aureus. Nei rimanenti casi l’eziologia è virale. D Diagnosi L’otite media acuta (OMA) è definita dalla presenza di un versamento all’interno del cavo timpanico in presenza di sintomi e segni acuti di interessamento dell’orecchio medio. La diagnosi eziologica non è attuabile se non con metodiche invasive, ma dal punto di vista clinico è comunque possibile una discriminazione orientativa tra forme presumibilmente virali (moderata estroflessione della membrana timpanica) e forme presumibilmente batteriche (marcata estroflessione della membrana timpanica). Una differenziazione all’interno delle forme batteriche è difficile, anche se esistono studi che dimostrano come le OMA sostenute da S. pneumoniae siano più frequentemente caratterizzate da febbre elevata (> 38.3°), da intensa iperemia della membrana timpanica associata ad un forte grado di estroflessione. È importante la differenziazione delle forme causate da pneumococco dal momento che sono queste le infezioni che difficilmente vanno incontro a risoluzione spontanea e che sono a maggior rischio di complicanze (mastoidite, meningite). S Terapia Si è molto discusso sull’opportunità di effettuare una terapia antibiotica dell’OMA, dal momento che l’80% dei bambini non trattati guarisce spontaneamente in 7-14 giorni contro il 95% dei trattati. Un approccio ragionevole è quello di trattare comunque, fin dall’esordio, tutti i bambini di età inferiore ai 2 anni, che sono i più a rischio di complicanze. Per quelli di età superiore ai 2 anni è possibile un periodo iniziale di attesa di 48-72 ore utilizzando solo analgesici per via generale (paracetamolo) con successiva rivalutazione. 275 O S I E R dossier D O S S I E R In caso di risoluzione spontanea dei sintomi non è necessario somministrare antibiotici, che devono invece essere prescritti qualora i sintomi e i segni acuti persistano. Un atteggiamento prudenziale potrebbere essere comunque quello di trattare tutti i casi di OMA diagnosticati con elevato grado di sicurezza, che presentano cioè febbre, forte estroflessione della MT associata a marcata iperemia (criteri che corrispondono ad una probabile infezione pneumococcica). Analogamente vanno trattati dall’inizio i soggetti con patologie organiche sottostanti o che presentano otiti croniche o ricorrenti. L’antibiotico di prima scelta è l’amoxicillina a dosaggio elevato (75-100 mg/kg/die in 2-3 somministrazioni) in grado di superare anche le eventuali resistenze presentate dallo pneumo- cocco (resistente alla penicillina nel nostro paese nel 10-20% dei casi). In caso di mancata risposta clinica entro 72 ore si possono utilizzare l’amoxicillina-acido clavulanico (50 mg/kg/die in 2-3 somministrazioni) o una cefalosporina orale (cefuroxime-axetil 30 mg/kg/die in 2 somministrazioni; cefprozil 30 mg/kg/die in 2 somministrazioni; cefpodoxime 8mg/kg/die in 2 somministrazioni), oppure ceftriaxone IM 50 mg/kg/die per 3 giorni. Anche la durata della terapia è oggetto di discussione. Si ritiene ragionevole effettuare un ciclo “breve” di 5-7 giorni nelle forme non complicate e nei soggetti di età superiore ai 2 anni, mentre è opportuno un ciclo “lungo” di 8-10 giorni nei soggetti di età inferiore ai 2 anni o che presentano perforazione timpanica, o nei casi di mancata aci dialogo sui farm risposta clinica al primo ciclo antibiotico. BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO - Gruppo di lavoro sulle linee guida per la prescrizione ambulatoriuale degli antibiotici, Bologna: Prescrizione ambulatoriale degli antibiotici nelle infezioni respiratorie. Medico e Bambino 19, 431442, 2000. - Panizon F. Dieci anni di “novità” in Pediatria ambulatoriale. Medico e Bambino 20, 296-301, 2001. - Raimo F. Curare l’otite senza antibiotici: si può fare. Occhio Clinico Pediatria 2, 24-28, 1998. - Marchisio P. et al. Progressi e delusioni in Otorinolaringoiatria. Medico e Bambino 20, suppl. al n. 3, 77-80, 2001. - Dowell S. F. et al. Otitis media- Principles of Judicious Use of Antimicrobial Agents. Pediatrics 101, 165-171, 1998. - Pichichero M. E. Acute Otitis Media: Part II. Treatment in an Era of Increasing Antibiotic Resistance. American Family Physician 61: 2410-6, 2000. In allegato il supplemento LA SPERIMENTAZIONE CLINICA IN MEDICINA TERRITORIALE TAZIONE LA SPERIMEN EDICINA CLINICA IN MRIALE TERRITO Atti del convegno io 2001 Verona, 19 magg Atti del Convegno Verona 19 maggio 2001 a cura di AROLO D. JOPPI R. E BASTriale, ULSS 20 - Verona tico Territo Servizio Farmaceu I.R. 276 n. 6 • Novembre-Dicembre 2001