EQUITY CROWDFUNDING I CONTI NON TORNANO Un viaggio tra operatori, piattaforme, startup ed esperti Crowdinchiesta realizzata da ETicaNews nei mesi di febbraio, marzo e aprile 2015. Sommario introduzione LE PUNTATE il SONDAGGIO La prima crowdinchiesta di et 2 Equity crowd, ecco perché non decolla 4 Equity crowd in cerca della “folla” 8 Odio e amore tra ricerca e crowd 10 Quella scienza che non parla al crowd 12 Equity crowd, alle banche non conviene 14 Equity crowd, che stress quel bonifico 16 Equity Crowd, un manifesto per Consob 18 Editing ETicaNews Srl - Via Sirtori 4 20129 Milano Tel. + 3902-36740765 - [email protected] - www.eticanews.it Crowdinchiesta a puntate pubblicata da ETicaNews tra aprile e maggio 2015 Progetto grafico e impaginazione di Mai Esteve 1 INTRODUZIONE LA PRIMA CROWDINCHIESTA DI ET ETicaNews scommette sul futuro del giornalismo partecipativo lanciando le crowdinchieste: un tool integrato, permanente, pratico e sicuro per finanziare l’informazione indipendente grazie al sostegno della “folla”, e mettere il pallino dell’indagine giornalistica direttamente nelle mani del lettore. E la prima crowdinchiesta non poteva che essere dedicata allo strumento che sta permettendo questa rivoluzione dal basso: il crowdfunding, e in particolare l’equity crowdfunding normato dalla Consob nel luglio 2013. La campagna “Equity crowdfunding, i conti non tornano” ha infatti completato la raccolta lanciata sul sito da ETicaNews superando la soglia minima richiesta. La crowdinchiesta ha acceso un faro sul primo anno di operatività di uno strumento che prometteva di sovvertire le logiche del fare impresa, e di democratizzare la finanza. Tuttavia, all’inizio del 2015 per l’equity crowdfunding era difficile parlare di vittoria. In termini di progetti, erano stati chiusi con successo quattro collocamenti mentre cinque non avevano sperato il test del “crowd” (altri cinque erano ancora in fase di raccolta; i dati aggiornati sulle campagne vengono raccolti costantemente dall’Osservatorio sull’equity crowdfunding del Politecnico di Milano). Nel primo anno di vita, insomma, in termini di partecipazione, la “folla” non si è presentata all’appello. Anche quando la campagna è andata a buon fine, spesso il successo è dipeso da una manciata (o meno) di investitori che hanno scelto di puntare un chip. Cosa funziona e cosa al contrario non funziona in un modello di finanziamento dalle potenzialità rivoluzionarie? Chi e cosa tiene imbrigliato l’equity crowdfunding? ETicaNews è andata sul campo a indagare le vere dinamiche dietro questi numeri portandone alla luce i conflitti di interesse, alzando il velo sulle lobby e sull’ostruzionismo di chi tifa contro e sulle difficoltà che incontra chi al contrario ci crede. Un’indagine pubblicata a puntate sul sito di ETicaNews e ora raccolta in questo ebook. Un viaggio tra gli operatori, le startup, gli esperti non per demolire, ma per costruire una vera opportunità per tutti coloro che cercano di smarcarsi dalle logiche di finanziamento tradizionale per dare una chance alla propria idea imprenditoriale. Perché l’equity crowdfunding non è solo uno strumento di finanziamento, ma soprattutto di condivisione dello sforzo economico. E’ il medium per la creazione di community. 2 INTRODUZIONE Come funzionano le crowdinchieste Bastano pochi clic e, grazie al sistema Paypal, il contributo dei lettori permetterà di sostenere il lavoro di uno o più giornalisti sulle tematiche preferite. Le abbiamo chiamate crowdinchieste. Ogni due mesi la redazione di ETicaNews propone in una sezione apposita delle possibili inchieste da sviluppare. C’è tempo 60 giorni per dare il proprio contributo e se l’inchiesta scelta dai lettori raggiunge la soglia minima fissata per la sua realizzazione, partirà l’indagine che verrà poi pubblicata in una serie di articoli (segnalati come crowdinchieste) sul sito ETicaNews. Al contrario, se l’inchiesta non supera la soglia minima richiesta per la realizzazione, l’operazione sarà cancellata automaticamente e non verrà addebitato nulla. Le inchieste proposte non sono alternative: ETicaNews si metterà al lavoro su tutte le crowdinchieste che supereranno la soglia minima (approfondisci tutti i dettagli nella sezione Crowdinchieste del sito www.eticanews.it). Valorizzare il giornalismo di qualità Le crowdinchieste sono un modo unico per valorizzare il giornalismo di qualità e indipendente, eliminando in modo trasparente i conflitti di interesse con la pubblicità e permettendo ai giornalisti di indagare su quelle tematiche che non trovano la benevolenza dei grandi gruppi di potere. Mettono il pallino in mano direttamente al lettore e fanno leva sulla forza della community! La community diventa qui determinante per la sostenibilità economica dell’inchiesta tramite il contributo finanziario. Non solo. Ha un ruolo centrale nella stessa realizzazione concreta dell’indagine. Nelle pagine dedicate alle crowdinchieste tutti i lettori troveranno i canali per entrare in contatto con la redazione, indicare argomenti nuovi di indagine, inviare suggerimenti per le crowdinchieste in corso di finanziamento (tematiche, ambito di applicazione, spunti di indagine), mandare suggerimenti e documenti relativi all’inchiesta in fase di realizzazione o semplicemente raccontare la propria esperienza (di cittadino, di imprenditore, di risparmiatore, di consumatore, etc.). Il lettore-stakeholder scende in prima linea sul campo per lavorare fianco a fianco con i giornalisti della redazione. 3 Equity crowd, ecco perché non decolla sdfghjklòà prima puntata della prima crowdinchiesta finanziata dai lettori di eticaNews. Sotto i riflettori proprio il tema dell’equity crowdfunding. Da oggi, ogni martedì, per le prossime settimane, pubblicheremo a puntate i risultati del viaggio tra gli operatori e le startup [ Pubblicato su ETicaNews il 7 aprile 2015 ] P erché i software per la finanza di Diaman Tech hanno fatto il pieno mentre i farmaci antitumorali di PharmaGo si sono fermati a poco più del 10% della richiesta? Il palcoscenico su cui si muove l’equity crowdfunding è complesso, a volte contradditorio, in qualsiasi caso ancora immaturo. Gli attori italiani del settore da meno di due anni si confrontano con una forma di finanziamento alle imprese figlia di due fattori: l’evoluzione in chiave social e b2b del web e la crisi finanziaria, da cui è scaturito il bubbone del credit crunch. La necessità, dunque, è quella di avere nuova linfa per portare avanti un progetto, un business, un sogno. Ma la terra promessa della democratizzazione dei finanziamenti online è ancora di là da venire. Da un lato la mancanza di cultura relativa all’azionariato diffuso, che ancora non coinvolge le masse ma si specchia nell’interesse di investitori esperti, istituzionali o business angel; dall’altro un deficit di appeal dei progetti, nonostante la portata innovativa o sociale che recano in dote. Per capire le dinamiche che ci hanno portati fino a qui è comunque utile fare un passo indietro e ripercorrere lo scenario in cui ci muoviamo. Raffaela Ulgheri 4 PRIMA PUNTATA La scacchiera del crowdinvesting iscritte al registro devono sottostare, tra cui quello di informare gli investitori sui rischi connessi a questo tipo di investimento. La disciplina contenuta nel regolamento Consob era, inizialmente, indirizzata all’investimento in campagne lanciate da startup innovative come definito dal Decreto legge n. 179 del 2012 (convertito con Legge n. 221 del 2012), meglio noto come Decreto Crescita 2.0. Recentemente è stata estesa, con gli interventi normativi relativi all’Investment Compact (Dl 3/2015 convertito in legge n. 33 del 24 marzo 2015), anche a piccole e medie imprese innovative e Organismi di investimento collettivo del risparmio – Oicr (chi può raccogliere capitali sulle piattaforme di equity crowdfunding). La prima pedina è stata spostata nel 2011, in Inghilterra. Una piattaforma per riunire una molteplicità di soggetti che, una volta insieme, avessero le potenzialità di un angel investor. Investitori insomma capaci di rischiare un po’ dei propri risparmi per finanziare un’idea che ritenessero vincente. Darren Westlake, ceo di Crowdcube, prima piattaforma crowdinvesting al mondo, ha fiutato in che direzione si stava muovendo il crowdfunding mondiale e ha assicurato alla sua creatura il biglietto in prima classe verso la democratizzazione dei finanziamenti. Era il febbraio di quattro anni fa, oggi Crowdcube (che vanta uno zoccolo duro di 150mila investitori) ha raccolto 70 milioni di sterline in capitali di rischio, contribuendo al finanziamento di 205 campagne e modificando radicalmente la struttura degli investimenti seed. Questo è avvenuto in un Paese in cui il sistema dell’equity crowdfunding non aveva ancora regolamentazione, che oltremanica è arrivata nell’aprile del 2014. Ma c’era chi, già negli anni precedenti, poneva invece le basi per dare una forma normativa allo strumento in Italia. È qui da noi, infatti, che è stata mossa la seconda pedina sulla scacchiera internazionale dei finanziamenti in capitale di rischio. Con il regolamento 18592 del 2013, Consob è stata apripista a livello mondiale nella regolamentazione di una materia ancora poco conosciuta, ma che racchiude i semi di una rivoluzione finanziaria. Il regolamento dell’Authority istituisce il registro delle Piattaforme di crowdfunding (artt. 4, 5 e 6), suddiviso in due sezioni (ordinaria e speciale per le piattaforme di derivazione bancaria) e le modalità di iscrizione con gli obblighi a cui le piattaforme portali attivi in italia Una volta definito il perimetro all’interno di cui possono operare portali, imprese e investitori, il metronomo dell’equity crowdfunding ha iniziato a tenere il tempo. Il registro delle piattaforme ha inaugurato la sezione ordinaria con StarsUp, che ha ottenuto l’ok di Consob il 18 ottobre del 2013. Poi sono sbarcate: Assiteca Crowd (che pur avendo una Sim alle spalle ha preferito rientrare nella sezione ordinaria del registro) a febbraio del 2014, Smarthub (9 aprile), Tip Ventures (18 giugno), NextEquity (16 luglio), CrowdfundMe (30 luglio), Muum Lab e Mamacrowd (6 agosto), Fundera (10 settembre), Ecomill (29 ottobre), WeAreStarting (16 dicembre), Equinvest (14 gennaio 2015), Investi-re (28 gennaio 2015) e Startzai (25 febbraio 2015). Mentre la sezione speciale per le piattaforme di derivazione bancaria, a oggi conta un solo portale iscritto, Unicaseed, della Sim genovese Unicasim (a queste piattaforme si può aggiungere Symbid Italia Spa, nata dalla joint venture tra la società fintech Symbid the funding network e Banca 5 PRIMA PUNTATA da aggiungere, però che l’investimento in equity crowdfunding non è solo poco conosciuto, ma comporta un rischio molto elevato per l’investitore. Un investitore prudente, in genere alloca i suoi risparmi in strumenti più vicini ai titoli di Stato e ai libretti di risparmio, dall’altra parte il profilo di rischio più elevato si avvicina all’equity, agli investimenti in Borsa o a strumenti più complessi come gli Etf e gli Ucits. Esistono diversi estremi in un investimento finanziario. E l’equity crowdfunding è sospeso tra le forme di investimento conosciuto, in una sorta di vuoto concettuale. Al di là di una speculazione culturale e finanziaria sullo strumento, le esperienze archiviate in questi primi mesi di operatività ci permettono di tracciare un primo bilancio dello strumento in Italia e di cercare di capire che cosa non ha funzionato. Il primo aspetto emerso dall’analisi che svilupperemo in questo e nei successivi articoli è che sono mancate campagne “virali”e le start up finite sul mercato hanno peccato di valutazioni troppo alte. «Sono mancate startup innovative che proponessero prodotti e servizi in grado di colpire l’immaginario collettivo, non solo nel portafoglio – ha fatto notare Giancarlo Giudici, docente di Finanza aziendale del Politecnico di Milano che cura l’Osservatorio dell’Ateneo sull’equity crowdfunding – per quelle che potrebbero essere le opportunità di creazione di valore futuro, ma anche per il valore del prodotto e del servizio in sé». Il secondo aspetto, invece, è quello relativo alle valutazioni: «Se si guarda ai dati pubblicati sul nostro osservatorio – continua Giudici – su 18 campagne (quelle online a fine marzo, ndr) viene fuori che, in media, si offre un quarto del capitale a 250mila euro, il che equivale a una valutazione implicita dell’impresa, dopo la raccolta di capitale, di un milione di euro. Un milione di euro per Sella, ancora in attesa dell’ok di Consob ma che rappresenterebbe l’ingresso del primo grande operatore internazionale nel crowdinvesting italiano). L’incremento delle piattaforme è testimonianza delle aspettative riposte dagli startupper italiani nelle potenzialità dei finanziamenti alternativi. Per uscire dalla cornice e allargare lo sguardo al contesto “macro” possiamo scorgere nello sviluppo dell’equity crowdfunding una boccata d’ossigeno nell’ambiente chiuso della finanza tradizionale. Ovviamente non è così semplice, la diffidenza a investire nell’economia reale (ossia nelle imprese, in borsa e in azioni e obbligazioni emesse dalle aziende) è una caratteristica culturale del risparmio italiano. Ma esistono margini di diversificazione che possono andare oltre gli strumenti tradizionali e far leva su investimenti alternativi. Ne sono un esempio i mini-bond, che dal 213 a oggi hanno raccolto 811 milioni di euro (http://www.osservatoriominibond.it). Ed è appunto in questa prospettiva che l’evoluzione dell’equity crowdfunding ha continuato la sua progressione matematica. successi e delusioni I risultati, a oggi, non sono però entusiasmanti. Per il momento, con 6 piattaforme attive su 15 e 22 progetti pubblicati, sono 4 le campagne chiuse con successo (ossia il 36,4%), 7 campagne (63,6%) non hanno raggiunto la somma richiesta, mentre altre 11 sono ancora in fase di raccolta (i dati aggiornati possono essere consultati sull’Osservatorio sul crowdfunding del Politecnico di Milano). In 15 mesi di attività, l’equity crowdfunding italiano ha raccolto 1.307.780 euro. Un business ancora povero, dunque. A questo c’è 6 PRIMA PUNTATA una startup è molto, o almeno non è molto se l’ottica di valutazione è quella che utilizzano i fondi di venture capital, i quali vanno a caccia di startup che, tra cinque o sei anni, potrebbero avere un valore di 100 milioni di euro». Si tratta di un punto cruciale: l’investimento in equity crowdfunding è, principalmente un investimento in fase seed, ossia è rivolto a ottenere il capitale iniziale per lanciare il business, una fase che viene prima ed è propedeutica all’arrivo dei venture capital. A questo si aggiunge un’altra caratteristica: si rivolge al crowd, alla folla, disparata, curiosa, poco esperta. «Si richiede insomma alla folla di valutare una startup con la stessa metodologia che utilizza il venture capital ma, in questo caso, parliamo di persone con un target contrattuale molto basso, addirittura un numero significativo di campagne prevede l’offerta di azioni senza diritto di voto». Certo è che, a oggi, anche grazie ai limiti emersi in questa fase di sperimentazione, è possibile estrarre anche il lato positivo. «Era chiaramente una sperimentazione – continua Giudici – e come tale ha raggiunto il suo scopo: ha fatto emergere le dinamiche rispetto a cosa funziona e cosa no. Per esempio è emerso che se già dalla prima fase si forma uno zoccolo duro di sottoscrittori, arrivano altri investitori. Se nessuno sottoscrive, allora anche chi è interessato è più restio a mettere del capitale nel progetto». 7 SECONDA PUNTATA Seconda puntata della crowdinchiesta finanziata dai lettori di ET. - Chi investe in equity crowdfunding? Emerge la mancanza di investitori tra la folla. Spesso è premiante la vicinanza territoriale, ma su tutto vince l’effetto “lotteria” Equity crowd in cerca della “folla” [ Pubblicato su ETicaNews il 14 aprile 2015 ] E quity crowdfunding, folla cercasi. Il vero nodo emerso nelle prime offerte presentate è proprio quello degli investitori. Osservando le varie campagne, sia quelle andate a buon fine sia quelle senza successo, viene spontaneo chiedersi: dov’è la folla, il crowd per intenderci? La tavola sinottica delle operazioni concluse fino a oggi, ricostruita da ETicaNews sui dati messi a disposizione dalle piattaforme, e integrata con le tipologie di investitori e le rispettive quote, legittima il dubbio. Certo, l’investitore in equity crowdfunding è un soggetto nuovo che si è evoluto parallelamente all’innovazione sostenuta dal web. E a oggi non è chiaro quale sia l’investitore “tipo” che scommette su startup innovative (e da qualche settimana anche Pmi innovative e Oicr). Così mentre si stenta a tracciare il profilo di quello che, nelle intenzioni del legislatore, delle piattaforme e delle startup stesse, deve essere il protagonista di questa rivoluzione, le maglie dell’equity crowdfunding sono tenute insieme da investitori forti, business angel e investitori professionali. Due sono infatti i soggetti che possono investire in equity crowdfunding: da un lato la “folla”, persone fisiche o giuridiche che possono investire fino a coprire il 95% de target, dall’altro l’investitore professionale, che deve contribuire a finanziare una soglia minima del 5% del totale (La tipologia degli investitori). Le quattro startup che hanno raggiunto il deal ne sono conferma. Diamantech, prima campagna chiusa con successo in Italia, ha sperimentato un certo interesse “crowd” probabilmente per aver puntato su un mercato finanziariamente evoluto come quello del risparmio gestito: ha ottenuto 72 manifestazioni di interesse andate a buon fine e tre investitori istituzionali. Cantiere Savona, è passata attraverso un aumento di capitale e ha totalizzato 44 manifestazioni di interesse andate a buon fine. Le altre due campagne viaggiano nell’ordine di decine di migliaia di euro a investimento e un numero inferiore di investitori. Paulownia ha collezionato 12 investitori, con l’investitore professionale che, da solo, ha coperto quasi il 27% del deal. Nova Somor addirittura ha un solo investitore, oltre a quello istituzionale (che è comunque rimasto nel range del 5%). Numeri che, in ogni caso, non possono ricordar la “folla” dei 150mila investitori registrati che popolano la piattaforma anglosassone Crowdcube, per quanto partita ormai già quattro anni fa. Una cosa accomuna i finanziatori, secondo quanto emerge dalle dichiarazioni delle piattaforme interpellate da ETicaNews: la provenienza regionale. Molte delle campagne presentate fino a oggi hanno raccolto consensi dalla regione in cui ha sede la startup (o su cui incideva il progetto). Nel sentiment delle piattaforme, la citadinanza 8 SECONDA PUNTATA lotteria sa che probabilmente perderà il denaro ma può capitare un colpo di fortuna e ha fatto l’affare della vita. Quindi non siamo neanche nell’ottica della diversificazione ma in quella parte di reddito che non fa la differenza per nessuno e che può essere destinata, magari, a finanziare delle startup, idee interessanti che possono avere un impatto sociale». Certo è che, per le esperienze raccolte sul campo fin qui, l’impatto sociale non è l’ingrediente fondamentale per la riuscita di una campagna. Lo ha dimostrato PharmaGo, la startup “anticancro”, che non è riuscita a conquistare l’interesse della folla nonostante avesse alle spalle decenni di studi e un progetto finalizzato a cambiare le terapie antitumorali. Un progetto che tocca il quotidiano e la sensibilità di molte persone, ma che non ha convinto il mondo dell’azionariato diffuso. territoriale rappresenta un incentivo. Tuttavia, secondo gli esperti, quello che più avvicina un soggetto a un investimento in equity crowdfunding può essere ciò che in finanza è conosciuto come “Effetto Lotteria. «In genere si fa riferimento a questo genere di investimento con il termine “fun money”, denaro da divertimento – spiega Giancarlo Giudici, docente del Politecnico che cura l’Osservatorio dell’ateneo sull’equity crowdfunding -. Il profilo di chi mette denaro in queste iniziative, indipendentemente dalla somma, che è proporzionale alla capacità di reddito (per un giovane al primo stipendio possono essere 250 o 300 euro, per un soggetto che ha già risparmi da parte si sale a 2mila o 3mila euro), non lo fa perché pensa di avere un rendimento nel tempo, ma un po’ per quello che in finanza si chiama il “lottery effect” effetto lotteria, appunto, chi compra un biglietto della 9 seconda PUNTATA TABELLA CAMPAGNE CONCLUSE Piattaforma Campagna Tot Deal Raccolta Investitori (n.) Media investimento € Investitore istituzionale Quota investitore istituzionale AssitecaCrowd Paulownia Social Project 520.000 SI 520.000 12 43.000 n.d. 26,90% AssitecaCrowd Crowdbooks 99.200 NO 124 2 62 NO - SmartHub Liberos 200.000 NO 45.900 79 581 NO - StarsUp Cantiere Savona 380.000 SI 380.000 44 8.636 StarsUp Face4Job 250.000 NO 10.733 19 564 NO - StarsUp Hyro 200.000 NO 13.998 5 2.799 NO - StarsUp PharmaGo 300.000 NO 36.895 13 2.838 Istituto Banco di Napoli Fondazione 10% StarsUp NovaSomor 250.000 SI 250.000 2 237.500 - Simec Spa - Dynamic Srl Curti Costruzioni Meccaniche Spa 6% 5% - Bcc di Cherasco UnicaSeed Diamantech 147.000 SI 157.780 72 2.103 - Zenit Sgr 13,30% - Bcc di Impruneta UnicaSeed Kjaro 130.200 NO 13.720 12 1.143 NO - UnicaSeed Fannabee 150.000 NO 600 1 600 NO - [ Nota: campagne concluse al 14 aprile 2015 ] 10 TERZA PUNTATA La terza puntata della nostra prima crowdinchiesta indaga il difficile rapporto tra ricerca scientifica ed equity crowdfunding. Il caso PharmaGo e l’importanza della fase di un progetto. Ora occhi su Bioerg. Odio e amore tra ricerca e crowd [ Pubblicato su ETicaNews il 21 aprile 2015 ] A veva tutte le carte in regola per accedere a “cuori e portafogli” degli investitori, ma si è fermata lungo la linea Maginot che separa l’investimento speculativo dalla beneficenza. La storia è quella di PharmaGo, caso emblematico di progetto all’avanguardia su un tema “pesante”, la ricerca oncologica, in grado di attirare a sé l’attenzione di una grossa fetta di potenziali sostenitori, a cui ETicaNews ha scelto di dedicare una riflessione specifica nell’ambito della sua prima crowdinchiesta sull’equity crowdfunding (leggi gli altri articoli della crowdinchiesta). Spin off dell’Università degli Studi del Molise, da anni studia nuovi trattamenti nelle terapie oncologiche. Tali studi hanno portato allo sviluppo di “anticorpi monoclonali umanizzati” in grado di distinguere le cellule malate da quelle sane e permettere di indirizzare la chemioterapia solo verso le prime. Una ricerca che attraversa più generazioni di professionisti, ha solide basi scientifiche e, nel 2011, dà infine vita alla startup innovativa PharmaGo, con la collaborazione di MediaPharma Srl (spin off dell’Università di Chieti-Pescara) e Invent Srl (Gruppo Innova Spa), e il contributo della Regione Molise. Il progetto è già a buon punto e si prevede la licenza a Big Pharma, la cessione alle case farmaceutiche, entro il 2018. Per questo motivo l’equipe di PharmaGo decide di presentarsi al pubblico e richiedere una tranche dei finanziamenti necessari per sviluppare il proprio lavoro con l’equity crowdfunding. Il debutto sulla piattaforma StarsUp avviene a maggio del 2014, l’aumento di capitale l’11 agosto, con l’ingresso dell’investitore professionale che ha messo il 10% della somma richiesta, e la chiusura il 15 dicembre dello stesso anno. Ma senza aver raggiunto il target. Perché PharmaGo non ce l’ha fatta? A oggi è possibile solo formulare delle ipotesi sul mancato raggiungimento del deal, ma alcuni elementi di questa storia offrono uno spunto per riflettere su quanto sia difficile coniugare ricerca scientifica e azionariato diffuso. Il caso di PharmaGo è quello di una startup innovativa che, al momento del lancio della campagna, aveva ancora un percorso di ricerca e sperimentazione umana di fronte a sé, una innovazione importante per le terapie oncologiche ma non per il loro finanziamento. «Si tratta di un progetto ricco di significati emotivi ma non ha raggiunto l’obiettivo. Tra l’altro è stata l’unica campagna che ha raccolto subito l’investitore professionale (Istituto Banco di Napoli-Fondazione)», è la constatazione di Matteo Piras, ad di StarsUp, portale su cui si è svolta la campagna. «Una spiegazione possibile alla resistenza dei finanziatori – continua Piras – è che il drug-discovery è un investimento audace. In fase di sperimentazione il rischio che 11 TERZA PUNTATA il farmaco non vada sul mercato in tempi brevi è molto alto. Da un punto di vista economicorazionale è difficile, quindi, puntare del denaro nel settore, a meno di non essere degli specialisti e dopo valutazioni lunghe e approfondite; da un punto di vista emotivo, però, è proprio il settore che può richiamare di più i piccoli investimenti, il crowd appunto, perché da subito è in grado di dare un ritorno morale e un risparmio fiscale». é più facile donare Poi, se le cose vanno bene, potrà esserci anche quello economico. «Sì, ma se si segue questo ragionamento, oggi è più facile aderire a campagne donation che passare dall’equity – continua Piras – D’altra parte, la tradizione di eccellenza italiana nel settore medico, farmaceutico e biomedicale, ci impone di tenere in grande considerazione l’innovazione che passa dal settore della salute e la recente pubblicazione di tre nuove offerte di questo genere sul nostro portale ne è la prova più evidente». Il fatto è che la ricerca scientifica è un settore complesso dal punto di vista dei finanziamenti, che oggi passano soprattutto dalla mano pubblica e dalla beneficenza. Un esempio noto a tutti è quello di Telethon, che da anni porta avanti un progetto lodevole, ma a fronte di un elevato battage pubblicitario, l’appoggio di grossi supporter e media partner, oltreché la presenza di volti noti al grande pubblico che sostengono la raccolta. Ed è un fundraising basato sulle donazioni, chi fa l’offerta ha solo un ritorno “emotivo” nel sapere di aver partecipato a una “giusta causa”. Eppure, come ricorda lo stesso Piras, il settore biotech e delle tecnologie farmaceutiche è molto vicino al mondo delle startup innovative, in particolare quelle di derivazione universitaria, e lo dimostra oltre al PharmaGo, la recente “equity crowdfunding competition” indetta da StarsUp: tre delle quattro campagne che partecipano all’Allstartgame sono, infatti, attive nel biotech e due (Insono e Nanosilicar) sono spin off universitari. Un investimento carsico Gli investimenti nel mondo scientifico seguono un percorso che potremmo definire “carsico”: non è dato conoscere a priori tempi di sperimentazione e avvio della commercializzazione, se si vuole finanziare un prodotto ancora in fase di ricerca. E questo è un deterrente per il piccolo investitore (esistono fondi che investono nel biotech e nel farmaceutico, ma non è questo il caso), mentre non cambia il sentire di chi dona senza velleità di ritorni economici. Almeno nel breve periodo. Altro discorso per il lungo periodo. Ma qui si viene proiettati ancora una volta nelle caratteristiche storiche e culturali del risparmiatore italiano, buon cassettista, che stridono con le tendenze innescate dall’equity crowdfunding. La storia può però cambiare quando ci si trova davanti a un brevetto e a un progetto già pronto all’industrializzazione. Come dimostra il caso di un’altra startup pionieristica nel connubio tra biotech e azionariato diffuso: Bioerg, che procede spedita verso il deal di 452.576 euro (per ora è a quota 292mila euro circa) su un’altra piattaforma italiana di equity crowdfunding, Nextequity. «Credo che il successo di una campagna dipenda dal giusto mix tra comunicazione e bontà del progetto – afferma Michela Centioni, ad di Nextequity – Certo, quanto dipenda dalla fase in cui si trova il progetto portato avanti dalla startup è un dato di fatto: Bioerg è già pronta all’industrializzazione». Insomma è già in grado di dare una visione sul ritorno dell’investimento. 12 QUARTA PUNTATA dopo la pioniera PharmaGo e in attesa di bioerg, la quarta puntata della nostra prima crowdinchiesta si chiede che ruolo può avere il crowdfunding nel finanziare la ricerca. La crowdfunder Petricciuolo: «Il problema è la comunicazione» Quella scienza che non parla al crowd [ Pubblicato su ETicaNews il 29 aprile 2015 ] P harmaGo non ce l’ha fatta. Al contrario, Bioerg per ora sembra marciare spedita verso l’ambizioso goal di 452.576 euro (leggi tutti gli articoli della crowdinchiesta di ETicaNews sull’equity crowdfunding). La domanda a questo punto è: può l’equity crowdfunding in particolare, e il crowdfunding più in generale, essere un’alternativa di finanziamento nella prima fase della ricerca scientifica, nella scoperta di nuovi medicinali e cure? La risposta, a oggi, non è scontata. Dipende da un lato dall’esigenza per il settore scientifico di trovare nuovi ambiti di risorse, dall’altro dai limiti specifici che presenta il comparto in Italia in tema di comunicazione. Qualche mese fa il Cnr ha pubblicato un appello in cui esortava il Governo «nonostante la difficile situazione economica, a portare l’investimento in ricerca a livelli paragonabili con quelli degli altri Paesi sviluppati. (…) L’80% della crescita economica nei paesi industrializzati è effetto dello sviluppo di nuove tecnologie». In base ai dati resi disponibili da ResearchItaly, che risalgono al 2011, in Italia tra investimenti pubblici e privati si raggiunge circa l’1,25% del Pil (contro il 2.2% della Francia e il 3% di Usa, Germania e Giappone, sostiene il Cnr). E’ come se ogni cittadino contribuisse con 325 euro alla ricerca. All’interno di questa macrofotografia ci sono rilevanti differenze tra Nord e Sud Italia ma il punto è che se si guarda alle differenze europee il gap tra l’Italia e il Nord Europa diventa quasi insanabile (gli svedesi investono circa 1.389 euro a testa nella ricerca scientifica). Un gap di numeri che si può però spiegare anche con un gap di comunicazione. Ed è qui che va cercata anche la risposta alla domanda sul ruolo del crowdfunding. «Un problema che affligge le startup italiane, attive in ambito scientifico, è quello della comunicazione, i nostri scienziati e i ricercatori non sanno “comunicare” a un pubblico di non addetti ai lavori quello che fanno e restano troppo spesso chiusi nella loro “torre d’avorio”», dice Valentina Petricciuolo che valuta i progetti scientifici che chiedono i finanziamenti europei nell’ambito dell’iniziativa “Proof of Concept” dell’European Research Council, il Cnr europeo (tecnicamente è Expert evaluator per i progetti di valorizzazione della ricerca scientifica). «Il nostro compito – spiega – in pratica è quello di selezionare i progetti che devono essere considerati adatti o meno a essere commercializzati in futuro». Petricciuolo, però, a questo ruolo internazionale associa anche l’attività di micro angel investor e crowdfunder e, da anni, segue l’impatto del crowdfunding sul settore scientifico. «In Italia ho fatto un 13 QUARTA PUNTATA primo investimento due anni fa – dice – su una startup che sviluppava farmaci antitumorali per bambini ma, vedendo che il mercato stentava a decollare, mi sono rivolta all’estero, all’israeliana OurCrowd e agli Stati Uniti». In base all’esperienza cumulata nel campo, la crowdfunder reputa che per la ricerca scientifica sia più indicato il crowdfunding donation based, sul modello della statunitense Experiment, dedicata esclusivamente a finanziare la ricerca di base. «L’equity crowdfunding – spiega – è adatto a chi è già avanti nel percorso innovativo e imprenditoriale e in Italia sono ancora pochi gli scienziati e i ricercatori preparati e/o disposti a creare startup. Non hanno il supporto necessario per farlo come succede negli Usa o in Uk. Certo, ci sono casi come il Politecnico di Milano e quello di Torino dove ci sono incubatori che funzionano. Ed è da lì che possono venire fuori start up di diretta emanazione “scientifica”». Il nocciolo della questione è, dunque, da un lato la scarsa capacità “comunicativa” di questi progetti, dall’altro la mancanza di piattaforme dedicate che potrebbero stimolare il grande pubblico a orientare le scelte di investimento, o di donation, su progetti riconoscibili, che possono seguire passo dopo passo, con in più la contezza di dove va a finire il proprio denaro. «È importante creare un meccanismo di indirizzo verso un target preciso di finanziatori – continua Petricciuolo -, ma anche aprirsi alla possibilità di creare piattaforme orientate a sostenere la ricerca scientifica». Gli esempi sono quasi tutti negli Stati Uniti, dove oltre a Experiment, che dal 2010 finanzia la ricerca pur riconoscendo dei goal molto contenuti (in media la forbice è tra mille e 10mila euro), ci sono Consano e MedStartr entrambe nate nel 2012 e basate sul modello donation e reward. Nel gennaio 2014 si è affacciata sul mercato statunitense anche la prima piattaforma di equity crowdfunding del settore: Poliwogg che, al momento, propone alla platea degli investitori la campagna con un obiettivo di quattro milioni di dollari di GlG Pharma Llc, una società che sta sviluppando un trattamento nella prevenzione e cura del cancro. Nel nostro Paese non esistono ancora piattaforme dedicate alla sola ricerca. Sono quelle generaliste, pioniere nel mondo dell’azionariato diffuso, a presentare progetti che, in alcuni casi, potranno apportare cambiamenti radicali nelle terapie mediche e nell’accesso alla sanità. Certo è che da anni gli scienziati denunciano una graduale erosione delle tutele e degli incentivi alla ricerca, tra le principali vittime della ridistribuzione delle risorse pubbliche. A oggi l’equity crowdfunding, o il crowdfunding in generale, non è ancora una risposta. Domani potrebbe esserlo. 14 QUINTA PUNTATA La quinta puntata della crowdinchiesta sull’equity crowdfunding accende il faro sulle banche, tassello chiave per il buon funzionamento del sistema. Ma a loro non conviene. E così il comparto rimane alla finestra e frena il decollo del mercato Equity crowd, alle banche non conviene [ Pubblicato su ETicaNews il 5 maggio 2015 ] E siste una “seconda linea” nell’equity crowdfunding, quella delle banche e delle Sim coinvolte nel processo di investimento. Ciò che l’investitore è in grado di vedere inizialmente corrisponde alla parte esterna, la vetrina: piattaforme e startup, dietro cui si celano i meccanismi che consentono alla macchina di muoversi in un circuito sicuro, corredato di tutele a sostegno di tutte le parti in gioco. Il circuito è quello tracciato da Consob con il Regolamento 18592 del 26 giugno 2013, che prevede l’azione di altri soggetti: gli intermediari finanziari, i “gregari” delle piattaforme. Al momento, su 15 portali autorizzati, solo sei sono pienamente operativi. In questo scenario ancora ristretto sono attivi tre intermediari: Unicasim che, oltre alla presenza di Unicaseed (solo gestore di diritto a oggi autorizzato da Consob), funge da intermediario anche per NextEquity; Assiteca Sim, di cui è emanazione AssitecaCrowd (che però ha scelto di iscriversi alla sezione ordinaria del registro) e Banco Popolare, a oggi l’unico istituto attivo nel settore. Se c’è chi si sta preparando a partire ed è alle prese con le definizioni degli accordi, negli ultimi mesi si sta di fatto assistendo al consolidamento della posizione dell’istituto nato dalla fusione tra la Bpvn e la Bpi (contattato senza successo da ETicaNews). Un fenomeno determinato da due fattori: da un lato, «gli altri istituti non forniscono il servizio», e questo si evince da diverse esperienze di portali autorizzati che si sono visti “chiudere la porta in faccia” da altre banche e Sim interpellate o con cui avevano già avviato accordi. Dall’altro lato, alcuni portali hanno contattato direttamente l’istituto, sapendo che il suo sistema di autorizzazione è già rodato. Dai risultati di un sondaggio giornalistico che ETicaNews ha rivolto appositamente alle piattaforme nell’ambito della crowdinchiesta (che non ha valore statistico, ma puramente qualitativo), è emerso come tutte le altre realtà finanziarie contattate dalle piattaforme siano restie a espandersi nell’azionariato diffuso. A questo punto il quesito è: perché le banche e le Sim non sono attratte dall’equity crowdfunding? «Perché non hanno un guadagno dall’aprirsi al settore», è la risposta lapidaria di Alessandro M. Lerro, avvocato esperto internazionale di equity crowdfunding. «Per esempio, le Sim prendono una provvigione sul portafoglio dei clienti che hanno in gestione o sui prodotti intermediati. Se spostassero quote 15 QUINTA PUNTATA del portafoglio sull’equity crowdfunding, acquistando quelle di una startup, perderebbero le provvigioni su quella quota di portafoglio gestito». In altre parole, il denaro che va alla startup esce dal portafoglio, perché le Sim solitamente non prendono una percentuale su quote di Srl. «Occorre ricordare – continua Lerro – che si parla sempre di società non quotate. Insomma, la Sim deve vendere un prodotto su cui non guadagna, di conseguenza ha convenienza a mantenere il cliente su prodotti finanziari classici». Questo limite non riguarda solo le Sim, anche in banca il cliente che sottoscrive un contratto di gestione, paga una commissione. Ma pur con dinamiche differenti la sostanza resta la stessa: anche le banche non hanno convenienza a buttarsi nel settore, se non per la prospettiva di intercettare nuovi clienti attraverso l’eventuale apertura di un conto corrente su cui gestire l’operazione. 16 SESTA PUNTATA La sesta puntata della crowdinchiesta entra negli ingranaggi tecnici del processo di equity crowfunding scoprendo che alcune criticità disincentivano l’investitore. Lerro: «La verifica di appropriatezza deve essere lasciata solo alle piattaforme» Equity crowd, che stress quel bonifico [ Pubblicato su ETicaNews il 12 maggio 2015 ] I Quando un investimento è “sotto soglia” (500 euro sul singolo investimento o mille euro in un anno per le persone fisiche, che diventano 5mila e 10mila per le persone giuridiche) il finanziatore che acquista una quota della startup effettua il bonifico sul conto indisponibile aperto presso l’intermediario. Tuttavia, per i trasferimenti “sopra soglia” (che secondo quanto risulta a ETicaNews sono la maggioranza) il meccanismo non è così semplice e il passaggio si fa, per così dire, più ingarbugliato. Lo schema della Consob prevede che, quando un investitore effettua un ordine di investimento, la piattaforma esegua una “valutazione di appropriatezza rafforzata” con la somministrazione di un questionario, finalizzato a verificare se l’investitore abbia compreso i rischi connessi. Ma se l’ordine è “sopra soglia” (quindi come detto sopra i 500 euro per le persone fisiche), anche l’intermediario “partner” della piattaforma (presso il quale si trova il conto “indisponibile” della startup di turno) a sua volta deve verificare l’appropriatezza secondo i propri criteri, somministrando all’investitore il questionario Mifid (è il questionario che dal 2007 tutti gli operatori finanziari sono obbligati a fa compilare ai propri clienti per effetto di l meccanismo dell’equity crowdfunding è da poco avviato. E, comprensibilmente, per funzionare al meglio ha bisogno di essere oliato nei punti più critici. Le piattaforme interpellate da ETicaNews nel corso della crowdinchiesta (leggi gli altri articoli) hanno rilevato come sia necessaria una «maggiore automazione delle procedure tra portale e sistema di gestione degli ordini dell’intermediario (banche o Sim, ndr)». E, per facilitare il dialogo tra piattaforme e istituti bancari, c’è chi addirittura pensa a «un accordo con Abi in luogo della singola banca». Prima di entrare nel dettaglio delle proposte avanzate occorre però fare un passo indietro per capire, per quanto si tratti di un terreno abbastanza tecnico, cosa significa inoltrarsi nel processo di approvazione dell’investimento di equity crowdfunding. Punto di partenza è l’impossibilità, per le piattaforme, di effettuare raccolta di denaro. Di conseguenza, l’emittente, ossia la startup che apre una campagna su un portale di equity crowdfunding, ha intestato un conto “indisponibile” presso l’intermediario finanziario che supporta la piattaforma. Le somme investite dai finanziatori sono “congelate” all’interno di questo conto fino alla chiusura definitiva della campagna. 17 SESTA PUNTATA una direttiv aeuropea, la Mifid appunto, che tra gli altri si pone l’obiettivo della tutela degli investitori, differenziata a seconda del diverso grado di esperienza finanziaria). Una doppia autorizzazione, insomma, che rallenta il percorso di investimento e, come denunciato da alcune piattaforme, «disincentiva l’investitore dai propri propositi». Un rimedio, sostiene l’avvocato Alessandro M. Lerro, esperto internazionale di equity crowdfunding, potrebbe consistere nel «tagliare il cordone ombelicale che lega l’intermediario all’investimento». In altri termini, spiega Lerro, «la verifica di appropriatezza dovrebbe essere lasciata esclusivamente alle piattaforme, evitando inutili, complesse e costose duplicazioni; banche e Sim possono limitarsi a detenere il conto indisponibile intestato all’emittente per la durata della raccolta, evitando che le piattaforme maneggino denaro». se la profilatura Mifid esiste già Tanto più che ci sono casi in cui la profilatura Mifid è già disponibile, quando per esempio l’investitore ha già un portafoglio titoli aperto presso l’istituto bancario su cui ha il conto e che ha così già provveduto a effettuare il questionario sul profilo di rischio. In queste situazioni, una possibile semplificazione del procedimento potrebbe prevedere che sia l’istituto dell’investitore a inviare l’ordine di investimento all’intermediario “partner” della piattaforma, trasferendo sia la conferma dell’identità ai fini antiriciclaggio sia la conferma del superamento del test Mifid. Il problema è che non tutti gli intermediari accettano la Mifid somministrata da un altro istituto. E così i passaggi si duplicano. Queste difficoltà emerse nelle procedure tecniche, d’altra parte, sono già finite anche sotto la lente dell’Abi. L’Associazione bancaria italiana, già a gennaio 2014, aveva interpellato la Consob per capire se le due figure, quella della banca su cui l’investitore ha aperto il conto e quella dell’intermediario su cui la startup detiene il conto indisponibile (l’intermediario della piattaforma, insomma) dovessero coincidere. Ebbene, Consob ha sciolto il dubbio confermando che non esiste uno schema unico nell’intermediazione, per cui «i gestori del portale e gli intermediari, di volta in volta coinvolti, possono configurare i loro rapporti secondo schemi diversi». La risposta dell’Authority è contenuta nella circolare n. 33 del 12 settembre 2014 dell’Abi in cui l’Associazione invita le banche a sostenere lo sviluppo dei finanziamenti alternativi e illustra «le regole di condotta previste dalla normativa in relazione alla gestione degli ordini di adesione degli investitori» (rifacendosi agli artt. 15, 16 e 17 del Regolamento di Consob). Al momento, perciò, gli intermediari (oggi, ricordiamo, l’unica banca attiva è il Banco Popolare a cui si aggiungono UnicaSim e AssitecaSim) sono liberi di decidere di dover profilare esse stesse l’investitore, di fargli quindi aprire un nuovo conto e fissare i costi relativi. 18 IL SONDAGGIO La crowdinchiesta di ETicaNews sull’equity crowdfunding si conclude con un sondaggio alle piattaforme sulle difficoltà tecniche incontrate e cinque suggerimenti alla Consob Equity Crowd, un manifesto per Consob [ Pubblicato su ETicaNews il 19 maggio 2015 ] C ampagne poco virali e valutazioni alte, “folla” in cerca di identità e capacità di comunicare delle start up ancora in rodaggio. Il viaggio di ETicaNews nell’equity crowdfunding ha messo in luce alcune delle difficoltà “di sistema” in un certo senso fisiologiche per un settore da pionieri, come la mancanza di capitali e un’offerta in fase di aggiustamento (leggi la crowdinchiesta). Allo stesso tempo sono però emerse anche evidenti difficoltà tecniche. Su questo punto ETicaNews ha voluto rivolgere alle piattaforme un sondaggio giornalistico per dare voce alle singole esperienze e stilare un manifesto propositivo, in linea con gli obiettivi iniziali di questa crowdinchiesta: costruire una vera opportunità per quanti cercano di smarcarsi dalle logiche di finanziamento tradizionale per dare una chance alla propria idea imprenditoriale. Nelle scorse settimane ETicaNews ha interpellato tutte e 15 le piattaforme autorizzate da Consob attraverso un questionario scritto e anonimo composto da sette quesiti: cinque si sono soffermati sul rapporto con gli intermediari, i restanti due hanno voluto sondare quali aspetti le piattaforme volessero porre all’attenzione della Consob, l’authority che ha emanato il regolamento sull’equity crowdfunding. Parte di queste risposte sono già state anticipate negli articoli precedenti dove si è analizzato Quali intermediari hanno scelto le piattaforme Le piattaforme hanno contattato più intermediari prima di scegliere? Numero di piattaforme Banco Popolare 5 1 2 Unicasim Assitecasim Assitecasim Unicasim 1 Nessun altro 3 1 banca Sella Altri (generico) Unicredit 2 Banca Etica Nessun altro Banca Sella 1 Altri (generico) Unicredit 6 Non risponde 1,5 3,0 4,5 Domanda: chi è il vostro intermediario? 2 3 Unicasim Assitecasim 6,0 Domanda: a quanti intermediari vi siete rivolti oltre a quello scelto? 19 IL SONDAGGIO come il panorama degli intermediari si sia polarizzato di fatto attorno a un singolo nome, Banco Popolare, e le difficoltà nello scambio di informazioni tra istituti stiano zavorrando le procedure (leggi l’articolo Equity crowd, alle banche non conviene ed Equity crowd, che stress quel bonifico). Ora si vuole dare conto delle risposte degli intermediari più nel dettaglio, arricchendo il lavoro con un’infografica che aiuti a creare un’istantanea di una situazione complessa. I risultati del sondaggio Delle 15 piattaforme interpellate, hanno risposto in nove. Se la maggioranza di queste, come detto, hanno aperto un conto indisponibile presso il Banco Popolare, due fanno invece riferimento a Unicasim, una a Assitecasim e una a Banca Etica (ancora in fase di trattativa). Le piattaforme hanno comunque sottolineato di non essersi rivolte solo all’intermediario con cui hanno aperto il rapporto, ma di aver sondato anche altre realtà. Solo tre, infatti, hanno contattato direttamente il loro attuale intermediario, mentre le altre sei hanno passato al vaglio anche altri istituti, tra cui, in due casi, Unicredit e Banca Sella. In quattro casi su sei, la maggioranza quindi, il motivo per cui è stato scelto l’intermediario finale è che gli altri contattati non offrivano il servizio. In un caso, la scelta è dipesa da motivi di convenienza e in un altro dall’esperienza e dalla conoscenza da parte dell’intermediario del settore dell’equity crowdfunding. Tra chi ha risposto altro, le ragioni hanno riguardato la localizzazione geografica o i particolari legami di vicinanza con la Sim di riferimento (alcune piattaforme sono nate infatti da Sim). Non sorprende così che quattro su cinque piattaforme abbiano rilevato che ci sono aspetti da migliorare sul fronte degli intermediari. Va notato, tuttavia, che la percentuali di risposte a questa domanda cade visibilmente. Se al sondaggio non hanno risposto in sei delle Ci sono aspetti da migliorare? I motivi della scelta dell’intermediario Numero di piattaforme Per convenienza 1 Per esperienza e conoscenza dell’ECF 1 27% 4 Gli altri non offrivano il servizio No 67% 3 Altro Sì 7% Non risponde 6 Non risponde 0 1,5 3 4,5 Domanda: avete scelto questo intermediario per 6 Domanda: ci sono aspetti da migliorare sul fronte degli intermediari? 20 IL SONDAGGIO di vizi “prenatali”. Un compito importante per il rilancio economico del Paese che, dopo la crisi, sta cercando di ripensare il proprio modello di sviluppo e di fare impresa. In un paese, l’Italia, in cui il credito alle aziende è legato per il 52% all’attività bancaria – come di recente ha ricordato Giuseppe Vegas, numero uno di Consob, all’incontro annuale con il mercato finanziario – con l’equity crowdfunding è oggi entrato un nuovo soggetto dal potenziale elevato. Che però deve trovare la strada per riuscire a esprimere appieno le proprie capacità. Così EticaNews ha chiesto alle piattaforme cosa cambiare su quanto fatto fino a ora dall’Authority, ma anche cosa suggerire per il futuro. Le risposte hanno evidenziato quattro punti principali su cui applicare degli interventi correttivi: l’esistenza di un eccesso di autorizzazioni delle piattaforme a fronte di più del 50% che sono ferme da mesi; una soglia Mifid troppo bassa; il fatto che i venture capital (soggetti che esercitano professionalmente l’attività di investimento in società non quotate) non rientrano tra i soggetti istituzionali validi per soddisfare il vincolo del 5%; l’obbligo della quindici piattaforme contattate, a questa domanda (Ci sono aspetti da migliorare sul fronte degli intermediario?) non hanno risposto in dieci. Tra gli aspetti da migliorare nel rapporto con gli intermediari, le piattaforme hanno indicato lo scambio di informazioni tra le banche per gli adempimenti Mifid e le agevolazione delle procedure It ma anche la maggiore automazione tra portale e sistema di gestione degli ordini dell’intermediario e la necessità di stipulare un accordo direttamente con Abi al posto della singola banca. Consob: cosa cambiare? Oltre al fronte legato ai rapporti con gli intermediari, ETicaNews ha provato a tastare il polso delle piattaforme per quanto riguarda i possibili interventi migliorativi che potrebbe mettere in campo la Consob. L’authority, che ha elaborato il regolamento e mantiene tutt’ora un controllo costante sul settore e un dialogo continuo con le piattaforme, è l’anello di congiunzione tra portali e mercato e ha avuto l’onere (e il merito) di creare di un impianto che garantisse la nascita di una nuova piazza priva Gli aspetti da migliorare 2 2 Lo scambio di informazioni tra banche per gli adempimenti degli obblighi Mifid è auspicabile un accordo con Abi al posto della singola banca Serve maggiore automazione tra portale e sistema di gestione degli ordini dell’intermediario 1 1 Domanda: quali? 21 Agevolare le procedure IT IL SONDAGGIO sottoscrizione del 5% da parte di investitori istituzionali per il buon fine della campagna. Difficoltà non nuove a quanti si occupano della materia. Da tempo infatti diversi operatori hanno fatto notare che la soglia Mifid (500 euro su un singolo investimento e mille euro in un anno per le persone fisiche, che diventano 5mila e 10mila per le persone giuridiche) andrebbe elevata. Secondo alcuni andrebbe in generale portata ad almeno 10mila euro a operazione rimuovendo il limite annuale. A questo si aggiunge, secondo Fabio Bancalà di Equinvest l’anomalia che non venga riconosciuta «la possibilità per quanti esercitano professionalmente l’attività di investimento in società non quotate (venture capital) di rientrare tra i soggetti cui si chiede di sottoscrivere il 5%». Secondo Tommaso D’Onofrio, di Assitecacrowd, esiste però anche un’altra anomalia ed è quella relativa ai tempi, spesso particolarmente lunghi, di messa online delle piattaforme rispetto all’ottenimento dell’ok di Consob, a questo si associa il fatto che «il sistema autorizzativo non prevede nessun minimo di capitalizzazione del portale». Tra le cose da fare, cinque sono quindi i consigli degli operatori: prevedere un minimo di capitalizzazione delle piattaforme; operare perché si riducano i tempi tra autorizzazione e andata online della piattaforma; ampliare l’equity crowdfunding a tutte le società e Pmi; recepire in tempi rapidi le novità dell’Investment Compact (che prevede l’allargamento alle Pmi innovative, Dl 3/2015 convertito con Legge 24 marzo 2015, n. 33 che ora deve essere recepito da un regolamento dell’Authority); consentire che il versamento da parte dei potenziali investitori possa essere eseguito tramite mezzi di pagamento moderni. Per quanto riguarda la distanza temporale tra autorizzazione e messa online del portale, gli operatori fanno notare che una causa potrebbe essere la mancanza di un contratto firmato con l’intermediario al momento del via libera, ma anche l’assenza di progetti meritevoli di essere proposti agli investitori. Le startup innovative, anche con idee brillanti, hanno il limite, appunto, delle nuove aziende: la mancanza di un background nel settore in cui operano o, in molti casi, di un business plan. E questo è uno dei problemi che può essere alla base del rallentamento dell’inizio effettivo dell’operatività delle piattaforme. Su questo fronte è possibile che una spinta arrivi dall’Investment Compact: le Pmi innovative sono aziende dotate di bilanci già strutturati e con una maggiore conoscenza dei mercati di riferimento. 22 IL SONDAGGIO 23