EQUITY CROWDFUNDING
I CONTI NON TORNANO
Un viaggio tra operatori,
piattaforme, startup ed esperti
Crowdinchiesta realizzata da ETicaNews
nei mesi di febbraio, marzo e aprile 2015.
Sommario
introduzione
LE PUNTATE
il SONDAGGIO
La prima crowdinchiesta di et
2
Equity crowd, ecco perché non decolla
4
Equity crowd in cerca della “folla” 8
Odio e amore tra ricerca e crowd 10
Quella scienza che non parla al crowd
12
Equity crowd, alle banche non conviene
14
Equity crowd, che stress quel bonifico
16
Equity Crowd, un manifesto per Consob
18
Editing ETicaNews Srl - Via Sirtori 4 20129 Milano
Tel. + 3902-36740765 - [email protected] - www.eticanews.it
Crowdinchiesta a puntate pubblicata da ETicaNews tra aprile e maggio 2015
Progetto grafico e impaginazione di Mai Esteve
1
INTRODUZIONE
LA PRIMA CROWDINCHIESTA DI ET
ETicaNews scommette sul futuro del giornalismo partecipativo lanciando le crowdinchieste: un tool
integrato, permanente, pratico e sicuro per finanziare l’informazione indipendente grazie al sostegno
della “folla”, e mettere il pallino dell’indagine giornalistica direttamente nelle mani del lettore. E
la prima crowdinchiesta non poteva che essere dedicata allo strumento che sta permettendo questa
rivoluzione dal basso: il crowdfunding, e in particolare l’equity crowdfunding normato dalla Consob nel
luglio 2013. La campagna “Equity crowdfunding, i conti non tornano” ha infatti completato la raccolta
lanciata sul sito da ETicaNews superando la soglia minima richiesta.
La crowdinchiesta ha acceso un faro sul primo anno di operatività di uno strumento che prometteva
di sovvertire le logiche del fare impresa, e di democratizzare la finanza. Tuttavia, all’inizio del 2015
per l’equity crowdfunding era difficile parlare di vittoria. In termini di progetti, erano stati chiusi con
successo quattro collocamenti mentre cinque non avevano sperato il test del “crowd” (altri cinque
erano ancora in fase di raccolta; i dati aggiornati sulle campagne vengono raccolti costantemente
dall’Osservatorio sull’equity crowdfunding del Politecnico di Milano). Nel primo anno di vita, insomma,
in termini di partecipazione, la “folla” non si è presentata all’appello. Anche quando la campagna è
andata a buon fine, spesso il successo è dipeso da una manciata (o meno) di investitori che hanno
scelto di puntare un chip. Cosa funziona e cosa al contrario non funziona in un modello di finanziamento dalle potenzialità rivoluzionarie? Chi e cosa tiene imbrigliato l’equity crowdfunding? ETicaNews è
andata sul campo a indagare le vere dinamiche dietro questi numeri portandone alla luce i conflitti di
interesse, alzando il velo sulle lobby e sull’ostruzionismo di chi tifa contro e sulle difficoltà che incontra chi al contrario ci crede. Un’indagine pubblicata a puntate sul sito di ETicaNews e ora raccolta in
questo ebook.
Un viaggio tra gli operatori, le startup, gli esperti non per demolire, ma per costruire una vera opportunità per tutti coloro che cercano di smarcarsi dalle logiche di finanziamento tradizionale per dare una
chance alla propria idea imprenditoriale. Perché l’equity crowdfunding non è solo uno strumento di
finanziamento, ma soprattutto di condivisione dello sforzo economico. E’ il medium per la creazione di
community.
2
INTRODUZIONE
Come funzionano le crowdinchieste
Bastano pochi clic e, grazie al sistema Paypal, il contributo dei lettori permetterà di sostenere il
lavoro di uno o più giornalisti sulle tematiche preferite. Le abbiamo chiamate crowdinchieste. Ogni
due mesi la redazione di ETicaNews propone in una sezione apposita delle possibili inchieste da
sviluppare. C’è tempo 60 giorni per dare il proprio contributo e se l’inchiesta scelta dai lettori
raggiunge la soglia minima fissata per la sua realizzazione, partirà l’indagine che verrà poi pubblicata
in una serie di articoli (segnalati come crowdinchieste) sul sito ETicaNews. Al contrario, se
l’inchiesta non supera la soglia minima richiesta per la realizzazione, l’operazione sarà cancellata
automaticamente e non verrà addebitato nulla. Le inchieste proposte non sono alternative: ETicaNews
si metterà al lavoro su tutte le crowdinchieste che supereranno la soglia minima (approfondisci tutti i
dettagli nella sezione Crowdinchieste del sito www.eticanews.it).
Valorizzare il giornalismo di qualità
Le crowdinchieste sono un modo unico per valorizzare il giornalismo di qualità e indipendente,
eliminando in modo trasparente i conflitti di interesse con la pubblicità e permettendo ai giornalisti di
indagare su quelle tematiche che non trovano la benevolenza dei grandi gruppi di potere. Mettono il
pallino in mano direttamente al lettore e fanno leva sulla forza della community! La community diventa
qui determinante per la sostenibilità economica dell’inchiesta tramite il contributo finanziario. Non
solo. Ha un ruolo centrale nella stessa realizzazione concreta dell’indagine. Nelle pagine dedicate
alle crowdinchieste tutti i lettori troveranno i canali per entrare in contatto con la redazione, indicare
argomenti nuovi di indagine, inviare suggerimenti per le crowdinchieste in corso di finanziamento
(tematiche, ambito di applicazione, spunti di indagine), mandare suggerimenti e documenti relativi
all’inchiesta in fase di realizzazione o semplicemente raccontare la propria esperienza (di cittadino, di
imprenditore, di risparmiatore, di consumatore, etc.). Il lettore-stakeholder scende in prima linea sul
campo per lavorare fianco a fianco con i giornalisti della redazione.
3
Equity crowd,
ecco perché non decolla
sdfghjklòà
prima puntata della prima crowdinchiesta
finanziata dai lettori di eticaNews. Sotto
i riflettori proprio il tema dell’equity
crowdfunding. Da oggi, ogni martedì, per
le prossime settimane, pubblicheremo
a puntate i risultati del viaggio tra gli
operatori e le startup
[ Pubblicato su ETicaNews il 7 aprile 2015 ]
P
erché i software per la finanza di Diaman Tech hanno fatto il
pieno mentre i farmaci antitumorali di PharmaGo si sono fermati
a poco più del 10% della richiesta?
Il palcoscenico su cui si muove l’equity crowdfunding è complesso,
a volte contradditorio, in qualsiasi caso ancora immaturo. Gli attori
italiani del settore da meno di due anni si confrontano con una forma di
finanziamento alle imprese figlia di due fattori: l’evoluzione in chiave
social e b2b del web e la crisi finanziaria, da cui è scaturito il bubbone
del credit crunch. La necessità, dunque, è quella di avere nuova linfa
per portare avanti un progetto, un business, un sogno.
Ma la terra promessa della democratizzazione dei finanziamenti online
è ancora di là da venire. Da un lato la mancanza di cultura relativa
all’azionariato diffuso, che ancora non coinvolge le masse ma si
specchia nell’interesse di investitori esperti, istituzionali o business
angel; dall’altro un deficit di appeal dei progetti, nonostante la portata
innovativa o sociale che recano in dote.
Per capire le dinamiche che ci hanno portati fino a qui è comunque
utile fare un passo indietro e ripercorrere lo scenario in cui ci
muoviamo.
Raffaela Ulgheri
4
PRIMA PUNTATA
La scacchiera del
crowdinvesting iscritte al registro devono sottostare, tra cui quello
di informare gli investitori sui rischi connessi a
questo tipo di investimento. La disciplina contenuta
nel regolamento Consob era, inizialmente,
indirizzata all’investimento in campagne lanciate
da startup innovative come definito dal Decreto
legge n. 179 del 2012 (convertito con Legge n. 221
del 2012), meglio noto come Decreto Crescita 2.0.
Recentemente è stata estesa, con gli interventi
normativi relativi all’Investment Compact (Dl
3/2015 convertito in legge n. 33 del 24 marzo
2015), anche a piccole e medie imprese innovative
e Organismi di investimento collettivo del
risparmio – Oicr (chi può raccogliere capitali sulle
piattaforme di equity crowdfunding).
La prima pedina è stata spostata nel 2011, in
Inghilterra. Una piattaforma per riunire una
molteplicità di soggetti che, una volta insieme,
avessero le potenzialità di un angel investor.
Investitori insomma capaci di rischiare un po’
dei propri risparmi per finanziare un’idea che
ritenessero vincente. Darren Westlake, ceo di
Crowdcube, prima piattaforma crowdinvesting
al mondo, ha fiutato in che direzione si stava
muovendo il crowdfunding mondiale e ha
assicurato alla sua creatura il biglietto in prima
classe verso la democratizzazione dei finanziamenti.
Era il febbraio di quattro anni fa, oggi Crowdcube
(che vanta uno zoccolo duro di 150mila investitori)
ha raccolto 70 milioni di sterline in capitali di
rischio, contribuendo al finanziamento di 205
campagne e modificando radicalmente la struttura
degli investimenti seed.
Questo è avvenuto in un Paese in cui il sistema
dell’equity crowdfunding non aveva ancora
regolamentazione, che oltremanica è arrivata
nell’aprile del 2014. Ma c’era chi, già negli anni
precedenti, poneva invece le basi per dare una
forma normativa allo strumento in Italia.
È qui da noi, infatti, che è stata mossa la
seconda pedina sulla scacchiera internazionale
dei finanziamenti in capitale di rischio. Con il
regolamento 18592 del 2013, Consob è stata
apripista a livello mondiale nella regolamentazione
di una materia ancora poco conosciuta, ma che
racchiude i semi di una rivoluzione finanziaria.
Il regolamento dell’Authority istituisce il registro
delle Piattaforme di crowdfunding (artt. 4, 5 e 6),
suddiviso in due sezioni (ordinaria e speciale per le
piattaforme di derivazione bancaria) e le modalità
di iscrizione con gli obblighi a cui le piattaforme
portali attivi in italia Una volta definito il perimetro all’interno di cui
possono operare portali, imprese e investitori, il
metronomo dell’equity crowdfunding ha iniziato
a tenere il tempo. Il registro delle piattaforme ha
inaugurato la sezione ordinaria con StarsUp, che
ha ottenuto l’ok di Consob il 18 ottobre del 2013.
Poi sono sbarcate: Assiteca Crowd (che pur avendo
una Sim alle spalle ha preferito rientrare nella
sezione ordinaria del registro) a febbraio del 2014,
Smarthub (9 aprile), Tip Ventures (18 giugno),
NextEquity (16 luglio), CrowdfundMe (30 luglio),
Muum Lab e Mamacrowd (6 agosto), Fundera (10
settembre), Ecomill (29 ottobre), WeAreStarting (16
dicembre), Equinvest (14 gennaio 2015), Investi-re
(28 gennaio 2015) e Startzai (25 febbraio 2015).
Mentre la sezione speciale per le piattaforme di
derivazione bancaria, a oggi conta un solo portale
iscritto, Unicaseed, della Sim genovese Unicasim
(a queste piattaforme si può aggiungere Symbid
Italia Spa, nata dalla joint venture tra la società
fintech Symbid the funding network e Banca
5
PRIMA PUNTATA
da aggiungere, però che l’investimento in equity
crowdfunding non è solo poco conosciuto, ma
comporta un rischio molto elevato per l’investitore.
Un investitore prudente, in genere alloca i suoi
risparmi in strumenti più vicini ai titoli di Stato
e ai libretti di risparmio, dall’altra parte il profilo
di rischio più elevato si avvicina all’equity, agli
investimenti in Borsa o a strumenti più complessi
come gli Etf e gli Ucits. Esistono diversi estremi
in un investimento finanziario. E l’equity
crowdfunding è sospeso tra le forme di investimento
conosciuto, in una sorta di vuoto concettuale.
Al di là di una speculazione culturale e finanziaria
sullo strumento, le esperienze archiviate in questi
primi mesi di operatività ci permettono di tracciare
un primo bilancio dello strumento in Italia e di
cercare di capire che cosa non ha funzionato. Il
primo aspetto emerso dall’analisi che svilupperemo
in questo e nei successivi articoli è che sono mancate campagne “virali”e le start up finite sul
mercato hanno peccato di valutazioni troppo alte.
«Sono mancate startup innovative che
proponessero prodotti e servizi in grado di colpire
l’immaginario collettivo, non solo nel portafoglio
– ha fatto notare Giancarlo Giudici, docente di
Finanza aziendale del Politecnico di Milano
che cura l’Osservatorio dell’Ateneo sull’equity
crowdfunding – per quelle che potrebbero essere
le opportunità di creazione di valore futuro, ma
anche per il valore del prodotto e del servizio in
sé». Il secondo aspetto, invece, è quello relativo
alle valutazioni: «Se si guarda ai dati pubblicati
sul nostro osservatorio – continua Giudici – su 18
campagne (quelle online a fine marzo, ndr) viene
fuori che, in media, si offre un quarto del capitale
a 250mila euro, il che equivale a una valutazione
implicita dell’impresa, dopo la raccolta di capitale,
di un milione di euro. Un milione di euro per
Sella, ancora in attesa dell’ok di Consob ma che
rappresenterebbe l’ingresso del primo grande
operatore internazionale nel crowdinvesting
italiano).
L’incremento delle piattaforme è testimonianza
delle aspettative riposte dagli startupper italiani
nelle potenzialità dei finanziamenti alternativi.
Per uscire dalla cornice e allargare lo sguardo
al contesto “macro” possiamo scorgere nello
sviluppo dell’equity crowdfunding una boccata
d’ossigeno nell’ambiente chiuso della finanza
tradizionale. Ovviamente non è così semplice, la
diffidenza a investire nell’economia reale (ossia
nelle imprese, in borsa e in azioni e obbligazioni
emesse dalle aziende) è una caratteristica culturale
del risparmio italiano. Ma esistono margini di
diversificazione che possono andare oltre gli
strumenti tradizionali e far leva su investimenti
alternativi. Ne sono un esempio i mini-bond, che
dal 213 a oggi hanno raccolto 811 milioni di euro
(http://www.osservatoriominibond.it). Ed è appunto
in questa prospettiva che l’evoluzione dell’equity
crowdfunding ha continuato la sua progressione
matematica.
successi e delusioni I risultati, a oggi, non sono però entusiasmanti.
Per il momento, con 6 piattaforme attive su 15
e 22 progetti pubblicati, sono 4 le campagne
chiuse con successo (ossia il 36,4%), 7 campagne
(63,6%) non hanno raggiunto la somma richiesta,
mentre altre 11 sono ancora in fase di raccolta
(i dati aggiornati possono essere consultati
sull’Osservatorio sul crowdfunding del Politecnico
di Milano). In 15 mesi di attività, l’equity
crowdfunding italiano ha raccolto 1.307.780 euro.
Un business ancora povero, dunque. A questo c’è
6
PRIMA PUNTATA
una startup è molto, o almeno non è molto se
l’ottica di valutazione è quella che utilizzano i
fondi di venture capital, i quali vanno a caccia
di startup che, tra cinque o sei anni, potrebbero
avere un valore di 100 milioni di euro». Si tratta
di un punto cruciale: l’investimento in equity
crowdfunding è, principalmente un investimento
in fase seed, ossia è rivolto a ottenere il capitale
iniziale per lanciare il business, una fase che
viene prima ed è propedeutica all’arrivo dei
venture capital. A questo si aggiunge un’altra
caratteristica: si rivolge al crowd, alla folla,
disparata, curiosa, poco esperta. «Si richiede
insomma alla folla di valutare una startup con la
stessa metodologia che utilizza il venture capital
ma, in questo caso, parliamo di persone con un
target contrattuale molto basso, addirittura un
numero significativo di campagne prevede l’offerta
di azioni senza diritto di voto».
Certo è che, a oggi, anche grazie ai limiti emersi
in questa fase di sperimentazione, è possibile
estrarre anche il lato positivo. «Era chiaramente
una sperimentazione – continua Giudici – e come
tale ha raggiunto il suo scopo: ha fatto emergere le
dinamiche rispetto a cosa funziona e cosa no. Per
esempio è emerso che se già dalla prima fase si
forma uno zoccolo duro di sottoscrittori, arrivano
altri investitori. Se nessuno sottoscrive, allora
anche chi è interessato è più restio a mettere del
capitale nel progetto».
7
SECONDA PUNTATA
Seconda puntata della crowdinchiesta finanziata
dai lettori di ET. - Chi investe in equity
crowdfunding? Emerge la mancanza di investitori
tra la folla. Spesso è premiante la vicinanza
territoriale, ma su tutto vince l’effetto “lotteria”
Equity crowd in cerca
della “folla”
[ Pubblicato su ETicaNews il 14 aprile 2015 ]
E
quity crowdfunding, folla cercasi. Il vero
nodo emerso nelle prime offerte presentate
è proprio quello degli investitori.
Osservando le varie campagne, sia quelle andate
a buon fine sia quelle senza successo, viene
spontaneo chiedersi: dov’è la folla, il crowd per
intenderci?
La tavola sinottica delle operazioni concluse fino
a oggi, ricostruita da ETicaNews sui dati messi
a disposizione dalle piattaforme, e integrata
con le tipologie di investitori e le rispettive
quote, legittima il dubbio. Certo, l’investitore
in equity crowdfunding è un soggetto nuovo
che si è evoluto parallelamente all’innovazione
sostenuta dal web. E a oggi non è chiaro quale
sia l’investitore “tipo” che scommette su startup
innovative (e da qualche settimana anche Pmi
innovative e Oicr).
Così mentre si stenta a tracciare il profilo di
quello che, nelle intenzioni del legislatore, delle
piattaforme e delle startup stesse, deve essere
il protagonista di questa rivoluzione, le maglie
dell’equity crowdfunding sono tenute insieme
da investitori forti, business angel e investitori
professionali. Due sono infatti i soggetti che
possono investire in equity crowdfunding: da un
lato la “folla”, persone fisiche o giuridiche che
possono investire fino a coprire il 95% de target,
dall’altro l’investitore professionale, che deve
contribuire a finanziare una soglia minima del
5% del totale (La tipologia degli investitori).
Le quattro startup che hanno raggiunto il deal
ne sono conferma. Diamantech, prima campagna
chiusa con successo in Italia, ha sperimentato un
certo interesse “crowd” probabilmente per aver
puntato su un mercato finanziariamente evoluto
come quello del risparmio gestito: ha ottenuto 72
manifestazioni di interesse andate a buon fine e
tre investitori istituzionali. Cantiere Savona, è
passata attraverso un aumento di capitale e ha
totalizzato 44 manifestazioni di interesse andate
a buon fine. Le altre due campagne viaggiano
nell’ordine di decine di migliaia di euro a
investimento e un numero inferiore di investitori.
Paulownia ha collezionato 12 investitori, con
l’investitore professionale che, da solo, ha coperto
quasi il 27% del deal. Nova Somor addirittura
ha un solo investitore, oltre a quello istituzionale
(che è comunque rimasto nel range del 5%).
Numeri che, in ogni caso, non possono ricordar
la “folla” dei 150mila investitori registrati che
popolano la piattaforma anglosassone Crowdcube,
per quanto partita ormai già quattro anni fa.
Una cosa accomuna i finanziatori, secondo quanto
emerge dalle dichiarazioni delle piattaforme
interpellate da ETicaNews: la provenienza
regionale. Molte delle campagne presentate fino a
oggi hanno raccolto consensi dalla regione in cui
ha sede la startup (o su cui incideva il progetto).
Nel sentiment delle piattaforme, la citadinanza
8
SECONDA PUNTATA
lotteria sa che probabilmente perderà il denaro
ma può capitare un colpo di fortuna e ha fatto
l’affare della vita. Quindi non siamo neanche
nell’ottica della diversificazione ma in quella
parte di reddito che non fa la differenza per
nessuno e che può essere destinata, magari, a
finanziare delle startup, idee interessanti che
possono avere un impatto sociale».
Certo è che, per le esperienze raccolte sul campo
fin qui, l’impatto sociale non è l’ingrediente
fondamentale per la riuscita di una campagna. Lo
ha dimostrato PharmaGo, la startup “anticancro”,
che non è riuscita a conquistare l’interesse della
folla nonostante avesse alle spalle decenni di
studi e un progetto finalizzato a cambiare le
terapie antitumorali. Un progetto che tocca il
quotidiano e la sensibilità di molte persone, ma
che non ha convinto il mondo dell’azionariato
diffuso.
territoriale rappresenta un incentivo.
Tuttavia, secondo gli esperti, quello che più
avvicina un soggetto a un investimento in equity
crowdfunding può essere ciò che in finanza è
conosciuto come “Effetto Lotteria. «In genere si
fa riferimento a questo genere di investimento con
il termine “fun money”, denaro da divertimento
– spiega Giancarlo Giudici, docente del
Politecnico che cura l’Osservatorio dell’ateneo
sull’equity crowdfunding -. Il profilo di chi mette
denaro in queste iniziative, indipendentemente
dalla somma, che è proporzionale alla capacità
di reddito (per un giovane al primo stipendio
possono essere 250 o 300 euro, per un soggetto
che ha già risparmi da parte si sale a 2mila o
3mila euro), non lo fa perché pensa di avere un
rendimento nel tempo, ma un po’ per quello che
in finanza si chiama il “lottery effect” effetto
lotteria, appunto, chi compra un biglietto della
9
seconda PUNTATA
TABELLA CAMPAGNE CONCLUSE
Piattaforma
Campagna
Tot
Deal
Raccolta
Investitori
(n.)
Media
investimento €
Investitore
istituzionale
Quota
investitore
istituzionale
AssitecaCrowd
Paulownia
Social
Project
520.000
SI
520.000
12
43.000
n.d.
26,90%
AssitecaCrowd
Crowdbooks
99.200
NO
124
2
62
NO
-
SmartHub
Liberos
200.000
NO
45.900
79
581
NO
-
StarsUp
Cantiere
Savona
380.000
SI
380.000
44
8.636
StarsUp
Face4Job
250.000
NO
10.733
19
564
NO
-
StarsUp
Hyro
200.000
NO
13.998
5
2.799
NO
-
StarsUp
PharmaGo
300.000
NO
36.895
13
2.838
Istituto
Banco
di Napoli
Fondazione
10%
StarsUp
NovaSomor
250.000
SI
250.000
2
237.500
- Simec Spa
- Dynamic Srl
Curti
Costruzioni
Meccaniche
Spa
6%
5%
- Bcc di
Cherasco
UnicaSeed
Diamantech
147.000
SI
157.780
72
2.103
- Zenit Sgr
13,30%
- Bcc di
Impruneta
UnicaSeed
Kjaro
130.200
NO
13.720
12
1.143
NO
-
UnicaSeed
Fannabee
150.000
NO
600
1
600
NO
-
[ Nota: campagne concluse al 14 aprile 2015 ]
10
TERZA PUNTATA
La terza puntata della nostra prima
crowdinchiesta indaga il difficile rapporto tra
ricerca scientifica ed equity crowdfunding. Il
caso PharmaGo e l’importanza della fase di un
progetto. Ora occhi su Bioerg.
Odio e amore
tra ricerca e crowd
[ Pubblicato su ETicaNews il 21 aprile 2015 ]
A
veva tutte le carte in regola per accedere
a “cuori e portafogli” degli investitori,
ma si è fermata lungo la linea Maginot
che separa l’investimento speculativo dalla
beneficenza. La storia è quella di PharmaGo,
caso emblematico di progetto all’avanguardia
su un tema “pesante”, la ricerca oncologica, in
grado di attirare a sé l’attenzione di una grossa
fetta di potenziali sostenitori, a cui ETicaNews
ha scelto di dedicare una riflessione specifica
nell’ambito della sua prima crowdinchiesta
sull’equity crowdfunding (leggi gli altri articoli
della crowdinchiesta).
Spin off dell’Università degli Studi del Molise,
da anni studia nuovi trattamenti nelle terapie
oncologiche. Tali studi hanno portato allo sviluppo
di “anticorpi monoclonali umanizzati” in grado
di distinguere le cellule malate da quelle sane
e permettere di indirizzare la chemioterapia
solo verso le prime. Una ricerca che attraversa
più generazioni di professionisti, ha solide basi
scientifiche e, nel 2011, dà infine vita alla startup
innovativa PharmaGo, con la collaborazione di
MediaPharma Srl (spin off dell’Università di
Chieti-Pescara) e Invent Srl (Gruppo Innova Spa),
e il contributo della Regione Molise.
Il progetto è già a buon punto e si prevede la
licenza a Big Pharma, la cessione alle case
farmaceutiche, entro il 2018. Per questo motivo
l’equipe di PharmaGo decide di presentarsi
al pubblico e richiedere una tranche dei
finanziamenti necessari per sviluppare il proprio
lavoro con l’equity crowdfunding. Il debutto sulla
piattaforma StarsUp avviene a maggio del 2014,
l’aumento di capitale l’11 agosto, con l’ingresso
dell’investitore professionale che ha messo il
10% della somma richiesta, e la chiusura il
15 dicembre dello stesso anno. Ma senza aver
raggiunto il target. Perché PharmaGo non ce l’ha
fatta?
A oggi è possibile solo formulare delle ipotesi
sul mancato raggiungimento del deal, ma alcuni
elementi di questa storia offrono uno spunto
per riflettere su quanto sia difficile coniugare
ricerca scientifica e azionariato diffuso. Il caso
di PharmaGo è quello di una startup innovativa
che, al momento del lancio della campagna, aveva
ancora un percorso di ricerca e sperimentazione
umana di fronte a sé, una innovazione importante
per le terapie oncologiche ma non per il loro
finanziamento. «Si tratta di un progetto ricco di
significati emotivi ma non ha raggiunto l’obiettivo.
Tra l’altro è stata l’unica campagna che ha
raccolto subito l’investitore professionale (Istituto
Banco di Napoli-Fondazione)», è la constatazione
di Matteo Piras, ad di StarsUp, portale su cui si è
svolta la campagna. «Una spiegazione possibile
alla resistenza dei finanziatori – continua Piras
– è che il drug-discovery è un investimento
audace. In fase di sperimentazione il rischio che
11
TERZA PUNTATA
il farmaco non vada sul mercato in tempi brevi
è molto alto. Da un punto di vista economicorazionale è difficile, quindi, puntare del denaro
nel settore, a meno di non essere degli specialisti
e dopo valutazioni lunghe e approfondite; da un
punto di vista emotivo, però, è proprio il settore
che può richiamare di più i piccoli investimenti,
il crowd appunto, perché da subito è in grado di
dare un ritorno morale e un risparmio fiscale».
é più facile donare Poi, se le cose vanno bene, potrà esserci
anche quello economico. «Sì, ma se si segue
questo ragionamento, oggi è più facile aderire
a campagne donation che passare dall’equity
– continua Piras – D’altra parte, la tradizione
di eccellenza italiana nel settore medico,
farmaceutico e biomedicale, ci impone di tenere
in grande considerazione l’innovazione che passa
dal settore della salute e la recente pubblicazione
di tre nuove offerte di questo genere sul nostro
portale ne è la prova più evidente».
Il fatto è che la ricerca scientifica è un settore
complesso dal punto di vista dei finanziamenti,
che oggi passano soprattutto dalla mano pubblica
e dalla beneficenza. Un esempio noto a tutti
è quello di Telethon, che da anni porta avanti
un progetto lodevole, ma a fronte di un elevato
battage pubblicitario, l’appoggio di grossi
supporter e media partner, oltreché la presenza
di volti noti al grande pubblico che sostengono
la raccolta. Ed è un fundraising basato sulle
donazioni, chi fa l’offerta ha solo un ritorno
“emotivo” nel sapere di aver partecipato a una
“giusta causa”.
Eppure, come ricorda lo stesso Piras, il settore
biotech e delle tecnologie farmaceutiche è molto
vicino al mondo delle startup innovative, in
particolare quelle di derivazione universitaria, e
lo dimostra oltre al PharmaGo, la recente “equity
crowdfunding competition” indetta da StarsUp:
tre delle quattro campagne che partecipano
all’Allstartgame sono, infatti, attive nel biotech e
due (Insono e Nanosilicar) sono spin off universitari.
Un investimento carsico Gli investimenti nel mondo scientifico seguono un
percorso che potremmo definire “carsico”: non è
dato conoscere a priori tempi di sperimentazione
e avvio della commercializzazione, se si
vuole finanziare un prodotto ancora in fase di
ricerca. E questo è un deterrente per il piccolo
investitore (esistono fondi che investono nel
biotech e nel farmaceutico, ma non è questo il
caso), mentre non cambia il sentire di chi dona
senza velleità di ritorni economici. Almeno
nel breve periodo. Altro discorso per il lungo
periodo. Ma qui si viene proiettati ancora una
volta nelle caratteristiche storiche e culturali
del risparmiatore italiano, buon cassettista, che
stridono con le tendenze innescate dall’equity
crowdfunding.
La storia può però cambiare quando ci si trova
davanti a un brevetto e a un progetto già pronto
all’industrializzazione. Come dimostra il caso di
un’altra startup pionieristica nel connubio tra
biotech e azionariato diffuso: Bioerg, che procede
spedita verso il deal di 452.576 euro (per ora è a
quota 292mila euro circa) su un’altra piattaforma
italiana di equity crowdfunding, Nextequity.
«Credo che il successo di una campagna dipenda
dal giusto mix tra comunicazione e bontà del
progetto – afferma Michela Centioni, ad di
Nextequity – Certo, quanto dipenda dalla fase
in cui si trova il progetto portato avanti dalla
startup è un dato di fatto: Bioerg è già pronta
all’industrializzazione». Insomma è già in grado
di dare una visione sul ritorno dell’investimento.
12
QUARTA PUNTATA
dopo la pioniera PharmaGo e in attesa di
bioerg, la quarta puntata della nostra prima
crowdinchiesta si chiede che ruolo può avere
il crowdfunding nel finanziare la ricerca. La
crowdfunder Petricciuolo: «Il problema è la
comunicazione»
Quella scienza
che non parla al crowd
[ Pubblicato su ETicaNews il 29 aprile 2015 ]
P
harmaGo non ce l’ha fatta. Al contrario,
Bioerg per ora sembra marciare spedita
verso l’ambizioso goal di 452.576 euro
(leggi tutti gli articoli della crowdinchiesta di
ETicaNews sull’equity crowdfunding). La domanda
a questo punto è: può l’equity crowdfunding in
particolare, e il crowdfunding più in generale,
essere un’alternativa di finanziamento nella prima
fase della ricerca scientifica, nella scoperta di
nuovi medicinali e cure? La risposta, a oggi, non
è scontata. Dipende da un lato dall’esigenza per
il settore scientifico di trovare nuovi ambiti di
risorse, dall’altro dai limiti specifici che presenta il
comparto in Italia in tema di comunicazione.
Qualche mese fa il Cnr ha pubblicato un appello in
cui esortava il Governo «nonostante la difficile
situazione economica, a portare l’investimento
in ricerca a livelli paragonabili con quelli degli
altri Paesi sviluppati. (…) L’80% della crescita
economica nei paesi industrializzati è effetto dello
sviluppo di nuove tecnologie». In base ai dati
resi disponibili da ResearchItaly, che risalgono
al 2011, in Italia tra investimenti pubblici e
privati si raggiunge circa l’1,25% del Pil (contro
il 2.2% della Francia e il 3% di Usa, Germania
e Giappone, sostiene il Cnr). E’ come se ogni
cittadino contribuisse con 325 euro alla ricerca.
All’interno di questa macrofotografia ci sono
rilevanti differenze tra Nord e Sud Italia ma il
punto è che se si guarda alle differenze europee
il gap tra l’Italia e il Nord Europa diventa quasi
insanabile (gli svedesi investono circa 1.389 euro
a testa nella ricerca scientifica). Un gap di numeri
che si può però spiegare anche con un gap di
comunicazione. Ed è qui che va cercata anche la
risposta alla domanda sul ruolo del crowdfunding.
«Un problema che affligge le startup italiane,
attive in ambito scientifico, è quello della
comunicazione, i nostri scienziati e i ricercatori
non sanno “comunicare” a un pubblico di non
addetti ai lavori quello che fanno e restano
troppo spesso chiusi nella loro “torre d’avorio”»,
dice Valentina Petricciuolo che valuta i progetti
scientifici che chiedono i finanziamenti
europei nell’ambito dell’iniziativa “Proof of
Concept” dell’European Research Council, il
Cnr europeo (tecnicamente è Expert evaluator
per i progetti di valorizzazione della ricerca
scientifica). «Il nostro compito – spiega – in
pratica è quello di selezionare i progetti che
devono essere considerati adatti o meno a essere
commercializzati in futuro». Petricciuolo, però,
a questo ruolo internazionale associa anche
l’attività di micro angel investor e crowdfunder
e, da anni, segue l’impatto del crowdfunding
sul settore scientifico. «In Italia ho fatto un
13
QUARTA PUNTATA
primo investimento due anni fa – dice – su una
startup che sviluppava farmaci antitumorali
per bambini ma, vedendo che il mercato
stentava a decollare, mi sono rivolta all’estero,
all’israeliana OurCrowd e agli Stati Uniti». In
base all’esperienza cumulata nel campo, la
crowdfunder reputa che per la ricerca scientifica
sia più indicato il crowdfunding donation based,
sul modello della statunitense Experiment,
dedicata esclusivamente a finanziare la ricerca
di base. «L’equity crowdfunding – spiega – è
adatto a chi è già avanti nel percorso innovativo
e imprenditoriale e in Italia sono ancora pochi gli
scienziati e i ricercatori preparati e/o disposti a
creare startup. Non hanno il supporto necessario
per farlo come succede negli Usa o in Uk. Certo,
ci sono casi come il Politecnico di Milano e quello
di Torino dove ci sono incubatori che funzionano.
Ed è da lì che possono venire fuori start up di
diretta emanazione “scientifica”».
Il nocciolo della questione è, dunque, da un
lato la scarsa capacità “comunicativa” di questi
progetti, dall’altro la mancanza di piattaforme
dedicate che potrebbero stimolare il grande
pubblico a orientare le scelte di investimento,
o di donation, su progetti riconoscibili, che
possono seguire passo dopo passo, con in più la
contezza di dove va a finire il proprio denaro. «È
importante creare un meccanismo di indirizzo
verso un target preciso di finanziatori – continua
Petricciuolo -, ma anche aprirsi alla possibilità di
creare piattaforme orientate a sostenere la ricerca
scientifica». Gli esempi sono quasi tutti negli
Stati Uniti, dove oltre a Experiment, che dal 2010
finanzia la ricerca pur riconoscendo dei goal molto
contenuti (in media la forbice è tra mille e 10mila
euro), ci sono Consano e MedStartr entrambe
nate nel 2012 e basate sul modello donation
e reward. Nel gennaio 2014 si è affacciata sul
mercato statunitense anche la prima piattaforma
di equity crowdfunding del settore: Poliwogg che,
al momento, propone alla platea degli investitori
la campagna con un obiettivo di quattro milioni
di dollari di GlG Pharma Llc, una società che sta
sviluppando un trattamento nella prevenzione e
cura del cancro.
Nel nostro Paese non esistono ancora piattaforme
dedicate alla sola ricerca. Sono quelle generaliste,
pioniere nel mondo dell’azionariato diffuso, a
presentare progetti che, in alcuni casi, potranno
apportare cambiamenti radicali nelle terapie
mediche e nell’accesso alla sanità. Certo è che
da anni gli scienziati denunciano una graduale
erosione delle tutele e degli incentivi alla ricerca,
tra le principali vittime della ridistribuzione delle
risorse pubbliche. A oggi l’equity crowdfunding,
o il crowdfunding in generale, non è ancora una
risposta. Domani potrebbe esserlo.
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QUINTA PUNTATA
La quinta puntata della crowdinchiesta sull’equity
crowdfunding accende il faro sulle banche, tassello
chiave per il buon funzionamento del sistema. Ma
a loro non conviene. E così il comparto rimane
alla finestra e frena il decollo del mercato
Equity crowd, alle
banche non conviene
[ Pubblicato su ETicaNews il 5 maggio 2015 ]
E
siste una “seconda linea” nell’equity
crowdfunding, quella delle banche e
delle Sim coinvolte nel processo di
investimento. Ciò che l’investitore è in grado
di vedere inizialmente corrisponde alla parte
esterna, la vetrina: piattaforme e startup, dietro
cui si celano i meccanismi che consentono alla
macchina di muoversi in un circuito sicuro,
corredato di tutele a sostegno di tutte le parti in
gioco. Il circuito è quello tracciato da Consob
con il Regolamento 18592 del 26 giugno
2013, che prevede l’azione di altri soggetti:
gli intermediari finanziari, i “gregari” delle
piattaforme.
Al momento, su 15 portali autorizzati, solo sei
sono pienamente operativi. In questo scenario
ancora ristretto sono attivi tre intermediari:
Unicasim che, oltre alla presenza di Unicaseed
(solo gestore di diritto a oggi autorizzato da
Consob), funge da intermediario anche per
NextEquity; Assiteca Sim, di cui è emanazione
AssitecaCrowd (che però ha scelto di iscriversi
alla sezione ordinaria del registro) e Banco
Popolare, a oggi l’unico istituto attivo nel
settore. Se c’è chi si sta preparando a partire
ed è alle prese con le definizioni degli accordi,
negli ultimi mesi si sta di fatto assistendo al
consolidamento della posizione dell’istituto
nato dalla fusione tra la Bpvn e la Bpi
(contattato senza successo da ETicaNews).
Un fenomeno determinato da due fattori:
da un lato, «gli altri istituti non forniscono
il servizio», e questo si evince da diverse
esperienze di portali autorizzati che si sono
visti “chiudere la porta in faccia” da altre
banche e Sim interpellate o con cui avevano
già avviato accordi. Dall’altro lato, alcuni
portali hanno contattato direttamente l’istituto,
sapendo che il suo sistema di autorizzazione è
già rodato.
Dai risultati di un sondaggio giornalistico
che ETicaNews ha rivolto appositamente alle
piattaforme nell’ambito della crowdinchiesta
(che non ha valore statistico, ma puramente
qualitativo), è emerso come tutte le altre realtà
finanziarie contattate dalle piattaforme siano
restie a espandersi nell’azionariato diffuso. A
questo punto il quesito è: perché le banche e le
Sim non sono attratte dall’equity crowdfunding?
«Perché non hanno un guadagno dall’aprirsi al
settore», è la risposta lapidaria di Alessandro
M. Lerro, avvocato esperto internazionale di
equity crowdfunding. «Per esempio, le Sim
prendono una provvigione sul portafoglio
dei clienti che hanno in gestione o sui
prodotti intermediati. Se spostassero quote
15
QUINTA PUNTATA
del portafoglio sull’equity crowdfunding,
acquistando quelle di una startup, perderebbero
le provvigioni su quella quota di portafoglio
gestito». In altre parole, il denaro che va alla
startup esce dal portafoglio, perché le Sim
solitamente non prendono una percentuale su
quote di Srl. «Occorre ricordare – continua
Lerro – che si parla sempre di società non
quotate. Insomma, la Sim deve vendere un
prodotto su cui non guadagna, di conseguenza
ha convenienza a mantenere il cliente su
prodotti finanziari classici». Questo limite non
riguarda solo le Sim, anche in banca il cliente
che sottoscrive un contratto di gestione, paga
una commissione. Ma pur con dinamiche
differenti la sostanza resta la stessa: anche le
banche non hanno convenienza a buttarsi nel
settore, se non per la prospettiva di intercettare
nuovi clienti attraverso l’eventuale apertura di
un conto corrente su cui gestire l’operazione.
16
SESTA PUNTATA
La sesta puntata della crowdinchiesta entra negli
ingranaggi tecnici del processo di equity crowfunding
scoprendo che alcune criticità disincentivano
l’investitore. Lerro: «La verifica di appropriatezza
deve essere lasciata solo alle piattaforme»
Equity crowd, che
stress quel bonifico
[ Pubblicato su ETicaNews il 12 maggio 2015 ]
I
Quando un investimento è “sotto soglia”
(500 euro sul singolo investimento o mille
euro in un anno per le persone fisiche, che
diventano 5mila e 10mila per le persone
giuridiche) il finanziatore che acquista una
quota della startup effettua il bonifico sul conto
indisponibile aperto presso l’intermediario.
Tuttavia, per i trasferimenti “sopra soglia”
(che secondo quanto risulta a ETicaNews sono
la maggioranza) il meccanismo non è così
semplice e il passaggio si fa, per così dire, più
ingarbugliato.
Lo schema della Consob prevede che,
quando un investitore effettua un ordine
di investimento, la piattaforma esegua una
“valutazione di appropriatezza rafforzata”
con la somministrazione di un questionario,
finalizzato a verificare se l’investitore abbia
compreso i rischi connessi. Ma se l’ordine
è “sopra soglia” (quindi come detto sopra
i 500 euro per le persone fisiche), anche
l’intermediario “partner” della piattaforma
(presso il quale si trova il conto “indisponibile”
della startup di turno) a sua volta deve
verificare l’appropriatezza secondo i propri
criteri, somministrando all’investitore il
questionario Mifid (è il questionario che dal
2007 tutti gli operatori finanziari sono obbligati
a fa compilare ai propri clienti per effetto di
l meccanismo dell’equity crowdfunding è
da poco avviato. E, comprensibilmente,
per funzionare al meglio ha bisogno
di essere oliato nei punti più critici. Le
piattaforme interpellate da ETicaNews nel
corso della crowdinchiesta (leggi gli altri
articoli) hanno rilevato come sia necessaria
una «maggiore automazione delle procedure
tra portale e sistema di gestione degli ordini
dell’intermediario (banche o Sim, ndr)». E, per
facilitare il dialogo tra piattaforme e istituti
bancari, c’è chi addirittura pensa a «un accordo
con Abi in luogo della singola banca».
Prima di entrare nel dettaglio delle proposte
avanzate occorre però fare un passo indietro
per capire, per quanto si tratti di un
terreno abbastanza tecnico, cosa significa
inoltrarsi nel processo di approvazione
dell’investimento di equity crowdfunding.
Punto di partenza è l’impossibilità, per le
piattaforme, di effettuare raccolta di denaro.
Di conseguenza, l’emittente, ossia la startup
che apre una campagna su un portale di
equity crowdfunding, ha intestato un conto
“indisponibile” presso l’intermediario
finanziario che supporta la piattaforma.
Le somme investite dai finanziatori sono
“congelate” all’interno di questo conto fino
alla chiusura definitiva della campagna.
17
SESTA PUNTATA
una direttiv aeuropea, la Mifid appunto, che
tra gli altri si pone l’obiettivo della tutela degli
investitori, differenziata a seconda del diverso
grado di esperienza finanziaria).
Una doppia autorizzazione, insomma, che
rallenta il percorso di investimento e, come
denunciato da alcune piattaforme, «disincentiva
l’investitore dai propri propositi».
Un rimedio, sostiene l’avvocato Alessandro
M. Lerro, esperto internazionale di equity
crowdfunding, potrebbe consistere nel «tagliare
il cordone ombelicale che lega l’intermediario
all’investimento». In altri termini, spiega
Lerro, «la verifica di appropriatezza dovrebbe
essere lasciata esclusivamente alle piattaforme,
evitando inutili, complesse e costose
duplicazioni; banche e Sim possono limitarsi
a detenere il conto indisponibile intestato
all’emittente per la durata della raccolta,
evitando che le piattaforme maneggino
denaro».
se la profilatura Mifid
esiste già Tanto più che ci sono casi in cui la profilatura
Mifid è già disponibile, quando per esempio
l’investitore ha già un portafoglio titoli aperto
presso l’istituto bancario su cui ha il conto
e che ha così già provveduto a effettuare il
questionario sul profilo di rischio. In queste
situazioni, una possibile semplificazione del
procedimento potrebbe prevedere che sia
l’istituto dell’investitore a inviare l’ordine
di investimento all’intermediario “partner”
della piattaforma, trasferendo sia la conferma
dell’identità ai fini antiriciclaggio sia la conferma
del superamento del test Mifid. Il problema
è che non tutti gli intermediari accettano la
Mifid somministrata da un altro istituto. E così i
passaggi si duplicano.
Queste difficoltà emerse nelle procedure tecniche,
d’altra parte, sono già finite anche sotto la lente
dell’Abi. L’Associazione bancaria italiana, già
a gennaio 2014, aveva interpellato la Consob
per capire se le due figure, quella della banca
su cui l’investitore ha aperto il conto e quella
dell’intermediario su cui la startup detiene il conto
indisponibile (l’intermediario della piattaforma,
insomma) dovessero coincidere. Ebbene, Consob
ha sciolto il dubbio confermando che non esiste
uno schema unico nell’intermediazione, per cui
«i gestori del portale e gli intermediari, di volta
in volta coinvolti, possono configurare i loro
rapporti secondo schemi diversi». La risposta
dell’Authority è contenuta nella circolare n. 33 del
12 settembre 2014 dell’Abi in cui l’Associazione
invita le banche a sostenere lo sviluppo dei
finanziamenti alternativi e illustra «le regole di
condotta previste dalla normativa in relazione alla
gestione degli ordini di adesione degli investitori»
(rifacendosi agli artt. 15, 16 e 17 del Regolamento
di Consob).
Al momento, perciò, gli intermediari (oggi,
ricordiamo, l’unica banca attiva è il Banco
Popolare a cui si aggiungono UnicaSim e
AssitecaSim) sono liberi di decidere di dover
profilare esse stesse l’investitore, di fargli quindi
aprire un nuovo conto e fissare i costi relativi.
18
IL SONDAGGIO
La crowdinchiesta di ETicaNews sull’equity
crowdfunding si conclude con un sondaggio alle
piattaforme sulle difficoltà tecniche incontrate e
cinque suggerimenti alla Consob
Equity Crowd,
un manifesto per Consob
[ Pubblicato su ETicaNews il 19 maggio 2015 ]
C
ampagne poco virali e valutazioni alte,
“folla” in cerca di identità e capacità
di comunicare delle start up ancora in
rodaggio. Il viaggio di ETicaNews nell’equity
crowdfunding ha messo in luce alcune delle
difficoltà “di sistema” in un certo senso
fisiologiche per un settore da pionieri, come
la mancanza di capitali e un’offerta in fase di
aggiustamento (leggi la crowdinchiesta). Allo
stesso tempo sono però emerse anche evidenti
difficoltà tecniche. Su questo punto ETicaNews
ha voluto rivolgere alle piattaforme un sondaggio
giornalistico per dare voce alle singole esperienze
e stilare un manifesto propositivo, in linea con
gli obiettivi iniziali di questa crowdinchiesta:
costruire una vera opportunità per quanti cercano
di smarcarsi dalle logiche di finanziamento
tradizionale per dare una chance alla propria idea
imprenditoriale.
Nelle scorse settimane ETicaNews ha interpellato
tutte e 15 le piattaforme autorizzate da Consob
attraverso un questionario scritto e anonimo
composto da sette quesiti: cinque si sono
soffermati sul rapporto con gli intermediari, i
restanti due hanno voluto sondare quali aspetti
le piattaforme volessero porre all’attenzione
della Consob, l’authority che ha emanato il
regolamento sull’equity crowdfunding.
Parte di queste risposte sono già state anticipate
negli articoli precedenti dove si è analizzato
Quali intermediari hanno scelto le piattaforme
Le piattaforme hanno contattato più intermediari
prima di scegliere?
Numero di piattaforme
Banco Popolare
5
1
2
Unicasim
Assitecasim
Assitecasim
Unicasim
1
Nessun altro
3
1
banca Sella
Altri (generico)
Unicredit
2
Banca Etica
Nessun altro
Banca Sella
1
Altri (generico)
Unicredit
6
Non risponde
1,5
3,0
4,5
Domanda: chi è il vostro intermediario?
2
3
Unicasim
Assitecasim
6,0
Domanda: a quanti intermediari vi siete rivolti oltre a quello scelto?
19
IL SONDAGGIO
come il panorama degli intermediari si sia
polarizzato di fatto attorno a un singolo nome,
Banco Popolare, e le difficoltà nello scambio
di informazioni tra istituti stiano zavorrando le
procedure (leggi l’articolo Equity crowd, alle
banche non conviene ed Equity crowd, che
stress quel bonifico). Ora si vuole dare conto
delle risposte degli intermediari più nel dettaglio,
arricchendo il lavoro con un’infografica che
aiuti a creare un’istantanea di una situazione
complessa.
I risultati del sondaggio Delle 15 piattaforme interpellate, hanno risposto
in nove. Se la maggioranza di queste, come detto,
hanno aperto un conto indisponibile presso il
Banco Popolare, due fanno invece riferimento a
Unicasim, una a Assitecasim e una a Banca Etica
(ancora in fase di trattativa).
Le piattaforme hanno comunque sottolineato
di non essersi rivolte solo all’intermediario
con cui hanno aperto il rapporto, ma di aver
sondato anche altre realtà. Solo tre, infatti,
hanno contattato direttamente il loro attuale
intermediario, mentre le altre sei hanno passato
al vaglio anche altri istituti, tra cui, in due casi,
Unicredit e Banca Sella. In quattro casi su
sei, la maggioranza quindi, il motivo per cui è
stato scelto l’intermediario finale è che gli altri
contattati non offrivano il servizio. In un caso,
la scelta è dipesa da motivi di convenienza e in
un altro dall’esperienza e dalla conoscenza da
parte dell’intermediario del settore dell’equity
crowdfunding. Tra chi ha risposto altro, le ragioni
hanno riguardato la localizzazione geografica o
i particolari legami di vicinanza con la Sim di
riferimento (alcune piattaforme sono nate infatti
da Sim).
Non sorprende così che quattro su cinque
piattaforme abbiano rilevato che ci sono aspetti
da migliorare sul fronte degli intermediari. Va
notato, tuttavia, che la percentuali di risposte
a questa domanda cade visibilmente. Se
al sondaggio non hanno risposto in sei delle
Ci sono aspetti da migliorare?
I motivi della scelta dell’intermediario
Numero di piattaforme
Per convenienza
1
Per esperienza e conoscenza dell’ECF
1
27%
4
Gli altri non offrivano il servizio
No
67%
3
Altro
Sì
7%
Non risponde
6
Non risponde
0
1,5
3
4,5
Domanda: avete scelto questo intermediario per
6
Domanda: ci sono aspetti da migliorare sul fronte degli intermediari?
20
IL SONDAGGIO
di vizi “prenatali”. Un compito importante per il
rilancio economico del Paese che, dopo la crisi,
sta cercando di ripensare il proprio modello di
sviluppo e di fare impresa. In un paese, l’Italia,
in cui il credito alle aziende è legato per il
52% all’attività bancaria – come di recente ha
ricordato Giuseppe Vegas, numero uno di Consob,
all’incontro annuale con il mercato finanziario –
con l’equity crowdfunding è oggi entrato un nuovo
soggetto dal potenziale elevato. Che però deve
trovare la strada per riuscire a esprimere appieno
le proprie capacità. Così EticaNews ha chiesto
alle piattaforme cosa cambiare su quanto fatto
fino a ora dall’Authority, ma anche cosa suggerire
per il futuro.
Le risposte hanno evidenziato quattro punti
principali su cui applicare degli interventi
correttivi: l’esistenza di un eccesso di
autorizzazioni delle piattaforme a fronte di più
del 50% che sono ferme da mesi; una soglia
Mifid troppo bassa; il fatto che i venture capital
(soggetti che esercitano professionalmente
l’attività di investimento in società non quotate)
non rientrano tra i soggetti istituzionali validi
per soddisfare il vincolo del 5%; l’obbligo della
quindici piattaforme contattate, a questa
domanda (Ci sono aspetti da migliorare sul fronte
degli intermediario?) non hanno risposto in dieci.
Tra gli aspetti da migliorare nel rapporto con
gli intermediari, le piattaforme hanno indicato
lo scambio di informazioni tra le banche per
gli adempimenti Mifid e le agevolazione delle
procedure It ma anche la maggiore automazione
tra portale e sistema di gestione degli ordini
dell’intermediario e la necessità di stipulare
un accordo direttamente con Abi al posto della
singola banca.
Consob: cosa cambiare? Oltre al fronte legato ai rapporti con gli
intermediari, ETicaNews ha provato a tastare
il polso delle piattaforme per quanto riguarda
i possibili interventi migliorativi che potrebbe
mettere in campo la Consob. L’authority, che
ha elaborato il regolamento e mantiene tutt’ora
un controllo costante sul settore e un dialogo
continuo con le piattaforme, è l’anello di
congiunzione tra portali e mercato e ha avuto
l’onere (e il merito) di creare di un impianto che
garantisse la nascita di una nuova piazza priva
Gli aspetti da migliorare
2
2
Lo scambio di informazioni tra banche
per gli adempimenti degli obblighi Mifid
è auspicabile un accordo con Abi al posto
della singola banca
Serve maggiore automazione tra portale e
sistema di gestione degli ordini dell’intermediario
1
1
Domanda: quali?
21
Agevolare le procedure IT
IL SONDAGGIO
sottoscrizione del 5% da parte di investitori
istituzionali per il buon fine della campagna.
Difficoltà non nuove a quanti si occupano
della materia. Da tempo infatti diversi
operatori hanno fatto notare che la soglia
Mifid (500 euro su un singolo investimento e
mille euro in un anno per le persone fisiche,
che diventano 5mila e 10mila per le persone
giuridiche) andrebbe elevata. Secondo alcuni
andrebbe in generale portata ad almeno
10mila euro a operazione rimuovendo il limite
annuale. A questo si aggiunge, secondo Fabio
Bancalà di Equinvest l’anomalia che non
venga riconosciuta «la possibilità per quanti
esercitano professionalmente l’attività di
investimento in società non quotate (venture
capital) di rientrare tra i soggetti cui si chiede
di sottoscrivere il 5%». Secondo Tommaso
D’Onofrio, di Assitecacrowd, esiste però anche
un’altra anomalia ed è quella relativa ai tempi,
spesso particolarmente lunghi, di messa online
delle piattaforme rispetto all’ottenimento
dell’ok di Consob, a questo si associa il fatto
che «il sistema autorizzativo non prevede
nessun minimo di capitalizzazione del portale».
Tra le cose da fare, cinque sono quindi i
consigli degli operatori: prevedere un minimo
di capitalizzazione delle piattaforme; operare
perché si riducano i tempi tra autorizzazione
e andata online della piattaforma; ampliare
l’equity crowdfunding a tutte le società e Pmi;
recepire in tempi rapidi le novità dell’Investment
Compact (che prevede l’allargamento alle Pmi
innovative, Dl 3/2015 convertito con Legge 24
marzo 2015, n. 33 che ora deve essere recepito
da un regolamento dell’Authority); consentire
che il versamento da parte dei potenziali
investitori possa essere eseguito tramite mezzi
di pagamento moderni. Per quanto riguarda la
distanza temporale tra autorizzazione e messa
online del portale, gli operatori fanno notare
che una causa potrebbe essere la mancanza
di un contratto firmato con l’intermediario al
momento del via libera, ma anche l’assenza
di progetti meritevoli di essere proposti agli
investitori. Le startup innovative, anche con
idee brillanti, hanno il limite, appunto, delle
nuove aziende: la mancanza di un background
nel settore in cui operano o, in molti casi, di un
business plan. E questo è uno dei problemi che
può essere alla base del rallentamento dell’inizio
effettivo dell’operatività delle piattaforme. Su
questo fronte è possibile che una spinta arrivi
dall’Investment Compact: le Pmi innovative sono
aziende dotate di bilanci già strutturati e con una
maggiore conoscenza dei mercati di riferimento.
22
IL SONDAGGIO
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EqUITy CROWD IN CERCA DELLA “fOLLA”