Merito
Giurisprudenza
IRPEF
Ai fini della residenza fiscale
hanno rilievo il domicilio,
i legami personali e la loro durata
Commissione tributaria provinciale di Latina, Sez. III, Sent. 26 ottobre 2012 (25 maggio 2012), n.
371 - Pres. Mirabella - Rel. Moscarino (stralcio)
IRPEF - Soggetti residenti - Prova del domicilio in Italia - Necessità - Risultanze anagrafiche - Valore presuntivo - Legami professionali e personali - Rilevanza
La residenza fiscale del contribuente in Italia può essere desunta anche dall’accertato domicilio nel
Paese, individuato analizzando tutti gli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, provino la presenza del suo centro di interessi nel territorio dello Stato. Le risultanze anagrafiche hanno
solo valore presuntivo e, per l’individuazione della residenza, devono essere presi in considerazione sia i legami professionali e personali dell’interessato, sia la loro durata e, qualora tali legami non
siano concentrati in un solo Stato membro, l’art. 7, n. 1, comma 2, della direttiva 83/182 CEE riconosce la preminenza dei legami personali su quelli professionali.
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in segreteria il 23 dicembre
2011 e iscritto al n. ..., il sig. T.F., rappresentato e
difeso dagli avv.ti G.E. e V.G., nonché dal commercialista dott. G.D.R., giusta procura in atti, ha
impugnato l’avviso di accertamento, per imposte
IRPEF, IRAP E IVA relative all’anno 2007, n. ...,
emesso dalla Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di ..., notificato il 27 maggio 2011, con le
contestuali sanzioni amministrative.
Assume il ricorrente di aver presentato, nelle date 30
aprile 2010, 10 maggio 2010 e 14 luglio 2010, dichiarazioni riservate delle attività emerse ex art. 13-bis del
D.L. n. 78/2009 (cd. scudo fiscale-ter), per l’importo
complessivo di euro 5.749.545,00, versando un’imposta sostitutiva di euro 402.467,00, per cui all’Amministrazione finanziaria era precluso ogni accertamento
tributario per l’anno in questione, limitatamente agli
imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio.
La Direzione provinciale di ... dell’Agenzia delle
entrate, con provvedimento prot. n. ..., emesso il
12 luglio 2011, notificato nel domicilio eletto dal
ricorrente il 10 agosto 2011, comunicava l’inidoneità delle dichiarazioni riservate (cd. scudo fiscale-ter) a produrre gli effetti preclusivi, cd. estintivi, previsti dalla relativa disciplina.
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Diniego veniva opposto perché, alla data di presentazione delle dichiarazioni medesime, all’Agenzia risultavano già pendenti, e note al contribuente, attività istruttorie previste dall’ordinamento tributario, finalizzate al controllo sostanziale
della sua posizione fiscale.
A sostegno del ricorso, il sig. T.F., rappresentato e
difeso come sopra, eccepiva sostanzialmente: in
via preliminare, le seguenti illegittimità del provvedimento impugnato:
1) incompetenza territoriale della Direzione provinciale di ... all’accertamento nei suoi confronti;
2) emanazione di detto provvedimento da parte
della Direzione provinciale di ... sulla base dell’attività di verifica e delle direttive della Direzione
regionale delle entrate del Lazio, asseritamente
priva del potere di indagine nei suoi confronti;
3) diniego di opponibilità degli effetti preclusivi
dello scudo fiscale; con tale motivo si eccepiva,
altresì, la violazione del principio di buona fede e
di collaborazione tra contribuente e Amministrazione finanziaria, nonché la violazione del principio «nemo turpitudinem suam allegans auditur»;
4) e 5) violazione, da parte della Direzione regionale delle entrate del Lazio e della Direzione provinciale di ... dell’Agenzia delle entrate, del principio del contraddittorio preventivo, previsto dal
Giurisprudenza
diritto fiscale nazionale e dall’ordinamento comunitario.
Continuando con numerazione progressiva, nel
merito:
6) infondatezza del provvedimento impugnato, in
quanto egli era fiscalmente residente nel Regno
Unito nel periodo d’imposta 2006, ai sensi dell’art. 4 della convenzione conclusa con tale Stato;
7) infondatezza del provvedimento impugnato, in
quanto egli era fiscalmente residente nel Regno
Unito ai sensi dell’art. 2, comma 2, del T.U.I.R.,
avendo ivi stabilito la sua residenza e il suo domicilio ai sensi del codice civile;
8) infondatezza del provvedimento impugnato, posto che egli non poteva essere considerato come
residente in Italia, ai sensi del medesimo art. 2,
comma 2, del T.U.I.R., ove interpretato in conformità al diritto comunitario;
9) infondatezza del provvedimento impugnato, in
quanto i redditi conseguiti dalle società estere B.D.
Ltd., M.V. BV e C.D. Ltd. non potevano ritenersi
allo stesso imputabili, per essere tali società tutte
esistenti e operative e non meri schermi societari.
In via subordinata:
10) annullabilità del provvedimento impugnato per
il fatto che i maggiori imponibili e le maggiori imposte accertate agli effetti dell’IRPEF e delle relative addizionali erano stati erroneamente determinati;
11) annullabilità parziale del provvedimento impugnato, poiché erano stati illegittimamente assoggettati ad IRAP i compensi per l’utilizzazione dei
diritti d’autore e di quelli discografici;
12) annullabilità parziale del provvedimento impugnato, giacché l’Ufficio aveva illegittimamente assoggettato ad IVA i compensi per la concessione
dei diritti di utilizzazione dei diritti di edizione e
dei diritti discografici;
13) annullabilità delle sanzioni amministrative irrogate, in quanto le stesse sarebbero prive di adeguata motivazione;
14) annullabilità delle sanzioni amministrative irrogate, in quanto sussisterebbero oggettive condizioni di incertezza sulle disposizioni nella fattispecie applicabili;
15) disapplicazione delle sanzioni amministrative
irrogate.
Concludeva, quindi, con la richiesta di accoglimento del ricorso, con condanna dell’Ufficio alle
spese di giudizio.
L’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di
... si costituiva in giudizio in data 17 febbraio
2012.
Merito
Detto Ufficio, con articolate controdeduzioni, contestava tutti i motivi di ricorso, sostenendo la legittimità del proprio operato e ribadiva la pretesa
tributaria. Concludeva, quindi, con l’istanza di rigetto dello stesso e la condanna del ricorrente alle
spese di giudizio
Il contribuente, in data 26 marzo 2012, depositava
documenti aggiuntivi, nonché, il 16 aprile 2012,
memorie illustrative.
Il ricorso è stato discusso nella pubblica udienza
del 27 aprile 2012.
Dopo la relazione introduttiva svolta dal relatore,
le parti costituite sono state ammesse alla discussione.
A seguito di puntuale esposizione dei fatti di causa, con l’esibizione di documenti già depositati, i
rappresentanti delle parti si richiamavano ai motivi
dedotti e concludevano, rispettivamente, il ricorrente, per l’accoglimento del ricorso, l’Ufficio finanziario, per il rigetto.
La Commissione riservava la decisione; detta riserva veniva sciolta nella Camera di Consiglio del
25 maggio 2012.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato e, pertanto, va rigettato.
Relativamente al primo motivo di impugnazione
(illegittimità del provvedimento perche emesso da
Ufficio incompetente), il Collegio osserva che il
ricorrente ha basato la sua difesa, principalmente,
sull’asserita residenza in Manchester (U.K.), per
cui in Italia non aveva alcun obbligo fiscale, in base alla preclusione di ogni accertamento tributario
e contributivo stabilita dall’art. 14 del D.L. n.
350/2001, convertito dalla legge n. 409/2001, richiamato dall’art. 13-bis, comma 5, del D.L. n.
78/2009, convertito dalla legge n. 102/2009.
Detta preclusione presuppone, oltre alla residenza
all’estero del contribuente, l’effettività della detenzione fuori del territorio dello Stato delle attività finanziarie o patrimoniali indicate nella dichiarazione riservata fin dal 31 dicembre 2008,
nonché la circostanza che al contribuente stesso
non sia stata già contestata la violazione degli obblighi dichiarativi della detenzione o della movimentazione delle attività patrimoniali e finanziarie
all’estero, e non siano iniziati accessi, ispezioni o
verifiche o altre attività di accertamento fiscale.
Nella fattispecie oggetto della controversia, al sig.
F. vengono, invece, contestate la carenza di prova
della sua residenza all’estero e l’inizio di attività
di accertamento fiscale a suo carico al momento
delle dichiarazioni riservate.
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Giurisprudenza
Circa il primo punto, l’Ufficio ha ritenuto che il
contribuente abbia sempre mantenuto la residenza
in Italia, con conseguente disconoscimento, nei
confronti dello stesso, dei relativi effetti premiali.
Riguardo al secondo punto, la vicenda ha origine
dalla notifica di un questionario finalizzato all’effettuazione di un controllo della posizione fiscale
per il 2006, al quale il contribuente ha dato risposta tramite il proprio commercialista, Dott. D.R.
Si deve necessariamente premettere che non è infrequente la prassi degli Uffici finanziari di inviare
ai contribuenti questionari; dalle risposte fornite,
viene effettuato un riscontro con le scritture contabili e con le caratteristiche strutturali dell’impresa
o dell’attività di lavoro autonomo, al fine di desumere elementi di evasione.
Si tratta, invero, di un particolare potere dell’Amministrazione finanziaria, che è stato recentemente
rafforzato a seguito dell’entrata in vigore, nel
2006, del cosiddetto decreto Bersani-Visco, con lo
scopo di incrementare il patrimonio conoscitivo
del Fisco.
Ciò premesso, il Collegio, nel procedere all’esame
delle suddette eccezioni, formulate dal ricorrente,
evidenzia come l’ordinamento giuridico attribuisca rilevanza a certe situazioni che il soggetto pone in essere, rispetto ai diversi luoghi e con riferimento alle quali, per il tempo in cui permangono,
definisce il concetto di sede giuridica della persona. Il legislatore formalizza tre diversi modi di essere dei rapporti del soggetto con lo spazio: il domicilio, la residenza e la dimora, cui l’ordinamento attribuisce diversa rilevanza ai fini fiscali.
Il requisito della residenza, o meno, nel territorio
italiano assume un’importanza fondamentale ai fini dell’individuazione dei redditi che concorrono a
formare la base imponibile.
Per i soggetti residenti, infatti, concorrono a formare la stessa tutti i redditi posseduti, qualunque
ne sia la provenienza e il luogo di produzione (ivi
compresi quelli di fonte estera); si tratta del principio della tassazione dell’utile mondiale, in virtù
del quale tutti i redditi, ovunque prodotti, vengono
attratti, in base al rapporto di collegamento che
viene a crearsi tra soggetto e territorio, nella sfera
del territorio impositiva dello Stato italiano
(worldwide principle).
Per i soggetti non residenti nello Stato italiano, la
tassazione è informata al cd. principio di territorialità, che comporta la limitazione dell’applicazione
dell’imposta a quei soli fatti che si ricolleghino effettivamente al suo territorio, per essersi in esso
verificati, o per trovarsi con esso in un rapporto di
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relazione tale da giustificare l’assoggettamento a
prelievo in Italia.
II sig. T.F. sostiene, con documentazione, di essersi trasferito a Manchester (U.K.) il 10 febbraio
2006, ove ha acquistato un’abitazione, stipulando
un mutuo il cui pagamento avviene sul conto corrente acceso presso una banca estera. Egli, ai fini
del sistema impositivo inglese, è un «poco residente».
Nel nostro ordinamento manca una nozione di
«non residenza», che dovrà, quindi, essere desunta
mediante un’interpretazione a contrariis della nozione di residenza, in termini positivi, dall’art. 2,
comma 2, del T.U.I.R.
Il legislatore si è preoccupato di fornire una specifica definizione di residenza, precisando che un
soggetto si considera residente nel territorio dello
Stato allorquando si verifichi, alternativamente,
uno dei seguenti presupposti:
a) egli risulti iscritto per la maggior parte del periodo d’imposta nelle anagrafi della popolazione
residente;
b) egli abbia nel territorio dello Stato, sempre per
la maggior parte del periodo d’imposta, il proprio
domicilio, intendendosi per domicilio, in conformità a quanto stabilito dal codice civile, all’art.
43, primo comma, la sede principale dei suoi affari
o interessi;
c) egli abbia nel territorio dello Stato, sempre per
la maggior parte del periodo d’imposta, la propria
residenza (anche in questo caso occorre far riferimento alle disposizioni del codice civile - art. 43,
secondo comma - che identifica la residenza nel
luogo in cui la persona ha la dimora abituale).
Nelle ipotesi sub b) e sub c), ai fini dell’individuazione del concetto di residenza, assume rilevanza
la situazione di fatto di natura oggettiva e soggettiva in cui si trova la persona.
Ciò consente di considerare residenti in Italia anche quei soggetti che hanno trasferito ufficialmente all’estero la propria residenza. Le tre condizioni
richiamate sono, come detto, tra loro alternative; è
sufficiente il verificarsi di una sola di esse, affinché un soggetto sia considerate fiscalmente residente nel territorio dello Stato.
Vi è distinzione tra i trasferimenti in Paesi a fiscalità ordinaria, per i quali l’onere della prova resta a
carico dell’Amministrazione finanziaria, e i trasferimenti in paradisi fiscali, per i quali l’onere di
prova è invertito.
Il ricorrente non si è trasferito in uno dei Paesi a
regime fiscale privilegiato (cd. paradisi fiscali),
ma si è trasferito a Manchester (U.K.), per cui è
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onere dell’Amministrazione finanziaria dimostrare
il carattere soltanto formale e fittizio del trasferimento di residenza.
A ciò si aggiunga che, talvolta, potrebbe essere attraente il regime fiscale delle persone fisiche residenti nel Regno Unito, ma domiciliate all’estero
(resident/not domiciled - regime), che possono optare per il regime della source - based taxation; in
tal modo, non sono tassati nel Regno Unito i redditi prodotti al di fuori di tale Stato, ma viene meno la deducibilità degli oneri a carattere personale
(personal income tax allowances).
Le regole di common law distinguono tra residenti
ordinari e non ordinari. Una persona fisica è residente nel Regno Unite se permane nel territorio
dello Stato per almeno 183 giorni nel corso dell’anno, 184 se l’anno è bisestile, o se vi ha soggiornato per una media di almeno 91 giorni all’anno, nei precedenti quattro anni. Come è stato affermato dalla giurisprudenza «la residenza fiscale dei
soggetti diviene in questo quadro di riferimento, e
nella situazione attuale, l’unico plausibile termine
di raffronto per collegare stabilmente un soggetto
ad un territorio, ad uno Stato, e soprattutto al suo
regime impositivo, creando o mantenendo quel
circolo virtuoso, sancito dall’art. 53 Cost., che
vuole che tutti concorrano alle spese pubbliche
dello Stato e degli enti territoriali minori in ragione della loro capacità contributiva».
Ai fini dell’attuazione dell’imposta sul reddito (e
quindi per la presentazione della dichiarazione annuale e per la competenza dell’Ufficio tributario),
sono previste alcune regole dirette a definire la
precisa collocazione spaziale del contribuente.
È così disposto (art. 2 del T.U.I.R. e art. 60 del
D.P.R. n. 600/1973) che la residenza delle persone
fisiche sia fissata, alternativamente, in uno dei seguenti luoghi:
a) nel Comune nella cui anagrafe esse sono iscritte;
b) presso la dimora abituale;
c) presso la sede principale dei propri affari o degli interessi morali e materiali.
L’art. 2 del T.U.I.R. rinvia al codice civile per la
definizione di domicilio.
Il testo attuale differisce dal precedente perche richiama espressamente il codice civile.
La norma tributaria, come ha rilevato l’Ufficio, assume un concetto di residenza che tende verso
quello di domicilio previsto dalla disciplina civilistica, evidentemente con l’obiettivo di far prevalere l’aspetto sostanziale della collocazione dell’individuo nel territorio, rispetto al mero dato forma-
Merito
le della iscrizione anagrafica. Il tratto peculiare del
domicilio è rappresentato, dunque, non tanto dalla
presenza effettiva di una persona fisica in un determinato luogo (caratteristica, questa, propria della residenza), quanto della concentrazione in quel
luogo degli affari e degli interessi della persona
medesima.
La nozione di domicilio (art. 43, primo comma,
c.c.) riguarda la generalità dei rapporti del soggetto, ricomprende anche gli interessi di carattere familiare, sociale e morale.
La permanenza del domicilio di una persona deve
essere desunta da tutti gli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, provino la presenza
del suo centro di interesse nel territorio dello Stato
(Cass. 6 maggio 1980, n. 2936).
Il concetto di residenza (art. 43, secondo comma,
c.c.) si fonda sugli elementi: oggettivo, della permanenza di una persona in un determinato luogo;
soggettivo, dell’intenzione della stessa di avervi
stabile dimora, rilevata dalla consuetudine di vita
e dallo svolgimento delle relazioni sociali.
Gli elementi che determinano la residenza ai fini
fiscali sono: iscrizione anagrafica, domicilio o residenza ai sensi del codice civile; essi devono sussistere per la maggior parte dell’anno del periodo
d’imposta (Cass., 5 maggio 1985, n. 791; Cass., 14
marzo 1986, n. 1738; Cass., 6 luglio 1983, n.
4525).
Il ricorrente sostiene che la competenza per il controllo della propria posizione fiscale sarebbe riconducibile all’Ufficio di Roma dell’Agenzia delle
entrate, poiché il reddito più elevato prodotto in
Italia tra il 2006 e il 2008 è costituito dalle royalties corrisposte dalla SIAE, con sede legate in Roma.
Ai fini di individuare il luogo in cui è effettivamente svolta l’attività economica, la norma attribuisce, infatti, rilievo al luogo di svolgimento dell’atto o delle attività che rappresentano la fonte dei
redditi.
L’Ufficio contesta l’assunto difensivo, poiché la
normativa richiamata dal contribuente è applicabile ai soggetti effettivamente residenti all’estero ai
fini fiscali, ma esso ha accertato che il trasferimento del contribuente all’estero è da ritenersi fittizio e posto in essere al solo scopo di sottrarsi al
pagamento delle imposte per i redditi ovunque
prodotti. Il Collegio è del medesimo avviso. Orbene, è pacifico che il sig. T.F. ha trasferito all’estero
la sua residenza anagrafica, ma egli ha mantenuto
nell’ambito territoriale italiano, con particolare riferimento a ..., un’intensa ed importante concen-
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Giurisprudenza
trazione, non meramente occasionale o provvisoria, ma stabile e tendenzialmente duratura, di affari ed interessi, per cui la normativa applicabile è
quella disciplinata dall’art. 2 del T.U.I.R.
Al riguardo, il ricorrente ha opposto di essere inserito negli elenchi dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (A.I.R.E.).
Il Collegio rileva, però, che la cancellazione
dall’Anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione nell’A.I.R.E. non sono sufficienti a determinare l’esclusione della residenza fiscale nel territorio dello Stato. Le risultanze anagrafiche hanno,
infatti, solo valore presuntivo (Cass. 20 settembre
1979, n. 4829).
Diversa funzione ha l’iscrizione nell’A.I.R.E. Detta iscrizione non ha un’autonoma rilevanza sostanziale; per questo è pur sempre possibile dimostrare
che il contribuente fiscalmente residente, in quanto non ha mai perduto la residenza civilistica
(Cass. 7 novembre 2001, n. 13803; 26 giugno
2003, n. 10179; 15 giugno 2010, n. 14434; Comm.
trib. reg. della Puglia, 8 ottobre 2009, n. 132). Come detto, i soggetti non iscritti nell’anagrafe sono
comunque residenti, ai fini delle imposte dirette,
se hanno stabilito nel territorio nazionale la sede
principale dei loro affari ed interessi (art. 43 c.c.).
Chiarito che, in tema di imposte sui redditi, l’art.
2, comma 2, del D.P.R. n. 917/1986, individua,
perché sussista la residenza fiscale nello Stato, tre
presupposti, indicati in via del tutto alternativa: il
primo, formale, rappresentato dall’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, gli altri
due, di fatto, costituti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile, ne consegue che, come sopra già anticipato, l’iscrizione del
cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non
è un elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia
nel territorio dello stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari e interessi
economici, nonché delle proprie relazioni personali (Cass. n. 13803 del 2001, n. 10179 del 2002, n.
14434 del 2010, n. 5382 del 2012).
È proprio l’espresso rinvio che la norma dell’art. 2
del T.U.I.R. fa al codice civile, cioè alla disposizione contenuta nell’art. 43, che depone in questa
direzione.
Da una verifica di fatto, particolarmente complessa, effettuata dall’Ufficio, essendo possibile provare la residenza con ogni mezzo (Comm. trib.
prov. di Torino, Sez. XVIII, 11 febbraio 2009, n.
40), il Collegio reputa che il ricorrente debba ritenersi fiscalmente residente in Italia.
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Ed, invero, la Direzione regionale delle entrate,
con un’indagine a largo raggio, anche a livello europeo, ha acquisito elementi di certezza obiettiva
della permanenza stabile in Italia del sig. F. e, precipuamente, nel domicilio di origine o ultimo a ...,
sede principale dei suoi affari e interessi desumibile dalla concentrazione degli stessi, correlata al
suo comportamento, ai rapporti morali, sociali e
familiari e non solo economici.
Per quanto riguarda la permanenza in Italia del
contribuente, abbiamo già visto che la norma richiede il verificarsi di un requisito temporale con
riguardo al luogo in cui il contribuente medesimo
trascorre la maggior parte del tempo in un periodo
d’imposta (almeno 183 giorni all’anno o 184 se
l’anno è bisestile). Non è richiesta, invece, la continuità di tale permanenza, purché essa duri, complessivamente, per il periodo prescritto.
L’Ufficio ha dimostrato la sua residenza in Italia e,
specificamente, nel luogo di produzione del reddito, per un periodo superiore a 183 giorni, quasi
250; la sent. 6 maggio 2010, n. 14434, della Suprema Corte conferma la correttezza di tale impostazione.
Conclusivamente sul punto, è da respingere l’eccezione del ricorrente, ribadita nelle memorie illustrative, della prevalenza dell’art. 58 del D.P.R. n.
600/1973, rispetto all’art. 2 del T.U.I.R.
La fonte probatoria di tale convincimento, si ribadisce, consiste nell’ampia verifica dei movimenti
del ricorrente in Italia svolta dalla Direzione regionale delle entrate e prodotta in atti, nella quale sono dettagliatamente specificati, con compiuta individuazione del luogo, movimenti di partenza e di
arrivo del sig. F., giorno per giorno. La complessa
attività di controllo svolta dalla Direzione regionale delle entrate non risulta inficiata dalle obiezioni
al riguardo formulate dal ricorrente, con elementi
ritenuti dal Collegio insufficienti a contrastare il
carattere fittizio del trasferimento all’estero. Dalla
valutazione globale della situazione giuridica si
deve, quindi, ritenere accertata l’effettiva residenza del ricorrente nel territorio dello Stato italiano,
e specificamente in ..., risultando, pertanto, il trasferimento della residenza in Manchester (U.K.)
del ricorrente meramente formale.
Il motivo di ricorso riguardante l’incompetenza
della Direzione provinciale di ... ad eseguire il
controllo della posizione fiscale del ricorrente per
i periodi d’imposta 2006, 2007, 2008 è, quindi,
privo di pregio; la competenza all’accertamento,
conseguentemente, appartiene all’Ufficio finanziario di ..., come è provato dall’ampia ricerca effet-
Giurisprudenza
tuata dall’Agenzia, attraverso numerosi questionari inviati a terzi (alberghi, Alitalia, agenzie di viaggio, ecc.), dalle dichiarazione rese alla E. s.p.a ed
all’atto della sottoscrizione del proprio abbonamento telefonico con la H. da parte del sig. F., dalle dichiarazioni di terzi che hanno effettuato i trasporti da Fiumicino a Manchester (U.K.) e viceversa, dalle dichiarazioni di amici residenti in ...,
dai premi ricevuti in ..., tutti analiticamente indicati nella relazione della Direzione regionale delle
entrate, allegata al provvedimento impugnato.
Secondo la difesa del ricorrente, le dichiarazioni
di terzi non proverebbero nulla, perché la residenza abituale sarebbe in Manchester (U.K.), come testimonierebbero le foto della festa di Capodanno
versate in atti.
Il Collegio osserva che il fatto di aver trascorso,
con amici, un Capodanno in Manchester (U.K.) è
assolutamente ininfluente ai fini dell’individuazione della residenza.
La prospettata competenza, poi, degli Uffici finanziari di Roma, rispetto a quelli di Latina, a causa
della produzione in quella città del maggior reddito, non è sufficiente, alla luce dei criteri più supra
illustrati, a radicare la competenza all’accertamento in capo agli Uffici finanziari romani, posto che,
come detto, il domicilio fiscale accertato è rimasto
in ..., quale centro delle relazioni economiche e
personali del ricorrente, ed è prevalente sul concetto di residenza anagrafica. È dimostrato, inoltre, che il contribuente non svolge attività preponderante all’estero, accertato che la movimentazione di denaro in Italia è maggiore di quella rilevata
all’estero.
Non vi è, poi, doppia imposizione perche nel Regno Unito egli ha dichiarato solo i redditi ivi percepiti, mentre non ha dichiarato gli altri redditi,
essendo un «poco residente».
Recentemente, la giurisprudenza, sia comunitaria,
sia italiana, ha confermato la preminenza degli interessi personali rispetto a quelli economici ai fini
dell’individuazione della residenza fiscale (Corte
di giustizia CE, 12 luglio 2001, causa C-262/99,
cui si richiama anche Cass., 7 novembre 2001, n.
13803; da ultimo, sempre in tal senso, Cass., 14
aprile 2008, n. 9856, Agenzia entrate, risoluzione
7 agosto 2008, n. 351/E), in base alla quale, ai fini
della determinazione del luogo di residenza normale, devono essere presi in considerazione sia i
legami professionali e personali dell’interessato in
un luogo determinato, sia la loro durata, e, qualora
tali legami non siano concentrati in un solo Stato
membro, l’art. 7, n. 1, comma 2, della Dir. 83/182
Merito
CEE riconosce la preminenza dei legami personali
su quelli professionali. In conclusione, il sig. T.F.,
nei citati periodi d’imposta, deve essere ritenuto
residente e domiciliato nel territorio nazionale, nonostante il formale trasferimento della residenza
nel Regno Unito.
(Omissis)
II sig. F. deduceva l’illegittimità del provvedimento impugnato, in quanto asseriva che la propria residenza fiscale si trovava nel Regno Unito, sia ai
fini della Convenzione conclusa con tale Stato, sia
ai sensi dell’art. 2, comma 2, del T.U.I.R., anche
interpretato in conformità all’ordinamento comunitario.
L’impianto difensivo, ad avviso del Collegio, non
risulta confermato dalla documentazione in atti e,
pertanto, non è accoglibile.
Ed, invero, il prospetto elaborato dall’Ufficio circa
la presenza in Italia ed all’estero del sig. F. per gli
anni 2006, 2007, 2008 è illuminante nella sua precisione; risulta, infatti, che il ricorrente sia stato
all’estero 56 giorni nel 2006, a fronte di almeno
233 giorni trascorsi in Italia (41 certi a ... e 51 presunti: la presunzione riguarda i movimenti di arrivo e partenza; cosi se egli è presente in un luogo il
pomeriggio si presume che lo sia anche il giorno
successivo. Il principio è applicabile sia a favore
che contro il contribuente), 19 giorni nel 2007, a
fronte di almeno 211 giorni trascorsi in Italia (35
certi a ..., 43 presunti); 23 giorni nel 2008, a fronte
di almeno 200 giorni trascorsi in Italia (20 certi a
... e 45 presunti).
La documentazione riguarda voli aerei, carteggio
della E.M. Italy (noleggi), delle compagnie aeree
A., B.A., R., I. e L., ripetute attività artistiche in
Italia, concerti, apparizioni in televisione, a seguito di questionari acquisiti.
Nelle memorie di replica la difesa si è, invece, limitata ad affermare, del tutto genericamente, che i
calcoli dell’Ufficio non sarebbero corretti, senza
tuttavia specificare in modo analitico le ragioni
per le quali l’operato di quest’ultimo debba ritenersi erroneo.
Il prospetto della difesa, pure riconsegnato al Collegio durante la discussione dall’avv. G., non è accompagnato da esaustivi riscontri probatori.
Occorre, invero, tenere presente che la Corte di
cassazione ha affermato che: «Ai fini della determinazione del luogo della residenza normale devono essere presi in considerazione sia i legami
professionali e personali dell’interessato in un luogo determinato, sia la loro durata e, qualora tali legami non siano concentrati in un solo Stato mem-
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Rivista di giurisprudenza tributaria
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Merito
Giurisprudenza
bro l’art. 7 n. 1, comma 2, della Dir. 83/18/CEE,
riconosce la preminenza dei legami personali sui
legami professionali; nell’ambito della valutazione
dei legami personali sui legami professionali dell’interessato tutti gli elementi di fatto rilevanti devono essere presi in considerazione, vale a dire, in
particolare, la presenza fisica di quest’ultimo»
(sent. n. 14435 del 2010).
(Omissis)
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al paga-
mento delle spese di giudizio a favore dell’Agenzia delle entrate Direzione provinciale di ..., che si
liquidano in euro 5.000,00 (euro cinquemila/00).
Il testo integrale della sentenza
oltre a essere disponibile
in Banca Dati BIG Suite, IPSOA
si può richiedere a
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Residenza fiscale in Italia
e «status» di residente non domiciliato in U.K.:
secondo i giudici possono coesistere
di Alessandra Magliaro e Sandro Censi
Il trasferimento di un contribuente italiano nel
Regno Unito, e l’acquisizione dello «status» di
residente non domiciliato in tale Paese, può
essere contestato dall’Amministrazione finanziaria. I giudici hanno accertato l’effettiva residenza in Italia, ritenendo il trasferimento solo
formale, poiché i legami personali e professionali dell’interessato restavano in Italia e qui
egli aveva trascorso la maggior parte del periodo d’imposta. Tale accertamento non fa
però venire meno la contemporanea qualifica
di residente non domiciliato nel Regno Unito.
La sentenza della Commissione tributaria provinciale di Latina affronta la problematica e le
conseguenze, da un punto di vista fiscale, del
trasferimento di residenza all’estero.
Il contribuente in questione è un noto cantante
italiano che, da qualche anno, ha trasferito la residenza nel Regno Unito, a Manchester, e che
aveva subito un accertamento IRPEF, IRAP e
IVA per l’anno 2007.
In particolare, l’Amministrazione considerava
fittizio tale trasferimento e recuperava a tassazione, secondo il principio della worldwide income taxation, tutti i redditi del residente, ovunque prodotti nel mondo.
Quest’ultimo, dopo aver ribadito innanzitutto
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l’effettività del proprio trasferimento, sosteneva
altresì che all’Amministrazione finanziaria era
precluso, limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio, ogni accertamento tributario per l’anno in questione
avendo egli presentato la dichiarazione riservata
alle attività emerse ex art. 13-bis del D.L. 1° luglio 2009, n. 78 (1) (cd. scudo fiscale-ter).
I giudici di Latina, accogliendo la tesi dell’Amministrazione, ritenevano inopponibile lo scudo
fiscale dal momento che, alla data di presentazione della cosiddetta dichiarazione riservata, risultavano già pendenti e note al contribuente attività istruttorie finalizzate al controllo sostanziale della sua posizione fiscale (2). Al contriAlessandra Magliaro - Professore aggregato presso l’Università di
Trento
Sandro Censi - Avvocato in Bologna
Note:
(1) Convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n.
102.
(2) Stante il combinato disposto dell’art. 13-bis, comma 5, del D.L.
n. 78/2009 e dell’art. 14, comma 7, del D.L. n. 350/2001 «il rimpatrio delle attività non produce gli effetti di cui al presente articolo quando, alla data della presentazione della dichiarazione riservata, una delle violazioni delle norme indicate al comma 1 è stata
già contestata o comunque sono già iniziati accessi, ispezioni e
verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo
di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza».
Giurisprudenza
buente, infatti, era già stato notificato un questionario a cui lo stesso, tramite il proprio commercialista, aveva già fornito risposta con consegna di documentazione (3).
Il ricorrente eccepiva inoltre l’incompetenza, in
capo alla Direzione regionale delle entrate del
Lazio, a svolgere funzioni operative di accertamento, ispezioni e verifica.
Nella sentenza viene, invece, riconosciuto il potere di effettuare indagini da parte della Direzione regionale delle entrate, sulla base del D.Lgs.
30 luglio 1999, n. 300, con il quale sono state
trasferite all’Agenzia tutte le funzioni, i poteri e
le competenze concernenti le entrate tributarie
già spettanti al dipartimento delle entrate.
Un’attenzione particolare viene infine dedicata,
dalla sentenza in commento, al problema della
determinazione della residenza fiscale del contribuente.
I giudici hanno dovuto ben esaminare l’apparato
probatorio fornito dall’Agenzia poiché, in questo caso, non operava, a favore di quest’ultima,
la presunzione di cui all’art. 2, comma 2-bis, del
T.U.I.R., contro gli emigrati in Paesi a fiscalità
privilegiata (4).
Hanno concluso che il ricorrente, dovendo «essere considerato residente e domiciliato nel territorio nazionale nonostante il formale trasferimento della residenza nel Regno Unito» doveva
anche essere assoggettato a tassazione sui redditi ovunque prodotti.
La presente disamina si limiterà all’analisi di tale ultima fattispecie con particolare riferimento
al peculiare istituto britannico del «residente
non domiciliato».
Si evidenzierà, inoltre, l’importanza dell’elemento «domicilio» del contribuente e della sua
prevalenza, quale elemento sostanziale, rispetto
agli altri requisiti, di natura formale, richiesti
dall’ordinamento tributario per determinare la
residenza fiscale.
La residenza fiscale
nelle imposte sui redditi
La determinazione del domicilio del contribuente, relativamente alla maggior parte del periodo
d’imposta, è solo uno dei requisiti richiesti, in
via alternativa, dall’art. 2 del T.U.I.R. per la determinazione della residenza fiscale. Secondo
Merito
tale disposizione, infatti, «soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche residenti e non
residenti nel territorio dello Stato. Ai fini delle
imposte sui redditi si considerano residenti le
persone che per la maggior parte del periodo
d’imposta sono iscritte nelle Anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello
Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile» (5).
Il primo dei criteri elencati dall’art. 2 citato è
formale e riveste carattere pubblicistico consistendo nell’iscrizione anagrafica (peraltro obbligatoria per i cittadini italiani).
La residenza civilistica, come luogo della dimora
abituale, è, dal punto di vista tributario, l’altro
possibile elemento indicatore della residenza fiscale che «è molto più ampia in quanto tale status può risultare da vari criteri indipendenti, ciascuno dei quali è sufficiente a configurarla» (6).
Tale elemento è fortemente qualificato da un
Note:
(3) La risoluzione 1° ottobre 2001, n. 85/E, in Banca Dati BIG
Suite, IPSOA, condivisa dai giudici di Latina, ha precisato che la locuzione «altre attività», contenuta nell’art. 14, comma 7, del D.L.
n. 350/2001, include gli inviti, le richieste e i questionari.
(4) Secondo tale norma «si considerano altresì residenti, salvo
prova contraria, i cittadini italiani, cancellati dall’anagrafe della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale».
(5) Per un commento alle disposizioni sulla residenza, senza pretesa di esaustività e con riferimento ai commenti più recenti, si
segnalano: G. Marini, «La residenza delle persone fisiche nell’imposta sui redditi», in Commentario al Testo Unico delle Imposte sui
Redditi, a cura di G. Tinelli, Padova, 2009, pag. 31 ss.; E. della Valle,
«Come gli interessi familiari incidono sulla residenza fiscale», in
C.T. n. 4/2011, pag. 302; A. Contrino - R. Dominici, «Condoni e residenza fiscale delle persone fisiche», ivi n. 7/2010, pag. 527; G.
Marino, «Una nuova frontiera giurisprudenziale: la residenza fiscale “obbligata”», in Rass. trib., 2010, pag. 1368; F. delli Falconi - G.
Marianetti, «Il domicilio tra interessi personali ed economici», in
C.T. n. 28/2010, pag. 2268; Id., «La rilevanza degli interessi familiari
nella determinazione della residenza fiscale», in questa Rivista n.
2/2011, pag. 115, commento a Cass., 17 novembre 2010, n. 23249
e 23250, anche in Banca Dati BIG Suite, IPSOA; S. Giorgi, «La residenza fiscale di una persona fisica in caso di trasferimento all’estero», in Fiscalità internazionale n. 2/2009, pag. 98. Si rinvia anche
a A. Magliaro - S. Censi, «Possibili soluzioni alla incertezza della
individuazione nel domicilio dello Stato», in questa Rivista n.
10/2010, pag. 897, commento a Cass., 19 maggio 2010, n. 12259,
anche in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.
(6) R. Schiavolin, «I soggetti passivi», in L’imposta sul reddito delle
persone fisiche, a cura di F. Tesauro, Torino, 1994, pag. 61.
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Merito
Giurisprudenza
aspetto oggettivo ovvero la dimora abituale in
un determinato luogo (7).
Il domicilio, infine, si configura come una situazione giuridica che prescinde dall’effettiva presenza del soggetto nel luogo e si fonda sulla volontà di stabilire e mantenere in una determinata
località la sede principale dei propri affari ed interessi (8).
L’esistenza di un domicilio in Italia è, nella
maggior parte dei casi e anche in quello in
commento, l’elemento che consente di attrarre
a tassazione nel territorio il reddito ovunque
prodotto dal contribuente. La determinazione
del domicilio del soggetto passivo nello Stato
determinerà, infatti, la sua residenza ai fini tributari (9).
Il residente non domiciliato nel Regno
Unito: qualificazione e tassazione
Per quanto riguarda il Regno Unito il concetto
di residenza fiscale è sicuramente più sfumato e,
nell’ordinamento anglosassone, non vi è una vera e propria definizione per questo istituto (10).
Secondo la Convenzione Italia - Regno Unito
(11) per residente deve intendersi «ogni persona
che, in virtù della legislazione di detto Stato, è
assoggettata ad imposta nello stesso Stato a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della
sede della sua direzione o di ogni altro criterio
di natura analoga» (12).
L’elemento temporale di permanenza nello Stato
non è sempre elemento caratterizzante l’acquisto
o la perdita della residenza. Ed invero, se è sicuramente fiscalmente residente colui che trascorre nel Paese almeno183 giorni (184 negli anni
bisestili) e cioè la maggior parte del periodo
d’imposta nel corso dell’anno fiscale, può comunque essere considerato fiscalmente residente
anche colui che trascorre un minor periodo nel
Regno Unito.
Nell’ordinamento anglosassone, infatti, si può
essere fiscalmente residenti pur se si trascorre
nel Paese un periodo di tempo inferiore ai 183
giorni, sempre che vi siano delle correlazioni
con il Paese e vi sia l’intenzione di risiedervi.
Infatti si può essere considerati fiscalmente residenti se si risiede nel Regno Unito in media per
tre mesi ogni anno solare (gennaio - dicembre)
nei precedenti quattro anni.
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In tal caso si acquista la residenza dal quinto anno. Inoltre si può essere considerati fiscalmente
residenti nel Paese, fin dal momento dell’arrivo,
quando il trasferimento è stato effettuato con
Note:
(7) La dottrina evidenzia come nell’istituto della residenza si
compenetrano elementi soggettivi ed oggettivi che non consentono di fondare la distinzione tra residenza e domicilio dalla natura materiale di fatto della prima rispetto alla natura volontaristica del secondo. Cfr. Esu, «Domicilio, residenza, dimora», in Trattato Rescigno, II, I, pag. 580; A. Candian, «Domicilio residenza dimora», in Digesto, IV ed., pag. 116. Anche la giurisprudenza sembra percorrere tale strada (Cass., 5 febbraio 1985, n. 79, Id., 6 luglio 1983, n. 4525, nonché Id., 14 marzo 1986, n. 1738, in Banca
Dati BIG Suite, IPSOA).
(8) Cass., 29 dicembre 1960, n. 3322. In senso conforme, più recentemente, si vedano Id., 11 maggio 1994, n. 4581; Id., 29 marzo
1996, n. 2875; Id., 20 luglio 1999, n. 7750.
(9) Per una rassegna dei casi giurisprudenziali più recenti si segnalano: Cass., 4 aprile 2012, n. 5382, in C.T. n. 26/2012, pag
2025, con commento di A. Magliaro - S. Censi, «Interessi economico-patrimoniali nel territorio dello Stato e residenza fiscale»; Cass., 15 giugno 2010, n. 14434, in Banca Dati BIG Suite,
IPSOA; Id., 17 novembre 2010, n. 23249 e n. 23250, in questa
Rivista n. 2/2011, pag. 115, con commento di F. delli Falconi e G.
Marianetti, «La rilevanza degli interessi familiari nella determinazione della residenza fiscale», e ivi; Id., 18 novembre 2011, n.
24246, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA, e Id., 29 dicembre 2011,
n. 29576, in C.T. n. 22/2012, pag. 1725, con commento di S. Armella e L. Ugolini, «Tassazione dei dividendi in base all’effettiva
residenza del percipiente». Per altri riferimenti giurisprudenziali si rinvia ancora a A. Magliaro - S. Censi, «Possibili», cit., loc.
cit., pag. 897.
(10) Per una dettagliata descrizione dei concetti di residenza e
domicilio nell’ordinamento tributario inglese, si veda la guida
pubblicata sul sito del HM Revenue & Customs al seguente indirizzo: http://www.hmrc.gov.uk/cnr/hmrc6.pdf.
(11) Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il
Governo del Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord
per evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in
materia di imposte sul reddito entrata in vigore il 31 dicembre
1990.
(12) Art. 4, comma 1, della Convenzione. Il successivo comma 2
stabilisce che: «Quando, in base alle disposizioni del paragrafo (1)
del presente articolo, una persona fisica è considerata residente
di entrambi gli Stati contraenti, la sua situazione è determinata in
conformità alle seguenti disposizioni:
a) detta persona è considerata residente dello Stato contraente
nel quale dispone di un’abitazione permanente. Quando essa dispone di un’abitazione permanente in ciascuno degli Stati contraenti, è considerata residente nello Stato contraente nel quale
le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali); b) se non si può determinare lo Stato
contraente nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi
vitali, o se la medesima non dispone di un’abitazione permanente
in alcuno degli Stati contraenti, essa è considerata residente dello
Stato contraente in cui soggiorna abitualmente».
Giurisprudenza
l’intenzione di recarvisi a vivere o lavorare in
maniera continuativa.
Va infine ricordato che il periodo d’imposta in
tale Paese inizia il 6 aprile e si conclude il 5
aprile dell’anno successivo.
Nella giurisprudenza anglosassone si è sviluppato
il concetto di «residenti ordinari» (ordinarily residents) e «residenti non ordinari» (non ordinarily
residents). Sono considerati residenti ordinari coloro che manifestano un’esplicita volontà di rimanere nel Regno Unito per almeno tre anni consecutivi. Si può essere considerati residenti non ordinari se si risiede normalmente fuori del Regno Unito,
ma vi si permane per più di 183 giorni l’anno.
Per quanto concerne la nozione di domicilio essa riguarda una situazione di fatto distinta da
quella di nazionalità o residenza. Con tale termine si fa riferimento al luogo di origine di ciascun individuo. Per eleggere un domicilio diverso da quello di origine occorre dimostrare che si
ha intenzione di vivere in modo permanente e a
tempo indeterminato in un dato luogo, non si
hanno più legami con il domicilio di origine e
non si intende tornarvi.
I soggetti trasferiti nel Regno Unito sono considerati residenti non domiciliati fino a che non
provino di aver reciso tutti i legami con il loro
precedente Paese di domicilio.
Sono dunque residenti non domiciliati coloro
che risiedono nel Regno Unito, ma sono domiciliati altrove.
Il particolare status di questi contribuenti consente che essi siano assoggettati a tassazione
soltanto sui redditi prodotti nel territorio del Regno. Applicando il principio della remittance
basis, i redditi prodotti all’estero saranno soggetti ad imposizione solo se trasferiti (rimessi)
nel Regno Unito.
Al contrario, i residenti domiciliati saranno tassati sui redditi, ovunque prodotti.
In pratica la remittance basis allinea il principio
di tassazione dei residenti non domiciliati a
quello dei soggetti non residenti, introducendo il
principio della territorialità per l’assoggettamento dei redditi (13).
Va, infine, precisato che la legislazione inglese,
espressamente, prevede la possibilità di essere
residenti nel Regno Unito e, al contempo essere
residenti in altri Paesi (14).
Merito
L’analisi dell’apparato probatorio
dell’Agenzia delle entrate
Come già detto, poiché il trasferimento del contribuente era avvenuto in un Paese che non rientrava tra quelli a fiscalità privilegiata, spettava
all’Amministrazione finanziaria l’onere della
prova sulla fittizietà di tale trasferimento.
Sulla base delle prove addotte dall’Ufficio, i
giudici hanno così rilevato che «la cancellazione
dall’anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione nell’AIRE non sono sufficienti a determinare l’esclusione della residenza fiscale nel
territorio dello Stato. Le risultanze anagrafiche
hanno, infatti, solo valore presuntivo (Cass. 20
settembre 1979, n. 4829)».
Del resto, già l’Amministrazione finanziaria
aveva ricordato che «la cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione
nell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero
(AIRE) non costituisce elemento determinante
per escludere il domicilio o la residenza nello
Stato, ben potendo questi ultimi essere desunti
con ogni mezzo di prova anche in contrasto con
le risultanze dei registri anagrafici» (15).
Note:
(13) In base al Finance Act 2008, le persone fisiche residenti non
domiciliate possono decidere (in sede di dichiarazione dei redditi) se aderire al regime impositivo fondato sul sistema della remittance basis o se assoggettarsi a tassazione su base mondiale. Il
contribuente residente non domiciliato può scegliere di anno in
anno se optare o no per la remittance basis: chi sceglie di non beneficiarne è tassato sui redditi prodotti a livello mondiale. I contribuenti che aderiscono al sistema della remittance basis devono
pagare una tassa forfetaria (Remittance Basis Charge - RBC) di £
30.000.
(14) Secondo il HM Revenue & Customs, nella pubblicazione «Residence, domicile and the remittance basis», «You can be ordinarily resident in the UK and, at the same time, be ordinarily resident in another country. It is possible to be resident in the UK
and be not ordinarily resident here. This means that although you
are resident in the UK during a tax year, your residence does not
have one or more of the factors that would make you ordinarily
resident. It is also possible (but unusual) to be not resident in the
UK but remain ordinarily resident here. If you normally live in
the UK you might become not resident solely for one tax year.
As you would usually be resident in the UK and this is where
you have your normal home, family ties and other social connections, you might still be ordinarily resident here».
(15) C.M. 2 dicembre 1997, n. 304/E/I/2/705, in Banca Dati BIG
Suite, IPSOA. Dello stesso avviso la giurisprudenza, cfr., tra le altre, Cass., 17 luglio 1967, n. 1812; Id., 20 settembre 1979, n. 4829;
Id., 24 marzo 1983, n. 2070; Id., 5 febbraio 1985, n. 791. In dottri(segue)
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Merito
Giurisprudenza
L’Agenzia, secondo i giudici di Latina, ha, inoltre, dimostrato la «residenza in Italia e, specificamente, nel luogo di produzione del reddito,
per un periodo superiore a 183 giorni quasi
250».
In particolare, tale soggiorno è stato dimostrato
attraverso un imponente apparato probatorio che
ha preso in considerazione:
– le risposte ai questionari inviati ad alberghi,
agenzie di viaggio e compagnie aeree;
– le dichiarazioni di un’importante agenzia di
produzione televisiva;
– le dichiarazioni rilasciate dal contribuente
all’atto della sottoscrizione di un abbonamento
telefonico;
– le dichiarazioni di coloro che hanno effettuato
i trasporti da Fiumicino a Manchester e viceversa;
– le dichiarazioni di amici residenti a Latina;
– il conferimento di premi nella città di Latina.
Tutti gli elementi sopra citati riguardano interessi nel territorio dello Stato, sia personali che
economici; elementi entrambi caratterizzanti il
concetto di domicilio ai sensi dell’art. 43 c.c. e
secondo la giurisprudenza tributaria.
La dizione «affari ed interessi» di cui al citato
art. 43, secondo l’Amministrazione finanziaria
(16), «deve intendersi in senso ampio, comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale
ed economica ma anche morali, sociali e familiari» (17); dunque, sempre secondo l’Amministrazione finanziaria (18), «da ciò discende che
deve considerarsi fiscalmente residente in Italia
un soggetto che, pur avendo trasferito la propria
residenza all’estero e svolgendo la propria attività fuori dal territorio nazionale, mantenga, nel
senso sopra illustrato, il “centro” dei propri interessi familiari e sociali in Italia».
La valutazione globale di tutti gli elementi sopra
indicati ha convinto i giudici a ritenere «accertata l’effettiva residenza del ricorrente nel territorio dello Stato italiano, e specificamente in Latina, risultando, pertanto, il trasferimento della residenza in Manchester (U.K.) del ricorrente meramente formale».
I giudici hanno aderito al prevalente orientamento di prassi ministeriale secondo cui deve ritenersi «unica» la sede principale degli affari ed
interessi, riconoscendo un ruolo predominante
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Rivista di giurisprudenza tributaria
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agli interessi di tipo familiare (19). Tale orientamento è anche quello della giurisprudenza e, in
particolare, della Corte di giustizia europea (20).
Va peraltro rimarcato che definire fittizio il trasferimento a Manchester non vuol dire - e del
resto nessun potere avevano i giudici per farlo disconoscere lo status di residente non domiciliato in Gran Bretagna.
Il ricorrente, dunque, pur restando, secondo il
Fisco inglese, un ivi residente (anche se non domiciliato), viene considerato fiscalmente residente anche in Italia.
Le conseguenze del disconoscimento
del trasferimento di residenza fiscale
Come detto, nell’ipotesi di residenti non domiciliati in U.K. essi sarebbero tassati solo per i redditi percepiti in tale Stato.
Tali soggetti possono, infatti, optare per il regiNote:
(segue nota 15)
na cfr. C. Garbarino, Manuale di tassazione internazionale, Milano,
2008, pag. 262 e M. Calcagno, «Il requisito formale dell’iscrizione
anagrafica consente di configurare la residenza in Italia», in questa Rivista n. 7/1998, pag. 628 (commento a Cass. 6 febbraio 1998,
n. 1215, anche in Banca Dati BIG Suite, IPSOA). In senso contrario
S. Capolupo, Manuale dell’accertamento delle imposte, Padova,
2009, pag. 159.
(16) C.M. n. 304 del 1997, cit.
(17) Cass., 26 ottobre 1968, n. 3586; Id., 12 febbraio 1973, n. 435.
(18) C.M. n. 304 del 1997, cit. Tale interpretazione del resto non
è nuova per l’Amministrazione la quale già in passato aveva sostenuto che «nel caso di un soggetto iscritto all’AIRE ed esercente attività di lavoro autonomo all’estero» la residenza fiscale in
Italia si concretizza qualora «la famiglia dell’interessato abbia
mantenuto la dimora in Italia durante l’attività lavorativa all’estero» o, comunque, nel caso in cui «emergano atti o fatti tali da indurre a ritenere che il soggetto interessato ha quivi mantenuto il
centro dei suoi affari ed interessi» (R.M. 14 ottobre 1988, n.
8/1329, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA).
(19) Vedasi la R.M. n. 17/E del 1999, in Banca Dati BIG Suite,
IPSOA, e la C.M. n. 304/E del 1997, cit., in cui l’Amministrazione
finanziaria ha affermato che la residenza fiscale di un soggetto
iscritto all’AIRE e che svolge attività lavorativa all’estero, è localizzata in Italia qualora «la famiglia dell’interessato abbia mantenuto la dimora in Italia durante l’attività lavorativa all’estero, o,
comunque, nel caso in cui emergano atti o fatti tali da indurre a
ritenere cha il soggetto interessato abbia quivi mantenuto il centro dei suoi affari ed interessi».
(20) Corte di giustizia CE,12 luglio 2001, causa C-262/99, «Louloudakis». Nella medesima direzione la sentenza della Corte di
giustizia UE, 7 giugno 2007, relativa alla causa C-156/04, in cui si
riconosceva la preminenza dei legami personali su quelli professionali.
Giurisprudenza
me della source based taxation che comporta la
non imponibilità nel Regno Unito dei redditi
prodotti al di fuori di tale Stato.
Secondo il contribuente, inoltre, in quanto non
fiscalmente residente nello Stato, egli avrebbe
dovuto dichiarare, in Italia, solo i redditi qui
percepiti e l’Ufficio competente per il controllo
della propria posizione fiscale avrebbe dovuto
essere individuato in quello di Roma.
In tale città, infatti, ha sede legale la SIAE la
quale è il soggetto che ha distribuito le royalties
negli anni oggetto di accertamento costituenti la
maggior parte del reddito prodotto.
Merito
Il ricorrente contestava dunque la competenza
territoriale dell’Ufficio di Latina che aveva proceduto all’accertamento.
Anche questa eccezione non ha trovato accoglimento proprio quale conseguenza dell’appurata
fittizietà del trasferimento all’estero dell’artista
e a seguito della ribadita residenza dello stesso
in Italia e nella specie a Latina.
I giudici hanno infine accertato che la tassazione
in Italia non comporta doppia imposizione poiché il ricorrente, essendo un residente non domiciliato, aveva dichiarato nel Regno Unito solo i
redditi ivi percepiti.
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