Dialoghi02-14-1-71_Dialoghi4/04p1-77 27/06/14 15.34 Pagina 6 PrimoPiano La scuola rappresenta uno dei luoghi principali in cui si diventa uomini, anzi è la prima comunità in cui si apprende l’arte dell’amicizia civile, in una comunità di relazioni e di testimonianza. Con lo straordinario successo dell’evento del 10 maggio scorso la Chiesa è riuscita a guardare la realtà della scuola, a intercettare il senso di fatica che testimonia e l’importanza che riveste per la gente, per le famiglie, per i giovani. non lasciamoci rubare l’amore per la scuola di roberto Presilla 6 I l 10 maggio scorso papa Francesco ha incontrato il mondo della scuola italiana in una festa per molti versi eccezionale. È stata forse la più grande manifestazione di sempre del mondo della scuola, se si guarda ai numeri; il fatto è tanto più rilevante, in quanto la Chiesa in Italia aveva invitato a partecipare a una festa, a un incontro tra il Papa e tutti coloro che sono nella scuola: insegnanti, personale non docente, studenti, genitori. Non è stato, insomma, un convegno di studi e nemmeno una manifestazione di protesta: è stato un incontro gioioso, che ha coronato un lungo cammino di preparazione. La scelta educativa Per inquadrare questo appuntamento dobbiamo ripercorrere il cammino che la Chiesa in Italia ha compiuto in questi anni. Gli orientamenti pastorali del decennio – Educare alla vita buona del Vangelo – hanno portato a un approfondimento della scelta culturale che aveva segnato il decennio precedente. La comunicazione del Vangelo «in un mondo che cambia» legRoberto Presilla geva la scelta dell’evangelizzazione – compiuta è aiutante di studio presso l’ufficio nazionale dalla Cei sin dal primo Convegno ecclesiale per l’Educazione, la scuola e l’università della nazionale di Roma 1976 (Evangelizzazione e Conferenza episcopale italiana (Cei), ed è promozione umana) – alla luce del mandato docente di Filosofia contemporanea alla espresso da san Giovanni Paolo II nella Novo Pontificia università Gregoriana di roma. millennio ineunte. Una Chiesa missionaria nel dialoghi n. 2 giugno 2014 nuovo millennio doveva preoccuparsi anzitutto della cultura, di quello che Taylor chiamerebbe la mentalità (mentality) diffusa. In questa prospettiva, il IV Convegno ecclesiale di Verona nel 2006 proponeva un approccio che mettesse al centro la persona umana e la «questione antropologica»: con la scelta dei cinque ambiti (vita affettiva, lavoro e festa, fragilità, tradizione, cittadinanza) diventava possibile una revisione della pastorale in senso antropologico: l’annuncio evangelico si rivolge all’uomo e pertanto l’azione pastorale della Chiesa deve avere l’uomo come criterio fondamentale. È proprio quest’attenzione all’uomo a spiegare la scelta educativa di questo decennio. Se è vero che, come scrisse Tertulliano, «cristiani si diventa, non si nasce» (cfr. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 26), l’educazione indica una pista concreta per evangelizzare l’uomo e la cultura. La sfida educativa, come recitava il titolo del primo rapporto-proposta del Comitato per il progetto culturale (Laterza, Roma-Bari 2009), è lo snodo attraverso il quale mettere in pratica le intuizioni e i principi individuati nei decenni precedenti. Il passaggio verso l’educazione indica la necessità di prestare attenzione non solo alla riflessione teorica, ma anche e soprattutto ai modi con cui rendere operative le opzioni fondamentali già individuate, individuando modi in cui determinate scelte possono diventare efficaci attraverso i cammini personali di vita. La Chiesa in Italia risponde così a un problema-chiave del nostro tempo: gli incontri tra culture e popoli diversi e la complessità crescente del nostro mondo spingono molti a chiusure fondamentalistiche o populistiche. Mettere al centro l’educazione significa invece rendersi conto che la miglior risorsa per capire il reale non è la somministrazione di schemi preconfezionati: occorre invece aiutare tutti, in particolare i giovani, a costruirsi da sé una visione critica e a vivere una vita buona sulla base di scelte fatte personalmente. La speranza anima dell’educazione Al centro di questa prospettiva sta un’antitesi che rappresenta un vero e proprio fil rouge dal Concilio Vaticano II in poi e che oppone la speranza, virtù teologale, alla paura, segno biblico del peccato. Tra i molti testi che potrebbero essere citati, alcuni sono particolarmente suggestivi, a cominciare dal celebre discorso di san Giovanni XXIII per l’apertura del Concilio: «Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere dialoghi n. 2 giugno 2014 roBErTo PrESiLLa Dialoghi02-14-1-71_Dialoghi4/04p1-77 27/06/14 15.34 Pagina 7 7 Dialoghi02-14-1-71_Dialoghi4/04p1-77 27/06/14 15.34 Pagina 8 non LaSCiamoCi ruBarE L’amorE PEr La SCuoLa PrimoPiano 8 altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori… A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura… Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza» (Discorso per la solenne apertura del Concilio ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962, n. 4). San Giovanni XXIII richiama il valore della speranza contro la tentazione ricorrente di ripiegarsi su se stessi o di chiudersi nella nostalgia di un passato mitizzato. Lo stesso sguardo è presente nelle espressioni dei suoi successori, specialmente all’inizio del loro pontificato (dal «non abbiate paura» di san Giovanni Paolo II al «non siamo soli» di Benedetto XVI, fino a papa Francesco e al suo «abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza»). Benedetto XVI ha poi legato la speranza all’educazione: nella Lettera alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione (21 gennaio 2008) scrive che «anima dell’educazione, come dell’intera vita, può essere solo una speranza affidabile» e aggiunge che «l’accoglienza della proposta cristiana passa, infatti, attraverso relazioni di vicinanza, lealtà e fiducia». È chiara l’eco di Paolo VI, che nella sua prima enciclica scriveva: «Bisogna farsi fratelli degli uomini nell’atto stesso che vogliamo essere loro pastori e padri e maestri» (Ecclesiam suam, 90). Questo affresco rapidamente tratteggiato è lo sfondo su cui leggere il laboratorio nazionale La Chiesa per la scuola (Roma, 3-4 maggio 2013): l’interesse per tutta la scuola è volto a superare chiusure e diffidenze di sapore ideologico, giustificate secondo alcuni dalla scarsità di risorse. Le contrapposizioni tra scuole statali e paritarie, tra scuola e università, tra Stato ed enti locali sono esse stesse un sintomo della difficoltà a mettere a fuoco la questione educativa in quanto tale e il ruolo della scuola in questo ambito. Contro questo atteggiamento la Chiesa richiama alla necessità di un «investimento di carattere culturale e morale, ma anche di carattere materiale ed economico» (O. Grassi, in Segreteria Generale della Cei, a cura di, La Chiesa per la scuola, EDB, Bologna 2013, p. 51) e soprattutto al fatto che «la scuola fa parte – una parte decisamente essenziale – del bene comune» (mons. G. Ambrosio, in La Chiesa per la scuola, cit., p. 53). «Per educare un figlio ci vuole un villaggio» Dal laboratorio nazionale è partito un percorso che ha coinvolto dialoghi n. 2 giugno 2014 le diocesi, le associazioni, le parrocchie e le scuole, costruito attorno a otto parole-chiave (educazione, insegnanti, Europa, umanesimo, generazioni e futuro, autonomia e sussidiarietà, comunità, alleanza educativa). È questa mobilitazione diffusa a spiegare, in ultima analisi, lo straordinario successo dell’evento del 10 maggio: la Chiesa è riuscita a guardare la realtà della scuola, a intercettare il senso di fatica che testimonia, però, l’importanza che la scuola riveste per la gente, per le famiglie, per i giovani. Durante l’incontro papa Francesco ha richiamato quattro ragioni del suo amore per la scuola: perché la sua maestra gli «ha insegnato ad amarla», «perché è sinonimo di apertura alla realtà», perché «è un luogo di incontro», «perché ci educa al vero, al bene e al bello» (Discorso al mondo della scuola italiana, 10 maggio 2014). Il rapporto con l’insegnante, che deve amare la scuola e deve rimanere per primo aperto alla realtà; l’incontro tra persone diverse: insegnanti, genitori, studenti, presidi ecc.; i contenuti, che non sono mai neutri ma sono o positivi o negativi. Come dice il proverbio africano, «per educare un figlio ci vuole un villaggio»: così papa Francesco ha sottolineato il rapporto tra scuola e famiglia, un rapporto centrale per tutte le scuole. Autorevoli studi sottolineano come le scuole di maggior successo sono quelle che riescono a coinvolgere i genitori nel cammino educativo dei figli. In modo analogo, è dimostrato che i figli seguiti dai genitori hanno un maggior successo a scuola: il villaggio, sede della scuola e comunità di famiglie, deve essere coinvolto in toto nell’impresa di educare i “figli”. In questo modo si sottolinea la generatività dell’educare (cfr. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 27): il villaggio come comunità di famiglie – la polis – diventa lo sfondo della scuola, proprio perché la scuola è parte del bene comune. La presenza della sen. Stefania Giannini, ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, ha confermato il senso anche “politico” dell’evento: la Chiesa si interessa della scuola e invita tutti a farlo. L’attenzione crescente per la scuola è un primo risultato, a un tempo civile ed ecclesiale, di questo percorso. La lingua della mente, la lingua del cuore e la lingua delle mani Nelle battute conclusive, papa Francesco ha augurato a tutti «una bella strada nella scuola, una strada che faccia crescere le tre lingue, che una persona matura deve sapere parlare: la lingua della mente, la lingua del cuore e la lingua delle mani». Questa attenzione alle tre dimensioni con cui si comunica sugdialoghi n. 2 giugno 2014 roBErTo PrESiLLa Dialoghi02-14-1-71_Dialoghi4/04p1-77 27/06/14 15.34 Pagina 9 9 Dialoghi02-14-1-71_Dialoghi4/04p1-77 27/06/14 15.34 Pagina 10 non LaSCiamoCi ruBarE L’amorE PEr La SCuoLa PrimoPiano 10 gerisce un cammino ulteriore, che ha come tappa immediata il prossimo Convegno ecclesiale nazionale di Firenze 2015. Il tema del convegno – In Gesù Cristo il nuovo umanesimo – ci invita a elaborare criticamente le complesse vicende, a volte mirabili a volte nefaste, che hanno interessato l’umano negli ultimi secoli. Costruire un nuovo umanesimo in Cristo implica appunto una crescita nelle tre lingue in cui la scuola e la formazione professionale – da ricordare qui in modo non retorico – possono formare le nuove generazioni. Occorre costruire insomma una visione armoniosa, che apra alla realtà della persona e del corpo, oltre le ideologie – come quella del gender – che tendono a colonizzarli, a bloccarli entro schemi ideali. La scuola rappresenta uno dei luoghi principali in cui si diventa uomini, anzi è la prima comunità in cui si apprende l’arte dell’amicizia civile, in una comunità di relazioni e di testimonianza. Non sfuggirà al lettore una certa assonanza con un linguaggio usato a volte per descrivere la comunità ecclesiale, assonanza che suggerisce una vicinanza maggiore di quella che a volte siamo disposti a scorgere. Proprio per questo sembra opportuno chiudere con le stesse parole usate da papa Francesco: «Non lasciamoci rubare l’amore per la scuola!». dialoghi n. 2 giugno 2014