Rassegna
Vol. 96, N. 1, Gennaio 2005
Il nodulo tiroideo.
Definizione citomorfofunzionale e orientamenti terapeutici
Mario Andreoli1, Salvatore Sciacchitano2
Riassunto. Sulla base di preliminari considerazioni anatomofunzionali e fisiopatologiche, e
sulla scorta della analisi statistica di oltre 16.000 lesioni nodulari tiroidee sequenzialmente
esaminate e citologicamente definite, è illustrato il ruolo delle varie metodologie diagnostiche, di ordine strumentale, biochimico, immunobiologico, nella caratterizzazione morfostrutturale della neoformazione nodulare, delineandone gli orientamenti terapeutici. Le risolutive nitide immagini, fornite dai sistemi di visualizzazione, devono essere correttamente
interpretate, ancorandole sia a razionali criteri clinici, sia a circostanziati rilievi anamnestici, obiettivi, laboratoristici, strumentali, citomorfologici, immunoistochimici e biomolecolari.
La selezione chirurgica deve essere prioritariamente impostata sul reperto citologico preoperatorio (aspirazione con ago sottile = FNA) che consente di riconoscere con assoluta certezza
la lesione tumorale, evitando interventi esplorativi non necessari; l’esame istologico estemporaneo, che spesso imponeva l’intervento in due tempi, è oggi obsoleto. Con la FNA ecoassistita si seleziona, inoltre, una coorte eterogenea di lesioni definite con la terminologia neutra, non diagnostica, di “proliferazione follicolare”, da considerare ad elevato rischio di malignità; tali lesioni, citologicamente indeterminate, possono essere definite con l’impiego di
marker immunocitochimici, specifici per le lesioni neoplastiche. L’assetto molecolare del nodulo può essere definito su singoli tireociti isolati mediante la sofisticata tecnica della dissezione cellulare al laser, sia da preparati istologici, sia da vetrini citologici.
Parole chiave. Analisi genetico-molecolari, carcinoma tiroideo, citologia agoaspirativa,
diagnostica molecolare, esplorazione asse ipotalamo-ipofisario, immagine ecografica,
incidentaloma, mappa scintigrafica, microcarcinoma, micronodulo.
Summary. The thyroid nodule: cytomorphofunctional profile-therapeutic approach.
Analyzing a cohort of 16.400 thyroid nodules, sequentially examined since 1982, the value of preoperative echo-guided fine needle aspiration cytology (FNA) in discriminating benign
lesion from malignant ones, has been assessed. Ultrasonography provides a useful support not
only to guide the diagnostic FNA methodology, but also monitoring therapeutic procedure:
evacuation of cyst, alcholic sclerotization, laser therapy, effects of treatment on the size of the
nodular structure. The correct interpretation of the imaging pictures should be rationally anchored to both clinical criteria and to circumstantial anamnestic analysis, as well as to physical examination, laboratory tests, instrumental systems, cytomorfological patterns, immunohystological and biomolecular studies. The FNA sampling under ultrasonography guidance offers an absolute diagnostic reliability, and it can be confidently applied for planning
surgical strategy. By adopting this safe, non invasive, accurate diagnostic tool, that offers the
advantage of eliminating unnecessary operation for benign lesions, the number of operation
is strikingly reduced, while it allows to identify an higher surgical frequency of malignancy,
yielding a prevalence of about 3% of thyroid nodules. FNA is a very profitable cost-effective
diagnostic tool, reducing 20% the cost of care, for the evaluation and treatment of patient with
thyroid nodule. Preliminary results on the molecular pattern of thyroid nodules, obtained applying a new methodological system, the Laser Capture Microdissection, are underlined; in
the next issue of this journal it will be analytically illustrated the diagnostic role of this innovative procedure that appears very promising in obtaining information on the molecular derangements of a single thyroid cell, even at a precancerous stage; thus a preventive surgical
treatment of a thyroid nodule genetically characterized can be predicted.
Key words. Fine needle aspiration, genetic-molecular analysis, hypotalamic-hypophis axis
evaluation, imaging diagnostic, incidentaloma, microcarcinoma, micronodule, molecular diagnostic, thyroid carcinoma, ultrasound scanning.
1Professore Emerito di Endocrinologia, II Facoltà di Medicina; 2Ricercatore di Endocrinologia, Centro Ricerche
Ospedale San Pietro-Fatebenefratelli, AFaR, II Facoltà di Medicina, Università degli Studi La Sapienza, Roma.
Pervenuto il 28 novembre 2004.
M. Andreoli, S. Sciacchitano: Il nodulo tiroideo. Definizione citomorfofunzionale e orientamenti terapeutici
Premesse anatomo-funzionali
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ne di 20-40 follicoli, ciascuna delle quali è dotata di
un proprio sistema irrorativo artero-venoso; va
sottolineato che le particolari strutture lobulari sono separate da tralci connettivali, derivanti dalla
capsula, che delimitano irregolarmente il tessuto
tiroideo, suddiviso in compartimenti settorialmente diversificati, in termini morfologici, vascolari e
funzionali, nelle diverse aree della ghiandola. E
tale difformità distrettuale della tiroide, evidenziabile sia a livello micro che macroscopico, riflette anche la diversa potenzialità, accrescitiva e replicativa, dei singoli tireociti che costituiscono la
lamina epiteliale delle varie unità follicolari. le formazioni acinari, di variabile struttura e dimensione, sono infatti dotate di diversa attività iodoconcentrante, che implica anche una difforme efficienza ormonosintetica ed ormonosecretiva. In
sintesi, il tessuto tiroideo è caratterizzato da una
diffusa eterogeneità, a distribuzione interepiteliale, intrafollicolare e interfollicolare, che si riflette
in una variegata strutturazione morfofunzionale
anche a livello intralobulare ed interlobulare. Tale eterogeneità è essenzialmente da attribuire alla
presenza di tireociti dotati di diversificate proprietà proliferative e funzionali, così come comprovato
da quadri istologici ed autoradiografici dimostranti, nella tiroide normale, il costituirsi di unità acinari e lobulari a variabile dimensione e strutturazione, con diversificata attività funzionale, comprovata anche dal rilievo di distretti a diversa
attività iodioconcentrante 3 (figura 1).
Al fine di poter correttamente interpretare il rilievo clinico di variazioni volumetriche, distrettuali
o diffuse, della tiroide, è necessario tener presente
che gli effetti periferici dell’ ormone tiroideo sono relativamente lenti nella estrinsecazione funzionale,
innescata dalla interazione della molecola iodiotironinica con la struttura recettoriale dell’organo bersaglio; inoltre l’effetto soppressivo della secrezione
tireotropinica ipofisaria, ad opera dell’ormone iodato, somministrato in larghe quantità, è piuttosto
prolungato. Per converso, a livello ghiandolare, si
osservano rapide variazioni della attività iodioconcentrante e del metabolismo intraghiandolare dello
iodio, nonché del processo endocitotico che presiede
alla dismissione nel torrente circolatorio dell’ormone, depositato nella cavità follicolare.
Inoltre, accanto al verificarsi dei rapidi eventi
intraghiandolari della attività ormonosintetica ed
ormonosecretiva e conseguenti modificazioni morfostrutturali dell’epitelio follicolare, la vasta rete
vascolare tiroidea, le cui estese arborizzazioni costituiscono un ricco plesso di anastomosi arterovenose intraparenchimali, può andare incontro a modificazioni del tono vasomotorio; infatti il variare
degli stimoli del sistema beta adrenergico intratiroideo comporta l’attivarsi dei cuscinetti contrattili endoteliali. Si modifica così la variegata distribuzione volumetrica dell’ampio letto vascolare che
altera il flusso ematico; questo, in condizioni fisiologiche, ammonta a 3-7 ml/g di tessuto/minuto, pari a 2,7-6,3 l/ h 1.
Tali succinte nozioni
anatomo-funzionali vogliono evidenziare le peculiari connotazioni che
conferiscono al tessuto tiroideo una fisiologica disomogeneità morfofunzionale; la ghiandola dispone
infatti di meccanismi che
consentono di adattare
plasticamente la sua efficienza ormonosintetica ed
ormonosecretiva, al fine
di bilanciare le reazioni
imposte dall’intervento di
molteplici fattori, endogeni ed esogeni, che interferiscono con il ricambio intra ed extratiroideo dello
iodio, e/o della sintesi e
del metabolismo della molecola ormonale.
La eterogeneità,volumetrica e strutturale, delle unità follicolari (circa 3
Figura 1. Disomogeneità morfofunzionale del tessuto tiroideo. La fisiologica eterogeneità anamilioni), che formano la
tomofunzionale della normale tiroide è caratterizzata dalla variabilità volumetrica e struttunormale tiroide di un sograle delle unità acinari; nella iperplasia gozzigena è da rilevare una spiccata accentuazione
getto adulto, si riflette andi tale difformità, osservandosi l’embricarsi di follicoli di diverse dimensioni, e con variabile
contenuto colloideo. A tale diversificazione anatomica corrisponde una diffusa variabilità ioche nella variabilità delle
dioconcentrante, amplificata dalla iperstimolazione tireotropinica innescata da molteplici fat“unità lobulari”, descritte
tori endogeni ed esogeni, fisiologici, dietetici, ambientali, farmacologici (da: Studer H, et al.
2
da King sin dal 1836 , riEndocrin Rev 1989; 10: 125).
sultanti dalla aggregazio-
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Recenti Progressi in Medicina, 96, 1, 2005
Alla difformità, strutturale, volumetrica e morfofunzionale, delle varie aree del parenchima tiroideo, corrisponde anche una eterogeneità molecolare, risultando le molecole tireoglobuliniche, il
substrato proteico della tiroxinogenesi, a diverso
livello di iodurazione ed a diversificato pattern di
glicosilazione. La entità della glicosilazione delle
molecole tireoglobuliniche, depositate nel lume follicolare, è coinvolta nel determinare, oltre che la
diversa efficienza ormonogenetica e la variabile
degradazione proteica, anche la acquisizione delle
diverse proprietà immunogeniche.4
Va evidenziato che la composita strutturazione
della ghiandola tiroidea è sostenuta, inoltre, dalla
diversificata policlonalità tireocitica fetale, che costituisce il substrato genetico specifico di ogni singola cellula matura dell’epitelio follicolare. Tale specificità genetica, implicata nel determinismo della
attività proliferativa e ormonogenetica dei singoli
tireociti, può essere regolata da vari fattori esogeni,
quali iodio, radiazioni ionizzanti, sostanze gozzigene, farmaci, oppure endogeni, quali immunoglobuline tireostimolanti, e TSH; l’intervento di tali fattori può esasperare la fisiologica eterogeneità morfofunzionale della ghiandola, amplificandone la
diffusa disomogeneità. Peraltro il protrarsi della
esposizione a tali fattori, endogeni od esogeni, può
determinare la selezione di cloni cellulari che possono esprimersi clinicamente con il prodursi di nodularità dominanti, dotate di attività, proliferativa
e/o ormonosintetica, autonoma, per lo più associata
a variabilità distrettuale della vascolarizzazione 5.
Le sopra descritte sinottiche annotazioni, anatomofunzionali e fisiopatologiche, devono costituire il
basilare patrimonio informativo necessario per ispirare la ponderata e razionale interpretazione clinica
di alcuni reperti, registrabili con le attuali sofisticate metodologie di visualizzazione, dotate di elevato
potere risolutivo; si deve in via preliminare ipotizzare che le nitide immagini prodotte dalle moderne,
raffinate apparecchiature possono riflettere fisiologiche variazioni distrettuali del parenchima tiroideo, incessantemente impegnato in plastiche reazioni adattative all’intervento di fattori molteplici, endogeni ed esogeni: tali fattori ambientali, dietetici,
fisiologici, farmacologici, possono interferire con la
omeostasi tiroidea, modificando, direttamente od indirettamente, la efficienza della “pompa” tiroidea
dello iodio e del complesso ingranaggio dell’apparato ormonosintetico ed ormonosecretivo, con le conseguenti modificazioni morfostrutturali e volumetriche delle unità acinari, nonché della variabile vascolarità distrettuale; si accentua così l’aspetto
spugnoso del parenchima tiroideo, caratterizzato da
alveoli volumetricamente e strutturalmente diversificati, e da unità lobulari variabilmente strutturate
(vedi figura 1 a pagina precedente).
Definizione
Con il termine “ nodulo “ ci si deve riferire ad un
entità anatomo-clinica, non ad una immagine ecografica, talvolta impropriamente definita struttura pseudonodulare o anche“nodulo follicolare”, di
solito di dimensioni superiori al cm, usualmente rilevabile alla palpazione, essendo costituito da un
accrescimento tridimensionale, il più spesso asintomatico. Sovente in apparenza “solitario” è, in genere, “prominente”, cioè iscritto in un parenchima
iperplastico, riflettendo il variare topograficamente diversificato della densità del tessuto tiroideo
impegnato in reazioni adattative a stimoli diversi
che comportano l’accentuarsi della fisiologica disomogeneità ghiandolare. Tali fattori possono interferire con la economia tiroidea, a livello della
ghiandola, o in corrispondenza dei meccanismi di
regolazione centrale ipotalamo-ipofisaria, o del
metabolismo periferico della molecola ormonale e
delle strutture recettoriali preposte alla transduzione del segnale ormonale negli organi bersaglio.
La definizione proposta, apparentemente restrittiva, vuole invece designare molteplici condizioni assai diversificate sul piano semeiologico, a livello etiologico, nonché in termini morfostrutturali e funzionali, così come in relazione al substrato
fisiopatologico e biomolecolare, variabile ma caratterizzate da un unico denominatore semeiologico:
l’aumento volumetrico zonale del parenchima
ghiandolare, sostenuto da reazioni compensatorie
innescate da fattori molteplici, che interferiscono a
vari livelli con la omeostasi tiroidea, o con il potenziale replicativo dei singoli tireociti 1,5. (tabella 1)
Tabella 1. - Nodulo tiroideo: definizione-epidemiologia.
Definizione
Entità anatomoclinica costituita
da accrescimento volumetrico
circoscritto (> 1 cm), raramente
“solitaria”; il più spesso asintomatica, iscritta in tessuto diffusamente iperplastico; struttura
tridimensionale, di solito palpatoriamente apprezzabile
Benigno
4-10% della popolazione adulta
F/M = 4,3/1
Carcinoma tiroideo
2-3% dei noduli tiroidei
F/M = 1,8/1
0,5-1% di tutti i carcinomi
40 casi/milione/anno
Epidemiologia
Dalla valutazione analitica dei rilievi epidemiologici depositati nella letteratura si evince che il riscontro di una intumescenza nodulare della tiroide
è una evenienza frequente, rilevabile all’esame clinico ispettivo, e/o palpatorio. Peraltro l’esame palpatorio può non consentire il rilievo di formazioni
nodulari di dimensione inferiori al centimetro; pertanto, a nostro avviso, l’esame clinico deve essere sistematicamente integrato dalle indagini di visualizzazione con le quali possono essere identificate
alterazioni subcentimetriche. Lo studio ecografico
infatti può registrare variazioni densitometriche distrettuali che sfuggono alle palpazione.
M. Andreoli, S. Sciacchitano: Il nodulo tiroideo. Definizione citomorfofunzionale e orientamenti terapeutici
Tali reperti, impropriamente denominati “incidentalomi”, non sono da considerare potenziali microcarcinomi, o carcinomi “occulti”, ma possono
esprimere fisiologiche disomogeneità del tessuto.
Il mirato prelievo citologico, ecoassistito, potrà dirimere ogni sospetto; peraltro si può pervenire alla identificazione del substrato alterativo mediante la caratterizzazione funzionale, basale e dinamica, la precisazione dell’assetto morfofunzionale
del tessuto 1,6, anche in relazione a tali alterazioni
subcentimetriche circoscritte da non considerare
potenzialmente maligne 7.
Le casistiche più accreditate indicano che, nella
preselezione semeiologica generale, il reperto di una
nodularità, singola o prominente, è accertabile nel
6,4% dei soggetti di sesso femminile, rispetto
all’1,6% documentabile nel sesso maschile. D’altronde la iperplasia tiroidea di modesta entità (evidenziabile al reperto palpatorio, ma ispettivamente non
osservabile), si rileva nell’8,6% della popolazione generale, mentre la nodularità gozzigena clinicamente evidente (palpabile e visibile), è presente nel 6,9%
della popolazione esaminata. Tuttavia sono univoche le rilevazioni statistico-epidemiologiche comprovanti che la patologia nodulare della tiroide privilegia nettamente il sesso femminile (essendo stato rilevato un rapporto F/M = 4,5/1) 1,7. Peraltro la
frequenza della tireopatia nodulare potrebbe risultare assai più elevata; infatti, da sistematiche indagini autoptiche emerge che la presenza di nodularità tiroidee, singole o multiple, è registrabile fino al
50% dei soggetti esaminati, osservandosi, nella
maggior parte dei casi, nodularità di dimensioni
pressocché subcentimetriche. E tali rilievi sulla frequenza della nodularità tiroidea sono confermati
dai recenti studi, condotti mediante la ecografia ad
elevata risoluzione, in soggetti di età superiore a 50
anni; pur tuttavia, in netto contrasto con l’elevata
prevalenza della nodularità tiroidea, la proliferazione neoplastica è piuttosto rara, rilevandosi la lesione carcinomatosa solo nel 2-3% delle lesioni nodulari 1,7,8. Del resto tale neoplasia, pur costituendo
la più frequente delle neoplasie endocrine, rappresenta lo 0,5-1,0% di tutti i carcinomi umani. È da
sottolineare che, contrariamente agli altri carcinomi del sistema endocrino, la neoplasia tiroidea non
si manifesta con alterazioni funzionali, essendo per
lo più asintomatica, osservandosi, spesso, quale reperto clinico occasionale o istologico post-operatorio, oppure quale riscontro autoptico, in pazienti deceduti per altra patologia non endocrina. La colonizzazione metastatica, per lo più laterocervicale,
può costituire l’esordio clinico della patologia nodulare tiroidea, sostenuta dalla proliferazione carcinomatosa. Va sottolineato che il carcinoma tiroideo
è scarsamente aggressivo (5 decessi/milione/anno),
con una sopravvivenza a 5 anni pari al 99% per la
variante papillifera, il più frequente istiotipo (75%)
(vedi tabella 1 a pagina precedente).
Il riconoscimento tempestivo del raro carcinoma
tiroideo, nel contesto della frequente nodularità tiroidea, uni o plurifocale, può talora costituire un
problema di rilevante impegno diagnostico, in assenza di specifiche connotazioni clinico-semeiologi-
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che, che consentano di identificare la lesione neoplastica. Obiettivo precipuo dell’iter diagnostico, da
privilegiare nella caratterizzazione morfostrutturale del nodulo, è quello di individuare la rara lesione
accrescitiva carcinomatosa, al fine di impostare gli
idonei tempestivi provvedimenti terapeutici demolitivi, evitando peraltro interventi esplorativi non
necessari, nella maggioranza dei casi, per il trattamento della patologia sicuramente benigna 1,6,9.
Nosografia
La lesione nodulare, il più spesso apparentemente distrettuale e circoscritta, è riconducibile a
momenti fisiopatologici diversificati la cui identificazione consente di classificare il variare zonale
del volume tiroideo, negli ambiti seguenti.
Processi alterativi (involutivi, degenerativi e riparativi), inquadrabili nelle varie fasi evolutive
della tireopatia gozzigena, il più spesso embricate:
iperplasia semplice; involuzione colloido-cistica e
necrotico-emorragica; fenomeni cicatriziali e riparativi; eventi fibrosclerotici e calcifici.
Evoluzione accrescitiva di cloni cellulari autonomi.
Quadri disgenetici o malformativi (cisti del tireoglosso, emangiomi, teratomi).
Iperplasia compensatoria post-terapia radiometabolica, o post tiroidectomia parziale.
Alterazioni proliferative benigne (adenoma).
Proliferazione carcinomatosa, che può costituire un reperto clinico occasionale, del tutto asintomatico.
Reazioni bioumorali correlabili con processi flogistici cronici.
Fenomeni riconducibili a reazioni correlate con
lo stato di autoimmunizzazione.
Reazioni adattative, e/o compensatorie, a fattori ambientali, dietetici e/o farmacologici, che possono interferire con la omeostasi tiroidea (estrogeni, litio, ecc.).
La preliminare identificazione dei momenti patogenetici consente, inoltre, la catalogazione nosografica della lesione nodulare in termini funzionali (calda), che si riflette in esaltata attività iodioconcentrante; tale funzione iodiocaptante, in altre
circostanze, può essere ridotta, o del tutto assente,
delineandosi così una circoscritta area ipocaptante (fredda); mentre, in base alle variazioni della
struttura densitometrica, ecograficamente definibile, la formazione nodulare può essere transonica
(cistica), o solida, a diversificata ecogenicità (ipoecogena, isoecogena, iperecogena).
Ma, oltre ad acquisire nozioni inerenti al riconoscimento dei fattori causali ed ai momenti patogenetici della formazione nodulare, la esplorazione
diagnostica deve essere incentrata sull’obiettivo
prioritario del riconoscimento della natura delle
lesioni nodulari, discriminando quelle sicuramente benigne (la maggioranza dei casi) per le quali
sussiste la indicazione per un indirizzo terapeutico di tipo conservativo, dalle nodularità sicuramente neoplastiche, che esigono un trattamento
demolitivo (tabella 2 alla pagina seguente).
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Recenti Progressi in Medicina, 96, 1, 2005
Tabella 2. - Nodulo tiroideo: substrato morfostrutturale.
– Alterazioni regressive: colloidocistiche e cistico-emorragiche, proprie della patologia gozzigena e delle lesioni neoformative benigne (adenoma) e maligne (carcinoma)
– Fenomeni riparativi-cicatriziali: esiti post-tiroiditici;
processi involutivi fibrosclerotici nel gozzo semplice, o
da processi autoimmunitari ad evoluzione fibro-sclerotica
– Proliferazione di cloni cellulari autonomi
– Processi flogistici: immunitari e non immunitari
(tiroiditi acute, croniche)
– Lesioni disgenetiche e malformative: emangiomi,
teratomi; cisti del tireoglosso
– Iperplasia compensatoria: in gozzo inveterato fibrosclerotico e calcifico; post-tiroidectomia, chirurgica o
radiometabolica
– Alterazioni proliferative ed infiltrative:
Benigne: adenoma
Maligne: carcinoma
linfoma
– Disseminazioni metastatiche da altri tumori
Nodulo cistico: aspetti fisiopatologici,
clinici e terapeutici
Nell’ambito della evoluzione di una lesione
nodulare tiroidea, sia benigna che tumorale, si
può registrare un evento colliquativo, e/o necrotico-emorragico, prodotto dall’esasperarsi dei
meccanismi causali delle lesioni proprie della patologia gozzigena, così come della lesione adenomatosa (nodulo autonomo), o della proliferazione
carcinomatosa. Per quest’ultima, ovviamente, è
imperativa la rimozione chirurgica, mentre per
le lesioni cistiche, proprie della patologia benigna, il ricorso alla agoaspirazione evacuativa, integrata dalla sclerotizzazione endocavitaria con
etanolo, può oggi essere attuato quale provvedimento conservativo che appare efficace ed incruento 10,11.
Nella nostra esperienza abbiamo adottato,
nelle lesioni cistiche sicuramente benigne, registrate nel contesto di strutture nodulari inquadrabili nell’ambito della evoluzione della iperplasia gozzigena, provvedimenti terapeutici diversificati: trattamento soppressivo con calibrata
posologia tiroxinica, evacuazione agoaspirativa e
sclerotizzazione mediante inoculazione endocavitaria di tetraciclina (più di recente, di etanolo) ad
integrazione della evacuazione agoaspirativa 12,13. Peraltro, il trattamento evacuativo della
cisti tiroidea benigna non costituisce un trattamento del tutto innovativo; infatti la prima evacuazione di una formazione cistica della tiroide
risale al 1544, quando nella famosa battaglia di
Cerisiera, un giovane nobile elvetico, portatore di
un voluminoso gozzo cistico, fu colpito da una tagliente lancia, confissa nella regione anterocervi-
cale; e tale evento evacuativo comportò la fortuita risoluzione della nodularità cistica. Inoltre, in
una breve nota, pubblicata su Lancet nel 1861, il
chirurgo Bryant del Guy Hospital riferisce che la
inoculazione di tintura di iodio in una cisti tiroidea, già drenata e rapidamente riformata, produceva la risoluzione della lesione. Trattavasi di
una voluminosa cisti del lobo destro della tiroide,
che datava da 6 anni, e che aumentava nel tempo, causando, nella paziente di 27 anni, fenomeni compressivi, soprattutto disfagia; è questa la
prima documentazione relativa alla efficacia della terapia sclerosante nel trattamento della lesione cistica tiroidea.
In un nostro studio, su un totale di 263 noduli
cistici della tiroide, funzionalmente e morfologicamente definiti mediante prove basali e dinamiche, è stata valutata la evoluzione di 60 lesioni cistiche trattate con dosi soppressive di tiroxina, alla posologia media di 2 mcg/kg/die; 88 cisti erano
evacuate mediante agoaspirazione, e 115 cisti sottoposte a terapia sclerosante, inoculando sotto
monitoraggio ecografico, soluzione di tetraciclina
al 10%, con un rapporto di 1 ml per ogni 10 ml di
liquido aspirato 12. La sclerotizzazione veniva eseguita anche in 29 cisti recidivate alla semplice
agoaspirazione evacuativa, la più parte delle quali era costituita da un quadro di evoluzione colliquativa in noduli autonomi singoli, innestati in
gozzo plurinodulare 13 (figura 2).
A
B
C
D
Figura 2. Ruolo terapeutico della citologia agoaspirativa. Risoluzione di nodulo emorragico mediante sclerotizzazione endocavitaria con tetraciclina: a) Pre-evacuazione cm 4; b) dopo 1
mese; c) dopo 2 mesi; d) dopo 6 mesi.
M. Andreoli, S. Sciacchitano: Il nodulo tiroideo. Definizione citomorfofunzionale e orientamenti terapeutici
L’esame citologico non dimostrava elementi di
malignità in nessuna delle formazioni cistiche oggetto di questo studio; nella analisi della casistica
trattata con la sclerotizzazione si è osservata la
parziale riduzione di volume nel 78% dei casi, conseguendosi nel 50% dei casi la risoluzione, pressocché totale e definitiva. La efficacia di tale trattamento sclerosante è apparsa correlata con le dimensioni iniziali della formazione cistica e con i
caratteri del liquido, rilevandosi una più significativa efficacia nelle cisti di volume inferiore ai 3,5
cm, e a contenuto liquido citrino. Inoltre l’efficacia
del trattamento è influenzato dall’atteggiamento
funzionale del nodulo, rilevandosi una minore efficacia nel nodulo autonomo colliquato rispetto alla
validità del trattamento sclerosante nelle lesioni
cistiche del gozzo normofunzionante 11,13.
In sintesi, la sclerotizzazione tetraciclinica, oggi
sostituita da quella con etanolo 14, della cisti tiroidea,
risulta più efficace rispetto alla semplice evacuazione, soprattutto nelle lesioni di diametro inferiore ai
5 cm, a contenuto liquido citrino, e nelle lesioni non
autonome. L’efficacia della scleroterapia è influenzata dal volume iniziale della lesione, osservandosi
una correlazione inversa tra diametro e risoluzione.
Tale trattamento conservativo non è causa di fenomeni collaterali significativi e pertanto può costituire un valido presidio terapeutico da attuare quale
opzione prioritaria nella terapia di tipo conservativo
della lesione cistica benigna 12,13. Va sottolineato che
l’atteggiamento funzionale del nodulo influenza la
efficacia del trattamento sclerosante; infatti la cisti
del nodulo autonomo recidiva più frequentemente
della raccolta liquida del nodulo colloidocistico del
gozzo semplice, sia dopo semplice evacuazione agoaspirativa, sia dopo sclerotizzazione 13,14.
Attuali algoritmi diagnostici
e protocolli terapeutici del nodulo tiroideo
• Il cardine diagnostico per la rara lesione carcinomatosa annidata nel nodulo tiroideo è incentrato su
la definizione delle connotazioni ecografiche, integrata dalla caratterizzazione citostrutturale del
tessuto prelevato mediante agoaspirazione (FNA)
ecoassistita.
• La FNA riconosce le specifiche alterazioni del processo neoplastico, differenziandole dalle lesioni benigne; seleziona inoltre una coorte di quadri non
diagnostici e catalogati in un gruppo eterogeneo,
definito “proliferazione follicolare”.
Nuove acquisizioni diagnostiche e terapeutiche
• Le attuali tecniche immunocitochimiche consentono di discriminare il substrato lesivo delle lesioni
maligne della “proliferazione follicolare “, differenziandolo da quello benigno, evitando così la non necessaria esplorazione chirurgica.
• La lesione cistica, necrotico-emorragica, del gozzo
nodulare o del nodulo autonomo, può essere trattata ambulatoriamente mediante la sclerotizzazione
endocavitaria.
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Nodulo autonomo
Con il termine di “nodulo autonomo” si designa
una alterazione distrettuale del tessuto tiroideo sostenuta dallo sviluppo di un clone cellulare le cui
connotazioni genetico-funzionali implicano la indipendenza dello stipite tireocitico, sia dai meccanismi di controllo tireotropinico che dai processi di regolazione paracrino ed autocrina; invece questi meccanismi intervengono nel modulare il trofismo e la
attività funzionale dei cloni cellulari tireocitici non
autonomi. Peraltro, alcuni rilievi dimostranti, con
metodo citofluorimetrico, un ridotto rapporto intratiroideo tra CD4 (helper/inducer) e CD8 (suppressor/cytotossic), indurrebbero a prospettare la possibilità che, quanto meno nell’evolvere della lesione
autonoma, considerata non immunogenica, possano
intervenire anche fenomeni autoimmuni.15 Nell’adenoma tossico è stata osservata la presenza di mutazioni del gene che codifica per la subunità di una
proteina stimolante la attività della adenilato-ciclasi, e quindi dell’AMP ciclico. Inoltre, nel nodulo autonomo sono state dimostrate mutazioni specifiche
del dominio della attività ATP-asica; tali rilievi consentono di interpretare il quadro iperfunzionale,
pur in assenza di stimolazione tireotropinica 16.
Allo stato attuale, gli studi più recenti sulla
eziopatogenesi della lesione nodulare autonoma
hanno consentito di acquisire significative informazioni per quanto attiene i meccanismi che modificano la espressione di proteine che normalmente
regolano i processi di trasduzione del segnale tireotropinico nella cellula tiroidea. È ben documentato che sia nel nodulo autonomo iperfunzionante
innestato in gozzo plurinodulare non tossico, sia
nel nodulo autonomo tossico, sono riscontrabili mutazioni, somatiche e germinali, a carico del gene
della proteina G-stimolatrice attivante l’adenilato
ciclasi, che determina aumento dell’AMP ciclico,
con il conseguente effetto stimolatorio della attività trofica e funzionale del tireocita 16. Non è da
escludere che la iodocarenza possa svolgere un ruolo permissivo nell’espressione di questi eventi, tenuto conto che il nodulo autonomo è di più frequente rilievo nelle aree di endemia gozzigena 11,13.
Il nodulo autonomo è di frequente riscontro
(11% delle tireopatie), privilegia il sesso femminile: F/M 5,3/1) nella età media (41 anni); si esprime
nella variante tossica solo nel 17% dei casi 13. Il
quadro tireotossico da nodulo autonomo (malattia
di Plummer) prevale nettamente in età avanzata,
soprattutto nell’uomo, e può essere causa di cardiopatia aritmizzante; aree colliquative più o meno estese sono rilevabili nell’8,5% delle lesioni autonome e l’evento colliquativo può coincidere con la
risoluzione del processo accrescitivo. L’agoaspirazione evacuativa può risolvere e la terapia sclerosante endocavitaria può conseguire la risoluzione della lesione emorragica nel 50% dei casi 13,14.
Il trattamento radiometabolico, efficace nella
più parte dei casi, può comportare il delinearsi, nel
4,5% dei pazienti, di uno stato ipotiroideo; il trattamento chirurgico, ancorché settoriale, implica la
sequela ipotiroidea, subclinica o conclamata, nel
16% dei casi 13.
38
Recenti Progressi in Medicina, 96, 1, 2005
In definitiva, l’intervento terapeutico deve essere diversificato, tenuto conto della plurifocalità
della lesione autonoma, la variabilità del quadro
clinico, la lentezza evolutiva, la possibile risoluzione colliquativa spontanea (anche in funzione dell’età) delle dimensioni della lesione nodulare: tutti fattori che non consentono una univoca strategia
terapeutica 11,13 (figura 13). La proposizione della
terapia necrotizzante, mediante alcolizzazione del
nodulo autonomo, si è rivelata non risolutiva e, comunque, non del tutto priva di rischi 17,18; pertanto tale procedura terapeutica per il nodulo solido è
da considerare obsoleta 1,10, mentre per le lesioni
cistiche, ancorché recidivanti, la sclerotizzazione
alcolica post-evacuativa può rappresentare un
trattamento efficace 11,13,19.
A
B
C
Figura 3. Evoluzione terapeutica del nodulo cistico. La lesione cistica, sostenuta da evento colliquativo necrotico-emorragico nel
contesto di nodularità parzialmente autonoma o da degenerazione colloidocistica della iperplasia gozzigena, può risolversi mediante
la evacuazione agoaspirativa (A), o mediante la sclerotizzazione intracavitaria (B), oppure con il trattamento tiroxinico a posologia
soppressiva (C).
M. Andreoli, S. Sciacchitano: Il nodulo tiroideo. Definizione citomorfofunzionale e orientamenti terapeutici
Micronoduli
Alterazioni microfocali tiroidee, clinicamente
non rilevabili, ma occasionalmente identificabili
con le sofisticate metodologie della diagnostica per
immagini, dotate di assai elevato potere risolutivo,
quali la ecografia, la ecocolordoppler, la TAC, la
RMN della regione cervicale, sono riscontrabili nel
50% della popolazione generale femminile adulta.
Solo una esigua percentuale di tali variazioni
strutturali subcentimetriche può annidare una lesione eteroplastica; a tali rilievi ecografici di alterazioni densitometriche tessutali plurifocali, di dimensioni esigue, ed il più spesso semeiologicamente non palpabili, è stata attribuita la dignità di
una entità sindromica aspecificamente definita
“malattia nodulare subclinica della tiroide”. Ma, a
nostro avviso, tale quadro clinico-semeiologico, il
più spesso, deve essere realisticamente interpretato quale iniziale espressione morfostrutturale
della patologia gozzigena. Peraltro, riteniamo che
questo preliminare orientamento diagnostico debba essere confortato da rilievi clinici-semeiologici e
morfostrutturali comprovanti l’atteggiamento
iperplasizzante di una tiroide esposta ad una alterata omeostasi del ricambio dello iodio e del suo
turnover intraghiandolare. Infatti, molteplici fattori: dietetici, fisiologici, farmacologici e ambientali, interferendo a livello tiroideo in corrispondenza delle strutture di controregolazione neuroendocrine ipotalamo-ipofisarie, oppure
interagendo con il metabolismo ormonale, o con le
strutture recettoriali preposte alla estrinsecazione
del segnale iodiotironinico, possono modificare l’equilibrio omeostatico tiroideo. Sono così innescate
reazioni adattative, trofiche e metaboliche, del tessuto ghiandolare dotato di complessi sistemi di autoregolazione funzionale e che intervengono nell’attivare eventi modulatori della efficienza ormonosintetica ed ormonosecretiva della ghiandola,
funzionalmente e troficamente governata da meccanismi tireotropino-dipendenti.
Il rilievo strumentale, più frequentemente sonografico, integrato dallo studio anatomo-funzionale
(basale e dinamico) ed immunopatologico, può rappresentare un fattore orientativo di base, finalizzato all’obiettivo mirato di poter disporre di elementi
idonei a sostanziare la corretta interpretazione del
reperto di variabile disomogeneità densitometrica
del tessuto tiroideo. Tali variazioni distrettuali, sia
pur raramente, possono annidare una lesione carcinomatosa di dimensioni esigue, la cui presenza, definita con la terminologia morfostrutturale di “carcinoma occulto” od anche microcarcinoma, può essere
riscontrata al reperto autoptico in pazienti deceduti
per patologia extratiroidea. Ma a tale rilievo ecostrutturale, non rilevabile clinicamente all’esame
palpatorio, eventualmente integrato da altri parametri morfofunzionali (quali la entità ed il tipo di vascolarizzazione intralesionale, la strutturazione tridimensionale, la ecogenecità) va attribuito un valore predittivo assai modesto, considerato la
irrilevanza della sensibilità di queste metodiche; a
tali indagini tutto al più può essere attribuito il valore di elemento semeiologico strumentale che esige
39
il ricorso ad ulteriori tappe del percorso diagnostico.
L’obiettivo precipuo dell’algoritmo diagnostico è
quello di poter interpretare in termini morfofunzionali le variazioni dei gradienti densitometrici, registrabili con lo studio ecografico della ghiandola. Peraltro le connotazioni ecografiche del tessuto tiroideo devono essere correttamente interpretate dai
rilievi inerenti la definizione di molteplici momenti
fisiopatologici coinvolti nelle reazioni adattative di
tipo morfofunzionali e del tessuto tiroideo, plasticamente impegnato nel garantire una equilibrata
omeostasi metabolica delle ubiquitarie strutture effettrici del segnale iodiotironinico.
Di recente, sono state proposte tecniche dispendiose e non risolutive, quali l’impiego di mezzi di
contrasto ecografici, così come è stata prospettato
l’impiego di microbolle di esasolfuro, dotate di involucro fosfolipidico. Ma, allo stato attuale, a queste metodologie va assegnato il valore di meritorio
approccio diagnostico innovativo, da considerare
quale espediente tecnologico ancora da sperimentare nelle loro selettive trasposizioni applicative:
quali potenziali mezzi diagnostici differenziativi.
Parimenti dovrà essere precisata l’utilità, nella
pratica clinica, di recenti metodologie quali la ricostruzione multiplanare della immagine ecografica
e la immagine armonica tessutale.
Microcarcinoma
Secondo la World Organization for Histological
Classification, il microcarcinoma papillifero
(mPTC) non deve superare le dimensioni di 10
mm. Tale entità anatomoclinica può costituire un
reperto occasionale, rilevabile in tiroidi chirurgicamente rimosse per patologie diverse (gozzo plurinodulare, malattia basedowiana). Tali tumori
microfocali di dimensioni subcentimetriche possono essere rilevati grazie all’elevato potere risolutivo della ecografia, costituendo il 30% dei Ca differenzianti; ricorrono con una analoga prevalenza
nei due sessi, riscontrandosi raramente in età infantile, mentre nella popolazione adulta la frequenza è simile in tutte le fasce di età; la prognosi è usualmente assai favorevole. Pur tuttavia sono state descritte forme più aggressive, il cui
approccio terapeutico deve essere opportunamente calibrato, prevedendo, soprattutto nelle forme
plurifocali, anche l’opportunità di una tiroidectomia totale integrata dalla siderazione radiometabolica; per le forme monofocali, senza diffusione
metastatica linfonodale, può essere contemplato
un trattamento più conservativo. Il microcarcinoma è multifocale nel 20-40% dei casi, manifestandosi con “colonizzazione” locoregionale o distrettuale nel 30% di casi. L’eventuale impegno linfonodale ecograficamente subcentimetrico deve
essere attentamente definito, nell’intento di evitare interventi non necessari. Il focolaio microcarcinomatoso può essere identificato con l’esame
agoaspirativo ecoguidato, dotato di assai elevata
affidabilità diagnostica, consentendo di riconoscere lesioni neoplastiche microfocali anche di dimensioni inferiori al cm11.
40
Recenti Progressi in Medicina, 96, 1, 2005
La corretta diagnosi potrà essere confermata
sui prelievi citologici ottenuti dai linfonodi colonizzati dal processo neoplastico. Il microcarcinoma
è una entità anatomica che da una parte non deve
essere sottovalutata; d’altro canto deve essere enfatizzato il riscontro occasionale di una lesione carcinomatosa, anche multifocale, manifestandosi,
nel 20% dei casi, con impegno linfonodale, la cui
identificazione è essenzialmente correlata con la
padronanza della manualità dell’operatore esperto, in grado di garantire il successo del prelievo citodiagnostico da lesioni microfocali.
Il Ca microfocale, il più spesso differenziato di
tipo papillifero, può rappresentare una entità statisticamente significativa, costituendo il 30/40%
delle lesioni neoplastiche rilevabili in casistiche
chirurgiche; circa il 20% di tali tumori microfocali
è di dimensioni inferiori a 0,5 cm, e la identificazione è spesso casuale risultando innestati in tireopatia gozzigena plurinodulare o in gozzo basedowiano. Ma i microcarcinomi papillari, pur presentando, talvolta, una struttura follicolare, sono
caratterizzati da una architettura papillare con nuclei di grandi dimensioni, chiari e con cromatina
dispersa, pseudo-inclusioni nucleari e solcature,
mentre il raro Ca midollare, con struttura più solida, è contrassegnato da cellule rotondeggianti o poligonali, con nuclei di media dimensione, talvolta
allungati, e con positività immunoistochimica alla
calcitonina. L’approccio terapeutico al microcarcinoma, considerato che la prognosi è generalmente
favorevole, esige un trattamento diversificato, riservando la tiroidectomia totale, integrata dalla radioablazione, alle forme plurifocali. Mentre nelle
forme unifocali, senza colonizzazione linfonodale o
a distanza, il trattamento radioablativo può essere
evitato, soprattutto se il livello di tireoglobulina,
dopo stimolazione con TSH ricombinante, risulti
negativo.
Semeiologia clinica
Prima di procedere alla selezione del più idoneo
protocollo diagnostico utilizzando procedure di ordine strumentale o biochimico e biomolecolare, è
imperativa una accurata indagine anamnestica,
volta soprattutto a registrare la eventuale familiarità di tireopatia,nonché la possibile esposizione
a radiazioni esterne. La diligente raccolta dei dati
clinici ed epidemiologici deve essere integrata da
uno scrupoloso esame obiettivo volto a definire le
connotazioni clinico-semeiologiche ed evolutive
della nodularità obiettivamente rilevabile, per lo
più asintomatica e di dimensioni trascurabili 1,6,7
(tabella 3).
Soprattutto in presenza di nodularità circoscritta, innestata nell’ambito di iperplasia tiroidea
diffusa, è necessario programmare l’algoritmo diagnostico più appropriato, impostato in una sequenziale articolazione delle indagini prioritarie,
quale irrinunciabile prerequisito per poter formulare un preliminare orientamento diagnostico, anche sulla base dei reperti obiettivi; questi devono
essere interpretati sulla base della analisi critica
delle manifestazioni sintomatologiche, denunciate
dal paziente e/o semeiologicamente rilevabili; ad
esempio, in presenza di formazioni nodulari voluminose ed a estrinsecazione endotoracica, devono
essere identificati gli eventuali fenomeni meccanici compressivi.
Tabella 3. - Procedure di semeiologia clinica, laboratoristica e strumentale da esperire nella articolazione
dell’algoritmo diagnostico della tireopatia nodulare.
– Accurata indagine anamnestica, integrata da scrupolosi rilevamenti clinico-semeiologici
– Accertamenti morfostrutturali
– Valutazione diretta dell’attività ghiandolare
– Dosaggi ormonali nel siero
– Esplorazione dinamica dell’asse ipotalamo-ipofisario-tiroideo
– Definizione dell’assetto autoimmunitario
– Valutazione degli effetti ormonali
– Esame citologico su prelievo mirato ecoguidato, a conclusione dell’algoritmo diagnostico.
– Indagini immunocitochimiche su campione citoaspirato.
– Indagini genetico-molecolari: su preparato citologico e
su sangue; su singole cellule isolate, da vetrini citologici e preparati istologici, isolate mediante la metodica della dissezione cellulare con il laser
Nell’esaminare un paziente con presunta tireopatia nodulare, associata a sintomatologia più o
meno intensa, verosimilmente sostenuta da variazioni funzionali tiroidee addebitabili ad eccessiva o
ridotta produzione ormonale, possono assumere rilevante significato clinico elementi accertabili all’esame obiettivo distrettuale della loggia tiroidea:
l’esame palpatorio della ghiandola potrà fornire
elementi idonei a definire la sua dislocazione, il
volume e la mobilità del corpo ghiandolare, nonché
la consistenza del tessuto, (parenchimale, soffice,
spugnosa, granulosa, duro-elastica, duro-fibrotica,
lignea-calcifica), che può essere variabile in corrispondenza delle singole lesioni nodulari, oppure
diffusa su tutta la tiroide. Mediante la tradizionale transilluminazione si possono ottenere informazioni adeguate per riconoscere la lesione a struttura cistica, palpatoriamente apprezzabile quale
struttura a consistenza teso-elastica ed ecograficamente registrabile quale formazione transonica;
deve essere inoltre evocata la eventuale dolorabilità, più o meno vivace, alla palpazione, integrando così il rilievo anamnestico della eventuale dolenzia accusata dal paziente.
L’esame obiettivo della regione tiroidea deve essere esteso ai distretti peritiroidei, procedendo alla
accurata valutazione dei linfonodi locoregionali e
laterocervicali; ad esempio, l’ingrandimento del linfonodo sopraistmico potrebbe suggerire la prima indicazione di sospetto di carcinoma papillifero metastatico; tale ipotesi deve essere formulata anche
in presenza di adenomegalia laterocervicale.
M. Andreoli, S. Sciacchitano: Il nodulo tiroideo. Definizione citomorfofunzionale e orientamenti terapeutici
La spiccata vascolarizzazione, semeiologicamente riscontrabile alla auscultazione, nella malattia basedowiana, e documentabile con l’ecocolordoppler, può suggerire una condizione iperfunzionale. Ovviamente tutti i reperti di semeiologia
clinica dovranno essere integrati dallo studio funzionale ed immunobiologico e dalla registrazione
delle immagini del tessuto tiroideo e delle strutture satelliti, fornite dalle tecniche di visualizzazione; queste ultime, grazie all’elevato potere risolutivo, consentono di osservare variazioni, diffuse o
distrettuali, ancorché subcentimetriche, che devono essere esplorate anche nelle espressioni funzionali e, se del caso, definite sul piano citostrutturale. Ma va sottolineato che l’esame citoaspirativo
deve concludere l’algoritmo diagnostico, disponendo di elementi clinici-semeiologici idonei, che offrano elementi adeguati per rispondere al primo
dei quesiti che si pone nell’esaminare una tiroide
sede di lesione nodulare: definire se l’alterazione
circoscritta sia apparentemente isolata, oppure se
sia innestata nel contesto di un diffuso impegno
del tessuto ghiandolare, sollecitato ad iperplasizzarsi: i cui meccanismi causali devono essere preliminarmente riconosciuti. Mentre nel programmare il prelievo citoaspirativo ci si deve proporre
di poter soddisfare il secondo quesito: definire la
natura della nodularità, singola o plurifocale (vedi
tabella 3 a pagina 40)
In sintesi, sul piano semeiologico, dall’esame
obiettivo devono emergere rilievi inerenti a volume, consistenza, regolarità palpatoria del tessuto
che può essere sede di alterazioni volumetriche,
circoscritte o plurifocali; al fine di poterli interpretare, in un contesto clinico, i reperti obiettivi devono essere integrati con i risultati dei test laboratoristici, che offrono elementi di valutazione funzionale e con altri accertamenti diagnostici,
bioumorali, volti a caratterizzare variazioni strutturali e funzionali del tessuto. Ad esempio, il reperto di iperplasia nodulare tiroidea a consistenza
dura e a superficie irregolare può indurre ad ipotizzare una forma di gozzo sostenuto da processo tiroiditico cronico, a genesi autoimmune, documentabile con il titolo degli anticorpi organospecifici, e
confermabile anche sulla scorta dei valori di altri
parametri bioumorali, nonché mediante la caratterizzazione ecografica, documentata dalla tipizzazione citologica del substrato lesivo della nodularità. Mentre il riscontro di aumentata consistenza
diffusa sull’intero corpo tiroideo alterato da nodularità plurifocali a variabile consistenza, più o meno vivacemente dolorabili, può orientare per l’ipotesi di tiroidite acuta in fase florida, che sarà confermata dalla elevata VES,dall’aumento degli
ormoni tiroidei circolanti, delineandosi così il quadro della tireotossicosi factitia caratterizzata da
bassa captazione, a motivo del danno flogistico epiteliale. Per converso, la dolorabilità evocata alla
palpazione di una nodularità circoscritta, a consistenza teso-elastica, induce a ritenere che potrebbe trattarsi di un evento acuto da raccolta liquida
sottocapsulare, da documentare con l’esame ecografico. Così come il calo ponderale, in paziente con
41
iperidrosi, cute calda, tachicardia sinusale, tremori, astenia e precordio iperdinamico o tachiaritmico, può legittimare il sospetto clinico di sindrome
basedowiana, ove sia associato alla presenza di oftalmopatia, ancorché di modesta entità. Mentre, in
assenza della oftalmopatia, il riscontro, in paziente tireotossico, di un nodulo, può indurre ad ipotizzare un quadro sostenuto da autonomia plummeriana, documentabile all’esame scintigrafico quale
area “calda”, iperattiva che secerne quantità elevate di iodiotironine, soprattutto di T3. Inoltre,
particolare attenzione deve essere rivolta all’esplorazione palpatoria delle regioni laterocervicali, sopraclaveari e pretracheali. L’auscultazione, a livello della ghiandola tiroidea, può essere di ausilio semeiologico nelle sindromi tireotossiche con gozzo
diffuso, caratterizzate da aumentato flusso ematico che si esprime con soffio intenso.
Il reperto di nodularità singola, occasionalmente osservabile al rilievo semeiologico palpatorio, o
registrato con l’esame ecografico della regione cervicale, esige il ricorso a un algoritmo diagnostico
che consenta di precisare sia il meccanismo fisiopatologico, sia il substrato lesivo della nodularità;
questa, il più spesso apparentemente singola, può
riflettere una diffusa fisiologica reazione adattativa al variare della compromessa efficienza ormonogenetica del tessuto tiroideo, causata dall’intervento di fattori molteplici che possono interferire
sulla omeostasi ghiandolare.
Sul piano pratico, la preliminare valutazione
clinica semeiologica del nodulo tiroideo deve essere integrata dalla disponibilità di rilievi scaturiti
dalle metodiche per immagini e dalla definizione
citomorfofunzionale; l’esame citologico, che deve
chiudere il percorso diagnostico, fornisce elementi
per il riconoscimento precoce del microcarcinoma,
differenziandolo con assoluta attendibilità dalle lesioni sicuramente benigne 20.
Diagnostica morfofunzionale
In presenza di variazioni volumetriche del corpo ghiandolare, semeiologicamente rilevabili, quali formazioni circoscritte, più o meno voluminose e
singole, oppure innestate su un parenchima diffusamente irregolare, al fine di pervenire ad una
precisa definizione diagnostica ci si deve prefiggere l’obiettivo di esprimere un circostanziato giudizio diagnostico; l’iter semeiologico deve mirare a
definire le connotazioni, non solo degli aspetti morfologici e/o strutturali della ghiandola, ma anche
dei diversi parametri funzionali tiroidei; l’algoritmo diagnostico deve contemplare anche la caratterizzazione dell’assetto bioumorale ed immunologico, ottenendo così elementi reciprocamente integrantesi, che devono sostanziare un preciso
orientamento diagnostico ed ispirare i conseguenti provvedimenti terapeutici.
Gli accertamenti morfostrutturali sono rivolti
a: localizzare e visualizzare il tessuto tiroideo; caratterizzare le alterazioni distrettuali; definire
morfologicamente il substrato lesivo delle diverse
tireopatie nodulari.
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Recenti Progressi in Medicina, 96, 1, 2005
Le metodologie di visualizzazione (tireoscintigrafia, ecografia ed altre tecniche quali TAC,
Tabella 4. - Nodulo freddo: substrato anatomo-patologico.
RMN, PET, SPECT) consentono di registrare immagini della ghiandola, definita nei lineamenti ge• Con indicatori negativi (131I 123I 99Tc)
nerali, nelle alterazioni zonali, nei suoi rapporti
– Involuzione colloido-cistica
con gli organi limitrofi, offrendo anche la possibili– Processo necrotico-emorragico-essudativo
tà di definire le caratteristiche anatomomorfologi– Fenomeni fibro-sclerotici
che del tessuto tiroideo e dei linfonodi laterocervi– Reazioni flogistiche e infiltrative
cali ed i loro rapporti con le strutture finitime.
– Neoformazione benigna (adenoma micro-macrofollicolare)
Inoltre, grazie a tali metodologie, può essere iden– Proliferazione neoplastica maligna(1,5% dei noduli)
tificato il tessuto iodiofissante dislocato in sede
aberrante, così come possono essere riconosciute
• Con indicatori positivi (potassio-mimetici): area ipercaptante
metastasi a distanza di colonizzazione carcinomatosa della rara lesione nodulare maligna 21-23.
• Lesione ipercellulare (benigna o maligna)
Le indagini di visualizzazione morfofunzionale,
quali la scintigrafia e la ecografia, rappresentano
un valido ausilio per la definizione indiretta di alcune connotazioni del tessuto alterato, ma non socuramente benigne, siamo oggi in condizione di rino da considerare metodiche specifiche per la idendurre drasticamente il numero degli interventi, in
tificazione della lesione neoplastica 1,6,7.
passato eseguiti solo per constatare la presenza di
L’esame scintigrafico, se integrato con le prove
una lesione benigna, presenza che può essere idencinetiche volte ad esplorare, anche nel corso di protificata con il ricorso all’esame citologico agoaspive dinamiche, la funzione iodioconcentrante, può
rativo 20 (tabella 5).
offrire elementi utili per inquadrare la formazione
La scintigrafia con octeotride marcato con Innodulare quale espressione dei diversi stadi evoludio111, dotata di sensibilità del 71% nella diagnotivi della lesione gozzigena o di altre alterazioni bestica dei tumori neuroendocrini, può essere impienigne; questa specifica indagine morfofunzionale
gata per il riconoscimento diagnostico del carcinodeve essere eseguita con radioiodio 131I, o 123I; il tecma midollare, per il quale può essere utilizzata
nezio non è sufficientemente affidabile sul piano
anche la scintigrafia con 131I MIBG 1,6,7.
diagnostico funzionale. Infatti, nel 3-8% dei noduli
Le più recenti tecniche radioisotopiche, inserifunzionanti al pertecnetato possono apparire non
te nell’ambito della diagnostica per immagini delcaptanti “freddi”, al radioiodio, annidando una lele neoformazioni tiroidee, sono: la tomografia ad
sione carcinomatosa in una sensibile percentuale
emissione di positroni (PET) e la tomografia comdei casi. Ed infatti la lacunosità alla mappa scintiputerizzata a singola emissione fotonica
grafica con indicatori negativi, quali radioiodio e
(SPECT) 22,23. La PET è basata sull’utilizzo di nuradiotecnezio (nodulo freddo), può essere sostenuta
clidi radioattivi che emettono positroni, cioè eletda diversi tipi di lesioni: degenerative, infiltrative
troni che possiedono carica positiva, che si aned essudative, riparative, processi involutivi fibronulla interagendo con un elettrone. Da questa
sclerotici o calcifici, stravaso emorragico, processo
reazione deriva la produzione di energia, in forma
iperplastico o neoformativo benigno (adenoma); oldi fotoni, rilevati da specifiche apparecchiature
tre che, raramente, da un processo neoplastico mache permettono la definizione e la registrazione
ligno. Anche l’impiego di traccianti positivi potasdell’immagine.
siomimetici fornisce reperti
scarsamente specifici, che
esprimono la iperattività
cellulare quale riflesso di
Tabella 5. - Nodulo tiroideo “freddo”.
generica, e non definibile,
ipercellularità. (tabella 4)
Substrato lesivo
In sintesi, il reperto di
nodulo scintigraficamente
N
%
ipocaptante, o “freddo”,
nella nostra esperienza,
• Lesione benigna
non rappresenta un ele– Iperplasia semplice
2058
97,3
mento di sospetta maligni– Degenerazione colloido-cistica
tà; infatti abbiamo dimo– Necrosi emorragica
strato, in concordanza con
– Processo essudativo e/o infiltrativo
– Fenomeni fibro-sclerotici
altri autori, che solo il 3%
delle lesioni ipocaptanti è
sostenuto da lesione carci- • Lesione maligna
– Proliferazione carcinomatosa, diagnosticata
nomatosa, e che, riconocitologicamente come carcinoma, catalogata
scendo mediante l’esame
nel gruppo dei quadri citologici definiti
citologico preoperatoria58
2,7
o “Proliferazione follicolare”
mente eseguito, le lesioni
sfornite di funzioni iodio- Da Andreoli et al, 198720
concentranti di natura si-
M. Andreoli, S. Sciacchitano: Il nodulo tiroideo. Definizione citomorfofunzionale e orientamenti terapeutici
La SPECT si fonda, invece, su principî analoghi a quelli della TAC, con la sola differenza che
i fotoni sono emessi da traccianti, il cui segnale
proviene dal soggetto esaminato, piuttosto che
da una fonte esterna. La PET possiede, rispetto
alla SPECT, il vantaggio di fornire immagini
quantitativamente più accurate e dotate di migliore risoluzione spaziale. Tra i traccianti adoperati con entrambe le tecniche ricordiamo il carbonio, l’azoto, l’ossigeno, il fluoro desossiglucosio
e lo iodio.
La tomografia assiale computerizzata (TAC), e
la risonanza magnetica nucleare (RMN) 21 sono
metodologie diagnostiche assai sofisticate che permettono di ottenere informazioni di carattere prettamente strutturale ed anatomico, e che possono,
in alcune circostanze, costituire un utile risorsa integrativa nell’attuazione dell’iter diagnostico incentrato sulla metodologia per immagini; esse consentono la caratterizzazione della patologia nodulare tiroidea e, soprattutto, offrono elementi utili
per definire le connotazioni anatomotopografiche
di quella di pertinenza chirurgica. Ed infatti, le
più elettive indicazioni all’impiego risolutivo della
TAC e della RMN sono rappresentate da: studio di
masse in regione mediastinica superiore o cervicale inferiore, con estensione al mediastino, come nel
caso del gozzo ad estrinsecazione intratoracica 21,
valutazione preoperatoria e stadiazione delle neoplasie maligne tiroidee, soprattutto se immerse e
di cospicue dimensioni; identificazione di eventuali recidive post-chirurgiche o dopo radioterapia;
discriminazione degli esiti cicatriziali dalle recidive; studio di pazienti che presentino un rapido aumento volumetrico ghiandolare, con o senza sintomi di compressione delle vie respiratorie. TAC e
RMN non sono in grado di discriminare le neoformazioni benigne dalle proliferazioni maligne della
tiroide; sono, tuttavia, utilissime nel localizzare e
valutare il gozzo substernale, così come nel riconoscere fenomeni compressivi tracheali, nel definire
i rapporti topografici dei tumori di maggiori dimensioni e nel valutare la presenza di linfoadenomegalia metastatica. La RMN, che non richiede
l’impiego di radionuclidi, offre il vantaggio di delineare i diversi tessuti molli differenziandone i
margini. Il suo impiego, nel follow-up di pazienti
operati per carcinoma tiroideo è di grande utilità,
e la tecnica fornisce un valore predittivo positivo,
pari all’82%, nel differenziare la lesione recidivante, discriminandola da quelle imputabili ad esiti cicatriziali. In pazienti con anamnesi positiva per
carcinoma midollare della tiroide, la RMN trova
inoltre utile applicazione, da sola, o in associazione con lo Indio 111 octeotride, nell’individuare disseminazioni metastatiche.
Ecografia
Lo studio ecografico del nodulo tiroideo costituisce un sofisticato, moderno e risolutivo approccio
metodologico, che riveste un ruolo centrale nell’algoritmo diagnostico della formazione nodulare tiroidea, identificando anche lesioni non palpabili 8,24.
43
Peraltro, tale selettiva indagine diagnostica
non può prescindere da una adeguata integrazione clinico-diagnostica; la corretta interpretazione
delle immagini sonografiche deve essere strutturata sulla base del riconoscimento del substrato
morfofunzionale e fisiopatologico e della lesione
nodulare. Infatti la tecnica ecografica consente
di ottenere, mediante l’impiego di ultrasuoni, un
quadro rappresentativo della densità del tessuto.
Pertanto è da considerare una tecnica relativamente aspecifica, ma idonea a caratterizzare la
fisiologica disomogeneità del tessuto, registrando
rilievi iconografici che riflettono la diversificata
distribuzione distrettuale delle complesse unità
lobulari, costituite dalla aggregazione di strutture acinari a variabile volumetria, micro e macrostutturale; il quadro sonografico rispecchia la diversa preponderanza della componente cellulare
o di quella colloidea, così come la presenza di elementi infiltrativi e /o regressivi e riparativi. L’ecografia consente, pertanto, di caratterizzare il
substrato densitomentrico di una fisiologica disomogenea struttura ghiandolare, così come le variazioni strutturali che si producono nel corso
delle varie fasi evolutive, il più spesso sovrapposte, della iperplasia gozzigena, diffusa o nodulare; può inoltre offrire quadri paradigmatici riferibili ad altre lesioni benigne, quali la tiroidite,
nelle loro molteplici varianti cliniche. Purtuttavia un corretto inquadramento delle caratteristiche ecografiche delle lesioni nodulari esige che
tali rilievi siano criticamente integrati con altri
elementi clinico-semeiologici e bioumorali. Infatti il tessuto tiroideo, oltre ad essere caratterizzato da diffusa disomogeneità morfofunzionale, sostenuta dalla diversificata strutturazione delle
diverse componenti lobulari ed acinari, è provvisto di una ricca rete irrorativa, dotata di una diffusa variabilità distributiva dell’ampio letto vascolare. Pertanto, alla luce delle nozioni inerenti
alle specifiche connotazioni citomorfostrutturali
e vascolari, i reperti registrabili con le attuali sofisticate metodologie di valutazione della tiroide,
mediante l’impiego degli ultrasuoni, devono essere correttamente interpretati; si deve tener
presente che la ecografia è una metodica strumentale, dotata di elevato potere risolutivo, che
è sempre più estesamente impiegata, e spesso indiscriminatamente reiterata e refertata. Ma il reperto ecografico, singolarmente considerato, non
può assumere il selettivo valore discriminante di
elemento prognostico senza procedere alla irrinunciabile preliminare definizione morfofunzionale del tessuto tiroideo, fisiologicamente impegnato in incessanti reazioni adattative volte a
conseguire una equilibrata omeastasi ghiandolare. Va evidenziato che la ecografia identifica anche minime variazioni, densitometriche e vascolari, nei vari distretti del parenchima ghiandolare, costantemente coinvolto in plastici fenomeni
compensatori, innescati dall’intervento di fattori
molteplici: endogeni ed esogeni (dietetici, ambientali, fisiologici e farmacologici), che interferiscono con la economia tiroidea.
44
Recenti Progressi in Medicina, 96, 1, 2005
Tali fenomeni agiscono direttamente a livello
ghiandolare, o indirettamente in corrispondenza
delle strutture regolatrici centrali neuroendocrine, oppure perifericamente, modificando il metabolismo dell’ormone tiroideo, oppure interferendo, a livello degli organi bersaglio, con la interazione ormono-recettoriale. Pertanto si deve
ribadire che circoscritte disomogeneità ecografiche, talvolta impropriamente denominate, pur in
assenza di un riscontro palpatorio di definita
granulosità, “strutture pseudo-nodulari” od anche “strutture nodulari”, possono riflettere una
più o meno vistosa amplificazione della fisiologica disomogeneità morfofunzionale del tessuto
ghiandolare 1,8,10. Va inoltre sottolineato che le indagini ecografiche, pur registrando minime variazioni distrettuali delle caratteristiche densitometriche del tessuto tiroideo, fisiologicamente
o patologicamente modificato, non offrono specifici quadri ecostrutturali, patognomonici di definite alterazioni anatomopatologiche del tessuto
ghiandolare.
La metodologia dell’eco-color-doppler fornisce
precisi rilievi in merito alla entità della vascolarizzazione ghiandolare 6,4,10; ma l’attuale catalogazione del pattern irrorativo, di tipo intralesionale
e/o perilesionale, delle lesioni nodulari, non corrisponde ad una definita classificazione, né anatomopatologica né fisiopatologica, di alterazioni circoscritte, che possono peraltro esprimere la fisiologica dinamica plasticità del tessuto tiroideo; per di
più le descritte variazioni irrorative possono essere riferite, aspecificamente, ad intensa angiogenesi, che usualmente si associa alla vivace proliferazione cellulare. Perciò, allo stato attuale, il riscontro di “vascolarità endolesionale” 11,14 , spesso
enfatizzata quale marker semeiologico di potenziale malignità, non costituisce un parametro di
sicura affidabilità diagnostica che esiga la sistematica esplorazione chirurgica del nodulo presuntivamente considerato sospetto. Tale reperto di
aspecifica vascolarizzazione potrebbe essere sostenuto dal fisiologico asse artero-venoso delle unità
lobulari, impegnate in reazioni adattative, strutturali e vascolari, non rappresentando un teorico
asse vascolare di una presunta digitazione papillifera. Si deve ribadire che la registrazione ecografica del variabile substrato densitometrico delle varie aree ghiandolari, riflettendo la interfaccia delle diverse componenti biostrutturali – sia a livello
dei singoli follicoli, sia in corrispondenza delle
composite, e disomogenee, unità lobulari – può riflettere le fisiologiche difformità della eterogenea
struttura ghiandolare.
In definitiva, l’ecografia tiroidea costituisce un
presidio irrinunciabile, idoneo a valutare la struttura (solida, cistica, mista), le dimensioni e la evoluzione di un nodulo che, soprattutto se solido ed
ipocaptante, può, sia pure raramente, annidare
una lesione neoplastica; la ecografia è inoltre essenziale per identificare l’impegno linfonodale delle regioni satelliti, oltre che per riconoscere lesioni
plurifocali. Ma la ecografia non offre elementi semeiologici discriminanti idonei a differenziare le
lesioni sicuramente benigne da quelle sicuramente maligne. Rappresenta, anche, un valido sussidio
per il prelievo mirato di tessuto tiroideo mediante
agoaspirazione, potenziando reciprocamente la capacità diagnostica delle due metodiche 24-26. E, grazie alla campionatura ecoassistita, rappresentativa di circoscritte lesioni distrettuali anche di dimensioni esigue (<1 cm), si può arrivare a definire
il substrato lesivo di aree strutturalmente disomogenee. Deve essere sottolineato che con l’impiego
della citologia agoaspirativa ecoguidata, abbinata
a metodologie di analisi genetico-molecolari, si può
perseguire il non avveniristico obiettivo di una assai precisa caratterizzazione delle alterazioni, a livello non solo di ogni singolo follicolo, ma anche, di
ogni singola cellula, isolabile dai preparati citologici.
Infine l’ecografia offre il vantaggio di poter monitorare la evacuazione agoaspirativa di lesioni cistiche, valutandone altresì la efficacia della sclerotizzazione endocavitaria con etanolo 13,19 o con
laser terapia 26.
Ovviamente tutti gli elementi, clinici-anamnestici e semeiologici, devono essere opportunatamente soppesati (età, sesso, consistenza, accrescimento, adenopatia satellite, struttura ecografica,
rappresentazione scintigrafica); ma a nessuno di
essi può essere conferito il valore di assoluta specificità, così come anche la sommatoria di tutti gli
elementi clinico-semeiologici di potenziale malignità può non assurgere alla dignità di parametro
specifico di potenziale proliferazione neoplastica;
purtuttavia la pregressa esposizione, soprattutto
nell’infanzia, alle radiazioni ionizzanti, così come
la insensibilità alla terapia soppressiva, possono
assumere il significato di criterio orientativo da inserire nell’ambito dei presumibili fattori di rischio
di malignità (tabella 6 a pagina seguente).
La laser terapia è la metodologia di recente proposta in via sperimentale; allo stato attuale non si
dispone ancora di esperienza sufficiente per suffragarne la validità; essa è teoricamente efficace
per il trattamento elettivo delle lesioni cistiche, in
alternativa alla sclerotizzazione con etanolo, rispetto alla quale potrebbe offrire il vantaggio di
un più limitato rischio di eventi lesivi extranodulari 26.
Valutazione diretta della attività ghiandolare
Con la esplorazione diretta della attività tiroidea, mediante la somministrazione di radionuclidi
in vivo, si ottengono rilievi funzionali che consentono di precisare la efficienza iodioconcentrante
dell’epitelio follicolare, la cinetica intraghiandolare dello iodio e la sua dismissione dal compartimento ghiandolare, (curva di iodiocaptazione, registrata nell’arco di 24 ore), nonché la distribuzione topografica del tracciante, scintigraficamente
registrabile.
La valutazione quantitativa della captazione
del radioiodio rappresenta una indagine, tutt’ora
elettiva, per analizzare la fisiologica attività della
“pompa” tiroidea dello iodio.
M. Andreoli, S. Sciacchitano: Il nodulo tiroideo. Definizione citomorfofunzionale e orientamenti terapeutici
45
Tabella 6. - Nodulo tiroideo: screening clinico-semeiologico orientativo.
Probabile lesione benigna
Sospetto di malignità *
Rilievi anamnestici
Familiarità gozzigena
Provenienza da area endemica
Familiarità* di carcinoma midollare
o di neoplasia endocrina multipla
Pregresse radiazioni ionizzanti* in
sede cervicale, cranica o toracica
Aumento volumetrico: rapido*
Fenomeni compressivi *(in assenza di
gozzo voluminoso); disfagia; disfonia,
dispnea, tosse
Reperti semeiologici-clinici
Sesso: femminile
Gozzo plurinodulare
Età: giovanile, adulta
Consistenza: parenchimale
Sesso: maschile
Nodulo solitario, o dominante, di consistenza aumentata
Infiltrazione dei tessuti peritiroidei
Età: infanzia, senile
Paralisi ricorrenziale; metastasi a distanza
Adenopatia: laterocervicale e/o sopraclaveare
Mappa scintigrafica
(Indicatori negativi)
Area “calda”
Nodulo “freddo” (raramente carcinoma)
Quadro ecografico
Lesione cistica: con netta demarca- Struttura solida – solida/mista
zione
Formazione cistica con propaggine
endoluminale
Fattori bioumorali
Elevato titolo di anticorpi
Aumento della calcitonina*
Aumento della tireoglobulina: in pa- Aumento della tireoglobulina* in tizienti non tiroidectomizzati
roidectomizzati, indicativo di ripetizione metastatica
Risposta alla soppressione tiroxinica Regressione
(2 mcg/pro die per almeno tre mesi)
Insensibilità alla ormonoterapia* a
posologia soppressiva
*Rischio più elevato di sospetta malignità. In presenza di due o più elementi di rischio aumentano le probabilità di una lesione
carcinomatosa; l’esito dell’esame citologico sarà dirimente, non solo per la definizione morfostrutturale, ma anche per suffragare
il sospetto clinico e per impostare la condotta terapeutica.
La percentuale dell’alogeno radioattivo captato
alla 6° ora riflette la integrità del sistema trasportatore dello iodio, nonché l’entità dello stimolo tireotropinico, che esalta la attività iodioconcentrante,
amplificando la fisiologica disomogeneità morfofunzionale del tessuto (si ricordi che la iperstimolazione
tiretropinica è innescata da molteplici momenti causali). Il profilo della curva di iodiocaptazione, nel suo
segmento temporale che si protrae della 6° alla 24°
ora dalla somministrazione del radioiodio, riflette il
trasferimento nella cavità follicolare del radioisotopo incorporato in molecole organiche, ed esprime la
dismissione dello iodio radioattivo dal compartimento ghiandolare. Sul piano clinico la entità della
captazione può variare in diverse condizioni, e non
sempre tali variazioni sono correlabili con variazioni consensuali della sintesi ormonale. La interpretazione di tali variazioni deve essere correlata con la
identificazione dei meccanismi causali che interferiscono con la omeostasi tiroidea, attivando o riducendo la funzione iodioconcentrante, ormonogenetica ed
ormonosecretiva, ad opera dello stimolo tireotropinico (tabella 7 a pagina seguente).
A nostro avviso, la esplorazione funzionale della tiroide deve essere sistematicamente eseguita in
ogni caso di formazione nodulare non prescindendo dall’impiego preferenziato del radioiodio, quale
tracciante che specificamente consente di esplorare la funzione della ghiandola, valutando la sua
efficienza globale nell’ estrarre lo iodio dal torrente circolatorio e nelle distrettuali variazioni funzionali. Inoltre, mediante la prova dinamica di soppressione con T3, può essere esplorato il livello di
dipendenza della attività tiroidea, globale e distrettuale, dell’asse ipotalamo-ipofisario; tale tradizionale metodologia consente di identificare le
aree iperattive sostenute da noduli autonomi, differenziandole dalle aree “calde”, che riflettono zone di tessuto “iperattivo” tireotropino-dipendente,
la cui esaltata attività iodioconcentrante soppressa con il test di Werner è da interpretare quale
funzione compensatoria. Così come con il test al
perclorato si può riconoscere il difetto di organificazione dello iodio che si osserva in alcune forme di
ipotiroidismo, e segnatamente nella sindrome di
Pendred 1,27.
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Recenti Progressi in Medicina, 96, 1, 2005
Tabella 7. - Variazioni della captazione del radioiodio.
Elevata
Espressione di aumentata sintesi ormonale
– Ipertiroidismo (m. di Basedow, nodulo autonomo, m.
di Plummer, gozzo nodulare tossico, tumori TSH-secernenti)
– Recupero funzionale della tiroidite subacuta
– Eccessiva perdita ormonale
(sindrome nefrosica, stati diarroici, dieta ricca di soia)
Non riflettente aumentata sintesi ormonale
– Iodiocarenza
(Inadeguato apporto dietetico, eccessiva perdita renale, intestinale o mammaria)
– Difetti della ormonogenesi
Diminuita
Espressione di diminuita sintesi ormonale
– Ipotiroidismo primitivo
(disgenesie; trattamento tireostatico; m. di Hashimoto; tiroide acuta, in fase florida)
– Ipotiroidismo secondario
(Lesioni ipotalamoipofisarie; TSH anomalo; mutazioni inattivanti del recettore del TSH)
– Assunzione di ormone tiroideo
Non riflettente diminuita sintesi ormonale
– Aumentata disponibilità di iodio
(Apporto dietetico ambientale o farmacologico)
Dosaggi ormonali nel siero
Il livello ematico della tiroxina oggi è determinato con metodologie non radioisotopiche, immunometriche e chemiluminiscenti, assai sensibili.
L’ormone totale rappresenta sia la molecola iodiotironinica legata alle plasmaproteine di trasporto,
sia la frazione che circola libera, non veicolata dal
vettore proteico. Pertanto, tenuto conto che le proteine ormonovettrici (TBG e TTR) possono aumentare, o diminuire, in condizioni fisiologiche, patologiche o farmacologiche, ai fini clinici, la quantificazione della frazione libera riflette, con
sufficiente approssimazione, lo stato tiroideo. Inoltre la frazione dell’ormone triiodato, circolante in
forma libera, può non esprimere accuratamente il
livello tessutale di T3, poiché la concentrazione locale di T3 negli organi bersaglio è determinata
prevalentemente dalla conversione cellulare di T4
in T3,creando un gradiente tessuto/plasma organo-specifico. In molteplici condizioni patologiche
non tiroidee, in alcune situazioni fisiologiche e dietetiche, o per effetto di alcuni farmaci, la T3 è ridotta, mentre il suo analogo triiodato inverso, la
rT3, metabolicamente inerte, aumenta. Si delinea
così una sindrome da T3 bassa, che costituisce un
evento adattativo. Pertanto la misurazione della
rT3 circolante, in condizioni varie, assume rilevante significato fisiopatologico nella valutazione
del metabolismo ormonale 1,27.
La tireoglobulina, secreta dalla normali cellule
tiroidee, è presente nel siero di soggetti normali in
quantità minime, valutabili con metodi radioimmunologici (RIA) o immunometrici (IMA), assai
sensibili; la sua concentrazione plasmatica, (normale 5-25 µg/ml), aumenta aspecificamente in diverse condizioni patologiche, caratterizzate da
iperattività ghiandolare, (nodulo autonomo, gozzo
plurinodulare tossico) o da alterazioni della struttura follicolare, che comportino discontinuità della lamina epiteliale delimitante la cavità otricolare (tiroiditi); pertanto il suo dosaggio è di scarsa
utilità diagnostica nel discriminare le lesioni nodulari benigne da quelle maligne; mentre assume
un ruolo assai significativo nel monitoraggio di pazienti tiroidectomizzati per carcinoma tiroideo.1,6
Al suo aumento, nei pazienti resi atireotici, va attribuito il valore di marker specifico di ripetizione
metastatica e di progressione della malattia neoplastica. Il livello della tireoglobulina nel siero riflette tre parametri: la massa di tessuto tiroideo
differenziato (normale o tumorale); alterazioni tiroidee infiammatorie, traumatiche, post-chirurgiche; la entità della stimolazione dei recettori tireotropinici, da parte del TSH endogeno (o di quello ricombinate esogeno), oppure ad opera
dell’elevata quantità di hCG gravidica o, nella malattia di Basedow, delle immunoglobuline tireostimolanti 1,6.
Nonostante il dosaggio della Tg sia primariamente indicato quale marker, nei pazienti tiroidectomizzati, del tumore tiroideo differenziato, il
test può essere di qualche utilità in alcune condizioni non neoplastiche della tiroide. Ad esempio,
elevato livello di Tg si riscontra nel gozzo plurinodulare, soprattutto nelle forme con aree autonome, riflettendo l’aumento della massa del tessuto
tiroideo, o lo stato tireotossico di diversa natura,
compreso quello sostenuto da processi di autoimmunizzazione, o da necrosi flogistica. Si sottolinea
che l’accuratezza del dosaggio della Tg, nella diagnosi e nel follow-up del carcinoma tiroideo, può
comportare il vantaggio di non ricorrere alle dispendiose procedure della diagnostica per immagini e di evitare al paziente la fastidiosa condizione
mixedematosa post-tiroidectomia. Ed infatti nel
protocollo del trattamento del carcinoma differenziato e nel follow-up, il monitoraggio, con il dosaggio della tireoglobulina, soprattutto dopo stimolazione con TSH ricombinante, anche in corso di
trattamento tiroxinico sostitutivo, consente di dimostrare la presenza di residui od il ricorrere della lesione neoplastica, anche quando le procedure
diagnostiche per immagini risultino negative.
Il dosaggio della calcitonina è perentoriamente
indicato ove nella anamnesi familiare si registri il
ricorrere di carcinoma midollare o di neoplasia endocrina multipla. In questa evenienza, prima della chirurgia si rende necessario lo screening diagnostico, volto ad escludere l’iperparatiroidismo
primario ed il feocromocitoma. Sul piano pratico il
dosaggio della calcitonina non è da eseguire routinariamente, in assenza di una storia positiva per
tumore midollare, la cui presenza è assai rara nel
portatore di una lesione nodulare della tiroide 28.
M. Andreoli, S. Sciacchitano: Il nodulo tiroideo. Definizione citomorfofunzionale e orientamenti terapeutici
Esplorazione dell’asse ipotalamo-ipofisario
Il sistema di controregolazione centrale, che modula l’asse ipotalamo ipofisi-tiroideo, può essere
esplorato mediante il dosaggio basale del TSH plasmatico, e mediante la valutazione della riserva tireotropinica ipofisaria, eseguendo il test dinamico
del TRH 1,6,27. La concentrazione normale del TSH,
misurata con metodo RIA, è 0,5-5, µU/ml; con gli attuali metodi ultrasensibili si può discriminare la
condizione eutiroidea, differenziandola da quella
modicamente ipertiroidea, o ipotiroidea. Infatti, il
dosaggio del TSH costituisce il più sensibile, specifico e pratico, metodo per riconoscere una condizione di ipotiroidismo primitivo, anche nella sua
espressione subclinica. Ogni incremento, ancorché
di minima entità, del TSH plasmatico deve essere
considerato espressione del deprimersi del livello
degli ormoni circolanti; il TSH subnormale o soppresso, associato a valori di ormoni liberi ai limiti alti della norma, induce a prospettare la possibilità
che la nodularità sia caratterizzata da autonomia
funzionale, delineandosi una condizione subclinica
di tireotossicosi. Pertanto al fine di un preliminare
orientamento nosografico della formazione nodulare, il tasso di TSH circolante, congiuntamente al livello della T4 totale e della FT3, rappresentano i
test più attendibili per la valutazione funzionale
dello stato tireo-metabolico 1,27.
In alcune circostanze, caratterizzate da valori di
TSH ai limiti della normalità, e soprattutto con valori della T4 e T3 non concordanti, ma in presenza
di alcuni paradigmatici segni clinici, può essere utile la valutazione della riserva tireotropinica, mediante test di stimolazione con TRH. Il rilievo clinico della concordanza dei valori dei test dinamici,
volti a registrare le modificazioni controregolatorie
dell’asse ipotalamo-ipofisario correlate con il quadro clinico metabolico, conferma che l’ipofisi e l’asse ipotalamo-ipofisario sono da considerare i tessuti “periferici” più sensibili al variare della concentrazione sierica delle iodotironine, rappresentando
tale struttura neuroendocrina il vero bersaglio del
messaggio ormonale iodotironinico.
Definizione dell’assetto autoimmunitario
Nel corso degli studi più recenti sulla caratterizzazione della struttura, e delle correlate attività funzionali, sia del TSH che del recettore del
TSH, sono stati identificati, e caratterizzati, segmenti molecolari sia della componente proteica
che di quella carboidratica; le diverse frazioni molecolari svolgono distinti ruoli nella sintesi e nella
bioattività della tireotropina, nonché nella attivazione del recettore del TSH, così come nella clearance metabolica dell’ormone tireotropinico. Tali
rilievi costituiscono elementi biomolecolari che
consentono di interpretare i meccanismi della trasduzione del segnale tireotropinico, a livello tiroideo ed extratiroideo. È stato inoltre comprovato
che la interazione tra il TSH ed il suo recettore
può attivare più di una via effettrice del segnale tireotropinico; si è inoltre precisato che le immuno-
47
globuline che si legano al recettore del TSH, evocando gli effetti metabolici e trofici della tropina
ipofisaria, sono eterogenee. Sul piano clinico gli
anticorpi che riflettono l’azione TSH-simile e che
sono stati identificati di recente, devono essere valutati congiuntamente a quelli già da tempo noti:
gli anticorpi antitireoglobulina e quelli antiperossidasi. Nella patologia tiroidea a genesi autoimmune, gli anticorpi anti-tiroidei, che esprimono il
momento causale della malattia, sono da considerare quali marker umorali del danno tiroideo che
può causare il formarsi di lesioni nodulari. Il titolo anticorpale persistentemente elevato, con progressivo incremento, può essere considerato quale
elemento predittivo di evoluzione ipotiroidea. La
misurazione degli anticorpi antimicrosomali (antiM) tiroidei, abbinata o meno alla contemporanea
titolazione radioimmunologica degli anticorpi antitireoglobulina (anti-Tg) hanno, in passato, rappresentato il test diagnostico più diffuso per il riconoscimento della patologia autoimmune della tiroide; ma, essendo la tireoperossidasi (TPO) lo
specifico antigene degli anticorpi antimicrosomali,
oggi si dispone di metodi, assai sensibili e specifici, per la misurazione degli anticorpi anti-TPO. Tali metodi sostituiscono il dosaggio degli anticorpi
anti-Tg, da riservare ad alcune condizioni (ad
esempio la tiroidite post-partum), onde valutare
l’antigene tireoglobulinico nel siero 1,6,27.
L’elevato tasso di TPO, associato a livello di
TSH ai limiti alti della norma o superiori, autorizza ad interpretare la nodularità quale espressione
della tireopatia di Hashimoto. In ogni evenienza
deve essere sempre valutata la opportunità di eseguire un esame agoaspirativo, al fine di escludere
un processo linfomatoso 29.
Nella tireopatia basedowiana, le immunoglobine che si legano al recettore del TSH, innescando
gli effetti, metabolici e trofici, propri della tropina
ipofisaria, sono costituite da una eterogenea popolazione anticorpale. Gli anticorpi antirecettore del
TSH comprendono gli anticorpi tireostimolanti
(TSAb), che stimolano le attività funzionali dell’epitelio follicolare, mentre altri anticorpi inibiscono
il legame del TSH al suo recettore (TSBI – Ab). La
eterogeneità degli anticorpi antirecettori del TSH
è ulteriormente confermata dalla esistenza di altri
anticorpi, quali gli anticorpi bloccanti (TBK Ab) e
quelli che stimolano la crescita delle cellule tiroidee (TS-Ab). Nel decorso della tireopatia autoimmune varia la popolazione di tali anticorpi, la cui
concentrazione può essere correlata con l’evolvere
del quadro clinico, e segnatamente delle composite manifestazioni cliniche della oftalmopatia basedowiana, nonché delle alterazioni ad impronta nodulare della tiroide.
In definitiva, si dispone oggi di un vasto arsenale di metodologie diagnostiche, le quali consentono, anche in fase preclinica, il riconoscimento
della patologia tiroidea e di identificare i meccanismi patogenetici autoimmuni delle varie forme di
tireopatia, iper od ipofunzionale, che si esprimono
clinicamente con il formarsi di alterazione nodulare, uni- o plurifocale 1,27.
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Recenti Progressi in Medicina, 96, 1, 2005
Effetti ormonali e quadro bioumorale
Per la corretta valutazione dello stato metabolico del paziente tireopatico, soprattutto in corso di
trattamento, si può ricorrere alla valutazione di
parametri, biochimici e funzionali, indiretti, che
riflettono l’entità della stimolazione ormonale. Sul
piano pratico può assumere valore orientativo il
dosaggio del colesterolo, la cui concentrazione
ematica aumenta nell’ipotiroidismo e diminuisce
nell’ipertiroidismo. Per quanto attiene il dosaggio
degli enzimi sierici, si deve sottolineare che nell’ipotiroidismo aumenta la creatinfosfochinasi (CPK)
e la lattodeidrogenasi (LDH).
L’azione periferica degli ormoni tiroidei può essere valutata dalla determinazione dei tempi di intervallo sistolico, quale parametro di stimolazione
ormonale sulla contrattilità miocardica. Nell’ipotiroidismo si registra allungamento del periodo di
pre-eiezione (PEP) ed accorciamento del tempo di
eiezione (LVET), risultando aumentato il rapporto
PEP/LVET. Tale parametro risulta modificato anche nella forma subclinica della insufficienza ormonale che caratterizza alcune tireopatie nodulari.
La diagnostica delle tireopatie nodulari può anche
avvalersi, sul piano funzionale, della determinazione
della “Sex Hormones Binding Protein” (SHBG), la
cui secrezione, da parte degli epatociti, è regolata dalle iodotironine; l’aumento di questa proteina si osserva nella tireopatia nodulare caratterizzata da
ipertiroidismo, anche nella sua espressione subclinica; tale rilievo può assumere un valore discriminante quale indice indiretto di malattia, risultando positivamente correlato con la concentrazione della FT3
e FT4. Anche la misurazione, soprattutto in gravidanza, o nel corso di trattamento estrogenico, delle
proteine di trasporto (TBG, TBPA), può essere di ausilio per interpretare correttamente i valori elevati di
T3 e T4 totale che si osserva in tali condizioni.
La citologia agoaspirativa
Con l’avvento, agli inizi degli anni ’80, dell’era citologica, grazie al prelievo ambulatoriale con ago sottile, si dispone oggi di una metodica diagnostica,
pressoché incruenta, che consente la valutazione diretta del substrato citologico che sottende alla lesione nodulare. Tale indagine, di notevolissima accuratezza diagnostica, soprattutto se eseguita mediante
prelievo mirato, assistito dal monitoraggio ecografico
della lesione da analizzare, offre il vantaggio di rappresentare una tecnica non invasiva e dal costo irrilevante, computato anche in termini di rapporto costo-beneficio. Essa è pertanto da privilegiare nella
articolazione dell’algoritmo diagnostico del nodulo tiroideo, adottandola quale presidio routinario conclusivo dell’iter diagnostico per lo screening delle lesioni
nodulari (figure 4, 5 e 6), anche in ragione dello specifico quesito clinico posto dal rilievo di una tumefazione nodulare, da definire nel substrato citostrutturale, quale cardine per impostare la condotta terapeutica, il più spesso ad impronta conservativa 1,6,7,9.
Va sottolineato che il quadro citologico, ancorché
analiticamente descritto da esperti citologi, deve es-
sere correttamente interpretato nel contesto di un
rigoroso e circostanziato giudizio clinico, onde adottare una razionale catalogazione diagnostica. Ad
esempio, il reperto di cellule di Hürthle non deve essere necessariamente considerato sospetto per la lesione neoplastica, così come la ricca cellularità, anche in presenza di strutture follicolari, non deve essere inquadrata nell’ambito della proliferazione
follicolare, da esplorare chirurgicamente. Pertanto
va ancora una volta ribadito che l’esame citologico
deve concludere il percorso diagnostico, clinico-semeiologico, laboratoristico e strumentale, al fine di
poter correttamente interpretare il reperto citostrutturale inquadrando nosograficamente il substrato lesivo della lesione nodulare, anche subcentimetrica,
indipendentemente dalla sua espressione funzionale. È ormai comprovato che l’esame citologico fornisce quadri paradigmatici di lesioni sicuramente benigne, differenziandoli dagli specifici quadri proprï
delle lesioni citostrutturali che caratterizzano le lesioni sicuramente neoplastiche. Il prelievo ecoguidato consente anche di dimostrare la presenza di lesione carcinomatosa “occulta”, così come di identificare
linfonodi laterocervicali colonizzati da una lesione
carcinomatosa, clinicamente silente a livello tiroideo.
Non sempre il quadro citologico offre elementi
adeguati per una rigorosa discriminazione delle lesioni benigne, differenziandole da quelle specifiche
del processo neoplastico; tali aspetti morfostrutturali, citologicamente non inquadrabili in definite formulazioni diagnostiche, sono da considerare “non
diagnostici”. Mentre con il termine “proliferazione
follicolare” si designano prelievi “neutri” (non diagnostici), per i quali il referto citostrutturale non autorizza a proporre una precisa catalogazione nosografica; infatti si riscontrano aspetti citologici indeterminati del tutto sovrapponibili ed indistintamente
classificati in questo gruppo eterogeneo di lesioni.
Con la terminologia “proliferazione follicolare” si
etichettano quadri anatomopatologici di diversa natura, benigna nella stragrande maggioranza dei casi (85%); nelle restanti proliferazioni nodulari, citologicamente classificabili in questo eterogeneo gruppo di alterazioni morfostrutturali indeterminate, si
riconosce solo 15 % di lesioni sicuramente maligne
(figure 5 e 6 alle pagine 49 e 50).
Tabella 8. - Accuratezza diagnostica della citologia
agoaspirativa convenzionale ed ecoguidata*.
Falsi negativi
Sensibilità
Specificità
Accuratezza
Valore predittivo positivo
Valore predittivo negativo
FNA – C
(n = 522)$
FNAB – E
(n = 535) $
7 (2,3%)
91,8%
68,8%
72,6%
36,7%
97,7%
3 (1%)
97,1%
70,9%
75,9%
44%
98,4%
FNA-C = Agoaspirazione convenzionale
FNA –E = Agoaspirazione ecoguidata
$ = I campioni inadeguati non sono stati inclusi nel calcolo
degli indici di accuratezza diagnostica
*Da Danese, et al 1998 25
M. Andreoli, S. Sciacchitano: Il nodulo tiroideo. Definizione citomorfofunzionale e orientamenti terapeutici
A
49
B
Figura 4. Reperti citologici di lesioni nodulari. La citologia agoaspirativa, oltre a riconoscere con assoluta attendibilità la lesione sicuramente benigna (A) discriminandola da quella sicuramente maligna, seleziona un gruppo eterogeneo di lesioni potenzialmente
maligne, catalogate tra le proliferazioni follicolari (B), che devono essere sottoposte ad indagini immunostocitochimiche ed a caratterizzazione molecolare.
A
B
Figura 5. Quadri citologici di lesione maligna. La lesione carcinomatosa di tipo papillifero può repertarsi sia in tessuto solido (A),
che nell’ambito di una digitazione endoluminare della parete di nodulo cistico (B).
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A
B
Figura 6. Quadri citologici di lesione maligna. Il carcinoma di tipo follicolare (A), di solito più aggressivo del tumore più differenziato del tipo papillifero, può metastatizzare anche ai vasi locoregionali (B).
Analisi genetico-molecolari
Nel rimandare ad un nostro prossimo articolo
incentrato sulla caratterizzazione molecolare delle tireopatie nodulari, si deve sottolineare che la
citologia agoaspirativa ecoguidata consente di ottenere una congrua quantità di materiale cellulare, idoneo per la esecuzione di sofisticate indagini
genetico-molecolari, mirate alla caratterizzazione
del patrimonio genetico di singole cellule isolate
da specifiche aree ipercellulari, costituite da stipiti cellulari diversificati. In particolare offre la
possibilità di selezionare una lesione ipercellulare citologicamente non diagnosticabile, ma classificata nella eterogenea popolazione della cosiddetta “proliferazione follicolare”. Grazie alla applicazione delle più recenti metodologie
biomolecolari, questa lesione può essere caratterizzata mediante l’impiego di specifiche tecniche
immunocitochimiche. Con la applicazione della
tecnica della reazione a catena della polimerasi
(PCR) e di quella della reverse transcrittasi (TR)
(RT-PCR) 30, le singole cellule isolate da preparati
citologici ed istologici mediante la elegante e sofisticata tecnica di dissezione cellulare, denominata “Laser Capture Microdissection” (LCM), sono
definite nel loro assetto molecolare 31,32. I risultati sinora ottenuti con la metodica di laser dissezione, che consente l’isolamento della singole cellule, lasciano intravedere le notevoli potenzialità
applicative nello studio del patrimonio genetico
della eterogenea entità anatomoclinica del nodulo tiroideo, ove l’analisi genetico-molecolare sia
eseguita su materiale citologico prelevato in maniera mirata ed ecoassistita, da selezionate aree
di proliferazione cellulare 33.
Tabella 9. - Nodulo tiroideo: immunoistochimica e
genetica molecolare.
– Innovative tecniche immunocitochimiche per identificare la lesione carcinomatosa nei noduli citologicamente non definibili (“proliferazione follicolare”)
– Sofisticate analisi genetico-molecolari per caratterizzare l’assetto oncogenico ed il pattern di espressione
genica dei cloni tireocitici, nei quadri di “proliferazione follicolare”, citologicante indeterminata, ma potenzialmente neoplastica
Considerazioni conclusive
È doveroso riaffermare che il reperto ecoguidato, anche se integrato dal quadro citostrutturale,
deve essere correttamente interpretato nel contesto di un rigoroso e circostanziato giudizio semeiologico e clinico. Pertanto non è condivisibile
l’approccio sistematicamente chirurgico, incentrato esclusivamente sul reperto ecografico di “strutture pseudo-nodulari”.
M. Andreoli, S. Sciacchitano: Il nodulo tiroideo. Definizione citomorfofunzionale e orientamenti terapeutici
Le immagini fornite dal sonogramma potrebbero, infatti, riflettere la esasperazione della disomogeneità tessutale in corrispondenza di una
circoscritta zona di parenchima, in quanto il tessuto tiroideo, grazie alla modulazione tireotropinica, va incontro a modificazioni strutturali, più o
meno vistose, nonché a variazioni, volumetriche e
funzionali, dei singoli follicoli e/o delle unità lobulari. La fisiologica disomogeneità del parenchima
ghiandolare è associata a variazioni, più o meno
intense, della cinetica intraghiandolare dello iodio
e delle susseguenti tappe ormonogenetiche ed ormonosecretive, nonché a variazioni del letto vascolare, innescate da fattori molteplici, endogeni
ed esogeni, di diversa natura (ambientale, dietetica, fisiologica, farmacologica). Pertanto deve essere tassativamente bandita dal lessico diagnostico
la fuorviante nomenclatura di “nodulo follicolare”,
la quale (adottata sulla base di un asettico quadro
citologico, caratterizzato da fisiologiche variazioni morfofunzionali della struttura follicolare, che
si riflettono in alterazioni a struttura colloidocistica) induce a proporre un non necessario intervento “esplorativo”, pur in assenza di qualsiasi
atipia citostrutturale e/o di elementi clinici di sospetta malignità. Si tenga conto che i quadri morfologici delle lesioni tumorali sono paradigmatici
e non equivocabili; segnatamente sono specifiche
le alterazioni nucleari proprie del carcinoma papillifero (aspetto fusiforme, cromatina chiara, a
“vetro smerigliato”, solcature, inclusioni, corpi
psammomatosi); anche nel carcinoma follicolare
sono riscontrabili peculiari elementi atipici (microfollicoli e nidi solidi di cellule follicolari, con
nucleo scuro e citoplasma eosinofilo; tireociti dismorfici disposti in follicoli irregolari).
Va peraltro sottolineato che il reperto di ricca
cellularità, anche in presenza di delineate strutture acinari, non dovrebbe essere catalogato nell’ambito del composito gruppo di quadri citologici
non diagnostici, etichettati quale espressione di
una indeterminata “proliferazione follicolare”; né
tanto meno tale reperto anodino costituisce una alterazione che esiga sistematicamente la esplorazione chirurgica. Il reperto di ipercellularità, in assenza di definite alterazioni citologiche potenzialmente sospette, in prima istanza deve essere
interpretato, dal medico avveduto (che pretenda
un rigoroso e razionale algoritmo diagnostico),
quale espressione presumibilmente innocente, relativa a variazione strutturale compensatoria, sviluppatasi nell’ambito di un processo iperplastico,
proprio della tireopatia nodulare gozzigena. Questa patologia benigna iperplasizzante è caratterizzata dalla amplificazione della normale struttura
follicolare, da documentare con rigoroso protocollo
diagnostico.
Nella nostra esperienza di oltre 13.000 lesioni
nodulari, che risale alla nostra pionieristica attivazione di un servizio di citologia agoaspirativa tiroidea istituito sin dal 1982, abbiamo allestito un
sistema informatizzato, di codificazione diagnostica dei quadri citologici tiroidei, inquadrati nelle
seguenti 6 categorie 20.
51
1) Prelievo inadeguato: la quantità di materiale cellulare è insufficiente per esprimere un giudizio diagnostico (il più spesso tale reperto si riferisce a lesioni cistiche necrotico-emorragico e/o alterazioni colloido-cistiche).
2) Campione scarsamente cellulare (per lo
più lesione colloide, con rari tireociti esenti da
atipie).
3) Lesione benigna (iperplasia semplice, lesione
colloide, pseudocisti emorragica, tiroidite).
4) Ipercellularità; quadro da valutare nella sua
evoluzione semeiologica (e/o da ripetere anche sulla base dei rilievi di semeiologia clinica, laboratoristica e strumentale).
5) Proliferazione follicolare: quadro citologico
indeterminato, costituito da eterogenee lesioni, il
più spesso benigne, ma che può comprendere, anche se raramente, lesioni neoplastiche.
6) Carcinoma primitivo (papillifero, follicolare,
midollare, anaplastico), o secondario.
Sulla scorta della nostra vasta casistica, sequenzialmente analizzata nell’arco di oltre venti
anni, ci sentiamo autorizzati a ritenere che l’esame citologico, eseguito mediante prelievo mirato
con ago sottile (FNA), ed ecoguidato, rappresenta
una indagine irrinunciabile da inserire nell’iter
diagnostico, quale sussidio prioritario, per la definizione della natura del substrato lesivo del nodulo tiroideo; infatti l’accertamento citostrutturale:
– rappresenta l’indagine più discriminante, essendo dotato di attendibilità diagnostica nettamente superiore alle metodiche tradizionali;
– nella nostra esperienza dimostra una sensibilità del 93,5%, una specificità del 99,2% ed una
accuratezza diagnostica complessiva del 98,4%;
– i reperti falsamente negativi sono risultati
nello 1,0% dei noduli chirurgicamente esplorati,
ma tale percentuale si riferisce prevalentemente
alla iniziale esperienza su tessuto prelevato senza
l’ausilio del monitoraggio ecografico;
– la proliferazione follicolare: da considerare
potenzialmente maligna; nella nostra casistica si è
rilevato che, alla verifica istologica di questa lesione citologicamente indeterminata, si riscontra il
15,0% di lesioni maligne, confermandosi così il
ruolo determinante della citologia nel selezionare
una popolazione nodulare potenzialmente maligna.
Il principale limite della citodiagnostica tiroidea è rappresentato dalla non disponibilità attuale di elementi citostrutturali specifici che consentano di differenziare la lesione ipercellulare benigna (sostenuta da iperplasia follicolare, o da
adenoma follicolare), da quella maligna, propria
del carcinoma follicolare; ed aspecificamente classificate quale proliferazione follicolare, sostenute
da alterazioni citologicamente non diagnosticabili.
E, d’altronde, la difficoltà nel diagnosticare correttamente la lesione maligna, in questa popolazione
di noduli citologicamente indeterminati, è confermata anche dalla inattendibilità della istologia intraoperatoria.
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Essa, infatti, nella popolazione nodulare chirurgicamente trattata, riconosce solo il 30% dei
carcinomi diagnosticati dall’esame istologico definitivo. Recentemente sono state messe a punto
tecniche immunoistochimiche, e segnatamente il
test della galectina-3, che consentono di identificare la rara lesione carcinomatosa, annidata nel
nodulo tiroideo ma citologicamente non definibile,
e classificata nella anodina categoria delle “proliferazioni follicolari”.
In sintesi, nonostante le iniziali riserve, legate
prevalentemente ad errori metodologici (campionatura inadeguata, inidonea tecnica di allestimento dei vetrini, erronea interpretazione dei reperti citologici),possiamo ritenere che la citologia
agoaspirativa (FNA), soprattutto se eseguita mediante prelievo mirato, assistito dal monitoraggio
ecografico, è da considerare la tecnica ambulatoriale da privilegiare nel concludere l’algoritmo diagnostico, volto a definire il substrato lesivo delle
formazioni nodulari. Per la sua elevata accuratezza diagnostica, la FNA si dimostra pertanto una
metodologia affidabile nella selezione chirurgica
dei noduli sicuramente carcinomatosi, e di quelli
ad elevato rischio di malignità, riducendo drasticamente il numero di interventi, evitando il ricorso all’esplorazione chirurgica non necessaria, per
lesioni nodulari la cui benignità può essere citologicamente definita.
Inoltre, a conferma dei nostri rilievi, l’analisi
delle molteplici casistiche in diversi Paesi, evidenzia che, con l’avvento della citologia preoperatoria
quale affidabile metodologia diagnostica adottata
per la selezione chirurgica dei noduli, si ottiene
una cospicua riduzione del costo per la terapia delle tireopatie, registrandosi una contrazione della
spesa pari al 20%, soprattutto in relazione alla riduzione del numero degli interventi. Pertanto, oltre ai vantaggi clinici e terapeutici, tale procedura
è dotata anche di un rapporto costo/beneficio assai
favorevole.
Oltre che sul piano diagnostico, l’agoaspirazione
può svolgere un ruolo terapeutico di non irrilevante significato, così come già preconizzato sin dal
1861, quando Bryant proponeva la terapia della cisti tiroidea mediante inoculazione di tintura di iodio. Mediante la sclerotizzazione endocavitaria con
tetraciclina da noi pioneristicamente adottata, ed
attualmente eseguita con l’alcolizzazione, si può
prospettare una terapia ambulatoriale incruenta
per il trattamento di lesioni nodulari a struttura
prevalentemente cistica, sicuramente benigne 1,6,13.
La disponibilità delle tecniche di dissezione cellulare al laser consente oggi di poter caratterizzare il patrimonio genetico molecolare del singolo tireocita, identificando nell’ambito della lesione nodulare cloni cellulari dotati di propensione alla
crescita neoplastica 32,33,34. La tempestiva caratterizzazione di tali cloni potrà contribuire alla discriminazione delle lesioni cellulari potenzialmente
maligne annidate in formazioni nodulari, attualmente citologicamente non riconoscibili, per le
quali potrà essere contemplata la rimozione profilattica.
Punti-chiave
• La disomogeneità, morfostrutturale, funzionale e vascolare del tessuto tiroideo può essere esasperata dall’intervento, tireotropinomediato, di molteplici fattori fisiologici, ambientali, dietetici, farmacologici; si accentua
così la normale difformità micro e macroscopica delle strutture lobulari, risultanti dalla
aggregazione di 20-40 follicoli strutturalmente variabili.
• Il rilievo ecografico di circoscritte variazioni
densitometriche, impropriamente definite
“struttura pseudonodulare”, può riflettere la
fisiologica disomogeneità della ghiandola plasticamente impegnata in reazioni adattative
del sistema follicolare e dell’ampio letto vascolare, innescate da fattori che interferiscono con la omeostasi tiroidea.
• Le lesioni citologiche denominate con la terminologia neutra di “proliferazione follicolare”, grazie alle metodologie immunocitochimiche possono essere definite; con il test della
Galectina – 3, dotato di accuratezza diagnostica del 99%, sono riconosciute le lesioni maligne, discriminandole da quelle sicuramente
benigne.
• Deve essere bandita dal lessico diagnostico la
terminologia, equivoca e fuorviante, di “nodulo follicolare”, che può indurre alla irrazionale
proposta della “esplorazione chirurgica”, pur
in assenza di qualsiasi anomalia citologica e/o
di elementi clinici di sospetta malignità.
• L’assetto molecolare del nodulo tiroideo può
essere definito anche per le lesioni pre-cancerose, grazie alle recenti metodologie che consentono l’analisi del patrimonio genetico del
singolo tireocita, isolato o da vetrini citologici o da preparati istologici, mediante la nuova metodologia della dissezione cellulare al
laser (laser capture microdissection).
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Prof. Mario Andreoli
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