Mariantonietta Colozza S.C. Oncologia Azienda Ospedaliera S. Maria, Terni Elisa Minenza S.C. Oncologia Azienda Ospedaliera, Macerata Carcinoma della mammella Diagnosi In uno studio aperto, prospettico, multicentrico a gruppi paralleli, condotto in Inghilterra (Abs n.1) si è valutata l’utilità della RM della mammella nel ridurre la percentuale di re-interventi nelle donne a cui era stato diagnosticato un tumore della mammella con un triplo accertamento comprendente esame obiettivo, radiologia (mammografia ed ecografia) ed istologia o citologia e che erano candidate ad un intervento di escissione ampia. Le pazienti (1623) sono state randomizzate a ricevere o meno la RM. La percentuale di re-interventi (re-escissioni o mastectomie) entro 6 mesi dalla randomizzazione è stata simile nei due bracci. Un intervento di mastectomia che si è dimostrato inutile all’esame istologico è stato effettuato in 16 donne nel braccio della RM e solo in 2 donne nel braccio senza RM. Un numero minore di re-interventi è stato osservato nelle donne di età ≥50 anni rispetto a quelle più giovani. Il 5% delle pazienti è stato sottoposto correttamente a mastectomia ed il 2 % a mastectomia controlaterale per neoplasie diagnosticate con la RM. Complessivamente la RM non ha modificato significativamente la percentuale di re-interventi in questo studio. Non sono state riscontrate differenze significative tra i due gruppi né per qualità della vita a 12 mesi dall’ intervento chirurgico né i costi. In un editoriale di commento viene sottolineato come in questo lavoro la definizione di negatività dei margini chirurgici era molto ampia sia per le forme infiltranti (0,5-5,0 mm) che per quelle in situ (1,0 -10 mm) per cui la RM potrebbe aver aggiunto poco nella definizione dell’area del tumore in questa popolazione. Inoltre lo studio non ha valutato l’incidenza di ripresa di malattia né la sopravvivenza globale (SG) mentre questi dati avrebbero potuto fornire informazioni ulteriori sull’utilità della RM. La percentuale di mastectomie senza un corrispettivo anatomopatologico nel braccio della RM è stata un po’ troppo elevata e scarsamente giustificabile in centri qualificati dove era possibile effettuare anche prelievi bioptici mirati. Anche l’incidenza dei tumori controlaterali diagnosticati con la RM è un po’ più bassa di quella riportata in altri studi e questo potrebbe essere attribuibile o a differenze di incidenza nella popolazione esaminata o a problematiche correlate alla qualità delle immagini radiologiche ed alla loro interpretazione. In uno studio prospettico, multicentrico, osservazionale di coorte (Abs n.2) è stata valutata l’utilità dell’esame clinico, della mammografia, dell’ecografia mammaria e della RM effettuata in centri qualificati, in termini di tumori della mammella diagnosticati e di stadio alla diagnosi. Gli esami venivano eseguiti per lo screening di donne a rischio elevato di tumore della mammella in un periodo di 6 settimane ed erano analizzati sia singolarmente che in varie combinazioni. Sono state arruolate 687 donne asintomatiche ad elevato rischio familiare (≥20% nell’arco della vita) di cui il 9,5% portatrici di una mutazione dei geni BRCA1 o 2 ed il 31% con una storia personale di tumore della mammella. In un sottogruppo di 371 donne venivano effettuati anche un esame clinico ed una ecografia semestrali. Ad un follow-up mediano di 29 mesi sono stati diagnosticati 27 tumori della mammella di cui 11 (41%) carcinomi duttali in situ (DCIS) e 16 (59%) carcinomi invasivi di cui 3 N+. Tutti i tumori erano diagnosticati durante il controllo annuale, non si sono verificati tumori d’intervallo e nessun tumore è stato diagnosticato con l’ecografia semestrale. Il numero dei tumori diagnosticati con l’ecografia e con la mammografia era simile e aumentava anche se in maniera non significativa se i due esami venivano combinati. Il numero di tumori diagnosticati con la RM da sola invece, era significativamente superiore e senza differenze significative se alla RM veniva associata l’ecografia e o la mammografia. Il valore predittivo positivo per la mammografia era 39%, per l’ecografia 36% e per la RM 48%. La RM aveva la sensitività più elevata pari a 92,6%. Pertanto gli autori concludono che nelle donne con rischio di tumore della mammella elevato la RM, di buona qualità ,è in grado di diagnosticare un numero maggiore di tumori in fase preinvasiva ed effettuata con cadenza annuale da sola è l’esame di scelta in quanto le altre metodiche non aggiungono molto. Questo studio presenta però dei limiti tra cui l’eterogeneità della popolazione arruolata con un numero elevato di donne con storia personale di tumore della mammella e con poche donne con mutazione dei geni BRCA1 o 2. Questo potrebbe spiegare l’assenza dei tumori d’intervallo, diagnosticati tipicamente nelle donne portatrici di mutazione dei geni BRCA1 e2. Inoltre il numero di DCIS diagnosticati con la RM è abbastanza elevato a differenza di altri studi e questo potrebbe essere attribuibile al miglioramento delle immagini e della interpretazione delle stesse ma anche alla inclusione di pochi casi di donne con mutazione dei geni BRCA1 e 2 in cui la diagnosi di DCIS è meno frequente Gli autori sottolineano il basso valore predittivo positivo riportato nei primi studi che hanno utilizzato la RM ma vi sono differenze nella definizione dei parametri utilizzati per riportare i risultati tra i vari studi e questo dato è molto importante quando si effettuano dei confronti. In conclusione, è ancora prematuro abbandonare la mammografia come metodo di screening primario per la popolazione in generale e finché la qualità della RM non migliora in tutti i centri e i dati di questo studio non vengono confermati da altri studi nelle donne a rischio elevato, la RM dovrebbe essere utilizzata sempre in combinazione con la mammografia in questa popolazione di donne a rischio elevato. Prognosi In due studi retrospettivi è stata analizzata la prognosi delle donne a cui è stato diagnosticato un tumore della mammella di dimensioni <1 cm, N- , HER2 positivo e che finora non sono state incluse negli studi di terapia adiuvante con trastuzumab. Nel primo (Abs n.3) è stata rivista una ampia casistica di donne con tumori T1a-b N0 M0 diagnosticati tra il 1990 ed il 2002 in un centro negli USA non trattate con chemioterapia e con trastuzumab. Il 10% di 965 donne aveva tumori HER2 positivi e di queste il 43,9% aveva tumori pT1a ed il 31,6% aveva ricevuto una terapia ormonale adiuvante. Per validare i risultati sono state esaminate anche 350 pazienti con le stesse caratteristiche osservate in 2 centri europei. Le pazienti con tumori HER2 positivi rispetto a quelle con tumori HER2 negativi erano più giovani, avevano tumori più piccoli, più indifferenziati e meno frequentemente recettori ormonali (RO) positivi. Ad un follow-up mediano di 74 mesi le pazienti con tumori HER2 positivi avevano una peggiore sopravvivenza libera da riprese (SLR) a 5 anni rispetto a quelle con tumori HER2 negativi. Suddividendo poi le pazienti in 3 gruppi in rapporto allo stato di HER2 e dei RO, quelle con tumori HER2 positivi avevano la prognosi peggiore rispetto a quelle con tumori RO positivi o tripli negativi. Non differenze in SLR per le pazienti con tumori HER2 positivi in rapporto allo stato dei RO. Risultati simili per la sopravvivenza libera da riprese a distanza (SLRD) a 5 anni. Ad una analisi multivariata le pazienti con tumori HER2 positivi avevano un rischio più elevato di ripresa di malattia e di ripresa a distanza rispetto a quelle con tumori HER2 negativi. Se le pazienti venivano suddivise in 3 gruppi in rapporto allo stato di HER2 e dei RO, le pazienti con tumori HER2 positivi avevano un rischio di ripresa 5,09 volte più alto di quello delle pazienti con tumori RO positivi e di ripresa a distanza 7,81 volte più elevato. Solo 21 pazienti (6%) del gruppo di validazione dei 2 centri europei erano HER2 positive ed a 5 anni 10 hanno presentato una ripresa. Nonostante l’esiguità della casistica i risultati sono stati confermati con una SLR a 5 anni significativamente peggiore ed un trend per una peggiore SLRD a 5 anni. Gli autori concludono che i tumori piccoli (T1a e b) HER2 positivi hanno un rischio significativo di ripresa e dovrebbero quindi essere candidati a una terapia adiuvante sistemica anti-HER2. L’altro studio è stato condotto all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano (Abs n.4). E’ stata rivista una casistica di 2130 pazienti consecutive con tumori pT1a-b, N0 tra il 1999 ed il 2006 e di queste 150 (7%) avevano tumori HER2 positivi ed il 53% anche RO positivi. Per ciascuna paziente del gruppo di studio sono state identificate pazienti di pari età, trattate chirurgicamente nello stesso anno, HER2 negative e RO negativi (rapporto 1:1) o RO positivi (rapporto 1:2). Nel gruppo di pazienti con tumori HER2 positivi, nessuna aveva ricevuto trastuzumab mentre una ormonoterapia adiuvante era stata somministrata al 64,6% di quelle con tumori anche RO positivi ed una chemioterapia adiuvante al 42,3% di quelle con tumori RO negativi. Ad un follow-up mediano di 4,6 anni il numero di eventi osservato è stato simile in quelle con RO negativi indipendentemente dallo stato di HER2 mentre in quelle con tumori HER2 positivi e RO positivi il numero di eventi è stato più elevato rispetto a quelle HER2 negative e RO positivi (6 vs 2). Tra le pazienti con tumori ormonoresponsivi, quelle con tumori HER2 positivi hanno presentato una SLM a 5 anni peggiore, con una differenza statisticamente significativa, mentre non si sono osservate differenze significative in quelle con tumori non ormonoresponsivi in rapporto allo stato di HER2. Complessivamente sia nelle pazienti con tumori RO positivi che negativi, l’HR associato con l’aumentata espressione di HER2 era 2,4 (95% CI 0,9-6,5; p=0.09). Non differenze significative in SG. E’ stata effettuata una analisi della SLM in rapporto allo stato di HER2 stratificando però le pazienti in base alle dimensioni del tumore <0,5 e ≥0,5 cm ed allo stato dei RO. Pur con i limiti di una casistica piccola e di un numero di eventi molto basso, la positività di HER2 è stata associata ad una peggiore SLM tranne che nel gruppo di pazienti con tumori pT1a RO positivi. La differenza era però statisticamente significativa solo nel gruppo di tumori pT1b RO positivi. Sono stati analizzati anche gli eventi nelle donne che ricevevano chemioterapia e/o endocrinoterapia. Per le pazienti con tumori HER2 positivi non si sono osservate differenze significative nella percentuale di eventi in rapporto alla somministrazione o meno della chemioterapia mentre per quelle con tumori anche endocrinoresponsivi la somministrazione della ormonoterapia ha determinato una riduzione significativa del numero di eventi. Gli autori concludono che le pazienti con tumori piccoli, N0 anche se HER2 positivi hanno un basso rischio di ripresa a 5 anni di follow-up ma quelle con RO positivi hanno una peggiore SLM. Le differenze del rischio di ripresa riportate nei due studi non sono ben chiare. Entrambi gli studi sono stati condotti in una singola istituzione, sono retrospettivi, con casistiche esigue e con un follow-up relativamente breve. I risultati migliori osservati nello studio italiano potrebbero essere attribuiti ad una percentuale più elevata di pazienti con tumori pT1a (56,6% vs 43,9%) ed all’utilizzo di terapie sistemiche adiuvanti (chemioterapia ed ormonoterapia) in una percentuale più elevata di donne. A tutt’oggi non ci sono evidenze dirette che il trastuzumab possa ridurre il rischio di riprese in questo sottogruppo di pazienti ma vi sono consistenti evidenze indirette anche se sono ancora molti i quesiti aperti: 1) le dimensioni del tumore nell’ambito di quelli <1 cm possono condizionare l’entità del rischio di ripresa di malattia? 2) quali regimi di chemioterapia andrebbero utilizzati in queste pazienti? 3) quale è la durata ottimale del trastuzumab? 4) in quali pazienti con tumori ormonoresponsivi potrebbe essere sufficiente una terapia con trastuzumab ed ormonoterapia? Terapia locoregionale Chirurgia Nonostante una aumentata richiesta da parte delle pazienti negli USA di una mastectomia profilattica controlaterale i benefici in termini di riduzione della mortalità per tumore della mammella non erano ben definiti. Pertanto in uno studio di popolazione condotto negli USA (Abs n.5) è stato utilizzato il data-base del Surveillance Epidemiology and End Results e sono state identificate 107.106 donne con tumore della mammella stadio I-III sottoposte ad intervento di mastectomia tra il 1998 ed il 2003 e tra queste, 8902 che avevano effettuato una mastectomia profilattica controlaterale (MPC). Le pazienti che si erano sottoposte a MPC erano più giovani, avevano un tumore della mammella in stadio più iniziale, ed erano più spesso di razza bianca non ispanica rispetto alle altre. All’analisi univariata la MPC ha migliorato significativamente il tasso di sopravvivenza specifica per malattia (HR di morte=0,63;p<0.001). Le altre variabili associate con questa sopravvivenza erano lo stadio della malattia, lo stato dei linfonodi, il grado di differenziazione del tumore, lo stato degli ER, la razza e/o l’etnicità, l’istologia e l’età. Nel modello di Cox la MPC rimaneva associata con un miglioramento della sopravvivenza specifica per malattia. All’analisi multivariata le stesse variabili suddescritte rimanevano significativamente associate con un miglioramento della sopravvivenza specifica per malattia. Tenendo conto dell’importanza dell’età nella scelta della MPC, dello stadio della malattia nel condizionare la sopravvivenza e dell’importanza dello stato degli ER nella selezione di terapie ormonali adiuvanti le pazienti sono state stratificate in base a questi fattori di rischio. Si è osservata una riduzione del rischio di mortalità per il tumore della mammella nelle donne che avevano alla diagnosi un’età < 50 anni, uno stadio di malattia più iniziale (I e II) e tumori ER negativi con un aumento della sopravvivenza a 5 anni specifica per tumore della mammella di 4,8% mentre nessun vantaggio in quelle con tumori ER positivi. Nelle donne di età >60 anni non si è osservata alcuna riduzione della mortalità per tumore della mammella con la MPC mentre per quelle di età compresa tra i 50 ed i 59 anni una riduzione della mortalità specifica per tumore della mammella è stata ottenuta in quelle con tumori in stadio più iniziale ed ER negativi ed in quelle con stadi di malattia più avanzati ma con tumori ER positivi. Questi risultati possono essere espressione di una vera associazione con la MPC ma anche influenzati da variabili correlate allo stato di salute delle donne in questa fascia di età. Gli autori hanno anche analizzato le percentuali di tumori della mammella controlaterali nelle donne giovani, con tumori in stadi iniziali ed ER negativi. In queste donne è stata osservata una riduzione significativa dei tumori controlaterali con la MPC con una percentuale simile a quella osservata nelle pazienti con le stesse caratteristiche ma con tumori ER positivi. In queste ultime la percentuale di tumori controlaterali in assenza di MPC era comunque molto bassa verosimilmente per l’impiego di terapie ormonali adiuvanti che ne possono dimezzare il rischio. Radioterapia Sono stati riportati i risultati a lungo termine di uno studio canadese (Abs n.6) in cui 1234 pazienti sottoposte ad intervento di chirurgia conservativa per un tumore della mammella con margini liberi e linfonodi ascellari negativi sono state randomizzate a ricevere radioterapia sulla mammella a dosi standard in 5 settimane o radioterapia accelerata ed ipofrazionata (42,5 Gy in 16 frazioni in 3 settimane). Ad un follow-up mediano di 12 anni non sono state osservate differenze nel rischio di recidive locali né in sopravvivenza, né nel risultato cosmetico che comunque peggiorava nel tempo in entrambi i gruppi. In una analisi per sottogruppi non pianificata l’ipofrazionamento potrebbe essere meno efficace in presenza di tumori con grading elevato. Lo studio ha comunque delle limitazioni, erano escluse le pazienti con tumori grandi (>5 cm), con seni grandi, poche pazienti erano state trattate con chemioterapia adiuvante e nessuna paziente aveva ricevuto il boost di radioterapia sul letto tumorale. In ogni caso i risultati confermano quelli di altri 2 studi inglesi (STAR A e STAR B) con un follow-up più breve in cui venivano arruolate anche pazienti N+ e trattate con chemioterapia adiuvante in percentuale maggiore. Una radioterapia ipofrazionata potrebbe essere più pratica per le pazienti e meno costosa e quindi più utilizzata (circa il 30% delle pazienti trattate con chirurgia conservativa nel Nord America infatti non ricevono la radioterapia). Terapia sistemica Ormonoterapia Per le pazienti con tumore della mammella esisterebbe una chiara correlazione tra i polimorfismi del gene Cyp2D6 e i risultati clinici ottenuti con tamoxifene. Gli effetti antiproliferativi del tamoxifene in modelli di tumori della mammella sono mediati dai suoi metaboliti 4idrossitamoxifene ed endoxifene. Quest’ultimo è formato prevalentemente dall’enzima citocromo 450 2D6 (CYP2D6). Uno studio multicentrico (Abs n. 7) condotto analizzando i dati di pazienti raccolte retrospettivamente e prospetticamente ha messo in evidenza che la presenza di due alleli funzionali del gene codificante il citocromo P450 2D6 sarebbe associata ad un miglioramento dei risultati clinici ottenuti con tamoxifene rispetto a quelli osservati nel caso in cui gli alleli hanno funzionalità ridotta o assente. Attraverso analisi genetiche, 1325 pazienti prevalentemente in postmenopausa (95,4%) con tumori mammari stadio I-III ormonoresponsivi trattate con tamoxifene per 5 anni e non con chemioterapia sono state classificate sulla base del metabolismo Cyp2D6: molto attivo, eterozigote (estensivo/intermedio) o ridotto. Rispetto alle pazienti con elevato metabolismo Cyp2D6, è stato osservato un significativo incremento del rischio di recidive per quelle eterozigoti (HR=1,40) e con attività metabolica ridotta (HR=1,90). In aggiunta, una funzionalità estensiva/intermedia e ridotta rispetto a quella elevata sono risultate associate a una peggiore SLE (HR=1,33) e SLM (HR=1,29), seppure non siano state registrate differenze nel tasso di mortalità generale (HR=1,15). I farmaci che inibiscono il CYP2D6 come ad esempio gli antidepressivi inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) potrebbero ridurre l’efficacia di tamoxifene nel prevenire le riprese di carcinoma della mammella. I SSRI sono utilizzati in circa il 30% delle pazienti con tumore della mammella per il trattamento della depressione o delle vampate di calore. Pochi studi pubblicati, molti dei quali con potere statistico non adeguato, hanno valutato l’effetto dei SSRI sulla risposta a tamoxifene con risultati non univoci. La minore efficacia di tamoxifene potrebbe anche essere correlata con una scarsa aderenza della paziente al trattamento e questo potrebbe essere più frequente in quelle trattate con antidepressivi. In uno studio osservazionale condotto in Olanda (Abs n.8) utilizzando un database di anatomia patologica sono state identificate le pazienti sottoposte ad intervento per tumore della mammella tra il 1994 e il 2006 e tra queste sono state selezionate 1962 pazienti trattate con terapia adiuvante con tamoxifene utilizzando un database farmaceutico di comunità da dove era possibile estrapolare anche l’utilizzo di altri farmaci. L’uso concomitante di nove inibitori del CYP2D6 classificati in base alla loro potenza in potenti, moderati e deboli ed utilizzati per almeno 60 giorni è stato analizzato nelle pazienti trattate con tamoxifene. Un inibitore del CYP2D6 è stato prescritto a 213 pazienti (10,9%) e di queste a 150 pazienti (7,6%) per >60 giorni. Inibitori potenti del CYP2D6, soprattutto fluoxetina e paroxetina, sono stati utilizzati da 110 pazienti. Lo studio ha analizzato anche l’aderenza al trattamento con tamoxifene che è stata del 93% nel 1° anno per scendere all’84% dopo 3 anni. L’aderenza era significativamente inferiore nelle pazienti che assumevano SSRI potenti. Non differenze nel tempo libero da eventi (TLE) calcolato dalla prima prescrizione di tamoxifene alla comparsa del primo evento correlato alla neoplasia mammaria (recidiva loco regionale o a distanza o secondo tumore della mammella) nelle pazienti trattate o meno con inibitore del CYP2D6. La scarsa aderenza a tamoxifene era associata invece ad un peggiore TLE anche all’analisi multivariata aggiustata per dimensioni del tumore, stato linfonodale, grado di differenziazione, stato dei RO, anno della diagnosi e utilizzo concomitante di SSRI. I risultati di questo studio non evidenziano alcun effetto dei SSRI sull’efficacia di tamoxifene ma occorre cautela nel prescriverli anche perché al meeting della Società Americana di Oncologia del 2009 sono stati presentati i risultati di un altro studio che ha evidenziato un rischio di ripresa di malattia 2 volte più elevato nelle pazienti trattate con tamoxifene e un SSRI. Questo studio osservazionale inoltre è il primo che ha mostrato una correlazione tra scarsa aderenza alla terapia con tamoxifene e peggioramento del TLE nonostante l’aderenza al trattamento fosse complessivamente buona. Segnaliamo anche una revisione recente (Abs n.9) dei dati pubblicati sul metabolismo di tamoxifene e le evidenze che correlano lo stato del CYP2D6 con i risultati ottenuti nelle pazienti trattate con tamoxifene. Gli autori forniscono anche una guida sull’utilizzo di farmaci che inibiscono il CYP2D6 nelle pazienti che assumono tamoxifene. Chemioterapia In uno studio randomizzato 1500 donne con tumore della mammella operato N+ ed N- ad alto rischio, sono state randomizzate a ricevere un regime chemioterapico con docetaxel e capecitabina x 3 cicli seguito da ciclofosfamide, epirubicina e capecitabina x 3 cicli o un regime standard con docetaxel x 3 cicli seguito da FEC x 3 cicli (Abs n.10). Le caratteristiche basali delle pazienti erano ben bilanciate fra i due gruppi con il 90% con tumori N+ ed il 19% HER2 positivi. Per queste ultime dal 2005 è stato autorizzato l’utilizzo di trastuzumab. Ad un follow-up mediano di 35 mesi la SLR era significativamente superiore con il regime sperimentale anche quando le pazienti trattate con trastuzumab venivano escluse. L’incidenza di tumori della mammella controlaterale e di altri tumori è stata simile nei due bracci di trattamento. La SLM (che includeva i tumori della mammella controlaterali e i secondi tumori) è stata significativamente più lunga con il regime contenente capecitabina. In una analisi esploratoria per sottogruppi, non pianificata, il vantaggio in SLR è stato osservato in tutti tranne in quello delle pazienti con tumori HER2 positivi. La tossicità osservata con i due regimi è stata diversa con una incidenza più elevata di sindrome mano-piedi di grado 3 e 4, diarrea, alterazioni ungueali e stomatite con il regime sperimentale, mentre la neutropenia, la neutropenia febbrile, le infezioni con neutropenia, l’amenorrea e le mialgie sono state più frequenti con il regime standard. Sono state osservate 4 morti verosimilmente correlate al trattamento con il regime sperimentale e 2 con il regime standard. Il trattamento è stato completato dal 96% delle pazienti assegnate al trattamento standard e dal 75% di quelle trattate con il regime sperimentale. Gli autori concludono che l’aggiunta della capecitabina ad un regime contenente antraci cline e taxani determina una riduzione del rischio di ripresa sostanziale e pari o superiore a quello ottenuta con l’aggiunta dei taxani ai regimi di chemioterapia adiuvante anche se con una tossicità maggiore. Il risultato deve comunque essere confermato da altri studi in corso. In uno studio francese 3010 pazienti con tumore della mammella operato N+ sono state randomizzate a ricevere 6 cicli di FE100C o 6 cicli di docetaxel ed epirubicina (Abs n.11). Le pazienti con malattia HER2 positiva (528) venivano ri-randomizzate a nessun trattamento o trastuzumab per 1 anno al termine della chemioterapia e dell’eventuale radioterapia. Ventisei pazienti delle 260 randomizzate a ricevere trastuzumab non lo ha ricevuto e 38 lo hanno ricevuto per un periodo inferiore a 6 mesi. Ad un follow-up mediano di 47 mesi la somministrazione di trastuzumab in sequenza ad un trattamento chemioterapico ha determinato una riduzione non significativa del rischio di ripresa (14%) con una SLM a 3 anni del 77.9% nel braccio osservazionale e del 80.9% nel braccio del trastuzumab. Non differenze nel rischio di morte tra i due bracci. Questo è il primo studio che non ha evidenziato vantaggi con l’uso di trastuzumab come trattamento adiuvante. Tra le varie ipotesi formulate per spiegare questi risultati: l’esiguità della casistica, la percentuale di pazienti che non ha ricevuto il farmaco anche se le considerazioni statistiche non sembrano giustificare questa ipotesi, la modalità di somministrazione sequenziale del trastuzumab che comunque nello studio HERA ha determinato vantaggi significativi. In un altro studio europeo (FinHer) 1010 pazienti con tumore della mammella operato N+ ed N- ad alto rischio (T >2 cm e PgR negativo), sono state randomizzate a ricevere una chemioterapia adiuvante con docetaxel o vinorelbina per 3 cicli seguiti in entrambi i gruppi da FE60C per 3 cicli (Abs n.12). Le donne con tumori HER2 positivi (232) venivano ri-randomizzate a ricevere o no trastuzumab settimanalmente per 9 settimane in combinazione con docetaxel o vinorelbina. Ad un follow-up mediano di 62 mesi si è osservato un miglioramento statisticamente significativo della sopravvivenza libera da metastasi a distanza (SLMD) con il regime docetaxel seguito da FEC (HR=0.66,p=0.010) anche nel sottogruppo delle pazienti N+ e un miglioramento non significativo della SG. L’aggiunta del trastuzumab alla chemioterapia nelle pazienti HER2 positive ha determinato un miglioramento della SLMD ma la significatività statistica veniva raggiunta solo quando l’analisi della sopravvivenza veniva aggiustata per la presenza di un numero maggiore di donne N+ nel braccio del trastuzumab. Il trattamento con trastuzumab è stato ben tollerato, si è osservato un solo caso di scompenso cardiaco e la frazione di eiezione è rimasta stabile durante i 5 anni dello studio in tutte le pazienti. In uno studio di fase III, randomizzato a gruppi paralleli sono state arruolate donne in postmenopausa con tumori della mammella N+ e RO+ per valutare l’utilità dell’aggiunta della chemioterapia (regime CAF x 6 cicli) a tamoxifene, e la migliore modalità di somministrazione di tamoxifene con la chemioterapia (sequenza vs concomitanza) (Abs n.13). Sono state analizzate 1477 donne delle 1558 randomizzate. Ad un follow-up mediano di circa 9 anni la combinazione di chemioterapia e tamoxifene ha migliorato significativamente la SLM mentre solo marginalmente la SG. In una analisi per sottogruppi, non pianificata, in rapporto all’età (≥65 vs <65), all’intervallo dalla chirurgia (>6 vs <6 settimane), al tipo di chirurgia, allo stato dei PgR, alle dimensioni del T(≥5 vs <5 cm), all’etnicità (neri vs non neri), al numero dei linfonodi ascellari metastatici (1-3 vs ≥4), alla precedente terapia con estrogeni il vantaggio in SLM con la chemio ed ormonoterapia è stato evidenziato in tutti i sottogruppi anche se maggiormente nelle donne di età <65 anni ed in quelle con ≥4 linfonodi ascellari. La somministrazione sequenziale di chemioterapia e tamoxifene è risultata superiore alla modalità combinata ma senza raggiungere la significatività statistica. La neutropenia, la stomatite, il tromboembolismo, lo scompenso cardiaco e le leucemie erano più frequenti con il trattamento combinato. Gli autori concludono quindi che per le pazienti con le caratteristiche di quelle inserite nello studio una chemioterapia con il regime CAF x 6 cicli seguito da tamoxifene x 5 anni è superiore a tamoxifene ma potrebbe essere utile identificare sottogruppi di pazienti per le quali la chemioterapia potrebbe essere omessa. In effetti un beneficio assoluto in SG del 5% è sufficiente a giustificare l’utilizzo di una chemioterapia in aggiunta alla terapia ormonale nelle pazienti N+, RO+ ma bisogna considerare che il 95% delle pazienti non ne trae vantaggio e viene comunque esposta agli effetti collaterali della chemioterapia. In uno studio traslazionale (Abs n.14) sono stati raccolti campioni di tumori delle pazienti randomizzate nello studio di terapia adiuvante sopradescritto. Per 367 tumori (40% delle pazienti arruolate nello studio principale) è stato possibile effettuare una RT-PCR e quindi valutare il profilo genico utilizzando l’oncotype Dx che permette di analizzare su tessuto in paraffina l’espressione di 21 geni e calcolare un punteggio di ripresa di malattia (RS) per ogni singolo tumore. Il test era già stato utilizzato per definire la prognosi delle pazienti con tumori N- e RO+ trattate con tamoxifene e in uno studio per predire l’efficacia dell’aggiunta al tamoxifene di una chemioterapia con il regime CMF sempre in pazienti N- e RO+. Il sottogruppo di pazienti analizzate in questo studio era rappresentativo di quelle inserite nello studio di terapia adiuvante per l’età, l’etnicità, lo stato del PgR, e la durata del follow-up, mentre avevano un numero di linfonodi ascellari positivi più basso e tumori più piccoli. Il vantaggio in SLM ottenuto con il CAF seguito da tamoxifene rispetto a tamoxifene in questo sottogruppo era simile a quello dello studio principale dopo aver effettuato degli aggiustamenti per il numero dei linfonodi ascellari interessati. Simile anche la SG. Il RS era prognostico per la SLM nel gruppo di pazienti trattate con solo tamoxifene stratificate per il numero dei linfonodi positivi. Un vantaggio in SLM è stato osservato con il CAF seguito da tamoxifene nelle paziente con RS alto (≥31) che rappresentano meno di un terzo delle pazienti ma non in quelle con RS basso (<18) ed intermedio. Questo beneficio persiste nel tempo anche dopo i 5 anni. Risultati simili sono stati ottenuti per la SG. Il rischio di eventi a 10 ed a 5 anni per la SLM è stato analizzato valutando il RS in maniera lineare, il trattamento, ed il numero dei linfonodi. L’effetto del RS sul trattamento non è costante nel tempo, predice il beneficio della chemioterapia solo nei primi 5 anni anche se il beneficio cumulativo della chemioterapia persiste comunque fino a 10 anni. Risultati simili sono stati ottenuti per la SG e per la sopravvivenza specifica per tumore della mammella. Una interazione significativa tra il test genetico ed i benefici della chemioterapia veniva mantenuta anche dopo aggiustamenti per i fattori standard tranne che per l’espressione degli ER valutati con il punteggio di Allred anche perché i geni per gli ER sono inclusi tra i 21 geni del test genetico. Una correlazione negativa modesta è stata evidenziata tra l’espressione degli ER sec Allred e il RS sebbene alcuni tumori con elevata espressione degli ER hanno un RS alto (18%). In conclusione da questo studio emerge che le pazienti in postmenopausa N+ con un RS basso non sembrano beneficiare dall’aggiunta alla ormonoterapia di un regime contenente antracicline mentre quelle con un RS elevato avrebbero i maggiori benefici indipendentemente dal numero dei linfonodi. Terapia neoadiuvante In uno studio di fase III multicentrico 235 pazienti con tumore della mammella localmente avanzato o infiammatorio HER2 positivo sono state randomizzate a ricevere chemioterapia da sola o chemioterapia più trastuzumab (Abs n.15). E’ stato prospetticamente analizzato anche un gruppo parallelo osservazionale di 99 pazienti con le stesse caratteristiche ma HER2 negative trattate con la stessa chemioterapia. Il regime chemioterapico prevedeva la somministrazione sequenziale di doxorubicina e paclitaxel x3 cicli, paclitaxel x4 cicli e CMF (die 1° e 8°) x 3 cicli. Il trastuzumab veniva somministrato ogni 3 settimane in combinazione con la chemioterapia e poi come trattamento adiuvante fino a completare 1 anno di trattamento. L’obiettivo principale dello studio era la SLE mentre gli obiettivi secondari: la percentuale di risposte patologiche complete (pCR) nella mammella e nella mammella e nei linfonodi, le risposte cliniche, la SG. Le pazienti con tumori HER2 negativi avevano meno mastiti carcinomatose e meno tumori RO negativi ed erano un po’ più giovani di quelle con tumori HER2 positivi. Ad un follow-up mediano di 3,2 anni la SLE a 3 anni nel gruppo di pazienti con tumori HER2 positivi è stata del 71% in quelle trattate con trastuzumab e del 56% in quelle senza trastuzumab con una riduzione del rischio di ripresa, progressione o morte del 41% con l’aggiunta del trastuzumab. Questo beneficio è stato evidenziato in tutti i sottogruppi compreso quello delle pazienti con mastite carcinomatosa. Non si sono invece osservate differenze significative in SG anche se gli eventi osservati sono ancora pochi ed il 17% delle pazienti randomizzate nel braccio senza trastuzumab hanno comunque ricevuto il farmaco come terapia adiuvante. La SLE delle pazienti con tumori HER2 positivi non trattate con trastuzumab era simile a quella delle pazienti con tumori HER2 negativi trattate con la stessa chemioterapia. La percentuale di pCR sia nella mammella che nella mammella e nei linfonodi è stata significativamente superiore nel gruppo di pazienti trattate con trastuzumab. Gli effetti collaterali sono stati simili nei tre gruppi con nessun aumento di eventi non cardiaci di grado 3 e 4 nel gruppo trattato con trastuzumab. Durante il trattamento con trastuzumab 2 pazienti (2%) hanno presentato una riduzione asintomatica della frazione di eiezione del ventricolo sinistro (LVEF) di grado 2 e 2 pazienti (2%) uno scompenso cardiaco congestizio reversibile di grado 3. Sulla base di questi risultati la somministrazione di trastuzumab in pazienti con tumori localmente avanzati o infiammatori HER2 positivi dovrebbe essere presa in considerazione. In un altro studio multicentrico di fase III (Abs n.16) pazienti (1509) con tumori della mammella localmente avanzati e N+ indipendentemente dallo stato dei recettori ormonali sono state trattate con chemioterapia con il regime EC per 4 cicli e poi randomizzate a ricevere docetaxel per 4 cicli da solo o con capecitabina in combinazione o in sequenza. Le pazienti (445) con malattia HER2 positiva ricevevano trastuzumab in concomitanza con la chemioterapia ogni 3 settimane. La percentuale di pCR (assenza di tumore invasivo o in situ nella mammella) è stata più elevata nelle pazienti con tumori HER2 positivi (31,7%) rispetto a quelle con tumori HER2 negativi (15,7%) con un’ ulteriore percentuale di pazienti che presentavano malattia residua solo in situ nella mammella con o senza interessamento dei linfonodi (14,2% vs 5,2%). Complessivamente il 40% delle pazienti HER2 positive presentava assenza di tumore invasivo nella mammella con linfonodi ascellari negativi. Non differenze significative nella percentuale di pCR nelle pazienti con tumori HER2 positivi in rapporto al regime di chemioterapia utilizzato. Nelle pazienti con malattia HER2 positiva giudicata stazionaria dopo i primi 4 cicli di chemioterapia con il regime EC si è ottenuta una percentuale di pCR (16,6%) con il prosieguo del trattamento 5 volte superiore a quella delle pazienti con malattia HER2 negativa. La neutropenia febbrile e la congiuntivite di grado 3 e 4 sono state più frequenti nelle pazienti trattate con chemioterapia e trastuzumab mentre la tossicità cardiaca acuta è stata simile nei due gruppi. Tre pazienti sono morte per sepsi nel gruppo trattato con la sola chemioterapia. Non differenze neppure nella percentuale di pazienti trattate con chirurgia conservativa nei due gruppi (HER2 positive e negative). Anche questo studio conferma l’efficacia della combinazione di una chemioterapia neoadiuvante con un regime contenente antracicline e taxani con trastuzumab con una tossicità cardiaca accettabile. Una riduzione persistente della frazione di eiezione del ventricolo sinistro <50% è stata osservata solo in una paziente. Questo studio è sicuramente lo studio prospettico con la casistica più ampia in cui è stato utilizzato un regime chemioterapico standard in combinazione con trastuzumab ma non è uno studio randomizzato. Inoltre, una valutazione centralizzata dello stato di HER2 è stata effettuata solo nelle pazienti con HER2 2+ ed stata utilizzata una definizione di pCR in cui i linfonodi potevano essere positivi ma nella mammella non doveva essere presente neppure il carcinoma in situ. Terapia della malattia metastatica In uno studio randomizzato di fase III, multicentrico, aperto, 296 pazienti con tumore della mammella metastatico in progressione con un regime comprendente trastuzumab sono state randomizzate a ricevere lapatinib in monoterapia o una combinazione di lapatinib e trastuzumab (Abs n.17). Un effetto sinergico di questa combinazione era stato dimostrato in studi preclinici in linee cellulari HER2 positive. Le pazienti randomizzate nel braccio del lapatinib potevano ricevere la terapia di combinazione se presentavano una progressione di malattia dopo almeno 4 settimane. Le caratteristiche delle pazienti erano ben bilanciate tra i due gruppi, il tempo mediano dalla diagnosi alla comparsa delle lesioni metastatiche era 2 anni, la maggioranza (73%) presentava metastasi viscerali. In entrambi i gruppi erano stati somministrati in media 3 regimi con trastuzumab per la malattia metastatica. Il 49% delle pazienti randomizzate nel braccio del lapatinib ha effettuato il cross-over. La terapia di combinazione ha migliorato significativamente la sopravvivenza libera da progressione (SLP) (12,0 vs 8,1 settimane) con una percentuale di pazienti libere da progressione a 6 mesi quasi doppia (28% vs 13%). Non differenze significative nella percentuale di risposte obiettive ma aumento significativo della percentuale di beneficio clinico con la terapia di combinazione. Si è osservato un miglioramento della SG con la terapia di combinazione anche se i dati non sono ancora maturi. Le pazienti con migliore performance status, con minore numero di sedi metastatiche e senza metastasi ossee presentavano una migliore SLP e SG. Le pazienti con metastasi viscerali o ossee erano quelle che presentavano una più lunga SLP con la terapia di combinazione. La maggior parte delle pazienti che aveva effettuato il cross-over dal lapatinib alla terapia di combinazione ha comunque presentato una progressione o è morta al momento dell’analisi dei dati. L’incidenza degli effetti collaterali prevalentemente di grado I e II è stata simile nei due bracci con un aumento significativo solo della diarrea di grado 1 e 2 nel braccio della combinazione. L’incidenza di eventi cardiaci sintomatici ed asintomatici è stata bassa (2% e 3,4% rispettivamente con la terapia di combinazione e 0,7% e 1,4% nel braccio della monoterapia). La combinazione dei due farmaci determinando un blocco più completo delle vie di segnale di HER2 ha migliorato significativamente la SLP in pazienti pretrattate con diverse linee di chemioterapia e trastuzumab con un profilo di tossicità accettabile. Bibliografia 1. Turnbull L, Brown S, Harvey I et al. Comparative effectiveness of MRI in breast cancer (COMICE) trial: a randomized controlled trial Lancet 2010, 375: 563-571. BACKGROUND: MRI might improve diagnosis of breast cancer, reducing rates of reoperation. We assessed the clinical efficacy of contrast-enhanced MRI in women with primary breast cancer. METHODS: We undertook an open, parallel group trial in 45 UK centres, with 1623 women aged 18 years or older with biopsy-proven primary breast cancer who were scheduled for wide local excision after triple assessment. Patients were randomly assigned to receive either MRI (n=816) or no further imaging (807), with use of a minimisation algorithm incorporating a random element. The primary endpoint was the proportion of patients undergoing a repeat operation or further mastectomy within 6 months of random assignment, or a pathologically avoidable mastectomy at initial operation. Analysis was by intention to treat. This study is registered, ISRCTN number 57474502. FINDINGS: 816 patients were randomly assigned to MRI and 807 to no MRI. Addition of MRI to conventional triple assessment was not significantly associated with reduced a reoperation rate, with 153 (19%) needing reoperation in the MRI group versus 156 (19%) in the no MRI group, (odds ratio 0.96, 95% CI 0.75-1.24; p=0.77). INTERPRETATION: Our findings are of benefit to the NHS because they show that MRI might be unnecessary in this population of patients to reduce repeat operation rates, and could assist in improved use of NHS services. FUNDING: National Institute for Health Research's Health Technology Assessment Programme. Copyright 2010 Elsevier Ltd. All rights reserved. 2. Kuhl C, Weigel S,Schrading S, et al. Prospective multicenter cohort study to refine management recommendations for women at elevated familial risk of breast cancer: the EVA trial J Clin Oncol 2010, 28:1450-1457. PURPOSE: We investigated the respective contribution (in terms of cancer yield and stage at diagnosis) of clinical breast examination (CBE), mammography, ultrasound, and quality-assured breast magnetic resonance imaging (MRI), used alone or in different combination, for screening women at elevated risk for breast cancer. METHODS: Prospective multicenter observational cohort study. Six hundred eighty-seven asymptomatic women at elevated familial risk (> or = 20% lifetime) underwent 1,679 annual screening rounds consisting of CBE, mammography, ultrasound, and MRI, read independently and in different combinations. In a subgroup of 371 women, additional half-yearly ultrasound and CBE was performed more than 869 screening rounds. Mean and median follow-up was 29.18 and 29.09 months. RESULTS: Twenty-seven women were diagnosed with breast cancer: 11 ductal carcinoma in situ (41%) and 16 invasive cancers (59%). Three (11%) of 27 were node positive. All cancers were detected during annual screening; no interval cancer occurred; no cancer was identified during half-yearly ultrasound. The cancer yield of ultrasound (6.0 of 1,000) and mammography (5.4 of 1,000) was equivalent; it increased nonsignificantly (7.7 of 1,000) if both methods were combined. Cancer yield achieved by MRI alone (14.9 of 1,000) was significantly higher; it was not significantly improved by adding mammography (MRI plus mammography: 16.0 of 1,000) and did not change by adding ultrasound (MRI plus ultrasound: 14.9 of 1,000). Positive predictive value was 39% for mammography, 36% for ultrasound, and 48% for MRI. CONCLUSION: In women at elevated familial risk, quality-assured MRI screening shifts the distribution of screendetected breast cancers toward the preinvasive stage. In women undergoing quality-assured MRI annually, neither mammography, nor annual or half-yearly ultrasound or CBE will add to the cancer yield achieved by MRI alone. 3. Gonzales-Angulo AM, Litton JK, Broglio KR et al. High risk of recurrence for patients with breast cancer who have human epidermal growth factor receptor 2-positive, node-negative tumors 1 cm or smaller J Clin Oncol 2009, 27:5700-5706. PURPOSE: To evaluate the risk of recurrence in women diagnosed with T1a and T1b, nodenegative, human epidermal growth factor receptor 2 (HER2) -positive breast cancer. METHODS: We reviewed 965 T1a,bN0M0 breast cancers diagnosed at our institution between 1990 and 2002. Dedicated breast pathologists confirmed HER2 positivity if 3+ by immunohistochemistry or if it had a ratio of 2.0 or greater by fluorescence in situ hybridization (FISH). Patients who received adjuvant chemotherapy or trastuzumab were excluded. Kaplan-Meier product was used to calculate recurrence-free survival (RFS) and distant recurrence-free survival (DRFS). Cox proportional hazard models were fit to determine associations between HER2 status and survival after adjustment for patient and disease characteristics. Additionally, 350 breast cancers from two other institutions were used for validation. RESULTS: Ten percent of patients had HER2-positive tumors. At a median follow-up of 74 months, there were 72 recurrences. The 5-year RFS rates were 77.1% and 93.7% in patients with HER2-positive and HER2-negative tumors, respectively (P < .001). The 5-year DRFS rates were 86.4% and 97.2% in patients with HER2-positive and HER2-negative tumors, respectively (P < .001). In multivariate analysis, patients with HER2-positive tumors had higher risks of recurrence (hazard ratio [HR], 2.68; 95% CI, 1.44 to 5.0; P = .002) and distant recurrence (HR, 5.3; 95% CI, 2.23 to 12.62; P < .001) than those with HER2-negative tumors. Patients with HER2positive tumors had 5.09 times (95% CI, 2.56 to 10.14; P < .0001) the rate of recurrences and 7.81 times (95% CI, 3.17 to 19.22; P < .0001) the rate of distant recurrences at 5 years compared with patients who had hormone receptor-positive tumors. CONCLUSION: Patients with HER2-positive T1abN0M0 tumors have a significant risk of relapse and should be considered for systemic, antiHER2, adjuvant therapy. 4. Curigliano G, Viale G, Bagnardi V, et al. Clinical relevance of HER2 overexpression/amplification in patients with small tumor size and node-negative breast cancer. J Clin Oncol 2009, 27:5693-5699. PURPOSE: To assess the prognostic role of HER2 overexpression/amplification in patients with node-negative, pT1a-b breast cancers. PATIENTS AND METHODS: All patients with HER2-positive breast cancer were identified among a population of 2,130 patients whose diseases were staged as pT1a-b, pN0 and who underwent surgery at the European Institute of Oncology from 1999 to 2006. A matched cohort was selected by using variables of hormone receptor status, age, and year of surgery. We estimated rates of local and distant recurrence, disease-free survival (DFS), and overall survival (OS) in the two groups. RESULTS: We identified 150 consecutive patients with pT1a-b, pN0, HER2-positive tumors. No patient received adjuvant trastuzumab. The median follow-up was 4.6 years (range, 1.0 to 9.0 years). In the hormone receptor-positive group, 5-year DFS rates were 99% (95% CI, 96% to 100%) for HER2-negative disease and 92% (95% CI, 86% to 99%) for HER2positive disease. In the hormone receptor-negative group, 5-year DFS rates were 92% (95% CI, 84% to 100%) for HER2-negative disease and 91% (95% CI, 84% to 99%) for HER2-positive disease. Overall, the hazard ratio (HR) associated with HER2 overexpression was 2.4 (95% CI, 0.9 to 6.5; P = .09). After analysis was adjusted for pT1 stage, hormone receptor-positive disease with HER2-positive status was associated with a worse prognosis (HR, 5.1; 95% CI, 1.0 to 25.7). OS in HER2-positive, pT1a-b, pN0 breast cancer was similar irrespective of the hormone receptor status (P = .93). CONCLUSION: Patients with node-negative, HER2 positive, pT1a-b breast cancer have a low risk of recurrence at 5 years of follow-up. In patients with hormone receptor-positive disease and pT1a-b, N0 tumors, HER2 overexpression was associated with a worse DFS. 5. Bedrosian I, Hu C-Y, Chang GJ. Population-based study of contralateral prophylactic mastectomy and survival outcomes of breast cancer patients. J Natl Cancer Inst 2010,102:1-9. BACKGROUND: Despite increased demand for contralateral prophylactic mastectomy (CPM), the survival benefit of this procedure remains uncertain. METHODS: We used the Surveillance, Epidemiology, and End Results database to identify 107 106 women with breast cancer who had undergone mastectomy for treatment between 1998 and 2003 and a subset of 8902 women who also underwent CPM during the same period. Associations between predictor variables and the likelihood of undergoing CPM were evaluated by use of chi(2) analyses. Risk-stratified (estrogen receptor [ER] status, stage, and age) adjusted survival analyses were performed by using Cox regression. Statistical tests were two-sided. RESULTS: In a univariate analysis, CPM was associated with improved disease-specific survival (hazard ratio [HR] of death = 0.63, 95% confidence interval [CI] = 0.57 to 0.69; P < .001). Risk-stratified analysis showed that this association was because of a reduction in breast cancer-specific mortality in women aged 18-49 years with stages I-II ER-negative cancer (HR of death = 0.68, 95% CI = 0.53 to 0.88; P = .004). Five yearadjusted breast cancer survival for this group was improved with CPM vs without (88.5% vs 83.7%, difference = 4.8%). Although rates of contralateral breast cancer among young women with stages III disease undergoing CPM were independent of ER status, women with ER-positive tumors in the absence of prophylactic mastectomy also had a lower overall risk for contralateral breast cancer than women with ER-negative tumors (0.46% vs 0.90%, difference = 0.44%; P < .001). CONCLUSIONS: CPM is associated with a small improvement in 5-year breast cancer-specific survival mainly in young women with early-stage ER-negative breast cancer. This effect is related to a higher baseline risk of contralateral breast cancer. 6. Whelan TJ, Pignol J-P, Levine MN et al. Long-term results of hypofractionated radiation therapy for breast cancer. N Engl J Med 2010, 362: 513-520. BACKGROUND: The optimal fractionation schedule for whole-breast irradiation after breastconserving surgery is unknown. METHODS: We conducted a study to determine whether a hypofractionated 3-week schedule of whole-breast irradiation is as effective as a 5-week schedule. Women with invasive breast cancer who had undergone breast-conserving surgery and in whom resection margins were clear and axillary lymph nodes were negative were randomly assigned to receive whole-breast irradiation either at a standard dose of 50.0 Gy in 25 fractions over a period of 35 days (the control group) or at a dose of 42.5 Gy in 16 fractions over a period of 22 days (the hypofractionated-radiation group). RESULTS: The risk of local recurrence at 10 years was 6.7% among the 612 women assigned to standard irradiation as compared with 6.2% among the 622 women assigned to the hypofractionated regimen (absolute difference, 0.5 percentage points; 95% confidence interval [CI], -2.5 to 3.5). At 10 years, 71.3% of women in the control group as compared with 69.8% of the women in the hypofractionated-radiation group had a good or excellent cosmetic outcome (absolute difference, 1.5 percentage points; 95% CI, -6.9 to 9.8). CONCLUSIONS: Ten years after treatment, accelerated, hypofractionated whole-breast irradiation was not inferior to standard radiation treatment in women who had undergone breast-conserving surgery for invasive breast cancer with clear surgical margins and negative axillary nodes. (ClinicalTrials.gov number, NCT00156052.) 2010 Massachusetts Medical Society 7. Schroth W, Goetz MP, Hamann U, et al. Association between CYP2D6 polymorphisms and outcomes among women with early stage breast cancer treated with tamoxifene. JAMA 2009, 302:1429-1436. CONTEXT: The growth inhibitory effect of tamoxifen, which is used for the treatment of hormone receptor-positive breast cancer, is mediated by its metabolites, 4-hydroxytamoxifen and endoxifen. The formation of active metabolites is catalyzed by the polymorphic cytochrome P450 2D6 (CYP2D6) enzyme. OBJECTIVE: To determine whether CYP2D6 variation is associated with clinical outcomes in women receiving adjuvant tamoxifen. DESIGN, SETTING, AND PATIENTS: Retrospective analysis of German and US cohorts of patients treated with adjuvant tamoxifen for early stage breast cancer. The 1325 patients had diagnoses between 1986 and 2005 of stage I through III breast cancer and were mainly postmenopausal (95.4%). Last follow-up was in December 2008; inclusion criteria were hormone receptor positivity, no metastatic disease at diagnosis, adjuvant tamoxifen therapy, and no chemotherapy. DNA from tumor tissue or blood was genotyped for CYP2D6 variants associated with reduced (*10, *41) or absent (*3, *4, *5) enzyme activity. Women were classified as having an extensive (n=609), heterozygous extensive/intermediate (n=637), or poor (n=79) CYP2D6 metabolism. MAIN OUTCOME MEASURES: Time to recurrence, event-free survival, disease-free survival, and overall survival. RESULTS: Median follow-up was 6.3 years. At 9 years of follow-up, the recurrence rates were 14.9% for extensive metabolizers, 20.9% for heterozygous extensive/intermediate metabolizers, and 29.0% for poor metabolizers, and allcause mortality rates were 16.7%, 18.0%, and 22.8%, respectively. Compared with extensive metabolizers, there was a significantly increased risk of recurrence for heterozygous extensive/intermediate metabolizers (time to recurrence adjusted hazard ratio [HR], 1.40; 95% confidence interval [CI], 1.04-1.90) and for poor metabolizers (time to recurrence HR, 1.90; 95% CI, 1.10-3.28). Compared with extensive metabolizers, those with decreased CYP2D6 activity (heterozygous extensive/intermediate and poor metabolism) had worse event-free survival (HR, 1.33; 95% CI, 1.06-1.68) and disease-free survival (HR, 1.29; 95% CI, 1.03-1.61), but there was no significant difference in overall survival (HR, 1.15; 95% CI, 0.88-1.51). CONCLUSION: Among women with breast cancer treated with tamoxifen, there was an association between CYP2D6 variation and clinical outcomes, such that the presence of 2 functional CYP2D6 alleles was associated with better clinical outcomes and the presence of nonfunctional or reduced-function alleles with worse outcomes. 8. Dezentjè VO, van Blijderveen NJC, Gelderblom H et al. Effect of concomitant CYP2D6 inhibitor use and tamoxifen adherence on breast cancer recurrence in early-stage breast cancer. J Clin Oncol 2010, 28 :2423-2429. PURPOSE: The use of cytochrome P450 2D6-inhibiting drugs (CYP2D6 inhibitors) during tamoxifen treatment leads to a decrease in plasma concentration of endoxifen, the major active tamoxifen metabolite. Concomitant use of CYP2D6 inhibitors, such as selective serotonin reuptake inhibitors, as well as low tamoxifen adherence may negatively impact tamoxifen efficacy in patients with breast cancer. The objectives of this study were to relate concomitant CYP2D6 inhibitor use and tamoxifen adherence to breast cancer event-free time (EFT). PATIENTS AND METHODS: Data were from PHARMO and included a community pharmacy dispensing database; PALGA, a nationwide pathology database; and the Dutch Medical Register in the Netherlands. Patients with breast cancer treated with adjuvant tamoxifen between 1994 and 2006 were included. A Cox proportional hazards model with a time-dependent definition for concomitant CYP2D6 inhibitor exposure was used. Adherence calculated over the first year after tamoxifen initiation was related to breast cancer events in the following period. RESULTS: In total, 1,962 patients with breast cancer using tamoxifen were included, among whom 150 (7.6%) frequently used a CYP2D6 inhibitor during tamoxifen treatment. No association between concomitant CYP2D6 inhibitor use and breast cancer recurrence was observed (adjusted hazard ratio [HR], 0.87; 95% CI, 0.42 to 1.79; P = .69). Poor tamoxifen adherence was associated with lower EFT (adjusted HR, 0.987; 95% CI, 0.975 to 0.999; P = .029). CONCLUSION: This observational study did not show an association between concomitant CYP2D6 inhibitor use and breast cancer recurrence among patients treated with adjuvant tamoxifen despite the strong biologic rationale. This study shows, to the best of our knowledge for the first time, that poor tamoxifen adherence is associated with an increased risk of breast cancer events. 9. Sideras K, Ingle JN Ames MM et al. Coprescription of tamoxifen and medications that inhibit CYP2D6. J Clin Oncol 2010, 28 published ahead of print. Evidence has emerged that the clinical benefit of tamoxifen is related to the functional status of the hepatic metabolizing enzyme cytochrome P450 2D6 (CYP2D6). CYP2D6 is the key enzyme responsible for the generation of the potent tamoxifen metabolite, endoxifen. Multiple studies have examined the relationship of CYP2D6 status to breast cancer outcomes in tamoxifen-treated women; the majority of studies demonstrated that women with impaired CYP2D6 metabolism have lower endoxifen concentrations and a greater risk of breast cancer recurrence. As a result, practitioners must be aware that some of the most commonly prescribed medications coadministered with tamoxifen interfere with CYP2D6 function, thereby reducing endoxifen concentrations and potentially increasing the risk of breast cancer recurrence. After reviewing the published data regarding tamoxifen metabolism and the evidence relating CYP2D6 status to breast cancer outcomes in tamoxifen-treated patients, we are providing a guide for the use of medications that inhibit CYP2D6 in patients administered tamoxifen. 10. Joensuu H,Kellokumpu-Lehtinen P-L, Huovinen R et al. Adjuvant capecitabine in combination with docetaxel and cyclophosphamide plus epirubicin for breast cancer: an open-label, randomized controlled trial . Lancet Oncol 2009, 10:1145-1151. BACKGROUND: Standard adjuvant chemotherapy regimens for patients with moderate-to-high-risk early breast cancer typically contain a taxane, an anthracycline, and cyclophosphamide. We aimed to investigate whether integration of capecitabine into such a regimen enhances outcome. METHODS: In this open-label trial, we randomly assigned (centrally by computer; stratified by node status, HER2 status, and centre) 1500 women with axillary node-positive or high-risk node-negative breast cancer to either three cycles of capecitabine and docetaxel followed by three cycles of cyclophosphamide, epirubicin, and capecitabine (capecitabine group, n=753), or to three cycles of docetaxel followed by three cycles of cyclophosphamide, epirubicin, and fluorouracil (control group, n=747). The primary endpoint was recurrence-free survival. A planned interim analysis was done after 3 years' median follow-up. Efficacy analyses were by modified intention to treat. The study is registered with ClinicalTrials.gov, number NCT00114816. FINDINGS: Two patients in each group were excluded from efficacy analyses because of withdrawal of consent or distant metastases. After a median follow-up of 35 months (IQR 25.5-43.6), recurrence-free survival at 3 years was better with the capecitabine regimen than with control (93%vs 89%; hazard ratio 0.66, 95% CI 0.47-0.94; p=0.020). The capecitabine regimen was associated with more cases of grade 3 or 4 diarrhoea (46/740 [6%] vs 25/741 [3%]) and hand-foot syndrome (83/741 [11%] vs 2/741 [<1%]) and the control regimen with more occurrences of grade 3 or 4 neutropenia (368/375 [98%] vs 325/378 [86%]) and febrile neutropenia (65/741 [9%] vs 33/742 [4%]). More patients discontinued planned treatment in the capecitabine group than in the control group (178/744 [24%] vs 23/741 [3%]). Four patients in the capecitabine group and two in the control group died from potentially treatmentrelated causes. INTERPRETATION: The capecitabine-containing chemotherapy regimen reduced breast cancer recurrence compared with a control schedule of standard agents. Capecitabine administration was frequently discontinued because of adverse effects. FUNDING: Roche, SanofiAventis, AstraZeneca, Cancer Society of Finland. 11. Spielmann M, Rochè H, Delozier T, et al. Trastuzumab for patients with axillary-node-positive breast cancer: results of the FNCLCC-PACS 04 trial J Clin Oncol 2009, 27:6129-6134. PURPOSE: To evaluate the efficacy of trastuzumab in patients with node-positive breast cancer treated with surgery, adjuvant chemotherapy, radiotherapy, and hormone therapy if applicable. PATIENTS AND METHODS: Three thousand ten patients with operable node-positive breast cancer were randomly assigned to receive adjuvant anthracycline-based chemotherapy with or without docetaxel. Patients who presented human epidermal growth factor receptor 2 (HER2) overexpressing tumors were secondary randomly assigned to either a sequential regimen of trastuzumab (6 mg/kg every 3 weeks) for 1 year or observation. The primary end point was diseasefree survival (DFS). RESULTS: Overall 528 patients were randomly assigned between trastuzumab (n = 260) and observation (n = 268) arm. Of the 234 patients (90%) who received at least one administration of trastuzumab, 196 (84%) received at least 6 months of treatment, and 41 (18%) discontinued treatment due to cardiac events (any grade). At the date of analysis (October 2007), 129 DFS events were recorded. Random assignment to the trastuzumab arm was associated with a nonsignificant 14% reduction in the risk of relapse (hazard ratio, 0.86; 95% CI, 0.61 to 1.22; P = .41, log-rank stratified on pathologic node involvement). Three-year DFS rates were 78% (95% CI, 72.3 to 82.5) and 81% (95% CI, 75.3 to 85.4) in the observation and trastuzumab arms, respectively. CONCLUSION: After a 47-month median follow-up, 1 year of trastuzumab given sequentially after adjuvant chemotherapy was not associated with a statistically significant decrease in the risk of relapse. 12. Joensuu H, Bono P, Kataja V et al. Fluorouracil, epirubicina, and cyclophosphamide with either docetaxel or vinorelbina, with and without trastuzumab, as adjuvant treatments of breast cancer: final results of the FinHer trial. J Clin Oncol 2009, 27: 5685-5692. PURPOSE: Docetaxel has not been compared with vinorelbine as adjuvant treatment of early breast cancer. Efficacy and long-term safety of a short course of adjuvant trastuzumab administered concomitantly with chemotherapy for human epidermal growth factor receptor 2 (HER2) -positive cancer are unknown. PATIENTS AND METHODS: One thousand ten women with axillary nodepositive or high-risk node-negative breast cancer were randomly assigned to receive three cycles of docetaxel or vinorelbine, followed in both groups by three cycles of fluorouracil, epirubicin, and cyclophosphamide (FEC). Women with HER2-positive cancer (n = 232) were further assigned to either receive or not receive trastuzumab for 9 weeks with docetaxel or vinorelbine. The median follow-up time was 62 months after random assignment. RESULTS: Women assigned to docetaxel had better distant disease-free survival (DDFS) than those assigned to vinorelbine (hazard ratio [HR] = 0.66; 95% CI, 0.49 to 0.91; P = .010). In the subgroup of HER2-positive disease, patients treated with trastuzumab tended to have better DDFS than those treated with chemotherapy only (HR = 0.65; 95% CI, 0.38 to 1.12; P = .12; with adjustment for presence of axillary nodal metastases, HR = 0.57; P = .047). In exploratory analyses, docetaxel, trastuzumab, and FEC improved DDFS compared with docetaxel plus FEC (HR = 0.32; P = .029) and vinorelbine, trastuzumab, and FEC (HR = 0.31; P = .020). The median left ventricular ejection fraction of trastuzumab-treated patients remained unaltered during the 5-year follow-up; only one woman treated with trastuzumab was diagnosed with a heart failure. CONCLUSION: Adjuvant treatment with docetaxel improves DDFS compared with vinorelbine. A brief course of trastuzumab administered concomitantly with docetaxel is safe and effective and warrants further evaluation. 13. Albain KS, Barlow WE, Ravdin PM, et al. Adjuvant chemotherapy and timing of tamoxifene in postmenopausal patients with endocrine-responsive, node-positive breast cancer: a phase 3, openlabel, randomized controlled trial. Lancet 2009, 374:2055-2063. BACKGROUND: Tamoxifen is standard adjuvant treatment for postmenopausal women with hormone-receptor-positive breast cancer. We assessed the benefit of adding chemotherapy to adjuvant tamoxifen and whether tamoxifen should be given concurrently or after chemotherapy. METHODS: We undertook a phase 3, parallel, randomised trial (SWOG-8814, INT-0100) in postmenopausal women with hormone-receptor-positive, node-positive breast cancer to test two major objectives: whether the primary outcome, disease-free survival, was longer with cyclophosphamide, doxorubicin, and fluorouracil (CAF) given every 4 weeks for six cycles plus 5 years of daily tamoxifen than with tamoxifen alone; and whether disease-free survival was longer with CAF followed by tamoxifen (CAF-T) than with CAF plus concurrent tamoxifen (CAFT). Overall survival and toxicity were predefined, important secondary outcomes for each objective. Patients in this open-label trial were randomly assigned by a computer algorithm in a 2:3:3 ratio (tamoxifen:CAF-T:CAFT) and analysis was by intention to treat of eligible patients. Groups were compared by stratified log-rank tests, followed by Cox regression analyses adjusted for significant prognostic factors. This trial is registered with ClinicalTrials.gov, number NCT00929591. FINDINGS: Of 1558 randomised women, 1477 (95%) were eligible for inclusion in the analysis. After a maximum of 13 years of follow-up (median 8.94 years), 637 women had a disease-free survival event (tamoxifen, 179 events in 361 patients; CAF-T, 216 events in 566 patients; CAFT, 242 events in 550 patients). For the first objective, therapy with the CAF plus tamoxifen groups combined (CAFT or CAF-T) was superior to tamoxifen alone for the primary endpoint of disease-free survival (adjusted Cox regression hazard ratio [HR] 0.76, 95% CI 0.64-0.91; p=0.002) but only marginally for the secondary endpoint of overall survival (HR 0.83, 0.68-1.01; p=0.057). For the second objective, the adjusted HRs favoured CAF-T over CAFT but did not reach significance for disease-free survival (HR 0.84, 0.70-1.01; p=0.061) or overall survival (HR 0.90, 0.73-1.10; p=0.30). Neutropenia, stomatitis, thromboembolism, congestive heart failure, and leukaemia were more frequent in the combined CAF plus tamoxifen groups than in the tamoxifen-alone group. INTERPRETATION: Chemotherapy with CAF plus tamoxifen given sequentially is more effective adjuvant therapy for postmenopausal patients with endocrine-responsive, node-positive breast cancer than is tamoxifen alone. However, it might be possible to identify some subgroups that do not benefit from anthracycline-based chemotherapy despite positive nodes. FUNDING: National Cancer Institute (US National Institutes of Health). Copyright 2009 Elsevier Ltd. All rights reserved. 14. Albain KS, Barlow WE, Shak S, et al. Prognostic and predictive value of the 21-gene recurrence score assay in postmenopausal women with node-positive, oestrogen-receptor-positive breast cancer on chemotherapy: a retrospective analysis of a randomized trial. Lancet Oncol 2010, 11:5565. BACKGROUND: The 21-gene recurrence score assay is prognostic for women with node-negative, oestrogen-receptor-positive breast cancer treated with tamoxifen. A low recurrence score predicts little benefit of chemotherapy. For node-positive breast cancer, we investigated whether the recurrence score was prognostic in women treated with tamoxifen alone and whether it identified those who might not benefit from anthracycline-based chemotherapy, despite higher risks of recurrence. METHODS: The phase 3 trial SWOG-8814 for postmenopausal women with nodepositive, oestrogen-receptor-positive breast cancer showed that chemotherapy with cyclophosphamide, doxorubicin, and fluorouracil (CAF) before tamoxifen (CAF-T) added survival benefit to treatment with tamoxifen alone. Optional tumour banking yielded specimens for determination of recurrence score by RT-PCR. In this retrospective analysis, we assessed the effect of recurrence score on disease-free survival by treatment group (tamoxifen vs CAF-T) using Cox regression, adjusting for number of positive nodes. FINDINGS: There were 367 specimens (40% of the 927 patients in the tamoxifen and CAF-T groups) with sufficient RNA for analysis (tamoxifen, n=148; CAF-T, n=219). The recurrence score was prognostic in the tamoxifen-alone group (p=0.006; hazard ratio [HR] 2.64, 95% CI 1.33-5.27, for a 50-point difference in recurrence score). There was no benefit of CAF in patients with a low recurrence score (score <18; log-rank p=0.97; HR 1.02, 0.54-1.93), but an improvement in disease-free survival for those with a high recurrence score (score > or =31; log-rank p=0.033; HR 0.59, 0.35-1.01), after adjustment for number of positive nodes. The recurrence score by treatment interaction was significant in the first 5 years (p=0.029), with no additional prediction beyond 5 years (p=0.58), although the cumulative benefit remained at 10 years. Results were similar for overall survival and breast-cancer-specific survival. INTERPRETATION: The recurrence score is prognostic for tamoxifen-treated patients with positive nodes and predicts significant benefit of CAF in tumours with a high recurrence score. A low recurrence score identifies women who might not benefit from anthracycline-based chemotherapy, despite positive nodes. FUNDING: National Cancer Institute and Genomic Health. Copyright (c) 2010 Elsevier Ltd. All rights reserved. 15. Gianni L, Eiermann W, Semiglazov V et al. Neoadjuvant chemotherapy with trastuzumab followed by adjuvant trastuzumab versus neoadjuvant chemotherapy alone, in patients with HER2-positive locally advanced breast cancer (the NOAH trial) a randomized controlled superiority trial with a parallel HER2-negative cohort. The Lancet 2010, 375:377-384. BACKGROUND: The monoclonal antibody trastuzumab has survival benefit when given with chemotherapy to patients with early, operable, and metastatic breast cancer that has HER2 (also known as ERBB2) overexpression or amplification. We aimed to assess event-free survival in patients with HER2-positive locally advanced or inflammatory breast cancer receiving neoadjuvant chemotherapy with or without 1 year of trastuzumab. METHODS: We compared 1 year of treatment with trastuzumab (given as neoadjuvant and adjuvant treatment; n=117) with no trastuzumab (118), in women with HER2-positive locally advanced or inflammatory breast cancer treated with a neoadjuvant chemotherapy regimen consisting of doxorubicin, paclitaxel, cyclophosphamide, methotrexate, and fluorouracil. Randomisation was done with a computer program and minimisation technique, taking account of geographical area, disease stage, and hormone receptor status. Investigators were informed of treatment allocation. A parallel cohort of 99 patients with HER2negative disease was included and treated with the same chemotherapy regimen. Primary endpoint was event-free survival. Analysis was by intention to treat. This study is registered, number ISRCTN86043495. FINDINGS: Trastuzumab significantly improved event-free survival in patients with HER2-positive breast cancer (3-year event-free survival, 71% [95% CI 61-78; n=36 events] with trastuzumab, vs 56% [46-65; n=51 events] without; hazard ratio 0.59 [95% CI 0.38-0.90]; p=0.013). Trastuzumab was well tolerated and, despite concurrent administration with doxorubicin, only two patients (2%) developed symptomatic cardiac failure. Both responded to cardiac drugs. INTERPRETATION: The addition of neoadjuvant and adjuvant trastuzumab to neoadjuvant chemotherapy should be considered for women with HER2-positive locally advanced or inflammatory breast cancer to improve event-free survival, survival, and clinical and pathological tumour responses. FUNDING: F Hoffmann-La Roche. Copyright 2010 Elsevier Ltd. All rights reserved. 16. Untch M, Rezai M, Loibl S, et al. Neoadjuvant treatment with trastuzumab oin HER2-positive breast cancer. Results from the GeparQuattro study. J Clin Oncol 2010, 28: 2024-2031. PURPOSE Trastuzumab, a humanized antibody against the human epidermal growth factor receptor type 2 (HER2), has shown high efficacy in breast cancer. We prospectively investigated its efficacy given simultaneously with anthracycline-taxane-based neoadjuvant chemotherapy. PATIENTS AND METHODS Patients with operable or locally advanced, HER2-positive tumors were treated preoperatively with four cycles of epirubicin/cyclophosphamide followed by four cycles of docetaxel with or without capecitabine (EC-T[X]) and trastuzumab 6 mg/kg (with a loading dose of 8 mg/kg) every 3 weeks during all chemotherapy cycles. Patients with HER2-negative tumors treated in the same study with the same chemotherapy but without trastuzumab were used as a reference group. Results Of 1,509 participants, 445 had HER2-positive tumors treated with trastuzumab and chemotherapy. Pathologic complete response (pCR; defined as no invasive or in situ residual tumors in the breast) rate was 31.7%, which was 16% higher than that in the reference group (15.7%). HER2-positive patients without response to the first four cycles of EC showed an unexpectedly high pCR rate of 16.6% (3.3% in the reference group). Breast conservation rate was 63.1% and comparable to that of the reference group (64.7%). EC-T(X) plus trastuzumab was associated with more febrile neutropenia and conjunctivitis, but with a comparable short-term cardiac toxicity profile as the reference group. CONCLUSION This trial confirms that combining trastuzumab with anthracycline-taxane-based neoadjuvant chemotherapy results in a high pCR rate without clinically relevant early toxicity. Combination of chemotherapy with trastuzumab should be considered when neoadjuvant treatment is given to patients with HER2-positive breast cancer. 17. Blackwell KL, Burstein HJ, Storniolo A M et al. Randomized study of lapatinib alone or in combination with trastuzumab in women with ErbB2-positive, trastuzumab-refractory metastatic breast cancer. J Clin Oncol 2010, 28:1124-1130. PURPOSE: Preclinical studies in ErbB2-positive cell lines demonstrated a synergistic interaction between lapatinib and trastuzumab, suggesting that dual blockade is more effective than a single agent alone. EGF104900 compared the activity of lapatinib alone or in combination with trastuzumab in patients with ErbB2-positive, trastuzumab-refractory metastatic breast cancer (MBC). PATIENTS AND METHODS: Patients with ErbB2-positive MBC who experienced progression on prior trastuzumab-containing regimens were randomly assigned to receive either lapatinib alone or in combination with trastuzumab. The primary end point was progression-free survival (PFS). Secondary efficacy end points included overall response rate (ORR), clinical benefit rate (CBR; complete response, partial response, and stable disease for >/= 24 weeks), and overall survival (OS). RESULTS: In the intent-to-treat population (N = 296) who received a median of three prior trastuzumab-containing regimens, the combination of lapatinib with trastuzumab was superior to lapatinib alone for PFS (hazard ratio [HR] = 0.73; 95% CI, 0.57 to 0.93; P = .008) and CBR (24.7% in the combination arm v 12.4% in the monotherapy arm; P = .01). A trend for improved OS in the combination arm was observed (HR = 0.75; 95% CI, 0.53 to 1.07; P = .106). There was no difference in ORR (10.3% in the combination arm v 6.9% in the monotherapy arm; P = .46). The most frequent adverse events were diarrhea, rash, nausea, and fatigue; diarrhea was higher in the combination arm (P = .03). The incidence of symptomatic and asymptomatic cardiac events was low (combination therapy = 2% and 3.4%; monotherapy = 0.7% and 1.4%, respectively). CONCLUSION: Despite disease progression on prior trastuzumab-based therapy, lapatinib in combination with trastuzumab significantly improved PFS and CBR versus lapatinib alone, thus offering a chemotherapy-free option with an acceptable safety profile to patients with ErbB2-positive MBC. A&S Anno 2010 n.1