- Approccio al bambino con dolore osseo e articolare
- Artrite Idiopatica Giovanile (AIG)
- La Malattia di Kawasaki
- Sindromi Autoinfiammatorie
- Porpora di Schönlein-Henoch
Approccio al bambino con dolore osseo e articolare
Gallizzi R, Meduri S, Talenti A, Vicchio P, Colavita L, Deak A, Calabrò G, Conti G, Fede C
L’approccio diagnostico differenziale al bambino affetto da dolore osteo-artro-muscolare è
complesso e deve tener conto non solo delle affezioni reumatologiche che determinano questa
sintomatologia, ma anche di malattie sistemiche di natura non reumatologica che si manifestano con
quadri clinici analoghi. Difatti la difficoltà a compiere un movimento può essere di origine
articolare, neurologica, muscolare e psichica. Il dolore è un sintomo prevalente della patologia
osteo-articolare, mentre nelle patologie muscolari e neurologiche prevalgono ipotonia/ipertonia e/o
debolezza.
Il dolore articolare è al 3° posto tra i dolori ricorrenti dopo la cefalea e il dolore addominale.
Un elemento clinico diagnostico fondamentale è costituito dalla distinzione tra dolore a prevalente
localizzazione ossea, muscolare o articolare. Il dolore osseo può localizzarsi sia agli arti che alla
colonna vertebrale; solitamente è di tipo continuo e non trae beneficio dal massaggio o da
particolari posture. In questi casi (patologia emato-oncologica, osteoporosi idiopatica giovanile,
spondilolistesi, epifisiolisi) si impone lo studio radiografico del segmento interessato, associato o no
a scintigrafia ossea/densitometria ossea. Il dolore con interessamento delle strutture muscolari e
tendinee si presenta vago, ma distinto dalla componente articolare. All’esame obiettivo è necessaria
la valutazione del tono e del trofismo muscolari (ridotti per esempio nella polimiosite/
dermatomiosite), della dolorabilità elettiva alla pressione di particolari punti di repere, detti tender
points (come nella fibromialgia). Il dolore articolare è riferito all’articolazione, è accentuato dalla
pressione sulla rima articolare e alla mobilizzazione passiva forzata. Nella diagnostica differenziale
del dolore articolare è essenziale fare una distinzione tra dolore organico e dolore funzionale. Il
dolore articolare organico può essere:
- infiammatorio (malattie reumatiche e malattie infettive), caratterizzato da rigidità mattutina, che
si attenua con l’attività fisica, talvolta notturno e si può accompagnare ai tipici segni di flogosi
(rubor, calor, tumor, functio lesa)
- ortopedico (meccanico-traumatico), caratterizzato invece da insorgenza diurna, aggravamento
con il carico, modesta rigidità e contrattura antalgica, assenza o modesta presenza dei segni di
flogosi
- neoplastico (neoplasie a localizzazione muscoloscheletrica e neoplasie sistemiche)
- secondario a malattie ematologiche, endocrine e metaboliche.
Il dolore articolare di natura funzionale è diffuso e persistente ed è secondario a problematiche di
tipo psicosomatico come la fibromialgia, l’algodistrofia riflessa e i dolori di crescita.
Questi ultimi sono una condizione caratterizzata da dolori intermittenti, in genere ad insorgenza
notturna, localizzati prevalentemente a carico degli arti inferiori (polpacci, superficie anteriore delle
cosce, faccia anteriore delle ginocchia), solitamente bilaterali. Sono più frequenti tra gli 8-12 anni,
con uguale prevalenza nei due sessi. Il dolore è in genere continuo, a volte pulsante, associato ad
affaticabilità, debolezza e rigidità.
L’approccio al bambino con dolore articolare prevede un’anamnesi accurata, l’esame obiettivo,
l’esecuzione di esami di laboratorio e strumentali.
L’ anamnesi deve accuratamente indagare i seguenti aspetti:
− Anamnesi Familiare: malattie reumatiche acute e croniche, psoriasi, malattie infiammatorie
croniche intestinali, anemia falciforme, emofilia, malattie dismetaboliche, enterite, uveite,
rachialgia infiammatoria, febbri periodiche e/o autoinfiammatorie.
− Anamnesi Patologica Remota: malattie sistemiche note (artrite reumatoide, infezioni ricorrenti,
cardiopatie, allergie, malattie autoimmuni, proteinuria o ematuria, collagenopatie, vasculopatie,
piastrinopenie, malattie degenerative).
−Anamnesi Patologica Prossima: insorgenza del sintomo (se recente: trauma, infezione, tumore),
localizzazione del dolore mono o poliarticolare, tipo di dolore (costante o intermittente notturno e
che scompare con attività fisica), sintomi associati ( febbre, perdita di peso, depressione, disturbi del
sonno, cambiamenti nella funzione gastrointestinale), correlazione con l’esercizio fisico o altri
eventi, punture di insetti, attività sportiva, posizione del bambino nella famiglia ed eventi familiari
importanti, effetti che il sintomo provoca sul bambino (es. assenza scolastica) e sulla famiglia,
precedente gestione del problema (medici/specialistici consultati, test diagnostici eseguiti, diagnosi
ipotizzate o escluse, trattamenti).
L’ esame obiettivo generale deve valutare con attenzione:
-
Segni sistemici: febbre, rash, condizioni generali scadute
-
Segni locali di flogosi
-
Atteggiamento antalgico, sia a riposo ricercando possibili posture antalgiche, che in
movimento per valutare la difficoltà alla deambulazione, zoppia etc..
-
Interessamento di altri organi ed apparati, ponendo particolare attenzione al coinvolgimento
di occhio(iridociclite-AIG), cuore (soffio di recente insorgenza- Reumatismo Articolare
Acuto), rene (ematuria-proteinuria-LES), cute (rash a farfalla-LES).
-
Valutazione della sede (unica o multipla), il dolore in un’unica sede è di probabile natura
organica, unica eccezione è data dall’algodistrofia.
Quando è interessata un’unica sede, il distretto e la struttura interessati sono ulteriori criteri che ci
orienteranno verso la diagnosi corretta.
I distretti più frequentemente colpiti sono: ginocchio, anca e colonna.
GINOCCHIO
ANCA
COLONNA
a) Articolazione
a) Membrana sinoviale
a) Lombare e lombosacrale
1) Cartilagine
- Spondilite anchilosante
- Spondilolisi e spondilolistesi
-
Osteocondrite
- Sinovite transitoria dell’anca
- Ernia del disco
dissecante
- Artrite settica
- Discite
Condromalacia rotulea
b) Osso metafisario
- Spondilite anchilosante
2) Membrana sinoviale
- Osteomielite, osteocondrite
b) Toracico e toraco-lombare
-
Sinovite post-traumatica
- Osteoma osteoide
- M. di Scheurmann
-
Sinovite meccanica
- Neuroblastoma
c) Tutte le sedi
-
AID
c) Cartilagine coniugazione
- Tumori ossei (osteoma osteoide,
-
Artropatia psoriasica
- Epifisiolisi
osteoblastoma, granuloma eosinofilo)
-
Neoplasie benigne
d) Nucleo cefalico
-
-
Emofilia
- M. di Perthes
neuroblastoma, linfomi)
-
3) Legamenti e menischi
b) Strutture periarticolari
1) nuclei di ossificazione
- M. di Osgood-Scchlatter
2) tendini, entesi, guaine
sinoviali
- borsite perirotulea
- tendinite del rotuleo
- entesiti
Neoplasie
sistemiche
(LLA,
Esami Ematochimici
Indagini Strumentali
- Rx nel sospetto di patologia traumatica o di lesione ossea (utile anche Rx comparativa del
segmento controlaterale), trauma- lesioni addensanti (sarcoma osteogeno) o litiche (cisti- displasia
fibrosa) o miste (osteoma osteoide- rachitismo osteoporosi).
- Ecografia articolare: parti molli, ematomi-lesioni muscolari e tendinee, neoplasie, versamento
articolare, ispessimento della sinovia.
- TAC: neoplasie ossee.
- Scintigrafia Ossea: Osteomielite- tumori ossei
- RMN: patologie di vasi, ossa, tessuti molli, sinovia, versamento articolare.
Bibliografia
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Artrite Idiopatica Giovanile (AIG)
Vicchio P, Meduri S, Salpietro A, Talenti A, Vicchio P, Colavita L, Deak A, Calabrò G, Gallizzi R
La definizione di Artrite Idiopatica Giovanile (AIG) include tre diversi concetti:
1. un’artrite insorta prima dei 16 anni
2. che perdura per più di 6 settimane
3. avendo escluso le altre cause di artrite
Nei Paesi occidentali la prevalenza della malattia risulta essere compresa tra i 16 e i 150 per
100.000. La patogenesi è di tipo multifattoriale, con la scoperta di alcuni geni di suscettibilità, in
particolari alcuni aplotipi HLA (HLA-A2, HLA-DRB1*11, HLA-DRB1*08), alterazioni
immunologiche (aumentati livelli di citochine pro-infiammatorie-TNFα, IL-6).
Lo spettro clinico di tale patologia è altamente variabile.
Si distinguono le seguenti presentazioni cliniche: 1) forma sistemica; 2) oligoartrite; 3) poliartrite
con fattore reumatoide (FR) positivo; 4) poliartrite con fattore reumatoide negativo; 5) artrite
associata ad entesite; 6) artrite psoriasica e 7) artrite indifferenziata.
Artrite sistemica
La forma sistemica è prerogativa dell’età pediatrica essendo estremamente rara negli adulti.
La diagnosi si basa sulla presenza di artrite, che in genere è simmetrica e poliarticolare e che può
essere assente all’esordio, accompagnata a febbre della durata di almeno 2 settimane, in
associazione a uno o più dei seguenti segni/sintomi: - rash eritematoso, evanescente – epatomegalia
o splenomegalia – linfadenopatia generalizzata – sierosite. Gli esami di laboratorio mostrano
generalmente una leucocitosi neutrofila, aumento degli indici di flogosi, trombocitosi e anemia
microcitica. È importante ricordare come il 5-8% dei pazienti con AIG sistemica sviluppano una
complicanza grave (tasso di mortalità di circa il 50%) conosciuta come Sindrome da attivazione
macrofagica (MAS). Tale condizione è clinicamente caratterizzata da febbre, pancitopenia,
epatosplenomegalia, insufficienza epatica, coagulopatia (manifestazioni emorragiche) e sintomi
neurologici. Gli esami di laboratorio mostrano ipofibrinogenemia, ipertrigliceridemia, iponatriemia
e un notevole aumento dei valori di ferritina sierica. L’agoaspirato midollare può mostrare segni di
emofagocitosi macrofagica. Il quadro clinico, se non si interviene con un appropriato regime
terapeutico basato sull’utilizzo di alte dosi di corticosteroidi endovena e immunosoppressori, evolve
rapidamente verso un’insufficienza multiorgano.
Oligoartrite
È definita come un’artrite che interessa 4 o meno articolazioni nei primi 6 mesi di malattia. Non si
può parlare di oligoartrite se vi è la presenza di psoriasi (o familiarità per psoriasi), un parente di I
grado con malattia HLA-B27 associata, FR positivo o nei pazienti maschi con età superiore ai 6
anni. Questo sottogruppo è caratterizzato da un artrite asimmetrica, con età di insorgenza sotto i 6
anni, con un’alta frequenza di positività degli ANA (nel 70-80% dei casi) e alto rischio di
iridociclite (30% dei soggetti) soprattutto nei primi 5-7 anni di malattia. Ginocchia ed caviglie sono
le articolazioni più frequentemente colpite e nel 30-50% dei casi l’artrite è monoarticolare
all’esordio. Si parla di oligoartrite estesa nel caso in cui l’interessamento articolare coinvolga più di
4 articolazioni dopo i primi 6 mesi. Il coinvolgimento delle articolazioni degli arti superiori e alti
livelli di VES (Velocità di Eritrosedimentazione) rappresentano fattori prognostici negativi.
Poliartrite fattore reumatoide positiva
Questa entità è definita come un artrite che coinvolge 5 o più articolazioni nei primi 6 mesi di
malattia con la contemporanea presenza di Fattore Reumatoide (FR) positivo in almeno 2 occasioni,
a distanza di 3 mesi l’una dall’altra. La presentazione tipica è quella di una poliartrite simmetrica
che coinvolge le piccole articolazioni delle mani e dei piedi, a queste si può associare
l’interessamento delle grandi articolazioni (ginocchia, caviglie). Rare sono le manifestazioni extra
articolari ma, in questo caso, l’insufficienza aortica rappresenta l’entità più severa.
Poliartrite fattore reumatoide negativa
Si definisce poliartrite fattore reumatoide negativa un’artrite che coinvolge più di 5 articolazioni nei
primi 6 mesi di vita in assenza di FR. Questo è il sottogruppo clinicamente più eterogeneo, in cui si
possono distinguere 3 sottogruppi. Il primo si accosta alla AIG oligoarticolare, eccetto per il numero
di articolazioni interessate nei primi 6 mesi, ma come questa è caratterizzata da artrite asimmetrica,
precoce età di insorgenza, predominanza del sesso femminile, ANA frequentemente positivi,
aumentato rischio di iridociclite e associazione con l’HLA-DRB1*0801. Tali somiglianze hanno
indotto a considerare questo sottogruppo come una oligoartrite precoce. Il secondo sottogruppo di
poliartrite FR negativa è simile all’artrite reumatoide FR negativa dell’adulto, ed è caratterizzata da
sinovite simmetrica delle grandi e piccole articolazioni, insorgenza in età scolare, VES aumentata,
ANA negativi e outcome variabile. Il terzo sottogruppo è una forma di sinovite “secca”, con
assenza di tumefazione ma presenza di rigidità e contratture, VES normale o lievemente aumentata.
Quest’ultimo sottogruppo è scarsamente responsivo alla terapia e può avere un decorso distruttivo.
Artrite associata ad entesite
Si tratta di un’entità clinica che si presenta in genere nei soggetti maschi, dopo i 6 anni di vita,
caratterizzata dall’associazione di artrite ed entesite e rientra nel gruppo delle spondilo artropatie.
La maggior parte dei pazienti sono HLA-B27 positivi e le sedi più comunemente interessate sono:
l’inserzione del tendine di Achille al calcagno, la fascia plantare e l’area tarsale. Le articolazioni
colpite sono in genere quelle degli arti inferiori. Frequentemente all’esordio può esservi
l’interessamento dell’anca. La maggior parte dei pazienti hanno 4 o meno articolazioni interessate
durante tutto il decorso della malattia. In alcuni pazienti il quadro può evolvere verso forme di
sacroileite fino ad un quadro di spondilite anchilosante.
Artrite psoriasica
La diagnosi di artrite psoriasica necessita la contemporanea presenza di artrite e il tipico rash
psoriasico, oppure, se il rash è assente, è necessaria la presenza di artrite in associazione a 2 dei
seguenti criteri: storia familiare di psoriasi in un parente di I grado; dattilite; distrofie ungueali. Si è
propensi a credere che tale sottotipo non rappresenti un’entità ben definita in quanto, le
caratteristiche clinico-laboratoristiche di molti pazienti sono le stesse della poliartrite FR negativa.
La differenza principale risiede nella presenza, nei soggetti con artrite psoriasica, di dattilite e di
coinvolgimento delle grandi e piccole articolazioni.
Artrite indifferenziata
In questa categoria sono raggruppate quelle forme che non soddisfano i criteri di inclusione per gli
altri gruppi, o che rientrano in più di un sottogruppo.
Management
Il fatto che l’AIG non sia una sola malattia ma un insieme di entità diverse, fa si che il trattamento
vari in base al sottogruppo di fronte al quale ci troviamo. Per decenni il primo approccio terapeutico
sono stati i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), che rimangono ancora importanti
soprattutto perché ben tollerati e con un’incidenza di effetti collaterali minore rispetto agli adulti. I
FANS approvati per l’utilizzo in età pediatrica sono il naprossene, l’ibuprofene e l’indometacina.
L’infiltrazione intra-articolare di triamcinolone esacetonide è spesso utilizzata ed efficace nel
ridurre l’infiammazione, le contratture e nel migliorare la qualità di vita dei pazienti, soprattutto
nelle forme monoarticolari o oligoarticolari, in associazione o in sostituzione dei FANS. Gli effetti
delle infiltrazioni intra-articolari non sono comunque curativi ed è necessario ripeterle nel tempo.
I soggetti con una malattia estesa e che non rispondono a questo primo step terapeutico necessitano
di terapie più aggressive. La terapia steroidea per via sistemica andrebbe riservata ai casi di AIG
sistemica non controllata dalla terapia con FANS. Il metotrexate, farmaco ad azione
immunosoppressiva, è diventato il farmaco di scelta nelle forme di artrite persistente, non
responsive ai FANS. Generalmente un miglioramento dei sintomi è riscontrabile dopo 6-12
settimane di terapia. Il metotrexate al dosaggio di 10-15 mg/m2 viene somministrato per via
sottocutanea o per via orale, 1 volta alla settimana, seguito dalla supplementazione con acido folico
per ridurre il rischio di epatopatia. Nei casi resistenti alla terapia immunosoppressiva è possibile
ricorrere ai farmaci biologici, in particolare l’etanercept (anti-TNFα) al dosaggio di 0.8
mg/kg/settimana.
Fig 1. Pz con AIG oligoarticolare
Fig 2. Pz con AIG poliarticolare
Bibliografia
1. A. Buoncompagni – Reumatologia Pediatrica – Mc Graw Hill 1999
La Malattia di Kawasaki
Ferraù V, Loddo I, Meduri S, Salpietro A, Colavita L, Moschella E, Grasso L, Calabrò G, Briuglia S,
Gallizzi R
La malattia di Kawasaki (MK), descritta per la prima volta in Giappone nel 1967 da Tomisaku
Kawasaki, è la più comune vasculite multisistemica in età pediatrica. Essa è caratterizzata da un
processo infiammatorio acuto che colpisce i vasi di piccolo e medio calibro di tutti i distretti
dell’organismo, producendo selettivamente danno vascolare a livello delle arterie coronarie. La MK
viene considerata la prima causa di cardiopatia acquisita in età pediatrica nei paesi occidentali.
L’incidenza annuale è di circa 3,4-100/100.000, con valori massimi in Giappone e valori più bassi
tra i bambini caucasici. Gli studi epidemiologici evidenziano una maggiore prevalenza nei maschi
(m:f/1,5-1,7:1) e nei bambini di età inferiore a 5 anni (76%).
Eziopatogenesi
L’eziologia della MK è tuttora sconosciuta: varie ipotesi (infettiva, immunologica, genetica) sono
state suggerite, ma probabilmente vari agenti interagiscono tra loro per delineare il quadro di una
malattia multifattoriale. Si sospetta che agenti microbici o altri non infettivi possano innescare una
abnorme reazione immunologica. Numerosi batteri (Propionobacterium acnes, Streptococcus
sanguis, Clostridium baratii) e virus (Epstein-Barr, Retrovirus) sono stati proposti come agenti
eziologici. Tra gli agenti non infettivi sono stati presi in considerazione detergenti e composti del
mercurio. L'ipotesi corrente per lo sviluppo della vasculite nella fase acuta della malattia di
Kawasaki sostiene un’attivazione del sistema immune con produzione di citochine ed anticorpi. Le
citochine (γ-interferone, TNF e IL1 in particolare) interagirebbero con le cellule endoteliali dando
luogo alla formazione di neo-antigeni. Gli anticorpi prodotti nei confronti di questi neo-antigeni
porterebbero alla vasculite e al danno endoteliale. Durante la fase acuta si osserva una marcata
riduzione dei CD8+ suppressor/cytotoxic T cells e un aumento delle cellule Ia/DR CD4+ T-cells. Si
riscontrano anche aumenti significativi delle cellule B circolanti che producono spontaneamente
IgG e IgM. Inoltre è ancora discusso se l’ipotetico agente causale agisca attraverso un meccanismo
antigenico convenzionale o come superantigene. Esistono, tuttavia, molte più evidenze a favore del
meccanismo superantigenico che a sua volta determina una massiccia stimolazione del sistema
immunitario. A tal proposito i superantigeni della sindrome dello shock tossico sono stati proposti
come agenti eziologici ma il dato è solo speculativo. Inoltre la recente dimostrazione di correlazioni
di multipli polimorfismi di geni correlati all’angiogenesi e al processo infiammatorio (inclusi geni
che regolano l’espressione del fattore vascolare di crescita endoteliale, delle metalloproteinasi di
matrice e del TNF) con la suscettibilità alla malattia e lo sviluppo di lesioni coronariche ha sollevato
l’ipotesi che esista una componente genetica nella patogenesi della malattia e che questa abbia
carattere poligenico.
Manifestazioni cliniche
Il decorso della malattia è trifasico. La fase acuta è caratterizzata da febbre, congiuntivite, eritema
orofaringeo, edema duro delle mani e dei piedi, eritema polimorfo e linfadenopatia cervicale della
durata di circa 10-12 giorni. La fase subacuta è caratterizzata dalla desquamazione lamellare della
cute delle estremità, associata ad artralgie, trombocitosi ed interessamento cardiaco. Nella fase di
convalescenza ( dopo 20-25 giorni) scompaiono i sintomi acuti, ma persiste lo stato infiammatorio.
La febbre elevata rappresenta la prima manifestazione clinica della malattia. Può essere remittente o
continua con valori tra i 38 ed i 40 °C. Generalmente dura 1-2 settimane; una durata superiore alle 4
settimane deve orientare verso altre diagnosi. Dopo 2-4 giorni di febbre compare una congiuntivite
bilaterale non essudativa e raramente alla lampada a fessura si può evidenziare un quadro di uveite.
I sintomi oculari normalmente si risolvono in una settimana. Nello stesso periodo compaiono i
sintomi a carico della cavità buccale che appare secca, labbra rosse con fissurazioni, formazione di
croste e/o sanguinamenti (Fig. 1). Il faringe è intensamente iperemico ma senza afte o vescicole
nella cavità orale. La lingua può assumere l'aspetto a "fragola" come nella scarlattina. Le
manifestazioni orali si risolvono in 2 settimane anche se l'arrossamento delle mucose può persistere
per più tempo. La linfoadenopatia cervicale dolorosa compare in genere in contemporanea con la
febbre. La linfoadenomegalia è fissa, non fluttuante e talvolta può simulare una parotite. Da 1 a 5
giorni dall'esordio compare un esantema con aspetto pseudo morbilloso, orticarioide o
scarlattiniforme. Altri segni sono l'arrossamento delle palme delle mani e della pianta dei piedi a
volte con edema duro. L'esantema scompare con la cessazione della febbre. La desquamazione
cutanea inizia dalle regioni periungueali e può estendersi fino ai polsi o alla pianta dei piedi (Fig. 2).
Fig. 1 - Congiuntivite e
labbra rosse con fissurazioni
Fig. 2 - Desquamazione cutanea
Criteri diagnostici della malattia di Kawasaki
Febbre (di durata > 5 gg) associata a
4 o più dei seguenti criteri:
 Iperemia congiuntivale bilaterale bulbare
 Alterazioni delle labbra e della cavità orale
 Esantema polimorfo ( tronco ed estremità)
 Linfoadenopatia laterocervicale ( unilaterale)
 Alterazioni delle estremità ( eritema palmo- plantare,
edema duro mani e piedi, desquamazione delle dita
linee di Beau…) e/o eritema perineale
In pazienti che non soddisfano pienamente i criteri diagnostici classici, la diagnosi di MK può
essere atipica o incompleta, intendendo per la prima pazienti che presentano sintomi in genere non
rilevati nella MK (per esempio coinvolgimento renale, gastrointestinale, neurologico, articolare),
per l’altra pazienti che non hanno un numero sufficiente di criteri diagnostici. In queste forme, la
diagnosi ed il trattamento tempestivo sono fondamentali perché questi piccoli pazienti hanno un
rischio aumentato di sviluppare anomalie coronariche. Le complicanze più serie sono a carico del
sistema cardiovascolare. Aneurismi coronarici si manifestano nel 20-25% dei casi non trattati e nel
5% dei pazienti che hanno ricevuto una terapia appropriata con immunoglobuline endovena.
Durante la fase acuta in più dell'80% dei casi sono presenti segni di cardite con soffio, ritmo di
galoppo e riduzione dei toni all'ascoltazione. Segni elettrocardiografici tipici sono un allungamento
del PR e del QT, la presenza di un'onda Q, bassi voltaggi e presenza di aritmie e modificazioni del
tratto ST-T. All’esame radiologico del torace può evidenziarsi una cardiomegalia dovuta alla
miocardite e/o pericardite. All'ecocardiogramma possono essere presenti modificazioni dei vasi
coronarici come dilatazioni o aneurismi.
Diagnosi
Non esistono caratteristiche cliniche patognomoniche o test diagnostici elettivi; i dati di laboratorio
non sono specifici, ma in alcuni casi possono supportare la diagnosi o viceversa escluderla. Nella
fase acuta si osserva una leucocitosi con prevalenza di polimorfonucleati. L’aumento di VES e PCR
è quasi costante, la normalizzazione di solito avviene dopo 6-8 settimane dall’esordio. Nelle fasi più
avanzate è caratteristica la trombocitosi che di solito regredisce entro 4-6 settimane nei casi non
complicati; viceversa la trombocitopenia all’esordio è rara, ma viene considerata come fattore di
rischio per lo sviluppo degli aneurismi coronarici. Nella fase acuta della malattia si possono
osservare anche riduzione di colesterolo ed HDL, ipertransaminasemia di grado lieve o moderato,
iperbilirubinemia, aumento di γGT ed ipoalbuminemia. L’ecocardiografia bidimensionale e Color
Doppler è la modalità di imaging ideale per la valutazione cardiaca perché non invasiva e dotata di
alta sensibilità e specificità per i tratti prossimali delle arterie coronarie; è l’esame fondamentale per
la diagnosi delle complicanze maggiori a carico delle arterie coronarie, in particolare nelle fasi
iniziali della malattia. Tale esame strumentale dovrebbe essere eseguito in tutti i pazienti con MK
alla diagnosi, dopo 2 settimane e dopo 6-8 settimane dall’inizio della malattia. Nei pazienti
persistentemente febbrili, con anomalie coronariche, alterazione della funzione ventricolare sinistra,
insufficienza mitralica o versamento pericardico possono essere necessari controlli più frequenti.
Criteri ecografici per il riconoscimento delle lesioni coronariche



Diametro interno del lume coronarico > 3 mm x b. < ai 5 anni o > 4 mm x
b > 5 anni
Diametro di un vaso coronarico > 1.5 volte il diametro di un segmento
adiacente
Evidenti irregolarità del lume coronarico
Terapia
Il trattamento iniziale della MK prevede la somministrazione di immunoglobuline per via
endovenosa (IVIG) alla dose raccomandata di 2 g/Kg in unica somministrazione. La terapia va
iniziata nei primi 10 giorni di malattia e se possibile entro i primi 7. Tuttavia le IVIG dovrebbero
essere somministrate anche qualora la diagnosi venisse posta dopo il decimo giorno, in presenza di
febbre persistente, aneurismi o livelli elevati di VES e PCR. L’aspirina (ASA) è utilizzata a dosi
elevate per l’attività antinfiammatoria (80-100 mg/Kg/die in 4 somministrazioni), sinergica con
quella delle IVG, fino a 48-72 ore dopo la scomparsa della febbre o fino al quattordicesimo giorno
di malattia, e nella fase di convalescenza a basse dosi per l’attività antiaggregante (3-5 mg/Kg/die)
per 6-8 settimane dall’esordio e per tempo indefinito nei bambini che sviluppano coronaropatie. In
un 10% dei pazienti si ha una mancata risposta alla terapia iniziale con IVIG (persistenza della
febbre o ripresa febbrile dopo 36 ore dal completamento della terapia con IVIG). In questi casi è
raccomandata una seconda infusione di IVIG alla dose di 2 g/Kg. L’utilizzo degli steroidi
(metilprednisolone 30 mg/Kg/die per 1-3 giorni) è limitato invece ai bambini in cui più di 2
infusioni di IVG siano state inefficaci nel diminuire la febbre e l’infiammazione acuta. Sono state
riportate numerose altre terapie aggiuntive per i casi refrattari alla terapia standard (plasmaferesi,
ciclofosfamide, inibitore dell’elastasi dei neutrofili etc. etc.) . Ad oggi le esperienze cliniche più
interessanti riguardano l’utilizzo degli antagonisti del TNF-alfa, in particolare dell’anticorpo
monoclonale chimerico infliximab. Prima che questi farmaci però possano essere considerati per
l’impiego nella MK è necessario che tali segnalazioni vengano confermate attraverso studi clinici
controllati.
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Talenti A, Calabrò G, Meduri S, Salpietro V, Procopio V, Colavita L Vicchio P, Deak A, Grasso L,
Rigoli L, Gallizzi R
Le febbri ereditarie ricorrenti o sindromi autoinfiammatorie sono determinate da mutazioni a carico
dei geni che codificano per proteine recettoriali “segnale” coinvolte nei processi infiammatori e che
invariabilmente determinano uno squilibrio finale a favore delle citochine proinfiammatorie. Esse si
caratterizzano per la presenza di ricorrenti episodi febbrili, accompagnati a diverse manifestazioni
cliniche tra cui rash, sierosite (peritonite, pericardite, pleurite), linfoadenopatia e artrite. Durante gli
attacchi gli esami di laboratorio mostrano un aumento degli indici di flogosi. Nei periodi intercritici
i pazienti non presentano alcuna sintomatologia e gli indici di flogosi si negativizzano; la crescita
non è compromessa. Si distinguono tre principali entità nosologiche appartenenti a questo gruppo:
la Febbre Familiare Mediterranea (FMF), il deficit di Mevalonato chinasi o Sindrome da IperIgD
(HIDS) e la sindrome periodica associata al recettore del TNF (TRAPS). Vi sono poi le sindromi
autoinfiammatorie definite “criopirinopatie” in cui la febbre si associa ad un rash orticarioide, le
sindromi granulomatose di cui fa parte la Sindrome di Blau e le sindromi piogeniche che
comprendono la PAPA sindrome, la sindrome di Majeed e/o osteomielite cronica ricorrente
multifocale (CRMO). Nella diagnostica differenziale delle sindromi autoinfiammatorie rientra
anche la PFAPA (Febbre, Periodica, Stomatite Afosa, Faringite, Adenite) che è l’unica febbre
periodica non di origine genetica.
Febbre Familiare Mediterranea (FMF)
La FMF è una patologia a trasmissione autosomico-recessiva dovuta a mutazioni del gene MEFV
che mappa sul cromosoma 16p13.3 codificante una proteina, la pirina (anche definita
Marenostrina), specificamente espressa sulla superficie citoplasmatica delle cellule mieloidi. Tale
proteina gioca un ruolo importante nella produzione e secrezione di talune citochine infiammatorie,
come l’IL-1β, che agisce come regolatore negativo dell’apoptosi. Il gene responsabile, MEFV, è
costituito da dieci esoni con una lunghezza pari a 15 kb. Fino ad oggi sono state descritte più di 100
mutazioni a carico del gene MEFV; in molti casi non è sempre possibile stabilire una correlazione
genotipo-fenotipo. La mutazione più comune descritta è la M694V. Nel 25-60% dei casi gli episodi
febbrili esordiscono prima dei dieci anni di vita, nel 64-95% prima dei venti anni. Gli episodi
febbrili in genere hanno breve durata (1-3 giorni), si associano a dolore addominale 95%, dolore
toracico nel 33-53%; l’interessamento articolare è caratterizzato da una oligoartrite e/o monoartrite
asimmetrica; l’eritema erisipela-like è stato descritto a carico delle estremità degli arti inferiori.
Altre manifestazioni cliniche comprendono mialgie, splenomegalia, cefalea (15%). Gli esami di
laboratorio mettono in evidenza una spiccata neutrofilia ed incremento della VES. La complicanza
più grave a lungo termine è rappresentata dall’amiloidosi. La manifestazione clinica più comune
dell’amiloidosi è rappresentata dalla proteinuria, fino all’instaurarsi, in talune circostanze, di quadri
clinici di insufficienza renale. In meno dell’1 % dei pazienti l’amiloidosi può rappresentare
l’esordio della febbre familiare mediterranea. Il trattamento si basa sull’impiego della colchicina al
dosaggio di 1 mg/die negli adulti mentre nei pazienti scarsamente responsivi la posologia può essere
di 2 mg/die. Nei bambini il dosaggio dipende dalla fascia di età, ovvero < 0.5 mg/die per i bambini
di età < ai 5 anni, 1 mg/die per i bambini di età compresa tra 5-10 anni. Più del 70% dei pazienti
risponde a questo trattamento con una remissione completa degli episodi febbrili, solo il 5-10% è
non responders. Nei casi di mancata risposta alla terapia con colchicina, è stato proposto l’impiego
di farmaci biologici tra cui gli inibitori dell’IL-1.
Sindrome da IperIgD
Il primo caso di Sindrome da IperIgD (HIDS) è stato descritto nel 1984. Si tratta di una condizione
autosomica recessiva, caratterizzata da episodi febbrili ricorrenti che si possono associare ad un
incremento dei livelli di IgD sierici. Sono state descritte mutazioni a carico del gene MVK,
localizzato a livello del cromosoma 12q24, tra cui sostituzioni e/o delezioni. Alcune varianti
descritte come la V310M e A334T si associano a quadri clinici più severi. La mutazione più
frequentemente descritta del gene MVK è la V377I, in genere associata alle forme “mild” della
sindrome da IperIgD. L’MVK è un enzima essenziale nel processo di biosintesi degli isoprenoidi,
da cui prendono origine biomolecole implicate in numerosi meccanismi cellulari. Il deficit
enzimatico si traduce in un aumento dei livelli di mevalonato che a loro volta si correlano ad un
incremento dei livelli di IL-1 ß e quindi di citochine pro-infiammatorie. Il deficit assoluto di tale
enzima provoca una condizione patologica conosciuta con il termine di “mevalonico aciduria”,
caratterizzata da ritardo mentale di grado severo, atassia, ritardo di crescita, miopatia, cataratta.
Ovviamente l’aspetto clinico peculiare è rappresentato dagli episodi febbrili ricorrenti.
La HIDS si manifesta in genere nella prima decade di vita. La durata media degli episodi febbrili è
di circa 4-6 giorni, a cui si possono associare altri sintomi tra cui dolore addominale, alterazioni
dell’alvo (diarrea) e/o vomito, linfoadenopatia, splenomegalia, rash eritemato maculare o lesioni
simil-orticarioidi e aftosi del cavo orale. Il coinvolgimento articolare prevede una oligo-monoartrite
simmetrica. I dati di laboratorio mettono in evidenza un incremento delle proteine della fase acuta,
oltre ad un aumento dei livelli di IgD > 100 UI/ml. La diagnosi si basa sull’indagine genetica, più di
100 mutazioni sono state descritte a carico del gene MVK. L’uso degli steroidi sembrerebbe essere
utile nell’indurre la remissione degli episodi febbrili. La talidomide si è dimostrata inefficace.
L’impiego degli inibitori del TNF è solo aneddotica. Di recente, gli inibitori del recettore dell’IL-1,
si sono dimostrati molto efficaci.
TRAPS o Sindrome periodica associata al recettore del TNF
Si trasmette sotto forma di carattere autosomico dominate, trova la sua eziopatogenesi nelle
mutazioni a carico del gene TNFRSF1A, identificato a livello del cromosoma 12p13.3 che codifica
per il recettore solubile del TNF (TNFR1 o p55 TNF). Dai dati riportati in letteratura sono state
identificate ben 80 differenti mutazioni del gene TNFRSF1A. Trattasi nella maggior parte dei casi
di “mutazioni missenso”, in cui si assiste alla sostituzione di singoli residui aminoacidici in
corrispondenza dei domini ricchi di cisteina (CRD). I CRD sono responsabili della formazione dei
ponti sulfidrilici nonché dell’acquisizione della struttura ripiegata della proteina stessa. Il TNF
rappresenta indubbiamente un mediatore “chiave” della risposta infiammatoria, essendo coinvolto
in numerosi processi tra cui l’attivazione dei neutrofili, la secrezione di citochine infiammatorie,
l’esposizione di molecole di adesione. Pertanto, alterazioni nella biosintesi del recettore solubile del
TNF determinano un prolungamento della durata della risposta infiammatoria. Tale condizione può
esordire in una fascia di età compresa tra i 3-20 anni, gli episodi febbrili possono avere una durata
compresa tra 1-3 settimane, con benessere clinico nelle fasi intercritiche. Le manifestazioni cliniche
più comuni sono rappresentate da episodi di dolore addominale, alterazioni dell’alvo come diarrea
e/o stipsi. Frequenti sono inoltre anche gli episodi di toracoalgia. A carico della cute sono state
descritte manifestazioni come rash di tipo maculare, soprattutto alle estremità e al tronco, le
artralgie sono più frequenti dei quadri di artrite, con interessamento delle piccole articolazioni. Gli
episodi febbrili si associano ad aumento delle proteine della fase acuta tra cui la siero amiloide A,
neutrofilia e in alcuni casi anemia ipocromica. In epoca adulta, le manifestazioni cliniche più
frequentemente descritte sono gli episodi di dolore addominale rispetto agli episodi febbrili, a cui in
genere si associano mialgie e/o artromialgie, congiuntivite, edema periorbitario. La complicanza a
lungo termine è costituita dall’amiloidosi renale, descritta nel 14-25 % dei casi. Anche in questo
caso, si è cercato di studiare l’esistenza di una correlazione genotipo-fenotipo, infatti, i pazienti
portatori di mutazioni in corrispondenza dei CRD, presentano n quadro clinico più severo, steroido
resistenza, nonché una alta incidenza di amiloidosi. Mentre i pazienti portatori la mutazione R92Q
esprimono un fenotipo clinico “mild” e una buona risposta al trattamento con steroidi. Il primo step
terapeutico è rappresentato dall’impiego dei corticosteroidi (CS). La tendenza alla cronicizzazione
degli episodi febbrili, limita l’uso a lungo termine dei CS. L’impiego di farmaci immunosoppressori
ha condotto a risultati poco soddisfacenti, così come aneddotici sono i casi in cui vengono impiegati
gli inibitori del TNF. Al contrario, le evidenze in letteratura, esaltano l’efficacia a breve termine
dell’uso degli inibitori dell’IL-1.
CAPS o Criopirinopatie
Rappresentano un gruppo di malattie trasmesse con modalità autosomico dominante: 1) la sindrome
auto infiammatoria da freddo (FCAS), 2) la Sindrome di Muckle-Wells (MWS), 3) la sindrome
infiammatoria multi sistemica ad esordio neonatale (CINCA). Il gene responsabile è il CIAS1
localizzato a livello del cromosoma 1q44 che codifica per una proteina nota come criopirina. La
criopirina appartiene alla superfamiglia delle CATERPILLER, proteina strutturale del complesso
citoplasmatico noto anche con il termine di “inflammasoma”. In presenza di stimoli infiammatori la
criopirina si lega alle ASC (apoptosis-associated speck-like protein with a caspase recruitment
domain) formando dei domini. Tale complesso attiva direttamente l’enzima caspasi-1 il quale, a sua
volta, determina la conversione della pro-IL 1ß alla forma matura-attiva, e quindi all’instaurarsi
della risposta infiammatoria che si manifesta con la febbre.
La FCAS, anche conosciuta con il termine di orticaria familiare “a frigore”, si caratterizza per la
comparsa di un rash polimorfo secondario all’esposizione al freddo ad andamento intermittente, con
febbre della durata < 24 h e artralgie.
La Sindrome di Muckle-Wells, descritta per la prima volta nel 1962, si associa ad episodi ricorrenti
febbrili (TC 38 °C) della durata media di 1-2 giorni, cui si associano manifestazioni cutanee
orticaria-like, artralgie e in età pediatrica sono stati descritti casi di ipoacusia neurosensoriale.
Nel 1981 Prieur e Griscelli hanno descritto tre casi pediatrici che presentavano un quadro clinico ad
esordio neonatale caratterizzato da episodi febbrili persistenti associati a rash polimorfo orticarialike, linfoadenopatia, segni neurologici (ritardo mentale, ipoacusia neurosensoriale, meningite
asettica) artrite (poliartrite cronica con interessamento peculiare delle ginocchia), facies dismorfica
(bozze frontali prominenti, asimmetria del volto, filtro nasale corto). A tale condizione è stato più
tardi dato il nome di CINCA (Cronica, Infantile, Neurologica, Cutanea, Articolare).
La complicanza comune a lungo termine è rappresentata dall’amiloidosi, descritta nel 2-4 % dei
casi nella FCAS, 25 % dei casi nella sindrome di Muckle-Wells, 25% dei casi nella CINCA.
Sindrome di Blau
Descritta per la prima volta nel 1985, la sindrome di Blau o granulocitosi sistemica giovanile
familiare, si trasmette con carattere autosomico dominante, caratterizzata dalla formazione di
granulomi (ascessi) non caseosi, che possono localizzarsi a livello delle articolazioni, cute e uvea.
Si manifesta entro i primi cinque anni di vita Il gene responsabile è il NOD2/CARD15 localizzato
a livello del cromosoma 16q12.1-1.3 e che codifica per una proteina contenente il dominio che lega
NACHT. Le manifestazioni cliniche comprendono: rash eritemato papulare, artrite poliarticolare
simmetrica associata a sinovite granulomatosa non erosiva, uveite e/o panuveite. Il trattamento
prevede l’uso dei CS. Solo in casi aneddotici è stato descritto l’impiego degli inibitori del TNF
(Infliximab) o anti IL-1.
PAPA Sindrome (Artrite Piogenica, Pioderma Gangrenoso e Acne)
Secondaria a mutazioni del gene CD2BP1 o PSTPIP1 situato a livello del cromosoma 15q24-q25.1,
che codifica per una proteina legante la “pirina”. Si trasmette con modalità autosomico dominante.
Le manifestazioni cliniche comprendono pioderma gangrenoso, acne cistica e dermatite ulcerativa
che rappresentano quelle più comuni. L’artrite ha esordio precoce in età pediatrica, pauciarticolare,
caratterizzata da episodi ricorrenti di “relapse” che possono mimare l’artrite settica. La terapia
prevede l’impiego degli steroidi e degli inibitori del TNF.
Sindrome Majeed
Descritta per la prima volta nel 1989 a trasmissione autosomico recessiva. Si caratterizza per
l’associazione di osteomielite cronica multifocale (CRMO), anemia, dermatosi infiammatoria (acne,
pioderma gangrenoso, psoriasi), episodi febbrili ricorrenti e ritardo di crescita. L’esordio clinico
avviene nei primi anni di vita. Gli studi di linkage hanno documentato mutazioni del gene LPIN2
identificato sul cromosoma 18p11.31.
PFAPA (Febbre Periodica, Stomatite Aftosa, Faringite, Adenopatia)
Alcuni bambini presentano nel corso dei primi anni di vita episodi febbrili ad andamento periodico,
che non riconoscono mutazioni genetiche comuni alle sindromi auto infiammatorie sopra descritte.
L’esordio avviene prima del quinto anno di vita. Gli episodi hanno una durata media di 3-6 giorni,
con una ricorrenza di 2-6 settimane. Si possono associare afte al cavo orale, faringotonsillite
essudativa, linfoadenopatia laterocervicale.
Gli esami di laboratorio documentano un aumento degli indici di flogosi e una neutrofilia. Gli
episodi febbrili nella maggior parte dei casi vanno incontro a remissione spontanea o dopo
somministrazione di steroidi. In molti pazienti gli episodi acuti nel tempo si diradano, fino anche a
cessare, dopo molti anni. Nei pazienti in cui gli episodi si protraggono nel tempo con difficile
gestione familiare e con compromissione della qualità di vita si può proporre la tonsillectomia.
Tabella riassuntiva delle Sindromi Autoinfiammatorie:
Bibliografia
1. Autoinflammatory syndromes behind the scenes of recurrent fevers in children. Med Sci
Monit, 2009; 15(8): RA179-187;
2. Diagnosis and Management of Autoinflammatory Diseases in Childhood. J Clin Immunol
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3. Autoinflammation: The prominent role of IL-1 in monogenic autoinflammatory diseases and
implications for common illnesses. J Allergy Clin Immunol 2009;124:1141-9.
Porpora di Schönlein-Henoch
Deak A, Loddo I, Talenti A, Comito D, Vicchio P, Gallizzi R
La Porpora di Schönlein-Henoch (PSH) fu per la prima volta descritta nel 1801, da Heberden, che
notò l’associazione di vomito, dolore addominale, melena, artralgie, ematuria e rash purpurico in un
bambino di 5 anni. In seguito, Schönlein descrisse l’associazione di artralgia e lesioni purpuriche
cutanee in un bambino, chiamandola “peliosi reumatica”. Nel 1837, Henoch riportò i casi di 4
bambini che presentavano dolore addominale e, successivamente svilupparono malattia renale, in
addizione alle manifestazioni cutanee e articolari. Da allora tale malattia venne chiamata PSH.
La porpora di Schönlein-Henoch (PSH) è la più comune vasculite dell’età pediatrica ed è
caratterizzata da un coinvolgimento dei piccoli vasi principalmente a livello della cute, delle
articolazioni, del tratto GI, e più raramente, a livello renale. Nonostante le caratteristiche maggiori
del quadro clinico siano autolimitantesi, la complicanza renale è potenziale causa di morbilità a
lungo termine. Il follow-up dei bambini con diagnosi di PSH dovrebbe essere semestrale e dovrebbe
comprendere controlli seriati con esami delle urine per la ricerca di proteinuria ed ematuria, e la
rilevazione della pressione arteriosa. È raccomandabile per le donne con pregressa diagnosi di PSH,
un attento monitoraggio in gravidanza in quanto a rischio di complicanze (proteinuria, ipertensione
arteriosa).
La PSH colpisce più frequentemente bambini della fascia di età tra 5-15 anni, mentre essa è più rara
negli adulti e nella prima infanzia, in quest’ultimo caso è stato utilizzato il termine di ”edema
emorragico acuto dell’infanzia” (AHEI) da parte di Finkelstein, in bambini di età minore di 2 anni.
L’età di esordio è stata considerata una variabile predittiva sia per la severità della malattia che per
l’outcome.
L’etiologia rimane sconosciuta, mentre numerosi sono i
vaccinazioni, farmaci, alimenti, punture d’insetti) (Tab.1).
fattori scatenanti (agenti infettivi,
La malattia è caratterizzata da deposizione di IgA contenenti IC e componenti del Complemento nei
piccoli vasi, e spesso nel mesangio renale.
Epidemiologia
La PSH può colpire tutte le fasce di età ma viene riportata più frequentemente in bambini di età
compresa fra 2 anni-6 anni. L’incidenza varia da 10,5 a 20,4/100000 bambini/anno, con
un’incidenza maggiore nella fascia di età 4-6 anni, con più di 70 nuovi casi/100000 bambini in un
anno, con un rapporto M/F di circa 1,2:1.
Fisiopatologia
Il meccanismo patogenetico ipotizzato coinvolge complessi antigene-anticorpo, prevalentemente
contenenti IgA, che si formano in seguito ad
infezioni batteriche o virali, vaccinazioni, o a
meccanismi di tipo autoimmune (Tab1). Tali complessi Ag-Ab si depositano a livello dei piccoli
vasi ed in tale sede attivano la via alternativa del Complemento che è responsabile dell’accumulo in
sede di neutrofili e quindi dell’infiammazione e della vasculite. Tale processo può coinvolgere vari
organi ed apparati ma principalmente vengono colpiti la cute, il tratto gastro-intestinale, i reni e le
articolazioni. La vasculite determina stravaso di sangue e dei suoi componenti nello spazio
interstiziale, e ciò spiega l’edema e le emorragie (Fig.1).
Fig1 Diagramma schematico della fisiopatologia della PSH
Manifestazioni cliniche
La PSH è caratterizzata dalla classica associazione di porpora palpabile non trombocitopenica,
artrite o artralgie, coinvolgimento gastro-intestinale e renale, e, raramente, di altri organi ed apparati
(SNC, app.genito-urinario).
Manifestazioni cutanee. Includono il rash non trombocitopenico ad evoluzione da eritematoso a
orticaroide, da maculare a porpora che non scompare alla digitopressione, quindi petecchie ed
ecchimosi. La porpora palpabile viene riscontrata nel circa 50% dei casi all’esordio. Le lesioni
purpuriche possono persistere per 3-10 giorni dall’esordio della malattia. La classica PSH si
presenta con lesioni a distribuzione simmetrica, a carico degli arti inferiori ma anche degli arti
superiori, del tronco, del volto. Inizialmente le lesioni sono singole, di dimensioni di < 1 cm, per
confluire in seguito, dando origine a vere e proprie aree ecchimotiche. Più raramente si possono
riscontrare bolle emorragiche, ulcerazioni e scarring dermale. Dal punto di vista istopatologico le
lesioni della vasculite leucocitoclastica si caratterizzano da infiltrazione di neutrofili caratterizzati
da spiccata segmentazione nucleare, a carico degli strati superiori e medi del derma, con riscontro
di depositi di IgA all’immunofluorescenza. L’angioedema può essere riscontrato in regione del
cuoio capelluto, del dorso e delle estremità.
Manifestazioni gastro-intestinali. Il dolore addominale (di tipo colico, che si accentua con i pasti)
è il più comune sintomo del coinvolgimento dell’apparato GI. Altri sintomi contemplati sono la
nausea, vomito, ematemesi, melena ed ematochezia. Tali sintomi sono secondari alla vasculite a
livello mesenterico. Raramente si possono riscontrare un’invaginazione intestinale, necrosi
intestinale, perforazione intestinale, emorragie massive del tratto GI, colecistite acuta alitiasica,
ascite emorragica con sierosite, cirrosi biliare. Di solito le manifestazioni cutanee precedono le
manifestazioni GI, ma in ¼ dei casi le manifestazioni GI compaiono prima delle manifestazioni
cutanee. Per quanto riguarda la diagnosi differenziale si deve escludere l’addome acuto.
Manifestazioni articolari. In circa 2/3 dei pazienti con PSH si riscontrano poliartralgie che sono
tipicamente non-migratorie, non-distruttive, colpiscono in maniera simmetrica le grandi
articolazioni (anche, ginocchia).
Manifestazioni renali. Ematuria (macro o micro-ematuria) è la più comune manifestazione renale.
Proteinuria si può presentare in associazione all’ematuria (frequentemente) o isolata (raramente). La
maggior parte dei casi di nefrite da PSH si risolve spontaneamente, solo una piccola percentuale
(5%) dei casi presenta evoluzione sfavorevole verso l’IRC (chronic end-stage renal disease, ESRD)
a 5 anni dall’esordio della malattia. Il coinvolgimento renale è simile alla nefropatia IgA correlata
(macroematuria e proteinuria lieve precedute da un episodio infettivo a carico delle alte vie
respiratorie). Proteinuria persistente ed ematuria rappresentano fattori prognostici negativi,
predittivi di evoluzione verso ESRD. Nonostante la maggior parte dei pazienti sviluppino malattia a
livello renale entro 3 mesi dalla comparsa delle manifestazioni cutanee, è necessario il follow-up
laboratoristico, con controlli seriati dell’esame delle urine, per circa 1 anno. La complicanza renale
rimane il più importante fattore prognostico di morbidità e mortalità della PSH.
Criteri diagnostici
La diagnosi è essenzialmente clinica, ma nel caso di una presentazione atipica si pone l’indicazione
alla biopsia tessutale. Per quanto riguarda i criteri diagnostici, essi sono stati recentemente
revisionati da parte dell’European League against Reumatism (EuLAR) e della Pediatric
Rheumatology (PreS); tuttavia la maggior parte degli studi fanno riferimento ai criteri proposti
dall’American College of Rheumatology (tab2 e tab.3).
Tab.3
Diagnosi differenziale
Bambini (<17 anni di età) con porpora palpabile e coinvolgimento multiorgano (GI, articolare e
renale), senza trombocitopenia possono essere diagnosticati con PSH. La diagnosi differenziale
della PSH viene fatta con altre condizioni come la Malattia di Crohn, la granulomatosi di Wegner,
l’endocardite infettiva, la nefropatia da IgA, la sindrome emolitico-uremica.
Esami di laboratorio
Nessun test è diagnostico per la PSH; tra gli esami di 1° livello raccomandati:
 Esame emocromocitometrico: con possibile riscontro di anemia e/o leucocitosi
 Velocità di eritro-sedimentazione (VES): notmale/aumentata
 Profilo coagulativo: normale
 Funzionalità epatica e renale: la funzionalità renale può risultare alterata, con aumento della
creatininemia.Bassi livelli di albumina (potrebbe essere correlata al coinvolgimento renale o
GI)

Titolo anti-streptolysina-O o anti-Dnasi B: per confermare un’infezione streptococcica
precedente (ciò non esclude la PSH, che potrebbe essere scatenata dall’infezione)
 Dipstick urinario e rapporto proteinuria/creatinuria (UP/UC): ematuria, proteinuria
 Escludere la sepsi: se la diagnosi non è chiara, in presenza di porpora
Ulteriori approfondimenti di 2° livello vengono raccomandate al fine di supportare la diagnosi o di
fronte ad un coinvolgimento renale significativo (tab.4)
Tab 4
Tab.5 Esami strumentali nella diagnosi delle complicanze della PSH
Terapia
Il trattamento, che riflette l’andamento auto-limitante della malattia in circa 95% dei casi in età
pediatrica e 89% in età adulta, si basa sulla vigile attesa, diretta in modo particolare dal controllo
della manifestazioni renali e gastrointestinali. Per il trattamento sintomatico (rash e artrite) possono
essere somministrati antinfiammatori non steroidei (escludendo l’acido acetilsalicilico, per la sua
attività antiaggregante).
I cortisonici per os (prednisone o metilprednisolone) sononindicati nei pazienti con rash cutaneo
severo, gravi dolori addominali (senza nausea, vomito asociati), coinvolgimento renale, dei genitali
o nei rari casi di interessamento del SNC (convulsioni), dei polmoni. La terapia con cortisonici
viene iniziata al dosaggio da 1-2 mg/kg/die per 1-2 settimane, poi a scalare. I cortisonici per via ev
possono essere somministrati se il paziente non tollera gli steroidi per os. I cortisonici sembrano
efficaci per ridurre la durata della sintomatologia GI (a 2 giorni versus 12,3 giorni nei pazienti non
trattati), le recidive della PSH o della sintomatologia GI, ed inoltre la progressione del danno a
livello renale; sembrano efficaci per prevenire l’invaginazione intestinale e le emorragie GI.
Indicazioni ad eseguire biopsia renale

carattere ingravescente del danno renale/sindrome nefritica all’esordio

sindrome nefrosica con funzionalità renale conservata,persistente a 4 settimane dall’esordio

proteinuria (UP/UC > 250 mg/mmol) a 4-6 settimane dall’esordio

proteinuria persistente: UP/UC > 100 mg/mmol per più di 3 mesi
In caso di nefropatia grave, confermata dalla biopsia renale, è giustificato intraprendere una terapia
con cortisonici o/e immunosoppressori, come azatioprina, ciclofosfamide o ciclosporina.
Tab.6 Principali strategie terapeutiche nella PSH
Bibliografia
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Part II: Final classification criteria Seza Ozen et al Ann Rheum Dis 2010
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5. Reumatologia - Unità Operativa Complessa di Genetica e