GIDM Rassegna 23, 17-27, 2003 LA FUNZIONE ENDOTELIALE NEL DIABETE MELLITO A. AVOGARO riassunto Il diabete mellito è caratterizzato da disfunzione endoteliale la cui caratteristica preminente è una ridotta attività biologica di monossido d’azoto (NO), il più potente vasodilatatore conosciuto. Una ridotta sintesi di NO, già peraltro in presenza di insulino-resistenza, non solo si associa a ridotta vasodilatazione, ma anche ad aumentata aggregazione piastrinica e ad un’aumentata adesività leucocitaria alla parete arteriosa. L’enzima che sintetizza NO, la sintasi costitutiva del monossido d’azoto (cNOS), richiede la fisiologica presenza di alcuni cofattori, quali la tetraidrobiopterina: in corso di diabete il loro deficit “disaccoppia” la cNOS che non produce più NO quanto radicali nitrosilati, prodotti altamente tossici sia per le funzione cellulari sia per le fisiologiche funzioni del vaso arterioso. L’NO, aumentando la vasodilatazione, favorisce l’utilizzazione di substrati ossidabili, quali il glucosio, da parte dei tessuti insulino-sensibili: pertanto l’NO funge da “ponte” tra fisiologia vascolare e metabolismo intermedio. Dal punto di vista terapeutico il medico ha a disposizione molti mezzi, farmacologici e non, per migliorare o normalizzare la funzione endoteliale. Parole chiave. Endotelio, diabete mellito, insulino-resistenza, monossido d’azoto, aterosclerosi. summary Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Padova, Padova The endothelial function in diabetes mellitus. Diabetes mellitus is characterized by endothelial dysfunction, i.e. a reduced biological activity of nitric oxide (NO) the most powerful vasodilator identified so far. A reduced synthesis of NO, detectable in the states of insulin resistance, is not only associated to an impaired vasodilatation but also to an increased platelet aggregation and leukocyte adhesion to the vascular endothelium. The enzyme needed for NO byosynthesis is the nitric oxide synthase (cNOS); for an optimal NO synthesis it requires some cofactors such tetrahydrobiopterin. In the diabetic state, these cofactors are deficient so that cNOS becomes uncoupled: this leads to the formation of nytrosyl radicals rather then NO. These free radicals are toxic for the endothelial function. NO, by increasing vasodilatation and therefore blood flow, increases the peripheral uptake of oxidazable substrates such glucose: therefore NO synthesis is a major determinant of hemodynamic/metabolic coupling. From a therapeutic point of view physician has a vast array of non pharmacologic and pharmacologic intervention to improve and preserve the endothelial function in humans. Key words. Endothelium, diabetes mellitus, insulin resistance, nitric oxide, atherosclerosis. Introduzione Il diabete mellito, malattia non guaribile ma curabile, è un fattore indipendente di rischio per cardiovasculopatia (CVD): infatti, oltre il 65% dei diabetici muore per CVD (1). Questo eccesso di mortalità è dovuto anche al fatto che nella maggior parte dei pazienti diabetici sono presenti anche altri fattori di rischio maggiori per CVD quali l’insulino-resistenza, l’iperlipidemia, bassi livelli di colesterolo HDL, l’ipertensione arteriosa e uno stato protrombotico. Questi agiscono negativamente sull’endotelio vascolare, cioè su quello strato di cellule che ha l’importante compito di rivestire la parete interna dei vasi e di preservarne l’integrità anatomico-funzionale. La presenza di almeno uno di questi fattori di rischio porta alla cosiddetta disfunzione endoteliale, quella situazione in cui le cellule endoteliali (CE) non sono più in grado di rispondere fisiologicamente a una determinata variazione dell’omeostasi vascolare. In questa situazione viene 17 GIDM Rassegna 23,17-27, 2003 Tab. I. Condizioni associate a disfunzione endoteliale Aterosclerosi Ipertrigliceridemia Ipercolesterolemia Fumo Basso colesterolo HDL Cardiopatia dilatativa Lp(a) elevata Insufficienza cardiaca Ipertensione arteriosa Menopausa Iperomocisteinemia Ipertensione polmonare Invecchiamento Vasculite meno l’integrità della classica triade di Wirchow caratterizzata dal fine equilibrio tra elementi circolanti, flusso ematico e cellule endoteliali. Le anormalità della parete vascolare le possiamo oggi raggruppare, nello stadio iniziale del processo aterosclerotico, sotto il termine di disfunzione endoteliale. Vi sono oramai prove robuste che quest’ultima preceda il danno aterosclerotico e predica l’evento cardiovascolare (2): si può affermare che la disfunzione endoteliale sta al danno aterosclerotico come la microalbuminuria sta alla nefropatia diabetica. Le principali azioni dell’endotelio sono il mantenimento del tono vascolare, della permeabilità vasale e di un ottimale equilibrio tra coagulazione e fibrinolisi, della composizione della matrice subendoteliale e del fisiologico equilibrio tra proliferazione/apoptosi delle cellule muscolari lisce (CME): un’alterazione o la perdita di una di queste funzioni rappresenta la disfunzione endoteliale. Tra le varie funzioni delle CE la produzione di monossido d’azoto (NO) è sicuramente tra le più importanti. essere regolata dalle concentrazioni extracellulari di Larginina nonostante, all’interno della cellula, le concentrazioni di questo aminoacido (0,1-1 mM) superino di gran lunga la Km di NOS3 per l’L-arginina (2,9 µm) (3). La reazione è catalizzata da un enzima, la sintasi dell’ossido nitrico, che prevede tre differenti isoforme (fig. 1): la sintasi neuronale (nNOS o NOS1) espressa prevalentemente nei neuroni, la sintasi inducibile (iNOS o NOS2), la cui espressione è indotta solamente da alcuni specifici stimoli, e la sintasi endoteliale (eNOS o NOS3) espressa nell’endotelio, nei cardiomiociti e nelle piastrine. Altre interazioni importanti dell’enzima avvengono con la caveolina1 la quale inibisce l’attività di NOS3, con Akt che fosforila l’enzima e lo attiva e con HSP90 (heat shock protein di 90 KDa), una proteina che facilita l’interazione tra NOS3 e Ca++/calmodulina (fig. 2). L’evento fisiologico che porta a un aumento dell’attività di NOS3, e quindi della sintesi di NO, è lo shear stress, ovvero quella forza che viene prodotta dal flusso ematico per unità di superficie della parete vascolare. Stimoli farmacologici che portano alla sintesi di NO sono l’acetilcolina, la bradichinina, la sostanza P e la serotonina. Una volta prodotto, l’NO diffonde nelle CML dove attiva la guanilato ciclasi, che a sua volta aumenta la concentrazione di cGMP il quale induce rilasciamento e quindi vasodilatazione. La sintesi di NO dall’L-arginina rappresenta dallo 0,5% all’1,2% del flusso di L-arginina plasmatica; inoltre, quest’ultima rappresenta solo il 54% dell’Larginina utilizzata per la sintesi di NO, in quanto il rimanente proviene probabilmente da fonti endogene come la degradazione proteica (4). Dominio Ossigenasico Eme/BH4 La produzione di NO L-arginina L’NO è un radicale libero prodotto da un aminoacido essenziale, L-arginina, che viene convertito a L-citrullina con produzione di NO. L’L-arginina è trasportata nelle cellule da un sistema di specifici trasportatori, in particolar modo dal sistema y+. La localizzazione cellulare di questi trasportatori può essere almeno in parte responsabile del cosiddetto “paradosso dell’arginina”, il fatto cioè che la sintesi di NO nelle CE può Reduttasico Flusso di elettroni Fig. 1. 18 FMN H2O NADPH FAD O2 FMN Flusso di elettroni FAD NADPH L-citrullina N-OH-L-Arginina O2 Reduttasico CaM CaM H2O Eme/BH4 Ossigenasico NO GIDM Rassegna 23, 17-27, 2003 Shear stress HSP 90 Akt/PKB cio, oltre a presentare una discreta invasività per il soggetto, è caratterizzata dall’effetto su altre sostanze con importante attività vasomotoria, come per esempio l’inibizione pregiunzionale del rilascio di noradrenalina. Ciò può spiegare la mancanza di correlazione dell’infusione di acetilcolina nei vari distretti. Una metodica impiegata a livello coronario per valutare la funzione endoteliale è il calcolo della cosiddetta riserva coronaria definita come il rapporto tra il flusso iperemico massimale e il flusso di base: una riduzione di tale rapporto è indice, in assenza di stenosi coronaria, di disfunzione endoteliale (8). Ovviamente tale approccio è per definizione invasivo e deve essere effettuato in soggetti altamente motivati e che ne abbiano reale necessità. La vasodilatazione flusso-mediata si basa sulla capa- Caveolina Geranilgeranil-PP cNOS miristolazione palmitolazione fosforilazione cNOS - NO IP3 Nitrosileme sGC cGMP Fig. 2. + Fosfolambano + Canali K PKG PKG V A S O D I L A T A Z I O N E Valutazione della funzione endoteliale Tab. II. Funzioni delle cellule endoteliali I due approcci più comunemente usati per la valutazione della funzione endoteliale sono la risposta emodinamica all’infusione di acetilcolina e la risposta dell’arteria brachiale alla vasodilatazione flusso-mediata. L’infusione di acetilcolina produce in un letto vascolare con CE integre vasodilatazione: al contrario, in presenza di disfunzione endoteliale, vi è vasocostrizione dovuta all’interazione tra l’acetilcolina e i suoi recettori a livello delle cellule muscolari. L’infusione di acetilcolina, soprattutto nell’arteria brachiale, è in grado di stimolare non solo la vasodilatazione indotta dal rilascio di NO, ma anche quella indotta dal rilascio del fattore iperpolarizzante (EDHF): la vasodilatazione di NO è prevalente nelle arterie di grosso calibro e si riduce progressivamente a favore dell’EDHF nelle arteriole di resistenza (5). La risposta vasodilatatoria dell’arteria brachiale all’acetilcolina si correla discretamente con la funzione endoteliale a livello coronario: la non entusiasmante concordanza è dovuta all’eterogeneicità dello stesso letto vascolare coronario. Nel 25% dei pazienti con coronaropatia la risposta vasodilatatoria all’acetilcolina può variare da segmento a segmento in funzione dell’integrità endoteliale (6, 7). Un approccio alternativo per la valutazione della funzione endoteliale in termini di rilascio di NO è il blocco specifico della NOS mediante infusione di inibitori stereospecifici della NOS3: tanto maggiore sarà la disfunzione endoteliale tanto minore sarà la vasocostrizione indotta dalla somministrazione dell’inibitore. Altre sostanze vasoattive impiegate per la valutazione della funzione endoteliale sono la bradichinina, la sostanza P e la serotonina. L’infusione di agonisti e antagonisti specifici di NO nell’avambrac- 19 Target funzionale delle CE Vasoregolazione Vasocostrizione 1. Endotelina 2. Angiotensina II 3. Trombossano A2 4. PGH2 Vasculogenesi/ angiogenesi Infiammazione Coagulazione/ Fibrinolisi Stimolazione 1. Platelet derived growth factor 2. Fibroblast growth factor 3. VEGF 4. Angiotensina Vasodilatazione 1. Monossido d’azoto (NO) 2. Bradichinina 3. Fattore iperpolarizzante (EDHF) 4. PGI2 Inibizione 1. NO 2. PGI2 3. TGFβ Proinfiammatorie Molecole di adesione Protrombotico PAI-1 Permeabilità Stimolazione Recettori per i prodotti tardivi di glicazione (RAGE) VEGF/VPF Adesività cellulare Stimolazione 1. Integrine 2. Molecole di adesione Antitrombotico 1. Prostaciclina 2. TPA Inibizione NO GIDM Rassegna 23, 17-27, 2003 cità che hanno le CE di produrre NO in risposta all’iperemia secondaria a ischemia prolungata. Mentre l’iperemia reattiva è prodotta essenzialmente da prostaglandine, adenosina e basso pH ed è immediata, l’aumento di calibro del vaso, più tardivo, è determinato dall’NO, soprattutto dopo ischemia non prolungata (5 min) (9). Pertanto, nella vasodilatazione flusso-mediata si calcola la percentuale di incremento del calibro, nella fattispecie, dell’arteria brachiale, rispetto al calibro determinato prima dell’ischemia. La presenza di disfunzione endoteliale si associa a una ridotta o assente capacità del vaso di dilatarsi in risposta all’iperemia postischemica. Tale tecnica, benché riconosciuta universalmente come un approccio rapido e non invasivo di valutazione di funzione endoteliale, svela probabilmente non solo la funzione endoteliale, ma anche la funzione miogenica intrinseca. È stato infatti dimostrato che l’occlusione arteriosa non induce solamente un rilascio di NO, ma anche la produzione di prostaglandina, di adenosina e una riduzione del pH, tutti elementi questi che fanno di questa metodica un approccio abbastanza incerto per uno studio accurato del rilascio di NO da parte delle CE. Altri stimoli per valutare la funzione endoteliale prevedono l’infusione di bradichinina, la quale però agisce prevalentemente sul rilascio di fattore iperpolarizzante e l’infusione di serotonina. Altri approcci meno utilizzati sono l’uso della PET e infusione di [13N]NH3, la flussimetria laser-Doppler, metodo semplice, non invasivo che valuta la risposta endoteliale del microcircolo, e la compliance delle vene dorsali della mano agli stimoli vasoattivi. Una ridotta risposta vasodilatatoria può essere conseguenza non tanto di una ridotta produzione di NO quanto di una ridotta risposta delle CML allo stesso NO: è quindi importante valutare la risposta delle CML alla somministrazione di NO e il conseguente incremento di flusso o variazione di diametro: a tale scopo vengono utilizzati o il nitroprussiato di sodio o la nitroglicerina. Come precedentemente accennato, l’endotelio deve essere considerato a tutti gli effetti come un organo ubiquitario, complesso e in grado di sintetizzare un considerevole numero di molecole con ben precise funzioni sull’omeostasi vascolare. Pertanto, parlare di disfunzione endoteliale facendo riferimento alla sola fisiopatologia del sistema L-arginina-monossido d’azoto è estremamente riduttivo. Pertanto, per valutare la funzione endoteliale, si è ricorsi alla determinazione dei livelli di alcuni marcatori plasmatici di derivazione endoteliale. Tra questi i più comunemente impiegati sono il fattore di vonWillebrand (vW), la fibronectina, la trombomodulina, l’attivatore tissutale del plasminogeno (TPA), la E-selectina e le moleco- Tab. III. Marcatori solubili di funzione endoteliale Marcatore Recettore Funzione vonWillebrand Integrina β3 Adesione piastrinica al vaso, trasporto fattore VIII Fibronectina Integrina β1 e β3 Riparazione e sintesi tissutale Trombomodulina Trombina Attivazione proteina C TPA Plasminogeno Conversione plasminogeno in plasmina E-selectina PSGL-1/ESL-1 (?) Media il rolling leucocitario ICAM-1 Integrina β1 e β2 Media l’adesione leucocitaria al vaso VCAM-1 Integrina β1 e β2 Media l’adesione leucocitaria al vaso le di adesione, in particolare l’intercellular adhesion molecule-1 (ICAM-1) e il vascular adhesion molecule1 (VCAM-1). Purtroppo per motivi di spazio non è possibile considerare singolarmente ciascun marcatore: basti comunque ricordare che la determinazione delle molecole di adesione, e più in generale delle proteine considerate indici di disfunzione endoteliale, rappresenta un utile approccio diagnostico, relativamente non invasivo, per quantificare la disfunzione o il danno endoteliale in vivo nell’uomo. Inoltre, i loro livelli circolanti sembrano rispecchiare abbastanza fedelmente la produzione di NO da parte delle CE (10). Si invita comunque a riferirsi a delle rassegne più complete sull’argomento (11). Insulino-resistenza e disfunzione endoteliale Evidenze in vitro L’insulina è in grado di stimolare la sintesi di NO da parte delle CE. A differenza degli agonisti muscarinici che inducono la sintesi di NO mediante l’interazione con specifici recettori, chiamati M3, l’insulina attiva la sintesi di NO attraverso meccanismi non del tutto chiariti. È stato dimostrato che, per la sintesi di NO insulino-stimolata, è necessaria l’integrità funzionale del recettore insulinico, della fosfatidil-inositol-3 chi- 20 GIDM Rassegna 23, 17-27, 2003 nasi (PI3K) e di Akt, una serina-treonin chinasi a valle di PI3K. PI3K (fig. 2) è anche necessaria (ma non sufficiente) per la translocazione dei trasportatori del glucosio GLUT4 (12-15). Pertanto l’insulina, mediante l’interazione con il suo recettore, è in grado di stimolare a livello delle CE, sia la sintesi di NO che l’utilizzazione di glucosio. L’NO, a sua volta, non solo è in grado di vasodilatare ma anche di aumentare, nelle cellule muscolari, il trasporto di glucosio. Appare pertanto evidente come i messaggi metabolico ed emodinamico dell’insulina siano tra loro strettamente correlati: pertanto difetti nella transduzione del messaggio metabolico possono predire difetti nella transduzione del messaggio emodinamico. Dati recenti che comprovano il legame tra sintesi di NO e resistenza insulinica vengono dal gruppo di Baron e dal gruppo di Scherrer. In ratti Sprague-Dawley la somministrazione intracerebroventricolare di NG-monometil-Larginina causa insulino-resistenza (IR); inoltre, in modelli di ratto transgenico per NOS3, oltre che ipertensione, sono presenti iperinsulinemia a digiuno, una riduzione di circa il 40% dell’azione insulinica, una netta riduzione della capacità vasodilatatrice dell’insulina stessa nonché un aumento dei livelli di trigliceridi circolanti (16, 17). Evidenze in vivo Studi nell’uomo suggeriscono un ruolo primario della disfunzione endoteliale nella genesi della resistenza insulinica: un’alterata vasodilatazione flusso-mediata è stata rilevata in familiari di primo grado normotesi di diabetici di tipo 2 (18); anormalità nella reattività Vasodilatazione Utilizzazione di glucosio + NO IRS PI3K NOS Fig. 3. Akt GLUT4 micro- e macrovascolare sono state riportate in individui a rischio per diabete mellito di tipo 2 con curva da carico di glucosio ancora nei limiti di norma (19, 20). In presenza di conclamata insulino-resistenza è stata documentata una ridotta risposta alla bradichinina e all’acetilcolina sia nei vasi di grosso calibro sia nella microcircolazione, sebbene questa associazione non sia stata univocamente confermata (21-23). Il legame tra insulino-resistenza e disfunzione endoteliale sembra essere più consistente quando l’insulino-resistenza co-segrega con un qualsiasi elemento della classica sindrome metabolica: una ridotta produzione/attività di NO è stata riscontrata in pazienti con ipertensione arteriosa, con ipertrigliceridemia, bassi livelli di colesterolo HDL, obesità addominale, elevati livelli di acidi grassi liberi e citochine infiammatorie (24, 25). Recentemente Arcaro e coll. hanno dimostrato che una moderata iperinsulinemia causa disfunzione endoteliale mediante stress ossidativi, danno reversibile con somministrazione acuta di vitamina C (26). Si può pertanto affermare che l’insulino-resistenza non solo causa disfunzione endoteliale mediante l’azione negativa dei molteplici fattori di rischio che co-segregano con questa patologia, ma anche mediante un’azione negativa diretta dell’ormone sul letto endoteliale. Disfunzione endoteliale e diabete Evidenze in vitro L’iperglicemia è in grado di causare disfunzione endoteliale (27, 28): la maggior parte di queste osservazioni suggerisce che il danno da iperglicemia sull’endotelio sia secondario a stress ossidativo, ma i dati disponibili in letteratura sembrano porre in luce dei meccanismi più eterogenei e complessi per spiegare il danno endoteliale da iperglicemia. È comunque utile tener presente che la disfunzione endoteliale può essere riconducibile a un ben preciso meccanismo fisiopatologico che comporta: 1. Alterazioni del rapporto substrato/enzima; 2. Alterazioni nell’espressione/struttura di NOS; 3 Alterazioni di segnale; 4. Alterazioni delle disponibilità di cofattori; 5. Distruzione di NO (29, 30). La prima ipotesi è supportata da evidenze sia cliniche sia sperimentali che hanno ampiamente dimostrato come, aumentando il substrato per NOS, l’L-arginina, vi sia un miglioramento della funzione endoteliale in termini di produzione di NO (3, 31, 32). Alternativamente sono stati evidenziati dei composti che inattivano o alterano il normale rapporto precursore/prodotto: uno di questi 21 GIDM Rassegna 23, 17-27, 2003 è la dimetil arginina asimmetrica (ADMA): è stato recentemente riscontrato che nel diabete di tipo 2 l’ADMA aumenta significativamente dopo l’ingestione di un pasto grasso e i suoi livelli si correlano con la riduzione della vasodilatazione flusso-mediata (33). Per quanto riguarda la seconda ipotesi, è stato dimostrato che alcuni fattori sono in grado di ridurre l’espressione di NOS: tra questi l’iperglicemia stessa, l’ipossia, elevate concentrazioni di TNF alfa, elevate concentrazioni di lipoproteine a bassa densità (LDL) ossidate, tutte condizioni queste che caratterizzano il milieu metabolico del diabetico di tipo 2 (34). Studi in vitro hanno riportato che, in corso di diabete, vi possono essere anche alterazioni del segnale e cioè della capacità che ha NO di svolgere la sua azione vasodilatatrice. Uno studio di Bucala e coll. ha evidenziato come i prodotti di glicazione tardiva siano in grado di interferire con la capacità di NO di diffondere e quindi di svolgere la propria azione vasodilatatrice a livello delle CML (35). Un ruolo particolarmente importante è rivestito dalla disponibilità di cofattori, in particolare della tetraidrobiopterina (BH4): in corso di iperglicemia è stata osservata una riduzione di questo cofattore (36). Questa alterazione comporta un importante sovvertimento funzionale della NOS3: gli elettroni che normalmente dovrebbero fluire dal dominio reduttasico a quello ossigenasico (fig. 1) sono dirottati verso l’ossigeno molecolare piuttosto che verso la L-arginina. Ciò comporta la produzione non di NO ma di ione superossido (O2°). Questa reazione “avversa” induce i seguenti effetti: a. un’eccessiva nitrosazione con formazione di nitrosamine e nitrosotioli, b. l’ossidazione del DNA dei lipidi con formazione di lipoperossidi, c. la nitrazione con formazione di nitrotirosina e perossinitriti (37, 38). Questi effetti, chiamati anche indiretti, sono indotti dall’endotelio in presenza di deficit di cofattori e sono aggravati dalla presenza, nel diabetico, di un’aumentata espressione e funzione di ossidasi quali la NADP(H) e la xantina-ossidasi. Queste non solo inducono la formazione di ione superossido, ma sono stimolate da un’aumentata attività della protein chinasi C (PKC) una chinasi intracellulare che caratterizza le alterazioni intracellulari in presenza di iperglicemia. Tutti questi eventi contribuiscono all’eziopatogenesi della disfunzione endoteliale nel diabete. Una diretta conseguenza dell’alterata funzione di NOS è non solo la formazione di radicali liberi ma anche di perossinitriti (-OONO), composti estremamente tossici per la cellula che rappresentano la diretta conseguenza della “distruzione” dell’NO (39, 40). Infatti, in presenza di ione superossido in eccesso e di ridotte capacità antiossidanti, quali, H2O2 O2- NO O2 ROS Stress ossidativo OONO- N2O3 Stress nitrosativo Fig. 4. per esempio, una riduzione del glutatione ridotto, l’NO viene convertito a perossinitrito, un potente ossidante il quale produce radicali idrossilici e NO2. In condizioni normali la formazione di perossinitriti è estremamente bassa mentre in condizioni quali il diabete vi è un significativo aumento di questi radicali estremamente tossici per il milieu cellulare (fig. 4). Evidenze in vivo Studi recenti hanno dimostrato che, anche nei soggetti non diabetici, l’iperglicemia può indurre disfunzione endoteliale: entrambi questi studi hanno suggerito che la genesi di questo danno funzionale possa essere determinato da stress ossidativo (20). In fase postprandiale l’endotelio subisce un insulto che lo porta a ridurre le sue capacità vasodilatatorie (41, 42). Il danno endoteliale da iperglicemia non è limitato alla sola capacità di generare NO ma è più globale e prevede anche alterazioni intracellulari dei monociti circolanti e, in generale, della loro adesività alla parete vascolare. Un deficit endoteliale è stato dimostrato anche in pazienti con alterata glicemia a digiuno: il gruppo della Yki-Jarvinen ha recentemente evidenziato come in questi pazienti di nuova definizione nosologica vi sia un difetto di vasodilatazione flusso-mediato (43). Al di là della gran messe di lavori sperimentali che confermano un danno glucosio-mediato a livello endoteliale, nel diabetico di tipo 2 l’osservazione di una franca alterazione endoteliale non è univoca. Il nostro e altri gruppi non hanno osservato una riduzione dell’aumento di flusso mediato dall’acetilcolina in diabetici privi di altri fattori di rischio coronarici (44). Qualora invece si prendano in considerazione diabetici di tipo 2 in cui coesistano uno o più fattori di rischio vi è un netto deficit della funzione endoteliale 22 GIDM Rassegna 23, 17-27, 2003 valutata sia mediante infusione intrabrachiale di acetilcolina sia mediante vasodilatazione flusso-mediata (45). A riprova sono apparsi in letteratura dei lavori in cui, nei diabetici di tipo 2, una ridotta funzione endoteliale è stata di volta in volta associata, non tanto alla malattia diabetica in sé, quanto alla dislipidemia, all’ipertensione, all’obesità addominale (46-49). Un deficit endoteliale non è stato osservato solamente a livello dell’arteria brachiale, ma anche a livello coronario dove questo difetto può essere corretto, più che da un maggiore apporto di L-arginina, dalla somministrazione di antiossidanti (50). Poiché il diabete colpisce non solo i macro- ma anche i microvasi, la funzione endoteliale è stata esplorata a livello del microcircolo: studi del gruppo di Tooke, utilizzando la tecnica del laser Doppler, hanno dimostrato che nel diabetico di tipo 2 non solo vi è un deficit endoteliale del microcircolo ma vi è anche una ridotta risposta vasodilatatoria delle stesse CML (51, 52). Dati di Veves e coll. hanno infine dimostrato che in pazienti diabetici con neuropatia e vasculopatia ad alto rischio per ulcerazione l’espressione di NOS3 a livello della cute degli arti inferiori è nettamente ridotta rispetto a pazienti non a rischio: ciò suggerisce che una ridotta funzione endoteliale può senz’altro contribuire alla patogenesi e alla progressione delle ulcere agli arti inferiori nel paziente diabetico (53, 54). Anche nel diabete di tipo 1 la valutazione della funzione endoteliale ha portato a risultati contrastanti. Ciò è probabilmente determinato sia dalla tipologia dei pazienti selezionati sia dalla metodologia impiegata per valutare il rilascio di NO. Pertanto i dati attualmente disponibili riportano sia un’alterazione sia una sostanziale normalità della funzione endoteliale nel diabetico di tipo 1. Un dato che sembra emergere è che in questi pazienti la funzione endoteliale è normale negli studi in cui è stata utilizzata la tecnica dell’infusione di acetilcolina per stimolare la produzione di NO; al contrario, sembra esservi un’alterata funzione negli Tab. IV. Trattamenti proposti per correggere la disfunzione endoteliale 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. ACE-inibitori Antiossidanti (vit. C ed E) Statine L-arginina Estrogeni Esercizio fisico Desferiossamina Glutatione Tetraidrobiopterina studi in cui è stata utilizzata la tecnica della vasodilatazione flusso-mediata (55). Se poi si osservano i dati che impiegano tecniche più sofisticate quali l’escrezione urinaria di nitrati marcati dopo infusione di L-arginina marcata con 15N si apprezza come nel diabetico di tipo 1 vi sia paradossalmente un aumento e non una riduzione del rilascio di NO (56): questo dato è stato confermato anche dal nostro gruppo in diabetici di tipo 1 in scompenso metabolico (57). Tutt’altro che univoci sono i risultati qualora si consideri la funzione endoteliale nei diabetici di tipo 1 in relazione alla presenza o meno di complicanze microangiopatiche. Lekakis e coll. hanno evidenziato una ridotta risposta endoteliale pur in assenza di microangiopatia, dato questo non confermato dal gruppo di Stehouwer (58). Quest’ultimo gruppo ha invece dimostrato che la disfunzione endoteliale precede nei diabetici di tipo 1 lo sviluppo di microalbuminuria. In presenza di microalbuminuria appare certa la presenza di una franca alterazione della funzione endoteliale. Reversibilità della disfunzione endoteliale La perdita della capacità dell’endotelio di produrre NO può contribuire all’insorgenza e alla progressione della malattia aterosclerotica: proprio per questo sono stati proposti numerosi approcci terapeutici per correggere questo difetto (tab. IV). Gli interventi terapeutici che mirano a una correzione della disfunzione endoteliale si basano su tre strategie: 1. aumentare la sintesi di NO; 2. ridurre l’inattivazione dell’NO da parte dello ione superossido; 3. entrambe le azioni. Molti di questi trattamenti, quali la somministrazione di tetraidrobiopterina o di desferiossamina, inducono acutamente un miglioramento del rilascio di NO, ma difficilmente sono perseguibili nella pratica clinica. Lo stesso impiego del precursore dell’NO, L-arginina, è inficiato dalla dose necessaria di questo aminoacido da somministrare per indurre miglioramento della funzione endoteliale: ne sono infatti necessari almeno 9 grammi al giorno per poter conseguire un aumentato rilascio di NO (31, 59). Mentre nel soggetto non diabetico questo trattamento è in grado di indurre un aumentato rilascio di NO, nel diabetico di tipo 1 questo effetto non è stato osservato nonostante i pazienti ne assumessero 14 grammi al giorno (60). Anche l’uso di antiossidanti non sembra, almeno nel diabetico, portare a un chiaro miglioramento della funzione endoteliale. Un miglioramento della funzione endoteliale associata a un miglioramento dei profili 23 GIDM Rassegna 23, 17-27, 2003 glicemici è stato osservato dal gruppo della YkiYarvinen in diabetici di tipo 2 in cui l’HbA1c veniva ridotta da 9 a 7,6% (43). Tra gli ipoglicemizzanti orali il trattamento con metformina sembra avere un effetto positivo sulla funzione endoteliale: è stato osservato che la somministrazione nel diabetico di tipo 2 di 1000 e 1600 mg al giorno comporta un miglioramento dei parametri endoteliale indipendentemente dal miglioramento metabolico conseguito (61, 62). La terapia con statine induce, nella popolazione generale, un miglioramento della funzione endoteliale mediante il blocco della sintesi degli isoprenoidi, farnesil e geranilgeranil pirofosfato, e la successiva riduzione dell’attività della GTPasi RhoA, un potente inibitore dell’attività della NOS3 (63, 64). Assai scarsi sono invece i dati sugli effetti di questi farmaci in pazienti diabetici, soprattutto per quel che riguarda la funzione endoteliale nei diabetici di tipo 2. Un lavoro del gruppo di Deanfield ha riportato un miglioramento della funzione endoteliale nei diabetici di tipo 1, stimata con vasodilatazione flusso-mediata sull’a. brachiale, in corso di trattamento con atorvastatina 40 mg al giorno (65). Il miglioramento della funzione endoteliale con lo stesso farmaco è stato recentemente confermato (66), ma non univocamente (67). Nel diabete tipo 2 il nostro gruppo ha osservato un netto miglioramento sia della sensibilità insulinica che della funzione endoteliale dopo trattamento con gemfibrozil alla dose di 1200 mg al giorno (45). Molto più consistenti sembrano essere gli effetti svolti sia dagli ACE-inibitori sia dagli inibitori del recettore AT1 dell’angiotensina II. L’efficacia sulla funzione endoteliale è stata ottenuta utilizzando vari ACE-inibitori quali l’enalapril a 20 mg/die, il perindopril a 4 mg/die, il captopril a 50 mg/die e il quinapril a 10 mg/die (68-70). Nel diabete di tipo 1 appare positiva anche l’azione degli inibitori dei recettori AT1 dell’angiotensina II: Cheetam e coll. hanno dimostrato su 9 diabeteici di tipo 2 un miglioramento della vasodilatazione mediata da acetilcolina (71). Oltre alla terapia con farmaci specifici è utile ricordare che nella popolazione generale un miglioramento della funzione endoteliale può essere ottenuto migliorando lo stile di vita (72-74). L’esercizio fisico permette un miglioramento della funzione endoteliale anche nei pazienti diabetici, come recentemente dimostrato (75). La dieta, ultimamente surclassata dalla patologica necessità di assumere dosi illimitate di vitamine antiossidanti, è e deve rimanere un caposaldo per migliorare la funzione endoteliale: la dieta ricca in vegetali e frutta è di per se stessa ricca in antiossidanti naturali presenti in giuste proporzioni (76). Al di là dell’apporto in vitamine la dieta deve contenere un apporto significativo di n-3 acidi grassi, docosaesanoico ed eicosapentaenoico, di cui è ricco il pesce azzurro: infatti questi acidi grassi migliorano la funzione endoteliale riducendo l’espressione delle molecole di adesione e l’interazione leucociti/endotelio (77, 78). Le verdure a foglia larga poi contengono l’acido folico, un micronutriente, in grado di antagonizzare l’effetto negativo dell’omocisteina a livello endoteliale. In conclusione, l’approccio più logico, e per adesso perseguibile, per migliorare la disfunzione endoteliale, è la correzione dei fattori di rischio maggiori quali il diabete, l’ipertensione e la dislipidemia. Proprio per questo appare giocoforza logico trattare la sindrome metabolica nella sua globalità, ben prima che il danno vascolare sia clinicamente manifesto: è difficile, a quel punto, correggere la disfunzione endoteliale. Bibliografia 1. Rutherford JD: Diabetes and coronary artery disease-therapy and outcomes. Coron Artery Dis 12, 149-152, 2001 2. Lerman A: New insight and therapeutic strategies in cardiovascular disease and focus on endothelial target: endothelin-1 and angina. J Cardiovasc Pharmacol 38 (suppl 2), S27-S30, 2001 3. Lerman A, Suwaidi JA, Velianou JL: L-arginine: a novel therapy for coronary artery disease? Expert Opin Investig Drugs 8, 1785-1793, 1999 4. Wu G, Meininger CJ, Arginine nutrition and cardiovascular function. J Nutr 130, 2626-2629, 2000 5. 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