N.41
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Numero 3 PDF - anno 2015
DIRETTORE
CRISTINA PECCHIOLI
Manuale Tecnico-giuridico di In-formazione e Documentazione
per RSPP, RLS, Giuristi, Operatori, Tecnici e Medici della Prevenzione
LA PREVENZIONE IN TUTTI
GLI AMBITI LAVORATIVI
FOCUS
Piccole imprese crescono... (D. De Nuzzo)
La sicurezza stradale per i lavoratori: il contributo dello psicologo del traffico (M. Begnini, M. Bina)
Che stress queste e-mail!! (S. Gamberini)
Tecnostress (R. Borgato)
Lavoro in ambiente iperbarico: prevenzione, rischi e idoneità lavorativa (C. Costanzo)
I fattori di rischio nei laboratori odontotecnici (M. Stroppa)
Così è (se vi pare): commentoal D.L. n. 1/2015, convertito con modifiche dalla L. n. 20/2015
il c.d. “Decreto ILVA” (C. La Porta, D. Poli)
ESPERIENZE DI SUCCESSO
Sicurezza...terreno di emozioni e ricerca (F. Vagni)
GLI ESPERTI RISPONDONO
nell’ambito di
Rivista Ambiente e Lavoro
Febbraio 2011
IN QUESTO NUMERO
INDICE
2
3
INTRODUZIONE
FOCUS
Piccole imprese crescono...
(D. De Nuzzo)
La sicurezza stradale per i lavoratori: il contributo dello psicologo
del traffico (M.Begnini, M. Bina)
Che stress queste e-mail!!
INDICE
(S. Gamberini)
SALUTE
E SICUREZZA
Tecnostress
Gli Borgato)
apparecchi e la protezione delle vie respiratorie
(R.
(Virginio
Galimberti)
Lavoro
in ambiente
iperbarico: prevenzione, rischi e idoneità lavorativa
(C.
Costanzo)
COMMENTI
I fattori di rischio nei laboratori odontotecnici
L’azione di rivalsa dell’INAIL
(M. Stroppa)
(Giovanni De Luca)
Così è (se vi pare): commento al D.L. n. 1/2015, convertito con
SALUTE
E SICUREZZA
modifiche
dalla L. n. 20/2015 - il c.d. “Decreto ILVA”
(C.
LaConfinati:
Porta, D. Sicurezza
Poli)
Spazi
del lavoro e sistema di gestione
(Eugenio Ferioli)
ESPERIENZE
DI SUCCESSO
D.Lgs. 81/08: Agenti
chimici e protezione delle vie respiratorie
Sicurezza...terreno
(Graziano Frigeri)di emozioni e ricerca
(F. Vagni)
COMMENTI
GLILaESPERTI
RISPONDONO
manutenzione
come elemento di garanzia della sicurezza di
macchine e impianti (Alessandro Mazzeranghi e Rossano Rossetti)
COLLABORATORI E CORRISPONDENTI
Rivista Ambiente e Lavoro
2015
5
11
1
15
17
2
19
23
25
33
33
50
45
51
58
64
Introduzione
INTRODUZIONE
Di Norberto Canciani*
Gli articoli di questo numero della rivista sono legati
da un filo sottile, ma assai solido: la convinzione che
nutriamo che solo estendendo la riflessione sei temi
della prevenzione e della protezione in tutti gli
ambienti lavorativi si produca una vera cultura della
sicurezza. In alcuni luoghi di lavoro essa è ormai radicata e produce comportamenti conseguenti. In quei
luoghi occorre aprire la riflessione su come ulteriormente migliorare, far riflettere sulle congruenze che
legano il lavoro fatto in sicurezza con il lavoro di qualità, gli investimenti in sicurezza al miglioramento
delle condizioni di lavoro, ma anche allaproduttività.
In altri ambiti ci si limita a un’applicazione burocratica degli obblighi di legge. In altri ancora, purtroppo,
permangono situazioni di inadempienza sostanziale.
Inoltre non tutti i rischi vengono adeguatamente valutati ed, eventualmente, resi oggetto di misure di bonifica e di mitigazione.
Pubblichiamo anche un contributo finalizzato a fare il
punto sul c.d. “caso Ilva”. Esso offre nuovi spunti di
riflessione su una vicenda che dal 2012 ha visto susseguirsi diversi provvedimenti giudiziari e legislativi.
Questo numero, quindi, scava in contesti diversi e
punta l’attenzione su specificità poco indagate, ma la
cifra che accomuna ogni articolo è l’impegno a dare
effettiva attuazione ovunque all’obbligo di valutare
tutti i rischi di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori.
* Segretario Nazionale Associazione Ambiente e Lavoro
Rivista Ambiente e Lavoro
2015
3
PICCOLE IMPRESE CRESCONO...
STUDI PROFESSIONALI, LIBERI PROFESSIONISTI, DITTE INDIVIDUALI, MA CI AVETE
PENSATO?
di Debora De Nuzzo*
“Dal 1 Giugno 2013 tutte le aziende, indipendentemente dal numero di lavoratori occupati, dunque
anche sotto le dieci unità, dovranno essere in possesso del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) a
dimostrazione dell’avvenuta valutazione di tutti i
rischi presenti nei luoghi di lavoro”.
È trascorso più di un anno dall’introduzione dell’obbligatorietà del DVR, ma quanti si sono veramente
adeguati?
Studi professionali, piccole imprese, liberi professionisti, ditte individuali, avete alle vostre dipendenze anche un solo collaboratore? Avete, per questo, pensato di adeguarvi a ciò che la normativa in
materia di salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs.
81/08) obbliga a fare?
Ciò che da qui in poi leggerete riguarda proprio voi.
Questo articolo vuole essere una guida pratica ed
essenziale per rispondere ai diversi quesiti e chiarire quei dubbi che probabilmente sono già, e più
volte, emersi tra le vostre liste delle “cose da fare”.
Oppure per informarvi sugli obblighi che avete qualora decideste di affiancare alla vostra attività quella di altri esecutori.
Ovviamente questo non vuole sviarvi da una nuova
assunzione o dall’ampliamento della vostra attività
lavorativa, bensì farvi comprendere come sia possibile affrontare i temi della salute e sicurezza sul lavoro
in maniera rigorosa e chiara entro un ordine di priorità e consapevolezza di ciò che è “da fare” senza complicarsi la vita più del dovuto o ancora peggio ignorare le responsabilità del proprio ruolo.
Non a caso, ho prima citato il termine “esecutori”;
infatti il Decreto Legislativo 81/2008 (che regola la
salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro e che ha
sostituito la vecchia 626/94 ancora nominata da alcuni), ci indica col termine lavoratori anche i soci, i
lavoratori a progetto, i lavoratori stagionali, gli stagisti, i coadiuvanti, gli apprendisti, addirittura coloro
presenti in azienda anche a titolo gratuito, chiunque
quindi esegua un’attività. Il D.Lgs. 81/08 ha incluso
anche il socio lavoratore di cooperativa o società nella
definizione di lavoratore. In questo caso i soci
dovranno quindi nominare fra loro chi svolge il ruolo
di Datore di Lavoro e fare in modo che compaia nella
visura camerale. Tutti gli altri saranno soci lavoratori
parificati a dipendenti.
Gli studi professionali, compresi quelli in cui è impiegato anche un solo lavoratore, quale ad esempio una
segretaria part-time o full-time o con un altro tipo di
collaborazione, scatta l’obbligo di rispettare gli adempienti previsti dal Legislatore.
Per cui, in buona sostanza, qualora aveste anche solo
una delle figure collaborative di cui sopra, ebbene sì,
sono da eseguire, obbligatoriamente, a cura del datore
di lavoro, una serie di compiti.
Di seguito troverete un elenco, per punti, di ciò a cui
pensare. Allo stesso tempo ho cercato di riportare quelle
domande o quei dubbi che spesso mi sono rivolti durante le mie consulenze o sessioni di formazione.
Ovviamente ogni singolo punto potrà essere maggiormente approfondito con un consulente esperto in materia.
1. EFFETTUARE LA VALUTAZIONE DEI
RISCHI E REDIGERE IL RELATIVO DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI (DVR)
La valutazione dei rischi è definita dal legislatore “l’attività di valutazione globale e documentata di tutti i
rischi per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza”.
Il datore di lavoro libero professionista è chiamato,
innanzitutto, a redigere il documento di valutazione
(DVR), in cui devono necessariamente essere indicati
e considerati tutti i rischi connessi all’attività lavorativa, rischi da stress lavoro-correlato, rischi riguardanti
le lavoratrici in stato di gravidanza; rischi connessi
alle differenze di genere, all’età, alla provenienza di
altri paesi; rischi connessi alla specifica tipologia contrattuale con cui viene resa la prestazione di lavoro.
Che cos’è il DVR?
Il Documento DVR deve essere elaborato dal datore di
lavoro in collaborazione con il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e con il
Medico competente (ove sia necessario) previa consultazione del Rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza (RLS) e deve contenere:
* Architetto, RSPP e consulente formatrice
2015
5
LA SICUREZZA STRADALE PER I LAVORATORI:
IL CONTRIBUTO DELLO PSICOLOGO DEL TRAFFICO
di Mirna Begnini* e Manuela Bina**
INCIDENTALITÀ STRADALE SUL LAVORO
E FATTORE UMANO
Gli incidenti stradali sul lavoro o in itinere rappresentano in Europa il 40% del totale degli incidenti stradali e
6 su 10 incidenti con esito mortale sul lavoro avvengono sulla strada (ETSC – European Taransport Safety
Council, 2011). In Italia, gli incidenti stradali costituiscono circa 1/5 degli incidenti sul lavoro, e oltre la metà
(57%) degli incidenti mortali che coinvolgono i lavoratori (INAIL, 2013). Tali dati, oltre a mettere in luce
l’entità dal problema, suggeriscono come, nell’ambito
della promozione della sicurezza nei luoghi di lavoro,
la sicurezza stradale non possa essere trascurata e sia
necessaria una gestione del rischio alla guida per i lavoratori (HSE - Health and Safety Executive, 2014); come
per altro previsto dallo standard ISO 39001 (Road
Traffic Safety Management Systems).
I fattori che contribuiscono al rischio d’incidente stradale per i lavoratori, sia in orario di lavoro sia in itinere (tragitti casa-lavoro), sono molteplici. Diversi
aspetti riguardano le infrastrutture e gli ambiti di organizzazione del lavoro e dei trasporti (es. gestione delle
flotte aziendali, sicurezza degli accessi degli edifici
industriali alla rete stradale, politiche per la mobilità
dei lavoratori, sistemi infrastrutturali urbani non in
grado di assorbire il traffico, ecc.) (Coppo, 2008), tuttavia, la principale causa d’incidente stradale sul lavoro, analogamente a quanto avviene per l’incidentalità
stradale in generale, è da attribuire al fattore umano,
cioè ai comportamenti dei conducenti (Wierville et
al., 2002; Elslande, Naing, Engel, 2008; ACI/ISTAT,
2014). In particolare, i principali fattori di rischio per
gli incidenti stradali sul lavoro legati ai comportamenti dei guidatori sono: la fatica alla guida, la velocità
eccessiva, la distrazione alla guida (in particolare uso
di dispositivi tecnologici in auto), l’uso di alcolici e
farmaci, a cui si associano le pressioni legate ai tempi
di lavoro e lo stress legato al traffico (ETCS, 2011).
COME RIDURRE L’INCIDENTALITÀ SUL
LAVORO? IL CONTRIBUTO DELLA PSICOLOGIA DEL TRAFFICO NELLA FORMAZIONE DEI CONDUCENTI/LAVORATORI
Se si vogliono ridurre gli incidenti stradali sul lavoro
è quindi necessario un intervento volto a modificare i
comportamenti dei conducenti promuovendo l’adozione di comportamenti più sicuri.
A questo scopo, nell’ambito dell’attività di gestione
del rischio stradale da parte delle aziende, possono
essere attivati specifici percorsi di formazione per i
lavoratori che utilizzano veicoli a motore durante l’attività lavorativa (e anche negli spostamenti casa-lavoro) (HSE, 2014; RoSpa, online access 2015). In ambito europeo sono molteplici gli interventi che vanno in
tale direzione e che coinvolgono psicologi esperti in
psicologia del traffico. Tale disciplina, infatti, studia il
ruolo del fattore umano nell’incidentalità e propone
modelli d’intervento efficaci nel modificare le condotte che aumentano il rischio d’incidente. Da un lato, vi
sono esperienze di successo nell’ambito del driver
improvement (corsi rivolti a conducenti ripetutamente
sanzionati per violazioni al codice stradale) (Dorfer,
2004), dove i percorsi formativi conducono a una
riduzione dei comportamenti rischiosi nella grande
maggioranza dei partecipanti, dall’altro lato vi sono
esperienze formative specificamente rivolte ai lavoratori, dimostratesi in grado di ridurre l’incidentalità in
azienda di oltre due terzi negli anni successivi all’intervento (Salminen, 2008; Newnam e Watson, 2009).
Tali interventi sono orientati a favorire una corretta percezione dei rischi legati a particolari condotte alla guida
e a sostenere la motivazione al cambiamento dei partecipanti verso l’adozione di comportamenti più sicuri.
Per quel che riguarda la percezione dei rischi alla
guida, la psicologia del traffico ha mostrato come l’attuazione di condotte che aumentano il rischio d’incidente (es. velocità, consumo di alcol, ecc.) si associano generalmente a un’inconsapevolezza o sottostima
dei rischi che comportano. Tale inconsapevolezza è
legata diversi fattori. Da un lato, s’incontra spesso,
anche in guidatori esperti, una mancata conoscenza
delle leggi fisiche che governano ciò che succede
sulla strada (es. distanza d’arresto, relazione fra velocità e forza dell’impatto) e di conseguenza l’impossibilità di valutare correttamente le conseguenze e quindi i rischi di particolari condotte di guida. Dall’altro
lato, emergono degli errori tipici (bias) nella percezione del rischio che fanno sì che il rischio venga scorrettamente sottovalutato; i guidatori in genere si percepiscono come in grado di controllare pienamente la
situazione quando sono alla guida (illusione di controllo), si ritengono mediamente più abili e rispettosi
degli altri, sottovalutano la reale probabilità di essere
coinvolti in un incidente anche quando mettono in atto
comportamenti pericolosi (es. eccesso di velocità, parlare al cellulare, ecc.) perché lo hanno già fatto diverse volte senza riportare conseguenze (Kouabenan et
* Psicologa del Traffico e Psicoterapeuta, Formatrice nell’ambito Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro.
** Psicologa, Ph.D., Esperta in Psicologia del traffico.
2015
11
CHE STRESS QUESTE E-MAIL!!
di Samantha Gamberini*
Che gestire la posta elettronica sia impegnativo corrisponde alla scoperta dell’acqua calda. Ormai la
maggior parte delle comunicazioni interne ed esterne
all’azienda usano questo strumento anche se pochissime aziende hanno formato i loro dipendenti e previsto
policy aziendali.
Quello che emerge da alcune recenti ricerche però
suggerisce di alzare il livello di guardia in merito
all’utilizzo della posta elettronica. Nello specifico
mi riferisco a tre studi. Il primo dal titolo “A Pace
Not Dictated by Electrons”: An Empirical Study of
Work Without Email1; del dipartimento di informatica dell’Università Irvine California unitamente a
U.S. Army che ha dimostrato quanto lo stress lavoro
correlato e l’uso della posta elettronica siano associati. Nello specifico ad alcuni dipendenti è stato
“impedito” l’uso delle email per cinque giorni consecutivi. Il gruppo è stato analizzato sia utilizzando
tecniche tradizionali ed etnografiche (osservazioni,
interviste, questionari, monitoraggio dell’uso del
computer), sia utilizzando strumenti medici per la
rilevazione cardiaca.
Il risultato è stato piuttosto chiaro: aumento delle interazioni dirette con i colleghi (faccia a faccia), maggior
concentrazione, minore stress. Le email, se non gestite da una cultura aziendale attenta, obbligano ad un
multitasking continuo, ad interrompere i propri compiti ogni 3 minuti circa costringendo ad un’attività
lavorativa estremamente faticosa. La percezione poi
di dover gestire nell’immediato il messaggio di posta
e la quantità di messaggi ricevuti (molti dei quali
assolutamente inutili) aggravano la situazione.
Per quanto concerne il sovraccarico di lavoro che la
posta elettronica contribuisce a far percepire, e allo
stress ad esso collegato, un altro studio dal titolo
Email overload at work: An analysis of factors associated with email strain2 pone l’accento su alcuni
strumenti che possono essere utilizzati per gestire
l’abuso delle email incanalando le energie verso i
messaggi realmente importanti. Anche questo problema potrebbe essere gestito attraverso politiche formative e aziendali che aiutino le persone a scegliere
quando e perché utilizzare la posta elettronica per
comunicare. In ultima analisi anche la continua interruzione del lavoro dovuta a un incessante controllo
della posta risulta un problema per la produttività e
produce stress. Una ricerca dimostra3 che dopo soli 20
minuti di performance interrotte le persone riferiscono un maggiore stress, frustrazione, un aumento della
percezione del carico di lavoro, un maggior impegno
e un aumento della pressione.
Ad oggi esistono molte ricerche che dimostrano quanto un uso disinvolto della posta elettronica possa essere lesivo non solo per l’immagine aziendale e per la
produttività4, ma anche per il benessere dei dipendenti. Poche aziende d’altro canto si sono dimostrate sensibili a questa problematica che produce tra l’altro un
dispendio di ore di lavoro consistente.
L’unica buona notizia è che altri studi hanno dimostrato quanto possa essere efficiente formare il personale
ad un uso corretto della posta elettronica e quanto la
formazione sia efficace in questo campo. Solo per fare
un esempio, una ricerca dal titolo Email training
significantly reduces email defects5 dimostra quanto
una formazione adeguata possa essere vantaggiosa per
le aziende. Come sottolinea lo studio gli elementi da
enfatizzare nell’ambito formativo devono riguardare
non solo la modalità dell’utilizzo della posta, ma
anche le tecniche di scrittura delle email e le specificità dei diversi gruppi di dipendenti, alcuni dei quali
colpiti più di altri dalle problematiche legate ad un
cattivo uso della posta. Se in altre parti del mondo
ormai si procede in questa direzione in Italia, complice anche una scarsa sensibilità nei confronti della formazione, i risultati sono ancora esigui, mentre i danni
continuano ad aumentare.
* Consulente e formatrice. Autrice di numerose pubblicazioni
1 A Pace Not Dictated by Electrons”: An Empirical Study of Work Without Email condotto da Gloria J. Mark, Stephen Voida, Armand V. Cardello In
https://www.ics.uci.edu/~gmark/Home_page/Research_files/CHI%202012.pdf
2 Email overload at work: An analysis of factors associated with email strain (2006), Laura A. Dabbish , Robert E. Kraut
3 Si veda ad esempio The Cost of Interrupted Work: More Speed and Stress di Gloria Mark, Daniela Gudith, Ulrich Klocke.
4 Samantha Gamberini, Elena Russo, Come gestire al meglio al propria posta elettronica, FrancoAngeli
5 Email training significantly reduces email defects, Anthony Burgess, Thomas Jackson, Janet Edwards in International Journal of Information Management,
Volume 25, Issue 1, February 2005, Pages 71–83
2015
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TECNOSTRESS
di Renata Borgato*
Le indagini che il P.M. di Torino Raffaele Guariniello
ha disposto per verificare se le nuove tecnologie possono essere causa di malattie professionali hanno attirato
una grande attenzione su quello che, già nel 1974, Craig
Brod aveva definito “tecno stress”. L’interesse suscitato
dal tema ha alimentato fraintendimenti e interpretazioni
fuorvianti, così come in passato era avvenuto riguardo
al mobbing. Purtroppo anche in materia di sicurezza
siamo soggetti alle mode.
Per affrontare seriamente il tema dei rischi indotti dall’uso delle nuove tecnologie – che merita per la sua delicatezza grande attenzione – è necessario fare un minimo
di chiarezza.
La prima cosa da sottolineare è che l’uso delle tecnologie non costituisce una nuova tipologia di rischi, ma
semplicemente un potenziale fattore di rischio derivante dall’evoluzione delle modalità di lavoro. Di
conseguenza non esiste un obbligo aggiuntivo di valutazione, ma è richiesto semplicemente l’adempimento
di quanto già disposto dall’ art. 28 d.lgvo 81/08
comma 1 che prescrive “ la valutazione … deve
riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei
lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di
lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui quelli collegati allo stress lavoro correlato…”
In considerazione che in molte mansioni il tempo di utilizzo degli strumenti informatici da parte degli operatori è aumentato ed è invalso l’uso di PC portatili, ipod,
tablett ecc si ricade inoltre nei dettati dell’art. 29 comma
3 che prevede “la valutazione e il documento … debbono essere rielaborati … in occasione di modifiche del
processo produttivo o dell’organizzazione del lavoro
significative ai fini della sicurezza dei lavoratori…”
Come in ogni adeguamento della valutazione, è importante che in esso si colga a pieno la logica sistemica che
dovrebbe percorrere tutto il DVR: i fattori di rischio non
vanno esaminati solo nelle loro peculiarità, ma anche
tenendo conto delle interazioni e degli effetti combinati
che si possono produrre.
In considerazione del fatto che sempre più frequentemente i collegamenti non vengono eseguiti da postazioni
fisse, occorre riesaminare i requisiti minimi di cui all’allegato XXXIV (art. 174 del TU). Esso prende in considerazione la qualità dello schermo, la tastiera e i dispositivi
di puntamento, il piano di lavoro, le sedie di lavoro, i
computer portatili, lo spazio riservato al luogo di lavoro,
l’illuminazione, il rumore, le radiazioni e i parametri
microclimatici . Detti requisiti devono essere ricontestualizzati in relazione alle eventuali variazioni che l’impiego
delle nuove tecnologie comporta o permette.
La valutazione del tecno stress deve indurre a riconsiderare anche quanto già stabilito dall’art. 15, comma 1, lettera d del d.l. 81 che prevede “il rispetto dei principi
ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e
nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in
particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del
lavoro monotono e di quello ripetitivo”.
In particolare, per quanto riguarda il “rispetto dei principi ergonomici”, l’uso delle nuove tecnologie impegna a
fare prevalentemente riferimento non tanto all’ergonomia classica quanto all’ergonomia cognitiva che si
occupa dell’interazione tra l’uomo e gli strumenti per
l’elaborazione dell’informazione e studia i processi
cognitivi coinvolti (percezione, attenzione, memoria,
pensiero, linguaggio, emozioni) e all’ergonomia sistemica che supera la separazione tra fattori umani e fattori tecnici collegando entrambi nella comune cornice dell’affidabilità del sistema.
Inoltre la grande flessibilità degli strumenti facilmente
accessibili e usabili ovunque e in qualunque contesto,
impegna a rivedere criticamente l’organizzazione del
lavoro e la task analysis in particolare per quel che
riguarda la gestione simultanea di apparecchi e dati digitali e a gestire le richieste fatte ai lavoratori in modo da
limitare il sovraccarico informativo, i ritmi accelerati e
l’eccessivo prolungarsi dei periodi di connessione.
Per quanto attiene invece alla concezione dei posti di
lavoro, il fatto che sia possibile trovarsi a operare in
posizioni non vincolate da spazi definiti – la cui adeguatezza è più facilmente verificabile – impegna a dedicare
una particolare attenzione alla formazione in modo da
sensibilizzare i lavoratori stessi all’importanza di assumere e mantenere posture corrette pur in mancanza di
spazi rigidamente predefiniti e ad attenersi comunque
alle misure di prevenzione e protezione già precedentemente disposte per gli operatori di VDT.
Alla formazione poi dovrebbe essere affidato anche il
compito più delicato e trasversale di educare le persone
a un corretto utilizzo delle nuove tecnologie. La facilità
con cui si può essere continuativamente connessi e reperibili, durante tutto l’arco della giornata, se non responsabilmente e strategicamente gestita, può trasformarsi in
un elemento di disagio e di stress. Anche le pause, che
nell’utilizzo dei VDT nel luogo di lavoro sono regolamentate, spesso nel tempo extra lavoro vengono completamente abolite e la sovra stimolazione può produrre
effetti indesiderabili.
Un’ultima considerazione: le nuove tecnologie agevolano il ricorso al telelavoro e su questo argomento si rende
necessaria una riflessione complessiva, che, per le sue
caratteristiche, appare tutt’altro che agevole. Tuttavia
uno degli elementi di novità introdotti dal Testo Unico
riguarda proprio questo tema e nell’articolo 3, comma
10 si danno disposizioni specifiche per la tutela di questi lavoratori.
* Formatrice
2015
17
LAVORO IN AMBIENTE IPERBARICO:
PREVENZIONE, RISCHI E IDONEITÀ LAVORATIVA
di Corrado Costanzo
PREMESSA
La Medicina del Lavoro studia i rapporti tra lo stato di
salute dell’uomo che lavora, il lavoro svolto e le condizioni dell’ambiente di lavoro. L’ obiettivo è quello
di promuovere e mantenere il più alto grado di benessere fisico, mentale e sociale dei lavoratori in tutte le
occupazioni, adoperarsi per prevenire ogni danno causato alla salute dalle condizioni legate al lavoro e proteggere i lavoratori contro i rischi derivanti dalla presenza di agenti nocivi.
Il Decreto Legislativo 81/08 “Testo Unico sulla Salute
e Sicurezza del Lavoro” nasce con lo scopo di semplificare e di ridurre gli obblighi formali cercando di
intensificare il coordinamento degli interventi di controllo e incentivare la formazione.
Per ottemperare agli obblighi previsti dal D.Lgs.
81/08 ogni Azienda o Datore di Lavoro, dopo aver
effettuato la Valutazione dei Rischi, qualora siano
presenti rischi per i quali la legge prevede la
Sorveglianza Sanitaria, deve nominare un Medico
Competente. Tale ruolo può essere svolto da Medici
Specialisti in Medicina del Lavoro e Medici autorizzati in base all’art. 55 del D.Lgs.vo 277/91 (ora soppresso). Anche i Medici Specialisti in Igiene e
Medicina Preventiva oppure Medicina Legale e
delle Assicurazioni possono ricoprire tale ruolo, ma
solo dopo aver effettuato uno specifico corso post
specializzazione.
Il medico competente può, quando lo ritiene opportuno, avvalersi di specialisti in settori particolari per
garantire la sorveglianza sanitaria.
In questo articolo parleremo dei lavori svolti a pressione maggiore di quella atmosferica e più in particolare dei cantieri preposti allo scavo di gallerie meccanizzate con l’uso di particolari macchine dette Talpe o
più propriamente TBM (Tunnel Boring Machine).
È una macchina che permette la meccanizzazione
completa dello scavo delle gallerie e la realizzazione
del rivestimento delle stesse. Presenta uno scudo in
testa che permette di isolare l’ambiente scavante dalla
galleria scavata e il fronte di scavo è mantenuto dall’immissione di aria compressa che aumenta la pressione al suo interno quando ci troviamo in presenza di
terreni o rocce non autoportanti o sotto falda. Gli operai quando devono recarsi nel fronte di scavo devono
essere compressi fino al raggiungimento della stessa
pressione. Questo avviene tramite una camera iperbarica che si trova in comunicazione con il fronte di
scavo separata da portelli stagni che si aprono solo al
raggiungimento della pressione. Il lavoro in pressione
provoca delle variazioni dello stato fisiologico dell’organismo del lavoratore che deve essere ripristinato quando si ritorna a pressione normobarica altrimenti si possono presentare patologie disbariche
CAMBIAMENTI FISIOPATOLOGICI
Si parla di lavoro iperbarico quando l’ambiente che ci
circonda ha una pressione maggiore di quella atmosferica, in particolare quando la pressione è maggiore
di 1.3 Atmosfere Assolute (ATA).
Le leggi fisiche che entrano in gioco sono quelle dei
gas e le citiamo brevemente per capire in seguito la
loro funzione:
- legge di Boyle e Mariotte: A temperatura (T) costante, la variazione della pressione (P) di una massa di
gas, è inversamente proporzionale alla variazione
del volume (V).
- Legge di Gay Lussac: esprime la relazione fra volume e temperatura a pressione costante.
- Legge di Charles: esprime la relazione tra pressione
e temperatura a volume costante
- Legge di Dalton: la pressione esercitata da una
miscela di gas o di gas e vapori racchiusi in un dato
volume, è uguale alla somma delle singole pressioni parziali che ciascun gas o vapore eserciterebbe se
occupasse da solo lo stesso volume.
- Legge di Henry: se un miscuglio di gas esercita una
pressione sulla superficie di un liquido vi passerà in
soluzione finchè ognuno dei gas componenti avrà
raggiunto nel liquido la stessa pressione che vi esercita e che sarà dunque, anche nel liquido stesso, la
sua pressione parziale.
Nella pratica chiunque esegue un lavoro in iperbarismo è sottoposto all’azione di queste leggi che non
sono le uniche ma sicuramente le più importanti.
Senza entrare nel merito di ognuna di loro citeremo brevemente le patologie che possono provocare se non si
eseguono correttamente le manovre di compressione
dell’ambiente iperbarico, la stabilità delle percentuali
dei gas durante il soggiorno alla batimetria di lavoro ed
infine le corrette manovre di decompressione per riportare i lavoratori alla pressione atmosferica.
La legge di Boyle e Mariotte può provocare: barotrauma dell’orecchio, otite barotraumatica acuta, perforazione della membrana timpanica, vertigini, ipoacusia
improvvisa, rottura della finestra rotonda/ovale, dolore
ai seni frontale e mascellare, eduntolia, sovra distensione polmonare, pneumotorace.
* Spec. In Anestesia e Rianimazione ad indirizzo Iperbarico – Medicina del Nuoto e delle attività Subacquee – Docente al master di Trapani in medicina subacquea e Iperbarica
2015
19
I FATTORI DI RISCHIO NEI LABORATORI
ODONTOTECNICI
IL PROCESSO DI “FUSIONE A CERA PERSA” PER LA REALIZZAZIONE DELLE PROTESI IN
METALLO-CERAMICA.
di Massimo Stroppa*
1.0 - PREMESSA
Come è noto le attività svolte nei laboratori odontotecnici, espongono gli operatori addetti a diversi fattori di rischio connessi all’ambiente (illuminazione,
microclima, aerodispersi inquinanti, cc.) e all’organizzazione del lavoro (attitudini personali, disergonomia delle postazioni di lavoro, ecc.), a processi e
metodi di lavoro che prevedono l’utilizzo sostanze
chimiche pericolose, l’uso di macchine e attrezzature
che possono comportare dei rischi per la sicurezza.
In particolare sono da tenere presenti le lesioni traumatiche causate dalle diverse tipologie di macchine e
attrezzature, sia per quanto riguarda le loro intrinseche
condizioni di sicurezza che per quanto attiene alle condizioni, modalità d’uso e attività manutentive.
Tra le macchine a maggior rischio è necessario ricordare la squadramodelli, il seghetto, le frese e la sega
circolare, che comportano il rischio di abrasioni e ferite che si localizzano con maggior frequenza alle mani.
Altre lesioni cui è possibile andare incontro sono le
ustioni, in relazione alla manipolazione di acidi o di
altre sostanze caustiche, nelle operazioni di saldatura, e ai numerosi processi di tipo termico con l’uso
di forni fusori e becco di Bunsen. La dispersione in
ambiente, con l’inalazione, di fumi pericolosi in
seguito alla fusione di leghe dentali del gruppo platino, leghe d’oro e metalli, argento, palladio, nichel,
cromo, cobalto ecc.). Da non sottovalutare la possibilità di penetrazione di corpi estranei (in genere
polveri di metallo e resine) negli occhi. Patologie da
polveri provenienti da operazioni di lucidatura con
mole e polveri abrasive per la rifinitura delle protesi, polveri provenienti dai gessi e dai materiali di
rivestimento delle protesi).
In alcuni casi la situazione diviene così critica da
comportare problemi di salute veramente gravi cosicchè, l’unico modo per evitare il contatto con le sostanze pericolose e sensibilizzanti, è il cambiamento del
processo di lavoro e l’utilizzo di idonei dispositivi di
protezione individuale (guanti, maschere).
Come pure non è da sottovalutare l’insorgenza di
patologie da posture incongrue per la scorretta e prolungata posizione del corpo al banco di lavoro. Ed
ancora, l’affaticamento visivo da lavori di rifinitura su
piccoli pezzi o particolari minuti.
In questo quadro vorrei prendere in considerazione i
rischi connessi al particolare processo lavoro per la
realizzazione dei dispositivi dentali in metallo-ceramica, con il metodo a “fusione a cera persa”, ancora assai
diffuso nella pratica odontotecnica, nonostante sia
possibile intervenire con soluzioni tecnologiche innovative capaci di ridurre drasticamente i rischi per la
sicurezza e la salute connessi a tale lavorazione, proprio nelle previsioni di cui agli art. 15 del D.Lgs.
81/08 e art. 2087 del codice civile.
2.0 - I DISPOSITIVI DENTALI
La protesi dentaria è un dispositivo che sostituisce la
dentatura originaria quando questa non è più in
grado di soddisfare le esigenze funzionali ed estetiche. Ogni realizzazione è un componente meccanico
molto complesso che deve soddisfare criteri di resistenza meccanica e di biocompatibilità, ma anche
requisiti estetici e fonetici.
La progettazione della protesi riveste quindi un ruolo
fondamentale, e se non adeguatamente studiato il
dispositivo non sarebbe in grado di essere stabile,
ritentivo e resistente di fronte agli elevati carichi
masticatori e alle diverse sollecitazioni.
L’entità e la direzione delle forze che si sviluppano
dipende da diversi fattori quali lo stato di salute del
paziente, la morfologia dei denti, le caratteristiche
della muscolatura gnatologica, la presenza o meno
di protesi e il tipo delle stesse . Non meno importanti risultano i requisiti estetici, ottenuti rendendo la
protesi il più naturale possibile anche grazie all’impiego di materiali ceramici; la forma, il colore, la
stratificazione e la struttura superficiale del dente
sono infatti alla base del successo estetico di ogni
lavoro odontotecnico.
Da un punto di vista progettuale anche la scelta del
materiale utilizzabile è rilevante poiché consente soluzioni protesiche differenti in funzione delle esigenze
richieste dai singoli casi.
Nonostante la complessità di un dispositivo dentale
renda difficile fornire una classificazione delle soluzioni protesiche, si possono identificare principalmente tre categorie di dispositivi:
* RSPP, Manager Sistemi di Salute e Sicurezza e Disaster Manager di Protezione Civile. ([email protected]).
2015
23
COSÌ È (SE VI PARE): COMMENTO AL D.L. N. 1/2015,
CONVERTITO CON MODIFICHE DALLA L. N. 20/2015
- IL C.D. “DECRETO ILVA”
Dott. Clemente La Porta* e Dott. Davide Poli*
1. Quadro generale del d.l. n.1/2015.
Il il d.l. n. 1 del 5 gennaio 20151, recante “Disposizioni
urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico
nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto”, costituisce soltanto l’ultimo capitolo
della nota vicenda ILVA di Taranto, che almeno dal
luglio del 2012 ad oggi ha visto un susseguirsi, non di
rado caotico e conflittuale2, di diversi provvedimenti
giudiziari e legislativi.
La complessità e la problematicità del c.d. “Caso
ILVA” offre così nuovi spunti di riflessione per le
tematiche coinvolte e il relativo impatto sociale, nonché per i profili giuridici richiamati.
Il diretto coinvolgimento del diritto processuale penale, costituzionale, amministrativo e dell’ambiente,
causa di inevitabili difficoltà nell’analisi di tali fatti,
non fa venire meno la rilevanza delle tematiche giuslavoristiche, anche nella loro declinazione di tutela
della salute e della sicurezza del lavoro.
Pare indiscutibile, infatti, che uno degli obiettivi
costantemente perseguiti dal legislatore sin dall’emanazione del d.l. n. 129/20123, esplicitato poi nell’art.
1, comma 1, del d.l. n. 207/2012, sia stata «l’assoluta
necessità di salvaguardia4 dell’occupazione e della
produzione»5.
Contestualmente, si è affiancato il proposito6 di
«risanamento ambientale»7, di «tutela della salute
e dell’ambiente»8, di «rigorosa protezione della
salute e dell’ambiente»9 con riferimento alle aree di
Taranto e Statte, oltre a crescenti attenzioni nei confronti degli «stabilimenti industriali di interesse
strategico nazionale»10.
In particolare «la continuità del funzionamento produttivo» di questi, originariamente priva di autonoma
dignità concettuale, nel tempo assimilata alle esigenze
di tutela occupazionale, è stata infine elevata quale
«priorità di carattere nazionale»11.
In definitiva, a rendere lo scenario faticosamente decifrabile. è la compresenza di diverse finalità garantiste,
secondo un bilanciamento di principi costituzionali
complementari ma non convergenti, frequentemente
ricco di compromessi e fraintendimenti.
Problematicità accresciute dal carattere frammentario di
un corpus normativo segnato dall’avvicendarsi di diversi esecutivi, espressione di una ratio legislativa emergenziale, sulla cui sostenibilità è lecito sollevare dubbi.
Obiettivo di questo contributo è quello di proporre una
prima analisi della legge 4 marzo 2015, n. 20, a seguito dello studio dei lavori parlamentari di conversione
del d.l. n. 1/2015, volta ad indagare le criticità giuridiche del dettato normativo, nonchè i caratteri di compatibilità della stessa con l’intero assetto della disciplina
legislativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di
lavoro, anche alla luce delle opzioni di politica del
diritto adottate dal legislatore.
* Dottorandi di ricerca in scienze giuridiche presso l’Università Statale di Milano
1 Decreto Legge n. 1 del 5 gennaio 2015, convertito con modificazioni dalla l. n. 20 del 4 marzo 2015, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 53 del 5 marzo 2015.
2 Per un’approfondita ricostruzione dei profili di interesse costituzionale del diritto emergenziale, con particolare riferimento al caso di specie, si rimanda a M.
Boni, Le politiche pubbliche dell’emergenza tra bilanciamento e ragionevole compressione dei diritti: brevi riflessioni a margine della sentenza della Corte
costituzionale sul caso ILVA (n. 85/2013), federalismi.it, n. 3/2014. Per un’analisi relativa all’impatto delle medesime problematiche sui sistemi di relazioni
industriali e di welfare, si veda invece M. Tiraboschi, Prevenzione e gestione dei disastri naturali (e ambientali): sistemi di welfare, tutele del lavoro, relazioni industriali, DRI, n. 3/2014, pp. 573 ss., ma anche D. Del Duca, M. Giovannone, Disastri naturali e lavoro: misure prevenzionistiche e di protezione sociale, DRI, n. 3/2014, pp. 637 ss.
3 D.l. n. 129 del 7 agosto 2012, recante “Disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto”, convertito in l. n. 171 del 4 ottobre 2012, che in Preambolo indicava la necessità di «individuare misure volte al mantenimento e al potenziamento dei livelli occupazionali».
4 Da definire i contenuti dell’accostamento dei concetti di occupazione e produzione, secondo dottrina «cosi intimamente connesse quasi da dare corpo da
un’endiadi»: v. P. Pascucci, La salvaguardia dell’occupazione nel decreto “Salva Ilva”. Diritto alla salute vs. diritto al lavoro?, DLM, n. 3/2013, p. 673. Per
una più ampia contestualizzazione del bilanciamento fra i diritti costituzionalmente garantiti e coinvolti nella vicenda si veda ibidem, pp. 672 ss.
5 Formulazione ripresa, expressis verbis, in Premessa al d.l. n. 61 del 4 giugno 2013
6 Obiettivi diversi ed ulteriori rispetto a quelli di garanzia di un ambiente di lavoro sicuro in quanto salubre, quale del resto l’unico ambiente di lavoro possibile secondo una lettura della normativa vigente in materia, anche in considerazione del quadro di fonti nazionali e sovra nazionali di riferimento; sul tema ex
plurimis, v. P. Albi, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona: art. 2087 c.c., in Il Codice Civile, Commentario, a cura di F.D. Busnelli,
Giuffrè, 2008.
7 V. Premessa al d.l. n. 129 del 7 agosto 2012.
8 V. Premessa al d.l. n. 207 del 3 dicembre 2012.
9 Ibidem.
10 Ibidem.
11 V. Premessa al decreto legge 5 gennaio 2015, n.1 già presente nella medesima formulazione in Premessa al decreto legge 4 giugno 2013, n. 61.
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Esperienze di successo
SICUREZZA...TERRENO DI EMOZIONI E RICERCA
di Fulvio Vagni*
Un buon formatore è colui che si rende progressivamente inutile
Anonimo
Sicurezza è una parola che da sempre evoca tranquillità.
Sin dal 1955, il legislatore ha voluto intervenire per
indirizzare le organizzazioni produttive e le persone
impiegate al loro interno al raggiungimento del massimo grado di Sicurezza.
La mia esperienza, presso l’Azienda in cui lavoro dal
1989, ha inizio come disegnatore tecnico di impianti,
continua come Addetto al Servizio di Prevenzione e
Protezione e successivamente come R.S.P.P.
La partenza nel campo della sicurezza è stata piuttosto dura ma assolutamente stimolante: il collega che
ho sostituito era molto preparato e competente,
l’azienda metallurgica tra le più importanti nel campo
dei semilavorati in ottone al mondo, tantissime persone con cui rapportarsi, enti di controllo molto presenti, tantissimo da imparare … un “mondo da scoprire”.
Proprio negli anni in cui è incominciata la mia nuova
esperienza lavorativa, è entrata in vigore una delle normative cardine della Sicurezza: Il D.Lgs. 626/94 che ha
introdotto grandi novità per la “filosofia” e l’approccio
alla Sicurezza e la Salute nei posti di Lavoro. Si è passati da leggi che possiamo definire di “comando e controllo” (es. ex D.P.R. 547/55) ad altre di tipo “probabilistico”. Non viene più definito in maniera guidata e
unica come ridurre i rischi presenti all’interno della
propria attività. Si cominciano a sentire termini come
organizzazione aziendale con uffici di prevenzione e
protezione dedicati alla Sicurezza ed alla Salute sul
lavoro, di Documento di Valutazione dei Rischi, di probabilità di accadimento, danno, pericolo. Le aziende
attraverso la loro specifica esperienza e metodologia
hanno il dovere di valutare e “pesare” i rischi presenti
nell’attività, per poi mettere in atto le contromisure in
grado di ridurli e se possibile eliminarli.
Il mio inserimento in questo mondo variegato ed in
continua evoluzione è stato favorito dall’opportunità
di operare in una grande azienda, con una Direzione
Generale attenta alla Sicurezza ed all’Ambiente e di
avere a disposizione l’esperienza maturata dallo storico ufficio Prevenzione, già presente dai primi anni
’80. Inoltre è stato fondamentale il supporto sia dell’ufficio tecnico di progettazione meccanica, da cui
provengo, che quello di progettazione elettrica-elettronica interni. Gli impianti utilizzati per la produzione, per la maggior parte, sono progettati internamente
e sono da sempre all’avanguardia produttiva di
Sicurezza ed ambientale: automazioni sempre più
spinte, soluzioni sempre più affidabili, microinterruttori e barriere di sicurezza di ultima generazione, circuiteria elettrica con segnali ridondanti e così via.
Erano anche gli anni della prima Direttiva Macchine,
della progettazione “spinta” in nome della macchina,
che almeno nelle idee del disegnatore, doveva essere
“a prova di stupido”. Un concentrato di tecnologia che
prendeva e prende linfa vitale da norme EN e UNI
sempre più accurate e puntuali, per aiutare i progettisti a studiare e a progettare macchine ergonomicamente evolute a misura d’uomo.
Dopo un anno intenso di affiancamento al prezioso ex
Direttore Tecnico dello stabilimento, con delega institoria per la sicurezza ed ambiente e qualche telefonata a casa al mio predecessore, ho iniziato a comprendere l’organizzazione aziendale e gli equilibri tra le
persone che a vario titolo interagivano per la attuazione pratica della Sicurezza.
Statistiche, progettazioni protezioni attive, passive,
creazione di opuscoli su informative dei rischi specifici da distribuire ai colleghi, formazione per i nuovi
assunti..sono stati anni pieni di incontri con persone
che mi hanno sempre stupito ed aiutato a capire i problemi reali e spesso a risolverli, grazie ai loro suggerimenti. Persone molto pratiche e dirette, per le quali
le norme sono la teoria, “…ma la pratica è un’altra
cosa”. Da loro ho sempre ricevuto e ricevo ancora
oggi “lezioni di vita pratica essenziale e pragmatica”
indipendentemente dal grado di scolarizzazione.
Grazie alla disponibilità della mia Direzione Generale
che ha instituito un Direttore Tecnico dedicato esclusivamente alla Sicurezza e all’Ambiente con il quale
condivido tutti gli obiettivi, dei preposti, dei colleghi
di reparto e degli RLS, negli anni sono riuscito a fare
molte esperienze e ad attingere dalle loro conoscenze,
per poter abbozzare procedure probabilmente non
compiutamente efficaci, ma quanto meno applicabili.
Effettivamente nei primi tempi del mio nuovo incarico, mi sono chiesto come potesse un Addetto al
Servizio di Prevenzione e Protezione o un
Responsabile scrivere delle procedure senza averle
provate o vissute in prima persona. Un formatore
infatti dovrebbe avere il compito di trasmettere ciò
che sa fare e che conosce, sfruttando le sensazioni
suscitate in lui dalle azioni compiute. Questo senza
dubbio gli consente di trasmettere più chiaramente
l’essenza del lavoro da svolgere. “Vivendo” queste
emozioni è più facile capire lo stato d’animo delle
persone che, non riuscendo ad applicare le procedure,
* R.S.P.P. dell’azienda
Rivista Ambiente e Lavoro
2015
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Gli esperti rispondono
GLI ESPERTI RISPONDONO
Vorrei un breve approfondimento sul ruolo del
dirigente nella pubblica amministrazione ai sensi
dell’art.18 D.Lgs.81/08, in particolare nel settore
scolastico.
Risponde la dott. Anna Guardavilla, giurista.
Partendo dal livello della datorialità, l’art. 25 del
D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che “il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell’istituzione,
ne ha la legale rappresentanza, è responsabile della
gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei
risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze
degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In
particolare, il dirigente scolastico organizza l’attività
scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia
formative ed è titolare delle relazioni sindacali”.
Egli è titolare di obblighi preventivi e protettivi in
materia di tutela antinfortunistica e di igiene del lavoro ai sensi del D.Lgs.81/2008, in qualità di datore di
lavoro (si veda su questo ad esempio la recente sentenza sul crollo del Liceo Darwin di Torino), e “concretizza la figura del “custode” con riferimento alle
attrezzature scolastiche” (Cass. S.U. 12019/1991).
Nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative il dirigente può ovviamente avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono
essere delegati specifici compiti, ed è coadiuvato dal
responsabile amministrativo, che sovrintende, con
autonomia operativa, nell’ambito delle direttive di
massima impartite e degli obiettivi assegnati, ai servizi amministrativi ed ai servizi generali dell’istituzione
scolastica, coordinando il relativo personale.
Più in generale, per quanto riguarda propriamente la
figura del dirigente in materia di salute e sicurezza sul
lavoro e i criteri di individuazione di tale figura, va
sottolineato anzitutto che la relativa definizione (art. 2
c. 1 lett. d) si applica sia in ambito pubblico che in
ambito privato.
In ambito specificatamente pubblico però, in termini
di obblighi, all’interno dell’art. 18 del D.Lgs. 81/08
che contiene gli obblighi del datore di lavoro e del
dirigente, è contenuta una norma (comma 3) che gioca
un ruolo molto importante nell’attribuzione delle
competenze e delle responsabilità, in quanto prevede
che “gli obblighi relativi agli interventi strutturali e
di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del
presente decreto legislativo, la sicurezza dei locali e
degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministra-
zioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell’amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni,
alla loro fornitura e manutenzione. In tal caso gli
obblighi previsti dal presente decreto legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti,
da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici
interessati, con la richiesta del loro adempimento
all’amministrazione competente o al soggetto che ne
ha l’obbligo giuridico.”
Sono il proprietario di una piccola impresa manufatturiera. Un professionista cui mi sono rivolto
per un corso di formazione sullo stress lavoro correlato si è qualificato come “psicologo competente”
sostenendo l’esistenza di una specificità professionale analoga a quella del Medico Competente e
accreditandosi come tale.
Non ho trovato menzione di tale figura nella normativa a me nota e quindi vorrei sapere:
È codificata la figura dello Psicologo competente in
materia di sicurezza e in base a quale normativa?
In caso affermativo:
Quali sono i requisiti necessari ad avere il titolo?
Quali specifiche attribuzioni ha?
Ci sono situazioni in cui un Datore di Lavoro è
tenuto ad avvalersi esclusivamente di persone
aventi tali caratteristiche? (penso in particolare
alla valutazione del rischio stress lavoro correlato e
alla formazione).
Risponde la redazione.
La vigente normativa in materia di sicurezza, che codifica titoli del Medico competente (d. lgvo 81/08 art. 2 ,
comma 1, lettera h), non fa invece alcun cenno alla figura dello psicologo competente. I requisiti professionali
degli psicologi sono definiti in altra sede e non sono correlati ai dettati del Testo Unico decreto 81/08.
Dato che la normativa in materia di sicurezza non prevede la figura dello “psicologo competente”, non ne
sono definiti né i requisiti né le attribuzioni.
Di conseguenza, il datore di lavoro non ha obblighi
relativi a questa figura in quanto essa non è prevista
dalla vigente normativa. Avvalersi o meno di uno psicologo per la formazione è una scelta discrezionale del
datore di lavoro e non l’adempimento di un obbligo.
Per quanto attiene la valutazione del rischio stress
lavoro correlato, occorre ricordare che essa è solo uno
degli aspetti che il Documento di valutazione del
rischio deve comprendere. Di conseguenza la sua
Rivista Ambiente e Lavoro
2015
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Rivista Ambiente e Lavoro
Manuale Tecnico-Giuridico di In-Formazione e Documentazione
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633/72.
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