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ISSN 0394 3291
Caleidoscopio
Italiano
Guglielmo Paganetto
Malattie Neoplastiche:
dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
Direttore Responsabile
Sergio Rassu
186
... il futuro ha il cuore antico
MEDICAL SYSTEMS SpA
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Guglielmo Paganetto
Servizio di Igiene, Sicurezza e Tutela Ambientale, Università degli Studi di Ferrara,
via Luigi Borsari, 46 Ferrara.
Malattie Neoplastiche:
dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
Direttore Responsabile
Sergio Rassu
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... il futuro ha il cuore antico
MEDICAL SYSTEMS SpA
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1) Björklund B., Björklund V.: Proliferation marker concept with TPS as a model. A preliminary report. J. Nucl. Med.
Allied. Sci 1990 Oct-Dec, VOL: 34 (4 Suppl), P: 203.
2 Jeffcoate S.L. e Hutchinson J.S.M. (Eds): The Endocrine Hypothalamus. London. Academic Press, 1978.
Le citazioni bibliografiche vanno individuate nel testo, nelle tabelle e nelle legende con numeri arabi tra parentesi.
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R.A.H.P. sas
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Editoriale
Q
uesta monografia intende continuare un discorso inaugurato dall’autore presso la rivista Caleidoscopio con il n. 175, dove è stato
affrontata la problematica dell’evoluzione storica del rischio chimico ambientale (Evoluzione storica del rischio di patologie umane per contaminazione chimica ambientale).
In quel contesto era stata trattata la tematica del rischio associato alla contaminazione chimica ambientale in generale, in un capitolo l’attenzione dell’autore si era focalizzata sul problema dei cancerogeni, e quindi dell’evoluzione storica dell’associazione di questi agenti chimici con la patologia neoplastica.
L’autore riprende questa tematica sviluppandola all’ambito più generale
della storia delle malattie tumorali. La trattazione si articola su tre direttive:
l’indagine paleopatologica su reperti umani, l’analisi delle fonti scritte e di
quelle iconografiche. Lo scopo è quello di valutare, da epoche remote fino
agli albori delle società contemporanei, i segnali della presenza delle patologie neoplastiche nei contesti spazio temporali raggiungibili dall’indagine storica.
Ne deriva un quadro per molti aspetti problematico, talvolta frammentario e impreciso, talvolta inaspettatamente circostanziato. Nel complesso concludiamo con l’autore che le patologie neoplastiche sono malattie antiche, e,
in alcuni casi come per il cancro alla mammella ben documentate. Solo l’evoluzione dell’assetto epidemiologico del XX secolo, accompagnato dall’avvento delle tecniche diagnosi e terapeutiche moderne hanno, però, fatto
emergere la problematica con i connotati di allarmata preoccupazione e di
fiduciosa speranza che ben conosciamo.
L’estrazione di biochimico (l’autore si laurea presso l’Ateneo di Ferrara
nel 1979), porta il dottor Guglielmo Paganetto, in una prima fase della sua
attività, ad interessarsi di tematiche microbiologiche e farmacologiche, collaborando allo studio di un mutante sinciziale del virus Herpes simplex con il
prof. Mauro Tognon presso l’Istituto di Genetica dell’Università di Verona.
L’approfondimento degli aspetti istologici orientano l’attività dell’autore
verso lo studio della biocompatibilità dei materiali protesici con il prof. A.
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dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
G. Paganetto
Pizzofferato dell’Istituto Ortopedico Rizzoli (Centro Ricerche “Codivilla
Putti”). L’interesse per l’evoluzione della struttura del tessuto osseo, studiato con la Diffrazione a Raggi X, trova applicazione in alcuni ambiti di connotazione paleopatologica, e si sposa con l’interesse per l’epidemiologia storica
dalla quale trae origina la presente monografia. L’autore ha insegnato presso
il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia dell’Ateneo di Ferrara, Tecnologie
Biomediche ed Elettrofisiologia, attualmente insegna Tossicologia nel Corso
di Laurea in Scienze Biologiche e Igiene del Lavoro nel Corso di Laurea in
Tecnologie Fisiche Innovative presso lo stesso Ateneo. E’ consulente del
Servizio di Igiene Sicurezza e Tutela Ambientale dell’Università di Ferrara e
referente per le problematiche tossicologiche del petrolchimico Ferrarese. La
su attività è documentata da una sessantina di pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali.
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Introduzione
All’undicesimo convegno annuale dell’European Association of Cancer
Research (EACR-18) tenutosi a Insbruck, Marius Salus dell’Accademia delle
Scienze e delle Arti di Zagabria ha presentato alcuni esiti di indagini condotte
da lui e dai suoi collaboratori su resti umani raccolti su di un intervallo di
tempo molto ampio (da circa 5000 anni prima di Cristo fino al XIX secolo).
Secondo Salus il cancro si connoterebbe come una patologia moderna, assai
poco diffusa sia in epoche di pertinenza paleopatologica, che in tempi relativamente prossimi. Affermazioni analoghe ricorrono frequentemente nella letteratura specialistica. A titolo di esempio potremmo citare la monumentale
opera, “Le Malattie all’alba della civiltà occidentale”, di uno dei padri della
paleopatologia, M. D. Grmek (1). In essa l’autore enfatizza la pressoché totale
assenza di identificazione di tumori maligni su resti ossei nella Grecia classica.
L’evidenza, pur circoscritta ad una definita area geografica, pone, senz’altro, il quesito metodologico della validità epidemiologica di queste osservazioni, ricorrenti anche se non ubiquitarie; e la risposta perviene immediata
dagli stessi autori. Sia Salus che Grmek attribuiscono la rarità della malattia
nelle antiche popolazioni alla ridotta durata di vita.
La bassa frequenza di neoplasmi- spiega Salus- è tipica del materiale archeolo gico. Non abbiamo trovato tracce di tumori secondari alle ossa in nessun esemplare,
forse perché l’età media di morte era di 35 anni. I tumori ossei primari, maligni o
benigni, sono relativamente rari, mentre quelli secondari, più comuni, sono associa ti alla vecchiaia.
Grmek è più circospetto, e non trascura possibilità alternative alla longevità con caratteri di maggiore complessità e più inquietanti:
La rarità della malattia cancerosa nelle antiche popolazioni rispetto alle nostre
società attuali, si spiega in parte con le differenze nella durata della vita media, nel l’inquinamento chimico e nella quantità e natura delle radiazioni oncogene. Anche se
il ruolo di questi fattori è innegabile, pare che essi non bastino a spiegare l’ampiezza
dello scarto. Comunque, la responsabilità dei fattori genetici appare qui meno impli cata di quella dell’influenza ambientale.
Purtroppo questi illuminanti spunti di riflessione rimangono, almeno in
quest’opera, solo tali. L’autore non si dilunga oltre e preferisce analizzare
altre patologie di elevata ricorrenza nel contesto da lui esaminato. Noi facciamo, però, tesoro di queste parole e poniamo come “falso scopo metodologico” la volontà di circostanziare i quesiti adombrati nell’affermazione di
Grmek. Parliamo di “falso scopo”, in quanto il solo pensiero di dare risposta
anche solo ad uno di tali quesiti costituirebbe un imperdonabile peccato di
presunzione. Vogliamo, quindi, in questo contesto, limitarci a rifocalizzare
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l’attenzione sulla complessità metodologica, sulla criticità delle fonti, e sulla
formidabile estensione degli ambiti ancora inesplorati di una disciplina tanto
ardua quanto affascinante.
Epidemiologia e spazio-tempo
Per molti aspetti le malattie seguono l’evoluzione filogenetica propria
degli organismi viventi. Come questi nascono, si affermano negli ambienti
ottimali, entrano in competizione tra di loro e, talvolta, dopo aver raggiunto
un massimo di diffusione, regrediscono fino ad attestarsi ad un livello
costante, o scompaiono. Ciò appare con grande evidenza nelle patologie
infettive, che debbono, necessariamente, condividere il percorso evolutivo
dei microrganismi e dei parassiti. I due principali protagonisti di questa tenzone sono gli agenti infettivi stessi ed il sistema immunitario dell’ospite.
Dopo anni, secoli o millenni di adattamento si perviene ad una condizione
definita dagli epidemiologi equilibrio epidemiologico: una sorta di stato di non
belligeranza in cui la morbilità è minimizzata a favore della tolleranza dell’ospite. Di fatto, questo processo è molto più complesso, e dipendente da un
formidabile novero di variabili, tra le quali i fattori genetici, ambientali,
nutrizionali, igienico sanitari. Nonostante ciò, il sostanziale inquadramento
eziopatologico bipolare delle malattie infettive, giocato sulla prevalenza temporale di uno o dell’altro dei due competitori, consente una buona prevedibilità temporale (anche se spesso solo qualitativa). Vi sono segnalazioni
anche molto antiche del raggiungimento dell’equilibrio epidemiologico.
Come esempio si può citare il caso della sifilide venerea. L’origine di questa
patologia, che si impose in Europa a partire dalla prima metà del XVI secolo,
è stata descritta, nel 1530, da Girolamo Fracastoro in un testo, a metà strada
tra la metafora e l’allegoria mitologica, dal titolo Syphilis sive de morbo gallico,
ovvero Sifilo o del morbo gallico.
Lo stesso autore, soltanto 16 anni dopo, disquisendo (questa volta in termini scientifici) sulla sifilide, osserva nel De contagione et contagiosis morbis
un’evidente perdita di vigore e di forza del morbo. Questa patologia aveva già
cominciato a manifestare, in un breve lasso di tempo, la tipica transizione da
epidemia ad alta e rapida mortalità a endemia persistente con caratteristiche
di cronicità e sopravvivenza protratta. Ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi a dismisura lungo tutto l’arco della storia umana, caratterizzata dalla netta
prevalenza delle patologie infettive, fino all’affermazione delle società
moderne tecnologicamente avanzate. In questi nuovi contesti sociali, con
peculiarità per molti aspetti completamente inedite, si osserva il progressivo
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dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
declino delle malattie trasmissibili e l’affioramento prima discreto, poi imperioso delle patologie degenerative. Le patologie cardiovascolari, quelle neurologiche e quelle neoplastiche noverano con sicura attribuzione tra queste.
Per esse il quadro eziopatologico assume una connotazione di grande complessità, ogni esemplificazione rischia di trascurare fattori rilevanti, ed è
quindi indispensabile soppesare ogni determinante causale alla luce delle
evidenze fisiopatologiche e demografiche. Nelle patologie trasmissibili l’agente infettivo fornisce un baricentro interpretativo efficace, in quelle degenerative non è possibile identificare un riferimento paradigmatico altrettanto potente. In tal senso, i condizionamenti genetici, ambientali, nutrizionali,
e igienico sanitari, che abbiamo citato per le malattie infettive, assurgono,
nelle patologie degenerative, al ruolo di componenti multifattoriali primarie.
Così, l’impennata nell’incidenza di alcune patologie neoplastiche osservata a
partire dagli anni 50 del XX secolo, non è facilmente riconducibile alla comparsa repentina di una causa eclatante, ma deve essere, piuttosto valutata alla
luce di molteplici fattori di rischio, la cui ponderosità relativa costituisce, a
tutt’oggi, una vessata questio.
Se le cause sono insorte o, quantomeno, si sono amplificate, in epoche
recenti, la ricerca di una linea di zero non può che interrogare un passato più
remoto, e, come tale, scevro da tali condizionamenti. In altre parole, se, ad
esempio, vogliamo accreditare l’ipotesi causale della contaminazione chimica-ambientale contemporanea, dobbiamo commisurarci con le epoche in cui
tale contaminazione era assente o assai ridotta. Pare l’uovo di Colombo! Ma,
quanti e quali fattori di confondimento appaiono subito evidenti, anche alla
fievole luce di un’analisi superficiale! Basti solo menzionare l’invecchiamento della popolazione (e le patologie neoplastiche sono prevalentemente patologie della terza età), o l’abbassamento della soglia diagnostica (e il conseguente disvelamento di patologie in precedenza non diagnosticate come neoplastiche). Che dire poi dell’approvvigionamento e dell’accreditamento delle
fonti, che diventano consistenti e copiose solo in tempi molto recenti.
Dunque, la verifica dell’ipotesi chimico-ambientale riproporrebbe tutto l’ampio scibile della storiografia patologica, a metà strada tra l’anatomia patologia
e la storia della medicina.
La duplice anima di questa affascinante disciplina emerge repentina non
appena si considera proprio le fonti a cui attingere nello sforzo di qualificare
una connotazione causale lungo la coordinata temporale: da una parte i
reperti paleopatologici, o fonti dirette, e dall’altra le fonti scritte e iconografiche (fonti indirette), tradizionale strumento dello storico.
L’impiego delle fonti indirette è generalmente problematico, sia in relazione alla lettura in chiave medica degli antichi testi che per l’interpretazione di patologie o terapie attraverso fonti iconografiche pittoriche e scultoree.
Per i testi scritti è sempre necessaria una rigorosa interpretazione della ter-
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minologia (vedremo, al riguardo la molteplicità di significati attribuiti al termine tumor). Per le fonti iconografiche, ci si imbatte nel problema dell’interpretazione “artistica” della realtà patologica. Ad esempio i rigonfiamenti
parauterini che compaiono quasi costantemente nelle terracotte votive di
epoca romana sembrano essere fibromi endomurali, ma potrebbero essere,
più semplicemente, ovaie ingigantite per auspicio di fertilità.
Le fonti dirette, pertanto, costituiscono l’oggetto di studio più attendibile,
seguite da quelle scritte e, per ultime, da quelle iconografiche.
Nella nostra trattazione seguiremo quest’ordine, cercando di interrogare
il passato senza perdere di vista lo sforzo di identificare la linea zero a cui riferire i dati del presente.
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Fonti dirette
Reperti anatomo-patologici
Dopo oltre mezzo secolo, lo studio paleopatologico dei resti umani antichi non ha
ancora consentito di raccogliere informazioni complete ed esaurenti sulla tipologia e
frequenza dei tumori nell’antichità.
Con queste parole il professor L. Capasso introduce, nel suo trattato
Principi di Storia della Patologia Umana (2), le problematiche metodologiche
legate all’interpretazione dei reperti ossei antichi. L’autore continua specificando che :
Ciò è dovuto a molte ragioni. Anzitutto esistono notevoli difficoltà di identifica zione e di interpretazione legate alla natura stessa dell’osso umano. Molti fattori
destruenti agiscono sull’osso durante lunghi periodi di seppellimento: si possono
avere lisi ossee causate da agenti chimici (acidità del suolo), da agenti fisici (distac chi meccanici, compressioni), da agenti biologici, ed infine si possono verificare lesio ni artificiali connesse alle manovre di scavo e recupero dei resti.[…]. Occorre dunque
un passaggio preliminare, sconosciuto nella diagnostica clinica, ma necessario in
quella paleopatologica: la differenza tra lesioni patologiche ed alterazione pseudopatologiche.
Problematiche metodologiche della paleopatologia
Al di là di questi possibili artefatti, persistono ulteriori problematiche
associate alla rappresentatività dei reperti ossei patologici nei confronti della
significatività epidemiologica. Le metastasi ossee sono presenti solo in un
quarto dei tumori, e, spesso, solo in fasi avanzate (1), quindi affinché siano
significativamente rappresentate dobbiamo confidare su di una sopravvivenza sufficientemente protratta. Ciò è altamente improbabile in scenari
arcaici, in cui le avverse condizioni ambientali eliminavano rapidamente i
soggetti malati, ed è piuttosto raro prima dello sviluppo della medicina
scientifica. Oltre a ciò, spesso le lesioni sono localizzate, ed i reperti frammentati ed incompleti: la probabilità che la parte perduta sia quella significativa è, dunque, piuttosto elevata.
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Tuttavia, e spesso in contesti privilegiati, il paleopatologo può contare su
reperti di maggiore completezza e ottima conservazione, le mummie. Il grande vantaggio della disponibilità di tessuti molli oltre a quelli ossei, pur consentendo un ampliamento considerevole del campo di indagine, non è, tuttavia, scevro di difficoltà di ordine interpretativo e metodologico. A titolo di
esempio possiamo sottolineare che nei resti antichi mummificati provenienti
dalla Numidia e dall’Egitto i tumori sono risultati essere così rari, (nonostante l’identificazione di quasi tutte le altre malattie), da aver fatto ritenere
plausibile la distruzione selettiva dei tessuti neoplastici ad opera degli stessi
processi di mummificazione. Il dubbio è stato risolto sperimentalmente da
Michel Zimmerman, che ha dimostrato l’agevole identificazione istologica
dopo reidratazione di masse neoplastiche attuali, mummificate sperimentalmente, (3).
Reperti mummificati
Il processo di mummificazione interviene quando l’azione degli enzimi
che inducono la degradazione dei tessuti viene inibita. Ciò può verificarsi
naturalmente, a seguito di particolari condizioni climatiche ed ambientali, o
artificialmente, per l’intervento conservativo dell’uomo. La disidratazione o
il trattamento con particolari preparati sono le due vie principali per l’inibizione enzimatica (4). I Babilonesi conservavano i corpi immergendoli nel
miele, che oltre a disidratare i tessuti ha un’azione antibatterica (4). Nell’Asia
sud-orientale i buddisti preservavano le salme dei monaci avvolgendole in
uno spesso strato di segatura mescolata con terra, poi le ricoprivano di argento colorato con lacche (4). Le chiese sono state per secoli tombe esclusive oltre
che per gli ecclesiastici anche per i notabili laici. Le cripte, scavate nella terra
o rivestite di pietra alcalina, costituivano un ambiente ideale per la mummificazione. La temperatura era molto bassa, con scarse escursioni termiche stagionali, spesso l’ambiente era arieggiato con flussi costanti e sufficientemente lievi da indurre una lenta ed efficace disidratazione (5). Le torbiere dei
Paesi Bassi hanno restituito molte salme mummificate a seguito della permanenza millenaria (fino a 2000 anni) in questi singolari ambienti. Queste
paludi erano molto ricche di acidi umici (prevalentemente per la decomposizione dello sfagno, un muschio instabile), che sebbene complessino il calcio
destrutturando lo scheletro, reagiscono con i composti azotati contenuti nei
tessuti rallentando la crescita batterica ed inducendo una sorta di “concia”
che rende gli epiteli molto simili al cuoio (4).
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Ma sicuramente le fonti più copiose e “accreditate” per lo studio delle
antiche patologie sono le mummie egiziane.
Gli imbalsamatori cominciarono a praticare la loro arte lungo il Nilo
almeno 4500 anni fa con la conservazione dei membri della famiglia reale. Ma
i faraoni non riuscirono a mantenere a lungo il monopolio dell’immortalità,
e circa cinquecento anni dopo, la mummificazione si estese ai nobili e a tutti
coloro i quali potevano pagarsi i servigi dei fautori di questa singolare arte.
Per conquistare l’immortalità, la forza vitale e la forza spirituale del defunto,
dissociatesi dopo la morte, dovevano riconoscere il proprio corpo, dove si
sarebbero riunite ripristinando l’integrità della persona. Quanto più la salma
rimaneva incorrotta, tanto più facilmente questa ricerca si sarebbe conclusa
felicemente. Per i clienti più ricchi e facoltosi, gli imbalsamatori ricorrevano
a tutti gli strumenti del loro mestiere: perforavano la volta cranica e l’etmoide ed estraevano la massa grigia del cervello, poi procedevano all’eviscerazione, risparmiando il cuore e, talvolta, i reni e gli organi pelvici (6). Quindi
concludevano l’opera riempiendo l’addome e la cavità toracica di sacchetti di
tela contenenti il “natron”, una miscela di carbonato e bicarbonato di sodio
(un eccellente dissecante), nel quale, poi, immergevano completamente il
corpo. Dopo la disidratazione poteva intervenire il lavaggio con alcol ed il
trattamento con una resina “vetrificante” ottenuta dalla mirra, dalla canfora
e dal ginepro (6). Va sottolineato che nel periodo greco romano (circa trecento anni prima di Cristo), le prestazioni professionali degli imbalsamatori egiziani erano spesso richieste da europei che risiedevano in Egitto o in zone
limitrofe.
Patologie neoplastiche nelle mummie egizie
Come abbiamo già accennato, tra le mummie egiziane sono molto rare le
forme neoplastiche; ma non assenti. Le due patologie più ricorrenti sono il
carcinoma nasofaringeo (15% circa di tutti i tumori in materiali antichi egiziani) e il mieloma multiplo (7). La precisa identità diagnostica di quest’ultimo permane incerta, in quanto le lesioni osteolitiche multiple prive di aspetti reattivi marginali sono morfologicamente e topograficamente sovrapponibili a quelle dovute a metastasi ossee di carcinomi. Ciò propone il dubbio
della presenza di altri tipi di tumori solo apparentemente assenti.
L’eviscerazione dei cadaveri prima della mummificazione e la mancata conservazione degli organi interni esclude, nella maggior parte dei casi, la possibilità di conferma per rinvenimento delle eventuali lesioni primarie.
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E’ possibile instaurare una correlazione tra la diffusione nei reperti antichi di queste patologie e la situazione attuale?
Oggi il carcinoma nasofaringeo è soprattutto diffuso in estremo oriente
con una incidenza per abitanti maschi standardizzata per età fino al 25.16 per
centomila (Cina e Hong Kong) (8). Nel grafico di figura 1 è riportata l’incidenza percentuale relativa alla totalità dei casi mondiali di questa patologia.
Figura 1. Distribuzione geografica di incidenza percentuale relativa alla
totalità dei casi mondiali attuali di carcinoma naso faringeo.
Il mieloma multiplo è, oggi, distribuito abbastanza omogeneamente nella
popolazione mondiale; anche se tende a prevalere nell’America
Settentrionale, con una incidenza percentuale pari al 17.9 %, e, ancora una
volta, in Asia Orientale (12.64 %), in Nord Africa non raggiunge lo 0.9 %, in
Egitto è pari allo 0.3 % (figura 2) (8).
Altre forme ben rappresentate di neoplasie non maligne sono l’istiocitoma, l’emangioma osseo, il fibroleiomioma uterino calcificato, il cistoadenoma
ovarico, e, soprattutto, l’osteoma (Strouhal ha valutato una frequenza del
2.5% nella popolazione adulta) (7). Questi reperti sono distribuiti in un
ampio intervallo di tempo, alcuni risalgono alla I dinastia (2950-2649 a.C.),
più spesso, ad epoche meno remote: dalla XX (1550-1070 a.C.) dinastia fino
all’epoca romana (330-30 a.C.).
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Malattie Neoplastiche:
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Figura 2. Distribuzione geografica di incidenza percentuale relativa alla
totalità dei casi mondiali attuali di mieloma multiplo.
Dall’Egitto al Rinascimento
Quando cerchiamo di raffrontare gli esiti ottenuti sulle mummie ai reperti ossei, la casistica diventa ancor più complessa e dispersa. La rilevanza del
mieloma multiplo e degli osteomi viene, tuttavia, confermata, sia per
l’Europa che per le Americhe; e su di un ampio lasso di tempo, che va dal
Neolitico (circa 5000 anni fa) fino al Medioevo (2). Vere e proprie osteolisi da
metastasi di carcinomi sono descritte in materiali pre-colombiani (9). Al
riguardo, di particolare interesse è uno scheletro femminile rinvenuto nel
Kentachi, che mostra lesioni litiche multiformi compatibili con la diagnosi di
metastasi sclerotiche da carcinoma mammario. Questo reperto ci introduce
alla casistica dei ritrovamenti sporadici e disseminati su di una vasta area
geografica e su di un ampio lasso temporale, che ci riconducono al quesito
dell’esistenza e persistenza nel passato delle patologie dominanti dell’epoca
attuale: alcuni esempi.
Un caso di presunto carcinoma mammario proveniente dalla città di
MoKrin (ex-Yugoslavia), è databile all’età del Bronzo (1900-1600 a.C.). Si tratta di un soggetto femminile di età compresa tra i 50 e i 60 anni, con lesioni
osteolitiche localizzate alla volta cranica (2). Il cranio di una giovane donna
medievale esumata dall’abbazia di Aebelholt (Danimarca) mostra lesioni liti-
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che, che hanno fatto ritenere plausibile la diagnosi di carcinoma mammario,
o uterino. Le lesioni metastatiche di uno scheletro femminile (circa 50 anni)
databile attorno al 350 d.C., rinvenuto in Alaska, sono confrontabili con quelle documentate attualmente in casi di carcinoma mammario (9).
Con un salto di più di mille anni ritroviamo, nella mummia di Ferdinando
II di Borbone (XVI secolo), l’evidenza di un carcinoma a localizzazione pelvica presumibilmente rettale o prostatico (2).
Tra le mummie di alcuni notabili Aragonesi, rinvenute nella sacrestia
della chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli (XVI secolo), sono stati
identificati un caso di sifilide e di vaiolo e due patologie neoplastiche: un epitelioma cutaneo e un adenocarcinoma del colon (10). Per imbatterci in un
cancro polmonare dobbiamo arrivare al XVII secolo d.C. in un’area cimiteriale limitrofa ad una infermeria presso Londra (2). Qui sono state identificate lesioni osteolitiche, riconducibili a questa patologia, nello scheletro di un
maschio di circa 40 anni.
A questo punto dovremmo tirare le somme e cercare di compendiare
quanto descritto in alcuni considerazioni di carattere generale.
Alcuni modelli interpretativi
La forte predominanza del carcinoma nasofaringeo, del mieloma multiplo
e, nell’ambito delle lesioni benigne, dell’osteoma sembra confermata per le
epoche pre-storiche e per l’Evo Antico. Per queste due patologie lasciamo,
ancora una volta, la parola a Capasso che propone due spiegazioni biologiche (2).
I virus di Epstein Bar sono considerati oggi il probabile agente eziologico del car cinoma nasofaringeo, ma questi virus sarebbero in grado di causare il tumore solo in
seguito a esposizione della mucosa nasofaringea a cancerogeni o a promotori tumo rali eventualmente presenti nell’ambiente. L’effetto promotore sarebbe potenziato
dagli acidi grassi a catena corta, prodotti dalla flora residente della cavità nasale.
Pertanto i fattori ambientali che avrebbero potuto favorire l’insorgenza del carcino ma sarebbero correlati a scarsa igiene orale.
L’autore ipotizza anche una concausa legata all’impiego di alcuni preparati di origine vegetale contenenti agenti promotori provenienti dalla famiglia vegetale delle Euphorbiaceae.
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Caleidoscopio
G. Paganetto
Malattie Neoplastiche:
dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
Per ciò che attiene al mieloma multiplo sembra che esso fosse generalmente assai
più frequente nell’antichità. Ciò potrebbe essere dovuto alle difficoltà di diagnosi dif ferenziale con lesioni osse metastatiche, ma potrebbe anche essere ipotizzato un nesso
con malnutrizione e presenza di infezioni croniche, entrambe condizioni frequenti in
antico. Queste condizioni portano effettivamente alla stimolazione continua del siste ma immunitario e potrebbero favorire l’emergere di cloni plasmacellulari trasformati.
Entrambe queste patologie sono, oggi, frequentissime in Asia Orientale.
Per il carcinoma nasofaringeo questa è l’area geografica di maggiora incidenza e per il mieloma multiplo è la seconda subito dopo il Nord America
(8). Volendo ricercare un assetto contemporaneo che sia assimilabile a quello
antico, dovremmo soffermare la nostra attenzione proprio su questa zona
della terra.
Per quanto riguarda le altre patologie tumorali, la loro ripartizione tra
aree della terra sviluppate e sottosviluppate è riportata nel grafico di figura
3 come prevalenza percentuale relativa (8).
Figura 3. Distribuzione percentuale relativa nei paesi emergenti (barra tratteggiata) e tec nologicamente avanzati (barra vuota) delle sedi delle patologie neoplastiche.
Caleidoscopio
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G. Paganetto
Malattie Neoplastiche:
dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
La parte superiore del grafico identifica le patologie prevalenti nei paesi
del terzo mondo, mentre la parte inferiore quelle prevalenti nei paesi sviluppati. La parte centrale del grafico identifica i tumori equiripartiti tra queste
due vaste aree. Come si può osservare i tumori al nasofaringe, all’esofago, al
fegato ed all’utero sono i quattro tumori con maggiore prevalenza nei paesi
del terzo mondo, mentre i tumori alla prostata, al colon retto, al testicolo e al
sistema nervoso sono dominanti nei paesi tecnologicamente avanzati. Questa
ripartizione non valuta l’incidenza assoluta, ma solo la prevalenza nella
tipizzazione di uno dei due scenari rispetto all’altro.
Al riguardo, il tumore al polmone detiene il primato assoluto di incidenza in entrambe gli scenari, ma con un rapporto di prevalenza tra paesi tecnologicamente avanzati e paesi in via di sviluppo di solo 1.92, per cui è posto
in posizione centrale nel grafico; lo stesso dicasi per il tumore alla mammella. Le patologie agli estremi del grafico sono tipiche dello scenario corrispondente, per esse possiamo ipotizzare fattori di rischio o causali strettamente correlati a condizioni caratteristiche, di natura ambientale sociale e
demografica. Le patologie centrali non sono peculiari, o perché pertinenti a
condizioni riguardanti l’intera specie umana (ad esempio l’assetto ormonale), o perché associate a cause ubiquitarie. Così il carcinoma nasofaringeo può
essere ad alta specificità per i paesi del terzo mondo a causa della diffusione
del virus di Ebstein Bar o delle carenti condizioni igienico sanitarie. Il carcinoma mammario potrebbe essere associato all’azione ubiquitaria degli estrogeni, analogamente si potrebbe dire per il carcinoma prostatico, che, tuttavia,
è al primo posto nella tipizzazione dei paesi tecnologicamente avanzati. In
questo secondo caso si potrebbe evocare il deus ex machina dell’epidemiologia
storica, l’aspettativa di vita. Mentre, infatti, il carcinoma mammario insorge
anche in età giovanile, il tumore prostatico è proprio dell’età senile, richiede,
quindi, un’aspettativa di vita elevata, propria delle società tecnologicamente
avanzate, e, per questo, pur essendo associato a cause ormonali, si trova agli
estremi del diagramma. La semplice ripartizione tra paesi sviluppati e non
costituisce un criterio analitico estremamente grossolano, pur tuttavia, è
innegabile che gli stili di vita, le condizioni igieniche e gli assetti demografici ed ambientali dei paesi arretrati sono più facilmente associabili a scenari
storici remoti, in contrapposizione con i paesi tecnologicamente avanzati,
che, costituiscono, invece, un inedito storico. Basti, al riguardo, pensare che
per migliaia di anni l’aspettativa di vita ha subito oscillazioni minime se
paragonate con l’impennata vertiginosa osservata (nei paesi tecnologicamente avanzati) a partire dal XIX secolo. Volendo stimare la caduta di incidenza dei quattro tumori più diffusi nei paesi ad elevato stile di vita (polmone, colon retto mammella e prostata, nell’ordine) sottraendo dalla distribuzione per classi di età i casi oltre l’aspettativa di vita delle epoche passate,
osserveremmo una drastica riduzione dell’incidenza (11). Così l’incidenza
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Caleidoscopio
G. Paganetto
Malattie Neoplastiche:
dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
odierna del cancro polmonare si ridurrebbe nelle età riferibili ai reperti
descritti precedentemente del 98%, il tumore al colon retto del 96%, quello
alla mammella del 98%, e quello alla prostata del 99%. E’ possibile esprimere questa stima, nonostante l’enorme lasso di tempo, in quanto la maggior
parte degli studi di paleodemografia confermano una variazione relativamente ridotta dell’età media al decesso tra le varie epoche arcaiche. Un
approfondito studio di Angel (11) ha identificato la vita media al decesso per
gli uomini del neolitico e dell’età del bronzo a 34.7 anni e a 29.6 per le donne,
per l’epoca della Grecia classica 42.6 anni per gli uomini e 33.7 per le donne,
nell’epoca romana 42.1 per gli uomini e 31.6 per le donne, nell’epoca bizantina a 36.5 per gli uomini e 31 per le donne. Angel aveva piena coscienza del
carattere preliminare del suo studio e del valore problematico delle cifre proposte: la campionatura si limitava a 384 crani adulti, scaglionati dal 3500 a.C.
al 1300 d.C. Un salto temporale di quattro cinquecento anni non modifica
drasticamente le cose: tra il 1750 ed il 1759 un inglese alla nascita poteva contare su di una aspettativa di vita di 36.9 anni, un francese su 27.9 ed un svedese su 37.3. Dopo un secolo questi valori sono attestati intorno ai quarant’anni, ma dopo due secoli sono incrementati di trent’anni circa (12) !
Caleidoscopio
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Malattie Neoplastiche:
dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
Fonti scritte
Le origini
Edwing Smith era un ricco collezionista americano con la passione dell’archeologia. Nel 1862 acquistò da un rigattiere egiziano a Luxor due antichi
papiri, il più famoso dei quali rimase nella collezione di Smith fino al 1869.
In questo anno, appare nel catalogo di un antiquario e viene rivenduto, nel
1872, all’egittologo Gorge Ebers, che ne cura la traduzione e la pubblicata nel
1875, (figura 4). Il secondo documento tramandò ai posteri il nome dello stesso Smith; dopo la sua morte la sorella ne fece dono alla New York Historical
Society, e nel 1930 James Henry Breasted, direttore dell’Istituto Orientale
dell’Università di Chicago, ne pubblicò la traduzione in inglese con un ampio
commento. Il papiro di Smith è stato datato intorno al 1700 a.C., ma probabilmente si tratta della ricopiatura di un testo più antico di circa mille anni.
La datazione del papiro di Ebers è chiaramente indicata nel testo, che fa rife rimento al nono anno del regno di Amenohotep I, cioè il 1534 a.C.
Il papiro di Smith è quello più prossimo alla concezione moderna di “trattato medico”, è costituito, infatti, dalla dettagliata descrizione di quarantotto
casi clinici, esposti secondo un procedimento metodologico ricorrente: esame
clinico, diagnosi, cura e glossario.
Il papiro di Ebers è meno originale, ma, con le sue 110 pagine, costituisce
il testo medico egizio più ponderoso in assoluto. In effetti, lo si potrebbe definire la prima enciclopedia medica della storia; consiste, infatti, di una collezione di miriadi di diversi testi medici, che sembrano raccolti nel tentativo di
consolidare un’antica tradizione, presumibilmente orale. Il papiro di Ebers e
quello di Smith sono accomunati ad altri cinque testi, meno noti e più frammentati, dal fatto di contenere la più antica descrizione di patologie neoplastiche. Il papiro di Kahun, ad esempio (circa 1850 a.C.), riporta la descrizione
di un cancro all’utero, con il tipico segno dell’odore e il classico sintomo del
dolore (13). Il papiro di Smith descrive, con dovizia di particolari, 8 casi di
carcinoma mammario ulcerato. La prognosi viene già riconosciuta infausta, e
l’intervento di cauterizzazione viene proposto come mero palliativo.
Questi antichi testi propongono per altri tumori, come quello allo stomaco e all’intestino, rimedi farmacologici di varia natura, come unguenti, estratti derivanti dall’orzo, o dal corpo di animali. Ma ciò che qui ci preme sottolineare è che queste prime fonti testimoniano, con un margine di dubbio accettabile, la identificazione nosologica corretta di queste forme neoplastiche, che
dovevano risultare sufficientemente frequenti da meritare la codifica in una
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Caleidoscopio
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Malattie Neoplastiche:
dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
prassi prognostica e terapeutica. Ancora una volta, il distretto anatomico colpito in prevalenza è la mammella, come nella donna del Kentachi o di
MoKrin, che sono, sebbene geograficamente lontane, temporalmente prossime alla stesura dei due papiri. La stessa parola cancro (karkinos in greco ) è
stata introdotta, secondo la tradizione, da Ippocrate (460-370 a.C.) per sottolineare la somiglianza tra un granchio con le chele affondate nella carne in
alcuni cancri del seno (14).
Figura 4. Il Papiro di Ebers (1534 a.C.) è tra i primi testi medici che riporta
la descrizione di patologie neoplastiche.
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G. Paganetto
Malattie Neoplastiche:
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Ipocrate e la definizione di carcinoma
Il grande medico greco riporta nel libro VII e nel capitolo 116 delle
Epidemie con grande concisione, ma altrettanta incisività, un caso di carcinoma mammario:
In una donna, ad Abdera, si produsse un carcinoma al seno; si presentava così:
dal capezzolo scorreva un icore sanguinolento; una volta cessato lo scorrimento ella
morì.
Sebbene in questo caso si possa, più probabilmente, ravvisare la diagnosi
di epitelioma, tuttavia, nel Corpus Ippocraticus (II, 133) viene riproposta la
descrizione di un cancro mammario occulto non ulcerante, con retroazione
del capezzolo e invasione dei gangli linfatici che difficilmente può dar adito
a dubbi (1).
Nelle fonti antiche ricorrono sovente segnali, anche accidentali, della frequenza e rilevanza di questa patologia; o di altre che, per la sintomatologia,
potrebbero essere con essa scambiate. Erodoto, ad esempio, racconta che la
regina Atossa, figlia di Ciro e moglie di Dario, ebbe al seno un tumore (phyma)
che si aprì e si estese a poco a poco (Erodoto III, 133). In effetti, il termine phyma
può designare sia un neoplasia quanto un ascesso. Questa seconda ipotesi
sarebbe avvalorata dalla completa guarigione della regina, che, dunque presumibilmente, soffriva per una mastite. Questo esempio adombra l’annosa
questione della corretta attribuzione dell’antica terminologica medica. In
Ippocrate, ma soprattutto, come vedremo, in alcuni suoi insigni epigoni, il
mero nominalismo descrittivo è fecondato dallo sforzo di connotare la parola in una proiezione diagnostica. Così, se Ippocrate usa i termini Karkinoma e
Karkinos per discriminare tra tumori ulceranti e non, rispettivamente, Galeno
(131-202 d.C.) classificherà i tumori secondo natura, sopra natura e contro
natura. I primi sono “fisiologici”, come l’ingrossamento dell’utero durante la
gestazione, i secondi sono a decorso benigno, e solo gli ultimi hanno un probabile esito infausto. L’attribuzione viene effettuata dall’analisi dei segni;
siamo, quindi, già in una impostazione semeiotica, che ci permette di confidare in una diagnosi forse corretta dei casi descritti da questo antico autore
e, soprattutto, dalla lunghissima sequela dei suoi epigoni?
Poiché l’impostazione teorica e terminologica dei trattati di Galeno hanno
costituito il paradigma interpretativo e la fonte dottrinale incontrastata per
molti secoli, non possiamo astenerci da fare una piccola digressione “esplorativa” nella vasta, complessa, e spesso disordinata, materia di questo grande medico. E, di fatto, ci imbattiamo subito in un opera originale, unica nel
suo genere, e che tale rimarrà per circa mille anni.
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Galeno e il “De Tumoribus”
Il De tumoribus di Galeno costituisce il primo testo noto che abbia affrontato la tematica dei tumori, compreso il cancro, in modo sistematico e specifico (15). Dopo di lui bisognerà attendere fino al 1553 per vedere pubblicata
un’opera simile dal medico sardo Giovanni Ingrassia (1510-1580)(16). Anche
Celso (25 a.C.- 50 d.C.) nel De medica (V.28) tratta dei tumori, ma solo come
parte di una più ampia argomentazione (16).
Galeno si occupa in questa opera degli “ingrossamenti” degli organi, dei
tessuti e delle strutture anatomiche, partendo dalla definizione più generica
di oncos e pervenendo a quella più specifica di karkinos, con la stessa accezione del suo riferimento dottrinale, Ippocrate. Tra i tumori sono compresi gli
stati edematosi sostenuti dalle infiammazioni (di cui Galeno fornisce la
prima e magistrale descrizione), le elefantiasi, i bubboni, i foruncoli, le lesioni tubercolari e, perfino, il satirismo (o priapismo). La trattazione sul cancro
è, in effetti, molto contenuta, circa una pagina su vent’otto, ma (ciò che più a
noi interessa), distingue nettamente questa patologia dalle altre, inquadrandola in una dimensione prognostica sostanzialmente corretta.
Galeno riprende la teoria Ippocratica della malattia come squilibrio tra le
temperie dei quattro umori corporei (sangue, flegma, bile gialla e bile nere).
Il cancro originerebbe dall’eccesso di bile nere o atrabile. In effetti, Galeno
introduce una variante sostanziale, attribuendo proprietà agli umori; così il
cancro deriva dall’eccesso di bile nera “fredda”, il suo spessore, impedendo
il deflusso degli umori, può causare un rigonfiamento dei vasi e indurre uno
stato infiammatorio “secondario”. Questo modello fisiopatologico attraverserà indenne molti secoli, fino a quando Gaspare Aselli (1581-1626) nel XVII
secolo, dopo aver scoperto i vasi linfatici, non proporrà di sostituire alla bile
nera la linfa (17).
Il De tumoribus venne ricopiato, preservato e studiato in molti centri culturali medievale. Fu sicuramente ben conosciuto in Siria ed in Arabia, e
ritrovò un momento di grande celebrità nel XVI secolo, quando venne tradotto in latino ed in alcune lingue europee (17). Da questo apogeo piombò
definitivamente nell’oblio, quando le teorie in esso contenute cominciarono a
franare sotto l’incalzare delle grandi scoperte dell’anatomia e della fisiopatologia sperimentale (18).
Prima di lasciare questo importante autore, torniamo al quesito di partenza: qual è il presupposto, se non scientifico, quantomeno oggettivante
delle sue osservazioni e della sua teoria? Sappiamo con sicurezza che Galeno
compì dissezioni su animali, ma, con altrettanta sicurezza, possiamo affermare che non seguì mai una metodica prassi di indagine necroscopica su
cadaveri umani. La sua esperienza deriva da osservazioni sugli animali o
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G. Paganetto
Malattie Neoplastiche:
dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
dalla pratica medica. Con ciò, vengono escluse dalle fonti scritte di questo
autore, e dei suoi epigoni, tutte quelle forme che sono svelate solo dall’arte
settoria dell’anatomo-patologo. In termini moderni, potremmo dire che la
soglia diagnostica dei medici dell’alto e basso medioevo è molto elevata, e
che rimangono in ombra tutte quelle lesioni la cui stigmate non ravvisa la
descrizione galenica; ciò può confermare la indiscutibile frequenza di carcinoma mammario, ma non esclude affatto le molte forme neoplastiche apparentemente assenti.
La Rinascita
Il De Humani Corporis Fabrica di Andrea Vesalio (1514-1564) è il primo trattato moderno di anatomia, in esso la descrizione degli apparati e delle strutture del corpo umano non deriva più dalla pedissequa ricopiatura delle
opere di Galeno, e quindi da estrapolazioni provenienti da studi su animali,
ma è il risultato di una consumata esperienza settoria su cadaveri umani.
Sebbene quest’opera sia una pietra miliare della letteratura medica rinascimentale, non deve essere considerata il prodotto di un genio isolato, bensì
l’approdo di un’ampia attività di indagine, che si intensificherà sempre più
nelle epoche successive estendendosi alla fisiologia, alla fisiopatologia, e
all’anatomia patologica. Il libro di Vesalio è frutto del vigoroso spirito del
Rinascimento e, in un certo modo, costituisce (nel ritorno al pensiero logico
dei greci), fecondato dal metodo sperimentale, la massima espressione del
modello di pensiero rinascimentale. In un articolo scritto nel 1943 per celebrare il quattrocentesimo anniversario di pubblicazione dell’opera, il filosofo
Max Fisch, della Università di Chicago, ne definì il frontespizio il manifesto di
una riforma didattica (19). Il professore è in mezzo agli allievi, intento alla
descrizione anatomica. Nella sua espressione e nell’interesse di chi lo circonda, è evidente lo sforzo indagatore; non rimane più nulla della rigida prassi
educativa tradizionale, che si limitava al confronto diretto del testo galenico
(da parte del professore lontano dal tavolo settorio) con l’esplorazione anatomica su animali, condotta da un cerusico.
Una osservazione di Vesalio focalizza l’attenzione, ancora una volta, sul
tumore mammario: Vesalio consiglia, dopo la mastectomia, la legatura dei
vasi piuttosto che la cauterizzazione. Sebbene i tempi non siano ancora maturi per la strutturazione di una patologia moderna, iniziano in questi anni gli
studi di anatomia e fisiologia, che porteranno copiosi frutti nei secoli successivi. I discepoli di Vesalio proseguono il lavoro del maestro seguendo il metodo sperimentale, ora possibile, grazie all’affinamento delle tecniche autopti-
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Figura 5. Frontespizio del De Humani Corporis Fabrica (1543)di Andrea
Vesalio.
che e all’enorme passo avanti rappresentato dalla scoperta della circolazione
sanguigna ad opera di William Harvey (1578-1657). Sono nomi illustri, spesso associati alle strutture anatomiche da loro studiate: Realdo Colombo
(1516-1559), Gabriele Falloppia (1523-1562) (che descrive diversi tipi di cancri), Giovan Battista Canano (1515-1579), Bartolomeo Eustachi (1500-1574),
Girolamo Fabrici d’Acquapendente (1533-1619), e Giovan Filippo Ingrassia,
che abbiamo già menzionato per la sua opera monografica sui tumori, De
Tumoribus praeter natura (Napoli 1553). Il De Tumoribus costituisce una revisione critica dell’opera di Galeno, e non apporta sostanziali contributi alla
conoscenza di queste patologie; è, tuttavia, interessante in quanto si inquadra
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G. Paganetto
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dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
nella generale esigenza del tempo di rivisitare le opere del passato (20), o per
dimostrarne l’infondatezza (Vesalio stesso curò personalmente una riedizione delle opere anatomiche di Galeno per dimostrarne la congruenza con l’anatomia animale e l’incongruenza con quella umana) o per inquadrare le
nuove scoperte in un sistema teorico consolidato (21). Manca, infatti, ancora
un inquadramento eziopatologico efficace per intraprendere la rifondazione
della patologia su basi scientifiche. Tuttavia, ora, l’esplorazione raggiunge gli
organi interni; c’è da aspettarsi, dunque, il progressivo incremento di segnalazioni di lesioni neoplastiche profonde non evidenziate in precedenza.
Fabricius Hildanus (1560-1634), un chirurgo tedesco, rimuove per primo i
linfonodi ingrossati, limitrofi ad un carcinoma mammario e pubblica diversi
scritti in cui descrive ampie resezioni di tessuti neoplastici (22).
Gerolamo Fabrizio d’Acquapendente (1533-1619) scrive nel suo Opera chi rurgica (Padova, 1617):
Il cancro può nascere in tutte le parti del corpo, più frequentemente nelle mam melle delle donne […] poiché pigliano facilmente l’humor melanconico, inoltre le
mammelle hanno consenso con l’utero, per lo quale s’espurga il sangue grosso; se
questo adunque ritorna indietro […] facilmente arriva alle mammelle. Per la mede sima ragione è, che non di rado nasce il cancro dell’utero, ritenuti che siano i mestrui,
e doppo un lungo tempo ivi si siano adulterati. (13)
La mastectomia diviene una tecnica chirurgica raffinata grazie a Johann
Scultetus (1595-1645) (in Armamentarii Chirurgici) e a Marco Aurelio Severino
(1580-1656), che introduce la classificazione differenziale in tumori mammari benigni e maligni, descrive i fibro-adenomi come tumori benigni suscettibili di degenerazione maligna (Synopseos Chirurgiae) (22). Ma dovrà passare
ancora un secolo perché il fervore scientifico di questi studi confluisca in un
opera magistrale, che sancisca la maggiore età dell’anatomia patologica: nel
1761 Giovanni Battista Morgagni (1682-1771), professore di medicina teorica
presso l’ateneo padovano, pubblica il De sedibus et causis morborum per anato men indagatis.
Morgagni e la concezione anatomica della malattia
Nel De sedibus viene per la prima volta affermata e, inconfutabilmente,
dimostrata l’ipotesi che i sintomi della malattia siano dovuti ad un guasto
specifico in uno specifico organo (23). Questa monumentale opera raccoglie
le conoscenza accumulate in cinquant’anni di duro e paziente lavoro, condotto attraverso la realizzazione di circa settecento autopsie ed una minuziosa ed accurata valutazione e verifica di tutti gli esiti (23). Di Morgagni pos-
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siamo fidarci; quando parla di cancro si riferisce ad una patologia che verrebbe, quasi sicuramente, confermata dalle moderne tecniche diagnostiche.
Nella sua casistica fa riferimento a tre casi certi: un carcinoma vescicale in
uno stalliere (IV.16), un tumore dell’ileo con complicanze infettive in un agricoltore (IV.26), un’epitelioma nella gamba di una donna (V.4), e un probabile
carcinoma al seno in una paziente psichiatrica (VIII.9). Morgagni non tralascia nessun dettaglio, e insiste sulla identificazione professionale o sullo stato
delle vittime della malattia. Queste osservazioni non sono casuali (in
Morgagni nulla lo è), quando Morgagni scrive, l’idea di una correlazione tra
ambiente, e quindi mestieri e stili di vita, e malattie non era già più una bizzarria tra le tante nel crogiolo delle idee nuove. Sicuramente il grande patologo conosceva un’opera significativa e originale pubblicata circa sessant’anni prima da un suo rinomato collega e predecessore, Bernardino Ramazzini
(1633-1714).
Bernardo Ramazzini e Percival Pott: Suore e
Spazzacamini
Ramazzini aveva ricoperto la carica di professore di medicina teorica
presso l’ateneo di Padova prima di Morgagni, e aveva pubblicato nel 1700 il
De Morbis artificium diatriba. Quest’opera può essere considerata, a pieno titolo, il primo trattato di medicina del lavoro. In esso l’autore, oltre a puntualizzare lo stato dell’arte a partire dalle fonti greche e romane, esamina le patologie professionali di 50 mestieri, fornendoci una preziosa testimonianza
sullo stato sanitario degli ambienti professionali della sua epoca (24).
Ramazzini riferisce sintomi, cita fonti antiche e moderne, talvolta argomenta
con un taglio scientifico impeccabile, altre volte ricorre alla vecchia teoria
degli umori. Nel suo scritto è, comunque, sempre presente un ammirevole
sforzo di concretezza e di rigore: cita costantemente le fonti sia letterarie che
professionali. Non mancano osservazioni anatomo-patologiche su cadaveri
di intossicati, e spiegazioni ricorrenti all’antica tradizione galenica, ma nel
contesto di una spirito innovatore e moderno.
Tra le molte osservazioni singolari che rendono interessante la lettura del
De Morbis, ve ne una che stupisce per acutezza e singolarità: Ramazzina sottolinea la elevata frequenza di carcinoma mammario e la evidente rarità del
cancro dell’utero nelle suore (14). Questa nota di Ramazzini, oltre che sottolineare l’attenzione per una patologia che doveva configurarsi quasi nei termini di un’emergenza sanitaria, è assolutamente rispondente a quanto oggi
si sa sulla rilevanza delle gestazioni multiple come fattore protettivo nei con-
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fronti del cancro della mammella, e sul rischio di contagio da virus oncogeni
nei confronti del cancro dell’utero. La sensibilità scientifica e lo spirito di
osservazione, così ben rappresentata in questo autore, avevano ormai conferito una spinta inarrestabile ai progressi della medicina del XVIII secolo. In
questo contesto culturale è immerso il chirurgo inglese Percivall Pott (17141788), che identifica per la prima volta una relazione di causa effetto tra il
contatto con la fuliggine ed il cancro dello scroto, ormai ben noto, e molto diffuso tra gli spazzacamini (24). E’ questa l’ultima svolta concettuale di grande
rilevanza: il cancro non è più un guasto che viene dal di dentro, che irrompe
per un’alterazione di labili equilibri, ma ha origine ambientale, professionale, tossicologica. A distanza di poco più di un secolo la malattia troverà i suoi
connotati biologici nel solo paradigma eziologico unificante in grado di spiegare le osservazioni di Pott e le molte altre ormai ricorrenti: il concetto di
mutazione. Nel 1916, il biologo tedesco Theodor Boveri (1862-1915) propone
l’ipotesi che il tumore origini da anomalie dell’organizzazione dei cromosomi e suggerisce essere la mutazione somatica cellulare la prima tappa del
fenomeno: ogni agente capace di alterare il patrimonio genetico è un virtuale cancerogeno. Si apre così la strada all’interpretazione ambientale dell’origine del cancro, che troverà conferme inquietanti in numerose osservazioni
epidemiologiche e sperimentali del XX secolo.
Quando Boveri formalizza la sua teoria, la tecnica è ormai affidata al
microscopio, e la diagnosi ad una concettualizzazione anatomo-patologica
moderna. Tutto ciò grazie ad una pletora di illustri predecessori, tra i quali
svettano alcune figura di grande statura, come Iohn Hunter (1728-1793), che
traccia le linee operative della chirurgia oncologica, Matthew Baillie (17611823), che caratterizza con precisione il cancro alla mammella, allo stomaco,
al retto, ai testicoli, alla vescica, al pancreas e all’esofago, fino a Rudolf
Virchow (1821-1902), che porta a compimento l’eredità culturale di Vesalio,
di Harvey e di Morgagni, integrandola con l’ultimo apporto della citologia e
dell’istologia patologica. Nella sua patologia cellulare, pubblicato nel 1858,
Virchow riconduce l’origine delle malattie ad un guasto cellulare, ed apre la
strada alla comprensione dei più reconditi meccanismi fisiopatologici (25).
Sebbene, il nostro viaggio nelle fonti scritte “scientifiche” si concluda qui,
nell’epoca della identificazione nosologica inequivocabile, pur tuttavia, non
possiamo trascurare alcune sporadiche descrizioni extramediche, che possono concorrere a puntualizzare la ricorrenza e la significatività, anche percettiva, di questa patologia.
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Le fonti non mediche
Se, come abbiamo visto, l’accreditamento delle fonti mediche richiede
grande cautela se finalizzato a significare le condizioni sanitarie delle epoche
passate; a maggior ragione, le fonti scritte non orientate a perpetrare l’arte
medica o a comunicarne i progressi, costituiscono uno strumento ancora più
problematico. Tuttavia, in alcuni contesti, le cronache, le opere letterarie, ed i
documenti storici non specialistici, rappresentano un prezioso supporto nel
confermare l’incisività e, quindi, la frequenza di determinati stati morbosi (si
pensi alle costanti descrizioni della peste lungo tutto l’arco del rinascimento;
epoca in cui, di fatto, questa malattia costituiva un flagello ricorrente).
Le testimonianza dei poeti lirici del VII e VI secolo a.C. sono, ad esempio,
particolarmente preziose per le motivazioni e lo stato d’animo che le ha ispirate.
Diversamente da Omero e da Esiodo, i poeti lirici del periodo arcaico non tengo no a raccontare le storie degli dei e degli eroi lontani, e neppure a insegnare la buona
condotta in società; ciò che vogliono, e fanno è cantare, esorcizzare le loro sofferenze,
i loro più intimi problemi. Il tema principale, in questo genere di poemi, è l’esperien za immediata e personale del mondo, sarebbe dunque sorprendente non trovarvi la
morte e la malattia.
Con queste parole Mirko Grmek esprime con molta chiarezza, nella sua
Storia delle malattie all’alba della civiltà occidentale (1), la necessità per lo
storico delle malattie di non trascurare queste fonti, anche se accessorie
rispetto a quelle dirette e a quelle mediche.
Nella stessa opera, questo autore cita un verso di uno di questi autori,
Archiloco di Paro (vissuto nella prima metà del VII secolo a.C.) in cui si parla
di un “tumore fra le cosce”. Il termine utilizzato e phyma, tumore, tumefazione, ascesso. Ma talvolta lo stesso autore usa anche phyton (talea). Questo termine comporta un’analogia botanica e suggerisce molto più un’escrescenza
che un edema diffuso, e sembra indicare una neoformazione tumorale.
In effetti sono piuttosto frequenti i riferimenti a tumori negli autori di questa epoca; senza però mai uscire dall’ambiguità dell’accezione del temine.
Omero nell’Odissea (VIII secolo a.C.), ma, soprattutto nell’Iliade, si dilunga in tali e tante descrizioni di lesioni traumatiche e patologiche (traslate
nella dimensione mitica delle frecce di Apollo e di Artemide), da suscitare il
sospetto di una competenza professionale (1). Una sofistica critica ha compiuto un’accurata esegesi delle sue opere sotto questo singolare profilo (1),
enfatizzando la predilezione di Omero per le lesioni traumatiche da combattimento (non poteva essere che così considerando che l’autore canta una
guerra ed un periglioso ritorno). Non mancano, tuttavia, le malattie in senso
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stretto, le morti improvvise, gli smarrimenti mentali e le intossicazioni (26).
Ma non v’è traccia di tumori; forse per la rarità di questa patologia in Grecia
nel VII secolo? Di fatto, considerando l’ambiguità del termine, questa deduzione sarebbe piuttosto azzardata. E azzardato sarebbe anche confidare in
una reale rispondenza nosologica nelle parole del grammatico milanese
Bonvesin della Riva, quando nel suo De Magnalibus Mediolani (1288 d.C.),
descrivendo la fine di Federico II scrive: persa ogni speranza in Dio, deposto e
maledetto dalla Chiesa fu colpito da una abominevole malattia, cioè il cancro (13).
Sappiamo che l’imperatore svevo morì cinquantaseienne per una profusa
dissenteria; l’origine di questa sintomatologia terminale rimane, tuttavia,
sconosciuta.
Figura 6. Strumentazione chirurgica e sua modalità d’uso nella mastectomia
(Didericus Conerdingius 1772)
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Le morti dei re ci sono sovente tramandate con accurate descrizioni, sia
per la rilevanza del personaggio, che per l’attenta osservazione di chi era
responsabile del benessere del sovrano. Così Anna d’Austria (1601-1666)
(madre di Luigi XIV), colpita da un cancro al seno, è curata con impiastri a
base di cicuta, di polvere di pietra grigia e di polvere di scamonea. Dopo circa
un anno compaiono le lesioni cutanee (erisipela), che si complicano in cancrena. Cinque mesi più tardi la regina è in agonia. L’odore delle piaghe è tale
che è necessario tenere dei sacchetti di odori vicino al naso per darle sollievo (27).
Altre volte le cronache ci informano sulla rilevanza numerica dei casi.
Quando all’inizio del XVIII secolo Daniel Sennert (1572-1637) propone l’idea
del cancro come malattia contagiosa, determina l’esclusione dei cancerosi
dagli ospedali comuni. Nel 1740 la deplorevole condizione di abbandono di
questi malati susciterà lo spirito caritatevole dell’abate Godinot, che fonderà
a Reims un ospedale dei cancri destinato a raccogliere i “molti” pazienti per alle viarne le miserie fisiche e morali.
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Fonti Iconografiche
Realismo e religiosità
Il rinvenimento dei segni delle patologie nelle opere figurative è riconducibile a due ordini di motivazioni, l’autore rappresenta la malattia per motivi documentaristici, religiosi o filosofici; o, in alternativa, è animato dalla
volontà di riprodurre fedelmente la realtà.
Grmek e Gourevith nella loro opera monografica Le Malattie nell’Arte
Antica (28), hanno analizzato l’espressione di queste due volontà nella produzione artistica dalla Grecia del V secolo avanti Cristo fino all’epoca romana. I due autori hano sottolineato, con lo storico dell’arte Guy Mètroux (29),
la volontà di rappresentare il vero, in tutte le sue manifestazioni, si esprime
in Grecia a partire dal 480-450 a.C., a seguito di un profondo rivolgimento
culturale che ha cambiato i canoni della poetica artistica.
Nell’epoca antecedente, il bello, nella sua accezione più idealizzata, e,
quindi, priva di imperfezioni, costituiva il solo principio ispiratore; dal V
secolo in poi compaiono i segni della realtà, anche nella sua espressione più
inquietante e drammatica, come la malattia o la morte violenta. I filosofi anti chi e i teorici dell’arte per giustificare quest’intrusione nella calma senza tempo della
severa arte arcaica, hanno proposto un gioco di parole a sfondo moraleggiante distin guendo tra “imitar bene” , e “imitare il bene”.
Nella rappresentazione del dolore gli artisti superano se stessi e la natura; le due
technai, che gli antichi consideravano più nobili, la medicina e l’arte possono asso ciarsi (28). Compaiono, così, nelle espressioni artistiche elementi figurativi
importanti nel circostanziare la presenza e la ricorrenza delle patologie.
Accanto a questa produzione, dichiaratamente artistica, si affianca, ai confini dell’arte, un’altra preziosa documentazione, gli ex voto.
Gli Ex voto
Gli ex voto erano doni offerti alla divinità a scopo propiziatorio o come ringraziamento per l’avvenuta guarigione da una malattia o da un trauma. Le
offerte erano di ogni tipo, da oggetti domestici fino a gioielli e monili.
Con una certa frequenza l’ex voto raffigura parti del corpo che sembrano
portare i segni della malattia con tale evidenza da suggerire un tentativo di
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diagnosi retrospettiva. In realtà si tratta spesso di oggetti fatti “in serie”, senza
pretese di specificità: chi li fabbricava e commercializzava contava sulla genericità della rappresentazione per allargare la tipologia di acquirenti.
Inoltre, la scelta del particolare anatomico poteva derivare da traslazioni
concettuali senza alcuna attinenza patologica; due orecchie, ad esempio,
potevano significare la richiesta di “porgere orecchio alle suppliche”, o gli
organi genitali significare la progenie. In ogni caso il fenomeno votivo è già
consolidato in grecia nel V secolo, ed è presente nel mondo etrusco-romano
tra il IV ed il II secolo a.C.
La effigie dei re dei Parti
Le vestigia patologiche sono, talvolta, piccoli segnali intriganti, che compaiono con insospettata ricorrenza.
Il rinvenimento della piccola escrescenza sulla tempia dell’effigie dei re
dei parti Orode II e Fraate IV, presente nelle monete conservate al British
Museum, è senz’altro tra i casi più singolari (figura 7). Il fondatore della dinastia Mitridate II, che regnò dal 123 al 88 a.C., non presenta alcuna traccia di
questo segno, che però compare sulla effigie dei discendenti come segno
distintivo della stirpe.
Figura 7. Tetradramma riportante l’effigie di Fraate IV (57-38 av. J.-C.). La
freccia indica la lesione cutanea sulla tempia sinistra (vedi testo).
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Secondo Gerard Hart (30), questa lesione potrebbe essere un adenoma
sebaceo, isolato o multiplo, di natura benigna e trasmesso geneticamente, il
tricoepitelioma o tumore di Brooke. Secondo questa ipotesi, il gene sarebbe
entrato nella discendenza di Mitridate II e si sarebbe espresso nella progenie
come carattere dominante.
Forti evidenze
Un ex voto etrusco proveniente da Veio, è costituito da un busto in terracotta; si tratta di un uomo anziano con gli occhi socchiusi e con un doppio
tumore al collo di dimensioni ragguardevoli. Le caratteristiche posturali,
l’età, e l’espressione del volto depongono a favore di una neoplasia tiroidea,
piuttosto che di un gozzo adenomatoso (31).
In una serie di terrecotte di Smirne sono presenti due teste maschili, che
riproducono con grande precisione due tumori maligni orbitali. La diagnosi
più probabile è di sarcoma dell’orbita o di retinoblastoma unilaterale.
Tumori ginecologici
I su menzionati busti sono unici per precisione e fedeltà riproduttiva di
tutte le caratteristiche anatomiche identificative della patologia. In altri casi,
invece, la ricorrenza di apparenti strutture anatomiche non riesce a trovare
una precisa attribuzione. Ciò è sicuramente vero per i molti ex voto in forma
di utero nella scultura greco-romana. Si tratta di organi oblunghi, con piccole coste, dotati di un collo e di una apertura. Le coste rappresentano presumibilmente la natura muscolare, e, quindi, la capacità contrattile (Figura 8).
Talvolta questi uteri schematici sono dotati di un’appendice laterale (spesso a sinistra), che può assumere forma globulare o vermiforme. Sono state
avanzate molte congetture sulla struttura anatomica rappresentata, l’ovaio,
la vescica, o la placenta, ma l’ipotesi patologica di fibroma (mioma uterino)
pare essere la più convincente (32). In tal caso, dobbiamo ritenere che la ricorrenza di questa forma tumorale benigna dovesse essere così frequente da
essere associata alla rappresentazione stereotipata dell’utero.
Sempre rimanendo nell’ambito delle affezioni di competenza ginecologica, viene spontaneo domandarsi se il cancro mammario, che abbiamo visto
tanto ricorrente nelle fonti scritte, sia presente anche in quelle iconografiche?
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Figura 8. Rappresentazione in ex voto di uteri (disegno dell’autore)
Reperto romano, Roma, Museo Nazionale (A)
Reperto etrusco-romano, Firenze, Museo Archeologico (B).
In effetti, anche nelle rappresentazioni arcaiche greche e romane non mancano casi difficilmente confutabili di questa patologia.
Al Louvre è conservato un busto con caratteristiche androgene, ma inconfutabilmente femminile, portatore di un seno sinistro abnorme ed appuntito.
Un ex voto ritrovato presso le sorgenti della Senna (reperto gallo-romano) è
costituito da due seni femminili, uno dei quali è completamente schiacciato,
o, piuttosto, corroso da una lesione ulcerata?
Un busto femminile in terracotta di Smirne manca integralmente del seno
sinistro, come se fosse stato sottoposto a mastectomia. Non vanno comunque
trascurate le ipotesi alternative, come quella suggestiva dell’ablazione volontaria, praticata, secondo la tradizione, dalle amazzoni per consentire un
impiego più agevole dell’arco.
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Le donne di Michelangelo e di Rembrandt
Con un salto temporale di più di mille anni, motivato dalla mancanza di
una produzione analoga nell’evo medio, incontriamo un caso illustre, che è
stato oggetto di attenzione e discussione tra gli storici della medicina (2). Si
tratta di una delle statue marmoree conservate nella Sacrestia Nuova della
chiesa di San Lorenzo a Firenze (figura 9). L’opera, realizzata da
Michelangelo Buonarroti (1475-1564) nel 1533 per adornare il sepolcro di
Giulio de Medici, rappresenta una figura muliebre (l’allegoria della notte),
non più giovane, di corporatura massiccia, seduta in atteggiamento meditabondo. L’opera, al di là della trasfigurazione poetica, è realizzata con la tipica espressività realistica michelangiolesca. La tradizione tramanda la consuetudine del Buonarroti alla pratica settoria (33). Esiste persino un dipinto
del XVI secolo che lo rappresenta in atteggiamento dottrinale durante una
lezione su cadavere (Bartolomeo Passerotti, 1570 circa). Questa di
Michelangelo non era una pratica insolita per gli artisti del rinascimento, sap-
Figura 9. “La Notte” (Michelangelo Buonarroti, 1533)
Sepolcro di Giulio de Medici,
Sacrestia Nuova, San Lorenzo (Firenze).
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piamo che anche Pollaiolo e Leonardo, si sono dedicati a studi anatomici
autoptici, e ciò, oltre che a spiegare la grande padronanza dei dettagli anatomici più reconditi, accredita l’eventuale comparsa di segni patologici nelle
loro opere. E’ questo il caso dell’allegoria del nudo femminile delle Tombe
Medicee, in cui è evidente una retrazione del capezzolo sinistro suggestiva di
una neoplasia al seno.
Michelangelo può avere interpretato la figura della modella attribuendole una certa pinguedine androgena, che gli è tipica, ma sicuramente ha riprodotto con scrupolosa fedeltà i dettagli anatomici, compresa la struttura dei
seni.
Quest’opera di Michelangelo non è un caso isolato. Nel 1654 Rembrandt
(1606-1669) ritrae nelle sembianze di Bathsheba (Bathsheba al bagno), un personaggio biblico, la sua governante e poi compagna degli ultimi anni di vita,
Hendrickje Stoffels (figura 10).
Nel 1967 T.C. Greco, un medico italiano in visita al Rijksmuseum di
Amsterdam, nota alcune caratteristiche del seno sinistro di Stoffels, che lo
inducono a ritenere che la modella fosse affetta da un carcinoma mammario.
Greco non si ferma qui, ma per verificare la sua ipotesi compie accurate ricerche che lo portarono a scoprire che Stoffel morì dopo una lunga malattia con
la tipica sintomatologia del cancro al seno (34).
Figura 10. Bathsheba al bagno (particolare)
Harmenszoon Rembrandt van Rijn(1654, Louvre).
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Considerazioni conclusive
La percezione del rischio è un processo mentale complesso risultante dall’integrazione di più componenti evocative, che trovano sostegno, rinforzo o
negazione a seconda dei diversi contesti culturali, ideologici ed emotivi. Da
ciò consegue, che la medesima fonte di pericolo può indurre risposte variabili, dall’evitamento fobico fino all’indifferenza. Nel termine rischio è implicitamente adombrata un’accezione operativa, che comporta l’assunzione
istintiva o ragionata di provvedimenti di evitamento del pericolo. Lo sforzo
di conversione della percezione del rischio in analisi del rischio è un processo di oggettivazione e razionalizzazione che, in ultima analisi, ha come finalità la selezione del modello operativo di difesa più efficiente. La storia della
medicina è, in sostanza, la storia di questo processo: l’uomo è passato dalla
passiva accettazione dell’ineluttabilità del castigo divino (le frecce di Apollo)
alla progressiva acquisizione degli strumenti razionali per contrastare e sconfiggere la malattia. Nel corso dei secoli il pericolo per la salute e per la vita a
seguito dell’insorgenza di malattie neoplastiche è andato sicuramente evolvendo per tipologia, per estensione, e per intensità, ma ciò che ha subito un
incremento progressivo a partire dall’epoca della nascita della medicina
scientifica, e letteralmente esplosivo nell’ultimo secolo, è stata la consapevolezza di questo pericolo. Ciò significa che talune discrete testimonianze di un
passato più remoto (che abbiamo cercato di individuare nel corso dei secoli),
sono tali, non tanto, o non solo, in considerazione della bassa ricorrenza della
malattia, quanto per l’immaturità percettiva ed analitica della reale portata
del rischio. In tal senso le osservazioni di Ramazzini e di Pott costituiscono
un documento storico di grande rilevanza nel significare l’acquisizione di
una nuova consapevolezza.
In gran parte d’Europa, la transizione tra Settecento ed Ottocento portò ad
una diminuzione della mortalità. Questo miglioramento è visibile, in primo
luogo, nella diminuita frequenza delle crisi di mortalità legate a esplosioni
epidemiche. Un esempio per tutti: in Inghilterra, in un gruppo di 404 parrocchie, la frequenza di mesi con severa mortalità fu pari a 0.13% nella prima
metà del Settecento, contro il 0.9% nella seconda metà e il 0.6% nel primo
quarto dell’Ottocento, denotando una rapida diminuzione dell’incidenza
delle crisi (35). In Francia, l’incidenza delle crisi scende fortemente tra la
prima e la seconda metà del Settecento. In altre zone d’Europa il declino è
meno netto o più tardivo, come in Germania, Italia o Spagna. Le cause dell’attenuazione delle grandi crisi di mortalità sono di natura economica e
sociale a un tempo. Le cause sociali riguardano l’attenuazione della trasmissibilità delle infezioni, conseguente, ad una maggiore igiene privata e pubblica. Le cause economiche sono attinenti non solo al progresso agricolo, ma
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anche al migliorato sistema di trasporti e quindi di ridistribuzione delle derrate tra aree di abbondanza e aree di penuria. Dunque, la drastica riduzione
dei fattori di mortalità, nei confronti dei secoli antecedenti al Settecento tende
a coprire gli esiti dei danni dovuti alle nuove tecniche produttive ed alla
nuova organizzazione del lavoro (esposizione a preparati e composti chimici di impiego industriale e, disagevoli condizioni di lavoro).
Se, in altre parole, facciamo riferimento alla stratificazione dei fattori di
rischio in funzione della loro incisività nel determinare la speranza di vita,
dobbiamo constatare che l’inquinamento ambientale ad opera delle industrie
chimiche e siderurgiche risultò di second’ordine se confrontato con la caduta del rischio per malattie infettive e per denutrizione. Ciò vale a maggior
ragione per la percezione soggettiva del rischio, in cui le componenti minoritarie affiorano solo dopo la drastica riduzione o l’eliminazione delle componenti principali.
Tutto ciò sta ad indicare che fino all’epoca contemporanea, il cancro era
una malattia tra le tante ineluttabili e inesorabili. La qualità di male inguaribile era condivisa dalla maggior parte delle malattie infettive, che, oltretutto,
si manifestavano con repentina subitaneità e, spesso, in uno stato di emergenza sanitaria (si pensi alle epidemie di peste). Nonostante ciò, in molteplici circostanze troviamo segni e segnalazioni della rilevanza di questa patologia. In particolare per le forme con manifestazioni evidenti, come le lesioni
cutanee, deturpanti come il sarcoma dell’orbita o il carcinoma mammario,
abbiamo rinvenuto documentazione sia scritta che iconografica. Le altre
forme più recondite per localizzazione anatomica, e meno individuabili dalla
sintomatologia, trovano riscontri efficaci solo in epoche recenti, quando l’indagine anatomo-patologica o la tecnica chirurgica hanno raggiunto livelli di
affinamento adeguati all’identificazione nosologica. In conclusione quello
che riteniamo essere emerso da questo nostro sforzo è che il cancro è una
malattia antica, che ha lasciato tracce della propria presenza in tutto l’arco
della storia umana. Non è, tuttavia, possibile (tranne in casi particolari come
il carcinoma mammario) circostanziare in termini anche approssimativi la
frequenza delle varie forme in epoche antecedenti alla diffusione dell’epidemiologia e dei metodi moderni di indagine.
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Indice
Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Epidemiologia e spazio-tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fonti dirette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Reperti anatomo-patologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Problematiche metodologiche della paleopatologia. . . . . . . . . . .
Reperti mummificati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Patologie neoplastiche nelle mummie egizie. . . . . . . . . . . . . . . . .
Dall’Egitto al Rinascimento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Alcuni modelli interpretativi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fonti scritte. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Le origini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ipocrate e la definizione di carcinoma. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Galeno e il “De Tumoribus” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La Rinascita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Morgagni e la concezione anatomica della malattia. . . . . . . . . . .
Bernardo Ramazzini e Percival Pott,
Suore e Spazzacamini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Le fonti non mediche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fonti Iconografiche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Realismo e religiosità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Gli Ex voto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Le effigi dei re dei Parti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Forti evidenze. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tumori ginecologici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Le donne di Michelangelo e Rembrandt. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Considerazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Malattie Neoplastiche:
dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
Caleidoscopio
Italiano
1. Rassu S.: Principi generali di endocrinologia. Gennaio ’83
2. Rassu S.: L’ipotalamo endocrino. Giugno ’83
3. Rassu S.: L’ipofisi. Dicembre ’83
4. Alagna., Masala A.: La prolattina. Aprile ’84
5. Rassu S.: Il pancreas endocrino. Giugno ’84
6. Fiorini I., Nardini A.: Citomegalovirus, Herpes virus, Rubella virus (in gravidanza). Luglio ’84.
7. Rassu S.: L’obesita’. Settembre ’84
8. Franceschetti F., Ferraretti A.P, Bolelli G.F., Bulletti C.:Aspetti morfofunzionali dell’ovaio.
Novembre ’84.
9. Kubasik N.P.: Il dosaggio radioimmunologico (1). Dicembre ’84.
10. Kubasik N.P.: Il dosaggio radioimmunologico (2) parte prima. Gennaio’85.
11. Kubasik N.P.: Il dosaggio radioimmunologico (2) parte seconda. Febbraio ’85.
12.Kubasik N.P.: Il dosaggio radioimmunologico (3) parte prima. Aprile ’85.
13. Nacamulli D, Girelli M.E, Zanatta G.P, Busnardo B.: Il TSH. Giugno ’85.
14. Facchinetti F. e Petraglia F.: La β-endorfina plasmatica e liquorale. Agosto ’85.
15. Baccini C.: Le droghe d’abuso (1). Ottobre ’85.
16. Kubasik N.P.: Il dosaggio radioimmunologico (3) parte seconda. Dicembre ’85.
17. Nuti R.: Fisiologia della vitamina D: Trattamento dell’osteoporosi post-menopausale.
Febbraio ’86
18. Cavallaro E.: Ipnosi: una introduzione psicofisiologica. Marzo ’86.
19. Fanetti G.: AIDS: trasfusione di sangue emoderivati ed emocomponenti. Maggio ’86.
20. Fiorini I., Nardini A.: Toxoplasmosi, immunologia e clinica. Luglio ’86.
21. Limone P.: Il feocromocitoma. Settembre ’86.
22. Bulletti C., Filicori M., Bolelli G.F., Flamigni C.: Il Testicolo. Aspetti morfo-funzionali e
clinici. Novembre ’86.
23. Bolcato A.: Allergia. Gennaio ’87.
24. Kubasik N.P.: Il dosaggio enzimoimmunologico e fluoroimmunologico. Febbraio ’87.
25. Carani C.: Patologie sessuali endocrino-metaboliche. Marzo ’87.
26. Sanna M., Carcassi R., Rassu S.: Le banche dati in medicina. Maggio ’87.
27. Bulletti C., Filicori M., Bolelli G.F., Jasonni V.M., Flamigni C.: L’amenorrea. Giugno ’87.
28. Zilli A., Pagni E., Piazza M.: Il paziente terminale. Luglio ’87.
29. Pisani E., Montanari E., Patelli E., Trinchieri A., Mandressi A.: Patologie prostatiche.
Settembre ’87.
30. Cingolani M.: Manuale di ematologia e citologia ematologica. Novembre ’87.
31. Kubasik N.P.: Ibridomi ed anticorpi monoclonali. Gennaio ’88.
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Caleidoscopio
G. Paganetto
Malattie Neoplastiche:
dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
32. Andreoli C., Costa A., Di Maggio C.: Diagnostica del carcinoma mammario. Febbraio ’88.
33. Jannini E.A., Moretti C., Fabbri A., Gnessi L., Isidori A.: Neuroendocrinologia dello stress.
Marzo ’88.
34. Guastella G., Cefalù E., Carmina M.: La fecondazione in vitro. Maggio ‘88.
35. Runello F., Garofalo M.R., Sicurella C., Filetti S., Vigneri R.: Il gozzo nodulare. Giugno ’88.
36. Baccini C.: Le droghe d’abuso (2). Luglio ’88.
37. Piantino P., Pecchio F.: Markers tumorali in gastroenterologia. Novembre ’88.
38. Biddau P.F., Fiori G.M., Murgia G.: Le leucemie acute infantili. Gennaio ’89.
39. Sommariva D., Branchi A.: Le dislipidemie. Febbraio ‘89.
40. Butturini U., Butturini A.: Aspetti medici delle radiazioni. Marzo ‘89.
41. Cafiero F., Gipponi M., Paganuzzi M.: Diagnostica delle neoplasie colo-rettali. Aprile ‘89.
42. Palleschi G.: Biosensori in Medicina. Maggio ‘89.
43. Franciotta D.M., Melzi D’Eril G.V. e Martino G.V.: HTLV-I. Giugno ‘89.
44. Fanetti G.: Emostasi: fisiopatologia e diagnostica. Luglio ‘89.
45. Contu L., Arras M..: Le popolazioni e le sottopopolazioni linfocitarie. Settembre ‘89.
46. Santini G.F., De Paoli P., Basaglia G.: Immunologia dell’occhio. Ottobre ‘89.
47. Gargani G., Signorini L.F., Mandler F., Genchi C., Rigoli E., Faggi E.: Infezioni opportu nistiche in corso di AIDS. Gennaio ‘90.
48. Banfi G., Casari E., Murone M., Bonini P.: La coriogonadotropina umana. Febbraio ‘90.
49. Pozzilli P., Buzzetti R., Procaccini E., Signore E.: L’immunologia del diabete mellito.
Marzo ‘90.
50. Cappi F.: La trasfusione di sangue: terapia a rischio. Aprile ‘90.
51. Tortoli E., Simonetti M.T.: I micobatteri. Maggio ‘90.
52. Montecucco C.M., Caporali R., De Gennaro F.: Anticorpi antinucleo. Giugno ‘90.
53. Manni C., Magalini S.I. e Proietti R.: Le macchine in terapia intensiva. Luglio ‘90.
54. Goracci E., Goracci G.: Gli allergo-acari. Agosto ‘90.
55. Rizzetto M.: L’epatite non A non B (tipo C). Settembre ‘90.
56. Filice G., Orsolini P., Soldini L., Razzini E. e Gulminetti R.: Infezione da HIV-1: patoge nesi ed allestimento di modelli animali. Ottobre ‘90.
57. La Vecchia C. Epidemiologia e prevenzione del cancro (I). Gennaio ‘91.
58. La Vecchia C. Epidemiologia e prevenzione del cancro (II). Febbraio ‘91.
59. Santini G.F., De Paoli P., Mucignat G., e Basaglia G., Gennari D.: Le molecole dell’adesi vità nelle cellule immunocompetenti. Marzo ‘91.
60. Bedarida G., Lizioli A.: La neopterina nella pratica clinica. Aprile ‘91.
61. Romano L.: Valutazione dei kit immunochimici. Maggio ‘91.
62. Dondero F. e Lenzi A.: L’infertilità immunologica. Giugno ‘91.
63. Bologna M. Biordi L. Martinotti S.: Gli Oncogèni. Luglio ‘91.
64. Filice G., Orsolini P., Soldini L., Gulminetti R., Razzini E., Zambelli A. e Scevola D.: In fezione-malattia da HIV in Africa. Agosto ‘91.
65. Signore A., Chianelli M., Fiore V., Pozzilli P., Andreani D.: L’immunoscintigrafia nella dia gnosi delle endocrinopatie autoimmuni. Settembre ‘91.
66. Gentilomi G.A.: Sonde genetiche in microbiologia. Ottobre ‘91.
67. Santini G.F., Fornasiero S., Mucignat G., Besaglia G., Tarabini-Castellani G. L., Pascoli
L.: Le sonde di DNAe la virulenza batterica. Gennaio ‘92.
68. Zilli A., Biondi T.: Il piede diabetico. Febbraio ‘92.
69. Rizzetto M.: L’epatite Delta. Marzo ‘92.
Caleidoscopio
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G. Paganetto
Malattie Neoplastiche:
dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
70. Bracco G., Dotti G., Pagliardini S., Fiorucci G.C.: Gli screening neonatali. Aprile ‘92.
71. Tavani A., La Vecchia C.: Epidemiologia delle patologie cardio e cerebrovascolari. Luglio ‘92.
72. Cordido F., Peñalva A., De la Cruz L. F., Casanueva F. F., Dieguez C.: L’ormone della cre scita. Agosto ‘92.
73. Contu L., Arras M.: Molecole di membrana e funzione immunologica (I). Settembre ‘92.
74. Ferrara S.:Manuale di laboratorio I. Ottobre ‘92.
75. Gori S.: Diagnosi di laboratorio dei patogeni opportunisti. Novembre ‘92.
76. Ferrara S.: Manuale di laboratorio II. Gennaio ‘93.
77. Pinna G., Veglio F., Melchio R.: Ipertensione Arteriosa. Febbraio ‘93.
78. Alberti M., Fiori G.M., Biddau P.: I linfomi non Hodgkin. Marzo ‘93.
79. Arras M., Contu L.: Molecole di membrana e funzione immunologica (II). Aprile ‘93.
80. Amin R.M., Wells K.H., Poiesz B.J.: Terapia antiretrovirale. Maggio ‘93.
81. Rizzetto M.: L’epatite C. Settembre ‘93.
82. Andreoni S.: Diagnostica di laboratorio delle infezioni da lieviti. Ottobre ‘93.
83.Tarolo G.L., Bestetti A., Maioli C., Giovanella L.C., Castellani M.: Diagnostica con radio nuclidi del Morbo di Graves-Basedow. Novembre ‘93.
84. Pinzani P., Messeri G., Pazzagli M.: Chemiluminescenza. Dicembre ‘93.
85. Hernandez L.R., Osorio A.V.: Applicazioni degli esami immunologici. Gennaio 94.
86. Arras M., Contu L.: Molecole di Membrana e funzione immunologica. Parte terza: I lnfo citi B. Febbraio ‘94.
87. Rossetti R.: Gli streptoccocchi beta emolitici di gruppo B (SGB). Marzo ‘94.
88. Rosa F., Lanfranco E., Balleari E., Massa G., Ghio R.: Marcatori biochimici del rimodel lamento osseo. Aprile ‘94.
89. Fanetti G.: Il sistema ABO: dalla sierologia alla genetica molecolare. Settembre ‘94.
90. Buzzetti R., Cavallo M.G., Giovannini C.: Citochine ed ormoni: Interazioni tra sistema
endocrino e sistema immunitario. Ottobre ‘94.
91. Negrini R., Ghielmi S., Savio A., Vaira D., Miglioli M.: Helicobacter pylori. Novembre ‘94.
92. Parazzini F.: L’epidemiologia della patologia ostetrica. Febbraio ‘95.
93. Proietti A., Lanzafame P.: Il virus di Epstein-Barr. Marzo ‘95.
94. Mazzarella G., Calabrese C., Mezzogiorno A., Peluso G.F., Micheli P, Romano L.: Im munoflogosi nell’asma bronchiale. Maggio ‘95.
95. Manduchi I.: Steroidi. Giugno ‘95.
96. Magalini S.I., Macaluso S., Sandroni C., Addario C.: Sindromi tossiche sostenute da prin cipi di origine vegetale. Luglio ‘95.
97. Marin M.G., Bresciani S., Mazza C., Albertini A., Cariani E.: Le biotecnologie nella dia gnosi delle infezioni da retrovirus umani. Ottobre ‘95.
98.La Vecchia C., D’Avanzo B., Parazzini F., Valsecchi M.G.: Metodologia epidemiologica e
sperimentazione clinica. Dicembre ‘95.
99.Zilli A., Biondi T., Conte M.: Diabete mellito e disfunzioni conoscitive. Gennaio ‘96.
100.Zazzeroni F., Muzi P., Bologna M.: Il gene oncosoppressore p53: un guardiano del genoma.
Marzo ‘96.
101.Cogato I. Montanari E.: La Sclerosi Multipla. Aprile ‘96.
102.Carosi G., Li Vigni R., Bergamasco A., Caligaris S., Casari S., Matteelli A., Tebaldi A.:
Malattie a trasmissione sessuale. Maggio ‘96.
103.Fiori G. M., Alberti M., Murtas M. G., Casula L., Biddau P.: Il linfoma di Hodgkin. Giugno ‘96.
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Caleidoscopio
G. Paganetto
Malattie Neoplastiche:
dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
104.Marcante R., Dalla Via L.: Il virus respiratorio sinciziale. Luglio ‘96.
105.Giovanella L., Ceriani L., Roncari G.: Immunodosaggio dell’antigene polipeptidico tis sutale specifico (TPS) in oncologia clinica: metodologie applicative. Ottobre ‘96.
106.Aiello V., Palazzi P., Calzolari E.: Tecniche per la visualizzazione degli scambi cromatici
(SCE): significato biologico e sperimentale. Novembre ‘96.
107.Morganti R.: Diagnostica molecolare rapida delle infezioni virali. Dicembre ‘96.
108.Andreoni S.: Patogenicità di Candida albicans e di altri lieviti. Gennaio ‘97.
109.Salemi A., Zoni R.: Il controllo di gestione nel laboratorio di analisi. Febbraio ‘97.
110.Meisner M.: Procalcitonina. Marzo ‘97.
111.Carosi A., Li Vigni R., Bergamasco A.: Malattie a trasmissione sessuale (2). Aprile ‘97.
112.Palleschi G. Moscone D., Compagnone D.: Biosensori elettrochimici in Biomedicina.
Maggio ‘97.
113.Valtriani C., Hurle C.: Citofluorimetria a flusso. Giugno ‘97.
114.Ruggenini Moiraghi A., Gerbi V., Ceccanti M., Barcucci P.: Alcol e problemi correlati.
Settembre ‘97.
115.Piccinelli M.: Depressione Maggiore Unipolare. Ottobre ‘97.
116.Pepe M., Di Gregorio A.: Le Tiroiditi. Novembre ‘97.
117.Cairo G.: La Ferritina. Dicembre ‘97.
118.Bartoli E.: Le glomerulonefriti acute. Gennaio ‘98.
119.Bufi C., Tracanna M.: Computerizzazione della gara di Laboratorio. Febbraio ‘98.
120.National Academy of Clinical Biochemistry: Il supporto del laboratorio per la diagnosi ed
il monitoraggio delle malattie della tiroide. Marzo ‘98.
121.Fava G., Rafanelli C., Savron G.: L’ansia. Aprile ‘98.
122.Cinco M.: La Borreliosi di Lyme. Maggio ‘98.
123.Giudice G.C.: Agopuntura Cinese. Giugno ‘98.
124.Baccini C.: Allucinogeni e nuove droghe (1). Luglio ‘98.
125.Rossi R.E., Monasterolo G.: Basofili. Settembre ‘98.
126. Arcari R., Grosso N., Lezo A., Boscolo D., Cavallo Perin P.: Eziopatogenesi del diabete
mellito di tipo 1. Novembre ‘98.
127.Baccini C.: Allucinogeni e nuove droghe (1I). Dicembre ‘98.
128.Muzi P., Bologna M.: Tecniche di immunoistochimica. Gennaio ‘99.
129.Morganti R., Pistello M., Vatteroni M.L.: Monitoraggio dell’efficacia dei farmaci antivira li. Febbraio ‘99.
130.Castello G., Silvestri I.:Il linfocita quale dosimetro biologico. Marzo ‘99.
131.AielloV., Caselli M., Chiamenti C.M.: Tumorigenesi gastrica Helicobacter pylori - correla ta. Aprile ‘99.
132.Messina B., Tirri G., Fraioli A., Grassi M., De Bernardi Di Valserra M.: Medicina Termale
e Malattie Reumatiche. Maggio ‘99.
133.Rossi R.E., Monasterolo G.: Eosinofili. Giugno ‘99.
134.Fusco A., Somma M.C.: NSE (Enolasi Neurono-Specifica). Luglio ‘99.
135.Chieffi O., Bonfirraro G., Fimiani R.: La menopausa. Settembre ‘99.
136.Giglio G., Aprea E., Romano A.: Il Sistema Qualità nel Laboratorio di Analisi. Ottobre ‘99.
137.Crotti D., Luzzi I., Piersimoni C.: Infezioni intestinali da Campylobacter e microrganismi
correlati. Novembre ‘99.
138.Giovanella L.: Tumori Neuroendocrini: Diagnosi e fisiopatologia clinica. Dicembre ‘99.
139.Paladino M., Cerizza Tosoni T.: Umanizzazione dei Servizi Sanitari: il Case Management.
Gennaio 2000.
Caleidoscopio
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G. Paganetto
Malattie Neoplastiche:
dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
140.La Vecchia C.: Come evitare la malattia. Febbraio 2000.
141.Rossi R.E., Monasterolo G.: Cellule dendritiche. Marzo 2000.
142.Dammacco F.: Il trattamento integrato del Diabete tipo 1 nel bambino e adolescente (I).
Aprile 2000.
143.Dammacco F.: Il trattamento integrato del Diabete tipo 1 nel bambino e adolescente (II).
Maggio 2000.
144.Croce E., Olmi S.: Videolaparoscopia. Giugno 2000.
145.Martelli M., Ferraguti M.: AllergoGest. Settembre 2000.
146.Giannini G., De Luigi M.C., Bo A., Valbonesi M.: TTP e sindromi correlate: nuovi oriz zonti diagnostici e terapeutici. Gennaio 2001.
147.Rassu S., Manca M.G., Pintus S., Cigni A.: L’umanizzazione dei servizi sanitari. Febbraio
2001.
148. Giovanella L.: I tumori della tiroide. Marzo 2001.
149.Dessì-Fulgheri P., Rappelli A.: L’ipertensione arteriosa. Aprile 2001.
150. The National Academy of Clinical Biochemistry: Linee guida di laboratorio per lo scree ning, la diagnosi e il monitoraggio del danno epatico. Settembre 2001.
151.Dominici R.: Riflessioni su Scienza ed Etica. Ottobre 2001.
152.Lenziardi M., Fiorini I.: Linee guida per le malattie della tiroide. Novembre 2001.
153.Fazii P.: Dermatofiti e dermatofitosi. Gennaio 2002.
154.Suriani R., Zanella D., Orso Giacone G., Ceretta M., Caruso M.: Le malattie infiamma torie intestinali (IBD) Eziopatogenesi e Diagnostica Sierologica. Febbraio 2002.
155. Trombetta C.: Il Varicocele. Marzo 2002.
156. Bologna M., Colorizio V., Meccia A., Paponetti B.: Ambiente e polmone. Aprile 2002.
157. Correale M., Paradiso A., Quaranta M.: I Markers tumorali. Maggio 2002.
158. Loviselli A., Mariotti S.: La Sindrome da bassa T3. Giugno 2002.
159. Suriani R., Mazzucco D., Venturini I., Mazzarello G., Zanella D., Orso Giacone G.:
Helicobacter Pylori: stato dell’arte. Ottobre 2002.
160. Canini S.: Gli screening prenatali: marcatori biochimici, screening nel 1° e 2° trimestre
di gravidanza e test integrato. Novembre 2002.
161. Atzeni M.M., Masala A.: La β-talassemia omozigote. Dicembre 2002.
162. Di Serio F.: Sindromi coronariche acute. Gennaio 2003.
163. Muzi P., Bologna M.: Il rischio di contaminazione biologica nel laboratorio biosanitario.
Febbraio 2003.
164. Magni P., Ruscica M., Verna R., Corsi M.M.: Obesità: fisiopatologia e nuove prospettive
diagnostiche. Marzo 2003.
165. Magrì G.: Aspetti biochimici e legali nell’abuso alcolico. Aprile 2003.
166. Rapporto dello Hastings Center: Gli scopi della medicina: nuove priorità. Maggio 2003.
167. Beelke M., Canovaro P., Ferrillo F.: Il sonno e le sue alterazioni. Giugno 2003.
168. Macchia V., Mariano A.: Marcatori tumorali nel cancro della vescica. Luglio 2003.
169. Miragliotta G., Barra Parisi G., De Sanctis A., Vinci E.: La Turbercolosi Polmonare:
Diagnostica di Laboratorio. Agosto 2003.
170. Aebischer T.: Il Comitato Internazionale della Croce Rossa ed il Diritto Internazionale
Umanitario. Settembre 2003.
171. Martino R., Frallicciardi A., Tortoriello R.: Il manuale della sicurezza. Ottobre 2003.
172. Canigiani S. e Volpini M.: Infarto acuto del miocardio: biochimica del danno cellulare e
marcatori di lesione. Novembre 2003.
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Caleidoscopio
G. Paganetto
Malattie Neoplastiche:
dalla Paleopatologia alle Fonti Storiche
173. La Brocca A. Orso Giacone G. Zanella D. Ceretta M.: Laboratorio e clinica
delle principali affezioni tiroidee. Dicembre 2003.
174. Savron G.: Le Fobie. Gennaio 2004.
175. Paganetto G.: Evoluzione storica del rischio di patologie umane per conta minazione chimica ambientale. Febbraio 2004.
176. Giovanella L.: Iperparatiroidismo e tumori paratiroidei. Marzo 2004.
177. Severino G., Del Zompo M.: Farmacogenomica: realtà e prospettive per una
“Medicina Personalizzata”. Aprile 2004.
178 Arigliano P.L.: Strategie di prevenzione dell’allergia al lattice nelle strutture
sanitarie. Maggio 2004.
179. Bruni A.: Malattia di Alzheimer e Demenza Frototemporale. Giugno 2004.
180. Perdelli F., Mazzarello G., Bassi A.M., Perfumo M., Dallera M.:
Eziopatogenesi e diagnostica allergologica. Luglio 2004.
181. Franzoni E., Gualandi P. Pellegrini G.: I disturbi del comportamento ali mentare. Agosto 2004.
182. Grandi G., Peyron F.: La toxoplasmosi congenita. Settembre 2004.
183. Rocca D.L., Repetto B., Marchese A., Debbia E.A: Patogeni emergenti e
resistenze batteriche. Ottobre 2004.
184. Tosello F., Marsano H.: Scientific English Handout. Novembre 2004.
185. La Brocca A., Orso Giacone G., Zanella D.: Ipertensione arteriosa seconda ria: clinica e laboratorio. Dicembre 2004.
186. Paganetto G.: Malattie Neoplastiche: dalla Paleopatologia alle Fonti
Storiche. Gennaio 2005.
I volumi disponibili su Internet nel sito www.medicalsystems.it sono riportati in nero mentre in grigio quelli
non ancora disponibili su Internet.
Inoltre sono disponibili un limitato numero di copie di
alcuni numeri del Caleidoscopio che ormai sono “storiche”. Qualora mancassero per completare la collana
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della Vostra zona. I numeri sono: Caleidoscopio 14, 18,
33, 40, 48, 49, 50, 54, 65, 68, 84, 100, 106, 118, 121, 126,
129, 130, 131, 132, 133, 134. I volumi verranno distribuiti sino ad esaurimento e non verranno ristampati se non
in nuove edizioni.
Caleidoscopio
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Caleidoscopio
Rivista mensile di Medicina
anno 23, numero 186
Direttore Responsabile
Sergio Rassu
Tel. mobile 338 2202502
E-mail: [email protected]
Responsabile Ufficio Acquisti
Giusi Cunietti
Servizio Abbonamenti
Maria Grazia Papalia
Flavio Damarciasi
Progettazione e Realizzazione
Restless Architect
of Human Possibilities s.a.s.
Consulenti di Redazione
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Angelo Maggio
Segretaria di Direzione
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Telefax 010/8340310- 809070.
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Caleidoscopio Letterario, Giornale della Associazione per l’Automazione del Laboratorio,
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Stampa
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Iscrizione al Registro Nazionale della Stampa no 2661 del 2 Settembre 1989
Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) n° 1188
Finito di stampare: Gennaio 2005
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Pubblicazione protetta a norma di legge dall’Ufficio proprietà letteraria, artistica e
scientifica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dedicata all’aggiornamento
professionale continuo e riservata ai medici.
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