Isaac Asimov PREDIZIONI E ANTI-PREDIZIONI Tutto sommato, sono due i modi di giudicare uno scrittore di fantascienza. Il primo è di considerarla un tipo un po’ matto. («Come vanno oggi i tuoi ometti verdi, Isaac? Oh, vecchio mio, sei stato sulla Luna, in questi ultimi tempi?») L’altro, è di considerarlo come un acuto veggente del futuro. («Come saranno fatti gli aspirapolvere del ventunesimo secolo, dottor Asimov? Che cosa sostituirà la televisione, professore?») Tra i due, io preferisco il primo. Dopo tutto è abbastanza facile essere matti. Posso diventarlo all’istante in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, grazie alle facoltà concesse dalla convenzione agli scrittori di fantascienza. Predire il futuro è assai più difficile, specialmente per i termini in cui di solito vengono poste le domande. I curiosi vogliono invariabilmente sapere precisi particolari meccanici, cioè proprio quello che io non sono in grado di dare. Perciò, quando mi viene chiesto di tenere una conferenza, o quando scrivo un articola per una rivista specializzata, l'argomento che meno amo affrontare è «Come vedo io il futuro», A questo punto è abbastanza facile immaginare che invariabilmente vengo pregato di parlare di... be', provate a indovinare. Così, rifiuto. Quasi sempre, almeno. Sfortunatamente, per quanto io sia ben saldo nelle mie convinzioni, tanto da preferire la morte al venire meno ai miei principi, ho un punto debole: sono enormemente sensibile alle adulazioni. Di conseguenza, quando il «New York Times» mi chiamò, nel periodo dell’Esposizione Mondiale di New York, per chiedermi di visitare a loro spese la mostra e di scrivere un articolo su come potrà essere il mondo fra una cinquantina d’anni, ebbi un attimo di esitazione, è vero, ma alla fine accettai. Dopo tutto avevo già intenzione di visitare l’Esposizione per mio divertimento personale. Se a questo si aggiunge il fatto che il «Times», avesse chiesto a me e non a un altro... Conclusione: ho scritto l’articolo che è stato puntualmente pubblicato sul numero domenicale del «New York Times» del 16 agosto 1964. (Storia vecchia? d'accordo, Ma lo dico nel caso che qualche lettore volesse fare un salto in biblioteca per consultare la raccolta spinto dalla curiosità di sapere che cosa dicevo una decina di anni fa). Subito però ho dovuto pagare il prezzo della colpa, intendendosi per colpa l’aver deviato dalla strada che avevo sempre seguita. Il giorno dopo la pubblicazione dell’articolo mi fecero l’allettante proposta di scrivere qualcosa di simile per un altro giornale. Poi mi venne rivolta l’altra allettante proposta di mettere in onda una di quelle trasmissioni radio in cui un intervistato deve rispondere alle domande rivoltegli per telefono dagli ascoltatori. («Rapide predizioni su qualsiasi argomento che vi viene alla mente, dottor Asimov.») e così via. Come è logico non riuscii a smettere di gradire le proposte allettanti. Tuttavia, se in seguito non avessi fatto lo sforzo tremendo di liberarmi, sarei stato indicato per tutta la vita quale infallibile conoscitore del futuro, e le dolci felicità di essere considerato pazzo mi sarebbero state negate per sempre. Forse potrei sollevare il discorso in questa sede, per descrivere il mio punto di vista sugli aspetti preveggenti della fantascienza. E la gente, finalmente illuminata sulla Verità, smetterebbe di pretendere da me l’antipatico ruolo del profeta. Per gli estranei (e con questo termine intendo coloro che abitano fuori dal recinto, coloro cioè ai quali il termine fantascienza evoca confuse visioni di “Flash Gordon” e di “Mostri della Laguna Nera”) l’unico aspetto serio della fantascienza è quello che permette di predire gli avvenimenti. E di solito intendono fatti specifici. L’estraneo, dunque, conscio del fatto che gli scrittori di fantascienza hanno parlato di energia atomica decenni prima che venisse inventata la Bomba, immaginano che questi scrittori possano 1 minuziosamente descrivere la teoria della fissione dell’uranio, O, sapendo che gli scrittori di fantascienza hanno narrato di viaggi sulla Luna, pensano che questi autori possano illustrare i loro racconti con i disegni del progetto di un razzo a tre stadi. Il fatto è, nonostante tutto, che gli scrittori di fantascienza sono invariabilmente vaghi. Il semplice fatto che io parli di robot positronici e che io dica che sono guidati dalle Tre Leggi della Robotica non ha nessun valore di previsione dal punto di vista della meccanica. Immaginate, per esempio, una conversazione tra un intervistatore (D) e me (R). D. «Cos’è un robot positronico?» R. «Quello che ha un vello positronico.» D. «E cos’è un cervello positronico?» R. «Quello in cui i circuiti positronici prendono il posto dei circuiti elettronici del cervello di un essere umano vivente.» D. «Perché mai il positronico dovrebbe essere superiore all’elettronico?» R. «Non lo so.» D. «Com’è possibile evitare che i positroni entrino in combinazione con gli elettroni e formino un flusso di energia in grado di fondere il robot?» R. «Non ne ho la minima idea.» D. «A questo proposito, come potete trasferire i flussi positronici nelle “Tre Leggi della Robotica”?» R. «Mi dichiaro sconfitto.» Non mi vergogno di questo. Nello scrivere le mie storie di robot io non ho intenzione di spiegare dettagliatamente la meccanica di detti automi. Io voglio soltanto descrivere una società in cui i robot perfezionati sono cosa comune, e certo di immaginare tutte le possibili conseguenze che ne possono derivare. Non miro ai fatti specifici, ma alla generalità. Naturalmente un fatto specifico può anche diventare vero, ma quando questo accade, sono pronto a scommetterlo, in ciascun caso esistono circostanze attenuanti che fanno della predizione una nonpredizione. Potrei citare un esempio tratto dai miei romanzi, ma prima di fare questo, e prima di contrastare tutti portando me stesso a modello, voglio raccontare di un caso in cui ho mancato visibilmente una previsione accurata. Una volta ho scritto un racconto intitolato «Everest». Nel racconto spiegavo i fallimenti dell’uomo nelle scalate del monte Everest, affermando che la vetta era occupata da una spedizione marziana d’osservazione, e che gli Abominevoli uomini delle Nevi non erano altro che... sì, avete indovinato. Vendetti il racconto il 7 aprile 1953, e il monte Everest venne scalato vittoriosamente, senza che si incontrassero marziani, il 20 maggio 1953. (Il racconto, comunque, venne pubblicato sei mesi dopo). Ora posso tranquillamente passare a qualcosa che sembra una predizione esatta. Nel mio «SuperNeutron» uno dei personaggi chiedeva a un altro se ricordava il primo impianto di energia atomica costruito centosettant’anni prima, e come funzionava. «Io credo - era la risposta, - che usassero il classico sistema della fissione dell’uranio. Bombardavano l’uranio con neutroni e lo scindevano in masurium, bario, raggi gamma, e altri neutroni. Questi poi stabilivano il ciclo. » Quando lessi questo passaggio a certe persone, nessuno dise niente finché non mostrai che la rivista su cui era il racconto portava la data del settembre 1941, e non dissi loro che avevo ceduto il pezzo ai giornale nel luglio 1941 e che lo avevo scritto nel dicembre del 1940. Accadeva due anni prima della costruzione del primo reattore nucleare autonomo, e dodici anni prima della costruzione di un impianto nucleare per la produzione di energia a scopi pacifici. Per la verità non fui in grado di predire che l’elemento numero 43 sarebbe stato chiamato «masurium» soltanto per breve tempo, in seguito a una falsa scoperta, e che poi, dopo la vera scoperta, questo elemento avrebbe avuto il nome di technetium». Questa vera scoperta era avvenuta un paio di anni prima che io scrivessi il mio racconto, ma il nuovo nome dato non mi era mai giunto all’orecchio. Poi, tra l'altro, non mi era venuto in mente di definirla «reazione a catena» anziché «ciclo». Comunque, non era una predizione sbalorditiva? No! Non era assolutamente una predizione. 2 Il racconto venne scritto un anno dopo la scoperta e l’annuncio della fissione dell’uranio. Dopo la divulgazione di una simile notizia tutti i discorsi sulle bombe nucleari e sugli impianti di energia nucleare non potevano essere altro che una evidente elaborazione. Agli inizi del 1944, Cleve Cartmill pubblicò «Deadline». Descriveva con tanta precisione le conseguenze dell’uso di una bomba atomica (ciò avveniva circa un anno e mezzo prima dell’esplosione di Alamogordo) che l’FBI si mise in allarme. Anche questa però non era una autentica predizione ma la semplice elaborazione di una scoperta conosciuta. In breve, la mia tesi è che non vengono previsti dettagli, né specifici particolari costruttivi, né i meccanismi, né apparecchiature nuove. Tutte le previsioni di questo genere, o non sono previsioni, o sono fortuiti colpi di fortuna che, in ogni caso, si rivelano privi di importanza. Il grande pennello con cui lo scrittore di fantascienza dipinge il futuro è particolarmente adatto a tracciare a grandi linee i fenomeni della reazione sociale. Lo scrittore di fantascienza è interessato all’ampia curva della storia, non alle minuzie dei meccanismi. Lasciate che vi dia un esempio di quella che io considero la più grande e vera predizione mai apparsa nelle collane di fantascienza. Si tratta di «Solution Unsatisfactory» scritto da Robert Heinlein con lo pseudonimo di Anson MacDonald. Venne pubblicata agli inizi del 1941, oltre un anno e mezzo prima di Pearl Harbor, nel periodo in cui Hitler era all’apice delle sue conquiste. La storia trattava della Seconda Guerra Mondiale, ed era errata in molti particolari. Per esempio, Heinlein non aveva previsto Pearl Harbor, e di conseguenza gli Stati Uniti, in quel racconto, restavano neutrali. Tuttavia aveva previsto che gli Stati Uniti avrebbero organizzato un ampio programma di ricerche per sviluppare un’arma nucleare. Per la temerità non fu la bomba atomica che Heinlein fece loro inventare, ma la polvere atomica. (In un certo senso aveva superato la bomba per passare alla pioggia radioattiva). Dato che Pearl Harbor non era mai stata bersaglio di un bombardamento (nel racconto, almeno), l’arma atomica non venne usata sulle città giapponesi, ma su quelle della Germania, li tremendo scoppio mise termine alla guerra, e le altre nazioni (Unione Sovietica compresa) si guardarono in seguito dal disturbare la pace. Questo grazie al possesso della bomba da parte americana. Ora, cosa si sarebbe fatto con quell’arma? Il narratore della storia si lascia trasportare dall’ottimismo (ancora prima che la bomba venisse usata) e spera che con quella forza in mano americana si sarebbe potuta mantenere la pace nel mondo, e che il millennio futuro sarebbe stato il millennio della «Pax Americana». Ma il protagonista del racconto pensa in maniera diversa. Dice (e spero che Heinlein non mi vorrà serbare rancore se cito due suoi paragrafi):.«Vorrei che fosse così semplice. Ma non rimarrà per sempre un nostro segreto. Ci puoi contare. Non servirà a niente custodirlo nel modo più geloso. Agli altri serve soltanto la traccia data dalla polvere. Per il resto sarà solo questione di tempo e altre nazioni troveranno il modo di produrre la stessa arma. Non puoi impedire ai cervelli di pensare, John. La reinvenzione del metodo è una certezza matematica. Agli scienziati basta sapere che cosa stanno cercando. E l’uranio è un elemento abbastanza comune, largamente distribuito in tutte le parti del globo, non dimenticarlo.» E più avanti: «Ecco che cosa succederà. Una volta divulgato il segreto, e questo avverrà nel momento stesso in cui useremo la polvere, il mondo potrà essere paragonato a una stanza piena di uomini tutti armati con una calibro quarantacinque. Non possono uscire dalla stanza, e tutti hanno la vita sospesa al filo della volontà di sopravvivere di tutti gli altri. Abbiamo una situazione in cui non esiste autentica possibilità di difendersi. Capisci cosa voglio dire?» Che cosa fare allora? Consideriamo il titolo di Henlein ancora una volta. «Solution Unsatisfactory» (Soluzione insoddisfacente). Il punto è che Heinlein aveva predetto la situazione nucleare esistente oggi, prima che fosse cominciata l’era nucleare. Ancora sette anni dopo che Heinlein aveva fatto le sue predizioni molti politicanti americani si cullavano nel sogno di avere il monopolio della bomba nucleare. Non solo era molto più difficile prevedere la situazione nucleare che non la bomba, ma è proprio questa situazione nucleare l’importante predizione. Pensate a quanto sia più facile produrre la bomba che non trovare un adeguato mezzo per risolvere la condizione nucleare. 3 Pensate, tra l’altro, a quanto utile sarebbe stato se i politicanti avessero pensato alle conseguenze della Bomba e non soltanto a produrre la Bomba. La fantascienza, quindi, svolge la sua principale funzione non nel predire meccanismi piccoli o grandi che siano ma nel prevedere le conseguenze sociali. In questo, la fantascienza può essere una sferza per l’umanità. Lasciatemi chiarire questo punto con un esempio ipotetico. Mettiamo il caso che sia l'anno 1880, e che l’automobile sia il fantastico mezzo di trasporto immaginato dagli scrittori di fantascienza. Quale tipo di racconto avrebbero potuto scrivere, nel 1880, gli autori di fantascienza sulle automobili del futuro? L’automobile potrebbe essere un congegno fatto di meccanismi assai semplici. La descrizione potrebbe essere arricchita con ogni sorta di particolari astrusamente scientifici sul funzionamento del mezzo meccanico. Nel racconto, per renderlo più emozionante, potrebbe essere inserita una situazione critica, ad esempio una improvvisa rottura dell'“infraruote” che costringa il protagonista a costruire ingegnosamente un “amplistreno” usando una vecchia carrozzina per bambini, e fissarlo con abilità ai “bipallasse”, in modo da silenziare il “montonante”. (Certo, sono cose che non hanno senso, ma potrei elencare una infinità di romanzi scritti esattamente in questo modo. Solo che non voglio farlo perché gli autori hanno pugni potenti e hanno un carattere irascibile.) Un altro modo è quello di vedere l'automobile come un puro complemento dell’avventura. Qualsiasi cosa possibile a farsi in sella a un cavallo la si può compiere anche a bordo di un’automobile, così è possibile scrivere una specie di avventura western e procedere fino alla parola «fine» scrivendo «auto» al posto di «cavallo». Potreste quindi scrivere, per esempio: «L’automobile percorse rombando il rettifilo. Le potenti gomme scalpitavano sul selciato, Le code battevano nervosamente sui fianchi della vettura, e le lucenti prese d’aria schiumanti sembravano bagnate d’olio. Poi, quando ha finalmente portato a termine il compito di salvare la ragazza e di punire i cattivi, la macchina infila l’apertura del serbatoio in un bidone di benzina e si rifornisce. Chiaro che ho un po’ esasperato i termini, però mi chiedo quanto lontani siano questi esempi paradossali dalla realtà. Sono pronto a scommettere che una infinità di pseudo-scrittori di fantascienza hanno cominciato i loro libri con parole di questo genere: «L’astronave si fermò con il lampo e il frastuono dei razzi frenanti a cinque milioni di chilometri da Venere». La sola ragione per cui non abbiamo mai letto libri del genere è che i manoscritti capitano in mano agli editori prima che ai lettori. E ovvio che scrivere un romanzo di fantascienza in cui l’automobile è soltanto un meccanismo, o semplicemente un super-cavallo, risulta una perdita di tempo. Certo potrebbe far guadagnare qualche dollaro allo scrittore, e procurare al lettore un paio d’ore di onesto divertimento. Ma che interesse avrebbe? Gli scrittori del 1880 avrebbero «previsto l’automobile», certo, ma prevedere la semplice esistenza di un’automobile non è niente. Quali sarebbero stati gli effetti dell’automobile sulla società e sulla gente? Dopo tutto alla gente interessa soltanto «la gente ». Per esempio, considerate l'automobile come un oggetto costruito per tutti quelli che lo vogliono comprare. (Siamo sempre nel 1880, ricordatelo.) E immaginate che l’intera popolazione, o quasi, si metta a circolare su quattro ruote. Dal momento che nessuno avrebbe più la necessità di vivere nelle immediate vicinanze del posto di lavoro, non si estenderebbero, forse, le città? Un individuo potrebbe vivere a trenta chilometri dalla città, raggiungerla il mattino e allontanarsene nuovamente alla sera. In breve, non potrebbero le città svilupparsi alla periferia, e i centri cadere in rovina? Poi, se esistessero milioni di macchine, non credete che sarebbe necessario intersecare di autostrade tutta la nazione? E quali effetti potrebbero avere le automobili sull’abitudine delle vacanze? E sulla ricerca di una posizione? E sulle ferrovie? Se i giovani potessero spostarsi con la macchina, quali potrebbero essere gli effetti sulla gioventù? Sui rapporti fra i due sessi? Voi direte che è facile immaginare di essere in un’epoca anteriore all’avvento dell’automobile e predire quello che accade nei nostri giorni. E io devo ammettere che in queste circostanze nessuno resterebbe secondo nel supporre, con infallibilità, gli avvenimenti. 4 Tuttavia le previsioni non sono del tutto impossibili. Nel lontano 1901, H. G. Wells, all’inizio dell’era automobilistica, scrisse un libro intitolato: «Previsioni sugli effetti del progresso meccanico e scientifico sulla vita e sul pensiero Umano» in cui, tra l’altro, descriveva la moderna età motorizzata con precisione sorprendente. Bene, restiamo allora nel 1880. Voi state per scrivere un libro di fantascienza sull’automobile. Solo che volete raccontare qualcosa di meno banale della semplice previsione dell’avvento dell’automobile. Voi avete intenzione di descrivere le affascinanti innovazioni che l'automobile porterà alla società. Ma farete anche qualcosa in più. Mostrerete alcuni piccoli cambiamenti che H. G. Wells non aveva previsto. Cominciamo. Avete la vostra società motorizzata. Tutti i membri di una famiglia hanno la macchina. Alcuni ne hanno addirittura due. Tutte le mattine, centinaia di migliaia di macchine si spostano dai sobborghi verso la città, tutte le sere diverse centinaia di migliaia di macchine tornano verso i sobborghi. La città è diventata un mostro gigantesco che inghiotte macchine al mattino e le vomita alla sera. Fin qui tutto bene. Ora abbiamo il protagonista, un individuo normale, onesto, con moglie, due bambini, ottimo guidatore. Viene inghiottito dalla città Ed eccolo che percorre insieme a molti altri le vie che portano al centro. Tutti si muovono in un’unica direzione. Tutti convergono verso un unico punto... Quando tutte le macchine hanno raggiunto il centro, dove vanno? Ecco il punto! Quello che può dare il titolo al romanzo. «Fateci spazio!» Lo scopo del libro? Una deliziosa satira sul protagonista che trascorre tutta la giornata in cerca di un posto in cui parcheggiare, in lotta con gli ingorghi stradali, con i tassisti, con i poliziotti addetti al traffico, con i camion, con i tassametri del parcheggio, con le autorimesse affollate, con le colonnine degli idranti, etc. etc. Nel 1880 sarebbe stata una satira. Nel 1965 sarebbe soltanto la cronaca di una tragedia quotidiana. Ora pensate un momento a questo. Se una storia simile fosse stata veramente scritta nel 1880 e se avesse colpito l’attenzione dei politicanti, non sarebbe stato possibile orientare lo sviluppo delle città tenendo in considerazione la futura civiltà motorizzata? Pensateci, voi che vivete in città come New York, Boston, Roma, Parigi, Tokyo, città dalle strade abilmente disegnate per mezzi non più elaborati di un carretto a mano, e ditemi quale ricompensa avrebbe meritato uno scrittore che avesse reso possibile un simile orientamento urbanistico. Vedete quindi che la predizione importante non è l’automobile, ma il problema del parcheggio. Non la radio, ma le pubblicità insulse. Non l’imposta sul reddito, ma le spese generali. Non la Bomba, ma la situazione nucleare. In breve, non l’azione, ma la reazione. Naturalmente aspettarsi che nel 1880 qualcuno avesse previsto la società motorizzata è forse pretendere troppo dalla natura umana. Tuttavia mi chiedo se aspettarsi la stessa cosa oggi sia ancora troppo. Da un secolo siamo ormai testimoni di mutamenti sociali che si susseguono con ritmo sempre più rapido, e ci siamo trovati spese volte indietro ti- spetto agli avvenimenti. Ora però abbiamo imparato ad aspettare i cambiamenti, anche radicali, e ci siamo rassegnati alla necessità di doverli anticipare, di studiarli in precedenza. La popolarità della fantascienza è una indicazione di quanto l’inevitabilità dei cambiamenti cominci a essere accettata. E la funzione della fantascienza è appunto quella di rendere meno sgradevoli i cambiamenti all’uomo medio. Non ha importanza se in generale si ignora o si deride o si sottovaluta la fantascienza. Rimane il fatto che tutti ne conoscono l’esistenza. Certi soggetti sono diventati di dominio pubblico anche per mezzo delle vignette umoristiche. Ed è per questa ragione che l’avvento delle anni nucleari, dei missili, dei satelliti costruiti dall’uomo, non ha incontrato la resistenza psicologica che avrebbe avuto una volta. Ma lasciamo perdere il passato. Siamo nel presente, e il compito degli scrittori di fantascienza è quello di prendere in considerazione il futuro, il futuro del 1966, non quello del 1880. Siamo nel mezzo di almeno quattro cambiamenti rivoluzionari e ciascuno di questi seguirà inevitabilmente una sua strada. Quale sarà la reazione a questi cambiamenti? Il primo e il più spaventoso è quello dell’aumento della popolazione. Un argomento che la fantascienza ha già trattato in svariati modi. Ricordo diversi romanzi basati sul tema della 5 sovrappopolazione. «The Caves of Steel» («Abissi d'acciaio») è uno dei miei romanzi. Un altro è «Space Merchants» («I mercanti dello spazio»), di Frederick Pohl e Cyril Kornbluth. La più feroce e violenta storia su questo argomento (secondo me, almeno) è «The Censurs Takers» («Censimento»), un racconto di Frederick Pohl, in cui la popolazione della Terra è tenuta a livello costante, grazie al semplice meccanismo di un censimento mondiale fatto ogni dieci anni e dell’eliminazione di un individuo su tredici, o su quindici, o su nove, a seconda degli aumenti verificatisi negli ultimi dieci anni. Questa è una «anti-predizione», se posso coniare questo termine. Pohl evidentemente non ritiene che una cosa simile possa accadere. Sa, tutti lo sappiamo, che una soluzione del genere è impensabile. Però anche l’anti-predizione di una impossibilità ha i suoi vantaggi. Nella sua crudezza può spingere a riflettere tutte quelle persone pronte a risolvere un caso insolubile ignorandolo, cioè facendo gli struzzi. Certo, non possiamo decimare gli esseri umani. Quale alternativa ci resta, allora? Un altro cambiamento rivoluzionario è l’automazione che porterà rapidamente a quel mondo spesso considerato dagli autori di fantascienza in cui tutto il lavoro manuale e gran parte di quello mentale viene svolto dai roba. Cosa succederà al genere umano in un caso simile? Karl Capek, nel suo « R.U.R.», aveva trattato questo problema fin dal 1921. Altro esempio più recente è quello di Jack Wilhiamson in «With Folded Hands». In che tipo di mondo vivremo quando il lavoro sarà diventato un lusso che soltanto pochi si possono concedere? Quando la noia sarà diventata la piaga di tutto il mondo? Potrà mai la vita diventare più nevrotica di quella d’oggi? Su questo argomento Fritz Leiber ha scritto «Comlng Attraction» Il terzo cambiamento rivoluzionario è l’esplosione del sapere. Le scoperte scientifiche si susseguono con tanta rapidità che la mente umana è incapace di afferrarle in tutta la loro vera essenza. Io ho fatto un mio tentativo su questo argomento con un romanzo in cui immaginavo l’esistenza di scrittori scientifici professionisti che analizzavano il lavoro di altri scienziati per compilare testi chiari e concisi. Servivano, tra l’altro, come ponte tra le diverse specialità e la divulgazione scientifica. Il quarto grande cambiamento è d’esplosione di libertà, il sollevarsi delle vecchie colonie, la rivolta dei «nativi», e il concomitante movimento sui diritti civili che è sorto negli Stati Uniti. Gli scrittori di fantascienza forse non hanno trattato questo argomento a fondo. Ray Bradbury ha scritto un ottimo romanzo intitolato, se la memoria non mi inganna, «Way in the Middle of the Air». Nel libro esponeva le conseguenze di una migrazione di massa dei neri degli Stati Uniti verso Marte. Io, più realisticamente, ho immaginato la rivolta dei neri d’Africa. «The Evitable Conflict» venne pubblicato nel 1950. (A proposito, molto tempo prima che la vera rivolta accadesse). Poi, sempre in un mio romanzo «The Currents of Space» («Le correnti dello spazio»), avevo trattato, anche se non esplicitamente, devo ammetterlo, il ruolo svolto dai neri nella colonizzazione della Galassia. Questi sono alcuni dei maggiori cambiamenti che ci troviamo ad affrontare. Ciascuno è in grado di trasformare completamente il mondo che conosciamo prima che sia passata una generazione. Se non vogliamo che la rovina si trasformi in completa distruzione dobbiamo fare previsioni intelligenti, e agire subito. È compito dello scrittore di fantascienza (oltre che guadagnarsi da vivere e divertire i lettori), fare previsioni. E questo lo trasforma, a mio parere, nel più importante servitore dell’umanità. Per la verità lo scrittore di fantascienza non è più l’unico a guardare al futuro. I tempi sono cambiati, e diverse agenzie di governo, istituti di ricerca, e industrie, stanno disperatamente cercando di vedere nella sfera di cristallo. È comunque mia convinzione che questi signori del governo, o dell’industria, siano di tanto in tanto costretti a leggere dei libri di fantascienza. Guardate ora cos’ho combinato. Avevo cominciato l’articolo lamentandomi di dover scrivere predizioni sul futuro, e mi sono convinto della necessità di scrivere altri romanzi su questo argomento. È comunque evidente che non sono stato capace di prevedere come avrei concluso l’articolo. Questo per quanto riguarda le mie qualità di veggente. Titolo originale: «Future? tense!» - Traduzione di Mario Galli - © 1967 by Mercury Press, Inc. e 1975 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. 6