5 DOSSIER FRUTTA SECCA Mensile - Poste Italiane S.p.A. - sped. in A A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art.1 c.1; DCB Forlì L’incremento dei consumi stimola il rilancio delle coltivazioni NOVITÀ POMOLOGICHE Albicocche Emma e Gemma dal breeding italiano PIEMONTE Drosophila suzukii: prevenzione e tecniche di difesa per i piccoli frutti Anno LXXVI - N. 5 - MAGGIO 2014 rivista di e di ortofloricoltura Anno LXXVI - Numero 5 - MAGGIO 2014 SPECIALE SUSINO E ALBICOCCO 4 La sostenibilità economica del susino: sistemi produttivi europei a confronto ALESSANDRO PALMIERI - CARLO PIRAZZOLI 14 Il miglioramento genetico del susino in Italia VALTER NENCETTI - DANIELE MORELLI 20 “Ramassin”, damaschina autoctona del Piemonte tornata di moda 26 L’albicocco negli ambienti meridionali: serve un’attenta programmazione LUIGI CATALANO - CARMELO MENNONE 36 Emma e Gemma, nuove cultivar di albicocco per l’epoca medio-precoce DANIELE BASSI - STEFANO FOSCHI MARTINA LAMA FRANCESCA COSTAMAGNA - LORENZO BERRA CRISTIANO CARLI - SILVIO PELLEGRINO 4 Susino e albicocco: due specie di interesse crescente sia al Nord che nel Sud Italia 40 Noce da frutto: sorprendente la crescita produttiva nell’ultimo decennio DOSSIER FRUTTA SECCA 40 Cresce l’interesse mondiale per la frutta secca: la produzione italiana non soddisfa il fabbisogno CECILIA CONTESSA - ROBERTO BOTTA 48 Il noce guadagna spazio al Nord MORENO TOSELLI - GIOVANBATTISTA SORRENTI MAURIZIO QUARTIERI - BRUNO MARANGONI GRAZIELLA MARCOLINI - ELENA BALDI 56 Concrete prospettive per la rinascita della mandorlicoltura italiana FRANCESCO SOTTILE 60 Valutazione di cloni di Tonda Calabrese per il miglioramento varietale del nocciolo LOREDANA F. CIARMIELLO - ANTONIO DE LUCA MILENA PETRICCIONE - PASQUALE PICCIRILLO RUBRICHE 63 La Soi informa 65 Dai frutteti piemontesi DAL CRESO DI CUNEO 69 Il caso Campania DI CARLO BORRELLI 71 Le aziende informano 67 Dai frutteti metapontini DI CARMELO MENNONE 69 Campania: si afferma sempre di più la coltivazione della fragola Sabrina Susino e albicocco, avanti con giudizio e frequenti situazioni di eccedenza dell’offerta di pesche e nettarine Lconsumi, sui mercati europei, accompagnate da una generale stanchezza dei da alcuni anni hanno portato molte aziende frutticole in crisi di redditività ad orientarsi verso altre specie di Prunus, segnatamente susino e albicocco, sia al Nord che nel Sud Italia. Apparentemente tutto bene, soprattutto se si vanno a verificare quelle situazioni in cui, effettivamente, la diversificazione produttiva ha contribuito davvero a mantenere in equilibrio o migliorare la sostenibilità economica delle imprese. Merito soprattutto del breeding, che ha saputo fornire nuove proposte varietali assai diversificate, capaci di dilatare il calendario commerciale e, soprattutto, meglio rispondenti alle richieste del mercato. Eppure, non tutto appare così facile e scontato; non sempre susine e albicocche possono sostituire “tout court” le pesche e le nettarine o diventare colture di massa; l’adattabilità pedo-climatica è spesso difficile, la biologia fiorale non sempre garantisce produttività soddisfacenti, la qualità del prodotto non sempre raggiunge i requisiti minimi richiesti. In poche parole, queste sono specie che solo in casi specifici, quando cioè si combinano tutte le migliori condizioni colturali, climatiche e mercantili, riescono a dare le soddisfazioni che, legittima- mente, il frutticoltore si aspetta. Anche perché il mercato si dimostra recettivo per i prodotti di alta qualità, ma non sempre sembra disposto a ripagare equamente il valore dell’offerta. Non meno preoccupanti appaiono alcune difficoltà che spesso emergono in campagna e che derivano dalla mancata efficienza dei nuovi impianti: la rispondenza genetico-sanitaria del materiale di propagazione troppo spesso non rispetta le normative vigenti o le condizioni minime per garantire il successo degli investimenti effettuati dai coltivatori. Non è questa la sede (ma la si dovrà trovare!) per stabilire di chi sono le responsabilità, ma probabilmente esse vanno ripartite su tutti gli anelli della filiera vivaistica-tecnica-produttiva. Quel che è certo, è che anche nei sistemi più virtuosi, quelli che si fregiano dei più impegnativi processi di certificazione, non sempre le cose funzionano bene. Lo dimostrano i crescenti casi di interi areali colturali in cui la produzione di specie facilmente affette da virosi, fitoplasmosi o batteriosi è diventata quasi impossibile. Quindi, avanti con il rinnovamento di susino e albicocco, ma con tanto giudizio nel “pilotare” la costituzione dei nuovi impianti. U.P. rivista di e di ortofloricoltura Anno LXXVI - 5 Maggio 2014 - www.agricoltura24.com DIRETTORE RESPONSABILE: Ivo A. Nardella DIRETTORE DI REDAZIONE: Beatrice Toni REDAZIONE: Francesco Bartolozzi, Dulcinea Bignami, Gianni Gnudi (capo redattore), Alessandro Maresca, Giorgio Setti (capo redattore), Lorenzo Tosi DIRETTORE SCIENTIFICO: Silviero Sansavini COMITATO SCIENTIFICO: Silviero Sansavini (DipSA - Università di Bologna), Elvio Bellini (Università di Firenze), Tiziano Caruso (DEMETRA - Università di Palermo), Luca Corelli-Grappadelli (DipSA - Università di Bologna), Guglielmo Costa (DipSA - Università di Bologna), Walther Faedi (CRA - Unità per la Ricerca in Frutticoltura Forlì), Carlo Fideghelli (CRA - Unità per la Ricerca in Frutticoltura - Roma), Maria Lodovica Gullino (Agroinnova Università di Torino), Paolo Inglese (DEMETRA - Università di Palermo), Cesare Intrieri (DipSA - Università di Bologna), Markus Kelderer (Centro di Sperimentazione Agraria e Forestale Laimburg - Bolzano), Filiberto Loreti (Università di Pisa), Valtiero Mazzotti (Direzione Generale Agricoltura - Regione Emilia-Romagna), Carmelo Mennone (Alsia - Az. Sper.le Pantanello - Metaponto (Mt)) - Ugo Palara (Agrintesa Soc. Coop. - Faenza (Ra)), Carlo Pirazzoli (DipSA - Università di Bologna), Vito Savino (DPPMA - Università di Bari), Agostino Tombesi (Università di Perugia), Massimo Tagliavini (Facoltà di Scienze e Tecnologie Agrarie Libera Università di Bolzano), Raffaele Testolin (DISA - Università di Udine), Cristos Xiloyannis (Dipartimento di Scienze dei Sistemi Colturali, Forestali e dell’Ambiente - Università della Basilicata) REFERENTI TECNICI: Ugo Palara, Giovambattista Sorrenti SEGRETERIA DI REDAZIONE: Tel. +39 051/6575857 - Fax: +39 051/6575856 Piazza Galileo Galilei, 6 - 40123 Bologna - [email protected] UFFICIO GRAFICO: Emmegi Group Srl PROPRIETARIO ED EDITORE: New Business Media Srl SEDE LEGALE: Via Eritrea, 21 - 20157 Milano SEDE OPERATIVA: Piazza Galileo Galilei, 6 - 40123 Bologna UFFICIO PUBBLICITÀ: Tel. +39 051 6575.822 - Fax: +39 051 6575.853 [email protected] UFFICIO TRAFFICO: Tel. +39 051 6575.842 [email protected] Piazza Galileo Galilei, 6 - 40123 Bologna STAMPA: Faenza Industrie Grafiche - Via Vittime civili di guerra, 35 - Faenza (RA) SERVIZIO CLIENTI: [email protected] Tel: +39 02 3909.0440 – Fax +39 02 3909.0335 Abbonamento annuo cartaceo: Euro 72,00 Abbonamento annuo digitale: Euro 36,00 Estero abbonamento annuo prioritaria: Euro 119,00 MODALITÀ DI PAGAMENTO Bonifico bancario SU IBAN: IT98G0306909504100000009929 Conto corrente postale n. 1017908581 intestato a New Business Media srl L’abbonamento avrà inizio dal primo numero raggiungibile Registrazione Tribunale di Milano n. 68 - 05.03.2014 (precedentemente registrata al Tribunale di Bologna n. 4999 del 22/07/1982) ROC “Poste italiane Spa – sped. A.P. - DL 353/2003 conv. L. 27/02/2004 n. 46, art. 1 c. 1: DCB Forlì” ROC n° 24344 dell’11 marzo 2014 - ISSN 0016-2310 Associato a: Aderente Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista, nonché la loro traduzione è riservata e non può avvenire senza espressa autorizza zione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. Ai sensi del D.Lgs 196/03 garantiamo che i dati forniti saranno da noi custoditi e trattati con assoluta riservatezza e utilizzati esclusivamente ai fini commerciali e promozionali della nostra attività. 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Compilare e inviare mezzo mail a: [email protected] o mezzo fax al numero 02/3909.0335 oppure via posta: New Business Media Srl, Via Eritrea, 21 20157 Milano Tecnica SPECIALE SUSINO E ALBICOCCO La sostenibilità economica del susino: sistemi produttivi europei a confronto ALESSANDRO PALMIERI - CARLO PIRAZZOLI Dipartimento di Scienze Agrarie – Università di Bologna Il futuro del comparto è difficile da prevedere, ma appare evidente da recenti indagini commissionate dal CSO di Ferrara che la sostenibilità economica sia oggi riservata solo alle imprese professionali, capaci di raggiungere accettabili livelli di resa e di qualità del prodotto, unico presupposto per essere competitivi sul mercato. I l quadro europeo del comparto ortofrutticolo si caratterizza per una crescente competizione tra i principali Paesi produttori e, in tale contesto, la disponibilità di puntuali ed aggiornate informazioni economiche è un fattore fondamentale per valutare la competitività dei diversi sistemi produttivi che si misurano nell’arena di riferimento europea, così da predisporre al meglio le strategie produttive e commerciali delle singole imprese. Allo scopo di conoscere l’attuale situazione tra i “competitor” nel mercato europeo delle susine da consumo fresco, il Centro Servizi Ortofrutticoli (CSO) di Ferrara ha recentemente promosso un’indagine ad hoc nei principali areali di coltivazione di Italia e Spagna: più in particolare, le aree indagate sono state il Piemonte (provincia di Cuneo), l’Emilia-Romagna (province di Modena, Ravenna e ForlìCesena), il Lazio (provincia di Latina) e la Campania (provincia di Caserta), in Italia, e le regioni dell’Extremadura e di Murcia in Spagna (Fig. 1). Lo studio ha considerato le varietà più rappresentative di ciascuna area. Gli aggregati economici posti a 4 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 Fig. 1 - Prospetto delle aree indagate. confronto sono quelli tipici della filiera in esame e, in particolare, gli oneri imputabili all’impresa di produzione e le spese necessarie per la successiva fase di condizionamento del prodotto, determinando quindi nell’insieme il livello di costo attribuibile a ciascuno dei sistemi posti a confronto. Aspetti metodologici L’indagine è stata condotta per mezzo di rilievi, svolti sia presso imprese frutticole, per la parte concernente i costi sostenuti nella fase produttiva, sia presso strutture di lavorazione e di conservazione, per la parte TAB. 1 - QUADRO DI SINTESI DELLE VARIETÀ O GRUPPI VARIETALI ESAMINATI IN ITALIA (DATI PER ETTARO) DURATA PIENA PRODUZIONE RESA MEDIA (t) COSTO TOTALE DI PRODUZIONE (.000 €) FORMA DI ALLEVAMENTO DENSITÀ DI IMPIANTO Angeleno Fusetto (rete a.g.) 1.500 13 38 42 17,6 17,9 Angeleno Palmetta(rete a.g.) 750 13 33 37 16,2 16,6 CULTIVAR min max min max PIEMONTE EMILIA-ROMAGNA MODENA Angeleno Palmetta 1.100 13 28 32 16,7 17,0 TC Sun Palmetta 1.100 13 30 34 16,7 17,0 Fortune Palmetta 1.100 13 28 32 15,7 16,1 Friar Palmetta 1.100 13 28 32 17,1 17,5 Obilnaja Palmetta 1.100 13 23 27 17,1 17,7 Black Gold Palmetta 1.100 13 23 27 16,4 16,9 Dofi Sandra Palmetta 1.100 13 23 27 17,0 17,6 Fusetto 1.450 13 42 46 18,2 18,4 Fusetto (rete a.g.) 1.100 13 40 44 17,7 18,0 RAVENNA Angeleno FORLI'-CESENA Angeleno Fortune Vasetto 1.000 12 30 34 14,9 15,5 Dofi Sandra Vasetto 1.000 12 23 27 13,7 14,4 LAZIO Angeleno Palmetta(rete a.g.) 680 17 38 42 17,4 17,6 Black (gruppo) Fusetto (rete a.g.) 1.600 17 23 27 15,5 15,8 Fortune/Aphrodite Fusetto (rete a.g.) 1.250 17 38 42 17,2 17,5 TC Sun Fusetto (rete a.g.) 1.250 17 42 48 19,5 19,9 CAMPANIA Angeleno Vasetto 600 14 32 38 11,7 12,2 Friar Vasetto 600 14 38 42 13,2 13,5 Goccia d’oro Vasetto 600 14 38 42 13,6 13,9 Fonti: elaborazione propria attinente alla fase del condizionamento del prodotto. Nel complesso sono stati esaminati 28 casi di studio per la fase di campo e 5 per quella di condizionamento. La metodologia di calcolo dei costi di produzione ha previsto, per la fase agricola, la suddivisione delle voci di spesa in diversi livelli, fra i quali è da ricordare il costo pieno all’impresa, sommatoria dei costi direttamente imputabili alla coltura, secondo la metodologia dell’”activity based costing”, e dei carichi strutturali come pro-quota, che rappresenta il concreto esborso monetario da parte dell’impresa, ed il costo totale di produzione, inclusivo anche degli oneri di natura figurativa1, lavoro e capitale apportati dall’imprenditore (o da componenti della sua famiglia), che meglio si presta al confronto diretto dei casi esaminati. 1 6 Calcolati con il metodo del costo opportunità. FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 In fase di condizionamento, le voci di costo considerate sono state articolate in spese variabili e spese fisse: in particolare, le prime sono costituite dalla manodopera e dagli imballaggi, mentre le seconde sono distinte in ammortamenti strutturali e spese generali. Circa queste ultime, l’estrema eterogeneità e variabilità delle spese ha suggerito di considerare un dato medio complessivo per ciascuna struttura esaminata, escludendo in ogni caso dal computo gli oneri di natura commerciale, essendo questi ultimi connessi a modalità di vendita variabili e difficilmente comparabili. Costi della fase agricola La definizione dei costi medi di produzione per il susino è resa particolarmente difficoltosa da talune peculiarità quali la tendenziale alternanza produttiva, la sensibilità a numerose avversi- tà e la convivenza, in molte aree, con patologie difficili da ostacolare, come sharka e fitoplasmosi, che impongono una periodica asportazione, distruzione e sostituzione delle piante colpite. A ciò va aggiunta la compresenza di tecniche produttive molto differenti tra loro, nonché l’eterogeneità delle imprese di coltivazione, poiché, ad eccezione dell’Extremadura, principale polo produttivo di susine da consumo fresco in Europa, la coltura è sovente secondaria nell’ordinamento colturale rispetto ad altre specie e trova diffusione a “macchia di leopardo” ed in aziende non specializzate di media o mediopiccola dimensione. Alla luce di tali considerazioni, va evidenziato come i dati presentati, riassunti nelle tabelle 1 e 2, derivino spesso dalla mediazione di osservazioni talvolta sensibilmente diversificate tra loro. L’eterogeneità degli impianti rilevati si concretizza, per quanto concerne il TAB. 2 - QUADRO DI SINTESI DELLE VARIETÀ O GRUPPI VARIETALI ESAMINATI IN SPAGNA (DATI PER ETTARO) FORMA DI ALLEVAMENTO CULTIVAR DENSITÀ’ DI IMPIANTO RESA MEDIA (t) DURATA PIENA PRODUZIONE min max COSTO TOTALE DI PRODUZIONE (.000 €) min max SPAGNA, EXTREMADURA Angeleno Vasetto 667 12 25 35 9,8 10,4 Crimson Glo Vasetto 667 12 23 27 9,3 9,5 Fortune Vasetto 667 12 20 25 8,7 9,1 Larry Ann Vasetto 667 12 23 27 9,5 9,8 SPAGNA, MURCIA Angeleno Vasetto 600 12 32 38 13,8 14,2 Fortune Vasetto 600 12 23 27 11,6 11,9 Larry Ann Vasetto 600 12 26 30 12,0 12,3 Laetitia Vasetto 600 12 25 30 11,9 12,3 Fonti: elaborazione propria Modena Mtp Man Alt Cuneo (palmetta) Mtp Man Alt Cuneo (fusetto) Mtp Man Alt Latina Forlì-Cesena Mtp Mtp Ravenna Man Murcia Kf Kf Alt Man Kf Alt Caserta Mtp Man Alt Kf Extremadura Mtp Man Alt Kf 0.00 Kf Alt Man Mtp Kf Alt Man Mtp 0.10 Kf 0.20 Fonti: elaborazione propria Mtp: Materie prime Man: Manodopera salariata Alt: Altri costi d’impresa Kf: Costi figurativi Kf 0.30 0.40 0.50 0.60 0.70 Euro/Kg Fig. 2 - Susine, cv. Angeleno. Costo annuo medio di produzione (2013, dati in Euro/Kg). costo totale di produzione, in un “range” di oltre 10.000 € in termini di unità di superficie: l’onere per ettaro può variare, infatti, da circa 9.000 € per Fortune allevata a vaso in Extremadura, fino a quasi 20.000 € per TcSun a fusetto nel Lazio. I livelli di costo per ettaro sono naturalmente influenzati anche dalle rese produttive che contraddistinguono le diverse cultivar e che, proprio nei due esempi di cui sopra, trovano gli estremi tra i casi osservati: poco più di 20 t/ha per l’impianto di Fortune e fino a quasi 50 t/ha per TcSun in provincia di Latina. Più nel dettaglio, relativamente ad Angeleno, la più diffusa delle susine tardive, almeno in Emilia-Romagna, si registra un costo variabile da poco più di 10.000 €/ha in Extremadura, per una resa di circa 30 t/ha, fino ad oltre 18.000 €/ha nel Ravennate dove si rileva un rendimento medio anche 8 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 superiore a 45 t. Oltre alla resa produttiva, determinante è anche l’apporto di materie prime per le quali il maggior esborso si registra nel Lazio, in provincia di Ravenna e a Murcia (oltre 4.000 €/ha), ed i valori minimi (pari a circa 2.000 €/ha) in Extremadura ed in Campania. Un ulteriore rilevante parametro di differenziazione è costituito dalla quota di ammortamento, che può incidere fino a più di 2.500 €/ha per impianti ad alta densità e protetti da rete antigrandine, la cui durata si attesta attorno a 15 anni. Più contenute, invece, le differenze nel costo della manodopera, nonostante tariffe salariali considerevolmente variabili. Per quanto concerne le altre varietà, il confronto è certamente meno significativo, date le differenti caratteristiche delle cultivar considerate: relativamente alla Spagna, è da segnalare la maggior dispendiosità della regione di Murcia rispetto all’Extremadura, soprattutto a causa di maggiori costi per le materie prime (terreni più poveri, maggiori costi di irrigazione e consistenti danni causati dalla sharka). La struttura del costo di produzione del susino, come consuetudine in frutticoltura, vede la manodopera al primo posto tra le diverse voci di spesa, con un’incidenza, tuttavia, tra le più basse al confronto con le principali specie da frutto. Solo in pochi casi questa supera il 50%, mentre in taluni altri si colloca solo di poco oltre il 30%. Le materie prime, di contro, incidono dal 12-15 fino al 30% circa. Il principale parametro di valutazione del potenziale competitivo di un’area produttiva è certamente il costo di produzione per unità di prodotto: nei casi analizzati, nonostante un parziale riallineamento dovuto alle diverse combinazioni di costo per ettaro e di resa produttiva, tale valore evidenzia comunque il persistere di notevoli differenze (Figg. da 2 a 4). Come rilevabile nel caso di Angeleno, gli areali maggiormente competitivi sono la Campania e l’Extremadura, capaci di abbinare un accettabile potenziale produttivo ad una contenuta spesa per ettaro, che si traduce in un costo complessivo di poco inferiore a 0,35 €/kg. A seguire, la regione di Murcia presenta un costo di 0,4 €/kg, le province della Romagna di 0,41-0,42 €/kg e Lazio e Piemonte da 0,44 a 0,47 €/kg. Decisamente più onerosa è la gestione degli impianti nel Modenese, dove il costo complessivo sale fino a 0,56 €/kg per effetto di una tecnica produttiva che, tramite opportuni interventi agronomici, privilegia l’ottenimento di frutti di maggior calibro. Il medesimo ordine tende a manifestarsi anche per le cultivar estive: in particolare, tra quelle a buccia nero/ viola, Friar presenta costi di poco superiori a 0,33 €/kg in Campania, Larry Ann richiede 0,38 €/kg in Extremadura e 0,46 €/kg a Murcia dove, tuttavia, è raccolta più precocemente, mentre salendo nella scala di onerosità si raggiungono circa 0,62-0,65 €/kg per il gruppo Black, dove la precocità penalizza i rendimenti produttivi. Tra le varietà a buccia rossa e gialla si registrano in genere livelli più contenuti di costo, con la maggior parte dei casi rilevati ricompresa in una forbice tra 0,40 e 0,50 €/kg, con le eccezioni di Obilnaja nel Modenese che sfiora addirittura 0,70 €/kg e, all’altro vertice, di Goccia d’oro e Crimson Glo con costi di 0,35-0,38 €/kg. Redditività della fase agricola Le elaborazioni per la valutazione della redditività evidenziano realtà piuttosto altalenanti: nelle figure da 5 a 7 sono evidenziate le performance economiche dei casi rilevati, in termini di profitto/perdita medi annui per ettaro, sottraendo dalla Produzione lorda vendibile la totalità dei costi sostenuti, sia di natura esplicita, sia di natura implicita o figurativa; per ciascuno dei casi indagati è riportato il livello minimo e massimo realizzabile in funzione della resa produttiva e del prezzo percepito. Come rilevabile, Angeleno è in grado di offrire, nelle migliori condizioni, un profitto massimo di 1.000-1.500 €/ ha in tutte le aree, ad eccezione del Casertano e dell’Extremadura, dove si possono anche superare 3.500 €/ha. Per contro, anche in queste due aree, nelle condizioni meno favorevoli, viene a determinarsi una perdita 2, così come in tutti gli altri casi indagati, con una punta massima di oltre 5.000 €/ha nel Lazio. Relativamente alle altre varietà esaminate, la situazione è, nella maggior parte dei casi, sostanzialmente analoga: in nessun caso si registra un margine di profitto nelle condizioni meno favorevoli, mentre in quelle più favorevoli, le migliori performances sono per Goccia d’oro in Campania, con quasi 5.000 €/ha di profitto, Friar ancora nel Casertano con poco più di 4.000 €/ha, Fortune e Aphrodite nel Lazio, con circa 3.500 €/ha e, infine, Fortune e Black Gold nel Modenese, con oltre Modena (D.Sandra) Mtp Modena (Black Gold) Mtp Lazio (Black) Mtp Murcia (LarryAnn) Extremadura (LarryAnn) Alt Man Alt Man Mtp Man Mtp 0.00 Trattasi di perdita calcolata considerando anche la remunerazione a prezzi di mercato dei fattori immessi dall’imprenditore. 10 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 Kf Kf Mtp: Materie prime Man: Manodopera salariata Alt: Altri costi d’impresa Kf: Costi figurativi Kf 0.20 0.30 Fonti: elaborazione propria 0.40 0.50 0.60 0.70 Euro/Kg Fig. 3 - Susine, cv. D.Sandra, Black (gruppo), Friar, Larry Ann. Costo annuo medio di produzione (2013, dati in Euro/Kg). Modena (Obilnaja) Mtp Man Modena (Fortune) Mtp Man Modena (TcSun) Mtp Man Murcia (Fortune) Mtp Murcia (Laetitia) Mtp Mtp Lazio (Fortune/Aphrodite) Mtp Alt Man Man Kf Alt Man Extremadura (Crimson Glo) Mtp Man Alt Campania (Goccia d’oro) Mtp Man Kf Kf Kf Alt 0.20 Mtp: Materie prime Man: Manodopera salariata Alt: Altri costi d’impresa Kf: Costi figurativi Kf Alt Alt 0.10 Kf Alt Man 0.00 Kf Alt Mtp Extremadura (Fortune) Kf Alt Man Kf Kf Alt Man Forlì-Cesena (Fortune) Mtp Lazio (TcSun) Alt Kf 0.30 0.40 0.50 0.60 0.70 Euro/Kg Fonti: elaborazione propria Fig. 4 - Susine, cv. Obilnaja, Fortune, Aphrodite, TcSun, Laetitia, CrimsonGlo, Goccia d’oro. Costo annuo medio di produzione (2013, dati in Euro/Kg). Murcia Max Min Extremadura Max Min Caserta Max Min Max Latina Min Forlì-Cesena Ravenna Piemonte (fusetto) Max Min Modena Piemonte (palmetta) Max Min Max Min Max Min Max Min -6,000 -5,000 -4,000 -3,000 -2,000 -1,000 2 Kf Kf Alt 0.10 Kf Alt Alt Man Kf Alt Man Mtp Kf Alt Man Mtp Forlì-Cesena (D.Sandra) Alt Man Mtp Modena (Friar) Campania (Friar) Man Fonti: elaborazione propria 0 1,000 2,000 3,000 4,000 5,000 Euro/ha Fig. 5 - Susine, cv. Angeleno. Profitto/perdita annui (2013, dati in Euro/ha). 6,000 Murcia (LarryAnn) Min Extremadura (LarryAnn) Max Max Conclusioni Max Min Campania (Friar) 0,3 a 0,36 €/kg. Il costo della manodopera di magazzino è tra le principali cause delle differenze osservate, poiché da costi di 6-7 €/ora nei magazzini del Sud Italia e della Spagna si sale fino a 13-14 €/ora del Nord Italia; tali evidenti differenze sono, tuttavia, parzialmente compensate dal maggior grado di meccanizzazione che innalza la produttività del lavoro, nonché dalle dimensioni più elevate degli stabilimenti dell’Italia settentrionale, che abbattono i costi fissi. Alla luce dei costi sostenuti per la lavorazione e il confezionamento del prodotto, questo si carica di un costo complessivo di filiera che può variare da un minimo di 0,7-0,8 €/kg rilevabili in Campania e nella maggior parte dei casi relativi alle regioni spagnole (Fig. 9), fino a valori massimi prossimi ad 1 €/kg in Emilia-Romagna, ed anche oltre per le cultivar più precoci (Fig. 10). Max Max Min Lazio (Black) Max Min Forlì-Cesena (D.Sandra) Max Min Modena (D.Sandra) Max Min Modena (Black Gold) Max Min Modena (Friar) Max Min -6,000 -5,000 -4,000 -3,000 -2,000 -1,000 Fonti: elaborazione propria 0 1,000 2,000 3,000 4,000 5,000 6,000 Euro/ha Fig. 6 - Susine, cv. D.Sandra, Black (gruppo), Friar, Larry Ann. Profitto/perdita annui (2013, dati in Euro/ha). Murcia (Laetitia) Min Murcia (Fortune) Max Min Extremadura (Crimson Glo) Min Extremadura (Fortune) Campania (Goccia d’oro) Max Min Lazio (TcSun) Max Min Lazio (Fortune/Aphrodite) Min Forlì-Cesena (Fortune) Min Modena (TcSun) Modena (Obilnaja) Max Min Max Max Max Min Max Min Modena (Fortune) Max Min -6,000 -5,000 -4,000 -3,000 -2,000 -1,000 Fonti: elaborazione propria 0 1,000 2,000 3,000 4,000 5,000 6,000 Euro/ha Fig. 7 - Susine, cv. Obilnaja, Fortune, Aphrodite, TcSun, Laetitia, CrimsonGlo, Goccia d’oro. Profitto/perdita annui (2013, dati in Euro/ha). 3.000 €/ha. All’opposto, Dofi Sandra e Obilnaja, sempre in provincia di Modena, registrano negatività, seppur per poco, anche nelle migliori condizioni ipotizzate. Costi della fase di condizionamento I costi della fase di condizionamento sono stati calcolati per le tipologie di confezione più diffuse, cioè il cestino (da 500, 750 grammi e 1 kg) e la cassa di legno o cartone (con peso da 5 a15 kg) e si riferiscono ai soli oneri connessi alla selezione, movimentazione, confezionamento e conservazione dei frutti nelle celle frigorifere in attesa della vendita. Va osservato che i dati presentati sono medie relative a tutte le cultivar, benché sussistano differenze talvolta apprezzabili tra varietà autunnali ed estive. Tali differenze, tuttavia, tendono nel complesso a mediarsi tra loro, evidenziandosi costi di conservazione più elevati per le prime, conservate anche per diversi mesi, a differenza delle estive, le quali manifestano, generalmente, più elevati costi di manipolazione per via della maggiore delicatezza. Passando all’analisi dei risultati, l’indagine ha evidenziato, a differenza dei costi di campagna, valori abbastanza omogenei tra le aree indagate (Fig. 8): in particolare, per quanto concerne il confezionamento in cestino, il costo di lavorazione varia da un minimo di 0,36 €/kg nella regione di Murcia, fino a 0,41 €/kg in Emilia-Romagna, mentre il confezionamento in cassa oscilla da I risultati dello studio delineano, per il sistema produttivo del susino da consumo fresco, un quadro interlocutorio e di difficile caratterizzazione, poiché contraddistinto da risultati in chiaroscuro: evidente è soprattutto la progressiva flessione nelle performance economiche, rispetto al recente passato, di Angeleno, tuttora la cultivar più diffusa nel complesso. L’erosione della redditività sta determinando una situazione di sostanziale stagnazione delle superfici investite, nonché un’inevitabile selezione delle imprese coltivatrici a favore di quelle più professionali; solamente nella regione spagnola dell’Extremadura e, con moderazione, in Campania, si rileva una crescita degli impianti coltivati. Le osservazioni svolte hanno evidenziato la presenza di aree dove prevale una tendenza alla semplificazione della gestione degli impianti ed al risparmio dei costi conseguenti ed aree dove, viceversa, si punta su forme ad elevata densità, naturalmente più dispendiose, per raggiungere più elevate performance quantitative e anticipare per quanto possibile il rientro dei capitali investiti. I costi sostenuti nella fase di campagna si contraddistinguono per livelli ben distinti, in quasi tutti i casi favorevoli alle aree spagnole e a quelle del Sud Italia. Nel caso di Angeleno, ad esempio, Campania ed Extremadura hanno margini di circa 0,1 €/kg rispetto alle altre zone produttive. La redditività FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 11 BIBLIOGRAFIA Pirazzoli C., Palmieri A., Macchi E., Trentini L., Bosi T. (2013) – Costi, prezzi e competitività nella filiera della susina: comparazione economica tra i principali sistemi produttivi. Centro Servizi Ortofrutticoli (Ferrara). Q 12 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 0.45 0.40 0.35 0.30 Euro/Kg della coltura risulta soddisfacente solo nelle annate più favorevoli in termini di resa produttiva e prezzo alla produzione, mentre nelle ipotesi meno favorevoli è garantita la copertura dei costi vivi sostenuti, ma non la remunerazione a prezzi di mercato degli oneri figurativi. In conclusione, per il futuro del comparto è certamente difficoltoso fare previsioni, sebbene appaia evidente che la sostenibilità economica sia oggi riservata solo alle imprese professionali, capaci di raggiungere accettabili livelli di resa e di qualità del prodotto, unico presupposto per essere competitivi sul mercato. Il mercato stesso dovrà essere in grado di sapersi gestire e di evitare, come per altre specie frutticole, frequenti crisi con conseguenti crolli dei prezzi che sarebbero difficoltosi da sostenere alla luce degli alti costi. L’offerta di susine è aumentata nel tempo ed è ormai in equilibrio con la domanda, per cui qualora vi fossero margini di espansione occorrerà porre grande attenzione ai rischi di sovraccarico di offerta. Relativamente alla scelta varietale, per le imprese che continueranno a puntare su Angeleno, maggiormente esposta alla pressione competitiva internazionale, sarà prioritario evitare l’eccessiva massificazione dell’offerta e differenziare, per quanto possibile, il proprio prodotto. Per le cultivar estive gli spazi di mercato sembrano tendenzialmente maggiori, come peraltro dimostrato dal progressivo spostamento in atto in alcune zone, ma non è da sottovalutare il rischio di competizione con altre specie da frutto peculiari di questo periodo, almeno per le aree in cui queste rivestono una notevole importanza. Infine, alla luce della progressiva saturazione dei mercati interni all’Ue, per sostenere la crescita dell’offerta, sempre più rivolta al fresco e meno all’industria, non si può evitare di accrescere i volumi esportati verso sbocchi extra-Ue. Il mercato del susino è già piuttosto aperto e considerevoli sono i volumi provenienti da Paesi terzi in entrata nei paesi dell’Ue, mentre ancora scarse sono le esportazioni dell’Unione stessa, soprattutto in rapporto ai nuovi mercati che è teoricamente possibile raggiungere. Ammortamenti 0.25 Spese generali 0.20 Manodopera 0.15 Imballaggi 0.10 0.05 0.00 Cestino Cassa Cestino Cassa Cestino Cassa Cestino Cassa Cestino Cassa EMILIA-ROMAGNA PIEMONTE CAMPANIA EXTREMADURA MURCIA Fonti: elaborazione propria Fig. 8 - Costi medi di condizionamento nelle aree indagate (2013). Murcia (Fortune) Murcia (Laetitia) Murcia (LarryAnn) Extremadura (Fortune) Extremadura (LarryAnn) Murcia (Angeleno) Extremadura (Crimson Glo) Extremadura (Angeleno) Campania (G.d'oro) Costo fase agricola Campania (Angeleno) Costo di condizionamento Campania (Friar) 0.00 0.20 0.40 0.60 0.80 1.00 1.20 Euro/Kg Fonti: elaborazione propria Fig. 9 - Costo complessivo della filiera agricola per le principali varietà indagate in Spagna ed Italia meridionale (confezionamento in cestino). Lazio (Black) Modena (Black Gold) Modena (Angeleno) Forlì-Cesena (D.Sandra) Modena (Fortune) Modena (TcSun) Lazio (Angeleno) Lazio (TcSun) Lazio (Fortune) Forlì-Cesena (Fortune) Piemonte (Angeleno) Costo fase agricola Ravenna (Angeleno) Costo di condizionamento 0.00 Fonti: elaborazione propria 0.20 0.40 0.60 Euro/Kg 0.80 1.00 1.20 Fig. 10 - Costo complessivo della filiera agricola per le principali varietà indagate in Italia centro-settentrionale (confezionamento in cestino). Tecnica SPECIALE SUSINO E ALBICOCCO Il miglioramento genetico del susino in Italia VALTER NENCETTI - DANIELE MORELLI Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente (DiSPAA) - Università di Firenze Una coltura che sta destando nuovi interessi da parte dei frutticoltori e che ha bisogno di un continuo rinnovamento varietale per caratteristiche estetico-qualitative e tipologie di prodotto. Anche la ricerca pubblica italiana fra i protagonisti del breeding mondiale. Ancora scarso il ricambio varietale nel settore delle cultivar europee. Il caso degli ibridi interspecifici. N el mondo le superfici investite a susino contano 2,5 milioni di ha, che corrispondono al 38,3% di quelle destinate alle Prunoideae (FAO, 2011). Nell’ultimo decennio la Cina (prima produttrice con 587.000 t e 1,7 milioni di ha coltivati) ha incrementato le superfici investite, così come Bosnia, Cile, Turchia, Algeria e Marocco; mentre si è assistito ad un forte ridimensionamento degli impianti di Paesi tradizionalmente produttori di susine (principalmente appartenenti al gruppo delle europee) destinate all’industria, quali Federazione Russa (-41,7%), Romania (-27,8%), Stati Uniti (-22,6%), Polonia (-19%) e Ucraina (-18,2%). L’Ue pur avendo dismesso circa un quinto delle terre impiegate, fino ad arrivare ai 184.000 ha attuali, è stata capace di aumentare le rese e mantenere inalterate le produzioni (1.570.000 t) grazie all’introduzione di nuove cultivar più adattabili e produttive; nell’eurozona la Spagna (231.000 t) si conferma ancora leader delle cino-giapponesi destinate al consumo fresco. 14 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 La situazione italiana In Italia la coltura del susino dal 2008 (anno fino al quale si è registrata una costante ascesa) ha perso il 23%, attestandosi su 11.200 ha (-21,3% rispetto al 2012); dato confermato nelle regioni a maggior diffusione come Emilia-Romagna (4.400 ha nell’ultimo biennio, -13,2% rispetto al 2011) e Campania (2.600 ha, -1,5% al 2011). La produzione totale italiana si aggira intorno alle 163.000 t; l’Emilia-Romagna contribuisce con circa 69.200 t (42,5% del totale, provenienti prevalentemente dalle province di Ravenna, Modena, Bologna, Forlì-Cesena); la Campania con 34.400 t (principalmente nelle provincie di Napoli, Caserta e Salerno); il Lazio con 17.200 t (provincia di Latina). La resa media nazionale è stata di 145,7 t/ha, con eccellenze intorno a 200 t/ha delle province di Ravenna e Latina, circa 168 t/ha nel salernitano e 140 t/ha nel cesenate (Istat, 2013). In Italia l’importazione di susine nel periodo 2006-09 è stata di circa 17.000 t, con un calo del 42,6% nell’anno 2010, probabilmente a causa della contrazione dei consumi in seguito alla crisi globale; segno opposto per quel che riguarda l’export, con incrementi sempre crescenti (si esporta circa un terzo della produzione, con un +87% dal 2006). Da recenti studi di settore è emerso che in Italia le susine cino-giapponesi continuano a suscitare maggiore interesse in produttori e consumatori, nonostante la sensibilità a leptonecrosi e sharka. Esse rappresentano il 75%, relegando quelle europee a produzioni tipiche locali. In generale le cultivar a maturazione tardiva occupano il 73% delle superfici, seguite da quelle a maturazione intermedia (17%). Per la coltivazione nel nostro Paese e soprattutto per gli areali del CentroNord sarebbe auspicabile l’introduzione di nuove cultivar cino-giapponesi di origine italiana (maggiormente adattabili nei nostri ambienti rispetto a quelle di provenienza straniera), con calendario di maturazione spostato sul periodo precoce e con caratteri agro-pomologici di pregio (consistenza, pezzatura e variabilità cromatica), ma sono ancora poche quelle che sembrano offrire buone potenzialità. Molto statico anche il panorama varietale del susino europeo, basato sulle stesse cultivar da una decina di anni a questa parte, spesso con problemi di autofertilità, talvolta in difetto per alcuni caratteri organolettici del frutto (insufficiente pezzatura e qualità) e per lo più non idonee all’essicazione. Nonostante queste problematiche, in Italia, il susino resta una coltura di primaria importanza e con buone potenzialità di esportazione sui mercati internazionali. La ricerca varietale Di fronte ai numerosi interrogativi, pochi sono i centri di ricerca italiani che operano nel miglioramento genetico del susino, così come ancora scarse sono le risposte fornite in merito (Sottile et al., 2012; Pallotti, 2011). Il Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente (DiSPAA) dell’Università di Firenze è da sempre molto attivo nel lavoro di “breeding” ed, in particolare, nel miglioramento genetico del susino (in atto dal 1970). Un programma intrapreso dagli anni ’90 ha come obiettivi l’ottenimento di cultivar di susino cino-giapponese a maturazione precoce, rustiche, con produttività elevata e costante e pregevoli caratteri pomologiciorganolettici dei frutti. Le osservazioni Blue Moon e August Delight, nuove promettenti varietà europee llo stato attuale, il panorama varietaA le riguardante il susino europeo (Prunus domestica L.) è certamente meno numeroso e soprattutto molto più lento all’introduzione di nuove cultivar rispetto a quello del susino cino-giapponese (Prunus triflora R. = Prunus salicina L.). Difatti, si può affermare che negli odierni impianti frutticoli di susino europeo le varietà utilizzate sono praticamente quelle oramai conosciute e utilizzate da diversi anni; in particolare, sono in grande parte costituiti da Stanley (raccolta a fine di agosto) o da varietà riconducibili a periodi di maturazione ad essa contemporanea (D’Ente 707, Sugar Top, Blue Free) o addirittura più tardiva (President, Grossa di Felisio). Blue Moon e August Delight, sono due nuove interessanti cultivar derivate dal lavoro di miglioramento genetico della Coop. Agri 2000 (con sede a Ca- Blue Moon. stelmaggiore, Bo) che ha le sue origini nel 1991 da una collaborazione con il dr. Walter Faedi dell’allora Istituto Sper.le di Frutticoltura di Forlì (oggi Ente CRA); possono rappresentare, per le caratteristiche che le contraddistinguono, due novità assolute di particolare interesse. Sono state ottenute all’interno di un progetto di miglioramento genetico riguardante il susino europeo seguito da un’equipe di ricercatori che, ormai da quasi 30 anni, realizza studi, ricerche e servizi nei settori della sperimentazione, della qualità dei sistemi agro-aziendali e della valorizzazione biologica, economica e commerciale delle produzioni agroalimentari. Blue Moon e August Delight sono state valutate da Francesco Valli e Luigi Proni per un periodo di dodici anni (dal 2001 al 2012) in un areale di coltivazione (provincia di Ravenna) ove questa coltura sta assumendo sempre più importanza e diffusione. Per entrambe le varietà, August Delight. al fine di ottenere frutti di ottima qualità, è indispensabile un apporto equilibrato di acqua e nutrienti ed è quindi necessario prevedere un appropriato impianto di fertirrigazione. Per entrambe è in corso la procedura di acquisizione di brevettazione europea. I diritti per la moltiplicazione delle piante sono stati acquisiti dalla ditta Vivai F.lli Zanzi di Ferrara. Il programma di miglioramento genetico svolto da Agri 2000 sta puntando all’individuazione di nuove cultivar europee a maturazione precoce (metà luglio). Allo stato attuale è stata individuata una selezione promettente i cui connotati verranno resi pubblici, si auspica, dal 2016. Blue Moon Albero: di tipo standard, a sviluppo tendenzialmente espanso, dotato di vigoria medio-elevata e produttività media e costante, purchè in condizioni di impollinazione incrociata (la varietà non è auto-fertile). Data appunto la sua auto-incompatibilità, vengono consigliati come impollinatori August Delight, per il prolungato periodo di fioritura, President e Grossa di Felisio per il fatto che presentano entrambe (come appunto Blue Moon) un’epoca di fioritura piuttosto precoce. Presenta una media entità di fioritura. Frutto: di grossa pezzatura, con peso medio che va dagli 80 ai 100 g rapporto all’entità di produzione della pianta. Forma obovata, leggermente asimmetrica, con apice e base legger- mente arrotondati, cavità peduncolare mediamente larga e profonda, sutura evidente. Nocciolo medio (da 2,8 a 3,2 g di peso). Buccia di colore blu-violaceo. Polpa di colore giallo che diventa aranciato a maturazione fisiologica, mediamente succosa, con leggera semi-aderenza all’endocarpo. Buona consistenza e qualità gustative equilibrate, con sapore decisamente gradevole. Residuo secco rifrattometrico (RSR) medio elevato, circa 20°Brix (campione medio di frutti riferiti agli anni 2009-13). Resistenza alle manipolazioni molto buona. Epoca di maturazione: medio-precoce (considerando il calendario del Prunus domestica), prima decade di agosto (15-20 giorni prima di Stanley). Giudizio d’insieme: risulta molto interessante per l’epoca di maturazione, corredata però da una grossa pezzatura dei frutti, e per le buone caratteristiche organolettiche dei medesimi (ciò si denota anche dal grado zuccherino sopra evidenziato). Blue Moon, negli anni di produzione osservati, ha dimostrato una produttività media e costante. Buona la resistenza alle manipolazioni e ai trasporti. Media è l’entrata in produzione della pianta. August Delight Albero: a sviluppo tendenzialmente assurgente, dotato anch’esso di vigoria medio-elevata e produttività decisamente elevata e costante. Il fiore è parzialmente auto-fertile ma per una costante produttività nel corso degli anni è consigliata l’impollinazione con altre varietà, quali Stanley, President e Grossa di Felisio. Presenta un periodo di fioritura lungo e quindi contemporaneo a diverse cultivar. L’entità di fioritura è elevata dal momento che tutti gli anni si è rilevata una presenza di rami misti molto ricchi di gemme a fiore; si è notato che il polline è molto apprezzato dalle api le quali lo prediligono decisamente rispetto alle altre varietà presenti nel medesimo campo. La pianta presenta aspetti di rusticità, in particolare si è notato che in annate con presenza di gelate tardive la resistenza è elevata. Frutto: di pezzatura medio-grossa, con peso medio che si aggira sui 75-80 g. Forma tendenzialmente ellissoidale, lievemente asimmetrica e lievemente incavata a livello del picciolo. La linea di sutura è mediamente pronunciata. Nocciolo mediopiccolo (circa 2,3 g di peso). Buccia di colore blu-viola chiaro. Polpa di colore giallo-verde, succosa, molto soda e di ottimo sapore, non aderente all’endocarpo. Residuo secco rifrattometrico (RSR) medio-elevato, circa 18,5° Brix (anni di rilievo 2009-13). Consistenza dei frutti e resistenza alle manipolazioni elevate. Epoca di maturazione: media, a cavallo fra la prima e la seconda decade di agosto (10-15 giorni prima di Stanley). Giudizio d’insieme: molto interessante per l’elevata e costante produttività e rusticità, per la pezzatura, l’epoca di maturazione e per la consistenza e il buon sapore dei frutti. Il prolungato periodo di fioritura e la resistenza dei fiori la espone in misura decisamente inferiore rispetto ad altre varietà alle gelate tardive che, con una certa ricorrenza, colpiscono la susinicoltura italiana. Medio-precoce è l’entrata in produzione della pianta. Francesco Valli - Luigi Proni Agri 2000 - Castelmaggiore (Bo) FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 15 condotte su oltre 2.300 semenzali e 35 selezioni avanzate hanno portato al licenziamento nell’ultimo decennio di due cultivar precoci, Dofi-Giudy (-25 Shiro) e Dofi-Sandra* (-15 Sh.), varietà quest’ultima che ha riscosso successo sia in Emilia-Romagna che nel Sud (specialmente Campania) (Borrelli, 2012). Tra le selezioni più promettenti sono da ricordare DOFI-CG-30.40, DOFI-CG-29.03 e DOFI-CG-29.60 a buccia nero violacea; DOFI-CG-888, DOFI-CG-30.31 e DOFI-CG-30.13 con epicarpo rosso (Bellini, 2008). Interessanti risultano le selezioni di susine a buccia gialla, tipologia questa di non facile ottenimento (essendo il giallo recessivo rispetto al nero e al rosso, è possibile perseguire questo risultato solo con target specifici). Dal programma iniziato nel ’96 a Vignola (Mo) sono scaturite cinque selezioni da TC Sun x Shiro (5.71; 5.290; 5.120; 7.73; 5.320) e tre da TC Sun x Byron Gold (7.104; 7.61; 7. 290) capaci di produrre susine con buccia e polpa gialla nel periodo precoce e medio-precoce (Bellini et al., 2010). Più datato il programma di miglioramento genetico del susino europeo che aveva per obiettivi l’ottenimento di cultivar di grossa pezzatura, idonee al consumo fresco, di buone caratteristiche organolettiche, a maturazione precoce o intermedia. Dagli oltre 1.200 semenzali ottenuti è stata licenziata la cultivar Firenze ’90 e ottenute 9 interessanti selezioni tra le quali si distinguono DOFI-EU-981 per la notevole pezzatura dei frutti (fino 150 g) e DOFI-EU-609, per precocità, aspetto attraente e ottime caratteristiche (Bellini, 2008). Presso il Dipartimento di Colture Arboree (ora Dipartimento di Scienze Agrarie) dell’Università di Bologna da oltre 40 anni viene portato avanti un programma di miglioramento genetico sul susino. Fino agli anni ‘70 l’attività è stata concentrata esclusivamente sulla specie europea, con l’ottenimento di Sugar Top (-7 Sanley), a maturazione medio-tardiva, selezionata per l’essiccazione, e Prugna 29 (+3 Stanley), a maturazione tardiva e a duplice attitudine. Successivamente, l’attenzione è stata rivolta anche alle cino-giapponesi, ricorrendo all’incrocio con cultivar derivate in prima o in seconda generazione di P. cerasifera (mirabolano) dotate quindi di maggiore rusticità, fertilità e costanza produttiva. Da questo programma sono state ottenute due cultivar a buccia nera e polpa gialla: 16 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 Bra Rossa. Dofi Sandra. Dofi Giudy. Black Glow (+10 Shiro), a maturazione medio-precoce, e Black Sunrise (+18 Sh.), a maturazione intermedia. Sono stati avviati nuovi incroci per entrambe le specie a partire dagli anni ’90. Per il susino cino-giapponese sono stati utilizzati soprattutto genotipi di origine californiana, interessanti per i caratteri del frutto e per il periodo di raccolta e promettenti selezioni derivate dal precedente programma di “breeding” con lo scopo di migliorare le caratteristiche del frutto, la produttività, nonché ampliare il calendario di maturazione. La scelta dei parentali per il miglioramento del susino europeo è invece ricaduta su cultivar a frutto grosso e a maturazione precoce o tar- diva, al fine di migliorarne lo standard pomologico e l’ampliamento dell’arco di raccolta. Nel 2008 un nuovo programma ha avuto inizio, con la collaborazione e il co-finanziamento della Soc. New Plant, società che raggruppa le tre principali organizzazioni produttive regionali (Apo Conerpo, Apofruit Italia e Orogel Fresco).Questo progetto mira ad ottenere cultivar di susino cino-giapponese migliorative sotto l’aspetto pomologico, in termini di grossa pezzatura, buona consistenza della polpa (fattore che influenza tutte le operazioni di postraccolta, quali la cernita, la conservabilità ed il trasporto del prodotto) e caratteristiche organolettiche (succosità, tessitura fine ed elevato contenuto zuccherino, ben bilanciato con il tenore di acidità in grado di esaltare sapore e aroma del frutto). Anche l’aspetto relativo alla colorazione della polpa è uno tra i principali obiettivi di questo progetto, poiché recenti indagini di mercato hanno evidenziato come le susine a polpa rossa abbiano caratteristiche gustative migliori rispetto a quelle a polpa gialla o aranciata. Allo stesso tempo è prevista anche la selezione di “linee di prodotto”, ossia genotipi aventi medesime caratteristiche estetiche e qualitative, ma che maturano in epoche differenti e in grado quindi di coprire un ampio arco di commercializzazione, da proporre alla distribuzione con continuità d’offerta. Nel susino europeo grande attenzione è rivolta alla costituzione di cultivar in grado di estendere il calendario di maturazione e di migliorare gli standard qualitativi delle prugne in termini di pezzatura e caratteristiche organolettiche. Dopo uno “screening” iniziale di circa 2.500 semenzali, parte dei quali ancora in fase iniziale di valutazione, sono stati individuate 40 selezioni interessanti (30 cino-giapponesi e 10 europee); le quali sono attualmente sotto osservazione in campi sperimentali di valutazione comparata. Alcune di queste selezioni hanno già favorevolmente confermato alcuni aspetti qualitativi; si tratta di genotipi che differiscono fra loro per epoca di maturazione, che va dal precoce fino all’extra-tardivo, forma del frutto, colore dell’epidermide e della polpa, ma che accomunano costanza produttiva, pezzatura elevata e uniforme del frutto, buone caratteristiche organolettiche ed, in alcuni casi, anche ottima tenuta di maturazione in pianta. Nel susino europeo, invece, sono state individuate alcune selezio- Un club per “Metis” nuovo ibrido susino x albicocco etis” (traduzione francese della parola “meticcio”; ndr) è il primo in Europa di una serie di nuovi ibridi di susino x albicocco licenziati da Glen Bradford, genetista californiano assai famoso anche in Italia per aver introdotto alcune nettarine gialle e diverse susine cinogiapponesi di successo. Questa serie di ibridi presenta frutti con alto contenuto zuccherino e un’ottima solidità della polpa. Il colore della buccia, a seconda delle varietà, è rosso, nero, giallo o marezzato; questi ultimi esteticamente sono forse i più interessanti e innovativi. Generalmente i frutti hanno un calibro sostenuto e per questo saranno commercializzati da un minimo di 50 mm di diametro. Essendo incroci di susino con albicocco hanno polpa non acquosa, ma di una certa consistenza. Il club «Metis» che è autorizzato a produrre e vendere questi frutti è costituito dalle seguenti Società: Royal in Spagna, Blue Whale in Francia, Granfrutta Zani e Minguzzi spa Consortile in Italia. A Berlino, in occasione dell’ultima edizione di Fruit Logistica, presso gli stand di queste aziende erano presenti campioni di questi ibridi (vedi foto a fianco) che hanno riscosso un buon successo; nel periodo da giugno a ottobre 2014 alcune decine di tonnellate di prodotto saranno disponibili presso alcune catene distributive europee. In Italia, comunica Giancarlo Minguzzi, sono già stati costituiti 80 ettari, mentre 200 sono quelli in programmazione; la produzione del materiale vegetale è affidata in esclusiva all’Az. Vivai F. Calderoni di Solarolo (Ra). La coltivazione può essere effettuata solo con contratti di conferimento. Informazioni fornite da G. Minguzzi - Alfonsine (RA) “M ni con caratteri di pregio quali grossa pezzatura del frutto, consistenza e succosità della polpa e elevato contenuto zuccherino. Presso il Dipartimento di Scienze Ambientali e Produzioni Vegetali (SAPROV) dell’Università Politecnica del- le Marche è iniziato nel 1994 un programma di miglioramento genetico del susino che ha portato all’ottenimento di 4.100 semenzali dai quali sono state individuate 60 selezioni (49 cino-giapponesi e 11 europee). Tra le cino-giapponesi, per buon sapore e stessa epo- ca di maturazione di Shiro si stanno distinguendo Sel. 90.8.20.1 a buccia rossa, sferica; Sel. 90.8.42.1 giallo dorata, di media pezzatura e consistenza e Sel. 92.8.3.1 viola scura con polpa giallo ambrata, di media consistenza. Per l’europeo le due selezioni più inte- FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 17 Serena. Aphrodite. Liablu. Black Glow. formance produttive; CRA-FRF 233 e CRA-FRF 268, entrambe a buccia viola scuro, di pezzatura e sapore discreto, e CRA-FRF 605, di grossa pezzatura e ottime caratteristiche organolettiche nel periodo tardivo di maturazione. Tra i costitutori privati che operano nel nostro Paese sono da ricordare recentemente Bradford (California) e Calderoni (Solarolo – Ra) che in collaborazione hanno licenziato 2 cultivar cino-giapponesi: Bragialla* (+64 Sh.), entrata nelle “Liste di orientamento varietale” per l’anno 2012, a maturazione tardiva, con frutto grosso, gradevole e consistente, ma caratterizzato da produttività talvolta incostante; Brarossa* (-17 Sh.), in attesa di entrare in Lista, che si distingue per una colorazione rosso-violacea della buccia (estesa sul 90-100% della superficie), precocità di maturazione e pregevoli caratteri pomologici. Altra cultivar cino-giapponese costituita nel 2000 da Bubani e Calderoni promossa in Lista nel 2012 è Afrodite* (+20 Sh.), con frutto grosso, un po’ allungato, di ottime qualità gustative. Tra le cino-giapponesi ottenute da genetisti privati si ricordano Gaia (-8 Sh.), di valore pomologico medio, ottenuta da Martelli a Bologna, e Serena (+ 10 Sh.), a buccia e polpa gialla, di buona produttività, lanciata da Vezzali a Vignola (Mo). Tra le europee si segnalano le cultivar a maturazione medio-precoce Blue Moon® ( -15 Stanley) e August Delight® (-10 St.) ottenute recentemente dalla Soc. Coop. Agri 2000 di Bologna (vedi Box) che in precedenza aveva diffuso anche la precoce Maria Novella* (-45 St.) che si caratterizza per la buona produttività e per le pregevoli qualità gustative dei frutti, di buona pezzatura, benchè spesso suscettibili a non ben definite fitopatie che li rendono talvolta non commercializzabili (Liverani et al., 2012; Bellini et al., 2006). Maria Novella. Nuova selezione dell’Università di Firenze. ressanti, che maturano verso la metà di agosto e che si caratterizzano per polpa consistente e buon sapore, sono sicuramente Sel. 92.8.16.4 (-15 St.), con frutti di grossa pezzatura, buccia viola scura e polpa giallo intenso, dotata di produttività costante, e Sel. 92.8.13.2 (-20 St.) con buccia viola e polpa giallo-verde. Al CRA - Unità di Ricerca per la Frutticoltura di Forlì sono oltre 5.000 i semenzali di susino europeo in osservazione e 35 le selezioni allo studio (di cui CRA-FRF219, dal frutto di buon sapore e buccia rosso-violacea, è una delle più promettenti). Ultima licenziata, nel 2003, è stata Liablue (-24 St.), cultivar europea autofertile, a maturazione medio-precoce, produttiva, con frutti di grossa pezzatura, sebbene difettino di imbrunimento della polpa alla maturazione. Oltre 2.500 semenzali di susino cino-giapponese sono in fase di osservazione, mentre 25 sono le selezioni in fase avanzata di valutazione per rusticità e qualità del frutto: CRAFRF 229, CRA-FRF 275, CRA-FRF 271, tutte a buccia rossa e con elevate per- 18 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 BIBLIOGRAFIA Bellini E., 2008. Miglioramento genetico del susino. In: Miglioramento genetico dei fruttiferi a Firenze, Ed. DO-UFI: 97-122. Bellini E., Nencetti V., Natarelli L., 2006. Cultivar e miglioramento genetico. In: Atti Incontro Nazionale di aggiornamento sulla Coltivazione del Susino, Agrigento 7 settembre 2006, Ed. F. Sottile e S. Restuccia: 33-57. Bellini E., Nencetti V., Natarelli L., 2010. New selection of yellow Japanese Plum obtained at Florence at the DOFI. In: Proceedings of the Ninth International Symposium on Plum and Prune Genetics, Breeding and Pomology, Ed. F.Sottile: 321-326. Borrelli C., 2012. Susino, un rinnovato assortimento varietale per vincere la concorrenza. 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I l Ramassin (o Dalmassin) è una varietà di susino autoctona, tipica del Piemonte Sud-Occidentale. Ramassin e Dalmassin sono varianti linguistiche piemontesi (quest’ultima propria del Monregalese) che corrispondono all’italiano “damaschina”, susina di Damasco. La varietà afferisce, infatti, alla specie Prunus domestica L. subsp. insititia, “susino della Siria”, di cui Damasco è capitale. Diffusa da secoli in provincia di Cuneo, è una presenza costante nei frutteti famigliari. Si tratta di un tipico caso di cultivar-popolazione, che presenta al proprio interno una discreta variabilità di caratteri. Sono stati ad esempio selezionati ecotipi con maturazione leggermente anticipata, oppure con polpa più o meno dolce. Anche il colore della buccia oscilla, secondo gli ecotipi locali, tra il bluastro e il rosso violaceo, quest’ultimo caratteristico del Dalmassin del Monregalese. A questo proposito, un’indagine svolta dalla Scuola teorico-pratica “Malva Arnaldi” di Bibiana (To) ha consentito di individuare, catalogare e conservare in collezione due distinte tipologie genetiche: il Ramassin di Saluzzo, diffuso in particolare sulle colline e sull’altipiano saluzzese, e il Ramassin 20 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 di Pagno, che prende il nome dall’omonimo Comune della Valle Bronda, uno dei territori di elezione della varietà. Caratteristiche pomologiche e qualitative Il frutto è una drupa ovale di piccole dimensioni, di peso 10-12 g e diametro 20-25 mm. La buccia presenta colore di fondo verde che, all’approssimarsi della maturazione, si ricopre di rosso violaceo-bluastro per oltre l’80-90%. La pruinosità conferisce alla buccia un caratteristico aspetto opalescente. La polpa, gialla con sfumature ambrate, è spicca e tenera. Aroma e profumo intensi ne caratterizzano il profilo organolettico (Fig. 1); il RSR raggiunge in media 14,5-15,5 °Brix; l’acidità titolabile 125-150 meq/l. Le susine Ramassin si prestano bene sia al consumo fresco, sia alla trasformazione artigianale. La confettura di Ramassin, di consistenza densa e colore vinoso e gli sciroppati nelle “burnìe” (barattoli di vetro, in piemontese), sono due degli esempi caratteristici. Grazie alle piccole dimensioni i frutti sono tra i pochi che possono essere fatti essiccare naturalmente al sole in un clima continentale come quello piemontese. Un tempo si sezionavano in mezzene, esponendole per alcuni giorni su assi di legno al sole. Oggi sono anche un ingrediente di pregio per la preparazione di gelatine e liquori aromatici. Infine, cotte in forno o in tegame a fuoco lento, accompagnano il noto e tradizionale “fritto misto alla piemontese”. Sotto il profilo nutrizionale e salutistico questa varietà non si discosta dagli standard del susino europeo. In particolare, è una buona fonte di fibra: il consumo di Ramassin – fresche o cotte – è uno dei rimedi tradizionali contro la stipsi intestinale. colore polpa 10 8 aroma profumo 6 4 2 amaro fibrosità 0 acido durezza dolce succosità Fig. 1 - Profilo sensoriale di Ramassin elaborato da ONAFrut (Organizzazione nazionale assaggiatori frutta). TAB. 1 - PARAMETRI CHIMICO-FISICI MEDI DI RAMASSIN Peso (g) Diametro (mm) 10-12 20-25 R.S.R. (°Brix) Acidità titolabile (meq/l) 14,5-15,5 125-150 Aspetti agronomici L’albero di Ramassin è rustico, poco esigente in fatto di cure colturali e di interventi fitosanitari, adatto per la coltivazione biologica. Dimostra ampia capacità di adattamento a diversi tipi di terreno e una buona resistenza al freddo (nessun problema fino a 25 °C sotto zero), che ne consente la coltivazione fino a oltre 1.200 m di altitudine. La varietà è molto pollonifera. Per evitare il ricorso a sostanze spollonanti, non ammesse dai disciplinari PSR, si ricorre a portinnesti non polloniferi. Ad esempio, manifesta ottima affinità con Ferciana-Ishtara ®, confermata in diverse indagini svolte dal CReSO. L’impiego di questo portinnesto si è diffuso nell’ultimo decennio, rivelando peraltro il limite di una maggior sensibilità al freddo invernale. La varietà è autofertile. L’epoca di fioritura è pressoché contemporanea a Stanley (prima decade di aprile nel Saluzzese). Il potenziale produttivo è di 20-25 t/ha, anche se la varietà è soggetta ad alternanza, spesso indotta/accentuata da eventi climatici, infestazioni non controllate di afide farinoso (Hyalopterus pruni) o tentredini (Hoplocampa spp.), ma soprattutto dalla mancanza di regolari potature. I frutti si staccano naturalmente dal ramo a piena maturazione. La raccolta si esegue da terra, dopo caduta. Se raccolti sul ramo, o se le branche vengono scosse per anticipare il distacco dei frutti, questi rimangono acerbi, perdendo le pregevoli caratteristiche gustative. Sono frutti delicati, poco serbevoli e con limitata “vita di scaffale”. L’impatto a terra ne limita ulteriormente la conservabilità. Per questo si è diffuso l’impiego di reti sospese, che attutiscono l’impatto e preservano l’integrità del frutto. La raccolta dalle reti avviene con apposite palette per trasferire le susine ai contenitori definitivi e minimizzare i danni da manipolazioni. La raccolta dev’essere in ogni caso tempestiva, con più passaggi ogni 2-3 giorni. La 22 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 Le antiche varietà di fruttiferi del Casentino a Toscana è stata fra le prime regioni, in Italia, a legiferare (1997 e 2004) sulla valorizzazione e conservazione del germoplasma autoctono, che oggi va a comporre la residua biodiversità ambientale che tutti i Piani dell’Ue vogliono proteggere. Non stupisce, perciò, che l’ARSIA, l’Agenzia regionale agroforestale (ora soppressa), abbia a suo tempo promosso un progetto su “Recupero, conservazione, valorizzazione del germoplasma frutticolo e viticolo autoctono del Casentino”, poi realizzato dalla prestigiosa “Scuola Superiore Sant’Anna” di Pisa. Un gruppo di studiosi ed esperti, guidati dal prof. Luca Sebastiani, ha condotto una sistematica ricerca territoriale, e quindi in situ, in quella parte della provincia di Arezzo che si spinge fino al crinale appenninico che divide la Toscana dalla Romagna, e che storicamente è sempre stato ricco di un vasto IL LIBRO patrimonio frutticolo storico, in piccola parte so- Le antiche varietà di pravvissuto e fortemente ridotto a causa dell’ab- fruttiferi del Casentino – bandono e della generale perdita dei valori e delle Recupero, caratterizzazione colture del passato. e valorizzazione delle risorse I risultati dell’indagine, limitatamente alla “Com- genetiche autoctone di interesse missione specie legnose da frutto”, sono stati pub- agro-alimentare (razze animali blicati in un bel volume di oltre trecento pagine am- e varietà vegetali), a cura piamente documentate con foto a colori delle varie- di Fabiano Camagni e Luca Segantini. Edito da Regione tà censite, che sono ben 273, di cui 163 di melo, 80 Toscana, Comunità Montana di pero, 29 di ciliegio e una sola di pesco (“Vinosa”, del Casentino e BioLabs (Scuola della tipologia pesche della vigna). Superiore Sant’Anna, Pisa), Il Casentino, dunque, si è rivelato un bacino di 2011, pp 320. Senza prezzo. inestimabile valore per la ricerca delle tracce genetiche, ancestrali, delle tre citate specie oggi tanto importanti nella frutticoltura industriale. Naturalmente, le varietà effettivamente individuate, discriminate e riconosciute dalle nuove metodologie molecolari (“fingerprinting”), sono circa un centinaio, metà delle quali mele, alcune di grande rilevanza storica (per es. Panara rossa e gialla, Garofana, Ghiacciola, Limoncella, Cipolla, Calvè, Arpiona); 32 sono pere (Campana, Cova, Curato, Lardaia, Sanguinella, ecc.) e 14 ciliegie (Corniola, conservata dai monaci camaldolesi, Marchiana o Napoletana, Morellina, Ciliegia Bianca, tipica toscana secondo Gallesio, Palumbina, una visciola). Di ciascuna varietà si riporta, con le foto dei frutti, una scheda descrittiva, l’areale di coltivazione, osservazioni etnobotaniche, ma anche la valutazione dell’attività antiossidante dei frutti; davvero un libro utile per gli appassionati delle varietà del passato. S. Sansavini L Fruttificazione di Ramassin. Fasi della raccolta di Ramassin nel Cuneese; i teli sospesi servo a ridurre i danni meccanici al momento del distacco dei frutti. Frutti in cestini da 500 g in vendita presso i mercati locali. durata della cascola pre-raccolta è di 10-15 giorni, secondo le condizioni meteorologiche. La raccolta avviene nella seconda e terza decade di luglio, seguendo le fasce altimetriche di coltivazione. Storia e distribuzione sul territorio Le Ramassin sono un endemismo del Piemonte Sud-Occidentale con tracce di presenza anche nella Riviera di Ponente (Gallesio, in Pomona italiana, Pisa 1817-1839) e in Provenza. Le varianti dialettali in lingua piemontese “Dalmassìn” (Monregalese), “Darmassìn”, “Gramassìn” (Cebano), fino a “Ramassìn” (Saluzzese e Cuneese) sono trasformazioni del latino (medioevale) Prunus damascenus, cioè susino di Damasco – damaschino. La distribuzione territoriale, che corrisponde alle aree delle incursioni saracene del IX e X secolo, induce a ritenere che questa varietà sia stata introdotta dal Medio Oriente nell’alto Medioevo, una delle tante tracce della cultura e della civiltà araba nel Piemonte meridionale, al 24 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 Derivati artigianali del Ramassin. pari di numerosi toponimi, cognomi e altri vocaboli. Più azzardato trovare una corrispondenza varietale, se non nel nome, tra le Ramassin e le Pruna damascena citate da Plinio e più tardi – nel IV secolo – da Rutilio Palladio, che nel De re rustica ne descrive l’attitudine all’essiccazione non dissimile da quella dell’attuale varietà (“Pruna damascena… siccantur in sole per crates loco sicciore disposita. Haec sunt quae Damascena dicuntur” = “vengono fatte seccare al sole disposte su graticci in posti asciutti: queste sono le susine chiamate damaschine”). Noccioli di questa specie di susino (“Damson” in inglese) sono stati trovati durante scavi archeologici in corrispondenza di accampamenti romani in Inghilterra e in varie parti d’Europa. Testimonianze riguardanti le prime forme di coltivazione di Ramassin in Piemonte si trovano negli archivi di alcuni comuni intorno a Saluzzo. La Valle Bronda diviene fin da subito un importante centro produttivo e commerciale del prodotto, tanto che nel periodo di raccolta si tenevano ogni sera due mercati completamente dedicati alle Ramassin: uno nel co- mune di Pagno e l’altro nel comune di Saluzzo, in Frazione S. Lazzaro. La varietà è oggi presente sotto forma di piante sparse su gran parte del territorio della provincia di Cuneo. Canali di commercializzazione e percorsi di valorizzazione e tutela Oltre al diffuso e tradizionale consumo domestico, le Damaschine vengono oggi commercializzate sui mercati all’origine (il mercato della piazza di Pagno è il più rinomato), ma anche veicolate dalle OP piemontesi verso la grande distribuzione organizzata, spesso attenta a segmentare e ampliare l’offerta con “prodotti del territorio”. La produzione, nelle annate di pieno carico, si attesta intorno a 800 t, su una superficie ragguagliabile a 50-60 ettari. Un’altra area tipica e tradizionale di coltivazione è il Monregalese, nella fascia pedemontana tra Bastia e Villanova Mondovì. Anche qui nel 2006 è nato il Consorzio “Dalmassin del Monregalese”, che raccoglie una decina di produttori, con una produzione di circa 80 t/anno. Q Tecnica SPECIALE SUSINO E ALBICOCCO L’albicocco negli ambienti meridionali: serve un’attenta programmazione LUIGI CATALANO(1) - CARMELO MENNONE(2) (1) (2) Agrimeca grape and fruit consulting, Turi (Ba) AASD Pantanello - Alsia Regione Basilicata - Metaponto (Mt) La Basilicata rimane una delle principali regioni italiane per la coltivazione intensiva dell’albicocco, ma per le minacce fitosanitarie della Sharka rischia un drastico ridimensionamento. Cresce la Puglia, dove la specie sta diventando una valida alternativa all’uva da tavola in termini di capacità produttiva e redditività per le imprese. L’ albicocco, tra le drupacee, è specie in controtendenza in termini di superfici e produzioni. La tabella 1 illustra l’incremento delle superfici di circa il 17% avvenuto durante il decennio 2001-2011. A livello regionale, la maggior parte della produzione è concentrata in solo 3 regioni, Emilia-Romagna, Campania e Basilicata. Se nelle prime due, ritenute da sempre regioni storiche per la coltura, si è avuto un decremento di circa il 5%, in Basilicata negli ultimi 10 anni si è avuta la triplicazione delle superfici coltivate. I dati statistici disponibili non appaiono veritieri se riferiti alla Puglia, dove negli ultimi 5 anni la superficie investita ha subito un forte incremento, con una stima di circa 1.200 ha. Tale situazione è dovuta allo spostamento del prodotto dalla destinazione industriale al mercato fresco, alla selezione di nuove tipologie di frutti con requisiti estetici, organolettici, di consistenza e serbevolezza superiori a quelli del passato, che hanno riscosso l’interesse dei frutticoltori per la maggiore redditività della coltura, 26 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 TAB. 1 - REGIONI ITALIANE PIÙ IMPORTANTI PER LA PRODUZIONE DI ALBICOCCO (CONFRONTO DECENNALE) Regione Superficie totale (ha) Anno 2001 Anno 2011 Incidenza Produzione Superficie (%) totale (q) totale (ha) Incidenza Produzione (%) totale (q) 972 5,8% 97.989 1.040 5,3% 91.268 Emilia Romagna 5.150 30,6% 714.874 4.942 25,1% 675.919 Campania 5.383 31,9% 49.435 4.801 24,4% 85.9310 Basilicata 1.528 9,1% 244.320 4.763 24,2% 564.504 Puglia 569 3,4% 65.732 700 3,6% 113.720 Sicilia 776 4,6% 9.833 692 3,5% 8.096 Altre 2.458 14,6% 756.098 2.747 13,9% ITALIA 16.836 1.938.281 19.685 Piemonte ad una nuova logistica verso i mercati di consumo distanti dai luoghi di coltivazione. In Basilicata la coltivazione dell’albicocco ha avuto inizio negli anni’70 con l’introduzione di varietà di origine campana che meglio si adattavano tanto alle condizioni ambientali, quanto alla destinazione del prodotto per la trasformazione industriale. L’epicentro dello sviluppo è stato nei comuni di Rotondella e Policoro che, ancora oggi, rappresentano i maggiori centri di coltivazione per questa specie. L’incremento dell’ultimo decennio deriva sia dal forte interesse commerciale per questa specie, sia dalle adeguate condizioni pedoclimatiche che consentono il conseguimento di uno standard produttivo quanti-qualitativamente rilevante. In Puglia, negli ultimi 5 anni si è assistito ad un fortissimo incremento dell’interesse verso l’albicocco, sia per le buone performance assicurate dalla coltivazione sulle terre rosse che poggiano su banchi di pietra calcarea tipiche dell’altopiano delle Murge, sia per la necessità di riconvertire parte 332.469 2.735.286 dei terreni destinati ad uva da tavola che sta attraversando congiunture commerciali negative. Questa espansione interessa aree storiche della frutticoltura pugliese (a Nord le zone della Valle dell’Ofanto – Canosa, San Ferdinando di Puglia, Ortanova, Cerignola), le aree costiere del Nord barese, e infine i nuovi territori dell’altopiano murgiano e del Sud-Est barese. La scelta di varietà e portinnesti L’esigenza di cambiamento ha determinato una “corsa” alle nuove varietà, con l’introduzione di cultivar selezionate in areali con condizioni climatiche molto differenti da quelle meridionali, con comportamento vegetativo differente dalle varietà tradizionali e quindi meritevoli di essere preventivamente valutate e gestite con approcci tecnici completamente nuovi. L’introduzione dei genotipi sovraccolorati ha introdotto il nuovo problema di una corretta determinazione dell’epoca di raccolta considerato che in molti casi, allettati dalle buone quotazioni, si tende a raccogliere con molto anticipo, quando i frutti sono all’inizio invaiatura, adottando criteri traslati dalle vecchie varietà tradizionali. Così si penalizzano numerose varietà che vengono mal giudicate per insufficienti qualità organolettiche, sorvolando sul fatto che il colore di fondo della buccia dell’albicocco a maturazione è giallo e non di diverse sfumature di verde. Pensare alla formulazione di carte colorimetriche appare improbabile in considerazione della veloce evoluzione varietale. Sono quindi indispensabili le note tecniche del costitutore e la messa a punto di strumenti di facile utilizzo, come il DA-Meter, che possono essere di grande aiuto. L’attenta valutazione delle esigenze fisiologiche, come il fabbisogno in freddo ed in caldo, di quelle genetiche, come l’autocompatibilità, costituiscono invece la base per evitare insuccessi produttivi sempre possibili con una specie così poco plastica per adattabilità come l’albicocco. La delimitazione di aree omogenee rispetto alle ore di freddo e di caldo da parte dei centri di sperimentazione, oltre alla determinazione dei fabbisogni delle singole cultivar, costituirebbe un valido supporto alle scelte del frutticoltore. Approccio che si può estendere alla scelta degli impollinatori più idonei per ogni specifica varietà. Altro aspetto riguarda i portinnesti, considerata la generalizzata proposizione del Mirabolano 29C che è indubbiamente un soggetto valido e versatile per la specie. Facile nella moltiplicazione attraverso la micropropagazione “in vitro”, di sicuro non rappresenta la migliore soluzione in tanti ambienti di coltivazione meridionale, laddove nei primi impianti in Basilicata e nella “storica” frutticoltura campana sono stati utilizzati franchi di pesco. Nei terreni vergini e ben drenati i franchi di pesco Missour e Montclar®Chanturgue o quello di albicocco Manicot assicurano standard qualitativi migliori rispetto al mirabolano e alle sue selezioni. Altra grande potenzialità espressa e da verificare nelle diverse combinazioni e in più ambienti deriva dall’utilizzo di portinnesti di Prunus domestica come Tetra e Penta. Il panorama varietale coltivato Il calendario di maturazione in Basilicata inizia intorno al 25 aprile 28 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 Il ruolo del settore vivaistico on va sottaciuto che il settore vivaistico nazionale vanta un’eccellente disponibilità di varietà registrate nell’ambito del Servizio nazionale di certificazione volontaria del Mipaaf, ricco di un numero di accessioni in grado di coprire tutto il calendario di maturazione (121 fonti primarie di 107 differenti varietà ed oltre 25 portinnesti idonei per l’albicocco). Tutte le accessioni sono accertate per la corrispondenza varietale e sono certe anche sotto il profilo sanitario ed alimentano il processo di certificazione del materiale di propagazione dell’albicocco nel nostro Paese. Anche nel caso di varietà datate e consolidate, proprio perchè provenienti da selezione genetico-sanitaria, esprimono caratteri migliorativi che hanno superato le iniziali diffidenze dei frutticoltori. Utilizzando questo materiale si opera altresì in maniera attiva e reale la prevenzione verso l’introduzione e diffusione di pericolosi organismi nocivi che rischiano di compromettere in maniera definitiva l’albicocchicoltura nazionale. Q N 2014: problemi produttivi per il mancato soddisfacimento del fabbisogno in freddo l momento di consegnare alla Redazione la presente nota, la campagna 2014 negli areali di coltivazione meridionali lascia trasparire tinte fosche per i volumi produttivi insufficienti rispetto alle aspettative, specie se correlati alla superficie investita. Sono sul banco degli imputati di tale situazione gli eventi climatici sfavorevoli, sia per la mancanza di ore di freddo accumulate durante il riposo vegetativo invernale, sia per gli andamenti delle A con Ninfa coltivata in ambiente forzato e con tecniche colturali specifiche; continua poi con la stessa varietà in pieno campo, cui seguono Bora*, Carmentop ®CarmenPop*, A. Errani, Bella d’Imola, Bella d’Italia, Precoce d’Imola, Orange Rubis®Couloumine* (la più impiantata degli ultimi anni, con frutti sovraccolorati e di buon sapore, anche se va gestita bene la raccolta in quanto tende a macchiarsi, aspetto che la rende idonea per le filiere corte in termini logistici). Le vesuviane Cafona, Vitillo, S. Castrese, Palummella, Portici, Pellecchiella, Boccuccia, con buon sapore e caratteri estetici tradizionali, non sono più in cima alle preferenze del mercato; solo Portici e Pellecchiella rispettano gli attuali canoni, anche per la buona predisposizione alla trasformazione industriale. In ultimo, Kioto, autofertile, che presenta frutti molto sovraccolorati e di sapore discreto, ha avuto una buona diffusione nei campi commerciali, con risultati interessanti da un punto di vista produttivo, ma questo anno, con basso numero di ore temperature nelle primissime settimane dell’anno, che hanno avuto i connotati di una lunga primavera senza i rigori tipici della stagione. A ciò si sono aggiunte nebbie e piogge concentrate proprio nel periodo della fioritura. Il frutticoltore assiste a ciò confuso, deluso e consapevole che un’altra campagna negativa può compromettere definitivamente l’economia della propria azienda, specie nella congiuntura difficile che viviamo. Q di freddo, ha tradito le aspettative dei frutticoltori. In Puglia, nelle zone alte e “fredde” del Sud-Est barese, si è avuta un’importante diffusione delle varietà tardive del gruppo Carmingo® con Farbaly, Fardao e Farclo, mentre, nel periodo precoce ottimi risultati si stanno avendo con Primius e Mediabel. Le nuove introduzioni L’introduzione di nuove varietà necessita di osservazioni pluriennali; allo scopo è fondamentale il lavoro svolto dai centri di sperimentazione pubblica, ma anche dalle osservazioni effettuate in campi commerciali-catalogo dove su poche varietà è possibile mettere a punto anche una tecnica colturale appropriata. La completezza di giudizio è legata ai tempi di valutazione, almeno 4-5 anni, per verificare il comportamento in differenti condizioni climatiche (ore di freddo, umidità dell’aria, ecc.), ma spesso la forte pressione nell’introduzione delle nuove varietà porta ad Mogador*, varietà selezionata in Spagna, a basso fabbisogno in freddo. Frutti di Wondercot*, con evidente presenza di umbone. Particolare della produzione di Tsunami*® (EA 5016 cov), autoincompatibile, interessante per l’epoca di maturazione. Particolare della produzione di Flopria*, varietà autofertile e a basso fabbisogno in freddo. Particolare delle produzione di Orange Rubis®Couloumine*, la varietà più impiantata negli ultimi 5 anni nel Sud Italia. Kioto*, auto-compatibile, ad elevato fabbisogno in freddo, con frutti con caratteri moderni. una forte diminuzione di questi tempi di valutazione con rischi oggettivi di insuccessi produttivi. Molte delle nuove introduzioni sono auto-incompatibili, per cui si rende indispensabile l’abbinamento di adeguati impollinatori, che variano rispetto alle diverse zone. Rispetto alle esigenze in ore di freddo, negli ultimi anni sono state introdotte varietà a basso e/o ridot- 30 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 to fabbisogno (Mogador, Margotina, Colorado, Flopria, ecc.), con fioriture precoci, la cui completa valutazione è in corso, anche se alcuni aspetti risultano ormai acquisiti. Per Mogador si riscontra una sensibilità alla spaccatura dell’apice, riscontrata anche con stagioni primaverili non particolarmente umide e piovose; Wondercot*, auto-incompatibile, presenta frutti dolci e aromatici, ma tra i punti deboli si riscontrano la maturazione all’apice del frutto, la cascola pre-raccolta e il “cracking” nelle annate piovose, nonché la frattura dell’apice del nòcciolo. Nella stessa epoca sono state introdotte altre varietà come Tsunami*, autoincompatibile, che per produrre va ben impollinata, e che può talora presentare un’imperfetta saldatura della linea di sutura. Per Pricia* e Banzai*, autofertili, introdotte da pochi anni, Emergenze fitosanitarie emergenza fitosanitaria causata dal virus della Sharka (PPV – vaiolatura del susino) in alcune aree della Basilicata sta determinando l’impossibilità di coltivare diverse specie di drupacee. La Sharka è ormai presente non solo con il ceppo PPVD, che risulta in un certo senso contenibile e gestibile, visto il suo lento andamento epidemiologico e la sua minore trasmissibilità da parte degli afidi vettori, ma è ormai ampiamente diffuso e prevalente anche il ceppo PPV-M che è trasmesso molto velocemente dagli afidi e causa danni ingentissimi. A tale situazione si è arrivati poiché sia le Istituzioni preposte, sia le attività vivaistiche e i frutticoltori, hanno sottovalutato il rischio e non hanno attivato con la dovuta celerità e fermezza i piani di monitoraggio ed eradicazione della malattia, tra l’altro previsti dai decreti di lotta obbligatoria emanati dal Mipaaf. Ma questa problematica va estesa all’intero territorio nazionale, laddove per ragioni legate al regionalismo più becero e poco lungimirante, quando si è continuato ad autorizzare l’attività vivaistica anche in distretti fortemente infetti da PPV, ritenendo alquanto ipocritamente che le “misure ragioneristiche” delle distanze minime da rispettare per la costituzione dei vivai in vicinanza di focolai di Sharka, potessero da sole essere sufficienti a garantire la sanità delle produzioni da un patogeno con un simile andamento epidemiologico. Eppure esistono esempi di attività vivaistiche delocalizzate rispetto alla sede legale del vivaio, ad esempio il melo, che dimostrano come simili provvedimenti, purché gravosi per chi li subisce, sono attuabili anche in Italia, assicurando materiale vivaistico di qualità e garantito. Pertanto, anche operando nel rispetto delle norme obbligatorie e volonta- L’ rie, in alcune zone è ormai arduo se non impossibile garantire la sanità dei materiali prodotti. Altra criticità è il livello di qualificazione improprio come il “Bollino blu” (gli unici livelli ufficiali riconosciuti dalla legge sono la C.A.C. – Conformitas Agraria Communitatis e la certificazione volontaria), che se da un lato ha risolto l’aspetto della tracciabilità del materiale vivaistico funzionale alla realizzazione dei programmi operativi nell’ambito dell’OCM frutta, non certo ha garantito la sanità del materiale. A testimonianza di ciò vi sono le innumerevoli intercettazioni di piante infette da PPV pur se contraddistinte da cartellini ufficiali attestanti la loro categoria, ma provenienti da zone vivaistiche contaminate. Anche i frutticoltori non sono scevri di responsabilità considerato che in molti casi, pur di non pagare le “royalty” gravanti sulle novità varietali, hanno indebitamente prelevato marze da campi non controllati ed in zone fortemente infette. In Puglia, dove il programma di monitoraggio è al 26° anno di attuazione, la diffusione della Sharka era stata finora scongiurata grazie alla pronta eradicazione di qualche focolaio rilevato nel corso degli anni. In alcune zone fortemente vocate alla coltura la situazione è ormai scappata di mano perché di fatto non c’è un freno alla libera circolazione dei materiali di propagazione. Sarebbe auspicabile che gli organi preposti delimitassero il territorio, laddove sia ancora possibile, per definire areali indenni dalle infezioni in cui si potrà pianificare l’esecuzione di nuovi campi di drupacee con sufficienti garanzie di medio-lungo periodo. Q Particolare della fruttificazione di Faralia. Pianta di Primius*, interessante per la precocità di maturazione. resta da verificare l’adattabilità ai diversi ambienti di coltivazione. Rubistà*, autofertile, presenta frutti molto colorati, con colore che tende al viola, molto dolci; ancora da confermare la produttività e la risposta del mercato a frutti totalmente diversi anche dagli 32 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 standard commerciali introdotti negli ultimi anni. Nei campi commerciali è da 5 anni introdotta l’autofertile Flopria*, selezionata a Murcia in Spagna; le indicazioni sono positive per la produttività, discreto il sapore dei frutti, anche se a volte presentano una leggera rugginosità. Per gli aspetti produttivi è stato riscontrato un comportamento positivo per Flavorcot®Bayoto*, di ottimo sapore, che è risultata tra le migliori varietà attualmente in valutazione. Il calendario tardivo inizia con Pieve, di discreta produttività, anche se i frutti hanno piccola pezzatura, ma di ottime caratteristiche organolettiche, con maturazione a cavallo tra giugno e luglio. Di particolare interesse è la produzione molto tardiva che inizia con Faralia, con frutti di sapore interessante; a seguire, dopo circa tre settimane, si raccoglie Farbaly, molto produttiva, da diradare con cura, con frutti di aspetto discreto e di buon sapore; chiudono questa fase Fardao, Farclo e Farius, accomunate da frutti di buon sapore, più o meno sovraccolorati, particolarmente resistenti alle temperature estive che consentono una buona tenuta sulla pianta. In questo modo il calendario di produzione in questi due areali parte da fine aprile in coltura forzata e termina a fine agosto, passando da 60 a 120 giorni di offerta. Le varietà resistenti a PPV Nelle aree vocate, in cui insistono focolai di Sharka, un aiuto potrà venire dalla disponibilità di nuove varietà che mostrano resistenza o tolleranza a questo virus, su cui stanno lavorando numerosi “breeder” a livello internazionale. È bene sottolineare che queste varietà in molti casi non esprimono sintomi sui frutti, che risultano essere commerciabili benché le piante risultino infette, rendendole così “portatori IPS, albicocche di qualità, ma non solo PS (International Plant Selection) è un’azienda, con sede a Montélimar (nel Sud della Francia), fondata e ancora oggi diretta dalla famiglia Darnaud, specializzata esclusivamente in drupacee: ciliegie, pesche, nettarine, albicocche e susine. Il ruolo di IPS é di selezionare le migliori varietà lavorando in collaborazione con alcuni dei più autorevoli breeder mondiali: Zaiger Genetics in California (pesche e nettarine), Plant Improvement Corporation (PICO) a Summerland in Canada (ciliegio), M.F. Bois in Francia per le albicocche. La gamma di albicocche Carmingo® selezionate dal Dr. Bois ha la particolarità di ampliare il calendario di produzione e commercializzazione da maggio a settembre. Le caratteristiche dominanti sono l’auto-fertilità e le migliori qualità organolettiche. Per l’epoca precoce, una delle nuove varietà da valutare è Pricia®, con un bel sovraccolore rosso, senza difetti dell›epidermide e con una buona tenuta. In questo periodo di forte concorrenza IPS offre una varietà valida Pricia (sin.) e Mediabel, due belle albicocche precoci della serie Carmingo®. per il mercato europeo e sviluppa campi di maturazione molto precoce. Infine, per quanto attiene il ciliegio, sperimentazione in tutta Europa per organizzare incontri e presentazioni varietali. A tale scopo IPS ha dal 1962 IPS ha la licenza Europea per le varietà ottenute dal recentemente “arruolato” Edwige Remy, da tempo nota anche Centro di ricerca di Summerland (Canada); i genotipi selezionati in Italia per le competenze nel settore delle albicocche e la sua hanno calibro importante, buona consistenza e, soprattutto, sofamigliarità con la lingua italiana (ndr). no quasi tutti auto-fertili. Fra le varietà più significative figurano Affianca le albicocche Carmingo® una gamma di pesche-net- Skeena®, Satin®, Samba® e Sweetheart® che hanno fatto regitarine di F. Zaiger caratterizzata da elevata omogeneità, buona strare un notevole sviluppo in Europa negli ultimi anni. pezzatura e produttività, forma sferica con un bel colore rosso Con lo sviluppo delle varietà in Europa IPS intende rinforzare sulla quasi totalità del frutto e polpa con una elevata consistenla vigilanza sul mercato per scongiurare il contrabbando varieza. Per quanto riguarda il sapore, i frutti hanno eccellenti qualità tale; l’obiettivo è che tutti operino in modo legale (pagando le organolettiche. Dopo il successo di Big Top®, varietà numero uno in Europa, IPS propone la gamma delle nettarine Honey “royalty”) per permettere ai breeder di continuare il loro lavoro Zee® per ora prodotte e commercializzate in esclusiva dalle or- di miglioramento genetico e trovare le risorse per selezionare le ganizzazioni di produttori che hanno costituito la Soc. Newplant. migliori varietà per i frutticoltori. Afferma la famiglia Darnaud: IPS offre anche varietà californiane di susino che maturano “un produttore contento delle nostre varietà è la migliore pubblida metà giugno a metà settembre; la caratteristica dominante cità che possiamo avere”! della gamma è la buona tenuta e le buone qualità organolettiEdwige Remy che. Le più distribuite sono Crimson Glo (-10gg Fortune), con polpa rossa, ed Earliqueen, molto interessante per l›epoca di Research and Development International Plant Selection I sani” della Sharka, un aspetto che va ben valutato in zone ancora indenni; tale risorsa va gestita con precise strategie. Innanzitutto bisogna essere consapevoli che la disponibilità di germoplasma resistente non è garanzia di successo agronomico e commerciale, in quanto necessita di una sperimentazione in campi di confronto varietale per verificare l’adattabilità alle condizioni pedoclimatiche dei diversi areali di coltura, verificando il gradimento da parte del mercato e dei consumatori. Inoltre, ci deve essere la consapevolezza che la resistenza non sempre è definitiva, in quanto PPV è un patogeno che muta facilmente adattandosi velocemente alle condizioni che trova 34 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 e selezionando naturalmente nuove varianti del virus. La prima varietà ad essere commercializzata in Italia è stata Bora*, costituita dal prof. Bassi, a maturazione precoce, con epoca di fioritura intermedia, frutti di grossa pezzatura e un colore aranciato intenso, polpa di buona consistenza e dolce. Questa varietà è ben diffusa e sta offrendo discreti risultati. Negli ultimi anni sono state introdotte le varietà resistenti a PPV, selezionate in Spagna dal Cebas di Murcia, Mirlo Blanco, Mirlo Rojo e Mirlo Naranja, che presentano autocompatibilità e maturazione precoce, quasi tutte nel mese di maggio. Attualmente non si hanno dati sufficienti sul comportamento negli ambienti meridionali; bisognerà verificare l’eventuale esigenza di copertura per proteggerle da ritorni di freddo e le caratteristiche dei frutti. Di altre varietà, sempre di origine spagnola, costituite dall’IVIA di Valencia, si conoscono Mioxent, IVIA-Alba-69, IVIA Alba-8, IVIA-Alba-71, ma, così come per la francese Aramis®Shamade, costituita dall’INRA, non si ha ancora alcun dato negli ambienti di coltivazione nostrani. Sarebbe auspicabile che le nostre istituzioni, nazionali e regionali, finanziassero attività di ricerca e sperimentazione volte all’ottenimento di varietà resistenti, in modo da offrire ai nostri frutticoltori genotipi selezionati nei nostri ambienti colturali. Q Tecnica SPECIALE SUSINO E ALBICOCCO Emma e Gemma , nuove cultivar di albicocco per l’epoca medio-precoce ® ® DANIELE BASSI(1) - STEFANO FOSCHI(2) - MARTINA LAMA(3) Università degli Studi di Milano CRPV (Cesena, Fc) Martina Lama – ASTRA Innovazione e Sviluppo (Faenza, Ra) (1) (2) (3) Il panorama varietale si arricchisce di due nuove proposte caratterizzate da autofertilità, qualità e serbevolezza dei frutti. Si allarga il confronto con le nuove varietà francesi e spagnole. I l programma di miglioramento varietale di albicocco e pesco oggi denominato MAS.PES, vede le sue origini presso l’Università di Bologna tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’90 del secolo scorso, ha vissuto una serie di cambiamenti, sfociati nell’attuale assetto che risale al 2003. In passato è stato finanziato, oltre che dal Mipaaf e dal CNR, anche dalla Regione Emilia-Romagna e da alcune Fondazioni Bancarie romagnole, mentre è attualmente sostenuto in larga misura da alcune organizzazioni di produttori (OO.PP.). L’attività si svolge sotto la responsabilità scientifica dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con quelle di Bari, Bologna e Udine, oltre che col Polo Tecnologico di Lodi, PRECOCE MEDIO PRECOCE EPOCA DI FIORITURA MEDIO INTERMEDIA TARDIVA l’azienda sperimentale ASTRA Innovazione e Sviluppo di Faenza (Ra), ed il coordinamento del CRPV di Cesena. Gli obiettivi sono mirati all’ottenimento di cultivar di albicocco e pesco per l’Emilia-Romagna, valorizzando i caratteri di adattamento ambientale (costanza produttiva e resistenza alle minime termiche), qualità dei frutti e resistenza ad alcune malattie (come la virosi Sharka nell’albicocco e nel pesco, l’oidio ed i marciumi da moniliosi nei frutti di pesco). Gli obiettivi specifici sono concordati con le OO.PP. al fine di rendere più efficiente l’ottenimento di gamme di cultivar di alto pregio. Il programma integra tecniche tradizionali (effettuazione di incroci, allevamento in campo degli alberi e relativa selezione agronomico-pomologica) e tecniche di selezione su base genomica. Per quanto riguarda l’albicocco, nel recente passato il progetto ha fatto registrare significativi successi: basti ricordare Ninfa* e Bora®, coltivate in tutte le aree del territorio nazionale, ed entrambe adatte anche alla coltivazione protetta, ed il più recente licenziamento di Pieve* e Petra®, molto apprezzate per le pregevoli caratteristiche organolettiche dei frutti. Per il raggiungimento degli obiettivi prefissati si è fatto ricorso sia ad accessioni italiane (in particolare Portici e Reale di Imola per la qualità del frutto), sia ad accessioni Nord americane, in particolare quelle ottenute presso le stazioni di ricerca di Prosser (Stato del Washington) e di Harrow (Canada). Per il materiale dell’Università di Prosser si menziona Goldrich, mentre da Harrow proviene la serie delle cultivar che inizia con ‘H’, tra cui Harcot, HW408, ecc. Il materiale nord-americano è di grande interesse perché abbina la buona qualità del frutto (lento intenerimento, uniformità di maturazione, sapore) alla resistenza al PPV, virus responsabile della Sharka. Unico neo di questo materiale genetico è la scarsa o nulla auto-compatibilità biologica dei fiori, che rende spesso aleatoria la produttività. Viceversa, il materiale genetico di origine italiana è caratterizzato da piena fertilità. Le due nuove cultivar derivano entrambe da incroci che assommano i pregi dei due patrimoni genetici. In Emma troviamo infatti ‘sangue’ di Portici, mentre in Gemma quello di Reale di Imola. Per quanto riguarda la resistenza a PPV, Emma ha come madre Bora®, coltivata su un’estensione di alcune centinaia di ettari da ormai una decina di anni (sia in Romagna, sia FENOGRAMMA DI MATURAZIONE TARDIVA BORA EMMA ORANGE RUBIS GEMMA GOLDRICH KIOTO PIEVE PORTICI GIUGNO LUGLIO 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 1 2 3 4 6 7 8 9 10 Fig. 1 - Periodi di fioritura e date di maturazione medie di Emma e Gemma a confronto con le principali cultivar commerciali della medesima epoca. 36 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 Fig. 2 - Alberi di Emma (sin.) e Gemma (ds.), rispettivamente in piena e ad inizio fioritura. Emma® Origine genetica: ottenuta nel 2003 dall’incrocio di Bora® {Early Blush (NJ A53) x PA 7005-2 [Rival x (Goldrich x P A43)]} x Portici e selezionata presso l’azienda sperimentale Astra-Innovazione e Sviluppo (Faenza, Ra) come BO 03613001. Costitutori: Daniele Bassi, Università degli Studi di Milano; Stefano Foschi e Marisa Rizzo (CRPV, Cesena, Fc). Albero: presenta una fioritura precoce e generalmente abbondante; i fiori sono auto-compatibili. Il vigore è elevato ed il portamento è regolare-assurgente, con la produzione, elevata e costante, distribuita prevalentemente su dardi e rami misti. L’entrata in produzione è precoce e la maturazione in Romagna precede di circa 10 giorni Kioto. TAB. 1 - PRINCIPALI PARAMETRI CHIMICO-FISICI DEL FRUTTO(1) Cultivar Peso Anno medio (g) Durezza polpa (kg/cm2) Brix Acidità (°) (meq/100 g) pH Emma® 2011 50 1,0 14,0 30,0 3,35 Kioto* 2011 55 1,6 11,6 31,2 3,33 2012 51 1,0 15,4 32,0 3,38 Emma ® (1) Campioni proveniente da zona collinare non irrigua (Imola, Bo). Determinazioni di laboratorio effettuate da ASTRA Innovazione e Sviluppo (Faenza, RA). Panel-test, descrittori gustativi (fonte: Astra Innovazione e Sviluppo). Panel-test, giudizi di gradevolezza globale (fonte: Astra Innovazione e Sviluppo). Frutto: è di pezzatura media e forma oblunga, leggermente asimmetrica, con apice e sutura leggermente incavati; la buccia è di colore giallo-aranciato con sovraccolore rosso sul 30-40% della superficie. Il nocciolo è spicco, ovato, con carena mediamente pronunciata. La valutazione organolettica effettuata dal panel riporta una maturazione uniforme non soggetta a disfacimento interno, di ottimo sapore, aromatico, nonostante la buccia sia piuttosto acida. Giudizio complessivo: interessante per l’epoca di maturazione precoce e le pregevoli caratteristiche organolettiche (aroma e sapore) del frutto. Discreta la pezzatura, buona la tenuta in pianta. Autofertile, denota una precoce messa a frutto e un’adattabilità a diverse condizioni pedoclimatiche per l’areale emiliano-romagnolo vocate per l’albicocco. Q Particolare dei frutti di Emma. FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 37 Gemma® Origine genetica: ottenuta nel 2003 dall’incrocio di BO 92639060 (HW 408 x Reale d’Imola) x Orange Red® e selezionata presso l’azienda Sperimentale Astra Innovazione e Sviluppo (Faenza, Ra) come BO 03608022. Costitutori: Daniele Bassi (Università degli Studi di Milano), Stefano Foschi e Marisa Rizzo (CRPV, Cesena, Fc). Albero: presenta fioritura medio-tardiva e generalmente abbondante; i fiori sono auto-compatibili. Il vigore è medio-elevato ed il portamento è regolare-espanso, con la produzione, elevata e costante, distribuita prevalentemente su rami anticipati e dardi. L’entrata in produzione è media e la maturazione in Romagna precede di circa 4 giorni Kioto*. TAB. 1 - PRINCIPALI PARAMETRI CHIMICO-FISICI DEL FRUTTO(1) Cultivar Peso Anno medio (g) Durezza polpa (kg/cm2) Brix Acidità (°) (meq/100 g) pH Gemma® 2011 63 2,5 14,4 22,0 3,48 Kioto* 2011 55 1,6 11,6 31,2 3,33 Gemma® 2012 62 1,5 18,6 19,4 3,64 (1) Campioni proveniente da zona collinare non irrigua (Imola, Bo). Determinazioni di laboratorio effettuate da ASTRA Innovazione e Sviluppo (Faenza, RA). Panel-test, descrittori gustativi (fonte: Astra Innovazione e Sviluppo). Panel-test, giudizi di gradevolezza globale (fonte: Astra Innovazione e Sviluppo). Frutto: è di pezzatura medio-elevata e forma ovata-ellittica, leggermente asimmetrica, con apice sporgente (piccolissimo umbone); la buccia è di colore giallo-aranciato con sovraccolore rosso sul 30-40% della superficie, di sapore mediamente acido. Il nocciolo è spicco, ovato, con carena mediamente pronunciata. La valutazione organolettica effettuata dal panel riporta una maturazione uniforme non soggetta a disfacimento interno, di ottimo sapore, aromatico, nonostante la buccia sia piuttosto acida. Giudizio complessivo: cultivar molto interessante per le pregevoli caratteristiche organolettiche del frutto, molto bello all’aspetto e di sapore molto dolce e aromatico. Discreta la pezzatura, elevata la tenuta in pianta. Necessita di adeguata potatura per indirizzare la produzione verso i rami anticipati e i dardi. Q Particolare dei frutti di Gemma. in Puglia e Basilicata) senza che siano mai stati segnalati casi di attacchi di PPV; inoltre, recenti e approfondite indagini fanno ritenere questa cultivar probabilmente immune al virus. Gemma ® ha come padre Orange Red®, anch’essa portatrice del carattere di resistenza. Per entrambe le nuove cultivar non sono però ancora stati completati i saggi di resistenza, per cui non è ancora noto quale possa essere la loro reazione agli attacchi del virus. Il motivo principale per cui Emma® e Gemma® vengono proposte al mercato è il fatto che abbinano a buone caratteristiche agronomiche (produttività, 38 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 grazie anche alla piena fertilità fiorale e tenuta di maturazione), ottime peculiarità pomologiche (aspetto e qualità intrinseca, uniformità di maturazione), così come attestato dai saggi tramite panel test (effettuati dal laboratorio ASTRA-Innovazione e Sviluppo). Infatti, occorre tenere presente che in questa fascia di calendario che anticipa Kioto, estremamente interessante per il mercato dell’albicocca, non ci sono per ora altre cultivar che assommano tutti questi caratteri postivi, e la loro contigua epoca di maturazione si giustifica nell’ottica di una continuità di offerta di prodotto di elevato standard qualitativo. A riguardo della qualità intrinseca, sono risultate entrambe nettamente superiori a Kioto*, oltre alla pezzatura (Gemma®), sia in termini di contenuto zuccherino (Gemma® in particolare), sia di gradevolezza complessiva, compresa la componente aromatica. Da notare come nei due anni di valutazione qualitativa (2011 e 2012) i risultati del panel siano stati estremamente concordanti per entrambe le cultivar. Per quanto riguarda la diffusione commerciale, è stata avviata la richiesta di ‘privativa’ europea per entrambe. Maggiori informazioni possono essere richieste al CRPV di Cesena. Q Tecnica DOSSIER FRUTTA SECCA Cresce l’interesse mondiale per la frutta secca: la produzione italiana non soddisfa il fabbisogno CECILIA CONTESSA - ROBERTO BOTTA Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (DISAFA) - Università di Torino Secondo la FAO nel mondo vengono prodotti circa 14 Ml di t di frutta secca all’anno, con un incremento costante dell’offerta ed un mercato guidato prevalentemente da USA e Paesi asiatici. La tendenza all’aumento è dovuta anche alle campagne salutistiche intraprese per incentivare il consumo giornaliero di frutta secca, di cui è stato dimostrato l’alto valore nutraceutico. Rinnovato interesse anche in Italia per bilanciare le importazioni. L e specie di frutta a guscio coltivate in Italia sono il nocciolo, il mandorlo, il noce e, in minor misura, il pistacchio. In passato l’Italia primeggiava per le produzioni sul panorama internazionale; oggi si registra una forte contrazione dell’incidenza del prodotto nazionale sul totale mondiale. Nonostante la vocazionalità ambientale e l’eccellente qualità delle cultivar locali, tuttavia non sempre competitive per produttività e resa dello sgusciato, la produzione di frutta secca nel nostro Paese ha registrato incrementi significativi solo per il nocciolo. In generale, infatti, la produzione italiana fatica a seguire il trend mondiale, risultando inadeguata a soddisfare il fabbisogno interno. Questo è dimostrato dalle statistiche degli ultimi anni che pongono l’Italia tra i principali Paesi consumatori ed al contempo importatori di frutta secca al mondo. Nocciolo Secondo le statistiche ufficiali FAO, i Paesi produttori di nocciole a livello mondiale sono attualmente 30, sette in più rispetto al 2000. La 4.000.000 3.500.000 3.000.000 t 2.500.000 2.000.000 1.500.000 1.000.000 500.000 0 2003 2004 2005 Mandorle 2006 Noci 2007 2008 2009 Nocciole 2010 2011 2012 Pistacchi Fig. 1 - Trend mondiale (t) della produzione di mandorle, noci, nocciole e pistacchi in guscio dal 2003 al 2012 (fonte FAO, 2014). 40 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 produzione annua mondiale di nocciole in guscio si aggira attorno alle 872.000 t (media 2008-12, dati FAO 2014), 914.000 t nel 2012, il 35% in più rispetto al 2000. La produzione si concentra principalmente in due Paesi: al primo posto si pone la Turchia con 600.000 t/anno, al secondo l’Italia con 105.000 t/anno. Gli Stati Uniti si collocano al terzo posto con 33.000 t/anno, sostituendo la Spagna che negli ultimi dieci anni ha quasi dimezzato la sua produzione, registrando un continuo decremento della superficie investita (appena 14.000 ha censiti nel 2012, per una produzione pari a 14.000 t) che la pone all’ottavo posto nella statistica dei Paesi produttori. Agli Usa seguono Azerbaijan e Georgia con, rispettivamente, 30.000 t e 25.000 t annue prodotte. Azerbaijan, Georgia e Iran hanno incrementato significativamente l’output prodotto nel corso degli ultimi anni, a dimostrazione di un crescente interesse verso la corilicoltura. Inoltre, la coltivazione del nocciolo è stata introdotta in Paesi come Australia, Cile e Sudafrica. Complessivamente la diffusione della specie ha provocato un aumento della superficie coltivata salita nel 2012 a 600.000 ha, il 18,6% in più rispetto al 2002 (fonte FAO, 2014). L’incremento dell’offerta è cresciuto notevolmente nell’ultimo decennio, ma la disponibilità annua presenta comunque notevoli oscillazioni. Questo dipende dalle ampie fluttuazioni del raccolto da un anno all’altro e, soprattutto, dal variabile andamento della produzione turca. La Turchia domina il mercato mondiale a causa del volume di prodotto e dei bassi co- Cosa fa lo Stato per la frutta in guscio? e specie di frutta in guscio, meglio note come “frutta secca” e cioè nocciolo, castagno, noce, mandorlo, pistacchio e carrubo, non sono andate fuori moda, anche se in gran parte “fuori coltura”. Troppo poche, però, sono le iniziative ministeriali e pubbliche per far decollare, se non ridarne slancio, questo comparto per il quale l’Italia è ormai diventata grande importatrice. Il Mipaaf a suo tempo aveva costituito un “tavolo di filiera” per esaminare le problematiche di settore, facendosi propulsore e coordinatore di progetti di ricerca e sviluppo di iniziative incentivanti gli impianti, l’aggregazione dell’offerta e la promozione commerciale del prodotto. Molte erano state le speranze sollevate qualche anno fa da questa iniziativa. Ma la riunione del “Tavolo” tenutasi lo scorso marzo a Roma con i rappresentanti ed operatori del settore ha potuto prendere nota della situazione quasi disperata di una ripresa a breve, sia sul piano produttivo che su quello mercantile, per alcune di queste specie, come il L sti di produzione che le consentono di praticare sui mercati internazionali prezzi nettamente concorrenziali. Solo il 19% delle nocciole turche viene destinato al consumo interno, il restante 81% va all’esportazione, in particolare verso i Paesi dell’Ue. L’Italia esporta appena il 13,6% della produzione nazionale (media 200711, dati FAO 2014). L’area comunitaria rappresenta il mercato di destinazione in assoluto più importante, assorbendo una quota consistente, pari a circa il 68%, del volume delle importazioni mondiali annue complessive di prodotto nocciolo e il castagno (colpito fortemente da un parassita forestiero, il cinipide). Per le rimanenti quattro specie è stata compiuta un’ampia ricognizione, ma purtroppo, in generale, sono mancate le risorse finanziarie pubbliche per agire. Le poche risorse stanziate sono state finora assorbite dal “piano corilicolo” nazionale e dall’emergenza “cinipide” (castagno). I due piani ora sono scaduti e non sono stati rinnovati. È stata auspicata anche la costituzione di consorzi e di marchi commerciali, ma finora non s’intravvedono iniziative decisive al riguardo. Ci sono, tra l’altro, da rispettare le normative comunitarie per le OP, i disciplinari di produzione che mancano. La conclusione del tavolo è andata nella direzione di auspicare, almeno, provvedimenti-tampone attraverso i nuovi piani di sviluppo rurale delle singole Regioni in attesa che a livello nazionale si rifacciano “piani di settore” per le varie frutta in guscio, dotati di adeguate risorse finanziarie, che finora non sono state nemmeno promesse. Q sgusciato (195.000 t nel 2011) (fonte INC 2012); in particolar modo, la Germania, con 65.500 t, risulta il principale Paese importatore, seguito dall’Italia con 30.000 t e dalla Francia con 17.000 t (media 2007-11, dati FAO 2014). Per quanto concerne, invece, i Paesi consumatori, l’Italia si colloca sensibilmente al primo posto, sia per il consumo complessivo annuo (90.000 t/anno; media 200610, dati INC 2012), sia in termini di consumo medio annuo pro-capite di prodotto sgusciato (1,5 kg/anno; media 2006-10). L’Italia, inoltre, ha fatto registrare negli ultimi anni un note- Mandorlo Nocciolo USA (1.087.447 t; 46,9%) Spagna (220.026 t; 9,5%) Australia (139.949 t; 6%) Iran (127.054 t; 5,5%) Italia (105.640 t; 4,6%) Marocco (968.800 t; 4,2%) Siria (93.858 t; 4%) Altri (448.020 t; 19,3%) Noce N% N % &''$3 $3O3 P P""H P"H H. '#A #A,,+ +=3 4@% ,,"'? "'? Q)),-3 ,-3 3+-. - '' vole aumento dei consumi passando dalle 79.397 t del 2007 (1,34 kg/procapite) alle 103.250 t del 2011 (1,71 kg/pro-capite) (INC 2012). A livello nazionale la coltivazione del nocciolo è diffusa su tutto il territorio, ma la produzione si localizza essenzialmente in Lazio, Campania, Piemonte e Sicilia che, insieme, rappresentano circa il 92% del totale (dati medi 2007-11, fonte ISTAT, 2014). Il Lazio con 43.000 t/anno concorre per circa il 34% al raccolto italiano di nocciole. La produzione è costituita prevalentemente dai frutti della cultivar Tonda Gentile Romana, Turchia (598.158 t; 68,6%) Italia (104.576 t; 12%) USA (32.400 t; 3,7%) Azerbaijan (30.035 t; 3,4%) Georgia (25.020 t; 2,9%) Iran (20.833 t; 2,4%) Cina (19.700 t; 2,3%) Altri (41.080 t; 4,7%) Pistacchio Cina (1.289.572 t; 43,7%) Iran (434.049 t; 14,7%) USA (418.645 t; 14,2%) Turchia (180.775 t; 6,1%) Messico (95.766 t; 3,2%) Ucraina (91.992 t; 3,1%) Francia (32.761 t; 1,1%) Italia (11.900 t; 0,4%) Altri (402.207 t; 13,6%) Iran (456.827 t; 50,6%) USA (191.259 t; 21,2%) Turchia (118.382 t; 13,1%) Cina (58.200 t; 6,4%) Siria (56.872 t; 6,3%) Grecia (9.360 t; 1%) Italia (2.831 t; 0,3%) Altri (8.843 t; 1%) Fig. 3 - Principali Paesi produttori, quantità prodotte e percentuale sul totale mondiale (media 2008-12; FAO 2014) di mandorlo, noce, nocciolo e pistacchio. FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 41 Innovazione e sostenibilità per uscire dalla crisi della castanicoltura minaccia del cancro corticale, ormai endemizzato nel territorio castanicolo, negli ultimi 30 anni la coltura è stata sottoposta ad una serie di fattori di stress biotici e abiotici molto spesso collegati tra loro. Da circa 3 decenni il modificarsi progressivo del clima ha favorito la recrudescenza del Mal dell’Inchiostro, causato dall’organismo alieno invasivo Phytophthora cambivora, e ha aperto all’invasione della più temibile Phytophthora cinnamomi. Inoltre, il maldestro e scellerato commercio di materiale di propagazione ha causato, in questi ultimi anni, la devastante infestazione della vespa galligena, Dryocosmus kuryphilus, che ha oggi invaso l’intera area castanicola nazionale. La castanicoltura soffre inoltre eventi, sempre più frequenti, associati al cambiamento del clima così come certo non beneficia dell’eccessivo ricorso alla meccanizzazione causa di un impatto negativo sulla biodiversità vegetale, animale e microbiologica del suolo, nonché del compattamento del suolo. Castanea 2014, attraverso i contributi del mondo scientifico nazionale e non solo, sarà quindi l’occasione per fare il punto su questi temi “caldi”, aprire tavoli di confronto anche con gli attori dei territori e discutere per promuovere una vera gestione sostenibile e integrata dell’habitat castanicolo. A Viterbo, in settembre, Castanea 2014, VI Convegno Nazionale sul Castagno l rilancio e la valorizzazione della castanicoltura italiana non possono prescindere dall’aumento di competitività del castagno europeo nei confronti delle altre produzioni mondiali, essenzialmente asiatiche. La presenza del castagno in gran parte dei territori collinari e montani dell’arco prealpino e di tutta la dorsale appenninica testimoniano della multifunzionalità di questa risorsa che può essere considerata un valore strategico per l’economia agroforestale del nostro Paese. I boschi di castagno rappresentano una realtà paesaggistica unica e un patrimonio naturale da difendere e preservare. Questo patrimonio alimenta economie locali basate su prodotti tipici, cultura enogastronomica, attività agrituristiche e attività naturalistiche. Il castagno è parte della cultura e tradizione delle comunità locali e delle abitudini anche quotidiane. La castanicoltura ha garantito per secoli il presidio del territorio, la cura e la salvaguardia dell’ambiente e rappresentato una solida continuità territoriale, ecologica e di identità paesaggistica. Accanto alla castanicoltura tradizionale si sta sviluppando da anni una nuova castanicoltura da frutto, basata sui criteri e gli schemi classici della frutticoltura. Moderno impianto di ibrido euro-giapponese di castagno Purtroppo, superata la terribile in provincia di Cuneo. I t molto apprezzata per le caratteristiche qualitative, idonee alle esigenze dell’industria dolciaria. Sono presenti anche Tonda di Giffoni e Nocchione. Al secondo posto viene la corilicoltura campana, che con 39.500 t/anno fornisce il 31,6% della produzione nazionale. Le cultivar più diffuse so- no Mortarella e San Giovanni a frutto allungato, Tonda di Giffoni e Riccia di Talanico a frutto tondo. La produzione piemontese con 16.500 t/anno concorre per circa il 13% a quella nazionale. La coltura del nocciolo è localizzata nella zona della Langhe, in provincia di Cuneo, 160,000 150,000 140,000 130,000 120,000 110,000 100,000 90,000 80,000 70,000 60,000 50,000 40,000 30,000 20,000 10,000 0 2003 2004 2005 mandorle 2006 nocciole 2007 2008 noci 2009 2010 2011 2012 pistacchi Fig. 3 - Trend produttivo italiano (t) di mandorle, nocciole, noci e pistacchi. I dati si riferiscono al prodotto in guscio (FAO, 2014). 42 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 Giancarlo Bounous Universita di Torino Andrea Vannini Università della Tuscia - Viterbo Asti ed Alessandria con la Tonda Gentile Trilobata (sin. Tonda Gentile delle Langhe) come varietà di riferimento che costituisce il 97% degli impianti oggi presenti in regione. In Sicilia, invece, dove i corileti sono concentrati prevalentemente nel Messinese, le cultivar fanno riferimento ad un genotipo prevalente conosciuto con nomi varietali diversi, tra cui Mansa, S. Maria di Gesù, Comune e Nostrale, ed identificato come Nocchione o una sua mutazione. La produzione, stimata in circa 16.200 t/anno (media 200711), pari al 13% di quella nazionale, è considerata di minor pregio commerciale. La sua destinazione prevalente è quella della trasformazione locale e del consumo da tavola. La situazione mondiale vede quindi ancora una tendenza all’espansione della coltura, in particolare in Paesi emergenti, trend che si osserva anche in alcune regioni italiane sia per l’abbandono di altre colture, sia per la remuneratività che la corilicoltura consente nei contesti rurali collinari. 45.000 350.000 40.000 300.000 35.000 250.000 30.000 t 25.000 200.000 20.000 150.000 15.000 x1000 US$ 100.000 10.000 50.000 5.000 0 0 2002 2003 2004 import mandorle (t) import mandorle (US$) 2005 2006 import nocciole (t) import nocciole (US$) 2007 2008 2009 import noci (t) import noci (US$) 2010 2011 import pistacchi (t) import pistacchi (US$) Fig. 4 - Import italiano di mandorle, nocciole noci e pistacchi: quantità (t) e valore (US$). Per mandorle e nocciole i dati si riferiscono al prodotto sgusciato; per le noci e i pistacchi sia al prodotto in guscio che a quello sgusciato (FAO, 2014). Noce La produzione mondiale di noci in guscio è di circa 3.000.000 t/anno (media 2008-12, dati FAO 2014) ed è concentrata in Cina, Iran e Stati Uniti dove viene ottenuto rispettivamente il 43,7, il 14,7 e il 14,2% dell’intero prodotto. La restante quota è suddivisa tra Turchia (6%), Messico (3%), Ucraina (3%) e Francia (1%); tra i Paesi produttori di minor rilevanza rientra l’Italia, che si posiziona al diciottesimo posto nella classifica mondiale. Dal 1980 al 2012 il trend produttivo mondiale della noce da frutto ha registrato una forte e continua crescita sia per i quantitativi prodotti, sia in termini di superficie investita, riportando un incremento di produzione del 330%, con circa 3.400.000 t di noci in guscio ottenute nel 2012, ed un aumento della superficie nocicola del 470%, che ad oggi ha raggiunto il milione di ettari (dati FAO 2014). Gli USA, con 426.000 t di frutti prodotti nel 2012 e una superficie investita di circa 99.000 ha, concentrata essenzialmente in California, sono il principale Paese esportatore di noci a livello mondiale con un volume di circa 93.000 t/anno di prodotto in guscio e 67.000 t/anno di prodotto sgusciato, venduto principalmente sul mercato europeo, per un valore tota- le che si aggira attorno ai 700 Ml di dollari/anno (media export 2007-11). La Francia con 32.700 t/anno di noci prodotte (media 2008-12) è l’unico Paese europeo produttore con un significativo impatto commerciale, con un incremento della superficie investita a noce del 31% dal 2000 al 2012. La nocicoltura francese è localizzata in due zone principali, ‘Noix du Pèrigord’ e ‘Noix de GrenoblÈ (DOC), con cultivar di buona qualità, ma dalle rese inferiori rispetto alle varietà californiane. In Italia negli anni ’70 si producevano circa 80.000 t/anno di noci; in seguito la nocicoltura ha subito un ridimensionamento delle superfici in- Nocciola Day, l’Italia dei territori corilicoli er condividere con il grande pubblico i valori della nocciola italiana, l’Associazione Nazionale Città della Nocciola ha ideato il “Nocciola Day” che è andato in scena nel dicembre scorso nelle principali città italiane e nei 240 paesi italiani produttori di nocciole. Dalla Sicilia alla Campania, dal Lazio al Piemonte, dalla Lombardia alla Calabria, dalla Toscana all’Umbria, nelle principali regioni corilicole italiane sono stati organizzati numerosi eventi che avevano come protagonista la nocciola italiana: escursioni guidate nei sentieri della nocciola, weekend, menù dedicati nei ristoranti, bar e pasticcerie, stand gastronomici, laboratori sensoriali, convegni e mostre fotografiche. Per scoprire tutte le iniziative basta andare sul sito www.nocciolaitaliana.it. La nocciola italiana rappresenta un tassello fondamentale dell’economia agricola di alcune regioni come Campania, Lazio, Piemonte e Sicilia, dove è concentrato ben il 98% della produzione. Da un punto di vista qualitativo le nostre nocciole sono di gran lunga le più buone al mondo per valori nutrizionali ed organolettici. I dati dell’ultimo panel d’assaggio ufficiale della nocciola, svoltosi a Roma nel 2011, mostrano che le varietà italiane sono superiori rispetto a quelle estere per dolcezza e P persistenza olfattiva, caratteristiche particolarmente apprezzate nei prodotti dolciari. All’analisi sensoriale delle diverse cultivar testate le migliori nel gradimento complessivo risultano Tonda di Giffoni, Nocciola Piemonte, Nocciola dei Nebrodi e delle Madonie e la Nocciola Romana; alcune di queste si fregiano del marchio Igp o Dop. “Da sola o anche come ingrediente di snack, salse e dolci, la nocciola italiana rappresenta il cibo ideale per coniugare gusto e sana alimentazione”, ha dichiarato Rosario D’Acunto, Presidente dell’Associazione Nazionale Città della Nocciola. La nocciola, infatti, è costituita da una variegata e ben assemblata miscela di sostanze utili alla salute; una particolare formulazione in acidi grassi, infatti, rende questo frutto ricco di molecole bioattive (fitosteroli, polifenoli, vitamine), fibre e sali minerali che favoriscono la prevenzione di malattie cronico-degenerative. È confermato, ad esempio, che l’acido oleico, di cui sono ricche le nocciole, consente di mantenere sotto controllo i livelli di LDL, il cosiddetto “colesterolo cattivo”, mentre innalza quelli di HDL, il “colesterolo buono”. Le nocciole sono inoltre ricche di calcio e vitamina E che fornisce un apporto significativo di agenti antiossidanti che rallentano l’invecchiamento dei tessuti. Q FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 43 La castanicoltura cuneese riparte dopo l’incubo cinipide ultima edizione della Fiera del Marrone di Cuneo (ottobre 2013) ha segnato un punto di svolta per la castanicoltura piemontese. Folla di visitatori provenienti soprattutto dal Nord-Europa, risultato della buona comunicazione territoriale. È la più grande kermesse agro-alimentare nel nome della castagna. La “food valley” del basso Piemonte, con i suoi distretti agro-alimentari dell’ortofrutta, del vino, della carne e dei formaggi, si incontra qui con le tante contaminazioni gastronomiche tra castagna e altri ingredienti. Castagne e marroni, declinati in tutti i preparati più sfiziosi, da quelli tradizionali alle nuove proposte, hanno fatto bella mostra di sé nelle centinaia di stand allestiti nello scenario del centro storico. Cuneo, con le sue valli, torna a sentirsi capitale della castagna, come nei primi decenni del 900, quando è stata istituita la Fiera e la grande piazza si trasformava nel vero mercato della castagna. La svolta si intravvedeva nell’euforia palpabile degli operatori. Per la castanicoltura cuneese il 2013 è stato l’inizio della fine di un incubo durato dieci anni: l’infestazione del cinipide (Dryocosmus kuriphilus). Finalmente i castagni sono apparsi visibilmente liberi dalle galle che avevano affossato la produttività. La produzione 2013 è tornata ai livelli pre-cinipide, con qualità eccellente e quotazioni elevate: da 2 a 4 €/kg ai produttori. La cosa è di buon auspicio per le altre regioni italiane che sono state successivamente infestate dal cinipide. L’incubo era iniziato nel 2002, quando alcuni castanicoltori della Valle Colla avevano portato al Centro sperimentale del Creso a Boves alcuni rami con sintomi “strani”. Non c’era voluto molto per capire di cosa si trattasse. Si scoprì che l’insetto era stato introdotto – accidentalmente quanto irresponsabilmente – dalla Cina con una o più forniture di materiale vivaistico. La progressione della “vespetta” apparve impressionante anche per gli addetti ai lavori. In pochi anni, dal nucleo centrale di insediamento delle Valli Pesio, Colla e Vermenagna, a Sud di Cuneo, l’insetto si estese a tutto il territorio piemontese, modificando anche l’aspetto dell’albero e del paesaggio. Le chiome completamente coperte di galle proiettano un’ombra rada. C’era un’unica soluzione da adottare, l’introduzione del limitatore naturale Torymus sinensis, che aveva brillantemente risolto il problema già in Giappone e negli Stati Uniti. L’introduzione dal Giappone, l’allevamento e l’immissione sul territorio sono stati curati dal Divapra – Entomologia dell’Università di Torino. Ricordo la liberazione della prima coppia di Torymus alla presenza della stampa nella primavera 2005. Fu come accendere una miccia, sapendo che per il botto ci sarebbero voluti 6– anni. Nel frattempo gli entomologi confermavano che il limitatore naturale si era insediato stabilmente, moltiplicandosi ad un ritmo ben superiore al cinipide. Le galle parassitizzate dal Torymus cominciavano ad osservarsi diffusamente nei castagneti. Quanta fatica però a convincere l’opinione pubblica che era l’unica strada giusta! Nel frattempo i castagneti non se la sono passata bene. Il calo di produzione è stato nell’ordine dell’80%. Ma, se è vero che i castagni non muoiono per il cinipide, le piante indebolite sono andate soggette ad altre patologie. Si è costatata una generale recrudescenza del cancro corticale (Cryphonectria parasitica); si L’ 44 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 sono susseguite annate caratterizzate da piogge persistenti in fioritura che hanno causato marciume dei frutti (Gnomoniopsis castanea), che ha reso incommerciabile la scarsa produzione raccolta. Ora che si intravvede la fine dell’emergenza cinipide, vale la pena interrogarsi sulle prospettive della castanicoltura. I finali felici esistono solo nelle fiabe e nel caso del castagno è bene ricordare che la situazione pre-cinipide non era affatto brillante. Quella che nei secoli precedenti era stata la civiltà del castagno era in declino, l’abbandono dei boschi appariva inarrestabile. Il cinipide è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. È ragionevole attendersi che il Cuneese – e a seguire il Piemonte – godrà di un vantaggio competitivo rispetto alle altre regioni. Primi ad entrare nell’emergenza, primi ad uscirne. Per un periodo di due/tre anni le quotazioni dovrebbero mantenersi elevate, in un contesto di offerta ancora al di sotto della domanda. Occorrerà sfruttare questo momento magico per intraprendere le iniziative di rilancio del settore. In questi anni il coordinamento dell’emergenza cinipide è stata affidata ad un tavolo tecnico, guidato dal Settore Agricoltura della Provincia di Cuneo, che ha coinvolto i tecnici e i ricercatori dell’Università di Torino, Comunità montane e organizzazioni professionali. Visti i successi ottenuti, il tavolo potrà diventare la cabina di regia per far ripartire la castanicoltura. Per la castanicoltura “specializzata” (frutteti di castagno in terreni fertili di altipiano) non mancano le opportunità. Il Marrone di Chiusa di Pesio e gli altri ecotipi piemontesi sono varietà esigenti, da coltivare nei terreni fertili di fondovalle. Il limite all’espansione non è certo la disponibilità dei terreni, che spesso abbondano incolti, ma la sensibilità al cancro corticale, che ha fatto registrare picchi di recrudescenza. Negli stessi ambienti si coltiva con successo la varietà Bouche de Bétizac, l’unico ibrido euro-giapponese di pregio. Si è diffuso in questi anni perché resistente all’infestazione del cinipide, spunta i prezzi più elevati, al pari dei marroni locali, per l’eccellente profilo gustativo. Sui terreni in pendio, su cui ancora oggi è diffusa la castanicoltura piemontese, occorre puntare sulle varietà locali di maggior pregio: Garrone Rosso, Bracalla, Sirie, ecc. Oltre ai consumi tradizionali si strizza l’occhio a nuovi utilizzi, quali la birra di castagne, l’impiego della castagna nella cucina e nella gastronomia (ricette nuove per piatti golosi, dove la castagna funge da richiamo al territorio). Questi castagneti “eroici” meritano un’attenzione da parte della collettività anche per gli aspetti paesaggistici. Alcuni castagneti storici delle valli del Piemonte Sud-occidentale sono siti di puro interesse paesaggistico, parchi naturali del castagno in cui si snodano percorsi naturalistici sempre più frequentati, fungendo da “incoming” turistico per tutto il territorio e sembra corretto, quindi, che tutti gli operatori, non solo quelli agricoli, si facciano carico del loro Q mantenimento. Cristiano Carli - Silvio Pellegrino CReSO - Cuneo vestite, con conseguente diminuzione delle quantità prodotte, fino alle attuali 12.000 t/anno su una superficie di 4.400 ha (media 2008-12). Nonostante Cina, Iran e Turchia siamo i principali attori della nocicoltura mondiale, la produzione di questi Paesi è utilizzata prevalentemente per coprire il fabbisogno interno. L’esportazione da parte dei grandi produttori asiatici e mediorientali è quindi molto esigua, appena il 7% del totale, mentre le loro importazioni si attestano complessivamente intorno al 20% (media 2007-11). Messico, Ucraina, Francia e Cile esportano rispettivamente il 42, 33, 89 e 59% del loro raccolto verso Paesi quali Cina, Italia, Turchia, Spagna e Germania, le cui importazioni rappresentano il 45% del totale. L’aumento del prodotto importato, sia a livello nazionale che mondiale, trova giustificazione nell’aumento dei consumi. Secondo le statistiche dell’International Nut & Dried Fruit Council, tra il 2007 ed il 2011 il consumo di prodotto a livello mondiale è aumentato del 29,5%, con un consumo pro-capite medio di 0,074 kg nel 2011, il 27% in più rispetto al 2007. In Italia vengono consumate ogni anno circa 40.000 t di noci in guscio o sgusciate e il trend del consumo è in continuo aumento (+58,3% dal 2000 al 2010, Istat 2012). La produzione è quindi inadeguata a soddisfare il fabbisogno interno ed il deficit di prodotto è coperto principalmente dai Paesi europei (Francia) ed extraeuropei (Stati Uniti, Cile, Argentina, Australia). Il quantitativo medio annuo di importazioni di prodotto, pari a 26.500 t tra noci in guscio e sgusciate, rappresenta un costo significativo per l’industria nazionale, stimabile in 114 Ml di dollari/anno, valore che ha visto dal 2007 al 2011 un incremento del 53%. La realtà nocicola tradizionale italiana è concentrata principalmente in Campania con la Noce di Sorrento, che da sola fornisce il 70% del totale italiano. Altre realtà tradizionali esistono in Trentino, Veneto e Abruzzo, dove si coltivano ecotipi locali (rispettivamente Bleggiana, Feltrina e Sulmona). In altre regioni, in particolare Veneto ed Emilia-Romagna, si stanno sviluppando nuove realtà produttive, con aziende che raggiungono gradi elevati di specializ- zazione nella produzione di noci in guscio utilizzando varietà di origine francese (Franquette, Lara e Fernor, e californiana come Hartley, Chandler, Howard e Tulare). In conclusione, si può affermare che il settore ha vissuto finora una fase di forte espansione grazie alla crescente richiesta del mercato e che l’Ue è fortemente deficitaria per questo prodotto. Mandorlo Nel 2012 la produzione mondiale di mandorle è stata di circa 2 Ml di t, registrando un calo del 20% rispetto al raccolto medio dei cinque anni precedenti (dati FAO 2014), ma con un incremento del 30% rispetto al 2000. In base ai dati medi 2008-12, il 47% della produzione totale è nelle mani degli Stati Uniti, in particolare della California, con circa 1 ML di t/ anno di mandorle in guscio prodotte; seguono la Spagna con 220.000 t/anno (9,5% del totale), l’Australia con 140.000 t/anno (6% del totale), l’Iran con 127.000 t/anno (5,5% del totale) e l’Italia che con 106.000 t/ anno copre il 4,6% della produzione FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 45 mondiale. Se consideriamo i dati di produzione del prodotto sgusciato, l’incidenza della produzione statunitense sulla produzione mondiale arriva a toccare l’80% (fonte INC, 2012). La mandorlicoltura nel mondo si estende per 1,6 Ml di ha (dati FAO 2012), concentrati soprattutto in Spagna (33%), USA (18%), Tunisia (10,8%) e Marocco (8,7%). Nonostante negli Stati Uniti la superficie investita nella coltura (315.000 ha) sia quasi la metà rispetto a quella spagnola (530.000 ha), la produzione mandorlicola risulta essere 5 volte maggiore per effetto della selezione di cultivar ad alta resa e dell’utilizzo di sistemi intensivi con una gestione degli impianti sempre più meccanizzata (dati FAO 2012). Il volume dell’export mondiale di mandorle sgusciate si aggira attorno alle 533.000 t/anno (media 2007-11, dati FAO 2014), per un valore medio annuo complessivo di circa 2,5 miliardi di dollari, andamento che si conferma in continua crescita (+ 32,6 % nel 2011 rispetto al 2007). Gli Stati Uniti esportano il 32% della produzione interna, pari al 71% del totale mondiale. La restante quota viene coperta principalmente da Spagna (10%), Cina (3%) e Australia (2,5%). L’Italia esporta appena l’1,1% del totale. La Germania, con 74.300 t/anno circa di prodotto sgusciato, domina il mercato delle importazioni; seguono la Spagna, che non riuscendo a coprire il fabbisogno interno importa all’anno mediamente 64.000 t di mandorle, la Cina (38.500 t/anno), l’Italia (28.500 t/anno) (Fig. 4), la Francia (28.500 t/anno) e gli Emirati Arabi Uniti (28.500 t/anno). Il deficit produttivo dell’Italia comporta ogni anno un flusso in uscita dal Paese di circa 138 ML di dollari, valore destinato a crescere grazie all’aumento del consumo nazionale di mandorle sgusciate verificatosi dal 2008 al 2011 (+36,7%), trend che segue l’andamento mondiale (+37,5%). La mandorlicoltura italiana ha ricoperto un ruolo di primaria rilevanza a livello mondiale fino al secondo dopoguerra. Dal 1970 al 2012 si è registrato un forte ridimensionamento della produzione e delle superfici investite a mandorlo passando da 230.000 a 90.000 t prodotte e da 296.000 a 68.500 ha investiti; oggi la coltivazione è concentrata prevalentemente in Sicilia e in Puglia, che coprono insieme il 96,4% della produzione totale e 46 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 il 95% della superficie interessata (dati ISTAT, 2011). Per le restanti regioni solo la Sardegna riporta una superficie mandorlicola significativa (3.500 ha), mentre le altre hanno quasi totalmente abbandonato la coltivazione. Ogni nazione mandorlicola possiede un proprio patrimonio varietale. Le varietà californiane sono caratterizzate dall’avere un guscio tenero e un’alta resa. In particolare, la cultivar Nonpareil fornisce da sola il 50% della produzione californiana. In Italia le cultivar sono principalmente a guscio duro. Prevalgono le varietà Pizzuta d’Avola e Fascionello per la confetteria, Filippo Ceo, Fragiulio Grande, Genco, Tuono e Falsa Barese tra le cultivar tradizionali e la francese Ferragnés tra quelle internazionali. In conclusione, si può affermare che la mandorlicoltura nel mondo ha visto una crescita moderata delle produzioni dal 2000 ad oggi, mentre si è mantenuta stabile in Italia dopo il ridimensionamento della seconda metà del secolo scorso. Esiste indubbiamente un ampio margine per interventi innovativi che favoriscano l’ammodernamento degli impianti e delle tecniche colturali per migliorare le produzioni e ridurre l’approvvigionamento dall’estero. Pistacchio A livello mondiale sono appena 10 i Paesi produttori di pistacchio che superano le 1000 t/anno di prodotto raccolto. La produzione è concentrata in Iran, dove viene ottenuto il 51% dell’intero prodotto mondiale (902.500 t/anno), mentre la restante quota è appannaggio essenzialmente di USA (21%), Turchia (13%), Cina (6,4%), Siria (6,3%) e Grecia (1%); segue l’Italia con lo 0,3% (2.800 t/anno) del prodotto totale (media 200812, dati FAO 2014). La produzione mondiale è in costante aumento: nel 2012 ha superato il milione di t, il 24,7% in più rispetto al 2008. In questo contesto l’Italia si inserisce come uno dei Paesi con la maggior staticità delle produzioni registrata negli ultimi anni. La superficie investita a pistacchio ha raggiunto i 474.000 ha, la metà concentrata in Iran. A livello mondiale gli Stati Uniti hanno fatto censire il maggior incremento di superficie a pistacchio dal 2008 al 2012 (+50,8%), passando da 48.000 a 72.000 ha circa. Anche Cina e Tur- chia hanno registrato un notevole incremento delle superfici coltivate, rispettivamente +38,8 e +29,6%. Dal 2000 le esportazioni sono aumentate del 120%, totalizzando 360.000 t circa nel 2011, per un valore che supera i 2 miliardi di dollari. L’Iran esporta il 37,5% della produzione destinata al mercato (media 2007-11), seguita da Stati Uniti, che esportano il 50,6% del prodotto raccolto, Cina e Germania che importano pistacchi sia per coprire il fabbisogno interno che per rivenderli sul mercato internazionale. Infatti, i dati riguardanti le importazioni vedono la Cina e la Germania dominare il mercato mondiale con rispettivamente 108.000 e 36.000 t di pistacchi importati all’anno; gli Emirati Arabi Uniti e la Federazione Russa sono rispettivamente il terzo (20.300 t/anno) ed il quarto (18.200 t/anno) Paese importatore. Nel 2011 in Italia sono state importate oltre 11.000 t di pistacchi in guscio, mantenendo il flusso nella media degli ultimi anni, per un valore che supera i 91 Ml di dollari. Negli ultimi anni anche il consumo di pistacchi è aumentato notevolmente, passando da 430.700 t nel 2007 a 543.700 t nel 2011. L’incremento di consumo è da attribuire principalmente a Paesi come gli Stati Uniti e la Turchia che hanno raddoppiato il consumo pro-capite dal 2007 al 2011. Nel 2011 gli USA sono stati il principale Paese consumatore con 125.800 t, valore che equivale a 0,41 kg/pro-capite, seguiti dalla Turchia con circa 75.500 t (1,03 kg/pro-capite). L’Italia con 12.200 t di pistacchi ed un consumo pro-capite di 0,2 kg si colloca all’undicesimo posto della classifica dei Paesi consumatori. La pistacchicoltura italiana di distingue da quella dei Paesi extraeuropei per le migliori caratteristiche organolettiche delle produzioni ed è concentrata quasi interamente in Sicilia, dove si produce il 98% del totale nazionale, su una superficie che si estende per circa 3.500 ha. Il 90% della produzione siciliana è condensata nel catanese con Napoletana come cultivar predominante. La regione vanta tra le sue DOP il ‘Pistacchio Verde di BrontÈ, conosciuta a livello internazionale. Anche per questa specie, dunque, il trend produttivo ha visto una crescita significativa negli ultimi anni, ma la coltivazione in Italia è limitata alle zone climaticamente più vocate. Tecnica DOSSIER FRUTTA SECCA Il noce guadagna spazio al Nord MORENO TOSELLI - GIOVAMBATTISTA SORRENTI - MAURIZIO QUARTIERI - BRUNO MARANGONI GRAZIELLA MARCOLINI - ELENA BALDI Dipartimento di Scienze Agrarie - Università di Bologna Sorprendente la crescita produttiva del noce nell’ultimo decennio. In Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna le più interessanti realtà che hanno deciso di puntare su questa specie per rilanciare la frutticoltura del territorio, diversificando l’offerta con un prodotto di alta qualità, assai ricercato dal mercato. Aumentano le richieste commerciali e i consumi pro-capite. Accurate tecniche agronomiche e materiale di propagazione di qualità: sono questi i punti chiave per ottenere buone performance produttive. Italia importatrice di noci Nonostante la vocazionalità per la produzione di frutta secca, la nocicoltura nazionale soddisfa circa il 30% della richiesta interna. L’Italia, dunque, importa noci (Fig. 1) soprattutto da California, Cile, Francia, Australia e Cina (Paesi dai quali provengono noci selezionate e di grosso calibro), ma anche dall’Est Europa (Ucraina, Moldavia, Romania e Ungheria), da dove arrivano noci ‘selvatiche’ caratterizzate da guscio più duro e di calibro medio-piccolo (<28 mm) (Zampagna, c.p.). L’Italia è anche esportatrice di una quantità di noci inferiore a quella importata e che nel 2011 si è attestata attorno alle 4500 t (CSO, 2013). Le principali ragioni che relegano la nocicoltura italiana ad una posizione di importanza secondaria possono così riassumersi: – scarsa specializzazione degli impianti (talvolta promiscui ed allevati in aree marginali), spesso su superfici limitate; – vetustà degli impianti e panorama varietale limitato; – tecnica agronomica empirica, bassa densità d’impianto e scarsa meccanizzazione; – prodotto non sempre omogeneo, talvolta di inadeguata qualità; – mancanza di strutture idonee ad accogliere e commercializzare il prodotto; – assenza di programmi di valorizzazione e promozione del prodotto tra i consumatori. Fig. 1 - Andamento delle importazioni (quantità, prezzo unitario e volume d’affari) di noci in Italia (Fonte: CSO, Ferrara). 48 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 La diffusione nazionale Attualmente la superficie investita a noce in Italia in coltura specializzata e promiscua è di quasi 9.000 ha (Tab. 1), suddivisa indistintamente in impianti da frutto (Fig. 2), da legno e a duplice attitudine che coinvolgono circa 14.000 aziende (Istat, 2010) con il primato della Campania, nella quale si concentrano la maggior parte degli impianti, seguita da Sicilia e Lazio nelle quali, però, il noce rimane una coltivazione marginale, a duplice finalità, quindi poco produttiva. La nocicoltura da frutto specializzata in Italia interessa circa 4.000 ha con una produzione che oscilla tra le 15 e le 18.000 t annue (Fig. 2). La produzione italiana è basata su cultivar autoctone dell’area vesuviana come Malizia, a volte consociata col noccioleto e, soprattutto, Noce di Sorrento, cultivar-popolazione policlonale, i cui impianti sono spesso gestiti in coltura promiscua e in aree svantaggiate e senza l’ausilio della meccanizzazione. Nel Nord Italia, invece, le realtà più importanti si incontrano in Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna (Tab. 1), nelle quali già da un decennio si è assistito alla valorizzazione degli impianti da frutto in virtù della: Fig. 2 - Andamento della superficie e della produzione di noci da frutto in Italia (2000-11) (Fonte: CSO, Ferrara). Fig. 3 - La cultivar Chandler (appena smallata, a sinistra), di origine californiana, garantisce buone rese e di apprezzata qualità; si noti la frequente fruttificazione sulle gemme laterali (a destra). Fig. 4 - Forma libera al 10° anno di Lara presso l’Az. Sperimentale dell’Università di Bologna (a sinistra). A destra particolare di frutto (foto archivio Nogalba). – consapevolezza che la noce rappresenta un alimento di facile conservazione e funzionale (proprietà energetiche e salutistiche; Oliveira et al., 2008; Popoutsi et al., 2009); – introduzione di valide tecnologie per la meccanizzazione integrale degli impianti e la disponibilità di varietà più produttive delle tradizionali, perché con fruttificazione di tipo laterale; – crescente richiesta del mercato e contemporanea crisi del comparto frutticolo tradizionale (es. pesco). Risulta chiaro, in questo nuovo contesto, che le noci prodotte in Italia possono essere potenzialmente competi- tive sia dal punto di vista qualitativo, sia da quello commerciale. Possono, infatti, trovare spazio sul mercato nazionale con largo anticipo rispetto alle concorrenti, svantaggiate dai lunghi tempi di spedizione e con una qualità maggiore per i minori rischi di irrancidimento degli acidi organici, in virtù del minor tempo che intercorre tra la raccolta e la vendita. Varietà e portinnesti al Nord Le varietà maggiormente diffuse in Italia settentrionale sono di origine californiana e francese. Tra le prime, TAB. 1 - SUPERFICIE COLTIVATA A NOCE IN ITALIA PER REGIONE (FONTE: ISTAT, 2010) Nord Piemonte (ha) Centro (ha) Sud e isole (ha) 503 Toscana 524 Campania 2.104 V. d’Aosta, Liguria, Trentino 47 Umbria 451 Puglia 106 Lombardia 106 Marche 568 Basilicata 198 Veneto 513 Lazio 642 Calabria 656 Friuli-Venezia-Giulia 72 Abruzzo 698 Sicilia 580 Emilia-Romagna 482 Molise 296 Sardegna 65 Totali 1.723 3.179 3.709 la più utilizzata è Chandler (Fig. 3), a maturazione tardiva (I decade di ottobre), di buona produttività e pezzatura, con guscio ovale di colore chiaro, liscio e sottile, e gheriglio molto chiaro, facilmente sgusciabile; si avvantaggia dell’impollinazione con Franquette o Parisienne. Howard è geneticamente simile a Chandler (proviene dai medesimi parentali: Pedro x 56-224), dalla quale si differenzia però per la maturazione anticipata di 2 settimane, per il frutto più grande con guscio più ruvido e coriaceo e per il gheriglio più chiaro, che però può imbrunire durante la conservazione (Università di California, 2013). Tra le francesi, Lara è la varietà più diffusa (Fig. 4). La fruttificazione è laterale, ma non abbondante; il frutto è tondeggiante e di grosso calibro (36 mm ed oltre) con guscio tenero e gheriglio chiaro. Richiede elevate capacità tecniche per raggiungere standard produttivi adeguati e costanti nel tempo. Come tutte le varietà francesi, Lara germoglia tardivamente rispetto alle californiane, caratteristica che, sebbene possa risultare utile per evitare le gelate tardive, può comportare difficoltà di FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 49 razione degli ovari) delle californiane. I portinnesti disponibili per il noce, a livello mondiale, sono limitati; in Italia si ricorre quasi esclusivamente al franco (Juglans regia), mentre negli Stati Uniti si impiega spesso il noce nero (J. nigra), ma soprattutto il noce nero californiano (J. hindsii) e il Paradox, ibrido interspecifico tra J. regia e J. hindsii ottenuto da impollinazione spontanea e propagato per seme. Negli USA, sia il noce nero californiano, sia il Paradox sono preferiti per l’elevato vigore e la buona produttività che conferiscono. A differenza del noce nero californiano, il Paradox è più tollerante nei confronti di Phytophtora spp. e A. mellea (Ramos, 1997). Purtroppo non si conoscono prove comparative svolte in aree di coltura italiane. Fig. 5 - Noce adulto allevato a forma libera in un impianto dotato di sistema di microirrigazione. Le branche si inseriscono sul tronco a non meno di 1 m da terra per agevolare le operazioni di raccolta meccanica per vibrazione del tronco. impollinazione in virtù della spiccata proterandria cui è soggetta. Franquette è una varietà a fruttificazione apicale i cui frutti presentano guscio duro e buona pezzatura, che trova diffusione come impollinatore (in particolare per le cv. californiane). Dall’incrocio tra Franquette e Lara è stata ottenuta Fernette, la quale germoglia precocemente rispetto ai genitori, presenta fertilità laterale ed un gheriglio di buona qualità (Germain, 1997). Potrebbe trovare impiego anche come impollinatore di Chandler e Howard per l’abbondante produzione di polline, poiché in generale le varietà francesi presentano la fioritura maschile (maturazione degli amenti) in concomitanza con quella femminile (matu- Forme di allevamento, densità d’impianto e gestione dell’albero La forma d’allevamento più comune per il noce è quella libera, impostando il primo palco a circa 1,2 m da terra (Fig. 5) al fine di agevolare le operazioni di raccolta per scuotimento del tronco, con sesti d’impianto di 7x7 m (circa 200 piante/ha). Negli impianti specializzati, invece, si può ricorrere a forme tronco coniche (che ricordano la piramide) che consentono sesti più fitti (fino a 400 piante/ha) nel tentativo di contenere il vigore degli alberi e anticiparne l’entrata in produzione. In quest’ottica, in California e in Cile (Fig. 6) si ricorre spesso ad impianti più fitti, a siepe (“hedgerow”) con densità di circa 500 alberi/ha. In generale, il governo dell’albero di noce (potatura e raccolta) è integralmente meccanizzabile, quindi relativamente agevole ed in questo facilitato Fig. 6 - Impianto fitto di noce allevato in Cile. L’obiettivo è sfruttare la competizione tra gli alberi per contenerne la vigoria ed anticipare l’entrata in produzione. 50 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 dalla autoregolazione della carica produttiva dell’albero. Durante la fase di allevamento gli interventi cesori sono limitati alla selezione delle branche principali, mentre in fase di produzione si può ricorrere alla potatura ad anni alterni anche con l’ausilio di barre rotanti verticali per il taglio in parete (Fig. 7) (“hedging”) e orizzontali per il contenimento dell’altezza (“topping”). È comunque consigliabile rifinire l’intervento di potatura meccanica con tagli manuali al fine di rimuovere le branche e i rami mal posizionati o troppo vigorosi, soprattutto al centro della chioma. Una tecnica ancora poco applicata, ma meritevole di valutazione, è il taglio di “hedging” eseguito in tarda estate sui germogli ancora in crescita durante la loro seconda fase di sviluppo. In questo modo si eliminano porzioni di germoglio prive di gemme fertili, ma capaci di sottrarre carboidrati ai frutti ed alle gemme a fiore e di limitare la penetrazione della radiazione luminosa. La raccolta delle noci può essere integralmente meccanizzata; sono disponibili, infatti, sia macchine semoventi sia carrellate, dotate di bracci idraulici scuotitori, che agiscono per vibrazione ad alta frequenza del tronco (Fig. 8) e, qualora il prodotto non venga intercettato da ombrelli rovesciati o telai intercettatori, si può ricorrere a macchine andanatrici e raccoglitrici da terra (Fig. 9). La raccolta meccanizzata delle noci presuppone superficie del suolo in piano, opportunamente livellata e, preferibilmente, inerbita al fine di aumentare la portanza del terreno e massimizzare la resa della raccoglitrice, garantendo un rapido trasferimento del prodotto al centro aziendale per l’essicazione. Un miscuglio di specie graminacee, che includa la festuca, può rappresentare Fig. 7 - Filare di noci, allevati a forma libera, appena sottoposti al taglio meccanico verticale (unilaterale) della parete mediante barre falcianti. Fig. 8 - Macchina semovente durante le operazioni di raccolta nel noceto. L’unità operatrice avanza lungo il filare provvista di testata vibrante laterale montata su un braccio telescopico. la scelta migliore, sia per la limitata competizione sia per gli effetti benefici che questa specie erbacea ha nella solubilizzazione del ferro e conseguentemente, nella prevenzione della clorosi ferrica alla quale il noce è suscettibile quando allevato su suoli calcarei. Il noce è una pianta esigente in termini di azoto (N), accumulato prevalentemente nel frutto (Tab. 2). Considerando il peso del gheriglio di circa 5-8 g/frutto, pari al 40-50% della noce essiccata e pronta per il consumo e una concentrazione di N di circa il 3%, ne consegue che, con una produzione di noci di circa 4 t/ha i frutti asportano approssimativamente 46-60 kg di N/ ha (per comodità si semplifica considerando trascurabili i nutrienti asportati dal guscio e dal mallo). La quantità di N annualmente asportata dallo scheletro, considerando una produzione annua di legno (sostanza secca), radici comprese, tra 4 e 5 t/ha, ammonta a 24-40 kg di N/ha. L’N delle foglie cadute e riciclate a terra, invece, oscil- Fig. 9 - Cantiere semovente durante le operazioni di andanatura e raccolta delle noci dal suolo. TAB. 2 - STIMA DELLE ASPORTAZIONI DI MACRONUTRIENTI IN UN NOCETO IN PIENA PRODUZIONE (DATI OTTENUTI DA PROVE IN VASO ED IN CAMPO NELL’AREA DI BOLOGNA E FORLÌ) Nutriente Concentrazione (% s.s.) Asportazioni totali Gheriglio Foglie autunno Scheletro (kg/ha/anno) N 2,9-3,0 1,4-1,6 0,6-0,8 98-140 P 0,32-0,36 0,20-0,30 0,4-0,5 25-41 K 0,22-0,44 1,2-2,0 0,3-0,4 39-89 Ca 1,00-1,20 1,2-1,5 0,1-0,15 44-92 Mg 0,12-0,14 0,3-0,4 0,1 12-20 Asportazioni annuali calcolate sulla base di una produzione media di 4 t/ha di frutto essiccato con un’incidenza del gheriglio sul frutto del 40-50%, 2-3 t/ha di foglie abscisse, 4-5 t/ha di struttura scheletrica e apparato radicale prodotto annualmente. A titolo esemplificativo, un peso di circa 2 t/ha di guscio con una concentrazione media di N di 0,15%, determina un’asportazione di N di 3 kg N/ha, mentre per il mallo, un peso secco di circa 0,8 t/ha e una concentrazione di N di 1% determina un’asportazione di N di 8 kg/ha. la verosimilmente tra 28 e 48 kg/ha. Il piano di concimazione dovrà, quindi, tenere conto di queste due componenti e, considerando un’efficienza media dell’assorbimento radicale di N di circa il 50% (Toselli et al., 2009) si può ipotizzare una corretta restituzione annuale al noceto con fertilizzanti apportanti da 120 a 160 kg N/ Fig. 10 - Risposta produttiva del noce (cv. Chandler di 10 anni) alla somministrazione di azoto. La resa è espressa sul peso fresco alla raccolta di prodotto con mallo (ogni punto rappresenta la media di 5 piante). ha. Prove eseguite presso l’Università di Bologna dimostrano una buona risposta del noceto alla somministrazione di N in quantità variabili da 100 a 200 kg/ha (Fig. 10). In caso di utilizzo di N minerale, se ne consiglia l’apporto verso metà maggio (fioritura degli ovari), ma si può distribuire anche successivamen- Fig. 11 - Gestione sostenibile della fertilizzazione del noceto. Nella foto, distribuzione di ammendante compostato misto in impianto adulto presso l’Az. Sperimentale dell’Università di Bologna. FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 51 Fig. 12 - Albero adulto di Chandler affetto da marciume fibroso delle radici (A. mellea) alla ripresa vegetativa. te, fino a metà settembre, quando la maggiore efficienza di assorbimento (Tab. 3) permette la costruzione di riserve organiche invernali disponibili per la primavera successiva (Toselli et al., inedito). In alternativa si può ricorrere ad ammendante compostato misto (Fig. 11), che sebbene apporti nutrienti non prontamente disponibili, ha il vantaggio di apportare oltre che tutti i macro e micro elementi essenziali insieme anche sostanza organica stabile. Il consumo annuale di fosforo (P) del noceto è stimato in 25-41 kg/ha, di cui circa 5-10 kg ritornano al terreno con le foglie abscisse (Tab. 2). Le esigenze di potassio (K) da parte del noce sono generalmente inferiori a quelle degli altri fruttiferi, in quanto il K viene assorbito annualmente in quantità comprese tra 39 e 89 kg/ha, di cui 24-60 kg sono riciclati con la caduta delle foglie. Valori di asportazione simili al K interessano anche il calcio (Ca), mentre il magnesio (Mg) viene assorbito in quantità inferiori al P (Tab. 2). Il noce si avvantaggia dell’irrigazione con consumi idrici piuttosto elevati, senza la possibilità di applicare lo stress idrico controllato, ovvero la riduzione dell’apporto idrico rispetto all’evapo- Fig. 13 - Feltro bianco sottocorticale (micelio fungino) di A. mellea, agente del marciume radicale fibroso, su radice di noce. traspirato (Fulton et al., 2013), che nel noce non ha dato gli effetti benefici osservati in altre specie. È bene sottolineare che il noce soffre invece il ristagno idrico, per cui è fondamentale una buona regimazione idrica del suolo al fine di evitare la presenza di zone asfittiche. Le problematiche del settore Propagazione Nonostante il crescente interesse registrato negli ultimi anni per la specie, il comparto vivaistico italiano non sembra assecondarne il processo. Gli astoni delle varietà più pregiate (Chandler, Howard, Lara), infatti, devono essere prenotati in anticipo, quando non siano reperibili solo in vivai specializzati ed a prezzi piuttosto elevati se confrontati con altre specie frutticole. La messa a punto di tecniche affidabili (es. micropropagazione, microinnesto e mininnesto) al posto dell’innesto tradizionale per la moltiplicazione del noce appare dunque una condizione necessaria per il buon esito dell’intera filiera (Cozzolino e Neri, 2006). Attualmente il noce viene propagato per innesto, utilizzando TAB. 3 - EFFICIENZA DELL’ASSORBIMENTO DELL’N (PERCENTUALE DELLA QUANTITÀ SOMMINISTRATA CON LA CONCIMAZIONE) DOPO 7 GIORNI DALLA FERTILIZZAZIONE E A CADUTA FOGLIE (IN DICEMBRE) DA PARTE DI NOCI DI 1 ANNO DELLA CV CHANDLER/ FRANCO (J. REGIA) ALLEVATI IN VASO EPOCA Assorbimento di N (%) 7 giorni 1 anno Schiusura gemme 8.78 c 66 Maturità amenti 19.6 b 60 Fine estate 27.4 a 69 * ns Significatività n.s., *: effetto non significativo o significativo per P ≤0,05, rispettivamente. In colonna, valori affiancati da lettere diverse sono statisticamente diversi (P ≤0,05). 52 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 come soggetto quasi esclusivamente J. regia. Alcuni intraprendenti vivaisti, invece, offrono varietà micropropagate che però, rispetto al materiale innestato, presentano un certo ritardo nell’entrata in produzione. Vigore dell’albero ed entrata in produzione Il noce è tradizionalmente caratterizzato da una fase improduttiva (allevamento) piuttosto lunga. La piena produzione si raggiunge, infatti, tra l’8° ed il 10° anno dall’impianto, sebbene le prime produzioni significative si registrino a partire dal quinto o sesto anno. Le ragioni sono legate, oltre alla predisposizione genetica, all’elevata vigoria degli alberi. La disponibilità di materiale vegetale debole (attraverso il portinnesto) potrebbe consentire un netto accorciamento dei tempi di ammortamento dell’impianto. Il vigore dell’albero può essere in parte controllato dalla tempestiva introduzione di impollinatori e dalla conseguente più rapida entrata in produzione che riesce a limitare l’attività vegetativa. A questo proposito, potrebbe risultare utile disporre di polline disidratato da distribuire in fioritura, al fine di ovviare alla mancanza di fonti di polline in campo, per alzare la fertilità e quindi il livello di fruttificazione. Difesa fitosanitaria Nel complesso, la difesa fitosanitaria del noce non presenta particolari problematiche, a patto che si intervenga in maniera tempestiva. Tra gli insetti, la cidia (Cydia pomonella), le cui larve crescono a spese del gheriglio, rappresenta la problematica principale, soprattutto per i danni causati dalle prime due generazioni. Oltre ai formulati chimici, soddisfacenti risultati si ottengo- Tre realtà produttive del Nord che vendono noci col loro marchio a società cooperativa “Il Noceto” di Chiarano (Tv) e la società Consortile “Nogalba” di Pettorazza (Ro) sono le uniche Organizzazioni di produttori riconosciute in Italia per le noci. La loro storia risale al 1991, quando sono stati messi a dimora i primi 10 ha, seguiti in pochi anni da altri 400. Attualmente gli associati coltivano circa 500 ha in produzione, più altri 100 di prossima messa a frutto. La superficie dei frutteti degli associati varia dai 10 ai 90 ha. La varietà prevalente è Lara che occupa il 97,4%; Chandler e Tulare si ripartiscono il restante 2,6%. Il modello produttivo prevede la meccanizzazione integrale di tutte le operazioni di campo e il conferimento del prodotto raccolto ai centri di essiccazione e selezione. La vendita è attuata dalle strutture di appartenenza con i propri marchi e reti commerciali. I due gruppi collaborano ad un progetto tecnico che coinvolge la più grande realtà francese della frutta secca: Unicoque. “Produrre noci non è un’attività molto diversa dal produrre altra frutta. Ciò che cambia è l’approccio mentale al problema”, sostengono i coordinatori del programma; “dobbiamo riconoscere ad altri, soprattutto ai californiani, il primato per l’approccio pragmatico ai problemi tecnici in generale. La California è l’unico Paese che investe in ricerca parte del ricavato dalla vendita delle noci”. Nogalba e Il Noceto finanziano direttamente i propri programmi di ricerca. L Federico Bertetti – Enrico Bortolin Nogalba Soc.ConsAgr. a r.l. Giancarlo Potente – Antonio Fiorin Il Noceto Scarl La Cooperativa Trasporti Imola (CTI) realizzò un primo impianto di noce di circa 12,5 ettari nel 2007. Una parte dell’impianto è stata realizzata con piantine autoradicate di origine meristematica. È stata adottata la cv Chandler con sesti d’impianto di 7x6 m e con un 5% di piante della cv Franquette come impollinatori. All’inizio del 2° anno le piante, alte 1,2 m, sono state cimate a tre gemme con allevamento successivo di un unico germoglio. All’inizio del 3° anno l’asse centrale è stato cimato a circa 1,5 m da terra, poi si è lasciato un solo germoglio apicale degemmando la parte basale e sfruttando le sottogemme per generare germogli con angolo aperto destinati a dare origine alle branche. Negli anni successivi si è continuato a potare gli alberi manualmente fino al 7° anno e dall’8° si è cominciato a potare meccanicamente con potatrice a dischi e con turno di taglio triennale. Tra gli anni 2008 e 2010 la CTI ha impiantato altri 20,5 ha di noci, introducendo le cv Lara e Howard allo scopo di ampliare il calendario di raccolta. Tutta la superficie a noce (ha 33) è stata inerbita. La no con la confusione sessuale avendo cura di posizionare almeno 2 sorgenti di feromone per albero adulto oppure, in alternativa, trattando con preparati biologici (virus della granulosi). La mosca del noce (Rhagoletis completa) presenta una sola generazione all’anno e crea danni nello stadio di larva determinando l’insorgenza di marcescenza, l’imbrunimento e il disseccamento della gheriglio e del mallo. Le varietà precoci sono le più sensibili ed il controllo dell’insetto si basa sull’uso di insetti- raccolta meccanica da terra è iniziata nel 2011 sui primi 12,5 ha con macchina semovente; la lavorazione post-raccolta è stata realizzata con un piccolo impianto di smallatura-essiccazione in loco. Nei prossimi anni sarà completato il cantiere di raccolta con uno scuotitore semovente allo scopo di rendere più tempestiva la raccolta. Nel 2012 la CTI ha iniziato a commercializzare direttamente noci essiccate e nocino di produzione propria e con il proprio marchio “Noceti del Rapace”. Le principali considerazioni dei responsabili della CTI sono le seguenti: – nella realtà imolese esistono condizioni favorevoli alla coltura del noce; – si auspica lo sviluppo di un’attività vivaistica che ora è inadeguata; – è opportuno sperimentare sesti di impianto più fitti per aumentare la densità ed accelerare la messa a frutto; – man mano che crescono di numero, i produttori dovrebbero Q organizzarsi in forme associative per i servizi e il mercato. Clemente di Placido CTI, Imola L’Azienda Agricola San Martino, sita a San Martino in Strada di Forlì, diede vita, 15 anni fa, al progetto “Noce di Romagna”, in una regione nella quale il noce non ha mai rivestito una posizione di rilievo. La sua funzione pionieristica ha contribuito in maniera decisiva a promuovere la coltura al Nord, non solo in Emilia-Romagna. Con questo progetto è stata creata una filiera controllata che assicura un prodotto di qualità. La partnership tra Azienda Agricola San Martino e “New Factor” – azienda riminese leader nella lavorazione e commercializzazione di snack naturali a base di frutta secca – ha consentito di ottenere successo anche nella fase di commercializzazione del prodotto finito sia sul mercato all’ingrosso, sia nella GDO. Il marchio “Noce di Romagna” rappresenta oggi un’eccellenza alimentare. Il sistema produttivo si discosta dalla nocicoltura tradizionale per la sua modernità, l’alto livello di meccanizzazione, l’alta produttività degli impianti e i rigorosi standard qualitativi. In particolare, le cultivar californiane selezionate per il progetto – Howard e Chandler – sono state scelte per caratteristiche quali l’alta produttività, il grosso calibro, la bianchezza dei gherigli e la facile rottura del guscio. Un articolo su questo progetto è stato pubblicato da questa Rivista nel n. 2 del 2008. L’Azienda Agricola San Martino vanta oggi 90 ha produttivi di cui 45 di proprietà, ai quali se ne aggiungeranno altri 100 nei prossimi due anni. Q cidi efficaci anche contro cidia, sulla profilassi (rimozione di frutti infestati) e sull’impiego di trappole per il monitoraggio dei voli. Tra i patogeni, il noce soffre di batteriosi o mal secco del noce (Xanthomonas arboricola pv. juglandis) e l’antractnosi (Gnomonia leptostyla). L’utilizzo di prodotti rameici, meglio se in miscela, con Mancozeb (max 4 interventi/anno) dalla ripresa vegetativa (ma non in fioritura), assicurano una buona azione preventiva contro Alessandro Annibale Azienda Agricola San Martino - Fc l’instaurarsi di entrambe le patologie che colpiscono il mallo dando origine a macchie bruno-nerastre, tendenzialmente tondeggianti, sparse, circondate o meno da un alone clorotico. Il gheriglio può atrofizzare originando cascola pre-raccolta. Bisogna precisare che attualmente il Mancozeb ha perso la registrazione sul noce, ma è in attesa di ottenere dal Ministero della Salute un’autorizzazione eccezionale per il 2014. Il noce, specie se innestato su J. regia, è sensibile al FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 53 Chi mangia noci vive più a lungo elisir di lunga vita, da sempre ricercato da scienziati e “maghi”, forse non è qualcosa di misterioso o complicato, ma un qualcosa che tutti abbiamo a portata di mano: un frutto che si chiama noce. Sono stati i ricercatori spagnoli della Universitat Rovira i Virgili di Tarragona ad aver sottolineato, a seguito di uno studio, come l’assunzione di una manciata di noci, anche solo tre volte a settimana, possa essere la chiave di lunga vita. Secondo gli scienziati spagnoli le proprietà benefiche delle noci si applicano al rischio di morte che verrebbe ridotto del 40% per malattie quali il cancro e di ben il 55% per le malattie cardiovascolari. Le persone coinvolte nello studio sono state 7.000, erano ambosessi e con un’età compresa tra i 55 e i 90 anni. Analizzando lo stile di vita, la dieta seguita e altri dati riguardanti la loro storia e le malattie in corso, gli scienziati hanno trovato che in linea generale i consumatori di frutta secca avevano un rischio L’ di morte ridotto del 39% e, in particolare, i mangiatori di noci un rischio ridotto del 45%. L’azione antiossidante delle noci si mostrerebbe dunque non solo nel promuovere una maggiore salute, ma proprio nel ridurre il processo d’invecchiamento. Le noci contengono preziosi elementi come fosforo, calcio, ferro, potassio, zinco (in particolare) e rame. Per questa elevata presenza di sostanze utili le noci sono particolarmente indicate anche a chi segue una dieta vegetariana. Le noci sono un frutto oleoso da cui è possibile estrarre un olio dalle molte proprietà. Sono un cibo piuttosto calorico, per cui ne basta poco: in media, con 100 grammi di parte edibile assumiamo circa 580 kilocalorie. Diverse sono le vitamine presenti: A, B1, B6, F, C e P. Oltre a questo, le noci sono assai ricche di grassi polinsaturi, i quali aiutano a combattere il colesterolo LDL. U.P. La coltura del noce nel mondo Culture History Traditions ISSN 1813-9205 ISBN xxx xx xxxx xxx x, Scripta Horticulturae Number 17 marciume radicale fibroso (Armillaria mellea), che porta l’albero al collasso (Figg. 12 e 13). Aspetto importante da considerare nella difesa del noce riguarda la disponibilità di macchine irroratrici appositamente predisposte, in grado di assicurare la bagnatura dell’intera chioma (specie in altezza e nelle porzioni più interne) durante l’esecuzione degli interventi. Di contro, tali macchine possono incorrere in maggiori rischi di derive e distribuzioni disformi. 54 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 Uses Following Walnut Footprints | Scripta Horticulturae Number 17 Cultivation costanti. Nuove varietà più produttive e tecniche di lavorazione post-raccolta sono la chiave di successo. In passato il consumo del noce era di tipo stagionale e legato principalmente alla tradizione natalizia. Oggi le noci sono un prodotto sempre offerto nei supermercati e consumato per le decantate proprietà nutriFol F Fo ollowing ollo o ol wing W Walnu alnut zionali e salutistiche. È noto che il frutto Fo F oo oo otprintss ot è “colesterolo-free” e che contiene sostanze (acidi omega) che contrastano gli attacchi cardiaci. I Paesi che dominano il mercato sono quelli che hanno puntato sulla standardizzazione varietale, storicamente gli Stati Uniti e la Francia, ai quali si sono aggiunti Cile, Argentina e Australia. La modernizzazione varietale è in corso anche in Turchia, Spagna, Iran, Ungheria e Romania. Anche l’Italia ha avviato una produzione con varietà selezionate, in Veneto e in Emilia Romagna, e con risultati ottimi. La Cina, prima nel mondo, sta facendo sforzi per passare dalla prevalente produzione ottenuta da semenzali, a quella con varietà locali di buona qualità. La multifunzionalità di questa specie emerge in modo totale: legno, foglie, mallo, guscio, gheriglio, anche le membrane che separano il gheriglio! Scripta Horticulturae Number 17 ollowing Walnut Footprints” (Sulle orme del noce), serie “Scripta” n. 17, pubblicata dall’International Society for Horticultural Science (pp 442, 2014). Con questo titolo sono già stati pubblicati altri 4 volumi dedicati rispettivamente al mandorlo, al pistacchio, al castagno e all’olivo. Il volume sul noce raccoglie notizie storiche, botaniche, agronomiche, economiche e sulle tradizioni e usi di Juglans regia in una sessantina di Paesi del mondo, compresi quelli dell’Est caucasici e quelli asiatici. Si tratta della stragrande maggioranza dei Paesi ove è presente la specie. Mancano all’appello Siria e Iraq a causa dei ben noti problemi interni che hanno reso difficile trovare un interlocutore. Alla stesura del volume hanno collaborato 120 specialisti. Del Comitato editoriale fanno parte: Damiano Avanzato (Chair ISHS della Sezione “Nuts and Mediterranean Climate Fruits”, 2011-14), Gale McGranahan (Universita della California, USA), Kourosh Vahdati (Università di Tehran, Iran), Botu Mihai (Università della Craiova, Romania), Luis Iannamico (Istituto Nazionale Agro-zootecnico di Rio Negro, Argentina) e Jozef Van Assche (Executive Secretary dell’ISHS, Belgio). Il libro contiene informazioni note, ma anche molti dati originali, come ad esempio quelli riguardanti la Corea del Nord, la Nigeria o il Messico. Emerge che tra le specie a frutto secco il noce è una delle più diffuse, ma anche che le moderne tecniche di coltivazione ne hanno favorito la diffusione con incrementi “F (Jugla Juglans ans regia r L.) Cu ullttiv iva vat ati tio on and Culture, Fo olk lklor ore and an nd His issttto ory, TTraditions and Use ses A Public Publ Pub ublic ub lica ca attio tiio on n of the he International Interna Society ffor Horticu H Hortic Hort orticu cullttu ural Science nce and d the th Inte Inter International Nutt & Drie Dried Fruit Council D. Avanzato Già CRA-Centro di Frutticoltura di Roma (Chair ISHS Commission Plant Genetic Resources, 2015-18) Prospettive future Poiché la produzione nazionale non soddisfa le richieste interne, si intravvedono buone prospettive di sviluppo per le produzioni di qualità, attualmente relegate ad esigue realtà. Il rilancio della coltura del noce nel Nord Italia presuppone la specializzazione degli impianti in termini di densità e gestione per consentire un limitato impiego di manodopera (circa 40 ore/uomo/ha/ anno). Tale fattore è a sua volta legato, inevitabilmente, alla meccanizzazione integrale del noceto, sfruttando, peraltro, tecnologie già collaudate e di provenienza nazionale, il cui costo, però, si ammortizza solo su una superficie piuttosto ampia. In tale contesto, la gestione associata (anche della fase postraccolta e di commercializzazione) giocherà un ruolo strategico nell’intera filiera produttiva (Fig. 14). Analogamente, l’affinamento della tecnica vivaistica e di quella agronomica, il rinnovamento del materiale vegetale abbinato ad azioni mirate di marketing volte a valorizzare il prodotto di qualità, sembrano rappresentare le tappe necessarie per il rilancio della filiera del noce anche in Italia. SUMMARY Although Italy can account for optimal conditions for walnut production, it imports over 70% of internal demand mainly from overseas and Eastern Europe. Among the reasons that delegate walnut production to a limited importance there are: old, apical bearing varieties, low planting density, low yields, long unbearing time. Recently, the availability of new technologies for orchard management, along with the economical problems of the traditional fruit species (i. e. peach) promoted a new interest in walnut cultivation over the past 10 years. In the northeren Italy, the developing walnut industry presents these features: 1) Chandler and Howard (Californian) and Lara (French) are the most important varieties; 2) the rootstock used is seedling Juglans regia, 3) orchard management includes low plantation density (200-300 tree/ha), free training system with the first scaffold 1.20 m-high, to allow shacking at harvest, complete mechanization of pruning and harvesting, 4) nutrient requirement includes (in kg/ha) N 100-140, P 25-41, K 40-90, Ca 45-90, Mg 12-20, a third of which is recycled with leaf fall, 5) water management according to ET rate, 6) codling mouth (Cydia pomonella) and fruit fly (Rhagoletis completa) are the most important pests, while bacteria Xanthomonas arboricola pv juglandis, and fungus Gnomonia lepostyla and Armillaria mellea (root rot) are the most common diseases. Fig. 14 - La diffusione di strutture idonee ad accogliere ed essiccare tempestivamente il prodotto rappresenta un fattore determinante per l’espansione della coltivazione del noce in Italia. BIBLIOGRAFIA Cozzolino E., Neri D. 2006. Vivaismo: punti critici e prospettive. In, Il mercato mondiale: buone prospettive di crescita per l’Italia. Agricoltura, inserto/Il noce da frutto, settembre 2006: 114. Fulton A, Buchner R, Lampinen B, 2013. Current Understanding of Regulated Deficit Irrigation in Walnut. http://cetehama.ucanr.edu/ files/20528.pdf Germain E, 1997. Genetic improvement of the persian walnut (Juglans regia L.). Acta Horticulturae, 442:21-31. Malaguti D., Marangoni B., 2008. Noce da frutto: in Emilia-Romagna il rilancio passa attraverso la produzione integrata e biologca. Frutticoltura, 2:42-45. Papoutsi Z, Kassi E, Chinou I, Halabalaki H, Skaltsounis LA, Moutsatsou P, 2008. 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University of California, Agriculture and Natural Resources Fruit and Nuts Research and Information Center, 2013 http://fruitandnuteducation.ucdavis.edu/ FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 55 Tecnica DOSSIER FRUTTA SECCA Concrete prospettive per la rinascita della mandorlicoltura italiana FRANCESCO SOTTILE Dipartimento Scienze Agrarie e Forestali - Università di Palermo Una rinnovata filiera vivaistica, la specializzazione degli impianti, una razionale gestione delle risorse idriche e della nutrizione, una tecnica colturale oculata associata alla meccanizzazione della raccolta sono tutti gli ingredienti indispensabili che oggi devono caratterizzare un settore in profondo cambiamento. P er decenni parlare di mandorlicoltura è equivalso a produrre una elencazione abbastanza sterile di ragioni per cui il settore, in continuo declino dal secondo dopoguerra, non riusciva a trovare il giusto riassetto per riprendere competitività su base internazionale. È sufficiente analizzare l’evoluzione degli investimenti e della produzione italiana per comprendere come un settore di primaria riconoscibilità nel mondo abbia sofferto una sostanziale rarefazione in termini economici. Tutto questo mentre nel mondo si riconosceva l’importanza di questo frutto secco, dal punto di vista nutrizionale e nutraceutico, e la richiesta di prodotto finiva per consolidarsi sempre più in California dove ormai è stratificato un sistema produttivo e commerciale difficilmente scalfibile, ma non difficilmente imitabile. Nell’ultimo decennio, infatti, l’Australia sembra aver studiato il successo californiano e nelle grandi fattorie del Sud, soprattutto ad Est, ha sviluppato una nuova mandorlicoltura, estremamente specializzata, che ha permesso nel giro di pochi anni di collocare la produzione di questo Paese al secondo posto nel mondo. Sono le medesi- 56 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 Fig. 1 - Elevata fertilità in una pianta di Tuono innestata su GF677 in Sicilia. me cultivar impiegate in California e l’impostazione non è molto diversa se si tiene conto che tutto ha avuto inizio con l’istituzione di un Australian Almond Board che, come nel sistema americano, governa il settore da molteplici punti di vista. L’Europa arranca sempre, ma offre segnali di risveglio: se da un lato le statistiche ufficiali non rilevano alcun progresso, è noto agli addetti ai lavori che qualcosa si sta attivando in tutta Europa sia per lo sviluppo e l’adeguamento della mandorlicoltura a sistemi efficienti ed innovativi, sia per il sostanziale differenziamento della produzione del vecchio continente rispetto a tutta la rilevante produzione mondiale. È sempre più profondo, infatti, il solco esistente tra le due tipologie di produzione, quella internazionale (intendendo USA e Australia) e quella mediterranea a cui sostanzialmente contribuisce in modo determinante l’Europa con alcuni Paesi del Nord Africa. Spagna e Italia rimangono a contendersi primati pressoché inutili, ma al proprio interno avvertono importanti segnali di interesse, talvolta di ripresa, in ogni caso con prospettive che da più parti vengono sottolineate come positive. Eppur si muove In Italia, i segnali positivi di qualche anno fa erano stati attribuiti alla disponibilità di alcune misure di finanziamento a valere su fondi stanziati nell’ambito delle programmazioni comunitarie, soprattutto in Sicilia. Tali segnali sono stati via via più consolidati e hanno evidenziato, a poco a poco, la nascita di sistemi mandorlicoli nuovi, per nulla assimilabili a quelli del passato, con una sostanziale efficienza produttiva ed economica. Nulla a confronto della rilevanza mandorlicola esistente fino agli anni ’50, anche se difficilmente si possono confrontare le statistiche attuali con quelle del passato che tenevano conto di mandorleti estensivi e spesso consociati, soprattutto con olivo e cereali. È anche vero, tuttavia, che se la vitalità di un settore si misura con l’interesse che la ricerca nazionale gli destina, nel caso del mandorlo l’interesse andrebbe considerato pressoché nullo. Da decenni l’attività di ricerca pubblica è quasi assente (fa eccezione l’interesse, purtroppo concluso, del Progetto “Convar” del Mipaaf) e le ridotte esperienze scientifiche che si sono concretizzate sono state affidate a limitati progetti di carattere regionale che, in qualche modo, hanno sostenuto l’entusiasmo di chi non ha mai smesso di considerare la specie foriera di prospettive concrete. In Spagna, invece, la ricerca pubblica ha prevalentemente sostenuto l’attività di miglioramento genetico che ha permesso di portare avanti una serie di selezioni che negli anni hanno trovato diversificata diffusione. In termini di ricerca privata, invece, va segnalato lo sforzo del più grande gruppo vivaistico mondiale (Agromillora, Barcellona) che ha sostenuto la ricerca scientifica per l’ottenimento di portinnesti con ridotto vigore da destinare soprattutto alla validazione di sistemi di impianto innovativi in emulazione di quelli che da qualche decennio vengono proposti per l’olivicoltura. Durante il recente ISHS International Symposium on Almond and Pistachio (Murcia, maggio 2013) sono stati presentati i primi risultati sull’efficienza di sistemi di impianto superintensivi realizzati con combinazioni tra cultivar spagnole innestate sulle recenti selezioni Rootpac® con densità di impianto che giungono fino a 2.000 alberi/ ha in cui tutte le operazioni colturali più onerose sono meccanizzate e la raccolta è condotta per mezzo di macchine scavallatrici. Si tratta, evidentemente, di soluzioni tecnologicamente molto avanzate, in buona parte ancora relativamente sperimentali, che possono trovare applicazione solo in specifiche condizioni in cui le caratteristiche orografiche e la disponibilità irrigua, in primis, non si presentino come fattori limitanti. Questa ricerca di sistemi tecnologici avanzati, tuttavia, ha stimolato non poco l’imprenditoria agricola del Meridione d’Italia e, più recentemente, un sensibile interesse per la coltura sta davvero crescendo, determinando un risveglio di entusiasmo in tutti co- Fig. 2 - Mandorleto adulto in provincia di Bari a 400 piante/ha, irriguo (foto DISSPAUniBA). Fig. 3 - Giovane impianto di Ferragnés/GF677 in irriguo, in Sicilia. loro che hanno sempre creduto nel mandorlo. Già in occasione del Convegno Nazionale sulla Frutta Secca del 2007 (Patti, Me) emergeva in tutta evidenza che il comparto della frutta in guscio godeva di prospettive importanti e tra tutte il mandorlo appariva la specie con maggiore domanda mondiale in cui collocarsi con un prodotto di qualità, di eccellenza e standardizzato. Si escludeva tutta la produzione di massa, che ancora oggi in buona parte deriva dagli impianti obsoleti ed inefficienti, affidando le prospettive di sviluppo ad una crescente mandorlicoltura specializzata che, ancorché a passi molto lenti, sta trovando una propria dimensione sia in Sicilia che in Puglia. quentemente deprezzata. Un relativo interesse, soprattutto in Sicilia, va sottolineato per Supernova, l’ultimo frutto del miglioramento genetico italiano, che trova ancora discreta collocazione soprattutto in associazione al parentale stretto Tuono, rispetto alla quale evidenzia un anticipo nell’epoca di raccolta di interesse per le organizzazioni aziendali. Il miglioramento genetico europeo, francese, ma soprattutto spagnolo, ha licenziato negli ultimi anni alcune cultivar che, negli ambienti di provenienza, risultano interessanti per resa in sgusciato e qualità del seme. Poche sono le informazioni in Italia: Antoñieta, Marta, Belona, Mardia, Soleta sono attualmente inserite nei campi di confronto varietale del Progetto Convar che vengono mantenuti solo grazie alla dedizione delle Istituzioni scientifiche che si sono impegnate a non dismetterli malgrado l’assenza di fondi. Non manca, tuttavia, l’interesse per le cultivar storiche in alcuni areali specifici; non è raro, infatti, incontrare nuovi mandorleti di Pizzuta d’Avola, Romana e Fascionello nella provincia di Siracusa con sistemi di impianto innovativi e meccanizzati; una delle più interessanti esperienze oggi di condivisione tra tradizione varietale e innovazione agronomica nel settore della frutta secca. Se ridotta è l’innovazione nel campo varietale, ancora meno si può segnalare nel campo dei portinnesti. Le recenti introduzioni spagnole della serie Rootpac® (geneticamente ibridi complessi a cui hanno contribuito in diverso modo prevalentemente mirabolano, pesco e mandorlo) sono ancora alle fasi iniziali della valutazione di campo anche per il mandorlo e sarà molto interessante poterli introdurre in Italia in sistemi adattati alla ridotta vigoria della combinazione di innesto. Rimane diffuso l’uso del portinnesto L’innovazione colturale Per tutte le ragioni già esposte non è oggi possibile tenere conto della mandorlicoltura realizzata con sistemi tradizionali nell’ottica di un comparto competitivo sul piano agronomico ed, ovviamente, economico. Ciò che oggi invece caratterizza i positivi segnali di rilancio del settore deriva fondamentalmente da un modello di impianto che tiene conto delle esigenze primarie di contenimento dei costi di produzione e quindi della necessità di meccanizzare, o quanto meno agevolare, la raccolta. Dal punto di vista della scelta varietale non ci sono novità di grande rilievo. Ciò dipende anche dal fatto che la principale cultivar italiana, la pugliese Tuono, continua a non avere rivali in termini di efficienza produttiva e di recettività del mercato della trasformazione, consolidandosi ormai nel 60-70 % dei nuovi impianti. È comune la consociazione con Ferragnés e Genco anche se quest’ultima non supera spesso il vaglio del mercato e viene fre- FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 57 Fig. 4 - Esperienze di impianti adulti di Romana/GF677, ad alta densità (1000 piante/ ha), in irriguo. Fig. 5 - Il nuovo marchio collettivo ‘Mandorla di Sicilia’. franco da seme (con alcune selezioni vivaistiche molto uniformi dal punto di vista vegetativo), ma va altresì segnalata una discreta diffusione del GF 677. La paventata disaffinità segnalata per via di un difforme accrescimento tra nesto e portinnesto non si è mai rivelata in modo negativo; esistono in Sicilia impianti specializzati su questo portinnesto con oltre un decennio di produzione costante e rilevante che mettono in evidenza che questo soggetto, nelle condizioni in cui meglio può esprimere il proprio potenziale, riesce a dare soddisfazioni anche nel settore mandorlicolo. Gli impianti di mandorlo specializzati vengono oggi realizzati con densità non inferiori a 400 piante/ha, ma molto spesso prossime a 500-600, allevate a vaso tradizionale con impalcatura minima a 60 cm dal piano di campagna per garantire l’azione dello scuotitore alla raccolta. L’innovazione vera, assolutamente rivoluzionaria rispetto ad un passato da dimenticare, è la presenza dell’irrigazione in una coltura in cui l’apporto irriguo è stato talvolta pensato come negativo oltre che non indispensabile. Volumi di 1.000-1.200 m3 per ettaro sono in grado di soddisfare le esigenze idriche del mandorleto, ma soprattutto, se ben distribuiti, possono sostanzialmente contribuire al raggiun- 58 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 gimento di rese in sgusciato di rilievo, al mantenimento di una buona produzione annuale limitando meccanismi di alternanza, ad un equilibrio vegetativo che si rende necessario per una costante efficienza produttiva degli impianti. Inoltre, recenti esperienze di impianti di subirrigazione, sia su Tuono innestata su GF/677, sia su cultivar autoctone (Fascionello e Romana) innestate su franco, hanno evidenziato una reale possibilità di riduzione dei volumi irrigui di circa il 30%, confermando la maggiore efficienza di uso dell’acqua quando questa viene somministrata praticamente a contatto diretto con l’apparato radicale assorbente. Va da sé che in un sistema che cambia completamente connotati, passando da una tradizione inefficiente ad una sostanziale innovazione, devono essere rimodulate tutte le conoscenze in termini di relazioni acqua-nutrienti, di fertilizzazione, di gestione del suolo e di efficienza e sostenibilità nell’uso degli input esterni. Tutti aspetti assolutamente noti per la gran parte delle specie frutticole, ma ancora da definire per una specie che solo di recente ha assunto connotati di specializzazione agronomica. Tuttavia, qualsiasi innovazione nel campo mandorlicolo non può essere nemmeno immaginata se non si prevedono espliciti adattamenti delle piante all’impiego della meccanizzazione, almeno della fase di raccolta. Agli ingombranti ombrelli rovesciati di un tempo, che obbligavano a scelte tecniche infelici in termini di distanze di impianto, oggi seguono molte tipologie di macchine differenziate, di piccolo ingombro e di elevata mobilità, che presentano buona applicabilità nei contesti più differenziati. e si vanno sempre più consolidando imprese di lavorazione e trasformazione che alla produzione di tutti i possibili prodotti derivati dalle mandorle associano una qualità indiscutibile che trova importanti gratificazioni nel Continente e oltre Oceano. Tutto ciò è favorito anche dall’ampia adattabilità della specie alla gestione secondo i regolamenti dell’agricoltura biologica che sta via via permettendo graduali ampliamenti dell’offerta di mandorle bio in Italia e nel mondo, con un sostanziale consolidamento dell’Italia rispetto agli altri Paesi del Bacino del Mediterraneo. Questo andamento innovativo e di sicuro interesse e prospettiva della specie è ulteriormente favorito da iniziative di aggregazione tra produttori che, in alcune situazioni, stanno convergendo per condividere l’accesso a strumenti di finanziamento importanti a valere sulle attuali programmazioni comunitarie attraverso i quali si sta consolidando sempre un orientamento verso una mandorlicoltura innovativa, efficiente, competitiva. Anche le Amministrazioni pubbliche cercano di accompagnare tali processi di revisione colturale cercando di individuare strumenti di promozione a vantaggio degli imprenditori che raccolgono la sfida anche attraverso una seria aggregazione; è recente in Sicilia il lancio del Marchio collettivo ‘Mandorla di Sicilia’ che sta muovendo i suoi primi passi attraverso la nascita di un’associazione di produttori su scala regionale con l’unico obiettivo di valorizzare il prodotto isolano da sempre riconosciuto per la sua peculiare qualità organolettica. In prospettiva Dal quadro appena analizzato non viene certamente fuori la rinascita di un settore per troppo tempo marginalizzato dalla mancata volontà di renderlo efficiente e competitivo: emerge piuttosto che la mandorlicoltura italiana – siciliana e pugliese in particolare – ha tutte le carte in regola per vivere una fase di sviluppo interessante, in grado di offrire valide alternative colturali ad imprenditori attenti e lungimiranti. La capacità di sfruttare queste prerogative e queste prospettive è l’unico strumento che oggi rimane nelle mani dei mandorlicoltori che non hanno perso la fiducia di vedere rivivere un settore incredibilmente sottovalutato per anni. Q In definitiva, astoni di qualità, impianti specializzati, disponibilità irrigua, tecnica colturale oculata e meccanizzazione della raccolta sono tutti gli ingredienti indispensabili che oggi caratterizzano un settore in profondo cambiamento. Se in questo modo, quindi, abbiamo oggi conferme che il “sistema mandorleto” può essere efficiente e competitivo si deve anche sottolineare che il successo economico della ripresa della mandorlicoltura italiana passa inevitabilmente per una sostanziale qualificazione del prodotto su livelli di eccellenza internazionale. Da alcuni anni ciò è sempre più evidente Conclusioni Ricerca DOSSIER FRUTTA SECCA Valutazione di cloni di Tonda Calabrese per il miglioramento varietale del nocciolo LOREDANA F. CIARMIELLO - ANTONIO DE LUCA - MILENA PETRICCIONE - PASQUALE PICCIRILLO Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura - Unità di Ricerca per la Frutticoltura di Caserta L a coltivazione del nocciolo ha importanza economica in quattro regioni italiane: Campania, Lazio, Piemonte e Sicilia. Le superfici investite sono stabili in Campania, in leggera espansione in Piemonte e Lazio, in crescente declino in Sicilia (Adua, 2002; Piccirillo, 2002; Alberghina, 2002); le produzioni risentono di variazioni dovute al rinnovamento degli impianti e agli andamenti climatici stagionali. In Calabria la coltivazione non ha antiche tradizioni; il nocciolo fu introdotto nella seconda metà dell’800 da nobili napoletani che avevano estesi latifondi nella zona. I primi impianti furono fatti nel comune di Cardinale (Cz), oggi la coltivazione interessa pochi comuni a confine di due province: Cardinale e Torre Ruggiero (Cz); Simbario, Spadola, Filogaso (Vv) (Piccirillo et al., 2007). Le superfici coltivate sono circa 600 ettari, per una produzione di circa 1.000 t. La produzione rappresenta circa l’1% di quella nazionale che che è di circa 116.000 t (dati Faostat, 2008). Tuttavia, il nocciolo è impor- tante per l’economia rurale dei comuni interessati che non hanno grosse possibilità di conversione verso attività più remunerative. Un’eventuale crisi della coltivazione del nocciolo inciderebbe negativamente sull’economia locale. La tipologia colturale comprende aziende medio-piccole con impianti specializzati collocati in collina e in bassa montagna: 200-700 m di altitudine. La varietà principalmente coltivata è la Tonda Calabrese, una cultivar che ha frutto rotondeggiante, pezzatura media e buone qualità organolettiche. È apprezzata sui mercati locali per il consumo diretto, ma ha una resa bassa (inferiore al 40%) e presenza di fibre sul seme. Difetti che, nell’ultimo ventennio, hanno determinato la diffusione di altre varietà quali Tonda Romana e Tonda di Giffoni. Questa tendenza sembra in aumento. Scopo di questo lavoro è stato la valutazione di cloni all’interno della popolazione di Tonda Calabrese per selezionare quelli con caratteristiche carpologiche superiori: maggiore resa allo sgusciato e scarsa presenza di fibre sul seme. Materiali e metodi Sono state individuate novanta piante di Tonda Calabrese in campi diversi nei comuni di Cardinale e Torre Ruggiero (Cz). Le piante sono state scelte in primavera secondo il seguente metodo: sono stati individuati 5 campi in altrettante aziende coltivatrici (Azz. Signoretta, Martelli, Rosanò, Ritacchi, Rotiroti); all’interno di ogni campo sono state scelte 20 piante su 5 filari. Per ciascuna fila sono state scelte 4 piante, una ogni 5. Le caratteristiche carpologiche dei 90 cloni sono state valutate per tre anni (2007-09). A settembre, alla caduta delle nocciole, sono stati raccolti campioni di circa 100 nocciole iniziando dalla base del fusto e proseguendo in circolo. Su 20 nocciole, scelte a caso per ciascun clone, sono stati fatti rilievi sui frutti e sui semi per i seguenti parametri: dimensioni (diametro max e lunghezza); forma (diametro max/ TAB. 1 - VALORI MEDI, RELATIVE DEVIAZIONI STANDARD E COEFFICIENTI DI CORRELAZIONE INTRACLASSE DEI 90 CLONI DI NOCCIOLO TONDA CALABRESE OGGETTO DI STUDIO E DELLE CULTIVAR DI RIFERIMENTO Cloni Valori medi Resa sgusciato (%) Peso seme (g) Peso frutto (g) Calibro seme (g) Calibro frutto (g) Forma frutto (alt/dmax) Spessore guscio (mm) Presenza fibre (1:3) 38,0 1,2 3,2 14,1 20,6 0,9 1,7 2,9 componenti della varianza (come deviazioni standard) tra cloni 0,34 0,02 0,05 0,13 0,10 0,01 0,05 0,27 entro cloni 2,17 0,10 0,27 0,57 0,72 0,04 0,18 0,27 ICC 0,02 0,04 0,03 0,05 0,02 0,03 0,08 0,50 T. Romana 43,1 1,4 3,1 14,9 21,3 0,9 1,2 1,0 T. di Giffoni 40,9 1,3 3,1 14,6 20,4 0,9 1,3 1,0 Nocchione 37,0 1,3 3,3 14,4 21,1 0,9 1,8 3,0 60 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 lunghezza); peso frutto; peso seme; calibro seme (diametro max); spessore guscio; presenza di fibre sul seme. La pelabilità è stata stimata dopo tostatura del seme a 130 °C per 30 minuti. I dati sono stati confrontati con campioni di Tonda di Giffoni e Tonda Romana coltivati in zona e con un campione della cv Nocchione proveniente dalla collezione varietale del CRA-Unità di Ricerca per la Frutticoltura di Caserta. I dati sono stati elaborati con il metodo di clusterizzazione di Scott e Knott (1974). La media, la varianza e il coefficiente di correlazione intraclasse (un indice di diversità genetica tra i cloni) sono stati calcolati mediante l’ausilio del software di analisi statistica R environment (R. Core Team, 2009) e l’utilizzo di pacchetti lme4 (Bates e Maechler, 2009) e ggplot2 (Wickham, 2009). Caratterizzazione carpologica Tra i cloni non è stata riscontrata variabilità significativa per la maggior parte dei caratteri carpologici, ad eccezione della resa in sgusciato che per i cloni 91 e 92 è risultata più alta rispetto al valore osservato per gli altri cloni e comparabile al valore medio ottenuto per la cv Tonda di Giffoni, coltivata nelle stesse condizioni pedoclimatiche. Per brevità espositiva in tabella 1 vengono riportati solo i valori medi, la deviazione standard, le componenti della varianza e i coefficienti di correlazione intraclasse relativi ai dati carpologici osservati non vengono riportati per brevità espositiva; il coefficiente di correlazione intraclasse è risultato pari al 50% per la presenza di fibre. I profili triennali dei singoli cloni per le caratteristiche carpologiche studiate hanno mostrato oscillazioni contrastanti tra gli anni, che portano ad escludere differenze sistematiche di rilievo tra i cloni (Fig. 1). I campi di variazione delle caratteristiche sono rimasti sostanzialmente gli stessi tra gli anni: 1,5 g per il peso del frutto; 0,7 g per il peso del seme; una decina di punti percentuali per la resa in sgusciato; 4 mm per il diametro massimo del frutto; 3 mm per il diametro massimo del seme; 0,2 mm per lo spessore del guscio. La resa in sgusciato è correlata positivamente con il peso del seme, ma non con il peso del frutto (Fig. 2). Lo spessore del guscio sembra contribuire significativamente al peso del frutto e Fig. 1 - Profili triennali di 90 cloni di nocciolo (linee grigie) isolati in Calabria per alcune caratteristiche carpologiche e tendenza media interpolata con smussature non parametriche (linea blu). ciò spiega la relazione tendenzialmente negativa di quest’ultimo con la resa in sgusciato. La presenza di fibre sul frutto è stata alta per la maggior parte dei cloni e non è risultata essere in relazione con la resa in sgusciato. Per quanto riguarda il raffronto con i parametri carpologici delle cultivar di confronto (Tonda di Giffoni, Tonda Romana e Nocchione) i cloni hanno presentato peso del seme e resa allo sgusciato inferiori rispetto alle prime due, anche a causa di un guscio notevolmente più spesso. Rispetto a Nocchione i valori medi della resa in sgusciato e dello spessore del guscio non si discostavano molto, mentre i cloni hanno mostrato valori tendenzialmente inferiori rispetto a Nocchione per peso del frutto e del seme, soprattutto a causa delle minori dimensioni di quest’ultimo (Fig. 3). Discussione I 90 cloni oggetto di valutazione hanno mostrato variabilità nei valori dei caratteri esaminati all’interno dei singoli anni. Due cloni, il 91 e il 92 presentano una resa in sgusciato superiore rispetto agli altri, tuttavia, le osservazioni non hanno identificato un clone con valori elevati per tutti i caratteri carpologici considerati. È plausibile affermare che la popolazione è abbastanza omogenea e che le differenze tra gli individui non sono frutto di variazioni genotipiche, ma casuali. Il miglioramento genetico del noc- ciolo fino a un ventennio fa era fondato sulla selezione clonale di un patrimonio genetico derivante da seme già esistente. È stato applicato con discreti risultati ed ha portato alle attuali varietà coltivate in Turchia, Italia e Spagna (Mehlembacher, 1994; Rovira et al., 1997; Valentini et al., 1998, Islam e Ozguven, 2001). Per ogni varietà considerata sono stati selezionati cloni con caratteristiche agronomiche e carpologiche di pregio. La selezione clonale è stata attuata con modesti risultati in Spagna per le varietà Gironell e Negret; in Italia per Tonda Gentile delle Langhe, Tonda Romana e Tonda di Giffoni (Preziosi e Cartechini, 1979; Monastra et al.,1997; Valentini et al., 2001; Petriccione et al., 2010). Ciò permette di affermare che la selezione clonale, quando ci troviamo di fronte ad una varietà-popolazione presente su un territorio da secoli, con piante che presentano gradi di variabilità apprezzabile, può ancora essere uno strumento valido per il miglioramento varietale. Tuttavia, questo non sembra essere avvenuto per la Tonda Calabrese, probabilmente perché l’areale di produzione è abbastanza limitato e la propagazione per pollone è stata efficiente scartando piante provenienti da seme anche con caratteristiche feno-carpologiche simili alla Tonda Calabrese tipo. In Calabria il nocciolo ha discrete potenzialità, ma soffre di limitazioni strutturali in fase produttiva e commerciale. Piccoli coltivatori, con strutFRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 61 Fig. 2 - Relazioni bivariate tra caratteristiche carpologiche di 90 cloni di nocciolo isolati in Calabria. Fig. 3 - Diagramma a coordinate parallele dei valori medi (del triennio) di peso del frutto (pfru) e del seme (psem), lunghezza del frutto (altf), diametro massimo del frutto (dmaxf) e del seme (dmaxs), resa in sgusciato (resa) e spessore del guscio (spgu) per 90 cloni di nocciolo isolati in Calabria (linee grigie) in confronto con le varietà Nocchione 47, Tonda di Giffoni (TG) e Tonda Romana (TR). tura e superfici aziendali non sempre competitive, scarsa meccanizzazione alla raccolta e impianti di essiccazione precari, sono la causa di un prodotto non sempre di qualità, che fa fatica a reggere la concorrenza del mercato. La produzione, fondata maggiormente sulla varietà Tonda Calabrese potrebbe essere più remunerativa puntando anche su nuove cultivar. Tuttavia, i giudizi dei produttori sono discordanti: accanto a chi è propenso a mantenere la Tonda Calabrese c’è chi preferisce puntare su altre varietà come Tonda di Giffoni e Tonda Romana, che hanno una maggiore resa in sgusciato e quindi un prezzo di mercato superiore, dal momento che la produzione, destinata quasi tutta all’in- 62 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 dustria di trasformazione, è pagata al punto resa. Tuttavia, a fronte delle problematiche varietali, il settore sembra avere energie sufficienti per migliorare qualità e rendite aziendali. La produzione calabrese potrebbe aumentare investendo su nuove superfici e migliorando le condizioni di coltivazione dando maggiore importanza ad alcune pratiche colturali, come la potatura e la meccanizzazione della raccolta, questa in parte fatta ancora a mano (Piccirillo et al., 2007). BIBLIOGRAFIA Adua M. 2002. Rapporto statistico sulla corilicoltura italiana. Atti 2° Convegno Nazionale sul Nocciolo, 5 ottobre Giffoni V. P.: 93-103. 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L’utilizzo di biostimolanti, corroboranti, induttori di resistenza e micronutrienti è frequente nelle principali colture ortoflorofrutticole per migliorare il controllo della crescita e di alcune fasi importanti nel ciclo annuale e vitale delle piante, e per il contenimento delle malattie. L’argomento è sempre più presente in progetti di ricerca nazionali ed internazionali. Numerose informazioni sull’efficacia e sui meccanismi di azione coinvolti sono state acquisite negli ultimi anni; tuttavia, le informazioni sono in alcuni casi discordanti e non infrequenti sono le situazioni di poca chiarezza e opacità nella pratica di promozione dei prodotti e nella definizione dei prezzi. La problematica è molto sentita non solo in agricoltura biologica e integrata, ma anche nel settore vivaistico e ornamentale. Quello dei promotori della crescita è un approccio innovativo che può essere considerato importante per raggiungere produzioni elevate e di qualità. Il loro ruolo potrebbe essere centrale anche nel rilancio dello sviluppo di colture vocate difficili da realizzare con tecniche tradizionali per la richiesta di input esterni sempre crescenti a fronte di una riduzione della fertilità e della soppressività naturale verso i patogeni. Da qui l’esigenza di promuovere una maggiore conoscenza dei meccanismi di azione e della funzionalità di queste classi eterogenee di prodotti. Le Giornate Tecniche sono pensate per consentire l’incontro fra gli operatori dei diversi settori produttivi e per fornire indicazioni sulle tendenze e sulle possibilità di sviluppo di prodotti innovativi. L’evento si svolgerà prevedendo quattro sessioni; nella prima si mirerà a fare il punto della situazione descrivendo lo stato dell’arte nell’utilizzo dei diversi prodotti e la relativa normativa nazionale. La seconda e la terza sessione vedranno i contribuiti accademici con informazioni provenienti dal mondo della ricerca e della sperimentazione. Protagoniste della quarta sezione saranno le aziende produttrici che interverranno per presentare i loro prodotti più innovativi. L’incontro, di interesse nazionale, si inserisce in un percorso più ampio in preparazione all’Expo 2015, e sarà patrocinato non solo dalla SOI, ma anche dalle principali società scientifiche operanti nei campi della patologia vegetale (SIPAV), della protezione delle piante (AIPP) e della chimica agraria (SICA). L’evento si propone come un’occasione di rilevanza tecnico-scientifica elevata e trasversale in quanto il convegno sarà rivolto sia al mondo accademico, sia ai tecnici del settore frutticolo, ornamentale e floricolo e alle ditte produttrici di mezzi tecnici per l’agricoltura (agrofarmaci, fertilizzanti, fitoregolatori). Le iscrizioni al convegno sono aperte e maggiori informazioni sono disponibili alla pagina http://www. cesmi-agraria.univpm.it/giornate_soi_2014/. Segreteria organizzativa: Serena Polverigiani (s.polverigiani@ Q univpm.it). Per il Comitato scientifico e organizzatore Davide Neri Il nuovo portale dell’agricoltura www.agricoltura24.com FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 63 Ishs, italiani alla guida di commissioni e sezioni tecniche A quattro anni dal congresso mondiale di Lisbona (2010), l’ISHS - International Society for Horticultural Science, Associazione scientifica degli ortoflorofrutticoltori, con oltre seimila soci in tutto il mondo - terrà a Brisbane, Australia, il suo 29° Congresso, dal 17 al 22 agosto di quest’anno (http://www. ihc2014.org/index.html). L’Italia è parte molto attiva della Società, anche per averne ricoperto la Presidenza in anni recenti, dapprima con Franco Scaramuzzi (1986-90) e poi con Silviero Sansavini (1994-98). I soci italiani attualmente sono oltre trecento, non solo ricercatori e docenti, ma anche tecnici, operatori e produttori. Nello scorso febbraio si sono svolte le elezioni dei “Chairman” (coordinatori) delle sette Sezioni e delle tredici Commissioni attraverso cui l’ISHS opera nelle varie tematiche (specie coltivate per le Sezioni e argomenti tecnici trasversali per le Commissioni). Sono risultati eletti per l’Italia: il prof. Tiziano Caruso (Università di Palermo) per la Sezione “Nut and Mediterranean Climate Fruits”; il dr. Damiano Avanzato (CRA, Roma) per la Commissione “Plant Genetic Resources”; il dr. Maurizio Lambardi (CNR, Firenze) per la Commissione “Molecular Biology and In Vitro Culture; la prof.ssa Stefania De Pascale (Università di Napoli “Federico II”, nonché Presidente Generale della Società di Ortoflorofrutticoltura Italiana) per la Commissione “Protected cultivation”; il prof. Giorgio Prosdocimi Gianquinto (Università di Bologna) per la Commissione “Landscape and Urban Horticulture”. Segnaliamo ai nostri Lettori i numerosi meeting organizzati, almeno una volta ogni quattro anni, dall’Executive Committe per ciascuna delle specie e tematiche oggetto di studio (vedi programmi sul sito www.ishs. org). L’attività editoriale dell’ISHS è molto importante e sempre in lingua inglese, tra cui la rivista “Chronica Horticulturae”, trimestrale, inviata a tutti i soci, e i volumi “Acta Horticulturae” (in media trenta-quaranta per anno) inviati ai soli partecipanti ai simposi organizzati dalla Società. Attualmente i volumi pubblicati sono più di mille, acquistabili con sconti agli associati. Le biblioteche di alcune istituzioni scientifiche italiane sono abbonate a tutti i volumi; fra queste la Biblioteca “G. Goidànich” della ex Facoltà di Agraria di Bologna. Gli “abstract” di tutte le relazioni inserite nei volumi sono scaricabili gratuitamente dal sito della Società. La quota di iscrizione annua all’ISHS è di 75 €. I riferimenti dell’ISHS sono i seguenti: ISHS Secretariat - PO Box 500 - 3001 Leuven 1, Belgio – tel. +32 16229427, fax +32 16229450, [email protected] - www. ishs.org. Q Silviero Sansavini Università di Bologna Tutti gli eletti dell’ISHS Commission Landscape and Urban Horticulture (CMUH): Prof. Dr. Giorgio Prosdocimi Gianquinto (Italy) Commission Organic Horticulture (CMOR): Dr. Martine Dorais (Canada) Commission Economics and Management (CMEM): Dr. Peter J. Batt (Australia) Commission Education, Research Training and Consultancy (CMET): Dr. Rémi Kahane (France) Commission Fruits and Vegetables and Health (CMFV): Prof. Julian Heyes (New Zealand) Commission Horticultural Engineering (CMEN): Dr. Murat Kacira (USA) Commission Irrigation and Plant Water Relations(CMIR): Prof. Dr. Manuela Zude (Germany) Commission Molecular Biology and In Vitro Culture (CMMV): Dr. Maurizio Lambardi (Italy) Commission Plant Genetic Resources (CMGR): Dr. Damiano Avanzato (Italy) Commission Plant Protection (CMPP): Dr. David Hunter (Canada) Commission Plant Substrates and Soilless Culture 64 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 (CMPS): Prof. Dr. Michael Raviv (Israel) Commission Protected Cultivation (CMPC): Prof. Stefania De Pascale (Italy) Commission Quality and Postharvest Horticulture (CMPH): Prof. Christopher B. Watkins (USA) Section Nuts and Mediterranean Climate Fruits (SENU): Prof. Tiziano Caruso (Italy) Section Ornamental Plants (SEOP): Prof. Dr. Margrethe Serek (Germany) Section Pome and Stone Fruits (SEFR): Prof. Ted M. DeJong (USA) Section Tropical and Subtropical Fruits (SETS): Prof. Dr. Sisir Kumar Mitra (India) Section Vegetables - Quality Production Systems Leafy Green and Non-Root Vegetables (SEVQ): Dr. Daniel Leskovar (USA) Section Vegetables - Roots, Tubers, Edible Bulbs, Brassica and Asparagus (SEVR): Prof. Umezuruike Linus Opara (South Africa) Section Vine and Berry Fruits (SEVI): Prof. Dr. Bernadine C. Strik (USA) DAI FRUTTETI PIEMONTESI La strategia di difesa più efficace resta la prevenzione Proteggere i piccoli frutti dagli attacchi della drosofila I l moscerino della frutta dagli occhi rossi (Drosophila suzukii) è arrivato in Piemonte nel 2010. Nel 2012 i danni sono diventati ingenti, soprattutto su piccoli frutti: lampone e mirtillo. Nel 2013 la pressione del fitofago è diminuita ma soprattutto i picchi dei voli si sono verificati in ritardo rispetto alla maturazione delle varietà più diffuse sul territorio (Fig. 1). L’anticipo di stagione 2014 non lascia prevedere niente di buono. Monitoraggio 2014 Maschio di Drosophila suzukii su lampone. Monitoraggio voli D. suzukii e andamento delle temperature (mirtilleto CReSO) 700 35.0 600 30.0 20.0 400 15.0 300 10.0 200 D. suzukii D. suzukii T Min T Max Temperatura 25.0 500 N. Catture Proseguirà il monitoraggio su 5 siti che rappresentano aree omogenee del territorio pedemontano, dal Peveragnese al Saluzzese, attività svolta in collaborazione da Creso e Disafa dell’Università di Torino. Le trappole sono costituite da una bottiglia di plastica contenente 250 ml di aceto di mele con 5-6 fori (diametro massimo 0,5 cm) sui lati per consentire l’ingresso degli insetti. L’esposizione delle trappole dura tutto l’anno. Nei periodi di scarsa presenza la sostituzione e i conteggi sono effettuati ogni due settimane, mentre nei periodi critici si passa ad una frequenza settimanale. Le letture delle catture vengono comunicate tempestivamente attraverso il bollettino ai tecnici di base. Nel corso della stagione prenderà forma il grafico dell’andamento delle popolazioni maschile e femminile, con funzione predittiva dei picchi di infestazione. 5.0 Interventi agronomici preventivi 100 Fino ad oggi la strategia di difesa più efficace è la prevenzione. Si tratta di creare condizioni sfavorevoli allo sviluppo dell’insetto e ridurne il potenziale di infestazione. Di seguito gli interventi raccomandati. 0 Fig. 1 - Volo di Drosophila suzukii e andamento delle temperature (mirtilleto CReSO). Controllo della vegetazione Distruzione degli scarti Occorre sfoltire la vegetazione con interventi in verde, per agevolare la raccolta di tutti i frutti ed evitare di dimenticarne all’interno della chioma. Nei lamponeti occorre rimuovere anche i polloni esterni alla fila. I frutti di scarto vanno raccolti in sacchi di polietilene trasparente ben chiusi. L’esposizione al sole fa aumentare la temperatura a livelli che devitalizzano in pochi giorni uova e larve presenti nei frutti. Raccolte Effettuare passaggi di raccolta ravvicinati. I frutti maturi, o peggio senescenti, attraggono gli adulti di drosofila. Con le raccolte ravvicinate si riduce anche il rischio di cascola dei frutti che, una volta a terra, sono difficili da rimuovere e distruggere. Il frutto infestato lasciato sulla pianta o cascolato consente il completamento del ciclo di sviluppo delle larve, dando origine a una nuova generazione. 3/7 8/7 13/7 18/7 23/7 28/7 2/8 7/8 12/8 17/8 22/8 27/8 1/9 6/9 11/9 16/9 21/9 26/9 1/10 6/10 11/10 16/10 21/10 26/10 31/10 5/11 10/11 15/11 20/11 25/11 30/11 5/12 10/12 15/12 20/12 25/12 30/12 4/1 9/1 0.0 -5.0 Cattura massale con trappole alimentari La miscela più appetita è composta da: – 190 ml di aceto di mele, – 60 ml di vino rosso, – un cucchiaino di zucchero di canna grezzo. Buoni risultati sono stati ottenuti anche con l’impiego di macerato di frutti di fragola o di lampone. Le bottiglie devono essere posizionate precocemenFRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 65 Tunnel con rete antinsetto. predatori di ragnetto rosso. Occorre quindi monitorare con attenzione lo sviluppo dell’acaro. I fitoseidi possono essere reintrodotti ponendo attenzione alla persistenza dell’insetticida. Per lampone e rovo la strategia di intervento proposta nel 2013 è stata di un trattamento abbattente alle prime rilevanti catture. Nel corso della stagione, in funzione dell’andamento della maturazione, è stato consigliato di proseguire con gli altri due trattamenti consentiti nelle situazioni a più elevato rischio. Nel 2014 i bollettini fitosanitari forniranno le nuove indicazioni sulla base del monitoraggio dei voli. Valutazione dell’efficacia di reti antinsetto Trappola per la cattura massale. te, già in occasione del primo volo, e lasciate fino a quando si registrano catture, spesso ben oltre la raccolta. Le “esche” vanno sostituite ogni 7-10 giorni. Sulle bottiglie devono essere praticati almeno una dozzina di fori con dimensioni non superiori ai 4-5 mm. Il posizionamento delle bottiglie, distanziate tra loro di circa 2 metri, deve avvenire lungo tutte le file con i fori ad una altezza da terra di 100-120 cm da terra per il lampone e il mirtillo. Per la fragola i fori devono trovarsi all’altezza dei frutti. Si raccomanda di evitare le postazioni in pieno sole. Interventi fitoiatrici Attualmente non sono disponibili agrofarmaci registrati, ma vengono concesse registrazioni provvisorie per 120 giorni. Nel corso del 2013 hanno ottenuto questa registrazione il Fosmet e la Deltametrina. Fosmet (Spada 200 EC) è ammesso solo su mirtillo, con un solo trattamento alla dose di 350-375 ml/hl (3,75 l/ha). Tempo di carenza 5 gg. Deltametrina (Decis) alla dose di 50 ml/hl (0,5 l/ ha) e DECIS JET alla dose di 83 ml/hl (0,83 l/ha) sono ammessi su lampone e rovo con la possibilità di eseguire tre interventi a distanza di 7 gg. Tempo di carenza 7 gg. L’impiego del piretroide non è selettivo sui fitoseidi, 66 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 Nel 2013 Creso e Disafa hanno allestito la copertura di un lamponeto con rete anti-insetto, per verificarne l’efficacia nel limitare l’ingresso della drosofila. Caratteristiche della rete sono maglie sufficientemente fitte per impedire il passaggio dell’insetto (mesh 16/10 con maglie di 0,8x0,8 mm), altezza di 2,5 m, di cui 0,5 m sporgenti verso l’esterno, larghezza di 7 m (circa 1 m in più dell’impianto per permettere l’arieggiamento del tunnel). Il posizionamento della rete è avvenuto il 5 giugno, la rimozione è stata effettuata il 30 ottobre. All’interno del tunnel erano presenti varietà di lampone rifiorente con diversa epoca di maturazione, in modo da coprire tutto l’arco della stagione. Il 31 luglio 2013 è stato eseguito un trattamento abbattente a base di deltametrina e il 23 agosto è stato fatto un trattamento acaricida con Exitiazox + Abamectina. Le catture della trappola posizionata all’interno del tunnel (50 esemplari) sono state sensibilmente inferiori rispetto alla trappola esterna (272 esemplari). Dopo la rimozione della rete (30 ottobre), le catture della trappola interna (730) si sono portate ai livelli della esterna (1.127). La rete si è quindi dimostrata efficace nell’impedire l’accesso della drosofila al lamponeto. L’integrazione rete + agrofarmaci ha protetto adeguatamente la produzione del lamponeto. Si tratta ovviamente di una strategia costosa, che è conveniente adottare in impianQ ti già predisposti per la coltura protetta. Cristiano Carli, Roberto Giordano Creso - Cuneo DAI FRUTTETI METAPONTINI Sostanza organica e produttività dei suoli Un progetto per i terreni soggetti a erosione e desertificazione N el 2013 ha avuto inizio, presso l’Azienda Pantanello dell’Alsia, il Progetto Biorem, Env/ It/000113, cofinanziato dal programma Life+, lo strumento finanziario Europeo di supporto ai progetti di conservazione della natura e ambientali. Il progetto considera i processi di degrado del suolo che, pur variando considerevolmente fra gli Stati membri in termini di gravità e pericolo, interessano tutta l’Unione. Difatti si stima che 115 milioni di ettari, il 12% del territorio Europeo, siano soggetti ad erosione del suolo a opera dell’acqua, mentre 42 milioni siano interessati da erosione ad opera del vento. Inoltre si stima anche che il 45% dei suoli europei presentino un basso contenuto di sostanza organica, principalmente in Europa del sud, ma anche in Francia, Inghilterra e Germania. Al di sotto di una certa quantità di materia organica contenuta nel terreno, la produttività del suolo si riduce fortemente, sia per la mancanza di nutrienti organici, sia per il degrado della struttura del suolo. Secondo Loveland et al. (2003) vi è un limite del 3,4% di materia organica contenuta nel suolo (2% di carbonio organico) al di sotto del quale potrebbe verificarsi un serio peggioramento della qualità del terreno. Le Villio et al. (2001) collocano questo limite tra il 2 e il 3% quando si tratta di terreni limosi. Da un punto di vista ambientale ed economico, molte regioni nel sud dell’Europa hanno raggiunto un livello critico di sostanza organica contenuta nel suolo, al di sotto del quale la produzione agricola potrebbe precipitare. Nelle regioni mediterranee, i bassi livelli di sostanza organica di alcune aree densamente popolate stanno già avendo allarmanti conseguenze sulla produttività. Lo sfruttamento e l’impoverimento del suolo sono la causa di tre problemi ambientali e sociali: 1) erosione del suolo nelle aree agricole, 2) marginalizzazione e abbandono dei terreni agricoli, 3) impermeabilizzazione dei suoli. Il progetto Biorem si pone l’obiettivo di fornire un sistema integrato, veloce ed efficiente, per il monitoraggio e il ripristino del suolo, combinando l’azione della rigenerazione vegetale con sostanza organica esogena. Rispetto al monitoraggio del suolo, l’obiettivo del progetto è di dimostrare che il sistema previsto può fornire un mezzo più veloce, più accurato e dinamico rispetto ai metodi esistenti. Per il ripristino del suolo l’obiettivo è di dimostrare che le tecniche applicate possano ripristinare con successo i terreni degradati, migliorandone le proprietà fisico-chimiche, l’attività biochimica ed aumentandone la fertilità fino al 25%. Inoltre con un’analisi molecolare quantitativa e qualitativa del profilo del suolo, si cercherà di conseguire Particolare del campionamento a diverse profondità. Il gruppo di ricerca che partecipa al progetto I l progetto vede la partecipazione dei seguenti gruppi di ricerca e sperimentazione pubblici e privati. Il gruppo di ricerca dell’Isecnr di Pisa, che si occupa del coordinamento del progetto, appartiene all’istituto degli studi sull’ecosistema (Ise) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), che curerà gli aspetti relativi alle analisi dei suoli trattati. L’Azienda Pantanello dell’Alsia situata nel cuore di Metaponto, territorio caratterizzato da un’agricoltura altamente innovativa, che ha portato un forte impoverimento dei terreni agricoli in termini di sostanza organica, che si occuperà della esecuzione dei campi. Il Csic-Cebas di Murcia, istituto che fa parte del consiglio nazionale spagnolo delle ricerche è l’istituzione pubblica nel settore della ricerca al primo posto in ordine di grandezza in Spagna e la terza in Europa, che curerà gli aspetti relativi alle analisi dei siti. Abonos Orgánicos Pedrin è una azienda privata spagnola localizzata in Murcia, che si occupa della produzione e commercializzazione di prodotti agrochimici, quali il concime organico e prodotti utilizzati nell’agricoltura biologica tradizionale, che si occuperà della esecuzione dei campi. $PHNVFUOSURPXRYHORVYLOXSSRGHOODULFHUFDVFLHQWLÀFDHODVSHULPHQWDzione nel campo delle biotecnologie, in particolare nell’impiego di enzimi in DJULFROWXUD]RRWHFQLDUHFXSHURGHOODELRPDVVDHGHLULÀXWLHERQLÀFDGHLVLWL contaminati; nel progetto curerà l’esecuzione dei campi. Q FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 67 Spargimento della sostanza organica. Particolare del campo con impianto delle essenze previste. un’analisi dettagliata, individuando ed analizzando la presenza e lo stato dei processi enzimatici. Azioni proposte nel progetto Il progetto Biorem consta di quattro azioni strettamente connesse: individuazione del sito, del quale sono state effettuate le analisi delle condizioni iniziali che serviranno per verificare i cambiamenti che si avranno in futuro dopo aver praticato gli interventi previsti. I siti sono situati in Spagna e in Italia. I 10 siti, su cui si opera, saranno suddivisi in 40 “sotto-siti” dei quali: tTFSWJSBOOPEBDPOUSPMMPFOPOWFSSBOOPUSBUUBUJ tWFSSBOOPBSSJDDIJUJEJNBUFSJBPSHBOJDBFTPHFOB tWFSSBOOPEFEJDBUJBMMBSJHFOFSB[JPOFWFHFUBMF tTBSBOOPUSBUUBUJDPOVOBDPNCJOB[JPOFEFJEVF metodi (arricchimento con materia organica esogena e rigenerazione vegetale). tEJNPTUSB[JPOFEFMMJOOPWBUJWBUFDOJDBEJNPOJUPSBHHJP biochimico attraverso 4 sessioni di campionamenti e misurazioni che risulteranno in una caratterizzazione dinamica dello stato e dell’evoluzione dei terreni trattati. L’iniziativa e i suoi risultati saranno divulgati nei Paesi coinvolti nel progetto e nel resto dell’Unione grazie a una campagna di comunicazione appositamente strutturata. Azioni in fase di attuazione Presso l’Aasd Pantanello dell’Alsia sono stati realizzati tre siti per la dimostrazione delle strategie di rigenerazione vegetale così come proposti nel Progetto Biorem. Su questi siti è stato applicato il protocollo sperimentale, con l’uso di sostanza organica (di origine animale) e la rigenerazione con specie vegetali quali il Lentisco e il Pino d’Aleppo. 68 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 I siti scelti presentano tre differenti tipi di suolo e sono stati realizzati nel mese di settembre 2013; in essi è stato già avviato il monitoraggio biochimico e le misurazioni. I primi risultati Come atteso, immediatamente dopo l’applicazione delle strategie di rimediazione (compost e piante), il carbonio organico totale (Toc) aumenta rispetto ai terreni di controllo, grazie all’aggiunta della sostanza organica. In accordo con l’andamento del Toc, la frazione più resistente di sostanza organica (sostanza umica) ha mostrato la tendenza ad aumentare con l’applicazione del compost. L’incremento di tali parametri chimici è più evidente nei siti spagnoli rispetto a quelli italiani. Inoltre, l’applicazione di compost ha migliorato le condizioni microbiologiche e biochimiche dei suoli selezionati. Infatti, l’attività dell’enzima deidrogenasi, che valuta gli effetti indotti dalla gestione del suolo sul metabolismo microbico, l’attività dell’enzima-glucosidasi, che rappresenta il potenziale del suolo di idrolizzare composti carboniosi a basso peso molecolare e l’attività dell’enzima fosfatasi, che catalizza l’idrolisi di P organico con il rilascio di fosfati, risultano stimolate nei suoli trattati. Anche l’attività β-glucosidasi extracellulare è risultata più alta nei terreni trattati con compost rispetto ai terreni di controllo. La presenza di questo enzima extracellulare, che grazie alle interazioni chimiche con le sostanze umiche (complessi umo-enzimatici) viene protetto dalla denaturazione chimica e proteolitica, può fornire informazioni per una migliore comprensione dell’efficacia delle pratiche di recupero del Q suolo. Carmelo Mennone Alsia, Az. Sperimentale Pantanello, Mataponto (Mt) IL CASO CAMPANIA Si afferma la lotta “integrata” con entomofagi Sempre più Sabrina per le fragole, ma le superfici si contraggono N el panorama fragolicolo campano si afferma sempre più la varietà Sabrina. I dati del Cso rilevano la prevalenza di Sabrina (58%) con frutti di bella forma conico-allungata, in entrambi gli areali, Piana del Sele e Agro-aversano; nel salernitano seguono Candonga (9%), Florida, Fortuna, Amiga e Rania, mentre nell’aversano Candonga, Florida e Fortuna. «Le ottime caratteristiche di Sabrina – ci dice Marco Valerio Del Grosso, esperto del settore, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo – ne hanno consentito l’affermazione e i fragolicoltori si stanno ampiamente orientando verso questa cultivar, anche se si è dimostrata più sensibile agli attacchi di oidio». Le scelte del materiale di propagazione è sostanzialmente rivolta verso due tipologie. «Per le produzioni precoci, continua Del Grosso, si opta per le piantine a “cima radicata”, mentre qualora si voglia puntare a produzioni di qualità anche più tardive la scelta ricade per le piantine a “radice nuda”». Ai tanti vantaggi delle piante “fresche”, quali il ritardo stesso nella piantagione, l’anticipo del calendario di raccolta, la riduzione dei costi I mercati mercati di destinazione delle fragole campane sono Italia, Germania, Svizzera, Svezia, Austria, con il 65% rappresentato dalla Gdo e il 35% dai mercati. «I mercati esteri – riferisce Capriolo – sono molto esigenti in quanto a certificazioni ed integrità del prodotto, gli italiani invece preferiscono fragole dal colore brillante, buone, ed ultimamente sono interessati anche alla tracciabilità ed alla conservazione del prodotto. Chiaramente, Paesi quali Marocco, Egitto e Israele, con costi di produzione nettamente inferiori ed in grado quindi di vendere la loro frutta a prezzi più bassi sono diventati agguerriti concorrenti, però con qualità inferiore e diversa ed inadeguata presentazione del prodotto». In Spagna, nostro principale concorrente, nel 2014, le coltivazioni hanno sofferto basse temperature, venti intensi e piogge durante l’intero mese di febbraio, con arrivo sui mercati interessati, di partite di qualità inferiore alla media, prodotte in condizioni tutt’altro che ideali. «La Spagna – continua lo sperimentatore – data la mole produttiva, riesce comunque a determinare il mercato e a formare il prezzo, generalmente abbassandolo, quando entra massivamente in competizione con il prodotto italiano. Pertanto il nostro punto di forza rimane l’elevato livello qualitativo, ed il rispetto pieno delle norme attinenti la conservabilità del prodotto». In Italia, i principali concorrenti delle fragole campano restano la Sicilia, in quanto a precocità dovuta ovviamente alle condizioni climatiche, e la Basilicata per l’elevato standard varietale; tuttavia, vista l’ottima qualità delle produzioni campane, i maggiori concorrenti restano i paesi esteri. «Nel prossimo futuro – conclude Del Grosso – si assisterà ad un’ulteriore contrazione delle superfici e si avvantaggeranno solo le aziende che punteranno al massimo della qualità (sia come colore sia come sapore), stante le esigenti richieste dei mercati, sia interni sia esteri». C.B Q I Sabrina si sta affermando in tutti gli areali di coltivazione campani. L’impiego di piante “fresche” presenta numerosi vantaggi, ma anche qualche inconveniente. FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 69 I mercati, sia italiani che esteri, sono molto esigenti e cercano prodotti di ottimo colore e sapore. Le produzioni campane, stante gli elevati standard qualitativi, non temono la concorrenza. di produzione, il regolare e valido aspetto del frutto, la maggiore tolleranza agli stress, si contrappone qualche svantaggio, come ci riferisce Giuseppe Capriolo dell’unità di Frutticoltura del Cra di Caserta: «Le difficoltà possono essere collegate all’andamento termico, con temperature che possono risultare troppo rigide dopo la messa a dimora e alle condizioni di salinità in eccesso (conducibilità elettrica Ec entro 1,2-1,3 mS/cm) con perdita di efficienza produttiva. Quindi ruolo decisivo in questa tecnica è la conoscenza della fisiologia, della nutrizione e del controllo fitosanitario. Basta pensare ad esempio la difficile valutazione del momento di induzione a fiore, elemento fondamentale per programmare la produzione». Tra le novità riguardanti la difesa si sta affermando l’uso sempre più frequente di entomofagi contro i principali parassiti animali. «Anche per la lotta all’oidio, aggiunge Del Grosso, si segnala una novità rappresentata da interessanti agrofarmaci a base di bicarbonato di potassio, che sembra abbiano un discreto effetto nel contenere la crittogama». L’area nord «Per quanto riguarda le novità colturali – ci riferisce Antimo Pedata, consulente del settore – nell’agro aversano si sta assistendo al ritorno verso un sesto d’impianto più largo (23 cm sulla fila e 35 tra le file 70 FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 rispetto ai 20 2 30-35 cm degli anni passati) dovuto all’impiego di varietà molto più vigorose di quelle precedenti. Inoltre, si tende a modificare anche le strutture protette e le coperture favorendo una migliore illuminazione e un superiore ricambio d’aria». La scelta delle piante ricade sulle piante “fresche” per prolungare anche perché, allungando il periodo di raccolta, è possibile dilazionare l’impegno di manodopera. «Per quanto riguarda l’impiego di “cime radicate” – aggiunge Pedata – la varietà Fortuna sembra quella rispondere meglio ed è certamente superiore a tutte quelle già provate». Quest’anno si è assistito ad un eccessivo sviluppo delle piante trapiantate precocemente per l’eccezionale caldo che si è verificato nella stagione autunnale. «Tuttavia – precisa Pedata – si può dire che l’annata, dal punto di vista produttivo, è stata ottima». In Italia vi è una forte esigenza di rinnovamento varietale, optando per cv che producano fragole resistenti e di qualità, anche perché i consumatori sono disposti a pagare di più per frutti di qualità migliore e come sempre la qualità premia. «La principale finalità, aggiunge Capriolo, è quella di aumentare alcune caratteristiche qualitative dei frutti (dolcezza e consistenza in particolare); nella ricerca pubblica lavorano ben 14 Unità di ricerca, con Q 16 campi sperimentali costituiti in 13 regioni». Carlo Borrelli LE AZIENDE INFORMANO Nella primavera 2014 attesa una produzione di 80 tonnellate della varietà Joly Dalle ricerche del Civ la fragola che piace ai belgi N uovi riconoscimenti internazionali per le fragole ‘ferraresi’ frutto della ricerca del CIV. Dopo il successo di mercato in Gran Bretagna, la varietà Joly si avvia a diventare la produzione di riferimento in Belgio in particolare nella regione della Vallonia. I primi test produttivi risalgono al 2012; i buoni risultati hanno incrementato la produzio- ne nel 2013 e per la primavera 2014 si attende una produzione di circa 80 tonnellate sul mercato vallone. La fragola Joly, caratterizzata da una pianta rustica, è dotata di notevole tolleranza alle malattie sia radicali che fogliari. Il colore è rosso brillante, molto attraente, e le qualità organolettiche sono di assoluta eccellenza, con sapore Il Consorzio Italiano Vivaisti iv è leader in Italia nell’innovazione varietale e nella produzione di materiali di propagazione certificati. Attivo dal 1983, con sede a San Giuseppe di Comacchio, in provincia di Ferrara, il Civ è composto dai tre vivai italiani leader nel settore: Vivai Mazzoni, Salvi Vivai, Tagliani Vivai. Attraverso la sinergia, l’esperienza e gli investimenti importanti nella ricerca, Civ è in grado di offrire prodotti all’avanguardia e più rispondenti alle esigenze del mercato. Nel complesso i tre vivai producono ogni anno circa 5 milioni di portinnesti, 3,5 milioni di piante di mele, pere e drupacee, 150 milioni di piante di fragola e 2 milioni di zampe di asparago. Producono inoltre, su richiesta dei clienti, altre specie minori di frutta. Il Civ, con grande lungimiranza, è impegnato da anni a selezionare varietà che possono fornire produzioni di alta qualità con ridotto fabbisogno energetico e basso impatto ambientale. Civ è un membro fondatore dell’International New-varieties Network (Inn), un’associazione mondiale di vivai che promuove lo scambio, la valutazione e la commercializzazione di nuove varietà nelle Q principali aree di produzione nel mondo. C molto zuccherino e di ottimo aroma. I frutti sono molto resistenti in pianta e possono essere raccolti a piena maturazione. Ottime la conservabilità e la shelf life. Le prove varietali messe in atto fin dal 2011 dal GFW, l’associazione dei fragolicoltori valloni, hanno evidenziato i valori caratteristici della Joly, in particolare la costanza dei risultati sia sul piano quantitativo che qualitativo. Caratteristiche, afferma la GFW, assai importanti “soprattutto tenendo conto del clima assai variabile del Belgio che propone condizioni climatiche assai differenti da una stagione all’altra. Joly si è confermata una varietà stabile nel tempo”. Inoltre i test effettuati in Belgio hanno confermato la migliore tolleranza ai patogeni del suolo e una minor necessità di trattamenti contro l’oidio rispetto ad altre varietà. Quattro linee di ricerca «Dal Belgio arriva una ulteriore conferma della bontà ed efficacia del programma breeding fragola del Civ, attivo dal 1984 su quattro linee di ricerca: fragole per ambienti a clima temperato mediterraneo, per ambienti a clima continentale, rifiorenti e varietà adatte alla trasformazione La varietà di fragola Joly. industriale – commenta Mauro Grossi, presidente Civ –. Puntiamo solo su tecniche classiche (assolutamente no Ogm) e su nuove varietà che garantiscano produzioni elevate e frutti di ottima qualità, assieme ad una naturale rusticità e vigoria delle piante, per offrire al mercato nazionale e a quelli internazionali non solo la qualità ma il massimo della ecosostenibilità». La ricerca Civ nel comparto delle fragole, sostenuta dalle aziende socie del Civ, i vivai Salvi e Mazzoni, ha portato all’individuazione di 25 nuove varietà per i diversi ambienti di coltivazione. Attualmente vengono piantate in coltivazione oltre 150 milioni di piante di varietà originate dalla Q ricerca del Civ. Per ulteriori informazioni: Alessio Martinelli, responsabile Ricerca & Sviluppo Civ. Tel. 0533-399431 Raccoglierà i contributi video forniti da tutti i clienti Missione speciale Timac Agro Italia web-tv al servizio dell’agricoltura L e comunità agricole italiane hanno una tradizione solidale. Hanno sempre scambiato forze, manodopera, esperienze e competenze. La missione speciale di Timac Agro Italia è portare la tradizione solidale in Rete, per abbattere i limiti territoriali e moltiplicare le esperienze da condividere. Per questa missione speciale Timac Agro Italia mette a disposizione i suoi oltre 100 esperti agronomi, i suoi Clienti e un agente segreto molto speciale: Fabrizio Fontana. Si vuole costruire la più grande comunità agricola italiana, aperta a tutti coloro che vorranno viverla, una rete di esperienze e di opportunità. La web-tv è una sezione fondamentale della Missione Spe- ciale, in cui verranno raccolti tutti i contributi video dei Clienti di Timac Agro Italia e degli esperti agronomi, per condividere le loro esperienze, i loro suggerimenti e ogni informazione utile per ottenere il miglior risultato. Oltre ai video anche i forum sono il fulcro della “Missione Speciale”, perché nei forum tutti i giorni ogni utente, che sia allevatore o agricoltore, cliente o non cliente, esperto agronomo oppure semplice appassionato, potrà accedere ai preziosi contributi degli altri utenti. Per partecipare al progetto “Missione speciale” è necessario digitare l’indirizzo web sotto ed iscriversi cliccando nell’apposita sezione. Suggerimenti per fare il video Il consiglio è di fare un filmato breve, di 2-3 minuti. In ogni caso mai superare i 5 minuti. E organizzare il video in tre momenti ben precisi e distinti in cui: 1. Parlate di voi e della vostra azienda 2. Parlate dei vostri prodotti, di cosa coltivate e cosa allevate 3. Parlate della vostra esperienza con Timac Agro Italia. Cosa avete usato e che risultato avete ottenuto. Link: http://missionespeciale.timacagro.it https://www.facebook.com/timacagroitalia http://www.youtube.com/channel/ UC8mX4WW4c7SUAqMVJ36B1sA *Tra quelli inviati entro il 31.10.2014. Per maggiori informazioni http://missionespeciale.timacagro.it/ipad-di-james-tont/ FRUTTICOLTURA - n. 5 - 2014 71