I COMMENTI
- anno 2014 -
Evasione IVA: per il reato penale non basta
l'accertamento induttivo
Organo:
CASSAZIONE PENALE
Numero atto:
SENTENZA N. 37335 DEL 9 SETTEMBRE 2014
Sintesi :
In tema di reati tributari non possono applicarsi le presunzioni legali o i criteri
validi in sede tributaria, essendo onere della pubblica accusa fornire la prova
della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato. In particolare,
l’accertamento induttivo compiuto dagli Uffici finanziari può rappresentare un
valido elemento di indagine per stabilire, in sede penale, se vi sia stata evasione
e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge. Difatti il
giudice penale non può limitarsi a recepire acriticamente i contenuti
dell’accertamento, dovendo procedere ad un’ attenta valutazione degli stessi
e di ogni altro indizio acquisito in sede processuale. Questo, in sintesi, il principio
di diritto espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza 09 settembre 2014, n.
37355, che ha annullato la pronuncia di condanna con cui i giudici di appello si
sono limitati ad affermare l’attendibilità dell’ accertamento induttivo senza
procedere ad una precisa ed autonoma valutazione degli elementi in esso
esposti.
Autore :
DOTT.SSA CARMEN MIGLINO
IL CASO
La Corte d’appello di Campobasso confermava , nei confronti del rappresentante legale di una srl,
la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 5 d.lgs. 10 marzo 200, n,74 .
In particolare, il Collegio di merito, nel ritenere integrato il reato di omessa dichiarazione Iva,
osservava che l’accertamento induttivo era attendibile “non solo perché determinato sulla base
della dichiarazione annuale dei redditi e del bilancio di esercizio, ma anche perché conforme alle
stime di settore prodotte all'Agenzia delle Entrate (che hanno la caratteristica di assegnare gli
indici mediani una valenza probatoria significativa) e, peraltro, non smentito da alcuna
documentazione che il prevenuto avrebbe potuto e dovuto produrre “
L’imputato presentava ricorso per cassazione deducendo la violazione del citato articolo 15,
avendo la Corte d’appello ritenuto provato il superamento della soglia di punibilità sulla scorta del
solo accertamento induttivo.
A parere del ricorrente, i giudici hanno operato un’inammissibile inversione dell’onere della prova,
ponendo a base della decisione le risultanze dell’attività accertativa, senza procedere a specifica
ed autonoma valutazione degli elementi fattuali emersi in sede processuale.
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IL COMMENTO
1. ACCERTAMENTO INDUTTIVO: RILEVANZA IN AMBITO PENALE
La giurisprudenza, secondo un consolidato e condivisibile orientamento, ha chiarito che
l’autonomia del procedimento penale rispetto a quello tributario non esclude che il giudice
penale, nella formazione del proprio libero convincimento, possa tener conto delle presunzioni
tributarie alla stregua di elementi indiziari, fermo restando l’obbligo di dare conto nella motivazione
dei risultati acquisiti e dei criteri adottati.
Sul punto, la Corte di cassazione, ha infatti affermato che «il giudice penale può avvalersi degli
stessi elementi che determinano presunzioni secondo la disciplina tributaria, a condizione però che
gli stessi siano assunti non con l'efficacia di certezza legale, ma come dati processuali oggetto di
libera valutazione ai fini probatori», poiché, ai fini penali, le presunzioni tributarie «hanno il valore di
un indizio», di talché «per assurgere a dignità di prova devono trovare oggettivo riscontro o in
distinti elementi di prova ovvero in altre presunzioni gravi, precise e concordanti» (Cass.pen. 19
gennaio 1998).
Assunto, questo, ribadito in altra pronuncia della Suprema Corte, secondo la quale «alla luce dei
principi che governano la valutazione della prova ex art. 192, commi primo e secondo, del codice
di rito secondo cui la prova può essere desunta solo da indizi gravi, precisi e concordanti (...), le
presunzioni tributarie - se sono legittime per accertare l'illecito tributario - non possono essere
utilizzate meccanicamente nel processo penale, nel quale hanno invece bisogno di una
autonoma valutazione alla luce dei criteri di cui al citato art. 192c.p.p.» ( Cass .8536/98)
Difatti l'accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari può, rappresentare, "un valido
elemento di indagine per stabilire, in sede penale, se vi sia stata evasione e se questa abbia
raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge” sempre che “il Giudice non si limiti a
constatarne l'esistenza e non faccia apodittico richiamo agli elementi in essi evidenziati, ma
proceda a specifica autonoma valutazione degli elementi nello stesso descritti comparandoli con
quelli eventualmente acquisiti "aliunde”.(Cass. pen.24811/2011)
Tantomeno può essere riconosciuta valenza probatoria ai fini penali ad accertamenti effettuati
sulla base degli studi di settore di cui all'art. 62-sexies della legge 29 ottobre 1993, n. 427.
Ciò in virtù, non solo e non tanto dell’ art. 10, comma 6, della legge n. 146/1998 - laddove prevede
la non rilevanza dei maggiori ricavi, compensi e corrispettivi conseguenti all'applicazione di tale
tipo di accertamento ai fini dell'obbligo della trasmissione della notizia di reato – ma anche e
soprattutto di un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale «una lettura
costituzionalmente orientata delle disposizioni relative alla procedura di accertamento mediante
l'applicazione dei parametri impone di attribuire a quest'ultimi una natura meramente presuntiva, in
quanto, a ben vedere, essi non costituiscono un fatto noto e certo, capace di rivelare con
rilevante probabilità il presunto reddito del contribuente, ma solo un'estrapolazione statistica di una
pluralità di dati settoriale, elaborati sulla base dell'analisi delle dichiarazioni di un campione di
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contribuenti” (Cass. SS.UU , civ, 26635/2009; in senso conforme Cass n.15905/2010; Cass
18941/2010).
2. LA PRESUNZIONE TRIBUTARIA E LE RELATIVE CONSEGUENZE IN AMBITO PENALE
Di norma, è consentito all’Ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere,
sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori
costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente.
La presunzione, difatti, è il procedimento logico mediante il quale si desume l’esistenza di un fatto
ignoto sulla base dell’esistenza di un fatto che, invece, è conosciuto ( art. 2727 c.c.).
Si segnalano due tipi di presunzione: le presunzioni legali, che sono stabilite direttamente dalla
legge e le presunzioni semplici che sono rimesse all’apprezzamento del giudice, il quale può
ammetterle soltanto quando siano gravi, precise e concordanti.
Il diritto tributario contempla numerose presunzioni legali; la maggior parte di esse sono relative e,
come tali, ineriscono al regime della prova ed hanno valenza tipicamente processuale.
La loro funzione è quella di agevolare il fisco sotto il profilo probatorio; di contro il contribuente, per
vincere la presunzione, deve fornire la prova contraria con i limiti previsti dalla normativa tributaria.
Con riferimento alla valenza delle presunzioni tributarie nel procedimento penale, di contro, viene
meno sia l’inversione dell’onere delle prova, che le eventuali limitazioni poste dalla norma tributaria
alla prova contraria, sicchè l’imputato potrà avvalersi di tutti i più ampi mezzi probatori previsti dal
codice di rito.
Fatte queste premesse, è chiaro che le presunzioni tributarie, seppur idonee a integrare la notizia di
reato, non possono poi avere di per sé valore di prova.
Le motivazioni sono ovvie: in ambito penale si pone il problema di accertare la colpevolezza
dell‘imputato “oltre ogni ragionevole dubbio”, viste le possibili ricadute in termini di misure
restrittive.
3. LA SENTENZA ANNOTATA
La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata in quanto nel caso in esame è
mancata da parte della Corte d’appello qualsiasi “concreta ed autonoma valutazione degli
elementi indicati nell’accertamento induttivo e qualsiasi comparazione con gli elementi acquisiti
nel processo”.
I giudici di merito, nel pronunciare la sentenza di condanna si sono limitatati ad affermare
apoditticamente che l’accertamento induttivo sarebbe «attendibile non solo perché determinato
sulla base della dichiarazione annuale dei redditi e del bilancio di esercizio, ma anche perché
conforme alle stime di settore prodotte all'Agenzia delle Entrate (che hanno la caratteristica di
assegnare gli indici mediani una valenza probatoria significativa) e, peraltro, non smentito da
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alcuna documentazione che il prevenuto avrebbe potuto e dovuto produrre» , in disprezzo delle
garanzie processuali.
Gli elementi presuntivi utilizzati dall’Amministrazione fiscale, sottolinea la Corte, non possono in
alcun modo vincolare il giudice penale, il quale dovrà valutare in via autonoma gli elementi
fattuali posti a fondamento dell’accertamento secondo le regole di esperienza, sviluppando un
proprio iter logico- argomentativo di cui dovrà fornire adeguata motivazione.
Anche l'accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari può rappresentare, "un valido
elemento di indagine per stabilire, in sede penale, se vi sia stata evasione e se questa abbia
raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge” ; tuttavia, sarà indispensabile a tal fine che “il
Giudice non si limiti a constatarne l'esistenza …..ma proceda a specifica autonoma valutazione
degli elementi nello stesso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti” in sede
processuale.
E’ da escludere, pertanto, che la responsabilità penale di un contribuente, imputato di reato
fiscale, possa essere affermata sulla base della sola determinazione induttiva del reddito, laddove
tale elemento, avente valenza indiziaria, non sia sorretto da ulteriori elementi di riscontro.
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IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA
Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-07-2014) 09-09-2014, n. 37335
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente -Dott. FRANCO Amedeo - rel. Consigliere Sentenza sul ricorso proposto da:
B.G., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 17 dicembre 2013 dalla corte d'appello di Campobasso;
udita nella pubblica udienza del 15 luglio 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. ROMANO Giulio
che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe la corte d'appello di Campobasso confermò la sentenza emessa il 1
marzo 2010 dal giudice del tribunale di Campobasso, che aveva dichiarato B.G. colpevole del
reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5 perchè, nella qualità di legale rappresentante
della Villa Italia Industria srl., al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto, non presentava la
dichiarazione annuale IVA relativa all'imposta del 2005, risultando l'imposta evasa pari ad Euro
706.114,00, e lo aveva condannato alla pena sospesa di mesi 8 di reclusione.
Osservò, tra l'altro, la corte d'appello che l'accertamento induttivo effettuato prendendo a base
la dichiarazione per il 2004 era attendibile "non solo perchè determinato sulla base della
dichiarazione annuale dei redditi e del bilancio di esercizio, ma anche perchè conforme alle
stime di settore prodotte all'Agenzia delle Entrate (che hanno la caratteristica di assegnare gli
indici mediani una valenza probatoria significativa) e, peraltro, non smentito da alcuna
documentazione che il prevenuto avrebbe potuto e dovuto produrre".
L'imputato, a mezzo dell'avv. Massimo Rizzo, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5 e vizio di motivazione. Lamenta che
erroneamente la corte d'appello ha ritenuto provato il superamento della soglia economica di
punibilità sulla scorta dell'accertamento induttivo. Secondo la giurisprudenza in sede penale
l'accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari può rappresentare un valido elemento di
indagine per stabilire se vi sia stata evasione e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità
previste dalla legge, a condizione che il Giudice non si limiti a constatarne l'esistenza e non
faccia apodittico richiamo agli elementi in essi evidenziati, ma proceda a specifica autonoma
valutazione degli elementi nello stesso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti
aliunde. Lamenta che nel caso di specie è mancata proprio questa verifica in concreto. Inoltre,
la corte d'appello ha operato un inammissibile inversione dell'onere della prova ed ha omesso di
confrontarsi con le controdeduzioni, formulate in sede propria, comunque versate in atti. Invero,
la contesta omissione si è consumata in una condizione fallimentare della società contribuente
ed è stata ricostruita dall'Amministrazione solo sulla scorta di formalistiche presunzioni.
Il ricorrente allega quindi il ricorso con il quale la Curatela fallimentare ha contrastato nella
competente sede l'accertamento presupposto della condanna. Lamenta poi che la corte
d'appello non ha considerato che la società aveva chiesto, in tempo immediatamente
precedente, un rimborso IVA; elemento certamente in controtendenza rispetto a quello secondo
il quale si è ipotizzata una condizione debitoria superiore alla soglia di rilevanza penale.
2) violazione dell'art. 159 c.p.p. e art. 178 c.p.p., lett. e).
Osserva che la sentenza impugnata da atto che l'estratto contumaciale è stato regolarmente
notificato all'imputato presso il suo domicilio in (OMISSIS). Dal certificato anagrafico in atti, risulta
che il ricorrente, dal (OMISSIS) è stato residente in (OMISSIS), successivamente, dal 26.7.2006, ha
trasferito la propria residenza in (OMISSIS) ed è in quel luogo che gli si sarebbe dovuto notificare
anche il decreto di citazione a giudizio per il processo di primo grado, il quale invece fu
notificato al vecchio indirizzo di (OMISSIS). Pertanto il decreto di irreperibilità emesso il 9.1.2009,
che ancora, impropriamente, faceva riferimento all'indirizzo di (OMISSIS), è illegittimo. Di modo
che, vista la nullità del decreto di irreperibilità, si sarebbe dovuto considerare nulla anche la
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conseguente notificazione del decreto di citazione per il giudizio di primo grado e la relativa
sentenza, come lamentato dal difensore con l'appello, illegittimamente rigettato sul punto.
Motivi della decisione
Il secondo motivo, che va esaminato preliminarmente, è manifestamente infondato. E difatti,
l'eccezione di irregolarità della notifica del decreto di citazione a giudizio in primo grado non
può ritenersi dedotta con l'atto di appello, nel quale si sosteneva soltanto, del tutto
genericamente, che l'imputato non aveva avuto notizia del procedimento a suo carico e che
erroneamente era stato dichiarato irreperibile. Stante l'assoluta mancanza di specificità del
relativo generico motivo di appello, la corte d'appello non era tenuta a motivare
specificatamente il suo rigetto. La corte d'appello, peraltro, ha osservato che il decreto di
citazione a giudizio in primo grado era stato ritualmente notificato mediante tempestiva e rituale
consegna al difensore dell'imputato, stante la dichiarata irreperibilità del B., a nulla rilevando
ovviamente che, dopo oltre due anni, l'estratto contumaciale della sentenza di appello gli sia
stato notificato a mani proprie.
E' invece fondato il primo motivo. E' difatti pacifico che in tema di reati tributari, in sede penale
non possono applicarsi le presunzioni legali o i criteri validi in sede tributaria, essendo onere della
pubblica accusa fornire la prova della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato. E' quindi
indubitabile che "ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000,
art. 5, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all'accertamento e alla
determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a
sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi
al giudice tributario" (Sez. 3, 26.2.2008, n. 21213, De Cicco, m. 239984; Sez. 3, 26.11.2008, n. 5490
del 2009, Crupano, m. 243089; Sez. 3, 18.5.2011, n. 36396, Mariutti, m. 251280). In particolare, si è
osservato che il giudice penale può anche ricorrere all'accertamento induttivo dell'imponibile
quando la contabilità imposta dalla legge sia stata tenuta irregolarmente (Sez. 3, 18.12.2007, n.
5786 del 2008, D'Amico, m.
238825) e che l'accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari può, invero,
rappresentare, "un valido elemento di indagine per stabilire, in sede penale, se vi sia stata
evasione e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge, a condizione
che il Giudice non si limiti a constatarne l'esistenza e non faccia apodittico richiamo agli elementi
in essi evidenziati, ma proceda a specifica autonoma valutazione degli elementi nello stesso
descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti aliunde" (Sez. 3, 21.12.1999, n. 1904 del
2000, Zarbo, m. 215694; Sez. 3, 28.4.2011, n. 24811, Rocco, m. 250647; Sez. 3, 28.11.2012, n. 48813,
Urso, non mass.). In altre parole, "per stabilire se vi sia stata evasione e se la stessa abbia
raggiunto le soglie determinate dalla legge ... , però, è indispensabile che il giudice non arresti il
proprio esame alla constatazione dell'esistenza di detto accertamento e ad un apodittico
richiamo di uno dei singoli dati posti a fondamento del medesimo, ma proceda ad una specifica
valutazione di tutti gli estremi tenuti in considerazione dall'ufficio finanziario e di ogni altro
eventuale indizio acquisito, sicchè deve ripercorrere in modo chiaro e puntuale, anche se
sintetico, prima l'apprezzamento di ognuno di essi ad esprimere successivamente una
valutazione globale di questi ultimi, rendendo inoltre chiari i passaggi della motivazione da lui
adottata, per consentire di verificare la esistenza effettiva e la sua coerenza logica" (Sez. 3,
20.10.1995, n. 11223, Perillo, m. 203217).
Orbene, nel caso in esame è mancata da parte della corte d'appello qualsiasi concreta verifica
ed autonoma valutazione degli elementi indicati nell'accertamento induttivo e qualsiasi
comparazione con gli altri elementi acquisiti nel processo. La corte d'appello, infatti, si è limitata
ad affermare apoditticamente che l'accertamento induttivo sarebbe "attendibile non solo
perchè determinato sulla base della dichiarazione annuale dei redditi e del bilancio di esercizio,
ma anche perchè conforme alle stime di settore prodotte all'Agenzia delle Entrate (che hanno la
caratteristica di assegnare gli indici mediani una valenza probatoria significativa) e, peraltro, non
smentito da alcuna documentazione che il prevenuto avrebbe potuto e dovuto produrre".
In tal modo, però, la corte d'appello ha erroneamente presupposto una sorta di inversione
dell'onere della prova, ammissibile in ambito tributario ma non in quello penale, nel quale spetta
all'accusa l'onere di provare l'elemento costitutivo del reato rappresentato dal superamento
delle soglie. Inoltre, nel caso in esame, la corte d'appello ha omesso di confrontarsi con le
eccezioni sollevate dalla difesa e con le controdeduzioni dalla stessa formulate in sede propria e
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versate in atti. In particolare, non ha preso in esame le considerazioni contenute nel ricorso
presentato dalla curatela fallimentare al giudice tributario per contrastare l'accertamento
induttivo in questione. Nemmeno ha considerato l'eccezione secondo cui la contestata
omissione si sarebbe consumata in una condizione fallimentare della società contribuente e che
sarebbe stata ricostruita solo sulla base di formalistiche presunzioni.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata per vizio di motivazione, con rinvio
per nuovo esame alla corte d'appello di Salerno.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE annulla la sentenza impugnata con rinvio alla corte
d'appello di Salerno.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 15 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2014
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Le mie annotazioni:
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