Società globale e diritti umani Capitolo 3: l’Altro e i paradossi dell’universalismo Il modello persiano: l’irrilevanza dell’Altro A questo modello si riconducono posizioni caratterizzate dalla stima di sé (il noi) e dal disprezzo per gli altri (i barbari). Erodoto: <<i persiani stimano […] quelli che abitano più vicino; […] meno di tutti tengono in considerazione quelli che abitano più lontano da loro, ritenendo di essere essi stessi di gran lunga i migliori degli uomini […] e che quelli che abitano più lontano da loro sono i più spregevoli>>. Secondo questo modello noi siamo il centro dell’universo, gli altri sono riconosciuti come realtà prive di valore se non quello che ricevono dalla relazione di dipendenza con noi. Il modello stoico ed ebraico-cristiano: universalismo e fratellanza Gli stoici (Marco Aurelio, Cicerone, Seneca) fondano l’universalità sull’idea che: -il mondo sia la casa di tutti gli uomini e degli dei; -In ogni essere umani vi è una “scintilla della perfezione” (Cicerone) Su questo punto lo storicismo incontra l’ebraismo e il cristianesimo (ma anche il buddismo e il confucianesimo), poiché per queste religioni “dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza”. La fratellanza, dunque, è l’elemento che lega tutti gli esseri umani del pianeta. Lo statuto dell’Altro nella società contemporanea Studi sociologici classici relativi allo straniero: Simmel modello spaziale Lo straniero può svolgere funzioni di governo e giustizia perché, essendo esterno alla società ospitante, rimane imparziale. Schutz analisi cognitivo-emozionale Rapporto tra cultura d’origine e cultura del paese ospitante: il riferimento alla cultura d’origine e la possibilità di integrazione sono inversamente proporzionali - Dissonanza cognitiva ed emotiva I paradossi interni alla relazione Io-Altro Nelle elaborazioni teoriche l’analisi della condizione dello straniero è imposta seguendo un modello noi-altro, nel quale il noi è un gruppo omogeneo e l’altro costituisce una piccola minoranza all’interno della società. Oggi però questo modello non tiene più: da un lato il noi immaginato come una unità compatta si rivela molto differenziato al proprio interno; dall’altra non abbiamo più piccole minoranze, ma una pluralità di culture, di stili di vita differenti. Tutto questo si esprime con il concetto sociologico di differenziazione sociale, collegato a sua volta a quello di complessità culturale. 1. Paradosso strutturale: società globale e stato-nazione Secondo le ultime stime, i migranti al mondo sarebbero circa 190 milioni (3% della popolazione mondiale). Ciò si verifica perché gli stati-nazione aprono le loro frontiere favorendo la mobilità di merci, capitali e soprattutto di persone: la società globale è il risultato del lavoro di nazioni aperte. Ma in conseguenza di ciò le nazioni dopo essersi aperte all’esterno si richiudono, con l’evidente paradosso di volere la libera circolazione delle proprie merci, capitali, manodopera e voler accettare in modo selettivo merci, capitali e manodopera provenienti da altri stati. Paradosso: si vuole approfittare dell’opportunità di avere prestazioni dagli stranieri e nello stesso tempo non si vuole fare i conti con le loro abitudini e i loro stili di vita. inclusione subordinata (Cotesta, 1992). 2. Paradosso economico: benefici certi e possibili conflitti Se adottiamo un punto di vista universalista e in favore dei diritti umani, allora dobbiamo affermare che gli individui hanno diritto di scegliere dove lavorare e risiedere, indipendentemente dai vantaggi e degli svantaggi per gli altri. Ma nella competizione mondiale per accaparrarsi le migliori risorse umane i paesi d’origine perdono: molti paesi (Ghana, Sud Africa, Filippine) vengono privati di gran parte delle migliori energie che vanno a finire negli Stati Uniti e in Europa. La domanda allora è: come potranno migliorare la propria condizione i paesi più poveri se le migliori risorse umane vengono perdute? 3. Paradosso culturale. Il conflitto per l’identità Il pluralismo culturale contemporaneo ci impone di confrontare la nostra identità con quella dell’Altro e ciò può avvenire in diversi modi: a) Identificarsi con la cultura dell’Altro, far proprie le sue abitudini e “perdere se stessi” rinascendo nel e con l’Altro. E’ una modalità scarsamente attuata. b) Rifiutare la cultura dell’Altro perché ci si sente minacciati o la si considera “barbara” e quindi non ci si può identificare con lui. Sono diffusi atteggiamenti di disprezzo e il rifiuto dell’Altro, anche se limitati a contesti comunitari in cui gli immigrati svolgono attività (giudicate) come illegali e offensive della dignità locale. c) Indifferenza verso l’Altro, verso la sua esistenza e i suoi eventuali problemi. comportamento diffuso che, sul piano economico, è parte della strategia della inclusione subordinata: non ci importa chi sia lo straniero, quali siano i suoi bisogni e i suoi diritti, ma l’utilizzazione che si può fare di lui. d) Valutare positivamente la cultura dell’Altro assumendone alcune caratteristiche e mantenendo tuttavia i tratti della propria identità. è la possibilità di “ibridazione culturale”: le scienze pedagogiche e sociali hanno dimostrato la pluralità di identità che un individuo può assumere, come cioè nella stessa persona si possano rintracciare azioni e comportamenti rispondenti a diversi modelli culturali.