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«Mancata corresponsione dell’assegno e violazione degli obblighi di assistenza
familiare»
(Cassazione Penale, sez. VI, sentenza 04 novembre- 14 novembre 2014, n.
47139)
assistenza familiare – violazione – mancata corresponsione assegno
Per l'integrazione della fattispecie delittuosa di “violazione degli
obblighi di assistenza familiare ex art. 570, comma 1, c.p., non è
necessaria la determinazione di uno stato di bisogno della persona
avente diritto quale conseguenza della condotta contraria ai doveri
inerenti alla potestà dei genitori o alla qualità di coniuge.
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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IPPOLITO Francesco
- Presidente Dott. CAPOZZI Angelo
- Consigliere Dott. DI SALVO Emanuele
- Consigliere Dott. DE AMICIS Gaetano - rel. Consigliere Dott. BASSI Alessandra
- Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da: I.O. N. IL (OMISSIS);
avverso
la sentenza n. 472/2011 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 28/03/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Pietro Gaeta, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
Udito, per la parte civile, l'Avv. Giuseppe Oreste Fiorenza, che ha
concluso per l'inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 28 marzo 2013 la Corte d'appello di
Caltanissetta, in riforma della sentenza del Tribunale di Gela del 5
aprile 2011, appellata da I.O., ha ridotto l'ammontare delle spese
liquidate dal primo Giudice in favore della parte civile B.L.B.,
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condannando l'imputato alla rifusione delle spese del grado e
confermando nel resto l'impugnata sentenza, che lo dichiarava
colpevole del reato ascrittogli (ex art. 570 c.p., comma 2, n. 2), previa
riqualificazione ai sensi dell'art. 570 c.p., comma 1, e, concesse le
attenuanti generiche, lo condannava alla pena sospesa di mesi tre di
reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della predetta parte
civile.
1.1. Il Giudice di primo grado riteneva accertato, sulla scorta delle
dichiarazioni testimoniali rese dalla persona offesa e dal Maresciallo dei
Carabinieri S.O., che l'imputato aveva reiteratamente omesso di versare
alla ex coniuge le somme stabilite per il suo mantenimento, in sede di
separazione legale omologata dal Tribunale di Gela con decreto
pronunziato in data 16 settembre 2005.
Sebbene le condizioni economiche dell'imputato consentissero un
regolare adempimento dei suoi impegni, la mancata corresponsione
dell'assegno aveva luogo nei confronti della sola moglie e non anche del
figlio minore, con il quale egli intratteneva invece rapporti ispirati alla
massima diligenza, con la conseguente derubricazione della contestata
ipotesi delittuosa in quella di cui all'art. 570 c.p., comma 1, per avere
omesso di fornire aiuto economico alla predetta persona offesa lungo
l'intero arco temporale oggetto di contestazione.
2. Avverso la su indicata sentenza della Corte d'appello di Caltanissetta
ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell' I.,
deducendo tre motivi di doglianza il cui contenuto viene qui di seguito
sinteticamente illustrato.
2.1. Nullità della sentenza in relazione agli artt. 521, 522, 178, 179 c.p.p.,
e art. 570 c.p., commi 1 e 2, n. 2, avendo la Corte d'appello per la prima
volta attribuito all'imputato la condotta consistente "nell'essersi
sottratto agli obblighi di assistenza nei confronti della ex moglie",
laddove la sentenza di primo grado avena derubricato l'originaria
contestazione ai sensi del comma primo dell'art. 570 c.p., ritenendo pur
sempre, in punto di fatto, la configurabilità di una condotta consistente
nell'omesso mantenimento e nell'aver fatto mancare i mezzi di
sussistenza nei confronti della sola moglie, anzichè nei confronti di
quest'ultima e del figlio minore, come originariamente previsto nella
imputazione. La Corte distrettuale, inoltre, ha ritenuto irrilevante ogni
deduzione difensiva sulla disponibilità o meno in capo alla persona
offesa dei "mezzi di sussistenza", così come rilevato nell'atto di appello
dell'imputato, nè ha individuato quale sia stata la condotta materiale
rilevante ai sensi dell'art. 570 c.p., comma 1.
2.2. Violazioni di legge, in relazione all'art. 597 c.p.p., art. 546 c.p.p., lett.
e), art. 125 c.p.p., comma 3, art. 570 c.p., commi 1 e 2, e vizi della
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motivazione, per mancanza ed illogicità, avendo la Corte di merito
ritenuto responsabile l'imputato del reato di cui all'art. 570 c.p., comma
1, pur non essendo egli coabitante con la moglie e difettando in tal
modo il presupposto stesso per la configurabilità della fattispecie
incriminatrice in questione. La Corte, in particolare, ha erroneamente
circoscritto la condotta nei termini dell'omessa corresponsione
dell'assegno di mantenimento alla moglie separata, ritenendo
l'imputato responsabile per il reato di cui all'art. 570 c.p., comma 1, che
riguarda le sole condotte violative degli obblighi di assistenza morale.
2.3. Ulteriori vizi motivazionali, per travisamento della prova, illogicità
e mancanza, laddove la Corte distrettuale, ed ancor prima il Tribunale,
hanno ritenuto che i mezzi di sussistenza fossero venuti meno e che
l'imputato avesse omesso in toto il versamento dell'assegno, nonostante
dalle risultanze dibattimentali, come specificamente posto in rilievo
dalla difesa, fosse emerso il contrario, alla luce delle stesse dichiarazioni
al riguardo rese dalla persona offesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va conseguentemente rigettato per le ragioni
di seguito illustrate.
2. Improponibile deve ritenersi il primo motivo di ricorso, avuto
riguardo al principio, in questa Sede più volte stabilito (da ultimo, v.
Sez. 5 n. 9281 del 08/01/2009, dep. 02/03/2009, Rv.
243161; Sez. 5, n. 44008 del 28/09/2005, dep. 02/12/2005, Rv.
232805), secondo cui la violazione del principio di necessaria
correlazione fra accusa e sentenza da luogo ad una nullità non
rientrante fra quelle assolute ed insanabili, ma a regime intermedio,
sicchè tale vizio non può essere dedotto per la prima volta in sede di
legittimità ove esso, come avvenuto nel caso in esame, non sia stato
denunciato nei motivi di appello.
3. Infondate, sino a lambire i margini dell'inammissibilità, devono
ritenersi le ulteriori censure difensive, in quanto sostanzialmente
orientate a riprodurre una serie di argomentazioni già esposte nei
giudizi di merito, ed ivi ampiamente vagliate e correttamente disattese
nelle relative pronunzie, ovvero a sollecitare una rivisitazione
meramente fattuale delle risultanze processuali, poichè imperniata sul
presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal
guisa richiedendo l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa
Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che
caratterizzano la motivazione della decisione impugnata.
Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto
in risalto nella sentenza di primo grado, la cui motivazione viene a
saldarsi perfettamente con quella d'appello, sì da costituire un
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compendio argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di
merito ha esaminato e puntualmente disatteso la diversa ricostruzione
prospettata dalla difesa, ponendo in evidenza, attraverso il richiamo ai
passaggi motivazionali già esaustivamente delineati nella prima
decisione: a) che l'imputato, come dallo stesso riconosciuto in sede di
esame, ha omesso di corrispondere alla persona offesa le somme che si
era impegnato a versare all'atto della separazione, sicchè quest'ultima è
riuscita a mantenersi solo grazie all'aiuto dei suoi genitori ed ai
proventi di alcuni lavori saltuariamente effettuati; b) che nessuna
modifica era nel frattempo intervenuta riguardo alle condizioni di
separazione omologate dal Tribunale di Gela per effetto del su
menzionato decreto; c) che nessuna rilevanza potevano assumere i
rilievi difensivi in ordine alla disponibilità di "mezzi di sussistenza" da
parte della persona offesa, essendosi l'imputato sottratto agli obblighi di
assistenza nei confronti della ex moglie, ai sensi della su citata
fattispecie incriminatrice.
4. Sulla base delle su esposte considerazioni, deve ritenersi che
l'impugnata sentenza ha fatto buon governo dei principii al riguardo
stabiliti da questa Suprema Corte (Sez. Un., n. 23866 del 31/01/2013,
dep. 31/05/2013, Rv. 255271), secondo la cui linea interpretativa la
violazione dei doveri di assistenza materiale di coniuge e di genitore,
previsti dalle norme del codice civile, integra, ricorrendo tutti gli altri
elementi costitutivi della fattispecie, il reato previsto e punito dall'art.
570 c.p., comma 1.
Si è invero affermato, in questa Sede, che negli obblighi di assistenza
inerenti alla qualità di coniuge rientrano anche quelli di assistenza
materiale concernenti il rispetto e l'appagamento delle esigenze
economicamente valutabili dell'altro coniuge (aiuto nel lavoro, nello
studio, nella malattia, etc.) e la corresponsione dei mezzi economici
necessari per condurre il tenore di vita della famiglia. Obblighi che, pur
attenuati, permangono anche in caso di separazione personale dei
coniugi, prevedendo l'art. 146 c.c., la sospensione del diritto
all'assistenza morale e materiale nei confronti del coniuge che,
allontanatosi senza giusta causa dalla residenza familiare, rifiuta di
tornarvi.
Entro tale prospettiva, dunque, i bisogni della famiglia, al cui
soddisfacimento i coniugi sono tenuti a norma dell'art. 143 c.c., non si
esauriscono in quelli, minimi, al di sotto dei quali verrebbero in gioco la
stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del gruppo, ma
possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, a
seconda delle specifiche situazioni di volta in volta prese in esame.
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Per quel che attiene, segnatamente, ai profili inerenti al mantenimento
del coniuge separato, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno
osservato, con la su citata decisione, che l'art. 156 c.c.. prevede che il
giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del
coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere
dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora
egli non abbia adeguati redditi propri (comma 1) e che l'entità di tale
somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi
dell'obbligato (comma 2). Ne consegue che l'espressa previsione
secondo cui "resta fermo l'obbligo di prestare gli alimenti di cui all'art.
433 e ss." (comma 3) conferma la diversità tra la nozione di alimenti e
quella di mantenimento, pure riferendosi quest'ultima al diritto di
mantenere, per quanto possibile, un tenore di vita analogo a quello
goduto durante la convivenza matrimoniale (Sez. 1 civ., n. 18613 del
07/07/2008, Rv. 6049S2; Sez. 1 civ., n. 9915 del 24/04/2007, n.m.).
Ne discende, ancora, che non è necessaria, per l'integrazione della
fattispecie incriminatrice de qua, diversamente da quella contemplata
dall'art. 570 c.p., comma 2, la determinazione di uno stato di bisogno
della persona avente diritto quale conseguenza della condotta violativa
dei doveri di assistenza materiale di coniuge e di genitore.
Sotto altro, ma connesso profilo, inoltre, deve ribadirsi che l'incapacità
economica dell'obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli
adempimenti fissati in sede civile, deve essere assoluta e deve integrare
una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità
di introiti, mentre nel caso in esame, come concordemente osservato dai
Giudici di merito, l'imputato non ha offerto alcuna dimostrazione di
versare in una situazione di assoluta ed incolpevole indigenza, tale da
rendere materialmente impossibile l'ottemperanza alle relative
statuizioni civili.
5. Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Da tale pronuncia discendono, altresì, le correlative statuizioni di
seguito espresse in ordine alla rifusione delle spese del grado in favore
della costituita parte civile, la cui liquidazione, tenuto conto delle
questioni dedotte, viene operata secondo l'importo in dispositivo
meglio enunciato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonchè alla rifusione delle spese di parte civile, liquidate
complessivamente in Euro 3.500,00 (tremilacinquecento) oltre IVA e
CPA. Così deciso in Roma, il 4 novembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2014
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Cass. pen. 47139.2014