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GIURISPRUDENZA
CIRCOLARE n° 79 - ES
GIUGNO 2013
LA SICUREZZA DI UN’EQUIPE DI PERSONE CHE OPERANO SU UNA
STESSA MACCHINA
La sentenza della Corte di Cassazione n. 2569 del 17/1/2013 prende in considerazione la sicurezza
sul lavoro di un’equipe di persone che operano presso una stessa macchina o presso uno stesso
impianto e gli obblighi di organizzazione e di coordinamento posti in tal caso a carico del datore di
lavoro: quest’ultimo deve fornire a queste persone una informazione e una formazione finalizzate a
garantire il coordinamento fra le stesse e ad evitare che qualcuna di esse assuma delle decisioni e
prenda delle iniziative che possano compromettere la sicurezza delle altre. Deve altresì adottare
precise misure di sicurezza dirette specificatamente a impedire che gli eventuali difetti di
coordinamento o di informazione, o che gli errori di comprensione o dovuti alla mancanza di una
visione d'insieme del lavoro da parte dei componenti dell'equipe, possano determinare l’esecuzione
di operazioni pericolose.
Il caso
Il Tribunale ha riconosciuto il datore di lavoro e amministratore unico di una società colpevole del
reato di cui all'articolo 590 c.p., comma 3, in relazione all'articolo 583 c.p., comma 1 n. 2, per aver
cagionato presso una sua unità produttiva ad un lavoratore dipendente della società stessa con
contratto di lavoro a progetto, lesioni personali gravi consistite nella "amputazione falange distale
primo dito della mano sinistra" in conseguenza delle quali lo stesso lavoratore ha riportato
un'incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni, e
ciò per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia, violazione delle norme sulla
prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui al D. Lgs. n. 626/1994, articolo 4, comma 2, e articolo 35
in quanto:
a) non ha valutato i rischi legati alla realizzazione, costruzione, messa in funzione, montaggio e
smontaggio, manutenzione e riparazione, regolazione e registrazione delle macchine ideate e
progettate nello stabilimento, per la messa in produzione di particolari metallici, per conto terzi su
commessa, e non ha analizzato i pericoli legati all'utilizzo delle attrezzature di lavoro e delle
macchine in relazione alle lavorazioni eseguite e il conseguente programma ritenuto opportuno per
garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;
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b) ha omesso di attuare misure tecniche atte a ridurre al minimo i rischi connessi alle fasi di
lavorazione relative alla realizzazione, costruzione, messa a punto e registrazione delle macchine,
ideate e progettate nello stabilimento della società, in quanto veniva rilevata l'assenza di procedure
legate alla realizzazione, messa a punto e registrazione delle macchine per piegatura di alcuni profili
metallici.
L’infortunio al lavoratore era accaduto mentre lo stesso era intento a regolare un "riferimento" per
la piegatura della lamiera con le mani all'interno degli organi di movimento del macchinario
allorquando un collega ha avviato la macchina che, in automatico, ha messo in moto tutte le sue
parti, ivi compresa la zona in cui stava operando il lavoratore. Le lamine del "riferimento" in cui lo
stesso aveva inserito le mani gli hanno colpito il pollice, procurandogli le lesioni sopraindicate con
l'aggravante che a seguito del fatto ha riportato l'indebolimento permanente di un organo
interessante la funzione prensile, un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un
tempo superiore a 40 giorni e con l'ulteriore aggravante del fatto commesso in violazione delle
norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Il Tribunale ha quindi inflitto all'imputato la pena di € 1.000,00 di multa (pena sospesa), oltre alla
condanna al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni in favore della parte
civile, nei cui confronti ha liquidato la somma di € 3.000,00 a titolo di provvisionale.
Successivamente la Corte d'appello ha rideterminato la pena, irrogando all’imputato la sanzione
della multa nella minore misura di euro 200,00 confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza d'appello l’imputato ha proposto ricorso per cassazione chiedendo
l’annullamento della sentenza sostenendo l’inesistenza della violazione posta a base del capo di
imputazione. Secondo il ricorrente, infatti, nel caso in esame di specie gli specifici rischi connessi
all'esecuzione della lavorazione in corso erano stati adeguatamente presi in conto e ricondotti entro
la soglia del rischio consentito mediante la scelta corretta del personale esecutivo, la perfetta
visibilità dal pulpito della zona di lavorazione, l'assoluta linearità del compito spettante al
manovratore della macchina e le istruzioni verbali più volte fornite dal datore di lavoro e dal
responsabile della produzione al fine di raccomandare a ciascun lavoratore il dovere di agire con la
massima avvertenza e prudenza. L'evento lesivo, secondo il ricorrente, doveva viceversa ritenersi
conseguenza della condotta assolutamente anormale seguita dal collega del lavoratore infortunato
il quale si era sottratto all'adempimento della regola precauzionale allo stesso imposta di azionare
la macchina dallo stesso governata soltanto dopo che il collega si fosse allontanato dalla macchina.
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato e lo ha pertanto rigettato. La suprema Corte
ha fatto presente che il giudice d'appello aveva espressamente rilevato come nel documento
relativo alla valutazione dei rischi connessi all'azionamento e all’arresto incontrollato e/o
accidentale della piegatrice non fosse tenuto nel debito conto della circostanza che la fase della
messa a punto della macchina doveva essere effettuata da una squadra di almeno due operai, con
la conseguente creazione di un doppio fattore di aumento del rischio, costituito, da un lato, dalla
circostanza che il prototipo non poteva essere ancora munito di tutti i dispositivi di sicurezza propri
del macchinario finito e, dall'altro, che gli addetti al dispositivo sarebbero dovuti intervenire sul
macchinario in coppia, ma con compiti distinti.
La Corte territoriale aveva quindi giustamente “sottolineato come si profilasse, nell'occasione,
l'insorgenza di un complesso di pericoli caratteristici, segnatamente legati ai sempre possibili difetti
di coordinamento o di informazione, da errori di comprensione o dovuti alla mancanza di una
visione d'insieme del lavoro da parte dei membri della squadra, necessariamente destinata a
lavorare in equipe” e aveva messo in evidenza che era “propriamente mancata l'adozione di precise
misure di sicurezza, specificamente dirette a impedire che i menzionati difetti di coordinamento o di
informazione, o che gli errori di comprensione o dovuti alla mancanza di una visione d'insieme del
lavoro da parte dei componenti dell'equipe, determinassero l'avvio del macchinario proprio durante
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le operazioni di messa a punto, che richiedevano necessariamente l'inserimento delle mani della
zona pericolosa”. La Sez. IV ha quindi precisato che, contrariamente a quanto sostenuto dal
ricorrente, la corte territoriale aveva specificamente indicato, in termini positivi, come l'infortunio in
esame avrebbe potuto essere evitato, qualora il datore di lavoro, conscio dei rischi prevedibili ex
ante connessi alla fase di messa a punto del prototipo, avesse dato precise disposizioni agli operai in
ordine alle procedure di sicurezza da adottare, sì da impedire l'avvio del macchinario da parte
dell'addetto al pulpito di comando, in assenza di un chiaro segnale di consenso da parte del collega,
il quale era obbligato a operare con le mani all'interno della zona pericolosa, cui doveva
necessariamente accedere per regolare il riferimento e/o a rimanere nei pressi della stessa durante
le prove di curvatura per reggere il pezzo operazione, quest'ultima, eseguita nella prassi con le
mani anziché con le pinze, che avrebbero garantito una maggiore distanza dalla zona pericolosa.
La Corte suprema ha quindi concluso che il giudice d’appello aveva correttamente individuato una
carenza “delle misure di sicurezza dirette a impedire che i difetti di coordinamento o d'informazione,
gli errori di comprensione o quelli dovuti alla mancanza di una visione d'insieme del lavoro da parte
dei componenti dell'equipe, determinassero l'avvio del macchinario proprio durante le operazioni di
messa a punto, sottolineando altresì come lo stesso imputato fosse perfettamente consapevole dei
rischi connessi alla fase della messa a punto, senza che ciò lo spingesse all'adozione di misure
cautelari ulteriori e diverse dalle generiche raccomandazioni alla prudenza inammissibilmente
impartite per via orale; raccomandazioni per loro natura inidonee a consentire di ritenere assolti gli
obblighi connessi alla posizione di garanzia rivestita dall'imputato e funzionali alla tutela
dell'incolumità dei lavoratori nell'ottica della prevenzione degli infortuni sul lavoro”.
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Cassazione Penale, Sez. 4, 17 gennaio 2013, n. 2569 - Infortunio con una piegatrice "Century" e difetti
di coordinamento e informazione
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (Omissis) N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 3374/2009 CORTE APPELLO di TORINO, del 20/04/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/11/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARCO DELL'UTRI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Eduardo V. Scardaccione, che ha concluso per
l'annullamento con rinvio.
Fatto
1. - Con sentenza resa in data 20.4.2012, la Corte d'appello di Torino ha parzialmente riformato la sentenza
del Tribunale della stessa città, sezione distaccata di Moncalieri, del 17.7.2008, con la quale (Omissis) è stato
riconosciuto colpevole del reato di cui all'articolo 590 c.p., comma 3, in relazione all'articolo 583 c.p., comma 1
n. 2, per aver cagionato, nella sua qualità di datore di lavoro e amministratore unico della società (Omissis)
s.r.l., con sede in (Omissis), presso l'unità produttiva corrente in (Omissis), a (Omissis), dipendente della
sopraindicata società con contratto di lavoro a progetto, lesioni personali gravi - segnatamente "amputazione
falange distale primo dito della mano sinistra" -, in conseguenza delle quali tale soggetto riportava
un'incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni, e ciò per
colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia, violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni
sul lavoro, e segnatamente dell'articolo 2087 c.c.,Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 2, e
articolo 35 in quanto:
a) non valutava i rischi legati alla realizzazione, costruzione, messa in funzione, montaggio e smontaggio,
manutenzione e riparazione, regolazione e registrazione delle macchine ideate e progettate nello stabilimento,
per la messa in produzione di particolari metallici, per conto terzi su commessa, nonchè non analizzava i
pericoli - possibilità di lesione o danno alla persona - legati all'utilizzo delle attrezzature di lavoro e delle
macchine in relazione alle lavorazioni eseguite e il conseguente programma ritenuto opportuno per garantire il
miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;
b) ometteva di attuare misure tecniche atte a ridurre al minimo i rischi connessi alle fasi di lavorazione relative
alla realizzazione, costruzione, messa a punto e registrazione delle macchine, ideate e progettate nello
stabilimento della ditta, in quanto veniva rilevata l'assenza di procedure legate alla realizzazione, messa a
punto e registrazione delle macchine per piegatura "Century" dei profili metallici componenti il paraurti
posteriore della "Grande Punto".
In presenza di tali presupposti, mentre il citato lavoratore, (Omissis), era intento a regolare un "riferimento" per
la piegatura della lamiera con le mani all'interno degli organi di movimento del macchinario, un collega avviava
la macchina che, in automatico, metteva in moto tutte le sue parti, ivi compresa la zona in cui stava operando
il (Omissis), e le lamine del "riferimento" (in cui il (Omissis) aveva inserito le mani in quel momento) gli
colpivano il pollice, procurandogli le lesioni sopraindicate; con l'aggravante che dal fatto il soggetto riportava
l'indebolimento permanente di un organo (interessante la funzione prensile), un'incapacità di attendere alle
ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni e con l'ulteriore aggravante del fatto commesso in
violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Fatto commesso in (Omissis).
Con la sentenza di primo grado, il Tribunale ha inflitto all'imputato la pena di euro 1.000,00 di multa (pena
sospesa), oltre alla condanna al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni in favore della
parte civile, nei cui confronti ha liquidato la somma di euro 3.000,00 a titolo di provvisionale.
In sede di gravame, la Corte d'appello ha rideterminato la pena, irrogando al (Omissis) la sanzione della multa
nella minor misura di euro 200,00, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. - Avverso la sentenza d'appello, ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, affidato a un
unico articolato motivo di doglianza, con il quale lo stesso ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza, ai
sensi e per gli effetti di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera b) ed e), per erronea applicazione
dell'articolo 590 c.p., in relazione all'articolo 2087 c.c. e articolo 4, comma 2, e Decreto Legislativo n. 626 del
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1994, articolo 35, comma 2, e articolo 43 c.p., comma 1 alinea 3, nonchè per mancanza e illogicità della
motivazione, risultante dal testo della sentenza impugnata.
In particolare, si duole il ricorrente della mancata individuazione, da parte del giudice d'appello, della norma di
diligenza oggetto della supposta violazione ascritta all'imputato, essendosi il giudicante pedissequamente
attenuto all'astratto tenore del capo d'imputazione, senza procedere alla concretizzazione della regola di
comportamento contestata al (Omissis).
Nel caso di specie, ad avviso del ricorrente, gli specifici rischi connessi all'esecuzione della lavorazione in
esame - non fronteggiabili con dispositivi di sicurezza automatici - erano stati adeguatamente presi in conto e
ricondotti entro la soglia del rischio consentito, mediante la scelta corretta del personale esecutivo, la perfetta
visibilità dal pulpito della zona di lavorazione, l'assoluta linearità del compito spettante al manovratore della
macchina e le istruzioni verbali più volte fornite dal datore di lavoro e dal responsabile della produzione al fine
di raccomandare a ciascun lavoratore il dovere di agire con la massima avvertenza e prudenza.
Ciò premesso, essendo mancata la violazione di alcuna regola di diligenza da parte dell'imputato, l'evento
lesivo ascritto alla responsabilità del (Omissis) doveva viceversa ritenersi conseguenza della condotta
assolutamente anormale seguita dal collega del lavoratore infortunato, responsabile della specifica fase
lavorativa in esame, il quale si era sottratto all'adempimento della regola precauzionale allo stesso imposta, di
azionare la macchina dallo stesso governata soltanto dopo che il collega si fosse allontanato dal c.d.
mascherone; condotta, che nessuna norma di diligenza, in ipotesi esigibile dall'imputato, avrebbe potuto in
concreto scongiurare.
Diritto
3. - Il ricorso è infondato.
Diversamente da quanto criticamente esposto nei motivi d'impugnazione illustrati nell'odierno ricorso, occorre
evidenziare come il giudice d'appello abbia espressamente rilevato come nel documento relativo alla
valutazione dei rischi connessi all'azionamento e arresto incontrollato e/o accidentale della piegatrice
"Century", non si sia tenuto nel debito conto della circostanza che la fase della messa a punto della macchina
doveva essere effettuata da una squadra di almeno due operai, con la conseguente creazione di un doppio
fattore di aumento del rischio, costituito, da un lato, dalla circostanza che il prototipo non poteva essere
ancora munito di tutti i dispositivi di sicurezza propri del macchinario finito; e, dall'altro, che gli addetti al
dispositivo sarebbero dovuto intervenire sul macchinario in coppia, ma con compiti distinti.
Muovendo in particolare da questo specifico secondo fattore di rischio, la corte territoriale ha sottolineato
come si profilasse, nell'occasione, l'insorgenza di un complesso di pericoli caratteristici, segnatamente legati
ai sempre possibili difetti di coordinamento o di informazione, da errori di comprensione o dovuti alla
mancanza di una visione d'insieme del lavoro da parte dei membri della squadra, necessariamente destinata a
lavorare in equipe.
Proprio a tale riguardo, la corte di merito ha evidenziato l'assoluta inefficacia del modulo operativo nella specie
prescritto e seguito, essendosi questo esaurito nella sola predisposizione di un pulpito posto a distanza dalla
macchina piegatrice (destinato al posizionamento del lavoratore addetto alla manovra dei comandi di
azionamento del macchinario), là dove è propriamente mancata l'adozione di precise misure di sicurezza,
specificamente dirette a impedire che i menzionati difetti di coordinamento o di informazione, o che gli errori di
comprensione o dovuti alla mancanza di una visione d'insieme del lavoro da parte dei componenti dell'equipe,
determinassero l'avvio del macchinario proprio durante le operazioni di messa a punto, che richiedevano
necessariamente l'inserimento delle mani della zona pericolosa.
Sulla scorta di tali premesse, contrariamente a quanto dedotto in questa sede dal ricorrente, la corte
territoriale ha specificamente indicato, in termini positivi, come l'infortunio in esame avrebbe potuto essere
evitato, qualora il datore di lavoro, conscio dei rischi prevedibili ex ante connessi alla fase di messa a punto
del prototipo, avesse dato precise disposizioni agli operai in ordine alle procedure di sicurezza da adottare, sì
da impedire l'avvio del macchinario da parte dell'addetto al pulpito di comando, in assenza di un chiaro
segnale di consenso da parte del collega, il quale era obbligato a operare con le mani all'interno della zona
pericolosa, cui doveva necessariamente accedere per regolare il riferimento e/o a rimanere nei pressi della
stessa durante le prove di curvatura per reggere il pezzo; operazione, quest'ultima, nella prassi eseguita con
le mani anzichè con le pinze, che avrebbero garantito una maggiore distanza dalla zona pericolosa.
Deve pertanto concludersi come il giudice d'appello abbia correttamente assolto al compito infondatamente
censurato in questa sede dal ricorrente, indicando in modo specifico l'ambito sprovvisto di adeguata
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regolamentazione cautelare, propriamente individuandolo nel quadro delle misure di sicurezza dirette a
impedire che i difetti di coordinamento o d'informazione, gli errori di comprensione o quelli dovuti alla
mancanza di una visione d'insieme del lavoro da parte dei componenti dell'equipe, determinassero l'avvio del
macchinario proprio durante le operazioni di messa a punto, sottolineando altresì come lo stesso imputato
fosse perfettamente consapevole dei rischi connessi alla fase della messa a punto, senza che ciò lo
spingesse all'adozione di misure cautelari ulteriori e diverse dalle generiche raccomandazioni alla prudenza
inammissibilmente impartite per via orale; raccomandazioni per loro natura inidonee a consentire di ritenere
assolti gli obblighi connessi alla posizione di garanzia rivestita dall'imputato e funzionali alla tutela
dell'incolumità dei lavoratori nell'ottica della prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Lo sviluppo del ragionamento così seguito dal giudice d'appello, in sè perfettamente lineare e pienamente
congruo sul piano logico-giuridico, deve ritenersi pertanto tale da sfuggire alle censure allo stesso criticamente
ascritte dal ricorrente, avendo la corte territoriale adeguatamente individuato il contenuto concreto delle
prescrizioni cautelari ragionevolmente esigibili dall'imputato (e da questo totalmente disattese), e
congruamente evidenziato la concreta ed effettiva funzionalità di dette prescrizioni rispetto al prevedibile
scongiuramento dell'evento infortunistico nel caso di specie successivamente verificatosi.
4. - Al riscontro dell'infondatezza dei motivi di doglianza avanzati dall'imputato segue il rigetto del ricorso e la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
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