Laboratorio di scrittura ARROTTA GIAMMARCO CERULO ELSA CIMA ALESSANDRO FERRANTE MARIA CATERINA FONTANA ANTONIETTA GNISCI DEBORA Limitazioni probatorie nell’appello da giudizio abbreviato 1. Caratteri fondamentali del rito de quo. Premialità e natura acceleratoria costituiscono i connotati fondamentali del giudizio abbreviato. Il rito de quo accoglie definizioni diverse le quali “rappresentano emblemi riassuntivi utilizzati in dottrina e in giurisprudenza, tendenti a cristallizzare in poche parole una dirompente novella processuale1”: rito speciale, anticipatorio, deflativo e alternativo. La specialità si evince valorizzando il consenso delle parti2, rendendo utilizzabili gli atti assunti al di fuori del contraddittorio; ribaltando il rapporto, intercorrente nel rito ordinario, tra la regola, la formazione della prova mediante contraddittorio e l’eccezione:” il reciproco consenso alla utilizzabilità della conoscenza acquisita unilateralmente nelle indagini”.3 Il carattere anticipatorio costituisce l’in se dell’opzione legislativa, la quale attribuisce all’imputato, la facoltà di richiedere al giudice che il processo sia «definito all’udienza preliminare allo stato degli atti»; il giudice, ove valuti la causa non decidibile in tale stato, esercita i poteri officiosi ex art.441 co. 5, ovvero «assume gli elementi necessari ai fini della decisione». In tale maniera, facendo leva sulla manifestazione di volontà dell’imputato, irretrattabile, (art.111 co. 5, Cost.), si evita il dibattimento realizzando l’auspicata finalità deflattiva; poiché accetta che il giudizio venga definito con forme che impongono una rinuncia ad uno dei principi cardine del processo accusatorio. Infine, il carattere alternativo è giustificato dalla garanzia dell’accordo tra le ANGELETTI, Manuale del giudizio abbreviato, Torino, 2010, capitolo I Sebbene formalmente abrogato lo scambio dei consensi, nella sostanza il p.m. comunque dovrà tener conto, nello svolgere le indagini preliminari, che sulla base degli elementi raccolti l'imputato potrà chiedere ed ottenere di essere giudicato. Cosi Corte cost n. 115 del 2001 Dal testo “La prova penale” diretto da Alfredo Gaito, Capitolo XXXVII, a cura di Ruggero, 745. 1 2 3 ARCHIVIO PENALE 2014 parti e dalla premialità finale. 2. Istituto del rito abbreviato, differenze tra rito “secco” e rito condizionato. Il rito abbreviato può essere richiesto dall’imputato fin quando non sono formulate le conclusioni nell’udienza preliminare. La domanda va presentata in forma scritta o orale, personalmente o per mezzo di procuratore speciale con sottoscrizione autenticata. Il contenuto della domanda può essere duplice: la richiesta di rito allo stato degli atti, il giudice baserà la propria decisione sul materiale probatorio già conosciuto (abbreviato “secco”), la richiesta condizionata all’assunzione di una prova che deve essere necessaria per la decisione e compatibile con l’economia processuale, ferma restando al giudice una valutazione di merito. Non è necessario il consenso del p.m. essendo sufficiente solo la richiesta dell’imputato (rito consensuale)4. La ratio dell’istituto risponde ad una chiara esigenza di sostituire il giudizio abbreviato al giudizio ordinario trasformando i contenuti probatori per l’azione in contenuti probatori per la decisione; sostituendo il giudice competente per l’azione con il giudice competente per la decisione; garantendo, infine, la premialità all’imputato, per cui egli può contare da un lato sull’opzione assolutoria e dall’altro lato, in caso di condanna, in una significativa riduzione della pena (un terzo) o in una conversione di questa (da ergastolo a trent’anni di reclusione, da ergastolo con isolamento diurno a ergastolo). In cambio di tutto ciò viene chiesto all’interessato di rinunciare alla fase appunto più laboriosa del procedimento e più impegnativa: la formazione della prova in contraddittorio. Tale rinuncia, effetto di uno specifico atto di volontà dell’imputato, è stata, ed è tutt’ora, oggetto di numerosi dibattiti in dottrina e giurisprudenza; ci si chiede se vi sia un sufficiente equilibrio tra premio/rinuncia, se sia irrecuperabile il diritto alla prova, perso con l’accettazione del diverso rito, oppure se esistano delle condizioni di “recupero” delle garanzie associate alla fase dibattimentale del processo. Da qui la nostra riflessione. 3. Istituto della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello. La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello è uno strumento che permette l’integrazione totale o parziale della piattaforma probatoria delineatasi in primo grado, entro i limiti del devolutum dell’appellante, La disciplina originaria imponeva il previo consenso del pubblico ministero quale presupposto indispensabile per procedere con le forme del giudizio abbreviato 4 2 ARCHIVIO PENALE 2014 ogni qualvolta appaia utile; l’istituto è ritenuto dalla giurisprudenza “di carattere eccezionale”5 poiché deve presumersi, a nostro avviso utopisticamente, la completezza dell’istruttoria dibattimentale di primo grado.6 Per cogliere a pieno le potenzialità dell’istituto in esame ovvero dell’art, 603 del c.p.p, questo deve essere letto avendo presente, in primo luogo, il co. 3 del nuovo art. 111 della cost, il quale ponendosi come argine rispetto a tendenze eccessivamente restrittive in fase di ammissione, impone al giudice di ammettere l’introduzione della controprova richiesta dalla difesa “qualora la medesima possa comunque depauperare la portata persuasiva di quella dell’accusa, ossia indicare una diversa lettura dei fatti”7. In secondo luogo l’art. 2, protocollo n. 7, cedu che prevede, di regola il diritto di ogni persona condannata «di far esaminare la dichiarazione di colpevolezza o la condanna da una giurisdizione superiore». In riferimento a quest ‘ultimo aspetto pare opportuno precisare: sebbene non sia revocabile in dubbio che nell’ottica del giudice sovranazionale, esso diritto sia garantito anche laddove lo Stato contraente si limiti a prevedere rimedi di legittimità8; una volta optato per il canone del doppio grado di giudizio nel merito la possibilità per l’imputato di conseguire la rimozione di un risultato sfavorevole ritenuto ingiusto, deve essere “reale” mediante una non formalistica reiterazione del giudizio.9 Appare ora possibile analizzare le ipotesi previste dall’art. 603 c.p.p. al verificarsi delle quali il giudice dispone la rinnovazione: il primo comma prende in considerazione la richiesta operata da una parte nell’atto di appello o nei motivi presentati a norma dell’art. 585, co. 4, prevedendo sia l’ipotesi di “riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado” sia di “assunzione di nuove prove” intese quest’ultime come prove già note ma non acquisite in primo grado. In questi due casi il giudice dispone la rinnovazione solo “se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti”; nell’operare tale valutazione il giudice deve tenere conto delle prospettive di riforma della sentenza impugnata nonché degli innovati canoni di giudizio che esigono una colpevolezza dimostrata oltre il ragionevole dubbio (art. 533). 5 6 7 8 9 Cass., Sez. un., Paniconi, in Cass. pen., 2006, 230. Cass., Sez. III, 20 giugno 2003, Castellano, inedita. GAITO, Il procedimento probatorio in la prova penale. Corte Europea diritti dell’uomo 30 maggio 2000. GAITO, Il procedimento probatorio in la prova penale. 3 ARCHIVIO PENALE 2014 Invece il secondo comma provvede diversamente per le “nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado”; stabilendo che il giudice, sempre su istanza di parte “dispone la rinnovazione dibattimentale nei limiti previsti dall’art. 495, co. 1. Valgono quindi i criteri per l’ammissione dei mezzi di prova nel giudizio di primo grado, sussistendo il diritto della parte all’assunzione delle prove richieste con i soli limiti ad istanze concernenti prove vietate dalla legge o manifestamente superflue. I commi 3 e 4 riguardano rispettivamente, la rinnovazione disposta ex officio possibile solo ove il giudice la ritenga “assolutamente necessaria” e la rinnovazione richiesta dall’imputato contumacia in primo grado, disposta quando questo provi di non essere potuto comparire, per caso fortuito, forza maggiore ovvero a causa di un non colpevole difetto di conoscenza del decreto di citazione. Ulteriore ipotesi di rinnovazione del dibattimento è disciplinata al comma 6 del’art.604 che stabilisce: Quando il giudice di primo grado ha dichiarato che il reato è estinto o che l'azione penale non poteva essere iniziata o proseguita, il giudice di appello, se riconosce erronea tale dichiarazione, ordina, occorrendo, la rinnovazione del dibattimento e decide nel merito. Conclusivamente è necessario segnalare la sentenza Dan C. Moldavia10 nella quale la corte Europea dei diritti dell’uomo affronta il tema dei giudizi d’ appello aventi ad oggetto le sentenze di proscioglimento e assoluzione, rilevando la violazione dell’art. 6, § 1 Cedu, per avere il giudice condannato senza dare vita a nuova escussione dei testimoni già esaminati in primo grado. Per tale via la corte rimodella i limiti decisori del giudice del controllo del merito e segna per i suddetti giudizi da un lato l’apertura all’oralità, dall’altro “comporta effetti dirompenti sul modo invalso di intendere l’istruttoria dibattimentale che dovrà essere la regola ogni volta che il P.M. abbia appellato sentenze di proscioglimento o di assoluzione.11 4. Limitazioni probatorie nell’appello da giudizio abbreviato. “..anche dopo la riforma contenuta nella L. 16 dicembre 1999, n. 479, nel giudizio abbreviato l'integrazione probatoria in appello non è esclusa in modo assoluto, ma è ammessa compatibilmente con le esigenze di celerità del rito, per cui può essere disposta, anche d'ufficio, solo per le acquisizioni documentali assolutamente indispensabili ai fini del decidere ed attinenti la capacità processuale dell'imputato o i presupposti stessi del reato o 10 11 Corte eur. dir. uomo, Sez III, 5ottobre 2011, Dan c. Moldavia GAITO, Mauale di procedura penale. 4 ARCHIVIO PENALE 2014 della punibilità, dovendo escludere che possa farsi ricorso all'integrazione per far fronte a ordinarie lacune probatorie nel merito, ovvero per acquisire prove a carico dell'imputato, essendo possibile l'integrazione solo in "bonam partem", dal momento che l'acquisizione di elementi a carico dell'imputato potrebbe incidere sulla originaria determinazione di richiedere il rito alternativo, scelta non più modificabile.” (Sentenza 25 maggio 2012, Santostasi). La sentenza in commento offre uno spunto interessante per introdurre quello che è oggetto della nostra tematica: le limitazioni probatorie in appello nel giudizio abbreviato. Al fine di comprensione è necessaria innanzitutto una riflessione sul concetto di prova. Diverse sono le interpretazioni che colorano il termine prova: fonte di prova, mezzo di prova, elemento di prova; ai fini della nostra ricerca intendiamo porre l’accento sulla prova come risultato. “Se la prova è il risultato al quale il giudice infine giunge, l'attività di formazione è il percorso (il procedimento) probatorio attraverso il quale il risultato è raggiungibile.”12 Tale attività si scandisce in diverse tappe circoscrivibili in una fase strettamente rappresentativa (ricerca della fonte di prova e ammissione del mezzo di prova) e un’altra strettamente formativa (assunzione dei mezzi di prova, acquisizione dell’elemento di prova e valutazione: inserimento della prova nel panorama cognitivo del giudice). Quest’ultima senza dubbio rappresenta il centro creativo per eccellenza. Nel limitato scopo di questo lavoro ci soffermeremo esclusivamente sulla formazione della prova nel rito abbreviato, segnatamente nell’ammissibilità di rinnovazione nel secondo grado del processo; detto ciò l’art 190 c.p.p definisce il processo probatorio riconoscendo alle parti un vero e proprio “diritto alla prova”. Nel rito abbreviato ci troviamo dinanzi ad un diritto alla prova “attenuato”, in quanto le parti con il proprio consenso meditato allo stato degli atti, come già anticipato, rinunciano ad ulteriori integrazioni probatorie trasformando i contenuti probatori per l’azione in contenuti probatori per la decisione13. GAITO “La prova penale”, Capitolo XXXVII, a cura di Ruggero, 734. Contenuti probatori per l’azione: “tra gli atti va incluso quanto acquisito dal PM (art.327, 358,416 2°comma) e dall’interessato con le indagini difensive (art. 327-bis, 391-octies) delle quali il giudice dovrà tener conto garantendo cosi una forma di contraddittorio “cartaceo” che se perso con la richiesta del rito, viene recuperato con il confronto degli atti rispettivamente prodotti. GAITO, “La prova penale” Capitolo XXXVII, a cura di Ruggero, 746. 12 13 5 ARCHIVIO PENALE 2014 L’ammissione delle prove assume conseguenze diverse a seconda della modalità della richiesta; infatti a seguito della novella introdotta dalla legge Carotti 14 l’imputato può condizionare la richiesta d’ammissione ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione, l’accoglimento dell’istanza resta subordinato al requisito della necessità ai fini del giudizio della prova e della compatibilità con le finalità di economia processuale, caratterizzanti quel tipo di procedimento "allo stato degli atti". Pertanto, formulata istanza di ammissione al giudizio abbreviato condizionata all'ammissione di una prova, spetterà al giudice di primo grado valutare se la stessa sia necessaria e se quindi possa trovare o meno ingresso nel procedimento e la relativa decisione sarà suscettibile di una rivisitazione critica in sede d'impugnazione. Diversamente, quando la richiesta di ammissione al rito alternativo non sia subordinata ad alcuna integrazione probatoria, in questo caso la possibilità di introduzione di nuovo materiale probatorio resta affidata all'esercizio da parte del Giudice nei due gradi di merito, quindi anche in appello, del potere di disporre ulteriori accertamenti, quando ritenuti necessari ai fini della decisione, ai sensi dell'articolo 441, co. 5, c.p.p. La facoltà sopra indicata trova corrispondenza nel dettato dell’art 507 c.p.p. in merito al quale le Sez. un.15 hanno osservato: "l'articolo 507 ha un diverso ambito di applicazione e, soprattutto, un diverso scopo: quello di consentire al giudice - che non si ritenga in grado di decidere per la lacunosità o insufficienza del materiale probatorio di cui dispone - di ammettere le prove che gli consentono un giudizio più meditato e più aderente alla realtà dei fatti che è chiamato a ricostruire. Inoltre v'è ancora, in questa sentenza (Sez. un., Martin), un'importante precisazione che consente di evitare che l'esercizio del potere in esame avvenga in modo troppo esteso o addirittura arbitrario: l'iniziativa deve essere "assolutamente necessaria" (sia l'articolo 507 che l'articolo 603 usano questa espressione) e la prova deve avere carattere di decisività (altrimenti non sarebbe "assolutamente necessaria") diversamente da quanto avviene nell'esercizio ordinario del potere dispositivo delle parti in cui si richiede soltanto che le prove siano ammissibili e rilevanti. Può ancora aggiungersi che questo potere andrà esercitato nell'ambito delle prospettazioni delle parti e non per supportare probatoriamente una diversa ricostruzione che il giudice possa ipotizzare. Deve altresì tenersi presente che, per quanto la Corte di legittimità abbia sostenuto che "anche dopo la riforma contenuta nella Legge 16 dicembre 1999, 14 15 L. 16 dicembre 1999, n. 479. Cass. Sez. un., 17 ottobre 2006, PM in proc. Greco, in Mass. Uff., n. 234907. 6 ARCHIVIO PENALE 2014 n. 479, nel giudizio abbreviato l'integrazione probatoria in appello non è esclusa in modo assoluto, ma è ammessa compatibilmente con le esigenze di celerità del rito, per cui può essere disposta, anche d'ufficio, solo per le acquisizioni documentali assolutamente indispensabili ai fini del decidere ed attinenti la capacità processuale dell'imputato o i presupposti stessi del reato o della punibilità, dovendo escludere che possa farsi ricorso all'integrazione per far fronte a ordinarie lacune probatorie nel merito, ovvero per acquisire prove a carico dell'imputato, essendo possibile l'integrazione solo in bonam partem, dal momento che l'acquisizione di elementi a carico dell'imputato potrebbe incidere sulla originaria determinazione di richiedere il rito alternativo, scelta non più modificabile"16; infine i benefici cui l'imputato accede con il rito abbreviato, mantenuti inalterati anche a fronte di integrazione probatoria, si differenziano dalla possibilità di conoscere preventivamente il materiale probatorio su cui il Giudice fonderà la sua decisione e consistono nella riduzione di un terzo della pena in caso di condanna e nella celebrazione non pubblica e più celere del processo. A tale conclusione si è giunti a seguito di un vivace dibattito che ha impegnato dottrina e giurisprudenza, avendo ad oggetto la compatibilità del rito de quo con il tema in esame. Prima del fondamentale intervento della nota sentenza delle Sezioni Unite Clarke, la giurisprudenza si orientava prevalentemente su due indirizzi: il primo, dominante, prevedeva l’assoluta impossibilità della rinnovazione in appello a causa dell’incompatibilità del rito e a causa dell’impossibilità del giudice; in contrapposizione si formò una corrente di pensiero minoritaria che prevedeva la compatibilità dell’istituto con il rito, limitata ad un potere officioso del giudice, giustificata da una chiave di lettura diversa circa l’oggetto della rinuncia dell’imputato che chiede il rito abbreviato; infatti questi rinuncia al dibattimento e non al diritto alla prova come richiamato dall’art. 443, co. 4, c.p.p Tale indirizzo giurisprudenziale prevalente fu superato da una sentenza della Corte Costituzionale (n. 470 del 1991) che anticipò in un certo senso la storica sentenza citata, e raccolse le obiezioni che investivano la minoranza, poiché ammise la rinnovazione in appello subordinatamente alla valutazione di stretta necessità del giudice e alla richiesta di parte di procedere d’ufficio all’attività probatoria se il giudice non è il grado di decidere allo stato degli atti; sottolineando che l’attività probatoria in analisi ha ad oggetto prove soCass., Sez. III, 21 settembre 2010, Anzaldo, in Mass. Uff., n. 248229; Id., Sez. VI, 13 dicembre 2005, Spaonoli, ivi, n. 233506. 16 7 ARCHIVIO PENALE 2014 pravvenute o scoperte dopo il primo grado di giudizio. Detto ciò le Sezioni unite Clarke aprono un nuovo orientamento giurisprudenziale il quale afferma che la rinuncia al diritto alla prova non ostacola l’esercizio del giudice di disporre dei mezzi di prova necessari per l’accertamento dei fatti che sono alla base della decisione (art. 603,3comma c.p.p) poiché lo stesso codice nell’art 190 commi 1-2 c.p.p statuisce che l’acquisizione probatoria può essere disposta d’ufficio quando la legge lo prevede per favorire la ricerca della verità: principio da sempre alla base dell’attività giurisdizionale; poiché in questo caso ”le parti avevano definitivamente consumato il loro diritto alla prova allorché avevano consentito l’adozione del giudizio abbreviato17”. Quest’ultima affermazione non ha perso attualità dopo la riforma. Necessita solo di alcune precisazioni. Prima dell’introduzione del giudizio abbreviato condizionato ad opera della Legge Carotti n. 479 del 1999, la giurisprudenza aveva affermato l’applicabilità della sola previsione dell’art. 603, co. 3; successivamente con la richiesta incondizionata l’imputato rinuncia al diritto di assumere prove diverse da quelle già acquisite agli atti, consuma quindi il suo diritto alla prova integrativa; con la richiesta condizionata rinuncia invece al diritto di assumere prove diverse da quelle integrative richieste come condizione a cui subordinare il giudizio. Da ciò la duplice conclusione, conseguenza delle diverse figure del rito abbreviato: è in linea di principio salvo il diritto alla prova per l’imputato che ha optato per il rito condizionato, avendo subordinato l’accesso al rito ad una specifica integrazione probatoria; è invece precluso nel rito allo stato degli atti dove l’imputato ha solo un potere sollecitatorio nei confronti del giudice circa il suo esercizio di operare d’ufficio. Vale a dire in questo ultimo caso che la rinnovazione istruttoria in appello potrà attivarsi solo se il giudice lo ritenga assolutamente necessario ai fini della decisione. Successivamente, per molto tempo l’ordinamento giurisprudenziale prevalente si conforma al dettato delle Sezioni unite ammettendo il diritto alla prova in un caso e negandolo nell’altro; nonostante ciò ben presto delle pronunce della Corte di Legittimità hanno riportato l’attenzione sul dibattito iniziale, ritenuto oramai superato, soffermandosi prevalentemente sul rito abbreviato cosiddetto secco, riconoscendo sempre più spazio all’istituto in esame proprio in questo caso tenendo conto dei notevoli cambiamenti normativi. La nuova problematica posta dalle teorie minoritarie non ha avuto successo; 17 BRICCHETTI, “Il giudizio abbreviato. Profili teorico pratici”. 8 ARCHIVIO PENALE 2014 le linee guida della sentenza Clarke prima e la sentenza Arshad (2010) dopo hanno segnato in modo profondo il dibattito giurisprudenziale il quale, non poche volte si è inserito in una panoramica sovranazionale incontrando spesso punti di rottura con i principi generali dell’ordinamento sovranazionale. 5. Limiti e conseguenze alla scelta del rito. La scelta di accedere al giudizio abbreviato, o meno, è sempre molto delicata e dev’essere soppesata attentamente. Analizziamo brevemente le ragioni che spingono la difesa alla scelta del rito. Prima di tutto la scelta è legata al suo aspetto premiale, soprattutto quando si è di fronte ad un solida accusa, con la prospettiva di fare appello e ricorrere in Cassazione per ritardare l’esecutività della sentenza, ovvero per illustrare le ragioni della difesa. Inoltre il rito de quo è consigliabile quando l’accusa risulta effettivamente lacunosa, ed incapace di provare la responsabilità dell’incolpato ‘oltre ogni ragionevole dubbio ’. Di certo, è tramontata la struttura del giudizio abbreviato come giudizio ancorato a una base di condizione inevitabile, ed è stato consegnato all’imputato il diritto di attivare il rito speciale senza venir influenzato da una possibile incompletezza delle indagini preliminari del p.m. Il sistema ha ammesso varie forme di integrazione probatorie, demandate all’iniziativa dell’imputato art. 438, co. 5, c.p.p., del pubblico ministero, limitatamente alla prova contraria, se esercitata l’azione contraria dell’imputato, e dello stesso Giudice, qualora quest’ultimo ritenga di non poter decidere allo stato degli atti (441, co. 5). Per ciò che riguarda l’ultima forma di integrazione probatoria è condivisibile l’opinione che ne individua i suoi limiti: è escluso che possa seguire un suo percorso di indagine su elementi che di fatto non sono stati presentati dalle parti (e risultanti dagli atti), poiché la sua attività è limitata all’area individuata allo stato degli atti formato dalle parti; in più la prova deve risultare necessaria ai fini della decisione affinché completi il quadro degli accertamenti e consenta al giudice di ritenere esaurientemente espletato ogni tema di indagine per garantire che la sua decisione sia fondata su tutto il materiale di valutazione possibilmente recuperabile; così, l'iniziativa ufficiosa del giudice potrà aver per oggetto sia una prova nuova sia, ove necessaria, anche la ripetizione della prova già acquisita agli atti, come l'audizione di un testimone assunto a sommarie informazioni nel corso delle indagini preliminari, laddove si ritenga in9 ARCHIVIO PENALE 2014 sufficiente la verbalizzazione delle sue dichiarazioni, o necessario saggiarne direttamente l'attendibilità.18 Vi è poi la necessità che il giudice manifesti la motivazione sull’indisponibilità del decidere allo stato degli atti, motivazione che deve sorreggere in punto di fatto e di diritto le ragioni sulla necessità della prova prescelta a completare il quadro probatorio. Tra l’altro lo stesso imputato, a seguito del potere officioso del giudice (ex art. 441, c.p.p) non potrebbe pentirsi della scelta, per cui, a seguito dell’integrazione probatoria non residuerebbe altro che la richiesta di controprova. La giurisprudenza più recente ha affermato che l’imputato stesso può richiedere in appello la rinnovazione istruttoria limitatamente al rispetto del principio di economia processuale e alle regole di ammissibilità descritte dall’art. 603, co. 2, c.p.p19. Il problema sorge rispetto all’ ammissibilità’ delle prove nuove sopravvenute con differenza giurisprudenziale tra “secco” e condizionato. A tal proposito, le posizioni assunte dalla giurisprudenza degli ultimi dieci anni fanno emergere una forte imprevedibilità delle regole che governano il giudizio abbreviato; nulla quaestio riguardo all’ammissibilità ex officio dell’istruttoria dibattimentale, sintetizzando, di seguito, quelle assunte maggiormente. “Da una parte si sostiene che solo al giudice spetta la rinnovazione dibattimentale, anche se può essere sollecitata dalle parti. Dall’altra si continua a ritenere che anche le parti hanno u diritto alla prova, ma sol nel caso in cui abbiano optato per il giudizio abbreviato condizionato”20. Significative aperture si affacciano per quanto concerne il diritto alla prova nuova sopravvenuta, orientandosi verso un pieno diritto delle parti senza più distinguere tra giudizio abbreviato “secco” e condizionato; aperture, tuttavia, Si evidenzia sentenza, Sez. III, n. 33939 del 21 settembre 2010 secondo cui: “Nel giudizio abbreviato il potere di integrazione del giudice non può spingersi fino al punto di acquisire elementi di prova in ordine alla sussistenza del reato ed alla attribuzione di esso all'indagato. …Ed invero, la scelta processuale della difesa di essere giudicata sulla scorta degli elementi raccolti dal pubblico ministero verrebbe vanificata e snaturata se il potere del giudice di integrare la prova fosse illimitato ed arrivasse al punto di poter sostituire l'organo giudicante a quello inquirente nella ricerca di elementi idonei a verificare (e non invece a confermare) se il soggetto tratto a giudizio sia effettivamente autore di un reato e se il fatto contestato integri gli estremi di un reato perseguibile”. Art. 603, co. 2, c.p.p “se le prove sono sopravvenute o scoperte dopo il primo grado, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruttoria nei limiti previsti dall’art 495 c.p.p.” (sentite le parti) e nei imiti previsti dall’art 190 c.p.p “esclusione delle prove vietate e quelle che manifestatamente sono superflui o irrilevanti Dal commento alla sentenza: Cass., Sez. V, 3 maggio 2012 Papalia e altri. Riferimento Id., Sez. VI, 20 aprile 2005, Aglieri, in Mass. Uff., n. 233009; e Id., Sez. IV, 20 dicembre 2005, Coniglio, ivi, n. 233956. 18 19 20 10 ARCHIVIO PENALE 2014 contrapposte alla tesi che attribuisce solo al giudice il potere di disporre la rinnovazione21. La materia resta comunque punto di incertezza giurisprudenziale, affacciandosi ad un’ulteriore problematica, ovvero i limiti all’ammissibilità della prova nuova sopravvenuta; questione che si scontra con due linee di pensiero, entrambe distaccate dalla tradizione dottrinale e entrambe basate sul principio di parità delle parti, sancito dall’art 111 Cost. La prima, però fa leva sull’ammissione della prova a seguito di sentenza di condanna e dunque a favore solo dell’imputato, e la seconda anche a seguito di sentenza di assoluzione, dunque una possibilità concessa persino all’accusa. Di rilievo, la vicenda Santostasi22, nella quale l’imputato chiedeva il riconoscimento dell’attenuante di cui l’art. 62, n. 6, c.p.p., sopravvenuto dopo la sentenza di primo grado con giudizio abbreviato “secco”. La Corte d’Appello rigettava la richiesta sulla base del fatto che il rito de quo impedisce in maniera definitiva, qualsiasi integrazione. La Corte Suprema, per contro, ammetteva il ricorso individuando però tre limiti fondamentali all’integrazione probatoria in appello, di cui i primi due già consolidati precedentemente, ovvero che la prova risulti indispensabile ai fini della decisione e che non comprometta la bonam partem, poiché come afferma la Corte l’acquisizione di elementi a carico dell’imputato potrebbe incidere sulla originaria determinazione di richiedere il rito alternativo23. Quest’ultimo principio è stato confermato da pronunce successive, che omologandosi alla Corte, hanno dichiarato l’inammissibilità della prova in malam partem poiché renderebbe illimitata l’attività di integrazione. Tale orientamento, di contro, è stato smentito da una giurisprudenza discorde, la quale ammette ogni tipo di integrazione probatoria, e quindi anche malam partem, in quanto la finalità ultima del Giudice deve essere ravvisata nella ricerca della verità, indipendentemente dalla “qualità” della prova. È evidente che la divergenza di pensiero è legata all’assenza di una espressa previsione normativa, nonostante la Corte Europea vieti simili mutamenti giurisprudenziali, che ben ledono il “consenso informato” sancito dall’art 6 della C.e.d.u. L’ammissione della prova in malam partem denota un consenso viziato alla scelta del rito, consentendo così all’imputato solo la facoltà di accesso al rito stesso, limitandone la premialità alla sola riduzione di un terzo della pena e 21 22 23 Vedi “Il giudizio abbreviato. Profili” Dottrina di Bricchetti e Pistorelli. Cass., Sez. II, 28 marzo 2013, Santostasi, in questa Rivista online. Cass., Sez. II, 28 marzo 2013, Santostasi, cit. 11 ARCHIVIO PENALE 2014 non alla conoscenza dell’intero materiale probatorio già alla fase delle indagini preliminari. Si preclude, dunque, la fruizione del vantaggi connessi al rito, che si dimostra non più come un giudizio “cristallizzato” allo stato degli atti, ma come un rito imprevedibile, la cui fase dibattimentale alla quale si era rinunciato, verrebbe comunque a ripresentarsi con l’acquisizione di nuovi elementi di prova da parte del Pubblico Ministero, ampliando in maniera illimitata la possibilità di integrazione. Un altro problema per il quale si è discusso è se, una volta fatta richiesta di accedere al rito, sia possibile per il Pubblico ministero integrare il materiale probatorio prima dell’ordinanza di ammissione da parte del Giudice. In questo caso non si tratterebbe di una prova sopravvenuta, ma comunque di una integrazione estranea “allo stato degli atti”, al quale manca un dato normativo non equivoco, incorrendo così in una duplice definizione: “ex actis” che si solidifica al momento della richiesta o al momento dell’ordinanza di ammissione? 12 ARCHIVIO PENALE 2014 6. L'orientamento giurisprudenziale della Corte Europea dei diritti dell'uomo e il "giusto processo" La controversa questione della rinnovazione istruttoria in appello nel giudizio abbreviato si è riproposta anche a livello europeo nelle sentenze della Corte e.d.u., la quale ha più volte ripreso l'ordinamento italiano per alcune lacune processuali sui diritti dell'imputato e, soprattutto, per la violazione degli artt. 6 e 7 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. Il mancato chiarimento, da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, di un metodo interpretativo sull'ammissibilità o meno delle ulteriori prove in secondo grado nell'ambito del rito abbreviato va a ledere alcuni dei diritti fondamentali della Convenzione. Infatti, secondo la Convenzione, l'imputato ha il diritto ad una informazione chiara e completa riguardo alle dinamiche processuali e, soprattutto, riguardo alle conseguenze della linea difensiva scelta. Al momento della richiesta del rito abbreviato, eseguita volontariamente dall'imputato o da un suo procuratore speciale, la difesa tecnica è tenuta a informare l'imputato di tutte le rinunce e i benefici che ne conseguono24, ma ciò appare assai arduo in un contesto normativo in cui quasi metà delle sentenze della Cassazione a riguardo esclude il diritto alla prova in appello e l'altra metà lo ammette. La giurisprudenza europea, infatti, sembra voler evidenziare come, nel momento in cui l'imputato acceda al rito, si cristallizzi la situazione di rinunce e benefici verso cui ha disposto il proprio consenso. A tal fine, secondo la CEDU, non sono applicabili all'imputato norme di legge modificate successivamente al consenso dell'imputato. Caso emblematico, che ha occupato l'interprete in tema di applicazione retroattiva delle nuove regole di determinazione della pena, introdotte dal d.l n. 341 del 2000 per il giudizio abbreviato, è quello posto dalla sentenza CEDU Scoppola c. Italia25. In questo caso, il consenso informato nella scelta del rito è stato falsato dal sopravvenire di una normativa più sfavorevole al reo, che, in pratica, annullava i benefici del rito abbreviato, non permettendo di sostituire all'ergastolo una pena detentiva temporanea. Il giudice europeo, preso atto dell'incongruenza, ha ritenuto tale sopravvenienza normativa lesiva dell'art. 6, § 1 CEDU26. Come emerge dalla sent. CEDU Kwiatkowska c. Italia 30 novembre 2000 Sentenza 17 settembre 2009, Scoppola c.Italia Art 6 CEDU “1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti…” 24 25 26 13 ARCHIVIO PENALE 2014 Dalla citata sentenza emerge che l'imprevedibilità del nostro ordinamento, in ambito processuale penale, comporta un vizio del consenso, in quanto atti giuridici posti in essere per effetto di un consenso viziato (perchè non adeguatamente informato) concorrono ad attribuire rilevanza alla determinazione della volontà, in tutte le fattispecie in cui il sorgere, modificarsi ed estinguersi del rapporto processuale ha per contenuto una dichiarazione di volontà. Di grande interesse risulta essere l'agibilità dei temi del diritto alla prova e del principio del giusto processo nell'ambito della possibilità di rinnovazione probatoria in appello nel rito abbreviato. A riguardo la CEDU si è espressa nella sentenza Dan c. Moldavia27, nella quale si pronunciava riguardo all' impugnazione del p.m. contro sentenza di assoluzione, dichiarando che “il giudice d'appello non può riformare la sentenza e pronunciare condanna senza avere assunto nuovamente in contraddittorio le prove dichiarative "disponibili" a carico dell'imputato”. Risulta, quindi, necessario applicare la rinnovazione integrale delle prove in pienezza di contraddittorio e con il metodo dell'oralità, poiché l'elaborazione del materiale decisorio nella dialettica delle parti è uno dei requisiti fondamentali del giusto processo, e l'art. 111 della Costituzione non distingue in alcun modo fra gradi di giudizio, estendendo in tal modo a tutto campo il diritto dell'imputato a ogni mezzo di prova in suo favore. Viene, inoltre, rimarcato come l'unica eccezione possibile all'innovazione delle voci d'accusa in appello sia la situazione di impossibilità materiale. Anche nella successiva decisione Hanu c. Romania28 la Corte afferma che la rinnovazione in appello della prova dichiarativa è sempre dovuta quando la riforma di una sentenza assolutoria avviene sulla base di una diversa valutazione di circostanze di fatto. Pertanto, la regola del controllo esclusivamente o prevalentemente cartolare nel giudizio di appello, al di fuori o senza tener conto dei principi del giusto processo europeo, cede il posto al meccanismo di rinnovazione degli apporti dichiarativi a carico già acquisiti in primo grado, dovendo, altrimenti, essere applicata una vera e propria regola di giudizio ad excludendum, secondo la quale il giudice non può riformare la sentenza di assoluzione. L'Europa impone al giudice d'appello di dilatare per via interpretativa il catalogo dei casi di rinnovazione probatoria già noti. Nella cornice di garanzie processuali già presenti nella Costituzione e nelle convenzioni internazionali è stato inserito il principio del giusto processo il quale comporta modifiche sostanziali nel sistema dell'appello in generale e, segnatamente, nel contesto del 27 28 Corte eur. dir. uomo, Sez III, 5ottobre 2011, Dan c. Moldavia. Corte eur. dir. uomo, Sez III 4 giugno 2013, Hanu c. Romania. 14 ARCHIVIO PENALE 2014 rito abbreviato. L'effetto dirompente di tale sentenza sembra, infatti, produrre i propri effetti non solo nei casi di appellabilità di sentenze di proscioglimento da parte del p.m., ma anche ai casi in cui si sia sperimentato il rito abbreviato in primo grado. Ciò sembra confermato dalla più recente sentenza Mitytsina c. Russia29, nella quale la CEDU sembra suggellare i principi finora ricavati dall’art. 6 della Convenzione e, in particolare, il diritto dell'imputato a poter confutare le prove a proprio discarico durante tutto l'iter processuale. Resta ora da vedere come si conformeranno a questo dettato europeo giurisprudenza e legislatore. 29 Corte eur. dir. uomo 27 marzo 2014 Mitytsina c.Russia. 15 ARCHIVIO PENALE 2014 7. Verso una possibile conclusione Alla luce di quanto sinora rilevato ed argomentato, tenuto conto anche della più recente giurisprudenza nazionale ed europea30, risulta alquanto arduo trarre una conclusione univoca ed oggettiva in ordine ai dubbi che sono oggetto di questa articolata tematica e dai quali ha preso le mosse la nostra riflessione. Sebbene, infatti, nel nostro ordinamento, a livello normativo e giurisprudenziale, il panorama al quale assistiamo non risulti chiaro e completo, ma semmai profondamente combattuto ed assai incerto, in ambito europeo non si può affermare lo stesso. Si è visto, infatti, come più volte la Corte edu abbia insistito sulla necessità di tutelare l’imputato salvaguardando le garanzie poste dai principi del giusto processo31 ed abbia richiesto di adeguare il giudizio di appello a questi stessi principi, con tutto quanto ne consegue in termini di prova , oralità e contraddittorio32 (si veda in questo stesso testo recentemente le pronunce “Dan v. Moldavia” e “Hanu v. Romania”). Il panorama normativo nazionale è dunque popolato da incertezze e incongruenze; il rito abbreviato nasce come rito premiale che apparentemente spinge a favore dell’imputato, ma in realtà l’assenza di stabilità normativa per l’ammissione delle prove, diventa strumento dell’accusa, non solo allontanando il rito dalla ragione per cui è stato introdotto, l’accelerazione dei tempi del processo, ma soprattutto oltrepassando il principio di parità delle parti, che anche se apparentemente violato dall’ammissione della prova esclusivamente in bonam partem, viene riequilibrato dall’art 441bis c 5 cpp, che prevede sempre la possibilità per il Pubblico Ministero dell’ammissione della prova contraria. Garanzia che per l’imputato non viene concessa nel caso di integrazione in malam partem, creando un elemento differenziatore che si discosta dalla regole del giusto processo. Per quanto concerne “lo stato degli atti” dovrebbe intendersi il momento della richiesta del rito da parte del difensore con la conseguenza che il p.m. non proseguirà con la propria attività di indagine incrementando il fascicolo probatorio poichè solo la conoscenza del materiale probatorio spinge la volontà dell’imputato alla scelta del procedimento, e qualsiasi integrazione andrebbe a viziarne il consenso. Infine, un ultimo aspetto che preoccupa e genera dubbi riguarda le prove so- Per una completa disamina si rinvia alle note precedenti Elevato a rango costituzionale dall’art 111 Cost. GAITO, Riformiamo le impugnazioni penali senza rinunciare al giusto processo, in questa Rivista, 2012. 30 31 32 16 ARCHIVIO PENALE 2014 pravvenute nel caso in cui il p.m., potendo impugnare33 sentenze di assoluzione, può appellarsi al potere officioso del giudice34 e ribaltare cosi la decisione del giudice del primo grado di giudizio. Le prove sopravvenute, conosciute successivamente al primo grado di giudizio, secondo una parte della giurisprudenza sono motivo di impugnazione solo se in bonam partem rispettando il principio del divieto del reformatio in peius, altra posizione invece è assunta da chi si interroga in che misura queste possono incidere sulle motivazione dell’impugnazione del p.m. riconoscendo completezza all’attività probatoria cristallizzata “allo stato degli atti”. Stante all’attuale giurisprudenza, resta comunque prematuro prevedere quale sia la disciplina che porterà chiarezza sulle conseguenze legate alla scelta del giudizio abbreviato, per il momento legate all’incertezza e all’imprevedibilità. Si augura quindi una pregnante presa di posizione del legislatore che faccia luce si queste problematiche e garantisca la celerità, corollario del principio di economia processuale, quale fine a cui l’istituto tende, e la tanto auspicata chiarezza che ci viene chiesta dalla stessa Corte Europea nel rispetto della superiore normativa della CEDU. Art 597 “II comma quando l’appellante è il p.m.: b) se l'appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice può pronunciare condanna ed emettere i provvedimenti indicati nella lettera a) ovvero prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata;” Art 603 II comma: “Se le nuove prove sono sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nei limiti previsti dall'articolo 495 comma 1.” 33 34 17