rispetto al corpus sterminato delle paremie attestate
nei volgari italiani in epoca medioevale, l’opera di Dante
funziona in due modi (CFR. Boggione 2004, XXI)
da COLLETTORE
da SERBATOIO
di citazioni che nel
• di ‘materiali’
idiomatici provenienti tempo, grazie alla
dalle raccolte coeve di popolarità della
Commedia,
sono
sentenze e di exempla,
‘passate in proverbio’,
o da altri testi scritti
trasmigrando dal testo
• di detti proverbiali di scritto ‘d’autore’
origine popolare, orale all’uso orale ‘anonimo’
Citazione e proverbio in Conv. IV 1
Amore, secondo la concordevole sentenza delli savi
di lui ragionanti, e secondo quello che per
esperienza continuamente vedemo, è che
congiunge e unisce l’amante colla persona amata;
onde Pittagora dice: “Nell'amistà si fa uno di più”.
E però che le cose congiunte comunicano
naturalmente intra sé le loro qualitadi, in tanto che
talvolta è che l'una torna del tutto nella natura
dell'altra, incontra che le passioni della persona
amata entrano nella persona amante, sì che l'amore
dell’una si comunica nell’altra, e così l’odio e lo
desiderio e ogni altra passione. Per che li amici
dell'uno sono dall'altro amati, e li nimici odiati; per
che in greco proverbio è detto: “Delli amici essere
deono tutte le cose comuni”.
Il detto è attribuito a
Pitagora da Cicerone
in De Officiis I 17, 56
efficiturque id, quod
Pythagoras vult in
amicitia, ut unus fiat
ex pluribus.
Ma anche il
‘proverbio greco’
viene dal De Officiis I
16, 51.
…ut in Graecorum
proverbio est,
amicorum esse
communia omnia.
Un proverbio in Paradiso I 34-36
Poca favilla gran fiamma seconda:
forse di retro a me con miglior voci
si chiamerà perché Cirra risponda
IN EPOCA CLASSICA PRIMA DI DANTE
Parva saepe
scintilla contempta
magnum excitavit
incendium (Curzio
Rufo)
DOPO DANTE
‘L poco foco gran
Poca favilla accende
selva divora (Chiaro molta paglia
Davanzati)
(Francesco Berni)
Gran foco nasce di
poca favilla (Cino da
Pistoia)
Ma Giuseppe Giusti nella sua raccolta di Proverbi (1853)
registra: piccola scintilla può bruciare una villa
La gloria di colui che tutto move
per l'universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.
Nel ciel che più de la sua luce prende
fu' io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là sù discende;
perché appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non può ire.
Veramente quant'io del regno santo
ne la mia mente potei far tesoro,
sarà ora materia del mio canto.
O buono Appollo, a l'ultimo lavoro
fammi del tuo valor sì fatto vaso,
come dimandi a dar l'amato alloro.
Infino a qui l'un giogo di Parnaso
assai mi fu; ma or con amendue
m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso.
Entra nel petto mio, e spira tue
sì come quando Marsïa traesti
de la vagina de le membra sue.
N.B: nel I canto del Paradiso il proverbio introduce la
chiusura dell’invocazione ad Apollo.
O divina virtù, se mi ti presti
tanto che l'ombra del beato regno
segnata nel mio capo io manifesti,
vedra' mi al piè del tuo diletto legno
venire, e coronarmi de le foglie
che la materia e tu mi farai degno.
Sì rade volte, padre, se ne coglie
per trïunfare o cesare o poeta,
colpa e vergogna de l'umane voglie,
che parturir letizia in su la lieta
delfica deïtà dovria la fronda
peneia, quando alcun di sé asseta.
Poca favilla gran fiamma seconda:
forse di retro a me con miglior voci
si pregherà perché Cirra risponda.
Inf. XXII 13-15
Noi andavam con li diece demoni:
Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa
coi santi, e in taverna coi ghiottoni.
Inferno XXI-XXII - sequenze
 Lo spettacolo della pece
bollente nella bolgia dei
barattieri (1-21)
 Il diavolo psicopompo (22-45)
 L’infierire dei Malebranche sul
dannato (46-57)
 Il colloquio tra Virgilio e
Malacoda (58-87)
 Dante esce dal nascondiglio
(88-102)
 L’inganno di Malacoda (103117)
 La malvagia decina (118-139)
 La “fiera compagnia” (1-15)
 I barattieri nella pece (16-30)
 La ‘pesca’ del barattiere (3142)
 Il Navarrese (43-54)
 Un dialogo travagliato (55-90)
 Il patto tra il Navarrese e
Alichino (91-117)
 La beffa del Navarrese (118126)
 La zuffa dei diavoli (127-151)
I due viaggi di Virgilio fino al Cocito
Nel canto XXI Virgilio cade nella trappola di
Malacoda pur avendo già percorso una volta la
voragine infernale. Il poeta stesso, infatti, ha raccontato
a Dante (IX 22-27) che poco dopo la sua morte la maga
Erittone (personaggio noto a Dante attraverso la
Farsaglia di Lucano) lo aveva mandato nella Giudecca a
recuperare uno spirito che voleva richiamare in vita,
forse per affidargli una profezia, come nel caso
raccontato da Lucano. Poiché tuttavia questo primo
viaggio di Virgilio attraverso l’inferno era avvenuto
prima della discesa di Cristo agli Inferi, egli non poteva
sapere che in realtà tutti i ponti sulla VI bolgia erano
crollati, e che perciò Malacoda lo stava ingannando.
Barattieri e giullari: tutti ribaldi
In lingua oitanica (antico francese) barattiere si dice
ribaud -> da cui poi l’italiano ribaldo (usato anche in INF
XXII 50). Ma il termine «allude ad una ben precisa
esperienza culturale e si applica ad una delimitata classe
sociale: lo troviamo infatti associato e spesso identificato
con ioculaor e termini affini (giullare, mimo, istrione,
goliardo, buffone, scurra, trutannus, comicus, comoedus
ecc.)» (così Picone).
Barattieri / ribaldi / giullari sono accomunati dalla stessa
propensione a vivere di espedienti, vendendo quel che
dovrebbe essere fonte di onore, e quindi non
commerciabile = la propria carica, la propria dignità
poetica.
Ipotesti per i canti della baratteria
Fabliaux = “contes à rire en vers” (definizione di
Joseph Bédier, 1894), dove i versi sono quasi sempre
ottosillabi rimati (rima baciata) o assonanzati.
Diableries = rappresentazioni comiche (spesso in fora
di drammatizzazione dei fabliaux) dove i protagonisti
sono diavoli, vagabondi, e ‘ribaldi’, che si insultano e si
azzuffano.
I ‘giullari’ che cantavano o drammatizzavano questi
“contes à rire” sceglievano pseudonimi, molti dei quali
rimasti famosi, e corrispondenti ai nomi dei diavoli
della ‘malvagia decina’ dantesca.
Non Ciampolo, ma Rutebeuf?
Il breve discorso autobiografico del barattiere, nei commenti
antichi identificato senza ulteriori spiegazioni con un tal
Ciàmpolo, è costruito sul modello delle vidas, cioè delle notizie
biografiche che accompagnavano spesso le raccolte poetiche dei
trovatori.
Su questa base, alla luce delle notizie che il barattiere fornisce
su di sé e dello stile complessivo del canto, M. Picone propone di
identificare questo anonimo personaggio con il giullare più
famoso della tradizione oitanica, conosciuto come Rutebeuf
(1230-1285 circa). Rutebeuf era nato nella Champagne, che
faceva parte all’epoca del regno di Navarra; scrisse tra l’altro un
testo in lode di Tebaldo (conte di Champagne e poi re di Navarra)
e un compianto per la sua morte, dove il sovrano è definito bon.
Il progetto della Commedia in una sintesi ‘paradisiaca’
(PAR. XXV, incipit)
Se mai continga che ‘l poema sacro
al quale ha posto mano e cielo e terra,
sì che m’ha fatto per molti anni macro,
vinca la crudeltà che fuor mi serra
del bello ovile ov’io dormi’ agnello,
nimico ai lupi che li danno guerra;
con altra voce omai, con altro vello
ritornerò poeta, e in sul fonte
del mio battesmo prenderò’l cappello;
però che ne la fede, che fa conte
l'anime a Dio, quivi intra’ io, e poi
Pietro per lei sì mi girò la fronte.
Dal commento di E. Trucchi, 1936
Riprendendo il filo del racconto, con un solo verso che ha il
tono della rassegnazione, noi andavam con li diece
demoni, Dante rinfresca la scena; con un solo
aggettivo, ahi fiera compagnia ci riporta ai pensieri della
sua paura, e con un proverbio popolare di riconosciuta
saggezza si difende da una duplice accusa che poteva
essergli mossa: perché fosti tu fra i priori toscani, se tutti
fur lerci di baratteria? perché prendi a prestito dal
linguaggio plebeo parole e frasi come quelle che
ricorrono in questi Canti? perché così porta la necessità di
vivere in consorzio con gli uomini: in chiesa coi santi, ed in
taverna co' ghiottoni.
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proverbi nella commedia: parte prima