Presentazione PRESENTAZIONE La materia del reddito di lavoro autonomo, pur interessando un vasto numero di contribuenti, è stata finora scarsamente “esplorata” sia dai commentatori che dall’Amministrazione finanziaria. Ciò nonostante la limitatezza e la scarsa chiarezza delle disposizioni normative ad essa dedicate, richiedono uno sforzo interpretativo superiore a quello che si rende necessario in relazione alle altre categorie reddituali. Le principali problematiche ancora non compiutamente risolte riguardano, ad esempio: i rapporti con la disciplina del reddito d’impresa; la nozione di compensi; i principi dell’imputazione temporale per cassa e dell’inerenza; la rilevanza delle “sopravvenienze”; la deducibilità di ammortamenti, canoni di leasing e spese di ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione relativi agli immobili; i rimborsi spese; la deducibilità dei contributi obbligatori. Anche ai fini dell’IRAP non mancano questioni aperte, quali quelle concernenti la rilevanza delle plusvalenze e minusvalenze e dei corrispettivi percepiti a seguito della cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale. Risulta, soprattutto problematica l’individuazione dei criteri in base ai quali può ritenersi sussistente il requisito dell’autonoma organizzazione, necessario ai fini dell’assoggettamento al tributo regionale, e delle modalità attraverso le quali è possibile avvalersi dell’esclusione. Ciò malgrado l’incessante susseguirsi delle sentenze della Corte di cassazione al riguardo, che risultano, peraltro, in più di un caso contrastanti tra di loro. Particolarmente delicata e complessa risulta, infine, la scelta della linea di difesa rispetto alle eventuali contestazioni dell’Amministrazione finanziaria. Ciò in quanto non mancano i dubbi interpretativi anche in riferimento alle principali metodologie di accertamento utilizzate nei riguardi degli esercenti arti e professioni, quali quelle basate sugli studi di settore, sui controlli bancari e sull’accertamento “sintetico” (da ultimo interessato da una importante rivisitazione normativa). La giurisprudenza della Cassazione non appare, peraltro, univoca in merito alla disciplina dell’onere della prova, spettante, a seconda dei casi, all’Amministrazione finanziaria o al contribuente. Con il presente manuale si è voluta affrontare tutta la complessa disciplina dei redditi di lavoro autonomo ed assimilati, estendendo l’esame anche alla determinazione della base imponibile IRAP. Sono state, inoltre, trattate le problematiche relative agli obblighi dichiarativi e contabili, alla disciplina delle ritenute e alle metodologie di accertamento riguardanti i soggetti in esame. Il testo affronta la materia con un approccio che mira ad integrare approfondimento e operatività, facilità di consultazione e completezza e la sua lettura consentirà agli operatori di risolvere i numerosi problemi che insorgono nella pratica quotidiana, in sede di compilazione delle dichiarazioni e in occasione dell’attività di controllo e di accertamento. 1 Autore AUTORE Gianfranco Ferranti Dirigente di prima fascia del Ministero dell’Economia e delle Finanze, è Capo del Dipartimento delle scienze tributarie della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze. E’ coordinatore scientifico della rivista Corriere Tributario. Avvocato, ha pubblicato numerosi libri di approfondimento in materia tributaria e articoli per le riviste di settore. Collabora con la stampa specializzata. Svolge l’attività di relatore in numerosi corsi e convegni organizzati da associazioni professionali e di categoria. 2 Sommario SOMMARIO 1. 2. 3. 4. Capitolo primo LA DISCIPLINA IRPEF DEI REDDITI DI LAVORO AUTONOMO ED ASSIMILATI Premessa 1.1. I rapporti con il reddito d’impresa Nozione e caratteristiche del reddito di lavoro autonomo 2.1. Il contratto d’opera 2.2. La distinzione dal lavoro dipendente 2.3. La professionalità e l’abitualità 2.4. La distinzione dalle attività esercitate in forma d’impresa 2.5. Le associazioni tra artisti e professionisti Imputazione agli associati dei redditi dell’associazione professionale 2.6. Le società professionali Società tra avvocati Società di ingegneria 2.7. Le “reti professionali” 2.8. I lavoratori autonomi non residenti I criteri di determinazione ordinaria del reddito di lavoro autonomo 3.1. Il principio di inerenza “qualitativa” 3.2. La congruità dei compensi e delle spese L’onere della prova 3.3. Il principio di cassa 3.4. La disciplina delle perdite I componenti positivi 4.1. I compensi I contributi previdenziali Gli onorari liquidati alla parte vittoriosa in giudizio I compensi riscossi dalle strutture sanitarie private I contributi relativi al “prestito d’onore” I contributi corrisposti a titolo di tariffa incentivante per l’energia fotovoltaica I compensi convenzionali dei volontari e cooperanti I compensi non annotati in contabilità 4.2. Le plusvalenze relative ai beni mobili strumentali 4.3. Le plusvalenze relative agli immobili strumentali Gli immobili acquistati a partire dal 1° gennaio 2010 La nozione di immobile strumentale 3 IRPEF e IRAP nel lavoro autonomo Gli immobili delle associazioni professionali 4.4. I corrispettivi per la cessione della clientela o di altri “elementi immateriali” La cessione dello studio professionale Il “conferimento” della clientela Il recesso dell’associato La cessazione dell’attività La cessione del diritto di sfruttamento dell’immagine La cessione dei contratti di leasing 4.5. I redditi “attratti” in quelli di lavoro autonomo I compensi per l’attività di amministratore I compensi per l’attività di sindaco o revisore I diritti di autore percepiti dagli artisti Il riaddebito delle spese di studio ad altri professionisti 4.6. Le “sopravvenienze attive” 4.7. I proventi e le indennità conseguiti in sostituzione del reddito 4.8. Gli interessi La cessione dello studio professionale Gli adempimenti dichiarativi 4.9. I compensi percepiti dagli eredi 4.10. I compensi per la partecipazione a convegni 4.11. I rimborsi spese Le spese anticipate in nome e per conto del cliente 5. I componenti negativi 5.1. Il regime di deducibilità delle spese. La documentazione. 5.2. L’ammortamento dei beni mobili strumentali Il costo ammortizzabile L’inizio dell’ammortamento I beni di valore non superiore a euro 516,46 L’eliminazione dei beni Le banche dati su CD-Rom Le enciclopedie e i dizionari enciclopedicici I beni mobili ad uso promiscuo Gli impianti fotovoltaici 5.3. I canoni di leasing relativi a beni mobili strumentali Lo scioglimento o la risoluzione del contratto di leasing 5.4. L’ammortamento dei beni immobili Il costo di acquisto o di costruzione Il diritto di usufrutto Gli immobili delle associazioni professionali 5.5. I canoni di leasing immobiliare 4 Sommario Gli immobili delle associazioni professionali L’indeducibilità della quota capitale relativa al terreno Le operazioni di lease-back Lo scioglimento o la risoluzione del contratto di leasing 5.6. Le spese di ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione Il regime in vigore fino al 2006 Il regime applicabile a partire dal 2007 Le spese di natura incrementativa Le spese sostenute a partire dal 2007 su immobili acquistati precedentemente Le spese relative ad immobili acquisiti a titolo gratuito o locati Le spese relative ad immobili acquistati a partire dal 2010 5.7. La deduzione degli interessi passivi 5.8. Le spese relative agli immobili ad uso promiscuo 5.9. Le spese relative ai mezzi di trasporto La deducibilità dei canoni di noleggio full service I mezzi di trasporto a motore Le plusvalenze e le minusvalenze dei mezzi di trasporto Le spese e gli altri componenti negativi Le spese di manutenzione I mezzi di trasporto concessi in uso promiscuo ai dipendenti I mezzi di trasporto concessi in uso promiscuo ai collaboratori Gli interessi passivi 5.10 Le spese per gli impianti di telefonia 5.11. I costi per l’acquisto dei beni immateriali Il software 5.12. Le spese per prestazioni di lavoro I compensi corrisposti a familiari 5.13. Le spese di partecipazione a convegni e simili 5.14. Le spese di rappresentanza 5.15. Le spese di vitto e alloggio Rapporti con la disciplina delle spese di rappresentanza Rapporti con la disciplina delle spese di formazione e aggiornamento professionale Le spese a cui non si applica il limite del 75 per cento La deducibilità dell’IVA sulle spese di vitto e alloggio non detratta 5.16. Le spese rimborsate dal committente Le spese sostenute dal committente per conto del professionista 5.17. Le minusvalenze 5 IRPEF e IRAP nel lavoro autonomo 6. 7. 8. 9. 6 5.18. La ripartizione delle spese comuni 5.19. I contributi previdenziali 5.20. La deduzione del 10 per cento dell’IRAP La questione di legittimità costituzionale La deduzione forfetaria La deduzione “per cassa” 5.21. Le altre spese La disciplina delle ritenute sui compensi 6.1. Gli esercenti arti e professioni residenti 6.2. Le associazioni tra artisti e professionisti residenti I chiarimenti della circolare 56/E Ambito soggettivo di applicazione L’assenso preventivo Le modalità di effettuazione della scelta La “tempistica” della scelta Gli adempimenti dichiarativi La irrilevanza fiscale del “recupero” del credito 6.3. Gli esercenti arti e professioni non residenti I redditi assimilati a quelli di lavoro autonomo 7.1. L’utilizzazione economica di opere dell’ingegno 7.2. I contratti di associazione in partecipazione 7.3. Gli utili attribuiti ai soci promotori e fondatori 7.4. Le indennità per la cessazione di rapporti di agenzia 7.5. Le attività di levata dei protesti 7.6. Le attività degli sportivi professionisti Il regime dei minimi 8.1. Le condizioni di accesso al regime 8.2. I soggetti esclusi 8.3. I casi di disapplicazione del regime 8.4. Le semplificazioni 8.5. Gli adempimenti IVA 8.6. La determinazione del reddito 8.7. La disciplina delle perdite Il regime per le nuove iniziative 9.1. Le condizioni di accesso al regime 9.2. L’esercizio dell’opzione. Decadenza e revoca 9.3. Il credito d’imposta 9.4. Le semplificazioni contabili 9.5. Il regime dell’imposta sostitutiva 9.6. L’assistenza fiscale Sommario Capitolo secondo LA DISCIPLINA IRAP PER GLI ESERCENTI ARTE E PROFESSIONE 1. Ambito soggettivo 2. L’esclusione da IRAP in assenza di autonoma organizzazione 2.1. L’evoluzione giurisprudenziale 2.2. La circolare n. 45/E del 2008 2.3. Le attività professionali esercitate in forma associata 2.4. Le attività considerate d’impresa ai fini IRPEF 2.5. La nozione di autonoma organizzazione 2.6. La responsabilità dell’organizzazione I professionisti che si avvalgono di società di servizi I professionisti che esercitano le attività di amministratore e di sindaco di società 2.7. Il surplus di attività “impersonale” 2.8. L’utilizzo di beni strumentali 2.9. L’impiego di personale 2.10. L’esclusione per i “contribuenti minimi” 2.11. Le modalità di individuazione degli elementi rilevanti 2.12. Le modalità per avvalersi dell’esclusione La omissione della presentazione della dichiarazione IRAP Gli altri comportamenti in sede di dichiarazione Presentazione della dichiarazione IRAP, versamento e presentazione della richiesta di rimborso Presentazione della dichiarazione IRAP e omissione del versamento Presentazione della dichiarazione senza indicare i compensi o evidenziando deduzioni non spettanti L’inammissibilità del ricorso “collettivo” e “cumulativo” 3. I criteri di determinazione della base imponibile 4. I componenti positivi 4.1. I compensi 4.2. Le plusvalenze 4.3. I corrispettivi percepiti a seguito della cessione della clientela o di elementi immateriali 4.4. I proventi e le indennità conseguiti in sostituzione del reddito 4.5. Gli interessi 4.6. I compensi percepiti dagli eredi 4.7. Regime dei minimi. Componenti positivi relativi a esercizi precedenti 7 IRPEF e IRAP nel lavoro autonomo 5. I componenti negativi 5.1. Lo scorporo del valore del terreno 5.2. La quota interessi dei canoni di leasing 5.3. L’indeducibilità dell’ICI 5.4. I contributi previdenziali 5.5. Regime dei minimi. Componenti negativi relativi a esercizi precedenti 6. Le deduzioni dalla base imponibile 6.1. Premessa 6.2. Le deduzioni per lavoro dipendente I contributi per le assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro Il “cuneo fiscale” Le caratteristiche generali La deduzione “base” e quella “maggiorata” La deduzione “maggiorata” e il regime de minimis La deduzione per i contributi previdenziali e assistenziali Le deduzioni per apprendisti, disabili, contratti di formazione e lavoro e personale addetto alla ricerca e allo sviluppo Gli apprendisti I disabili I contratti di formazione e lavoro Il personale addetto alla ricerca e allo sviluppo La deduzione per il rientro dei “cervelli” La deduzione di 1.850 euro I limiti nella fruizione delle deduzioni per lavoro dipendente 6.3. Le deduzioni forfetarie dalla base imponibile 6.4. Le spese non ammesse in deduzione Compensi per attività commerciali e per prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente, nonché compensi attribuiti per obblighi di fare, non fare o permettere Costi per prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa I compensi per prestazioni di lavoro assimilato a quello dipendente Utili spettanti agli associati in partecipazione 7. La determinazione dell’imposta 7.1. La ripartizione territoriale 8 Sommario Capitolo terzo GLI OBBLIGHI CONTABILI, DICHIARATIVI E DI VERSAMENTO 1. Gli obblighi contabili 1.1. La contabilità “semplificata” Il registro degli incassi e dei pagamenti I registri obbligatori ai fini dell’IVA I dati relativi ai beni ammortizzabili Spese per prestazioni di lavoro dipendente Il registro delle somme in deposito 1.2. La contabilità “ordinaria” 1.3. Regimi contabili particolari Nuove iniziative Contribuenti minimi 2. Gli obblighi dichiarativi 2.1. La dichiarazione dei redditi 2.2. La dichiarazione IRAP 3. I versamenti Capitolo quarto LE METODOLOGIE DI ACCERTAMENTO 1. 2. 3. 4. 5. Premessa Il metodo analitico Il metodo induttivo Il metodo analitico-induttivo I parametri e gli studi di settore 5.1. La valenza probatoria 5.2. La prova contraria 5.3. L’ulteriore azione accertatrice e gli effetti penali 6. Le indagini finanziarie 6.1. Premessa 6.2. L’Archivio dei rapporti 6.3. Gli intermediari obbligati alla comunicazione 6.4. I rapporti continuativi 6.5. Le operazioni extra-conto 6.6. Le autorizzazioni per accedere all’Archivio 6.7. La presunzione legale relativa 6.8. La facoltatività del contraddittorio 6.9. La prova contraria 9 IRPEF e IRAP nel lavoro autonomo 6.10. Le operazioni riconducibili alla sfera personale e familiare 6.11. La deduzione dei costi 6.11. I conti dei terzi 7. L’accertamento sintetico 7.1. La disciplina applicabile fino al 2008 7.2. La disciplina applicabile a partire dal 2009 7.3. I rapporti tra accertamento sintetico e studi di settore 10 Capitolo I – La disciplina IRPEF dei redditi di lavoro autonomo ed assimilati CAPITOLO PRIMO LA DISCIPLINA IRPEF DEI REDDITI DI LAVORO AUTONOMO ED ASSIMILATI ................. 3. I criteri di determinazione ordinaria del reddito di lavoro autonomo Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito, ai sensi dell’art. 54 del TUIR, dalla differenza tra l’ammontare: • dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili; • e quello delle spese sostenute nel periodo stesso, con talune eccezioni e limitazioni previste nello stesso articolo. Se sono realizzate delle perdite, le stesse, a partire dal 2008, sono compensabili con i redditi di altra natura eventualmente posseduti nello stesso periodo d’imposta, ma non sono più riportabili a nuovo nei cinque esercizi successivi. 3.1. Il principio di inerenza “qualitativa” I compensi e le spese sostenute devono risultare, ai fini della loro deducibilità, inerenti all’esercizio dell’arte o professione. In dottrina è stato correttamente ritenuto1 che il principio dell’inerenza non avrebbe una espressa disciplina nel TUIR ma discenderebbe direttamente dal principio costituzionale di capacità contributiva. L’inerenza è, quindi, un “concetto pregiuridico, implicito nella stessa nozione di reddito, che per dirsi tale deve essere calcolato al netto dei costi necessari o utili alla sua produzione”2. 1 Cfr., al riguardo: R. Lupi, “Redditi illeciti, costi illeciti, inerenza ai ricavi e inerenza all’attività”, in Rassegna Tributaria n. 6/2004, pag. 1935; G. Zizzo, “Il reddito d’impresa”, in G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, parte speciale, Padova, pag. 243; M. Beghin, “Prestiti gratuiti ai soci e disciplina fiscale degli oneri finanziari sopportati dalla società: considerazioni sul concetto di inerenza e sulla regola di deducibilità (pro-rata) degli interessi passivi”, in Riv. Dir. Trib., 1998, II, pag. 153; A. Panizzolo, “Inerenza ed atti erogativi nel sistema delle regole di determinazione del reddito d’impresa”, in Riv. Dir. Trib., 1999, I, pag. 676; C. Attardi, “Reddito d’impresa. Interessi passivi ed inerenza. Note a margine del disegno di legge Finanziaria 2008”, in Il Fisco n. 40/2007, pag. 5828. 2 Così D. Stevanato, “Finanziamenti all’impresa e impieghi “non inerenti”: spunti su interessi passivi e giudizio di inerenza”, in Dialoghi tributari n. 6/2008, pag. 19. 11 IRPEF e IRAP nel lavoro autonomo Secondo l’Amministrazione finanziaria3 il concetto di inerenza non è legato ai componenti positivi ma all’attività esercitata, nel senso che si rendono deducibili anche i costi che si riferiscono ad attività ed operazioni che concorrono a formare il reddito. Sono, pertanto, deducibili, come affermato nella risoluzione n. 2/1053 del 12 novembre 1974, anche i costi sostenuti in proiezione futura e, comunque, legati ad attività dalle quali possono derivare compensi in tempi successivi. Tale orientamento è stato ribadito, con riguardo al reddito d’impresa, nelle risoluzioni n. 158/E del 28 ottobre 1998 e n. 196/E del 16 maggio 2008. Con specifico riguardo ai criteri di determinazione del reddito di lavoro autonomo, l’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione n. 30/E del 16 febbraio 2006, ha, ad esempio, ritenuto “senz’altro inerente all’esercizio dell’attività professionale” il costo sostenuto per fruire “del buon nome dello studio titolare del marchio e, quindi, in sostanza per incrementare la propria clientela”. Ciò in quanto, come sottolineato dall’Agenzia, le spese devono essere “correlate all’attività nel suo complesso, a prescindere dall’economicità della singola operazione e non deve quindi rinvenirsi, per la loro deducibilità, un rigoroso nesso con i singoli compensi”. È stata, pertanto, confermata l’applicabilità dei menzionati principi già affermati con riguardo alla disciplina del reddito d’impresa. La Corte di cassazione ha affermato, nella sentenza del 22 giugno 2010, n. 14960, che la prova dell’inerenza e della congruità delle spese sostenute da un professionista può derivare anche da un giudicato penale, perché il divieto di testimonianza previsto nell’ambito del contenzioso tributario non è di ostacolo alla facoltà delle parti di introdurre dichiarazioni di terzi né alla valutazione di elementi testimoniali derivanti da un giudicato penale, sia esso di assoluzione o di condanna. Il caso oggetto della sentenza riguardava i rapporti intercorrenti fra uno studio associato e una Fondazione, regolati da un contratto d’uso di apparecchiature, con il quale quest’ultima aveva ceduto in uso a titolo oneroso allo studio alcune apparecchiature scientifiche. L’Amministrazione finanziaria aveva sostenuto che in tal modo sarebbe stato consentito allo studio associato: a) l’omessa contabilizzazione e dichiarazione di maggiori ricavi pari ad interessi maturati su finanziamenti concessi dallo stesso alla Fondazione; b) l’indebita deduzione di costi, pari alla differenza fra i canoni di noleggio dei macchinari e i canoni di leasing pagati dalla fondazione a terzi per l’utilizzazione dei macchinari concessi in uso. Tale differenza era stata qualificata come un finanziamento a favore della Fondazione, non deducibile in quanto non inerente all’attività professionale asso3 12 Circolare n. 30/E del 7 luglio 1983. Capitolo I – La disciplina IRPEF dei redditi di lavoro autonomo ed assimilati ciata. La Cassazione ha, al riguardo, affermato che la Commissione tributaria regionale del Lazio ha riscontrato, sulla base delle risultanze del processo penale, “l’esistenza di reali rapporti economici fra la Fondazione e lo studio consistenti nell’offerta di beni e servizi da parte della prima in cambio del pagamento di un corrispettivo mensile. Tale rapporto - che ovviamente va inquadrato nel quadro della riferibilità dell’attività dello studio e della fondazione all’attività medica e scientifica… - non appare illogico se rapportato all’esigenze di disporre di locali, attrezzature e cognizioni scientifiche, da parte dello studio, e di disponibilità finanziaria, da parte della Fondazione, disponibilità da destinare all’acquisto e alla detenzione di tali beni e allo svolgimento dell’attività scientifica…qualificato di livello internazionale. Il costo portato in detrazione dall’associazione professionale è stato ritenuto inerente dalla C.T.R. sulla base di considerazioni logiche e conseguenti mentre quanto alla congruità dei costi la C.T.R. ha affermato che il costo dei beni e servizi appare commisurato al loro valore e all’alto grado di specializzazione professionale dei dati scientifici raccolti ed elaborati dalla banca dati della Fondazione. A fronte di tale valutazione, che non appare nè meramente apparente, nè illogica, le amministrazioni ricorrenti non hanno dedotto alcuno specifico motivo di contestazione indicando elementi probatori non valutati o tacitamente contraddetti dalla C.T.R”. 3.2. La congruità dei compensi e delle spese Sta, inoltre, assumendo un ruolo sempre più rilevante, nell’ambito dell’attività di accertamento, il ricorso all’applicazione del principio della cosiddetta inerenza “quantitativa”, fondato sull’orientamento della Corte di cassazione secondo il quale l’Amministrazione finanziaria può sindacare la antieconomicità dei comportamenti tenuti dai contribuenti, valutando la congruità dei componenti positivi e negativi rispetto ai prezzi di mercato, anche in assenza di irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o di vizi degli atti posti in essere. Tale sindacato può riguardare, ad esempio, con riguardo alla disciplina del reddito d’impresa, la rilevanza del maggior valore definito ai fini dell’imposta di registro in caso di cessione d’azienda ovvero la deducibilità dei costi sostenuti per fruire di servizi forniti da altre società del gruppo, delle perdite relative a crediti ceduti pro-soluto, dei compensi attribuiti dalla società agli amministratori, delle spese di pubblicità, ecc. L’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Accertamento, con la nota dell’8 aprile 2008, n. 2008/55440, operando ampi richiami agli orientamenti della Corte di cassazione, ha affermato che gli uffici hanno il potere di disconoscere, in tutto o in parte, la deducibilità di un costo, nel rispetto del generale criterio di economicità che dovrebbe ispirare e caratterizzare tutti gli atti dell’impresa. 13 IRPEF e IRAP nel lavoro autonomo Anche la circolare n. 1 del 2008 della Guardia di Finanza ha preso in esame tale questione, menzionando alcune sentenze della Corte di cassazione che legittimano l’attribuzione della rilevanza indiziaria al “comportamento antieconomico dell’imprenditore, da questo in alcun modo non spiegato o non giustificato, nella maggior parte dei casi, peraltro, in presenza di altri elementi presuntivi a sostegno della pretesa tributaria”. Sono, inoltre, citate le prese di posizione dell’Amministrazione finanziaria nelle quali si è subordinata la deducibilità di taluni costi (spese sostenute all’estero dagli autotrasportatori e costi promozionali e di formazione professionale) alla loro congruità rispetto ai ricavi. È stato rilevato4 che “la fonte di innesco del filone sull’antieconomicità fu una sentenza5, correttissima nel merito, che riguardava un esilarante episodio di vendite in nero di scarpe, e di bolle di accompagnamento sapientemente alterate successivamente al trasporto”6, nella quale era stato osservato che i trasporti sembravano anomali, in quanto effettuati per poche quantità di beni e che l’antieconomicità di questi trasporti per “3 scatole” diventava un’ulteriore conferma dell’alterazione a posteriori delle bolle; nessun dubbio sulla legittimità e l’insindacabilità della scelta imprenditoriale di effettuare trasporti per poche scatole di scarpe, ma dubbio legittimo sulla veridicità di tale improbabile evento, in un contesto dove tra l’altro era nota l’alterazione delle bolle; l’enunciazione di eventi poco credibili diventava insomma un elemento non tanto per ritenerli inopponibili al Fisco, quanto per dubitare della loro stessa veridicità. Successivamente, però, il filone giurisprudenziale “è diventato valan7 ga” , giungendo ad affermare8 la non inerenza degli atti manifestamente “an4 Da R. Lupi, “L’oggetto economico delle imposte nella giurisprudenza sull’antieconomicità”, in Corr. Trib. n. 4/2009, pag. 258. 5 Cass., 9 febbraio 2001, n. 1821, in GT - Riv. giur. trib. n. 8/2001, pag. 1031, con commento di A. Panizzolo, «Il principio di insindacabilità delle scelte imprenditoriali in diritto tributario: conferme e limiti», e cfr. M. Pisani, in Corr.Trib. n. 14/2001, pag. 1060. 6 Come ricordato dallo stesso Lupi, l’alterazione avveniva correggendo la quantità, e trasformando materialmente l’ultimo numero della quantità trasportata nella lettera iniziale di una parola; la “quantità 91”, diventava “quantità 9 Paia”, trasformando l’1 nella gambetta della lettera P, ovvero la quantità 35 diventava “3 scatole”, trasformando il 5 nella lettera “s”, iniziale di “scatole”. 7 Ciò, secondo R. Lupi, op. loc. ult. cit., “proprio per gli equivoci nella lettura della sentenza, le sue mancate contestualizzazioni, la confusione tra profili di fatto (falsità materiale di una affermazione del contribuente) e di diritto”. 8 Si vedano, ad esempio, le seguenti sentenze della Corte di cassazione: n. 12813 del 27 settembre 2000; n. 11645 del 17 settembre 2001; n. 1821 del 9 febbraio 2001; n. 13478 del 30 ottobre 2001; n. 6337 del 3 maggio 2002; n. 7487 del 22 maggio 2002; n. 10802 del 24 luglio 2002; n. 11240 del 30 luglio 2002; n. 793 del 20 gennaio 2004. 14 Capitolo I – La disciplina IRPEF dei redditi di lavoro autonomo ed assimilati tieconomici” che determinino costi del tutto sproporzionati rispetto ai ricavi dell’impresa e, quindi, non afferenti all’esercizio “economico” della medesima. È stato, quindi, introdotto un concetto di inerenza “quantitativa”, che si aggiunge a quella “qualitativa”. La dottrina si è, da parte sua, espressa in prevalenza in modo critico nei confronti del richiamato orientamento giurisprudenziale9. È stato, in particolare, osservato che l’impostazione interpretativa della Corte di cassazione non appare emergere dal disposto normativo, che prevede l’applicazione del criterio del valore normale, ai fini delle imposte sui redditi, soltanto in presenza di particolari situazioni, quali l’assenza del corrispettivo (come nei casi di assegnazione dei beni ai soci e di destinazione degli stessi a finalità estranee all’esercizio dell’impresa) o la necessità di contrastare fenomeni “patologici” (si veda, con riguardo al reddito d’impresa, la disciplina relativa alla cessione del contratto di leasing e quella sul transfer pricing, riferita a situazioni in cui i prezzi divergono realmente dal valore normale in conseguenza della politica di gruppo e che si applica solo ai rapporti transfrontalieri). D’altra parte, nell’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 1973 era stato previsto, come già ricordato in precedenza, che l’accertamento analitico-induttivo dovesse basarsi su presunzioni gravi, precise e concordanti e che la prova “s’intende integrata anche se l’infedeltà dei relativi ricavi viene desunta sulla base del valore normale” soltanto con riferimento alle “cessioni aventi ad oggetto beni immobili ovvero la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento sui medesimi beni”. 9 Hanno affrontato, tra gli altri, la problematica in esame: A. De Mita, “Ma solo la legge può fissare un tetto alle spese”, in Il Sole 24 Ore del 13 novembre 2001, pag. 28; F. M. Giuliani, “Sulla deducibilità fiscale dei compensi agli amministratori (soci) di società di capitali”, in Dir. Prat. Trib, 2002, II, pag. 21; G. Marongiu, “Il sindacato sulla congruità dei compensi agli amministratori”, in Corr. Trib. n. 39/2002, pag. 3560; A. Fantozzi, “Sindacabilità delle scelte imprenditoriali e funzione nomofilattica della Cassazione”, in Riv. Dir. Trib. 2003, II, pag. 552; D. Stevanato, “L’antieconomicità dell’azione imprenditoriale nella giurisprudenza della cassazione, tra presunzioni di evasione ed interpretazioni in chiave antielusiva”, in Dialoghi di dir. Trib., 2003, pag. 370; Gulino, R. Lupi e D. Stevanato, “Il sindacato del Fisco sui compensi agli associati in partecipazione (nota a Cass., Sez. trib., sent. N. 20748/2006), in Dialoghi di dir. Trib., 2007, pag. 659; C. Pino, “È «comportamento antieconomico» l’attività di amministratore svolta senza percepire compensi?”, in Corr. Trib. n. 12/2008, pag. 958; R. Lupi, “L’oggetto economico delle imposte nella giurisprudenza sull’antieconomicità”, op. cit., M. Beghin, “Atti di gestione anomali o antieconomici e prova dell’afferenza del costo all’impresa”, in Riv. Dir. Trib., 1996, I, pag. 413, “Il differenziale prezzovalore nella cessione d’azienda: i cortocircuiti argomentativi della Suprema Corte”, in Rassegna Tributaria n. 4/2008, pag. 1087, id. “La differenza prezzo-valore rileva solo in una “vera” valutazione d’insieme”, in Corr. Trib. n. 36/2008, pag. 2934, id. “Agevolazioni tributarie, componenti reddituali fuori mercato ed evasione fiscale”, op. cit., id. “Reddito d’impresa ed economicità delle operazioni”, in Corr. Trib. n. 44/2009, pag. 3626. 15 IRPEF e IRAP nel lavoro autonomo A tale riguardo l’Istituto di ricerca del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha osservato10 che il richiamato orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione suscita non poche perplessità laddove afferma che “gli uffici finanziari non sono ... vincolati ai valori o corrispettivi indicati in delibere sociali o contratti” in quanto sarebbe loro attribuito un generale potere di valutare la “congruità” dei costi e dei ricavi esposti in bilancio, con conseguente possibilità di disconoscere i componenti di reddito sproporzionati rispetto ai valori di mercato. Le perplessità del detto Istituto derivano soprattutto dalla constatazione che nella determinazione del reddito d’impresa l’impiego del criterio del valore normale è previsto soltanto in casi particolari, tipizzati dal legislatore11. L’Istituto rileva, altresì, che nella maggioranza delle occasioni in cui i giudici di legittimità hanno ritenuto sussistente in capo all’Amministrazione finanziaria un tale potere, le operazioni censurate erano, in via di fatto, “manifestamente” antieconomiche, in quanto “la sproporzione e l’irragionevolezza della spesa rispetto all’attività esercitata era rilevabile ictu oculi, in modo talmente evidente che l’antieconomicità diventava un elemento funzionale non tanto per un sindacato delle scelte imprenditoriali da parte dell’Amministrazione finanziaria, quanto per l’accertamento della falsità materiale della versione dei fatti fornita dal contribuente”12. Pure l’Assonime ha espresso le proprie perplessità al riguardo, affermando13 che gli uffici finanziari tendono spesso a sindacare scelte di convenienza su operazioni economiche pertinenti alla gestione aziendale, sostituendosi a una valutazione che invece dovrebbe competere esclusivamente all’imprenditore. In effetti la Cassazione è giunta ad affermare che “in tema di determinazione del reddito d’impresa, per la valutazione a fini fiscali delle varie prestazioni che costituiscono le componenti attive e passive del reddito, va applicato il principio, avente valore generale, stabilito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, che non ha soltanto valore contabile, e che impone quale crite10 Nella circolare n. 9/IR, paragrafo 2.2. Si citano, al riguardo, le operazioni realizzative che si caratterizzano per la mancanza di un corrispettivo (autoconsumo, destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa o assegnazione ai soci di beni) e quelle infragruppo transnazionali (c.d.: transfer pricing internazionale), in cui è la legge a prevedere espressamente la rilevanza fiscale del valore di mercato in sostituzione del corrispettivo effettivamente pattuito tra le parti. 11 12 Nella circolare n. 9/IR, nota 26, viene ritenuta emblematica, a tal fine, la sentenza della Corte di cassazione 9 febbraio 2001, n. 1821. Viene, inoltre, ricordata la sentenza 24 luglio 2002, n. 10802, nella quale la Corte di cassazione fa riferimento all’antieconomicità "manifesta", intesa come evidente sproporzione dei costi all’attività esercitata. 13 16 Nella circolare n. 16/2009, paragrafo 1.1. e nota 10. Capitolo I – La disciplina IRPEF dei redditi di lavoro autonomo ed assimilati rio valutativo il riferimento al normale valore di mercato (art. 9, comma 3, cit.) per i corrispettivi, proventi, spese ed oneri in natura presi in considerazione dal contribuente. Ne consegue che il fisco non può considerare legittimamente appostati costi ingiustificati, nella parte superiore al normale valore di mercato”14. Tale affermazione, rimasta fortunatamente alquanto isolata, è da considerare senz’altro errata, in quanto, come è stato giustamente osservato15, il valore normale non costituisce uno strumento generale di controllo dei corrispettivi, bensì un criterio da utilizzare in presenza di componenti reddituali “in natura”. Si ritiene che, più correttamente, il comportamento antieconomico posto in essere dal contribuente possa dare luogo, unitamente ad altre circostanze od argomentazioni probatorie, alle presunzioni gravi, precise e concordanti che consentono l’effettuazione dell’accertamento con il metodo analitico-induttivo di cui all’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 1973, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare. La stessa Corte di cassazione ha in più occasioni affermato16 che il valore di un bene può rappresentare “un elemento da tenere in conto come indizio, in senso lato, della infedeltà del prezzo, inferiore, dichiarato dal contribuente ai fini della determinazione delle imposte sui redditi”17. Tale impostazione interpretativa è stata ora confermata dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 18/E del 2010, nella quale è stato affermato che l’infedeltà del corrispettivo dichiarato deve essere sostenuta, “oltre che dal mero riferimento allo scostamento dello stesso rispetto al prezzo mediamente praticato per immobili della stessa specie o similari, anche da ulteriori elementi presuntivi idonei ad integrare la prova della pretesa (quali, a titolo meramente esemplificativo, il valore del mutuo qualora di importo superiore a quello della compravendita, i prezzi che emergono dagli accertamenti effettuati con la ricostruzione dei ricavi sulla base delle risultanze delle indagini finanziarie, i prezzi che emergono da precedenti atti di compravendita del medesimo immobile). Nel riesaminare le controversie pendenti, quindi, gli uffici dovranno valorizzare la presenza di tali ulteriori elementi presuntivi, i quali, tra loro as14 Così la citata sentenza del 15 settembre 2008, n. 23635, che richiama la precedente sentenza del 24 luglio 2002, n. 10802. 15 Da M. Beghin, “Agevolazioni tributarie, componenti reddituali fuori mercato ed evasione fiscale”, op. cit. 16 Cfr. Cass., , 6 novembre 2000, n. 14448; Id., 20 novembre 2001, n. 14581; Id., 28 ottobre 2005, n. 21055; Id., 30 gennaio 2006, n. 2005; Id., 1° giugno 2007, n. 12899; Id. 18 luglio 2008, n. 19830; Id. 22 dicembre 2009, n. 27019. 17 Così A. Marcheselli, “Valore di registro dell’azienda, prova della plusvalenza e difesa del contribuente”, in Corr. Trib. n. 9/2010, pag. 681. 17 IRPEF e IRAP nel lavoro autonomo sociati, siano idonei a sostenere la pretesa tributaria in fase contenziosa, tenuto conto, altresì, delle ragioni rappresentate dal contribuente”. Appare, inoltre, significativo il richiamo alla necessità di tenere conto delle risultanze del contraddittorio con il contribuente, affermata anche dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite con le sentenze nn. 26635, 26636, 26637 e 26638 depositate il 18 dicembre 2009, riguardanti la valenza probatoria degli studi di settore. È stato, al riguardo, osservato18 che “la formulazione prescelta dalla Corte parrebbe di portata generalissima, tale da farne ritenere imprescindibile l’attuazione non solo nel caso di accertamenti standardizzati, ma in generale” e che il superamento delle obiezioni del contribuente potrebbe non essere effettuato dall’Ufficio in modo analitico ma risultare dal complesso del ragionamento. Tale principio è stato ribadito dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 19/E del 14 aprile 2010, nella quale è stato affermato che “la mancata attivazione del contraddittorio comporta l’assenza di un elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa”. Risulta, quindi, fondamentale per il contribuente la partecipazione al contraddittorio per esporre le proprie ragioni e per l’Ufficio motivare perché ha ritenuto non convincenti le argomentazioni sottopostegli. È stato affermato19 che numerose sentenze sul tema dell’antieconomicità “se lette attentamente si fondano sull’utilizzo del valore di mercato quale sintomo di una non veridicità dei corrispettivi dichiarati, oppure riguardano vere e proprie patologie, in cui costi abnormi o ricavi irrisori vengono pattuiti tra parti correlate, al fine di innescare arbitraggi su diversi regimi di determinazione dell’imponibile o dell’aliquota, sul riporto delle perdite, su un diverso criterio di imputazione temporale, ecc., contrastabili applicando, se del caso, il requisito di inerenza dei costi (in chiave quantitativa) o la clausola sulla destinazione dei beni a finalità estranee all’impresa. Si tratta, appunto, di casi residuali, relativi a vere e proprie patologie, e non certo di episodi che possano confermare una generalizzata sostituzione dei corrispettivi intragruppo con «più graditi» (all’amministrazione) presunti valori di mercato”. È stato, inoltre, affermato, a favore del ricorso alla nozione di inerenza “quantitativa” in presenza di costi “abnormi”, che “è di norma anomalo, e quindi, sospetto, che un soggetto venda un bene per un prezzo situato al di 18 Da A. Marcheselli, op. loc. ult. cit. Da D. Stevanato, “Una conferma delle insufficienti riflessioni sulla derivazione contrattuale del concetto di reddito”, in Dialoghi tributari n. 6/2008, pag. 86. 19 18 Capitolo I – La disciplina IRPEF dei redditi di lavoro autonomo ed assimilati sotto del suo valore”20 e che “non sembra esservi molta differenza tra un costo non inerente per le caratteristiche tecnico-fisiche del bene, in relazione ai suoi possibili utilizzi nel contesto aziendale in cui lo stesso viene inserito ... rispetto ad una spesa “eccentrica” – nel suo ammontare – rispetto alle dimensioni e all’attività d’impresa concretamente esercitata (la rubinetteria d’oro per la parrucchiera o il quadro d’autore che arreda la hall di un piccolo affittacamere). In queste ultime ipotesi, anche se il costo si riferisce a beni o servizi astrattamente inerenti all’attività (la rubinetteria è un’attrezzatura per il parrucchiere e il quadro può rientrare negli “arredi” di una pensione) l’abnorme entità della spesa rispetto alle oggettive esigenze imprenditoriali può indicare che la stessa persegue (anche) un fine estraneo all’impresa”21. Si ritiene, però, che il comportamento antieconomico posto in essere dal contribuente possa dare luogo alle presunzioni gravi, precise e concordanti che consentono l’effettuazione dell’accertamento con il metodo analitico-induttivo di cui all’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 1973, soltanto qualora ricorrano altre circostanze od argomentazioni probatorie, che consentano di ritenere che il corrispettivo della transazione sia stato diverso da quello contabilizzato e dichiarato. Appare, altresì, necessario che l’antieconomicità dell’operazione sia valutata tenendo conto della complessiva situazione contrattuale e aziendale, che il sindacato dell’inerenza “quantitativa” venga esercitato soltanto in presenza di situazioni di arbitraggio fiscale e che si evitino duplicazioni impositive. Si tratta di aspetti finora trascurati dalla giurisprudenza di legittimità, probabilmente perché le contestazioni dei contribuenti hanno riguardato soprattutto la legittimità del principio della contestabilità della congruità dei costi e non i presupposti ed i criteri in base ai quali il detto sindacato può essere correttamente effettuato. Si ritiene che su tali questioni, e sulle modalità di determinazione del valore di mercato, si svilupperà il futuro contenzioso in merito. Anche nel campo del reddito di lavoro autonomo la Corte di cassazione sta affermando la possibilità per gli uffici di sindacare la antieconomicità dei comportamenti tenuti dai contribuenti, sulla base di una nozione “quantitativa” dell’inerenza. Ad esempio, nella sentenza del 15 settembre 2008, n. 23635, è stata affermata la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di valutare la congruità dei costi sostenuti dal contribuente (nella fattispecie un notaio) e di 20 Da A. Marcheselli, “Le Sezioni Unite sulla natura presuntiva degli studi di settore”, in Corr. Trib. n. 4/2010, pag. 251. 21 Così D. Stevanato, “L’indeducibilità dei compensi “abnormi” agli amministratori-soci”, in Corr. Trib. n. 7/2002, pag. 598. 19 IRPEF e IRAP nel lavoro autonomo negare la deducibilità delle spese ritenute eccessive e antieconomiche (si trattava delle prestazioni effettuate da due dipendenti di una società di servizi avente sede nello stesso studio e che era partecipata al 90 per cento dallo stesso professionista)22. In quest’ultima sentenza è stato, tra l’altro, affermato che: • “i comportamenti che si pongono in contrasto con le regole del buon senso e dell’id quod plerumque accidit, uniti alla mancanza di una giustificazione razionale (che non sia quella di eludere il precetto tributario), assurgono al ruolo di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, che legittimano il recupero a tassazione dei relativi costi”; • è possibile negare “la deducibilità di un costo ritenuto insussistente o sproporzionato, non essendo l’ufficio vincolato ai valori o ai corrispettivi indicati”; • “il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie”. Non appare, peraltro, semplice valutare la congruità delle prestazioni di servizi, che dipendono in misura rilevante dalle caratteristiche soggettive del prestatore. Un analogo principio appare applicabile anche in relazione alla congruità dei compensi dichiarati dal professionista, alla stregua di quanto affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 1915 del 29 gennaio 2008, nella quale è stato affermato, con riguardo al caso di un contribuente che aveva ricoperto la carica di amministratore di una srl e di due condomini senza percepire apparentemente alcun compenso, che va considerato legittimo l’accertamento dell’ufficio che ha assoggettato a tassazione i compensi presumendone la percezione, in quanto si tratterebbe di un comportamento manifestamente antieconomico. Ciò in base alla considerazione che “a buon diritto l’amministrazione, anche in considerazione del disposto dell’art. 2389 c.c., che prevede come 22 Cfr., per una valutazione critica di tale sentenza, M. Beghin, “Agevolazioni tributarie, componenti reddituali fuori mercato ed evasione fiscale”, in Corr. Trib. n. 3/2009, pag. 203, secondo il quale l’operazione realizzata dal libero professionista “costituisce nulla più che un’accurata (ma innocua) modifica della propria struttura organizzativa, orientata alla lecita riduzione del carico fiscale e, conseguentemente, alla massimizzazione delle risorse monetarie disponibili”. Si ritiene, peraltro, che nel caso che ha formato oggetto della sentenza in esame l’ufficio avrebbe potuto fondatamente contestare la interposizione soggettiva fittizia, in considerazione della stessa sede in cui operavano il professionista e la società, che quest’ultima era partecipata al 90 per cento dal notaio, che fruiva delle agevolazioni fiscali per il Mezzogiorno e che aveva assunto alle proprie dipendenze due ex-collaboratrici dello studio notarile. 20 Capitolo I – La disciplina IRPEF dei redditi di lavoro autonomo ed assimilati oneroso il mandato di amministratore della società, aveva ritenuto sussistenti i presupposti per fare ricorso all’accertamento induttivo, stante la manifesta irragionevolezza e/o comunque la eccezionalità dell’espletamento gratuito di attività complesse, impegnative e di responsabilità e, quindi, la relativa antieconomicità”. Nella motivazione della stessa sentenza la Corte ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale “ai fini della prova per presunzioni semplici non occorre che fra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, in quanto è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità”23 ed ha affermato che appare “assolutamente ragionevole” presumere che l’attività dell’amministratore sia stata retribuita, anche perché “il contribuente non ha offerto prova della gratuità dei mandati né di altri elementi idonei ad escludere la realizzazione, dall’attività svolta, di reddito fiscalmente rilevante”. Si ricorda, peraltro, in relazione al caso sopra rappresentato, che la Corte di cassazione, risolvendo i contrasti giurisprudenziali insorti in precedenza24, ha affermato, a sezioni unite, nella sentenza n. 21933 del 29 agosto 2008 (20 maggio 2008), che è necessaria una specifica delibera dell’assemblea dei soci per riconoscere la spettanza del compenso agli amministratori delle società di capitali e che è nulla l’attribuzione del compenso in assenza di tale delibera. Poiché nella citata sentenza la Cassazione ha asserito che l’attribuzione del compenso va considerata nulla in mancanza di una specifica delibera assembleare che la preveda, non appare possibile attribuire all’amministratore l’onere di provare la gratuità del proprio mandato sulla base di elementi oggettivi diversi dalla semplice evidenziazione dell’assenza della detta specifica delibera. Dovrebbe, quindi, spettare all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare (mediante il controllo della contabilità ed, eventualmente, delle risultanze dei conti bancari) che, nonostante la mancanza di tale delibera, sia stato erogato, di fatto, un compenso all’amministratore. 23 Cosi le sentenze della Corte di cassazione n. 26081 del 2005, n. 23079 del 2005, n. 2700 del 1997 e n. 3302 del 1996. 24 A favore della tesi della validità della ratifica in sede di approvazione del bilancio dell’autonoma attribuzione dei compensi da parte degli amministratori si erano espresse, tra le altre, le sentenze della Corte di cassazione n. 6935 del 1983, n. 2832 del 2001, n. 28243 del 2005 e n. 11490 del 2007. In senso conforme a quanto affermato dalle Sezioni unite della stessa Corte si erano, invece, pronunciate le sentenze n. 2672 del 1968, n. 3774 del 1995, n. 1319 del 1995, n. 10895 del 2004 e n. 21130 del 2007. 21 IRPEF e IRAP nel lavoro autonomo L’onere della prova La Corte di cassazione ha affermato, nelle sentenze nn.da 4554 a 4559 del 25 febbraio 2010, che “l’onere della prova dell’inerenza dei costi grava sul contribuente, pertanto, in presenza di argomentata contestazione, ha ad oggetto anche la congruità di quei costi”. Ciò in quanto “costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui, nell’accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del D.P.R. n. 597 del 1973 e del D.P.R. n. 598 del 1973 che del TUIR del 1986, incombe al contribuente (in proposito, ex multis, Cass. n. 11514 del 2001, n. 11240 del 2002, n. 4345 del 2003)”. Tali affermazioni appaiono estendibili anche alla disciplina del reddito di lavoro autonomo. Anche nelle sentenze n. 7680 e n. 10802 del 2002 e n. 475025 e n. 12247 del 2010, la Corte ha affermato che è onere del contribuente provare la sussistenza del requisito dell’inerenza. Il contribuente può, a tal fine, avvalersi di presunzioni aventi la medesima natura di quelle utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria. Al riguardo è stato affermato26 che “i comportamenti “antieconomici” costituiscono un elemento che, se non inverte in senso tecnico la prova a carico del contribuente, per lo meno gli richiede un onere di argomentazione, da assolvere adducendo spiegazioni credibili delle apparenti discrepanze. Se invece il contribuente si limita ad astratte divagazioni sulla possibilità astratta di spiegazioni alternative, meno plausibili di quella addotta dal Fisco, allora quest’ultima si rafforza”. Riveste, altresì, particolare interesse l’affermazione, contenuta nell’ordinanza della Corte di cassazione del 13 agosto 2010, n. 18705, secondo la quale la prova fornita dal contribuente può essere “desumibile dalle scritture contabili”. Tale principio è stato, peraltro, affermato dalla stessa Corte, con riguardo alle imprese, anche nell’ordinanza n. 7023 del 24 maggio 2010, nella 25 In questa sentenza sono state richiamate, a conferma del principio affermato, le precedenti sentenze n. 15228 del 2001, n. 11109 del 2003 e n. 13205 del 2003. 26 Da R. Lupi, “L’oggetto economico delle imposte nella giurisprudenza sull’antieconomicità”, in Corr. Trib. n. 4/2009, pag. 258. A. Salvati, “Riflessioni in tema di antieconomicità e ragionevolezza dell’accertamento induttivo”, in Rassegna Tributaria n. 3/2009, pag. 811, sostiene, invece, che l’effetto dell’assunzione dell’antieconomicità del comportamento del contribuente alla base della rettifica “si sostanzia in un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente”. 22 Capitolo I – La disciplina IRPEF dei redditi di lavoro autonomo ed assimilati quale è stato ritenuto che “i giudici di appello hanno esaminato la prova (essenzialmente costituita da documentazione contabile) offerta dai contribuenti e l’hanno ritenuta idonea a dimostrare l’inesistenza del valore di avviamento, con valutazione che non è risultata adeguatamente censurata” in sede di impugnativa di fronte alla stessa Corte. Pertanto, il sindacato della congruità dei componenti reddituali può avvenire anche in contrasto con le risultanze delle scritture contabili ed anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle stesse o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo, ma il contribuente può fornire la prova dell’inattendibilità del prezzo della transazione accertato dall’Amministrazione finanziaria anche facendo riferimento alle stesse risultanze contabili. Si ritiene che la contraddizione tra tali affermazioni sia soltanto apparente, non potendo il contribuente validamente contestare l’accertamento limitandosi a documentare gli importi dei componenti positivi e negativi risultanti dalla contabilità. Il riferimento alle risultanze di quest’ultima potrebbe risultare, invece, effettuabile al fine, ad esempio, di dimostrare la presenza, negli esercizi che precedono quello nel corso del quale è avvenuta la cessione della clientela, di perdite o di redditi di importo modesto, tali, cioè, da far ritenere non verosimile il realizzo di un corrispettivo superiore a quello dichiarato27. E’ stato, altresì, evidenziato28 che il contribuente potrebbe, inoltre, esibire la documentazione bancaria relativa la periodo antecedente e successivo al momento in cui è avvenuta l’operazione contestata, al fine di evidenziare l’assenza di movimentazioni finanziarie riconducibili alla presenza di un corrispettivo di ammontare diverso da quello risultante dall’atto posto in essere dalle parti. Ulteriore casistica potrà, naturalmente, emergere, anche in sede contenziosa, se sarà posta adeguata attenzione, oltre che all’esistenza dei presupposti in presenza dei quali è possibile effettuare le rettifiche in discorso, anche alla dimostrazione del fondamento economico, almeno potenziale, dell’operazione posta in essere. 3.3. Il principio di cassa Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito, in base all’art. 54, comma 1, del TUIR, dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura “percepiti” e quello delle spese “sostenute”. 27 Cfr., al riguardo, G. Verna, “Il maggior valore definito ai fini dell’imposta di registro vince la prova contabile o da questa è vinto?”, in Boll. Trib. n. 11/2010, pag. 902. 28 Da E. Zanetti, “Prova contraria “facile” all’azienda plusvalente a valore normale”, in Eutekneinfo-Il quotidiano del commercialista del 31 agosto 2010. 23 IRPEF e IRAP nel lavoro autonomo Con riguardo alle spese, nello stesso articolo sono previste le seguenti deroghe al principio di cassa: • i canoni di leasing dei beni strumentali sono deducibili nel periodo in cui maturano; • le quote di ammortamento dei beni strumentali di valore superiore a 516,46 euro sono deducibili nella misura determinata sulla base dei coefficienti di cui al D.M. del 31 dicembre 1988, a prescindere dall’avvenuto sostenimento, in tutto o in parte, del costo; • le spese relative all’ammodernamento, alla ristrutturazione e alla manutenzione degli immobili strumentali utilizzati nell’esercizio dell’arte o della professione sono imputate in aumento del costo del bene, se di natura incrementativa. Sono, invece, deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento, nel limite del 5 per cento del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili, quale risulta, all’inizio del periodo d’imposta, dal registro di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 600 del 1973, se di natura non incrementativa; l’eventuale eccedenza è deducibile in quote costanti nei cinque periodi d’imposta successivi; • le quote di TFR, comprese le rivalutazioni annue, e di indennità di fine rapporto relative a collaborazioni coordinate e continuative sono deducibili in relazione all’importo maturato in ciascun periodo d’imposta. Tale impostazione interpretativa è stata confermata dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 30/E del 16 febbraio 2006, nella quale è stato precisato che l’art. 54 sancisce “l’applicazione del criterio di cassa come principio generalmente applicabile nella determinazione del reddito di lavoro autonomo, che può essere derogato solo nei casi espressamente previsti dai successivi commi della medesima disposizione”. Nella risoluzione n. 8/1623 del 22 gennaio 1981 è stato, peraltro, precisato che anche nel caso in cui, per esigenze interne, siano state rilevate in contabilità, “in aggiunta ai dati ed elementi richiesti dalla vigente legislazione, altre situazioni riguardanti partite non spesate, resta fermo il principio secondo cui la determinazione del reddito degli esercenti arti e professioni ha luogo assumendo esclusivamente i compensi effettivamente percepiti ed i costi ed oneri, inerenti alla produzione del reddito, effettivamente sostenuti nel periodo d’imposta”. La corretta applicazione del principio in esame si rende necessaria per evitare di esporsi all’azione accertatrice degli uffici delle entrate, atteso che le regole sull’imputazione temporale sono inderogabili in quanto poste a pre- 24 Capitolo I – La disciplina IRPEF dei redditi di lavoro autonomo ed assimilati sidio della integrità delle basi imponibili che, altrimenti, potrebbe risentire di arbitraggi da parte del contribuente29. In sede di determinazione del reddito di lavoro autonomo non è applicabile il principio stabilito, ai soli fini del reddito di lavoro dipendente, dall’art. 51, comma 1, ultimo periodo, del TUIR, in base al quale si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere corrisposti entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono. Tale regola deve, invece, essere applicata dagli esercenti arti e professioni in qualità di “datori di lavoro” in sede di determinazione del reddito dei propri dipendenti. L’Agenzia delle Entrate ha, infatti, chiarito, nella circolare n. 54/E del 19 giugno 200230, che per gli esercenti arti e professioni assumono rilevanza solo le spese sostenute nel periodo d’imposta in cui avviene l’effettiva e documentata corresponsione delle retribuzioni. Il DM del 31 ottobre 1974 stabilisce che la tenuta del registro delle somme in deposito da parte di notai, avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili consente agli stessi di differire la fatturazione delle somme ricevute fino al sessantesimo giorno successivo alla data di costituzione del deposito31. Ciò in quanto al momento della corresponsione dell’“anticipo” da parte del cliente il professionista non è ancora in grado di determinare la quota relativa al corrispettivo, dovendo ancora eseguire la prestazione. Si ritiene che anche ai fini delle imposte sui redditi e dell’applicazione della ritenuta i compensi assumano rilevanza nel momento in cui è effettuata la fatturazione, anche se nel detto decreto non sono contenute disposizioni in merito32. Ciò in quanto il registro in esame è tenuto anche ai fini di tali imposte, come si evince dall’art. 3, comma 1, del D.M. del 20 dicembre 1990, che esonera dall’obbligo della sua tenuta gli esercenti la professione notarile in contabilità “ordinaria” che indicano nel registro “cronologico” (rilevante ai fini delle imposte sui redditi) le movimentazioni finanziarie per conto terzi afferenti le somme ricevute in deposito. E’ stato, d’altra parte, correttamente osservato33 che il detto termine del sessantesimo giorno successivo “può essere utilizzato solo laddove il pro29 In tal senso si è espressa, in materia di reddito di impresa, la sentenza della Corte di Cassazione del 13 maggio 2009, n. 10981. 30 Punto 9. 31 Si rinvia all’esame di tale disposizione effettuato nel capitolo relativo agli adempimenti contabili. 32 Cfr., in tal senso, F. Crovato, “I depositi dei clienti presso i professionisti tra IVA e imposizione diretta”, in Rassegna tributaria n. 2/1994, pag. 294. 33 Da N. Forte, “La tassazione dei professionisti”, 2004, pag. 308. 25 IRPEF e IRAP nel lavoro autonomo fessionista non sia in grado materialmente di emettere la fattura. Al contrario, quando il lavoratore autonomo è a conoscenza, sin dall’inizio, delle imposte da versare e degli onorari a lui spettanti, non può ritardare l’emissione della fattura oltre il momento del pagamento giustificando il suo comportamento con l’annotazione della somma ricevuta dal cliente nel registro delle somme in deposito”. In merito alla concreta applicazione del principio di cassa sono sorti alcuni problemi, riguardanti soprattutto i casi in cui è utilizzato uno strumento diverso dal contante e la transazione avviene alla fine dell’anno: in tali ipotesi potrebbe, quindi, avvenire che un soggetto sostenga la spesa in un anno e l’altro incassi la somma in quello successivo. Al riguardo l’Agenzia delle Entrate si è inizialmente espressa in merito alle seguenti fattispecie: • pagamento on line di contributi mediante l’utilizzo della carta di credito. Nella risoluzione 23 aprile 2007, n. 77/E, l’Agenzia, dopo aver rilevato che in tal caso vi è una differenza tra il momento in cui il percipiente si vede accreditare le somme e quello in cui il titolare della carta si trova addebitate le stesse sul proprio conto corrente, ha rilevato che civilisticamente si è in presenza di una delegazione passiva di pagamento allo scoperto, disciplinata dagli articoli 1269 e seguenti del codice civile, con la quale il delegante ordina al delegato di assumere ed estinguere il debito nei confronti del delegatario. Di conseguenza, il momento maggiormente rilevante risulta quello in cui è utilizzata la carta di credito e, quindi, secondo l’Agenzia, “i contributi si considerano versati dal professionista nel momento stesso in cui manifesta la volontà di sostenere l’onere dando ordine di pagamento alla banca. Il momento, diverso e successivo, in cui avviene l’addebito sul conto corrente del professionista da parte della banca attiene ad un rapporto interno che coinvolge esclusivamente il delegante ed il delegato, irrilevante ai fini fiscali”; • compensi percepiti dal professionista mediante assegno bancario o circolare. Nel corso del Forum fiscale-UNICO 2007 organizzato dal quotidiano Italia Oggi il 19 maggio 200734, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che “i compensi percepiti dal professionista mediante assegno bancario non trasferibile si debbano considerare riscossi al momento della ricezione materiale dell’assegno, risultando irrilevante, al fine di individuare quando il compenso debba considerarsi percepito, il momento dell’effettivo incasso”35. Ciò in quanto, in ossequio al principio di 26 34 Si veda il quotidiano Italia Oggi del 22 maggio 2007. 35 Tale risposta non è stata, però, ancora trasfusa in un documento di prassi ufficiale. Capitolo I – La disciplina IRPEF dei redditi di lavoro autonomo ed assimilati cassa, il momento di imputazione dei compensi è quello in cui il titolo è consegnato materialmente al professionista, che da quel momento ne può disporre liberamente. In tal caso, pertanto, risulta più facile abbinare il momento di effettuazione della ritenuta da parte del committente e quello di percezione e, di conseguenza, di dichiarazione dello stesso da parte del professionista. Successivamente, nella risoluzione n. 138/E del 29 maggio 2009, l’Agenzia ha ulteriormente precisato che il momento in cui l’assegno circolare “entra nella disponibilità del professionista si verifica all’atto della materiale consegna del titolo dall’emittente al ricevente, mentre non può essere attribuita alcuna rilevanza alla circostanza che il versamento sul conto corrente del prenditore intervenga in un momento successivo (e in un diverso periodo d’imposta)”. A tale riguardo è stato osservato36 che nessuna rilevanza riveste la data di emissione dell’assegno eventualmente spedito a mezzo posta e recapitato al beneficiario diversi giorni dopo e che è consigliabile “conservare la busta con il timbro postale, proprio per giustificare il differimento del compenso al successivo periodo di imposta”, quietanzando in modo specifico la fattura o rilasciando ricevuta dell’avvenuto pagamento, “in modo da lasciare ‘traccia’ documentale del momento preciso dell’incasso37“. In tutte le citate pronunce non si è, pertanto, assegnato alcun rilievo al momento di effettiva disponibilità delle somme per il destinatario delle stesse38, contrariamente a quanto affermato dall’Amministrazione finanziaria39 con riguardo alla disciplina del reddito di lavoro dipendente, a proposito della quale era stato affermato, in merito al criterio di cassa, che “il momento di percezione è quello in cui il provento esce dalla sfera di disponibilità dell’erogante per entrare nel compendio patrimoniale del percettore”. Tale presa di posizione sembrava essere stata assunta per evitare che la dichiarazione del compenso da parte del professionista avvenisse con riguardo ad un periodo d’imposta diverso da quello in cui è effettuata la rite36 Da G. Gavelli e G. Valcarenghi, “Incasso del compenso professionale con assegno e applicazione del principio di cassa”, in Corr. Trib. n. 28/2009, pag. 2282. 37 Se, poi, il titolo sfocia in un «protesto», verrà emessa nota di variazione, a storno del precedente incasso fatturato: Comm. trib. centr., 18 gennaio 1996, n. 106. 38 In dottrina si erano espressi in tal senso N. Forte, “La tassazione dei professionisti”, Milano 2004, pag. 107, nota 7, e R. Viviani, “Liberi professionisti e criterio di cassa”, in Guida alla contabilità & bilancio n. 11/2009, pag. 32. Si erano, invece, espressi a favore della tesi della rilevanza del momento di versamento dell’assegno sul conto del prenditore F. Crovato, “Lavoro autonomo e principio di cassa: quando il professionista viene pagato tramite assegno bancario”, in Rassegna Tributaria n. 3/1994, pag. 449, e S. Desideri, “La determinazione del reddito “ordinario” per arti e professioni”, in Corr. Trib. n. 10/1998, pag. 663. 39 Nella circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E, paragrafo 2.1. 27 IRPEF e IRAP nel lavoro autonomo nuta e che il contribuente potesse “scegliere” in quale anno assoggettare ad imposizione il detto compenso. Applicando lo stesso principio al caso del pagamento tramite bonifico bancario si sarebbe potuto, quindi, ritenere che anche in tale ipotesi non assumesse rilievo il momento in cui avviene l’accreditamento sul conto corrente bensì quello in cui è dato l’ordine di pagamento alla banca. Orientamenti in senso contrario erano stati, però, formulati in dottrina40 e in giurisprudenza41. Era stato, in particolare, ritenuto42 che “sussista un unico momento che assume rilevanza fiscale ai fini delle imposte dirette, vale a dire il giorno dell’accredito delle somme sul conto del professionista43, indipendentemente dalla data di effettuazione dell’operazione da parte del cliente, dalla valuta (che potrebbe essere anche postergata) e dal momento di comunicazione da parte della banca o di presa conoscenza dell’operazione da parte del beneficiario. Insomma, vale la disponibilità materiale della somma di denaro sul proprio conto corrente. Tale conclusione non va confusa con la normativa IVA, della quale si deve interessare il professionista ai fini della tempestiva emissione della parcella; in tale ambito ci si deve agganciare, invece, al momento di presa conoscenza dell’incasso (che potrebbe essere successivo al momento dell’accredito delle somme) per la semplice motivazione che gli adempimenti cartolari possono avere comportato la necessità di emissione di altre parcelle nel lasso temporale che va dal momento dell’accredito a quello della comunicazione. Si veda, in proposito, il pensiero dell’Amministrazione espresso nelle RR.MM. 6 dicembre 1989, n. 551041 e 25 gennaio 1978, n. 363519. Ai fini IRPEF ciò è irrilevante, in quanto la determinazione dell’imponibile avviene a posteriori in sede di compilazione del modello UNICO, mentre ai fini IVA è necessario prevedere delle prescrizioni che consentano il soddisfacimento degli adempimenti cartolari. Si ricorda che secondo l’Amministrazione finanziaria ‘il momento di percezione è quello in cui il provento esce dalla sfera di disponibilità dell’erogante per entrare nel compendio patrimoniale del percettore’”. Tale impostazione interpretativa era stata, quindi, assunta sulla base della già richiamata presa 40 Cfr. F. Crovato, op. cit., secondo il quale esigenze di certezza dovrebbero fare propendere per l’imputazione al periodo d’imposta in cui è conseguita la possibilità di disporre liberamente della somma. 41 Si veda la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Novara, sezione VI, del 7 dicembre 1999, n. 317, nella quale è affermata la rilevanza della “data di effettiva percezione del compenso”, da determinare in base all’estratto conto bancario dal quale risultino la data del versamento e della valuta. 28 42 Da G. Gavelli e G. Valcarenghi, op. cit. 43 E, specularmente, per le spese, il giorno in cui viene impartito l’ordine di bonifico. Capitolo I – La disciplina IRPEF dei redditi di lavoro autonomo ed assimilati di posizione adottata dall’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 326/E del 23 dicembre 1997, in materia di reddito di lavoro dipendente. L’Agenzia delle Entrate si è espressa al riguardo nella circolare n. 38/E del 23 giugno 201044, fornendo degli importanti chiarimenti, che appaiono parzialmente innovativi rispetto alle prese di posizione precedenti. Dopo aver ricordato che l’applicazione del principio di cassa, secondo cui i compensi e i costi assumono rilevanza nel momento in cui sono, rispettivamente, percepiti e sostenuti rappresenta il criterio ordinario di determinazione del reddito di lavoro autonomo, l’Agenzia ha evidenziato che le criticità collegate a detto criterio risultano connesse, per quanto concerne l’imputazione temporale dei compensi, alla individuazione del momento in cui il corrispettivo si intende incassato da parte del professionista, in particolare quando vengono utilizzati alcuni mezzi di pagamento. Sono state, poi, ribadite le precisazioni già fornite nel corso del Forum fiscale-UNICO 2007 organizzato dal quotidiano Italia Oggi il 19 maggio 2007 e nella risoluzione n. 138/E del 29 maggio 2009 con riguardo agli assegni bancari e circolari, che rappresentano titoli di credito che si sostanziano nell’ordine scritto, impartito alla propria banca, di pagare a terzi, o a se stessi, una precisa somma di denaro. Al riguardo è stato confermato che i compensi pagati mediante assegno devono considerarsi percepiti nel momento in cui il titolo di credito entra nella disponibilità del professionista, momento che si realizza con la consegna del titolo dal ricevente al committente. Non rileva, invece, ai fini della imputazione temporale del compenso al reddito del professionista, la circostanza che il versamento sul conto corrente del professionista percettore dell’assegno intervenga in un momento successivo o in un diverso periodo d’imposta. Per quanto concerne, in particolare, il caso dei compensi pagati mediante bonifico bancario, l’Agenzia ha ritenuto che, ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo, “il momento in cui il professionista consegue la effettiva disponibilità delle somme, debba essere individuato in quello in cui questi riceve l’accredito sul proprio conto corrente. Si tratta, tecnicamente, della cosiddetta “data disponibile”, che indica il giorno a partire dal quale la somma di denaro accreditata può essere effettivamente utilizzata. Non assume rilievo, pertanto, né la data della valuta, ovvero quella da cui decorrono gli interessi, né il momento in cui il dante causa emette l’ordine di bonifico né quello in cui la banca informa il professionista dell’avvenuto accredito”. 44 Punto 3.3. 29 IRPEF e IRAP nel lavoro autonomo L’Agenzia non ha, inoltre, ritenuto di dover privilegiare il principio della coincidenza tra l’anno in cui viene dichiarato il compenso da parte del professionista e quello in cui il soggetto che lo eroga effettua la ritenuta. È stato, infatti, precisato che “il momento in cui il compenso si considera percepito da parte del professionista potrebbe non coincidere con quello rilevante ai fini dell’individuazione del periodo/mese in cui in il soggetto che ha effettuato il pagamento deve effettuare il versamento della ritenuta ed includere questa ultima nel modello 770. Per il committente che paga il compenso, infatti, ai fini dell’adempimento dell’obbligo di effettuare la ritenuta rileva il momento in cui è stato effettuato il pagamento ovvero quello in cui le somme sono uscite dalla propria disponibilità. Il professionista, peraltro, scomputa la ritenuta subita nel periodo d’imposta in cui il compenso al quale il prelievo attiene concorre a formare il proprio reddito professionale”. Gli esercenti arti e professioni dovranno, pertanto, esaminare con particolare attenzione le certificazioni dei sostituti d’imposta, al fine di evitare, in sede di compilazione della dichiarazione dei redditi, di scomputare eventuali ritenute riguardanti compensi effettivamente percepiti nel successivo periodo d’imposta. Alcuni commentatori45 hanno ritenuto che, in considerazione dei principi sopra illustrati, in caso di incasso dei compensi tramite ricevuta bancaria, che è utilizzata soprattutto per le prestazioni ripetitive, dovrebbe considerarsi rilevante il “momento dell’accredito del corrispettivo sul conto corrente, fatto salvo lo storno in caso di insoluto, il quale, comunque, retroagisce alla data dell’accredito”. In caso di pagamento tramite una cambiale dovrebbe, invece, distinguersi “tra titoli non cedibili (ai sensi dell’art. 1260 del codice civile) e titoli cedibili (risoluzione n. 352856 del 1983 e nota n. 330541 del 1981). Nel primo caso, infatti, il pagamento si ha al momento della scadenza del titolo e, quindi, con il buon fine dell’incasso. Nel secondo, invece, l’incasso rileva fiscalmente al momento della cessione o dello sconto del titolo”. Nella detta circolare n. 38/E l’Agenzia appare collegare la imputazione a periodo dei compensi al momento in cui il professionista consegue la disponibilità delle somme. È stato, infatti, osservato46 che, mentre in caso di pagamenti in contanti la disponibilità si ha al momento della percezione del denaro, in presenza di assegni bancari o circolari il momento rilevante è quello della loro consegna 45 Si veda G. Gavelli e G. Valcarenghi, “Per gli ammortamenti privilegiata la competenza”, in Il Sole 24 Ore-Norme e tributi del 28 giugno 2010, pag. 2. 46 Cfr. A. Dodero, “Applicazione del criterio di cassa in caso di pagamenti con assegni o bonifici bancari”, in Corr. Trib. n. 31/2010, pag. 2485. 30 Capitolo I – La disciplina IRPEF dei redditi di lavoro autonomo ed assimilati al ricevente. Anche per i bonifici bancari è stato attribuito rilievo al momento in cui la somma può essere effettivamente utilizzata, cioè a quello in cui si verifica la disponibilità “effettiva”. Tale impostazione interpretativa non appare, però, coordinata con quella contenuta nella risoluzione 23 aprile 2007, n. 77/E, riguardante il sostenimento del costo relativo ai contributi mediante l’utilizzo della carta di credito, nella quale l’Agenzia ha ritenuto che il momento maggiormente rilevante risulta quello in cui si “manifesta la volontà di sostenere l’onere dando ordine di pagamento alla banca. Il momento, diverso e successivo, in cui avviene l’addebito sul conto corrente del professionista da parte della banca attiene ad un rapporto interno che coinvolge esclusivamente il delegante ed il delegato, irrilevante ai fini fiscali”. In tal caso non era stato, quindi, dato rilievo al momento in cui la somma di denaro esce “effettivamente” dalla disponibilità dell’erogante. Il criterio interpretativo adottato con riguardo alla disciplina del reddito di lavoro autonomo appare, in ogni caso, diverso da quello adottato ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente, in relazione al quale era stato affermato, come già ricordato, che il momento di percezione è quello in cui il provento esce dalla sfera di disponibilità dell’erogante ed entra nel compendio patrimoniale del percettore. Analoghi criteri devono essere adottati per la determinazione del momento in cui si considerano sostenute le spese, che coincide con quello in cui l’esercente l’arte o professione perde la disponibilità delle somme. Al riguardo assume, quindi, rilevanza il momento del pagamento in contanti, quello della consegna dell’assegno al fornitore o, in presenza di pagamenti tramite bonifico, quello dell’addebito sul conto corrente. Fa eccezione, come già rilevato, il caso del pagamento tramite carta di credito. 3.4. La disciplina delle perdite La legge Finanziaria 2008 ha riformulato l’art. 8 del TUIR, stabilendo che le perdite di lavoro autonomo (così come quelle d’impresa in contabilità semplificata) sono sottratte dai redditi che concorrono a formare il reddito complessivo dello stesso anno. Tale modifica normativa ha effetto con decorrenza dal 2008. Anteriormente a tale modifica normativa le menzionate perdite sono state, invece, computate in diminuzione dai redditi della stessa natura conseguiti nel medesimo periodo d’imposta e, per la differenza, nei successivi, ma non oltre il quinto, per l’intero importo che trovava capienza in essi. Questa disciplina era stata introdotta dall’art. 36, comma 27, del D.L. n. 223 del 2006, che aveva sostanzialmente equiparato la disciplina delle perdi31 IRPEF e IRAP nel lavoro autonomo te dei lavoratori autonomi (e delle imprese in regime di contabilità semplificata) a quella delle perdite delle imprese in contabilità ordinaria. Pertanto, le perdite in esame, a partire dal 2008, non sono più riportabili in avanti. È stata, in tal modo, ripristinata la regola vigente fino al 2005, che era cambiata a partire dal 2006. In pratica le dette perdite: • se realizzate dal 2008 in avanti possono essere compensate con i redditi dello stesso periodo, qualunque sia la loro natura, ma non possono essere riportate in avanti; • se realizzate nel 2006 e nel 2007 possono essere soltanto compensate con i redditi della stessa natura e l’eventuale eccedenza può essere riportata in avanti e scomputata nei periodi successivi, ma non oltre il quinto, con lo stesso criterio; • se realizzate dal 2008 in avanti da parte di esercenti arti e professioni che si avvalgono del nuovo regime dei minimi, in deroga alla nuova disciplina introdotta, potranno essere computate in diminuzione del relativo reddito di lavoro autonomo degli esercizi successivi, non oltre il quinto ovvero senza limiti di tempo a seconda dei casi, anche in presenza di successiva opzione per il regime ordinario. Nelle istruzioni per la compilazione del rigo RE24 della dichiarazione dei redditi è precisato che nello stesso va indicata l’eventuale eccedenza di tali perdite “non utilizzata per compensare altri redditi di lavoro autonomo dell’anno”, fino a concorrenza dell’importo del reddito eventualmente indicato nel rigo RE23. Nel successivo rigo RE25 va indicata la differenza tra l’importo di rigo RE23 ed il rigo RE24, che va sommato agli altri redditi e riportato nel quadro RN. Qualora in tale rigo sia indicata una perdita la stessa “dovrà essere scomputata dal reddito complessivo nel quadro RN”. (Segue) 32