PARTE II
CIRCUITI ELETTRICI ED ELEMENTI IDEALI
1. Introduzione ai circuiti
I circuiti elettrici di cui ci occupiamo, e gli elementi che li costituiscono, vengono
caratterizzati in termini delle due seguenti grandezze fisiche, che indicheremo nel seguito come
grandezze elettriche:
- differenza di potenziale o tensione, una grandezza del tipo "agli estremi", che si misura
collegando uno strumento (voltmetro) tra due punti di un circuito;
- intensità di corrente elettrica o corrente, una grandezza del tipo "attraverso", che si misura
inserendo uno strumento (amperometro) in un punto del circuito.
Tensioni e correnti sono grandezze reali, in generale dipendenti dal tempo.
I circuiti sono costituiti dall'interconnessione di elementi idealizzati, che sono descritti e
definiti compiutamente dalle loro equazioni costitutive. Si considera un numero limitato di tipi
diversi di elementi, che costituiscono dei modelli degli elementi reali corrispondenti,
rappresentandone in modo sintetico il comportamento fisico essenziale.
Per esempio, in ciascuno dei tre elementi passivi fondamentali (R, C, L) si evidenzia e si
considera solo uno specifico effetto fisico, fra quelli descritti dalle equazioni di Maxwell. Nel
resistore, si considera solo la relazione fra densità di corrente e campo elettrico in una regione di
conducibilità elettrica  finita (trascurando le correnti di spostamento e gli effetti di induzione
magnetica come se si avesse =0, =0); nel condensatore, solo la relazione fra campo elettrico e
corrente di spostamento in una regione di permeabilità elettrica  finita (come se si avesse =0,
µ=0); nell'induttore, solo il fenomeno dell'autoinduzione in una regione di permeabilità magnetica 
finita (come se fosse =0, =0)1.
Dal momento che, in realtà,  ed  hanno sempre valore finito, si può anche dire che nel resistore ideale si considerano
trascurabili l'energia magnetica e quella elettrostatica rispetto a quella dissipata per effetto Joule; nel condensatore
ideale si considerano trascurabili l'energia magnetica e quella dissipata per effetto Joule rispetto all'energia
elettrostatica; nell'induttore ideale ...
1
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Per rendere conto del comportamento effettivo degli elementi reali di circuito si possono,
naturalmente, usare modelli più complessi, come vedremo fra breve, che però sono sempre ottenuti
collegando assieme degli elementi ideali. Per esempio, per rappresentare l'effetto dell'autoinduzione
in un resistore reale, si userà il modello costituito da un resistore ideale e da un induttore ideale
disposti in serie.
I vari elementi di circuito interagiscono fra loro solo in termini di tensioni e correnti, cioè
soltanto attraverso i conduttori metallici che li interconnettono, supposti a loro volta ideali, nel
senso di conduttori perfetti equipotenziali, privi di effetti capacitivi, induttivi e di irraggiamento.
Quanto detto significa che i campi elettrici e magnetici, da cui dipende, rispettivamente. Il
funzionamento dei condensatori e degli induttori, si suppongono strettamente confinati all'interno
degli elementi stessi. Notiamo anzi, a questo proposito, che non vi è alcun elemento di circuito che
rappresenti il fenomeno dell'irraggiamento.
L'insieme delle interconnessioni tra gli elementi che costituiscono un circuito è descritto, a
sua volta, da altre equazioni, dette equazioni topologiche. Queste non dipendono dalla natura degli
elementi in gioco, ma solo dalla "topologia" dello schema di collegamento. Le equazioni complete
dei circuiti, infine, si ottengono combinando le equazioni costitutive degli elementi con quelle
topologiche che ne descrivono le interconnessioni ( parte III).
Gli elementi dei circuiti sono di due tipi: a costanti distribuite e a costanti concentrate. In
questi ultimi non ha importanza la distribuzione spaziale dell'energia, sicché essi si considerano
puntiformi, privi di dimensioni fisiche. Il loro comportamento è descritto da equazioni costitutive
che sono equazioni differenziali ordinarie. Negli elementi a costanti distribuite, invece, ha
importanza la distribuzione spaziale dell'energia al loro interno, sicché non possiamo trascurarne le
dimensioni (e la forma). Fra questi elementi, che sono descritti da equazioni differenziali a derivate
parziali (per poter tener conto delle dipendenze spaziali, oltre che temporali, delle grandezze
elettriche), rientrano le linee di trasmissione, che considereremo in un'altra parte del corso.
In quanto segue ci occupiamo solo dei circuiti costituiti da elementi a costanti concentrate.
Nei quali l'ipotesi costanti concentrate assume un duplice significato: quello già detto a proposito
degli elementi che li costituiscono e quello relativo ai conduttori di collegamento, che si assumono
equipotenziali a ogni istante di tempo. Per la validità di quest’ultima ipotesi, che non sempre è
verificata in pratica, occorre dunque che le dimensioni del circuito siano sufficientemente piccole,
rispetto alla lunghezza d'onda  dei segnali, in modo da poter trascurare i ritardi di propagazione. In
altre parole, occorre che i tempi di propagazione siano così brevi da essere trascurabili sulla scala
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dei tempi che ci interessano. La dimensione L più estesa di un circuito a costanti concentrate in cui
vi siano segnali di frequenza massima fM dovrà dunque soddisfare la condizione:
L << min = c / fM
(1)
dove c è la velocità della luce (ricordiamo che a 1 MHz la lunghezza d'onda nel vuoto è di 300 m; a
1 GHz di 30 cm). Per esempio, un circuito a microonde che lavori a 10 GHz e che si estenda su 10
cm non è certamente rappresentabile come un circuito a costanti concentrate (e allora potrà essere
analizzato utilizzando la teoria delle linee di trasmissione oppure risolvendo le equazioni del campo
elettromagnetico).
2. I bipoli
I più semplici elementi di circuito sono i bipoli, cioè gli elementi dotati di due terminali.
Essi sono completamente caratterizzati dalla corrente i(t) che li attraversa e dalla tensione v(t) che
vi è fra i loro terminali2. Queste due grandezze sono legate da un'equazione costitutiva, la cui forma
è caratteristica del particolare tipo di bipolo:
(2)
v(t) = {z(t)} i(t)
;
i(t) = {y(t)} v(t)
dove {z(t)} e {y(t)} sono generalmente operatori integrodifferenziali, con {y}={z} -1. Queste
relazioni sono però valide soltanto per bipoli che non comprendono al loro interno dei generatori.
Altrimenti si ha, indicando con vo(t) un generatore di tensione e con io(t) un generatore di corrente:
(2a)
v(t) = {z(t)} i(t) + vo(t)
;
i(t) = {y(t)} v(t) + io(t)
I versi della corrente e della tensione possono essere assegnati arbitrariamente, ma di solito
vengono scelti coordinati in modo tale che il loro prodotto rappresenti la potenza elettrica assorbita
dal bipolo:
p(t) = v(t) i(t)
i(t)
+
v(t)
-
2
Non ha senso, in generale, chiedersi quale delle due grandezze elettriche rappresenti la causa e quale l'effetto. Solo se
il bipolo è collegato a un generatore ideale di tensione, è la tensione che va intesa come causa, mentre la corrente
costituisce l'effetto (l'opposto, se l'elemento collegato a un generatore ideale di corrente). Altrimenti non è possibile, e
non ha senso, individuare a priori la causa (tensione o corrente) per determinare poi l'effetto risultante (corrente o
tensione).
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Prima di discutere in dettaglio i vari tipi di bipoli, è fisicamente significativo distinguerli a
seconda del loro comportamento energetico. Si può avere, più precisamente:
a) trasferimento irreversibile di energia (il bipolo assorbe dal circuito energia elettrica
dissipandola poi in calore), che esce dal circuito definitivamente, come nel caso di un resistore;
b) trasferimento reversibile vincolato di energia (il bipolo assorbe energia dal resto del
circuito, a cui può restituirla; l'energia che esso possiede a ogni istante è ben definita e non può mai
diventare negativa), come nel caso di un condensatore;
c) trasferimento reversibile non vincolato di energia (il bipolo cede o assorbe energia senza
vincoli, cioè si comporta come un accumulatore di capacità idealmente infinita) fra il circuito e
un'altra struttura fisica, come nel caso di una pila reversibile.
Notiamo infine che in un circuito costituito da più bipoli la somma delle potenze elettriche
assorbite da ciascuno di essi è nulla a ogni istante
k vk(t) ik(t) = 0
(3)
stabilendo così una relazione di ortogonalità fra il vettore costituito dalle tensioni e quello costituito
dalle correnti. La (3) è una conseguenza del principio di conservazione dell'energia: ad ogni istante
l'energia (con segno positivo secondo la nostra convenzione) assorbita da una parte dei bipoli è
esattamente uguale a quella (negativa) fornita dagli altri, dal momento che i conduttori di
collegamento sono supposti perfetti.
3. Le leggi di Kirchhoff
Le tensioni e le correnti di qualsiasi circuito debbono soddisfare le due leggi di Kirchhoff,
che nella teoria dei circuiti vengono assunte come postulati (è ben noto, d'altra parte, che queste
leggi derivano dalle equazioni di Maxwell).
La prima di esse, chiamata legge delle correnti (in inglese KCL) stabilisce che, a qualsiasi
istante di tempo, la corrente totale attraverso una qualsiasi superficie chiusa è nulla, esprimendo
così la conservazione della carica elettrica. Se la superficie chiusa viene fatta passare attraverso i
terminali degli elementi del circuito, si scriverà:
k ik(t) = 0
dove la sommatoria è estesa a tutte le correnti ik(t) che attraversano la superficie, per esempio
assegnando verso positivo alle correnti entranti, negativo a quelle uscenti. Se la superficie
considerata racchiude soltanto un bipolo, si conclude che la corrente che entra in un terminale è
uguale a quella che esce dall'altro.
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La seconda legge di Kirchhoff, o legge delle tensioni (in inglese KVL), stabilisce che, a
qualsiasi istante di tempo, la somma algebrica delle differenze di potenziale fra i terminali degli
elementi che costituiscono un circuito chiuso è nulla3:
k vk(t) = 0
(5)
Per applicare questa legge, partiamo da un nodo del circuito e individuiamo un circuito chiuso,
costituito da una catena di k elementi collegati fra loro che ci riporti al punto di partenza, e gli
assegniamo arbitrariamente un verso di percorrenza. Il segno da attribuire alle tensioni vk degli
elementi, che sommeremo assieme nella (5), sarà positivo per quelle concordi col verso di
percorrenza del circuito chiuso, negativo per le altre.
Esempio di applicazione delle leggi di Kirchhoff
KCL (linea continua):
-i1 -i2 + i4 + i6 = 0
KVL (linea tratteggiata):
v5 - v2 - v4 = 0
E' chiaro che, in generale, ciascuna delle due leggi può essere applicata più volte a un dato circuito,
ottenendo così più relazioni fra le grandezze elettriche; anticipiamo qui che un punto chiave degli
sviluppi successivi sarà quello di individuare, di queste relazioni, un numero minimo, ma sufficiente
a caratterizzare completamente il circuito.
Un'altra, essenziale, osservazione: le leggi di Kirchhoff sono rappresentate da equazioni
algebriche lineari omogenee nelle grandezze elettriche e non dipendono dalla natura fisica degli
elementi del circuito, ma solo dal loro numero e da come essi sono collegati, cioè soltanto dalla
"topologia del circuito".
E' interessante notare che la relazione (3), che avevamo stabilito in base al principio di conservazione
dell'energia, può essere dedotta direttamente dalle leggi di Kirchhoff, cioè senza richiedere considerazioni energetiche.
Consideriamo un circuito costituito da bipoli. Siano v k' e ik' le grandezze elettriche associate al bipolo generico in una
generica situazione (per esempio a un certo istante), tutte evidentemente compatibili con le leggi di Kirchhoff. Siano vk"
e ik" le stesse grandezze in un'altra situazione (per esempio a un altro istante). Si dimostra che è sempre valida la
seguente relazione, che prende il nome di teorema di Tellegen:



k vk' ik" = 0
3
Questa legge esprime la conservatività del campo elettrico all'esterno degli elementi induttivi e dei generatori di
tensione, tenendo presente che le tensioni ai terminali di questi elementi sono determinate da opportune forze
elettromotrici e ricordando che i campi magnetici si suppongono confinati all'interno degli elementi induttivi.
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A questo risultato si arriva esprimendo nella (6) le tensioni fra le coppie dei morsetti dei bipoli come differenze fra le
tensioni dei due morsetti rispetto a un riferimento comune: v k = vk+ - vk-; e poi applicando la legge delle correnti alle
superfici chiuse che intersecano i bipoli collegati ai due morsetti di ciascuno degli elementi del circuito. Per il morsetto
generico, e quindi per tutti i morsetti, si ha allora i=0, per qualsiasi situazione elettrica (in particolare i"=0), da cui
segue la (6). Dalla (6), nel caso particolare vk"=vk' e ik"=ik', si riottiene la (3).
4. Elementi a più terminali, reti a due porte
Negli elementi che possiedono più di due terminali, chiamati multipolari, le leggi di
Kirchhoff stabiliscono dei vincoli sia fra le correnti che fra le tensioni. E' evidente, per esempio, che
per un elemento a n terminali sarà sufficiente conoscere le n-1 correnti che scorrono in n-1 terminali
per determinare univocamente la corrente nell'n-esimo, che si potrà assumere come "riferimento"
comune. Discorso analogo vale per le tensioni, quando se ne conoscano n-1 rispetto a un terminale
comune, perché allora saranno individuate anche le differenze di potenziale fra tutte le possibili
coppie di terminali.
Anche qui conviene scegliere i versi delle tensioni e delle correnti in modo coordinato:
positive tutte le correnti entranti negli n-1 terminali diversi da quello di riferimento; positive tutte le
tensioni rispetto a quest'ultimo.
Certi elementi multipolari possiedono particolari coppie di terminali, che godono della
proprietà che la corrente che entra in un terminale è uguale a quella che esce dall'altro. In tal caso la
coppia di terminali prende il nome di porta. E qui notiamo che qualsiasi bipolo, evidentemente, è
una rete a una porta.
I quadrupoli che godono della proprietà anzidetta prendono il nome di reti due porte o
doppi bipoli: il numero totale delle grandezze elettriche che li caratterizza è quattro (anziché sei
come nel caso di un quadrupolo generico). Qualsiasi quadrupolo, d'altra parte, può essere sempre
rappresentato come una rete a tre porte; un n-polo, come una rete a n-1 porte.
Il concetto di porta presenta particolare interesse ai fini della caratterizzazione esterna di un
circuito. Diventa così possibile,
infatti,
rappresentare
sinteticamente (in termini delle
sole relazioni fra le grandezze
elettriche alle porte) circuiti
comunque complessi, che in tal
modo possono essere considerati come elementi funzionali che costituiscono a loro volta i
componenti di sistemi più complessi. In particolare, un circuito comunque complesso che sia
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- Parte II pag. 6
collegato ad altri elementi solo attraverso due dei suoi terminali, può essere rappresentato molto
semplicemente come una rete a una porta, cioè un bipolo.
PROPRIETA' GENERALI DEGLI ELEMENTI E DEI CIRCUITI
Per quanto riguarda le proprietà generali degli elementi e dei circuiti, che sono
evidentemente sistemi analogici a tempo continuo, rimandiamo a quanto detto nella prima parte del
corso. Ricordiamo in particolare le proprietà di stazionarietà (invarianza temporale) e di linearità,
che supponiamo possedute da tutti gli elementi e circuiti che consideriamo in questa parte. Notiamo
peraltro che le leggi generali di Kirchhoff (4) e (5), come pure la conservazione dell'energia (3),
sono valide comunque, anche per circuiti nonlineari e/o non stazionari.
Accenniamo ora a due proprietà, passività e reciprocità, che hanno particolare interesse nei circuiti.
5. Passività
Un bipolo si dice passivo se l'energia da esso assorbita dal tempo - a un generico istante t è
non negativa, a qualunque circuito esso venga collegato:

(7)
t

p   d   v   i   d  0
t

Ciò significa, in altre parole, che un bipolo passivo non è in grado di fornire energia a un circuito
esterno, a parte quella eventualmente immagazzinata precedentemente al suo interno . Altrimenti il
bipolo si dice attivo.
La stessa definizione può essere estesa a una rete a più terminali e in particolare a una a più
porte; in quest'ultimo caso la potenza p(t) sarà espressa dalla sommatoria dei prodotti v(t)i(t) relativi
alle porte del circuito (con l'avvertenza che i versi delle grandezze elettriche siano definiti nel modo
coordinato detto prima). Notiamo infine che è passivo solo un circuito che sia costituito unicamente
da elementi passivi.
Una importante condizione di passività di una rete è che la parte reale dell’impedenza
(dell’ammettenza), fra due terminali qualsiasi della rete, sia positiva per qualsiasi frequenza.
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- Parte II pag. 7
Supponiamo che la tensione applicata da un generatore esterno a una porta di una rete sia v(t) = V cos(t+v) = Re[V
ejt], dove V=V ejv e V=|V|. La corrente che scorre nella porta in regime sinusoidale permanente sarà evidentemente:
i(t) = I cos(t+i) = Re[I ejt], dove I=I eji e I=|I|. La potenza istantanea assorbita dalla rete alla porta considerata è
allora: p(t) = v(t) i(t) = VI cos(t+v) cos(t+i) = ½ VI cos(v - i) + ½ VI cos(2t+v+i).
Dato che il valor medio del secondo termine a destra è nullo, la potenza media assorbita in regime sinusoidale è:
Pm = ½ VI cos(v - i); in termini di valori efficaci si ha la formula di Galileo Ferraris P m = Veff Ieff cos(v - i).
Si nota che l'argomento v - i è uguale all'angolo di fase dell'impedenza Z(j) della rete alla frequenza angolare .
Inoltre, dato che Z(j) = V / I = (V/I) exp(j(v - i)), Y(j)=1/Z(j), si può esprimere la potenza media nelle due forme
seguenti:
Pm = ½ I2 Re[Z(j)] = ½ V2 Re[Y(j)]
Se una rete a una porta è passiva, la potenza media assorbita da essa deve essere non negativa a qualsiasi frequenza, e
allora, per quanto sopra, sia l'impedenza che l'ammettenza della rete devono avere parte reale non negativa a qualsiasi
frequenza, cioè deve essere:
Re[Z(j)]  0
(7a)
;
Re[Y(jω)]  0
per qualsiasi 
D'altra parte, se vi è una frequenza a cui la (7a) non è verificata, allora la rete è attiva.
Notiamo infine che per quanto riguarda la potenza istantanea assorbita da una rete non vale evidentemente il
principio di sovrapposizione degli effetti. Questo è, invece, verificato per quanto riguarda la potenza media nel caso di
un circuito in regime permanente sinusoidale, quando l'ingresso sia costituito dalla somma di più sinusoidi a frequenze
diverse. La dimostrazione è basata sull'ortogonalità fra sinusoidi di frequenza diversa.
6. Reciprocità
La reciprocità è una proprietà che stabilisce delle relazioni fra gli effetti di eccitazioni
applicate in punti diversi di un circuito.
Consideriamo una rete costituita da bipoli e da elementi a più porte, riconducibile quindi a
una rete di bipoli. Se in serie a un bipolo h disponiamo un generatore di tensione v o(t), nel bipolo k
scorrerà una corrente corrispondente, che indichiamo con ikh(t) (questa corrente, per la linearità del
circuito, si somma a quella determinata dalle altre eventuali eccitazioni del circuito, di cui qui non
ci occupiamo). Disponendo lo stesso generatore in serie al bipolo k, nel bipolo h scorrerà la
corrispondente corrente ihk(t).
Allo stesso modo, se colleghiamo un generatore di corrente io(t) fra una coppia H di
terminali dei bipoli del circuito, fra la coppia K si stabilirà la tensione v KH(t) (anche qui, in aggiunta
a quella determinata da eventuali altre eccitazioni). Disponendo lo stesso generatore in parallelo alla
coppia di terminali K, fra la coppia H si stabilirà la tensione vHK(t).
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- Parte II pag. 8
Diciamo che il circuito è reciproco se
(8)
ihk(t) = ikh(t)
;
vHK(t) = vKH(t)
per tutte le coppie h e k di bipoli, e per tutte le coppie H e K di terminali del circuito.
Da quanto sopra consegue che in un circuito reciproco è possibile scambiare fra loro di
posto un generatore di tensione (di corrente) e un amperometro (un voltmetro) senza che si
modifichi l'indicazione dello strumento. Il significato della reciprocità può essere dunque
interpretato così: l'effetto non si modifica se scambiamo fra loro la posizione della causa con quella
dell'effetto.
Chiariamo quanto detto con l'esempio illustrato nella figura, relativo a una rete costituita da
tre resistori. Disponendo il generatore vo in serie al bipolo 1, nel bipolo 3 scorre la corrente i31.
Disponendo vo in serie al bipolo 3, nel bipolo 1 scorre la corrente i13. Si dimostra facilmente che
i31 = i13, per qualsiasi valore dei tre resistori.
Notiamo che la reciprocità è
una proprietà diversa dalla passività.
Sebbene
la
quasi
totalità
1
vo
degli
2
+
-
3
1
i31
i13
2
3
vo
+
-
elementi passivi e delle reti passive da essi costituite goda della proprietà di reciprocità, vi sono
alcuni esempi di elementi reali passivi non reciproci (dispositivi a microonde costituiti da strutture
contenenti ferriti, dispositivi a effetto Hall). Si dimostra, d'altra parte, che una rete costituita da
bipoli passivi lineari stazionari è sempre reciproca.
Diverso è il caso delle reti contenenti elementi attivi, in particolare generatori controllati,
che sono certamente non reciproche; è evidente, infatti, che l'effetto della tensione d'ingresso di un
amplificatore sulla corrente d'uscita è alquanto diverso da quello della stessa tensione, applicata in
uscita, sulla corrente d'ingresso del circuito.
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- Parte II pag. 9
ELEMENTI IDEALI DEI CIRCUITI
ELEMENTI
BIPOLARI
7. Resistore
Il resistore ideale è descritto dall'equazione costitutiva:
(9)
v(t) = R i(t)
ovvero
i(t) = G v(t)
dove G=1/R. La costante reale R, chiamata resistenza, si misura in ohm (); la costante reale G,
chiamata conduttanza, si misura in siemens (S). Se la costante R è positiva si ha il resistore passivo,
che costituisce un ottimo modello dei resistori reali; se è negativa, si ha il resistore attivo 4; se è
nulla, l'elemento degenera in un cortocircuito.
Dato che la (9) è un'equazione algebrica, il resistore è un dispositivo statico, privo di
memoria; la conseguenza è che, nel caso di segnali variabili nel tempo, le forme d'onda della
corrente e della tensione sono identiche, a parte il fattore di scala stabilito dalla (9).
In regime sinusoidale permanente l'impedenza del resistore è reale e indipendente dalla
frequenza:
(10)
Z(j) = R
sicché la fase della corrente coincide con quella della tensione.
La funzione del resistore positivo è quella di puro assorbitore di energia. Quando viene
attraversato da una corrente i(t), esso assorbe, dissipandola in calore per effetto Joule, l'energia
E  t   R  i 2   d  G  v 2   d
(11)
t
t
0
0
Si dimostra facilmente che disponendo in serie dei resistori Rk essi si comportano come un
unico resistore di resistenza R = k Rk. Analogamente, disponendo in parallelo dei resistori di
conduttanza Gk, essi si comportano come un unico resistore di conduttanza G = k Gk.
L'applicazione ripetuta delle due regole precedenti permette spesso di semplificare l'analisi dei
circuiti.
4
Il resistore attivo, più precisamente il resistore differenziale attivo, costituisce un modello sia di alcuni dispositivi fisici
(per esempio il diodo tunnel), sia di particolari circuiti comprendenti elementi attivi.
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- Parte II pag. 10
8. Condensatore
Il condensatore ideale è descritto dall'equazione costitutiva:
(12)
i t   C
dv  t 
dt
ovvero
v t  
1 t
i   d  v  0 
C 0
dove la costante reale C, chiamata capacità, si misura in farad (F); v(0) rappresenta la tensione del
condensatore al tempo t = 0. Se la costante C è positiva si ha il condensatore passivo, che
costituisce un buon modello dei condensatori reali; se è negativa, si ha il condensatore attivo5; se è
nulla, l'elemento degenera in un circuito aperto.
La (12) è un'equazione differenziale (integrale) e pertanto il condensatore è un dispositivo
dinamico, dotato di memoria; la conseguenza è che, nel caso di segnali variabili nel tempo, le forme
d'onda della corrente e della tensione sono diverse. Si nota, in particolare, che l'andamento della
corrente è soggetto a variazioni più rapide di quello della tensione (che ne costituisce l'integrale). In
particolare, se la tensione è costante la corrente è nulla: nei circuiti in continua, pertanto, un
condensatore si comporta come un circuito aperto.
In regime sinusoidale permanente l'impedenza del condensatore è immaginaria e
inversamente proporzionale alla frequenza:
(13)
Z(jjC
Si conclude dalla (13) che la fase della corrente è in anticipo di /2 rispetto a quella della tensione.
E' molto importante osservare che nessun condensatore reale ubbidisce effettivamente alla
(12), quando si considerino tempi sufficientemente lunghi, nè alla (13) quando si considerino
frequenze sufficientemente basse. Infatti qualsiasi condensatore reale è inevitabilmente soggetto a
fenomeni di autoscarica a causa di vari effetti fisici, che si manifestano in modo evidente quando
l'elemento si trova a circuito aperto.
Introducendo nella (12) la carica elettrica q posseduta dal condensatore, si ottiene la
seguente relazione di proporzionalità diretta6 fra carica e tensione:
q  t    i   d  Cv  t 
t

5
Questo costituisce un modello di particolari circuiti comprendenti elementi attivi.
6
Ciò significa che se avessimo definito come grandezze elettriche fondamentali la tensione e la carica, il condensatore
sarebbe un elemento statico (con questa definizione, d'altra parte, il resistore risulterebbe dotato di memoria).
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- Parte II pag. 11
La funzione del condensatore positivo è quella di puro immagazzinatore di energia. Questo
elemento, collegato a un circuito, può infatti assorbire oppure cedere energia, col vincolo però che
l'energia ceduta sia minore o uguale a quella immagazzinata nell'elemento (trasferimento vincolato
di energia). L'energia immagazzinata in un condensatore a un dato istante t dipende solo dalla
tensione v(t) a quello stesso istante:
dv  
C v2 t 
E  t    v   i   d  C  v  
d 
0
0
d
2
t
(14)
t
che rappresenta dunque lo stato dell'elemento.
La disposizione in serie di più condensatori equivale a un unico condensatore di capacità
pari all'inverso della somma degli inversi delle capacità di questi; la disposizione in parallelo, a un
condensatore di capacità pari alla somma delle capacità.
Un caso particolare interessante è quello dei circuiti costituiti esclusivamente da
condensatori. Le relazioni fra le tensioni che si stabiliscono in questi circuiti sono infatti di natura
algebrica e non differenziale. Un esempio semplicissimo è quello del partitore capacitivo mostrato
nella figura. Supponendo che le tensioni v1 e v2 siano determinate dall'applicazione di un generatore
ideale di tensione quando i condensatori C1 e C2 si trovano nello stato di riposo, si ha:
v2  t  
C1
v1  t 
C1  C2
9. Induttore
L'induttore ideale è descritto dall'equazione costitutiva:
(15)
v t   L
di  t 
dt
ovvero
i t  
1 t
v   d  i  0 
L 0
dove la costante reale L, chiamata induttanza, si misura in henry (H); i(0) rappresenta la corrente
nell'induttore al tempo t=0. Se la costante L è positiva si ha l'induttore passivo, che costituisce un
modello per gli induttori reali7; se è negativa, si ha l'induttore attivo (di scarso interesse pratico); se
è nulla, l'elemento degenera in un cortocircuito.
7
Con l'eccezione degli induttori superconduttori, il comportamento degli induttori reali, realizzabili in pratica,
differisce da quello ideale ancor più che nel caso dei condensatori reali.
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Appunti di Elettronica
- Parte II pag. 12
La (15) è un'equazione differenziale (integrale) e pertanto l'induttore è un dispositivo
dinamico, dotato di memoria; la conseguenza è che, nel caso di segnali variabili nel tempo, le forme
d'onda della corrente e della tensione sono diverse. Si nota, in particolare, che l'andamento della
tensione è soggetto a variazioni più rapide di quello della corrente (che ne costituisce l'integrale). In
particolare, se la corrente è costante la tensione è nulla: nei circuiti in continua, pertanto, un
induttore si comporta come cortocircuito.
In regime sinusoidale permanente l'impedenza dell'induttore è immaginaria e direttamente
proporzionale alla frequenza:
(16)
Z(j) = jL
Si conclude dalla (16) che la fase della corrente è in ritardo di /2 rispetto a quella della tensione.
E' importante osservare che nessun induttore reale (neanche gli induttori superconduttori,
che tuttavia presentano caratteristiche molto prossime a quelle ideali) ubbidisce effettivamente alla
(15), quando si considerino tempi sufficientemente lunghi, nè alla (16) quando si considerino
frequenze sufficientemente basse. Qualsiasi induttore è infatti inevitabilmente soggetto a fenomeni
di autoscarica a causa di vari di effetti fisici, che si manifestano in modo particolarmente evidente
quando l'elemento si trova in cortocircuito.
Introducendo nella (15) il flusso magnetico (t) prodotto dalla corrente i(t) quando
attraversa l'induttore, si ottiene una relazione di proporzionalità diretta fra flusso e corrente:
  t    v   d  Li  t 
t

La funzione dell'induttore positivo è quella di puro immagazzinatore di energia, con
comportamento energetico simile a quello del condensatore (trasferimento vincolato di energia).
L'energia immagazzinata in un induttore a un dato istante t dipende solo dalla corrente i(t) a quello
stesso istante:
(17)
di  
L i2 t 
E  t    v   i   d  L  i  
d 
0
0
d
2
t
t
che rappresenta dunque lo stato dell'elemento.
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Appunti di Elettronica
- Parte II pag. 13
La disposizione in serie di più induttori equivale a un unico induttore di induttanza pari alla
somma delle induttanze di questi; la disposizione in parallelo, a un induttore di induttanza pari
all'inverso della somma degli inversi delle induttanze.
Anche nel caso dei circuiti costituiti esclusivamente da induttori si trovano relazioni di
natura algebrica e non differenziale, fra le correnti e i flussi magnetici. Ma si tratta di circuiti di
limitato interesse pratico.
10. Circuiti equivalenti dei bipoli passivi reali
I resistori sono disponibili con una gamma di valori che si estendono dai milliohm ai
teraohm (1 T = 1012); i valori delle serie più comuni sono compresi fra 10  e 22 M. I resistori
sono costruiti in vari modi: avvolgendo un filo conduttore su un supporto isolante (resistori a filo),
depositando un sottile strato di metallo o di altro materiale conduttore su un supporto isolante
(resistori a strato metallico e a strato di carbone), pressando ad alta temperatura una miscela di
carbone, legante e sostanze isolanti (resistori a impasto o a composizione).
Qui ricordiamo che in un conduttore metallico percorso da una corrente variabile la
distribuzione della corrente non è uniforme nella sua sezione, ma si addensa verso la periferia
(effetto pelle o effetto Kelvin, skin effect) a causa delle correnti parassite autoindotte nel metallo.
Nel caso di una corrente alternata, la resistenza del conduttore aumenta dunque al crescere della
frequenza. Se questa è sufficientemente elevata, la corrente scorre quasi esclusivamente nella
periferia del conduttore, in uno straterello con spessore dell'ordine di (µ)-½, dove  è la
conducibilità elettrica e  la permeabilità magnetica. In queste condizioni, la resistenza di un
conduttore metallico cilindrico di diametro d e lunghezza L, è data dalla seguente formula di Lord
Kelvin:
R   
(18)
L
d

2
Nel modello di un resistore reale, per tener conto dell'effetto di autoinduzione (che è
particolarmente rilevante nei resistori a filo, assai meno in quelli a composizione) si dispone un
induttore di valore opportuno in serie al resistore ideale; per tener conto delle capacità parassite (fra
cui, inevitabile, quella tra i terminali),
si dispone un condensatore in parallelo
al resistore ideale.
Circuito equivalente di un
resistore reale (a impasto)
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Circuito equivalente di un
resistore reale (a filo)
Appunti di Elettronica
- Parte II pag. 14
Al crescere della frequenza, l'andamento dell'impedenza è prima resistivo, poi induttivo oppure
capacitivo (a seconda della struttura dell'elemento) sino a che si verificano anche fenomeni di
risonanza.
Esercizio 1. Tracciare i diagrammi del modulo dell'impedenza in funzione della frequenza per i due circuiti equivalenti
mostrati nella figura, assumendo in entrambi R = 1000  e C = 1pF, nel primo L = 1 µH, nel secondo L = 0.1 µH.
Esercizio 2. Individuare una geometria atta a minimizzare l’induttanza parassita di un resistore realizzato usando un
filo metallico di lunghezza data.
Nei resistori a impasto e in quelli a carbone di alto valore, oltre alle capacità parassite fra i terminali
(e fra l'elemento e massa), intervengono anche le capacità distribuite interne fra le particelle
conduttrici, separate da materiale isolante, che li costituiscono. L'azione di queste ultime capacità fa
sì che il valore della resistenza diminuisca al crescere della frequenza8: questo fenomeno è chiamato
effetto Boella.
Anche i condensatori sono disponibili su una estesa gamma di valori, dai picofarad ai farad;
nelle serie più comuni i valori sono compresi fra qualche pF e qualche centinaio di F. Le
tecnologie realizzative sono molto varie, anche perché si usa un'ampia varietà di geometrie e di
materiali dielettrici: aria, mica, materiali plastici, materiali ceramici, ... I valori maggiori di capacità
si ottengono nei condensatori realizzati con un procedimento elettrolitico (questi ultimi, a differenza
degli altri, hanno polarità definita), fra cui i cosiddetti “supercondensatori”, utilizzati in applicazioni
di potenza, con capacità fino a migliaia di farad.
Gli effetti dissipativi che si verificano nei conduttori (incluse le armature) si rappresentano
disponendo un resistore in serie al condensatore ideale; quelli che si verificano nel dielettrico,
disponendo un resistore in parallelo al condensatore ideale. L'autoinduzione, infine, si rappresenta
disponendo un induttore in serie all'elemento ideale.
Circuito equivalente di un condensatore reale
Alle frequenze più basse un condensatore rappresentato dal modello in figura si comporta come un
resistore di altissimo valore. Poi c'è un'ampia regione di comportamento capacitivo. Intervengono
quindi effetti di risonanza e a frequenze ancora superiori l'elemento reale si comporta come un
induttore.
8
Tipicamente, in un resistore da 1 M l'effetto Boella si manifesta poco oltre 100 kHz; in un resistore da 10 G ad
appena 1 kHz.
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- Parte II pag. 15
Nella maggior parte dei condensatori la carica elettrica non viene immagazzinata solo sulle
armature, ma anche, in piccola parte, nel dielettrico stesso, per un effetto chiamato di assorbimento
dielettrico9 (dielectric absorption, soaking). L'assorbimento e il rilascio delle cariche nel dielettrico
sono processi assai lenti, che vengono rappresentati con lo schema equivalente di Dow: accanto alla
capacità direttamente accessibile ai morsetti, vi è una molteplicità di "capacità remote" collegate
all'ingresso attraverso resistori di valore elevato.
a) modello di Dow per rappresentare il
fenomeno dell'assorbimento dielettrico
b) modello semplificato di un
condensatore in Mylar da 1 µF
Gli induttori sono disponibili con valori tipicamente compresi fra i microhenry e gli henry.
Una distinzione importante è fra quelli avvolti in aria (o su un supporto isolante) e quelli avvolti su
un nucleo di materiale ferromagnetico (che permette di ottenere induttanza più elevata). Questi
ultimi possono manifestare effetti nonlineari, dato che in questi materiali la caratteristica flusso
magnetico-corrente presenta sia saturazione che isteresi.
Gli effetti dissipativi che si verificano negli induttori si rappresentano disponendo un
resistore in serie all'induttore ideale; quelli che si verificano nell'eventuale nucleo ferromagnetico
(correnti parassite), disponendo un resistore in parallelo (perché? provate a stabilirlo) all'induttore
ideale. Le capacità parassite, infine, si rappresentano (in prima approssimazione, dato che si tratta di
capacità distribuite fra le spire) disponendo un condensatore
in parallelo.
Circuito equivalente di un induttore reale
Gli induttori reali sono soggetti a fenomeni di accoppiamento magnetico con l'esterno, che
sono particolarmente rilevanti nei dispositivi che non sono avvolti su un nucleo ferromagnetico
9
Per osservare questo fenomeno basta caricare un condensatore, poi scaricarlo, cortocircuitandolo brevemente, e quindi
misurare la tensione ai suoi terminali con un voltmetro avente alta resistenza d'ingresso.
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Appunti di Elettronica
- Parte II pag. 16
chiuso: non è trascurabile, in generale, nè il campo magnetico prodotto da un induttore al suo
esterno nè l'induzione prodotta nell'elemento stesso da un campo variabile esterno10.
Negli elementi reali, in generale, i vari effetti parassiti sono via via più rilevanti passando
dai resistori (che meglio verificano il comportamento del modello idealizzato), ai condensatori e poi
agli induttori (che sono gli elementi passivi reali con comportamento più lontano da quello
dell'elemento ideale corrispondente). Generalmente, i parametri che rappresentano effetti parassiti
che dipendono solo dalla geometria dei dispositivi reali (per esempio, le capacità elettrostatiche)
sono costanti, indipendenti dalla frequenza. Altri parametri, invece, presentano una sensibile
dipendenza dalla frequenza (per esempio, quelli che rappresentano le dissipazioni associate alla
polarizzazione di un dielettrico oppure dovute all'effetto pelle).
11. Rappresentazione delle dissipazioni degli elementi reattivi reali
Negli induttori e nei condensatori si usa spesso un solo parametro equivalente per
rappresentare globalmente tutti gli effetti dissipativi: una resistenza Rs disposta in serie all'elemento
ideale, chiamata resistenza serie equivalente (ESR, equivalent series resistance), oppure una
resistenza Rp disposta in parallelo. Queste grandezze si misurano, o si calcolano, come parte reale
dell’impedenza o dell’ammettenza dell’elemento reale. Esse hanno generalmente valori dipendenti
dalla frequenza.
Per lo stesso scopo si usa anche un parametro adimensionale, chiamato fattore di merito (o
fattore di qualità) Q, che è definito, a ciascuna frequenza, dal rapporto fra il modulo della reattanza
dell'elemento e la resistenza serie equivalente oppure, che è lo stesso, fra il modulo della
suscettanza B dell'elemento e l'inverso Gp della sua resistenza equivalente parallelo:
Q
(19)
X
B

Rs G p
Il fattore di merito ha un significato fisico diretto: esso esprime il rapporto, moltiplicato per 2, fra
l'energia massima immagazzinata dall'elemento reattivo e l'energia dissipata in un periodo, quando
l'elemento reale si trova in regime sinusoidale permanente alla frequenza considerata.
Per un induttore e per un condensatore si ha rispettivamente:
10
E’ possibile schermare gli induttori per minimizzare gli inconvenienti dovuti a questi fenomeni, ma questo
procedimento ne riduce l’induttanza (effetto prossimità) e introduce dissipazioni addizionali. Per minimizzare
l’accoppiamento fra due bobine cilindriche, conviene disporle con gli assi perpendicolari fra loro. D'altra parte, se si
vogliono rappresentare in un circuito gli effetti dell'accoppiamento magnetico fra due induttori, si utilizza un apposito
elemento a due porte: gli induttori accoppiati.
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- Parte II pag. 17
Q
(20)
L
RS

Rp
Q
;
L
1
  CRp
CRS
Nel caso dei condensatori le dissipazioni si caratterizzano più spesso con
la grandezza tang= 1/Q, chiamata fattore di perdita. La figura a fianco
rappresenta nel piano complesso l’impedenza Z di un condensatore C in
serie a una resistenza Rs, individuando l’angolo δ (angolo di perdita).
Il valori del fattore di merito sono generalmente compresi tra 100 e 10000 per i
condensatori, mentre superano difficilmente qualche centinaio per gli induttori. Questa grandezza
dipende dalla frequenza, ma la sua dipendenza è di solito più debole di quella che presentano le
resistenze equivalenti Rs e Rp.
Nel caso particolare dei circuiti che presentano il fenomeno della risonanza (sia serie che
parallelo) il fattore di merito, di solito, viene specificato alla frequenza di risonanza. In tal caso la
reattanza che si considera nella (19) è quella della sola parte induttiva del circuito (o di quella
capacitiva, dato che sono uguali), mentre la resistenza Rs è data dalla somma delle resistenze serie
equivalenti dei due elementi reattivi.
Per ridurre le perdite nei conduttori, e nelle bobine, ad alta frequenza, in particolare quelle
per effetto pelle, si possono impiegare vari accorgimenti. Come utilizzare conduttori argentati
oppure il cosiddetto filo litz, costituito dal parallelo di una molteplicità di conduttori molto sottili,
isolati singolarmente.
Esercizio 1. Si consideri il modello di un condensatore reale, costituito da un resistore R 1 in serie alla capacità C e da
un resistore R2 in parallelo ad essa, dove C, R1 e R2 sono grandezze indipendenti dalla frequenza. Ricavare l'espressione
dell'impedenza del circuito e individuarne la resistenza serie equivalente e la capacità equivalente. Determinare i limiti
per  e per  dell'impedenza, della resistenza serie equivalente e della capacità equivalente. Ricavare
l'espressione del fattore di perdita tang in funzione di e tracciarne un grafico. Esprimere questa grandezza in
funzione di tang (R1  0, R2 = ) e di tang (R1 = 0, R2 < ).
Esercizio 2. Misurando con un ponte il fattore di merito tang di un condensatore da 10 nF a varie frequenze si sono
ottenuti i valori riportati nella tabella.
frequenza (kHz)
-4
tang (10 )
0.1 0.2
1
2
10
11
1.2
0.8
2.2 4.1
5
20
100
21
Supponendo costante con la frequenza la capacità equivalente del condensatore, determinare, alle frequenze
considerate, i valori della resistenza serie equivalente e della resistenza parallelo equivalente. Usando questi risultati,
individuare un modello del condensatore con parametri indipendenti dalla frequenza.
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- Parte II pag. 18
12. Generatori indipendenti ideali
I generatori indipendenti sono i bipoli che permettono di intervenire dall'esterno su un
circuito elettrico. Sono elementi attivi, che non dissipano nè accumulano energia, ma la scambiano
in modo reversibile e senza vincoli con un sistema fisico esterno (che non è rappresentato nel
circuito). Una pila, per esempio, scambia energia in modo, idealmente, reversibile fra il circuito
elettrico e un sistema elettrochimico.
Il generatore indipendente ideale di tensione è descritto dall'equazione costitutiva:
(21)
v(t) = vo(t)
per i(t) arbitraria
Esso impone dunque ai suoi terminali la tensione vo(t), con legge prestabilita,
indipendentemente dalla corrente che lo attraversa, e quindi dal circuito a cui esso è collegato.
Dipende invece dal circuito il valore e il segno della potenza che esso fornisce, che possono essere
qualsiasi. Se vo(t) = 0, l'elemento è disattivato e degenera in un cortocircuito11. Il generatore
indipendente ideale di tensione costituisce un buon modello di molti generatori elettrici reali (pile,
accumulatori, dinamo, alternatori, ecc.).
Simboli grafici dei generatori indipendenti ideali. La convenzione
dei segni usata di solito è opposta a quella coordinata, in modo
che il prodotto v(t) i(t) rappresenti la potenza erogata da questi
elementi.
Il generatore indipendente ideale di corrente è descritto dall'equazione costitutiva:
(22)
i(t) = io(t)
per v(t) arbitraria
Esso è dunque attraversato dalla corrente io(t), con legge prestabilita, indipendentemente dalla
tensione ai suoi morsetti, e quindi dal circuito a cui esso collegato. Dipende, invece, dal circuito
esterno il valore e il segno della potenza che esso fornisce, che possono essere qualsiasi. Se io(t) = 0,
l'elemento è disattivato e degenera in un circuito aperto11. Il generatore indipendente ideale di
corrente costituisce un modello di vari circuiti contenenti elementi attivi reali.
Le definizioni degli elementi ideali date sopra conducono a varie incongruenze. Per
esempio: quale tensione si stabilisce ai terminali di due generatori di tensione disposti in parallelo?
11
Si può, in alternativa, considerare il cortocircuito come un particolare generatore di tensione caratterizzato da v o(t) = 0
e, allo stesso modo, considerare il circuito aperto come un particolare generatore di corrente caratterizzato da i o(t) = 0.
Questi elementi sono, però, evidentemente passivi.
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Appunti di Elettronica
- Parte II pag. 19
Quale corrente attraversa due generatori di corrente disposti in serie? E ancora, come può un
generatore fornire corrente, o tensione, (e quindi potenza) illimitata?
Per risolvere tali incongruenze occorre fare riferimento a modelli più realistici, basati sul
comportamento fisico dei dispositivi reali di cui i generatori controllati costituiscono i modelli
idealizzati. Nel caso dei generatori di tensione si deve tener conto della resistenza, o dell'impedenza,
interna che è disposta in serie all'elemento ideale; nel caso dei generatori di corrente, invece, si deve
tener conto della conduttanza, o dell'ammettenza,
interna che è disposta in parallelo all'elemento ideale. E
allora i modelli dei generatori reali sono quelli mostrati
nelle figure a fianco.
Collegando ora in cortocircuito i due generatori
reali così ottenuti, la corrente che scorre fra i loro
terminali è, nei due casi:
i(t) = {zo(t)}-1 vo(t)
;
i(t) = io(t)
mentre lasciandoli a circuito aperto la tensione che si stabilisce ai loro terminali è, nei due casi:
v(t) = vo(t)
;
v(t) = {yo(t)}-1 io(t)
Si conclude allora che i due generatori reali sono equivalenti fra loro, nel senso che l'uno
può essere sostituito con l'altro, se sono verificate le condizioni:
(23)
vo(t)={yo(t)}-1 io(t)
(io(t)={zo(t)}-1 vo(t)) ;
{yo(t)}={zo(t)}-1
In regime permanente sinusoidale si ha l'equivalenza se:
(23a)
Vo = (Yo(j))-1 Io
(Io = (Zo(j))-1Vo)
;
Yo(j) = 1/Zo(j)
Se vale la (23a), infatti, collegando ai generatori reali un bipolo di impedenza arbitraria Z(j), la
corrente che scorre in quest'ultimo è la stessa in entrambi i casi.
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- Parte II pag. 20
ELEMENTI
A DUE PORTE
Si considerano tre elementi passivi fondamentali a due porte, induttori accoppiati,
trasformatore ideale e giratore, e vari elementi attivi, fra i quali hanno particolare importanza i
generatori controllati.
13. Induttori accoppiati
L'elemento ideale induttori accoppiati è descritto dalle seguenti equazioni costitutive:
(24)
v1  t   L1
di1  t 
di  t 
M 2
dt
dt
v2  t   M
;
di1  t 
di  t 
 L2 2
dt
dt
Simbolo grafico dell'elemento induttori accoppiati. I pallini indicano il segno della
tensione indotta a una porta per effetto di una corrente entrante nell'altra (se sono
concordi M > 0, se sono discordi M < 0).
Si tratta di equazioni differenziali e pertanto l'elemento è dinamico,
dotato di memoria. Si nota che se le due correnti sono costanti, le due tensioni sono nulle e allora
svanisce l'accoppiamento fra le due porte. In continua, in particolare, ciascuna delle due porte
dell'elemento si comporta come un cortocircuito. In regime permanente sinusoidale le equazioni
costitutive assumono la forma:
(25)
V1 = jL1I1 + jMI2
;
V2 = jMI1 + jL2I2
La passività dell'elemento impone le seguenti condizioni per i valori delle tre costanti reali che figurano nelle equazioni
costitutive:
(26)
L1  0
;
L2  0
;
|M|  (L1L2)
Se, infatti, la porta 2 è aperta, e quindi i2 = 0, l'elemento si comporta alla porta 1 come un induttore di induttanza L 1,
sicché deve essere L1  0 per la passività. Analogo discorso, scambiando fra loro le porte, conduce alla condizione
L2  0. La condizione per M, infine, si ricava imponendo la passività dell'elemento quando si considerino ambedue le
porte percorse da corrente. Poiché la potenza assorbita è:
p(t) = v1(t) i1(t) + v2(t) i2(t) = L1i1di1/dt + M(i1di2/dt + i2di1/dt) + L2i2di2/dt
la condizione di passività (7), applicata alle due porte dell'elemento, diventa:
E(t) = p() d = ½ L1i1²(t) + Mi1(t)i2(t) + ½ L2i2²(t)  0
Che è verificata per qualunque valore delle due correnti all'istante generico t, e quindi per qualunque valore del rapporto
i1/i2, soltanto se M² - L1L2  0, da cui deriva l'ultima delle condizioni (26).
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Appunti di Elettronica
- Parte II pag. 21
Il comportamento energetico dell'elemento induttori accoppiati è analogo a quello dell'induttore
(come mostra anche la precedente discussione sulla passività).
La costante M, il cui valore determina l'accoppiamento fra le due porte, si esprime spesso
nella forma normalizzata:
K
(27)
M
0K1
L1 L2
Le equazioni costitutive (24) indicano che lo stato del sistema è caratterizzato dalle due
variabili i1(t) e i2(t) (ma ne basta una sola se K=1). E' possibile invertire le equazioni costitutive,
esprimendo le correnti in funzione delle tensioni (e introducendo i termini che rappresentano lo
stato iniziale, come nella (15)), salvo quando si verifica K=1. Questo caso particolare di
accoppiamento totale viene rappresentato con un altro elemento: il trasformatore ideale.
E' possibile generalizzare l'elemento induttori accoppiati da 2 a N porte. Le costanti che appaiono nelle
equazioni costitutive dovranno soddisfare condizioni analoghe alle (26): Lk  0, |Mhk|  (LhLk).
Esercizio. Determinare l'induttanza del circuito ottenuto collegando in serie le due porte dell'elemento induttori
accoppiati, in ciascuno dei due modi possibili. Nel primo si porrà: v = v 1+v2, i1 = i, i2 = i; nel secondo, v = v1 - v2,
i1 = i, i2 = -i.
Esercizio. Dimostrare che l'elemento induttori accoppiati è reciproco.
14. Trasformatore ideale
Il trasformatore ideale è descritto dalle seguenti equazioni costitutive:
(28)
v1(t) = n v2(t)
;
i1(t) = -i2(t) / n
dove n è una costante reale e il segno negativo che appare nella seconda equazione dipende dalla
scelta coordinata dei versi delle grandezze elettriche. Questo elemento costituisce un modello dei
trasformatori reali, dove il modulo del coefficiente n rappresenta il
rapporto fra il numero di spire dell'avvolgimento primario e quello
del secondario.
Simbolo grafico del trasformatore ideale
Le (28) sono equazioni algebriche e pertanto il trasformatore
ideale è un elemento statico, privo di memoria. La conseguenza, nel caso di segnali variabili nel
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- Parte II pag. 22
tempo, è che le forme d'onda delle tensioni (delle correnti) alle due porte sono identiche fra loro, a
parte il fattore di scala n.
Calcolando la potenza totale assorbita dal trasformatore ideale p(t) = v1(t)i1(t) + v2(t)i2(t), si
conclude che è identicamente nulla a ogni istante di tempo. Si tratta dunque di un elemento non
energetico, che non assorbe nè cede energia, ma la trasferisce integralmente da una porta all'altra.
La funzione del trasformatore ideale quella di alterare, secondo i rapporti n e 1/n, le
grandezze elettriche tensione e corrente alle due porte e quindi, secondo il rapporto n2, i livelli
d'impedenza alle porte. Ciò ha conseguenze di grande importanza. Esaminiamo, in particolare,
quanto accade quando colleghiamo una porta del trasformatore, per esempio la porta 2, a un
resistore di resistenza R. Si ha i2 = -v2/R, da cui i1 = v2/nR. Poichè v2 = v1/n, si conclude che la
corrente che fluisce nella porta 1 ha intensità: i1 = v1/n²R ossia il resistore viene visto, attraverso il
trasformatore, come se avesse resistenza n²R. Analogo discorso vale per un induttore L, che sarà
visto come se avesse induttanza n²L, e per un condensatore, che sarà
visto come se avesse capacità C/n².
v1 = n2 R i1
Ricordiamo qui come la possibilità di alterare a piacimento il
rapporto fra tensione e corrente, idealmente senza perdite di energia (con dissipazioni relativamente
modeste nei trasformatori reali12), abbia condotto alla fine dell’Ottocento, dopo l'invenzione del
trasformatore, a scegliere le correnti alternate, invece delle correnti continue, per la trasmissione a
distanza e la distribuzione dell'energia elettrica. Infatti, quando si collega un generatore a un carico
attraverso un linea di resistenza R, la potenza dissipata nella linea per effetto Joule è Ieff2R.
Disponendo un trasformatore elevatore fra il generatore e la linea (e uno riduttore fra la linea e il
carico), la corrente sulla linea si riduce di un fattore n e la potenza dissipata in R di n², a parità di
potenza trasmessa (la tensione sulla linea, invece, aumenta dello stesso fattore n, rendendo
necessario affrontare i conseguenti problemi di isolamento, per evitare scariche indesiderate).
Il modello ideale rappresentato dalle (28) conduce a una evidente incongruenza: l'elemento
ideale trasferisce anche segnali in continua, oltre che in alternata (sappiamo, invece, che le correnti
indotte nascono soltanto da variazioni di flusso magnetico). Per risolvere questa incongruenza,
occorre fare riferimento a un modello più realistico, basato sul comportamento fisico del
trasformatore reale: per questo si introduce un induttore di valore opportuno in parallelo alla porta 1
(oppure alla porta 2) dell'elemento ideale. L'induttanza di questo induttore rappresenta quella
12
I trasformatori usati nelle applicazioni di potenza possono presentare rendimenti di oltre il 99%.
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- Parte II pag. 23
dell'avvolgimento del trasformatore reale che corrisponde alla porta 1 (alla porta 2), misurato a
vuoto, cioè con l'altro avvolgimento a circuito aperto.
Osserviamo infine che il trasformatore ideale può essere ricavato con un passaggio al limite
dall'elemento ideale induttori accoppiati. Per questo occorrono due ipotesi. La prima è che vi sia
accoppiamento totale K=1, cioè M=(L1L2)½, da cui si ha: L1 = n²L, M = nL, L2 = L. Sostituendo i
coefficienti nelle equazioni costitutive (24) si ottiene: v1 = n v2. La seconda ipotesi è che
l'induttanza L abbia valore infinito. Ricavando dalla seconda delle (24) il rapporto: (di1/dt)/(di2/dt) =
(v2/nL)/(di2/dt) - 1/n Facendo tendere L all'infinito, si ottiene: di1/dt = -(di2/dt)/n. Integrando da -
a t si ha infine: i1 = -i2 / n.
E' dunque chiaro che il trasformatore ideale e l'elemento induttori accoppiati sono due
modelli dello stesso elemento reale, realizzato tipicamente avvolgendo due bobine su un nucleo di
materiale ferromagnetico. Usiamo pertanto un unico circuito equivalente per rappresentare gli
effetti parassiti dei due elementi ideali.
15. Circuito equivalente degli elementi induttivi a due porte reali
Circuito equivalente reale per gli induttori accoppiati e il
trasformatore ideale. La parte racchiusa dal tratteggio è un
trasformatore ideale con l’aggiunta dell’induttore Lp.
L'effetto di dispersione del flusso magnetico,
dovuto al fatto che il flusso prodotto in ciascuno
dei due avvolgimenti dell'elemento reale è solo parzialmente concatenato con l'altro avvolgimento,
cioè si ha K < 1, è rappresentato in figura dai due induttori Ls1 e Ls2 disposti in serie alle due porte (i
quali non sono accoppiati nè fra loro nè con gli altri induttori del circuito). La rete compresa nel
rettangolo tratteggiato gode invece di accoppiamento totale ed è rappresentata da un trasformatore
ideale con l'induttore Lp in parallelo. Si ha dunque L1= Ls1+Lp, L2=Ls2+Lp/n². Nel caso in cui la
dispersione del flusso sia della stessa entità nei due avvolgimenti, avremo Ls1 = (1-K)L1,
Ls2 = (1-K)L2, da cui si ricava, ponendo n = (L1/L2)½: Lp = K(L1L2) ½.
Il resistore Rp disposto in parallelo rappresenta le dissipazioni nel nucleo ferromagnetico
(dette perdite nel ferro); i resistori Rs1 e Rs2 disposti in serie, le dissipazioni nei conduttori degli
avvolgimenti (dette perdite nel rame). Le capacità Cp1 e Cp2 rappresentano le capacità elettrostatiche
dei due avvolgimenti. Il circuito può essere completato con l'aggiunta di altre capacità che tengano
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- Parte II pag. 24
conto, per esempio, dell'accoppiamento elettrostatico fra i due avvolgimenti (che in pratica si può
minimizzare inserendo fra essi uno schermo elettrostatico separatore).
Esercizio 1. Usiamo un trasformatore con rapporto spire n per collegare un carico di resistenza RL = 4  all’uscita di
un amplificatore, che schematizziamo come un generatore di tensione alternata di valore efficace V o = 10 volt con in
serie una resistenza Ro = 1000 . Calcolare, in funzione di n, la tensione efficace ai terminali del carico, la corrente
efficace che attraversa il carico e la potenza assorbita dal carico. Determinare il valore di n che massimizza quest'ultima
grandezza. Calcolare quindi l'induttanza L che deve avere il primario perché il circuito trasmetta la banda audio (entro
-3 dB al limite inferiore della banda).
Esercizio 2. Abbiamo un amplificatore il cui stadio di uscita (supposto avente resistenza interna nulla) presenta le
seguenti caratteristiche: a) la sua tensione è compresa nell'intervallo -15, +15 V; b) la corrente che può erogare è
compresa tra -0,1 e +0,1 A. Vogliamo usarlo per alimentare un resistore di carico di 8 , al quale si desidera fornire la
massima potenza in regime sinusoidale.
1) Calcolare la potenza ottenibile nel carico quando esso viene collegato direttamente all'amplificatore.
2) Calcolare la potenza nel carico quando esso viene collegato all'amplificatore tramite un trasformatore.
3) Determinare il valore del coefficiente n per cui la potenza nel carico è massima.
16. Giratore
La terza rete passiva a due porte, chiamata giratore, è l'unica che non sia reciproca. Le sue
equazioni costitutive sono:
(29)
v1(t) = -R i2(t)
;
v2(t) = R i1(t)
Simbolo grafico del giratore
dove la costante reale R prende il nome di costante di girazione. Si
tratta di equazioni algebriche e pertanto il giratore è un elemento statico,
privo di memoria. Si dimostra facilmente che si tratta di una rete passiva, più precisamente non
energetica, come il trasformatore ideale: la potenza assorbita p(t) è infatti identicamente nulla a ogni
istante.
La caratteristica fondamentale del giratore è costituita dallo scambio fra tensione e corrente
alle due porte; questo si traduce in particolare nel trasformare un induttore collegato a una porta in
un condensatore osservato all'altra porta (e viceversa).
Se chiudiamo una porta di un giratore, per esempio la porta 2, su un resistore di resistenza
R', alla porta 1 si ottiene: v1=(R²/R')i1. Se chiudiamo la porta 2 su
un condensatore di capacità C, alla porta 1 si ottiene:
v1  R 2C
di1
dt
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cioè il condensatore viene visto come un induttore.
Notiamo che l'impiego di un giratore costituisce un mezzo per ottenere induttori con
caratteristiche più vicine a quelle ideali rispetto agli induttori fisici. Vi sono vari schemi per
realizzare giratori, usando circuiti attivi, e sono stati anche realizzati giratori nella forma di moduli
integrati.
17. Generatori controllati ed altri elementi attivi ideali a due porte
Nei generatori controllati si distingue una porta d'ingresso, dove si esercita il controllo, e
una d'uscita, dove è inserito un generatore di tensione o di corrente. La grandezza elettrica d'uscita
associata al generatore è proporzionale, secondo una costante reale che ne costituisce il parametro
di controllo, a una soltanto delle due grandezze elettriche della porta d'ingresso (tensione o
corrente). Si hanno così i seguenti quattro tipi di generatori controllati:
a) generatore di tensione controllato in tensione (amplificatore ideale di tensione o convertitore
tensione-tensione)
(30)
v2(t) = av1(t)
per i2(t) arbitraria
;
i1(t) = 0
b) generatore di tensione controllato in corrente (amplificatore ideale a transresistenza o
convertitore corrente-tensione)
(31)
v2(t) = r i1(t)
per i2(t) arbitraria
;
v1(t) = 0
c) generatore di corrente controllato in corrente (amplificatore ideale di corrente o convertitore
corrente-corrente)
(32)
i2(t) = k i1(t)
per v2(t) arbitraria
;
v1(t) = 0
d) generatore di corrente controllato in tensione (amplificatore ideale a transconduttanza o
convertitore tensione-corrente)
(33)
i2(t) = g v1(t)
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per v2(t) arbitraria
;
i1(t) = 0
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dove i parametri di controllo a, r, k, g sono costanti reali. a e k sono adimensionali, r ha le
dimensioni di una resistenza, g quelle di una conduttanza.
I generatori controllati così definiti sono evidentemente degli elementi statici, attivi e non
reciproci. Essi possono essere trasformati in elementi dinamici, sostituendo le costanti a, r, k, g con
altrettanti operatori differenziali. Le loro proprietà di attività e di non reciprocità, invece, sono
intrinseche alla loro natura di generatori controllati.
I generatori controllati costituiscono modelli di vari tipi di componenti elettronici attivi reali.
In particolare, il generatore di corrente controllato in tensione è un modello per i tubi elettronici
dotati di griglia di controllo e per i transistori a effetto di campo; il generatore di corrente
controllato in corrente, per i transistori bipolari. Notiamo però che uno qualsiasi di essi, con
l'aggiunta di opportuni bipoli passivi, è sufficiente a realizzare il circuito equivalente di qualsiasi
componente elettronico attivo reale.
I generatori controllati sono usati anche come modelli di circuiti amplificatori comprendenti
uno o più elementi attivi, e la scelta fra l’uno o l’altro dipende sia dal tipo degli elementi attivi sia
dell'impedenza della sorgente e del carico. In generale, conviene utilizzare come modello di un dato
circuito amplificatore quel generatore controllato, fra i quattro possibili, che meglio verifica la
condizione che il relativo coefficiente di proporzionalità sia, almeno approssimativamente,
indipendente dai valori effettivi delle impedenze della sorgente e del carico del circuito considerato.
Si assume, per esempio, il modello (30) (amplificatore ideale di tensione) quando l'impedenza
d'ingresso del circuito è molto maggiore di quella della sorgente e l'impedenza d'uscita molto
minore di quella del carico.
Questi modelli, in pratica, vengono resi più realistici con l'aggiunta di opportuni elementi
passivi: nel caso di un amplificatore di tensione rappresentato dal modello (30), una impedenza
posta in parallelo alla porta 1 rappresenterà l'impedenza d'ingresso dell'amplificatore reale; una
impedenza in serie alla porta 2 ne rappresenterà l'impedenza d'uscita. Notiamo poi che il modello
più conveniente per uno dato circuito amplificatore potrà risultare diverso a seconda dei valori delle
impedenze della sorgente e del carico.
Per quanto riguarda l'impiego dei generatori controllati come modelli dei dispositivi
elettronici, è necessario osservare che si tratta generalmente di "modelli linearizzati" di tipo
differenziale, chiamati circuiti equivalenti alle variazioni o per piccoli segnali. In questi modelli si
ammette che il dispositivo elettronico reale sia polarizzato, cioè percorso da correnti elettriche di
opportuna intensità, che ne stabiliscono il punto di lavoro e che ne assicurano il funzionamento, le
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quali non sono rappresentate13 nel modello stesso. Questi modelli, pertanto, rendono conto soltanto
delle relazioni fra le variazioni delle grandezze elettriche alle due porte (variazioni intese rispetto ai
valori, costanti, associati a un determinato punto di lavoro).
Notiamo poi che il modello differenziale di un "componente attivo" è certamente attivo, ma
il componente reale modellizzato non lo è, quando ad esso si applichi la definizione (7)
considerando le grandezze elettriche in toto e non soltanto le loro variazioni. L'energia che il
modello differenziale di un dispositivo attivo può fornire al circuito esterno (per esempio il carico
collegato alla porta d'uscita) non deriva infatti dal dispositivo stesso, ma dal generatore che
provvede all'alimentazione del circuito. Chiariamo questo punto specifico attraverso un esempio,
considerando un transistore bipolare inserito in un circuito nella connessione a emettitore comune.
18. Circuito comprendente un transistore bipolare: circuito equivalente per piccoli segnali
L'elettrodo
di
base (B) del transistore
in figura è polarizzato
da un apposito circuito,
che
schematizziamo
con un generatore ideale di corrente costante IB = 60 µA; l'elettrodo di collettore (C), è polarizzato
dall'alimentatore
(un generatore di tensione
con vo = VCC = 12 volt) attraverso il resistore
R = 1 k. Se il guadagno di corrente del transistore, in queste condizioni, è pari a 100, la corrente
continua che scorre nel collettore è IC = 6 mA e la corrispondente tensione del collettore, rispetto al
riferimento comune di massa, è VC = VCC - ICR = 6 volt. Calcolando la potenza assorbita dai vari
elementi, si ottiene: per il generatore di alimentazione p A = -72 mW (esso, cioè, fornisce potenza),
per il resistore pR = 36 mW, per il transistore pT = 36 mW, avendo trascurato la potenza dissipata nel
circuito di base del transistore.
Quando all'ingresso del circuito viene applicato il generatore di corrente variabile i b(t),
questa corrente scorre nella base del transistore, sovrapponendosi a quella di polarizzazione. Se
l'eccitazione segue la legge ib(t) = Ibsenot, con ampiezza Ib = 102 µA, la corrente totale nella base
del transistore sarà iB(t) = IB + Ibsenot; e quella totale nel collettore sarà iC(t) = IC + Icsenot, con
ampiezza Ic=2 mA se il guadagno in corrente rispetto alle variazioni è uguale anch'esso a 100. La
tensione del collettore sarà allora: vC(t) = VCC  iC(t)R = VCC ICR  IcRsenot.
13
Dalle condizioni di polarizzazione, tuttavia, dipendono i valori del parametro di controllo e delle altre costanti che
figurano eventualmente nel modello del dispositivo.
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- Parte II pag. 28
In queste condizioni, la potenza assorbita dall'alimentatore è pA(t) = VCCiC(t), il cui valor
medio su un periodo è PA= 72 mW; la potenza assorbita dal resistore è iC2(t)R, con valor medio
PR = IC²R + ½Ic²R = 37 mW. La potenza assorbita dal transistore è vC(t)iC(t), con valor medio
PT = IC2R ½Ic2R = 35 mW.
Consideriamo ora il modello differenziale del circuito: un generatore di corrente controllato
in corrente con k = 100, comandato da un generatore esterno ib(t) alla porta d'ingresso, alla cui porta
d'uscita è collegato il resistore di carico R (il generatore VCC presenta infatti idealmente resistenza
interna nulla e tensione costante sicché nel modello differenziale viene considerato come un
cortocircuito).
Calcolando le potenze assorbite in alternata dagli elementi del circuito equivalente, si ottiene
che la potenza media assorbita dal carico è uguale a quella fornita dal generatore controllato:
PR = PGC = 1mW.
Ciò conferma quanto detto prima, ossia che il dispositivo elettronico "attivo" è
effettivamente attivo solo quando se ne considera il modello differenziale, mentre è passivo quando
si considerano i valori totali delle grandezze elettriche. Nel seguito, in accordo con l'uso corrente,
chiameremo attivi i dispositivi elettronici il cui modello o circuito equivalente per piccoli segnali
risulti attivo. Quello che in realtà si verifica, in tali dispositivi, è un fenomeno di conversione di
energia: più precisamente, parte dell'energia erogata dall'alimentatore (in continua) viene utilizzata
per accrescere l'energia del segnale variabile (in altrernata). E qui notiamo che generalmente
l'alimentatore fornisce energia in continua, ma questo non avviene sempre: negli amplificatori
parametrici l'energia viene fornita al circuito in alternata da una sorgente, detta pompa, e si verifica
poi una conversione dalla frequenza della pompa in quella del segnale d’uscita.
Oltre ai generatori controllati si definiscono vari altri elementi attivi ideali a due porte. Tra questi ci limitiamo
a citare i convertitori di impedenza negativa (negative impedance converters, NIC), che cambiano da passivo in attivo
un elemento bipolare, alterandone inoltre il valore.
VNIC
v1 = -k1v2
;
i1 = -k2i2
INIC
v1 = k1v2
;
i1 = k2i2
dove k1 > 0, kk > 0.
Collegando per esempio un resistore R alla porta 2 di un INIC, si ha: v 2 = -i2 R. Si ha d'altra parte v1 = k1 v2, da
cui v1 = -k1 i2 R. Dividendo per i1 = k2 i2, si ottiene infine: v1/i1 = - (k1/k2) R. Si conclude che il resistore R, osservato
attraverso la porta 1 dell'INIC, viene trasformato da passivo in attivo (o viceversa) e che il valore della resistenza viene
mutato nel rapporto k1/k2.
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