USL n°2
Azienda Sanitaria Regionale dell’Umbria
Linea Guida
Diagnostico - Terapeutica
La riabilitazione
della persona
con ictus cerebrale:
prove di efficacia e percorsi
Ottobre 2003
Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
Gruppo di lavoro per la Linea Guida
Giaimo Maria Donata - Medico - Coordinatore del gruppo
Antonini Rita - Medico Centro di Salute (Distr. n. 2)
Barzanti Daniela - Psicologa - Sezione Informazione ed Educazione per la Salute
Caramella Marcella - Medico Centro di Salute (Distr. n. 3)
Celani Maria Grazia - Neurologo Stroke Service, Ospedale Città della Pieve
Convito Luciano - A.L.I.C.E. (Associazione per la Lotta contro l’Ictus Cerebrale)
Costantini Giuliana - Fisioterapista Centro di Riabilitazione Territoriale (Distr. n.1)
Dalla Costa Sandro - Fisioterapista Centro di Riabilitazione Territoriale (Distr. n. 3)
Dondi Manuela - Fisioterapista Centro di Riabilitazione Territoriale (Distr. n. 4)
Gambuli Cintia - Fisioterapista Centro di Riabilitazione Territoriale (Distr. n. 1)
Germini Fabrizio - Medico di Medicina Generale
La Medica Alessandro - Medico Fisiatra Azienda USL 2 (Distr. n.1)
Lepri Bruno - Medico Fisiatra Azienda USL 2 (Distr. n. 2)
Marchegiani Italo - Infermiere Ospedale di Città della Pieve
Marroni Beatrice - Fisioterapista Centro di Riabilitazione Territoriale (Distr. n.1)
Musio Luigi - Fisioterapista Centro di Riabilitazione Territoriale (Distr. n.1)
Ottaviani Carlo - Infermiere Professionale Stroke Service, Ospedale Città della Pieve
Panciarola Manuela - Infermiera Professionale (Distr. n. 4)
Piacentini Stefania - Medico Centro di Salute (Distr. n.1)
Rossi Maria - Medico Centro di Salute (Distr. n. 4)
Susta Maria Adelaide - Medico di Medicina Generale
Vizioli Anna - Logopedista (Distr. n. 2)
Zampolini Mauro - Medico Responsabile Centro Ospedaliero di Riabilitazione
Intensiva di Passignano
Gruppo redazionale
Zampolini Mauro - Medico Responsabile C.O.R.I. di Passignano
Celani Maria Grazia - Neurologo Stroke Service, Ospedale Città della Pieve
Bovo Daniela - Staff Qualità e Promozione della Salute
Ranocchia Daniela - Staff Qualità e Promozione della Salute
Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
Presentazione
Il lavoro in équipe dei vari professionisti che intervengono su specifici percorsi di
diagnosi, cura e riabilitazione è uno dei presupposti affinché i Servizi Sanitari diano
risposte di qualità, ma questa modalità di lavoro rende ancora più difficile e
complesso attuare l’insieme di prestazioni che ognuno è chiamato a compiere.
Oltre ad un’elevata professionalità di ciascuno è necessario quindi poter contare
su strumenti condivisi che consentano “comportamenti clinici scientificamente
supportati allo scopo di assistere gli operatori e i pazienti nel decidere quali siano
le modalità di assistenza più appropriate in specifiche circostanze cliniche”.
Le linee guida si situano, quindi, in una strategia aziendale più ampia, tendente ad
un vero e proprio modello di governo clinico, inteso come “il contesto in cui i servizi
sanitari si rendono responsabili del miglioramento continuo della qualità
dell’assistenza e mantengono elevati livelli di prestazioni, creando un ambiente
che favorisce l’espressione dell’eccellenza clinica nel limite delle risorse disponibili”
(NHS White Paper 1999).
E’ in tal senso che quest’Azienda Sanitaria vuole riproporre con forza azioni di
miglioramento che, attraverso il lavoro di gruppi multiprofessionali, giungono oggi
a consegnare agli operatori questo importante documento sul “trattamento
riabilitativo del paziente con ictus”.
Questo traguardo, che è stato raggiunto grazie al contributo di medici, terapisti,
infermieri, ed altri professionisti, è importante non solo per i Servizi di riabilitazione
della nostra Azienda USL 2, ma può suscitare interesse più generale, in quanto in
Italia l’argomento della riabilitazione dei pazienti con ictus, non è stato, a quanto
ci risulta, ancora affrontato.
Sono quindi particolarmente soddisfatto nel vedere l’esito dell’impegno di
tutti quegli operatori che, adoperandosi per lavorare al meglio, hanno prodotto
questo documento; sarà nostra cura diffonderlo affinché venga applicato e valutato
in ogni servizio.
Ringrazio quanti hanno collaborato alla redazione di questa Linea Guida e, nella
convinzione che sarà uno strumento particolarmente efficace per migliorare la
qualità dell’assistenza in questo campo, invito i professionisti a utilizzarlo al meglio,
al fine di aiutare i pazienti a trarre il massimo beneficio dalla riabilitazione nel loro
percorso di reinserimento nella “normalità possibile”.
Il Direttore Generale
Alessandro Truffarelli
Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
Indice
Gruppo di lavoro per la linea guida
Presentazione
Introduzione
Lo scopo di questa linea guida
Elenco revisori esterni
Criteri metodologici
Premessa generale
1.Epidemiologia e storia naturale dell’ ictus
pag. 14
1.1
1.2
1.3
1.4
pag. 14
pag. 14
pag. 15
pag. 16
Incidenza e prevalenza
Prognosi
Storia naturale del recupero
Fattori predittivi del recupero
2. La valutazione
pag. 18
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
pag. 18
pag. 19
pag. 19
pag. 20
pag. 20
Premessa
Obiettivi della valutazione
Valutazione della menomazione
Valutazione della disabilità
Valutazione della qualità della vita
3. L’intervento riabilitativo
pag. 21
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
pag. 21
pag. 22
pag. 23
pag. 23
pag. 24
Il ruolo del gruppo multidisciplinare
La valutazione
Il progetto riabilitativo
La definizione degli obiettivi
Il programma riabilitativo
Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
4.La gestione del paziente con ictus
pag.25
4.1
pag. 25
pag. 25
pag. 26
pag. 26
pag. 27
pag. 29
pag. 31
pag. 32
pag. 32
pag. 32
pag. 33
pag. 35
pag. 36
pag. 36
4.2
4.3
4.4
4.5
4.6
4.7
4.8
4.9
4.10
4.11
4.12
4.13
4.14
4.15
4.16
Il programma di gestione clinica in fase acuta
4.1.1
Il monitoraggio delle funzioni vitali
La presa in carico dei bisogni essenziali
4.2.1
La nutrizione e l’idratazione
4.2.2
La disfagia
4.2.3
La funzionalità vescicale
4.2.4
La funzionalità intestinale
Le posture
4.3.1
Il posizionamento
4.3.2
La mobilizzazione
La comunicazione
La prevenzione delle complicanze
4.5.1
La prevenzione delle infezioni polmonari
4.5.2
La conservazione dell’integrità cutanea
4.5.3
La prevenzione della trombosi venosa
profonda e polmonare
4.5.4
La prevenzione della spalla dolorosa
Aspetti riabilitativi e trattamento
4.6.1
La prevenzione delle cadute
4.6.2
Il controllo o la prevenzione delle crisi epilettiche
4.6.3
Sessualità ed ictus
L’informazione, l’educazione del paziente e della famiglia
Il trattamento riabilitativo intensivo
4.8.1
Trattamento riabilitativo: le differenti scuole
4.8.2
L’efficacia del trattamento intensivo
La riabilitazione delle funzioni cognitive
La riabilitazione di deficit di comunicazione: afasia,
disartria e aprassia buccofacciale
La riabilitazione delle funzioni motorie
4.11.1 La spasticità
La riabilitazione delle funzioni sensitive e dolore
4.12.1 Il dolore
Altri deficit sensitivi
La riabilitazione dell’arto superiore
La rieducazione del cammino
I disturbi dell’umore
4.16.1 La depressione
pag. 36
pag. 37
pag. 39
pag. 39
pag. 40
pag. 40
pag. 40
pag. 42
pag. 43
pag. 43
pag. 43
pag. 44
pag. 45
pag. 46
pag. 48
pag. 48
pag. 49
pag. 49
pag. 49
pag. 50
pag. 50
Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
4.17
4.18
4.19
4.20
4.16.2 L’ansia
La dimissione
4.17.1 La dimissione precoce
L’utilizzo di ausili
Gli adattamenti ambientali
La rieducazione delle attività della vita quotidiana
pag. 51
pag. 51
pag. 53
pag. 54
pag. 54
pag. 55
5.Percorsi clinico riabilitativi del paziente con ictus
pag. 56
5.1
5.2
pag. 56
pag. 57
pag. 58
pag. 58
pag. 58
pag. 59
5.3
5.4
5.5
La riabilitazione nella fase acuta
La riabilitazione nella fase postacuta
5.2.1
La tipologia degli interventi
5.2.2
I vari ambienti riabilitativi
5.2.3
I criteri di scelta dell’ambiente riabilitativo
La riabilitazione intensiva
5.3.1
Riabilitazione intensiva ospedaliera
a ciclo continuativo
5.3.2
Riabilitazione intensiva delle gravi
cerebrolesioni acquisite
5.3.3
Riabilitazione intensiva in regime di day hospital
Riabilitazione estensiva
5.4.1
Strutture di degenza riabilitativa estensiva
5.4.2
Riabilitazione domiciliare o ambulatoriale?
5.4.3
Riabilitazione territoriale domiciliare
5.4.4
Riabilitazione territoriale ambulatoriale
5.4.5
Le fasi della presa in carico
5.4.6
La valutazione del domicilio
La riabilitazione nella fase cronica
5.5.1
La valutazione e il monitoraggio degli esiti
5.5.2
L’utilità dei “ricicli riabilitativi”
Allegati
Glossario
Bibliografia
Appendice
pag. 60
pag. 61
pag. 62
pag. 62
pag. 63
pag. 64
pag. 65
pag. 65
pag. 67
pag. 68
pag. 68
pag. 68
pag. 69
pag. 70
pag. 74
pag. 79
Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
Introduzione
La decisione di sviluppare linee guida specifiche per la nostra azienda è nata dalla
valutazione dei limiti presenti nelle Linee Guida già preesistenti: sia infatti quelle
straniere sia quelle italiane non sono immediatamente applicabili alla nostra realtà
locale, nella quale esiste una realtà riabilitativa da anni caratterizzata da una rete
di servizi territoriali ben consolidata, uno stroke service di recente istituzione e un
centro di riabilitazione intensiva, che ha un anno di attività.
La necessità di sviluppare linee guida locali per la riabilitazione dell’ictus è nata
però anche dall’esigenza di strutturare la rete dei servizi per il trattamento (dell’ictus)
secondo criteri basati sulle prove di efficacia. Infatti la strutturazione della rete
riabilitativa se non è regolata da criteri univoci di gestione della patologia e articolata
secondo criteri di efficienza e di efficacia, rischia di rimanere un buon esercizio
teorico senza ricaduta pratica per il paziente.
Infine, altro obiettivo di queste linee guida è quello di raggiungere tutti gli operatori
intra ed extraospedalieri per promuovere la cultura del lavoro multidisciplinare, in
cui più professionalità si incontrano per articolare un efficace progetto per la cura
del paziente, tenendo presente che l’obiettivo finale è il raggiungimento della miglior
qualità della vita del paziente e dei familiari.
Lo scopo di questa linea guida
Scopo di queste linee guida aziendali è quello di assistere i medici, gli operatori
degli ospedali e dei servizi territoriali nella gestione del paziente con ictus dal
momento dell’evento sino al ritorno della miglior qualità della vita possibile,
delineando il percorso più idoneo alle sue caratteristiche sia come persona malata
sia come individuo, attraverso i seguenti processi:
1. Prevenire e gestire le complicanze correlate all’ictus (precoci e tardive);
2. Organizzare in maniera multidisciplinare l’intervento ponendo il paziente al
centro del proprio lavoro;
3. Individuare nella fase precoce appropriate strategie riabilitative per coloro che
presentano una disabilità residua dopo l’evento ictus;
4. Definire un progetto riabilitativo che preveda il coordinamento e l’integrazione
delle diverse figure professionali, che prendono in carico il paziente nelle diverse
fasi temporali del programma riabilitativo.
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Elenco revisori esterni
Prof.ssa Livia Candelise
Dip. Scienze Neurologiche Osp. Maggiore Policlinico
Via Sforza, 35 Padiglione Ponti - Milano
Dott.ssa Anna Teresa Cantisani
Neurofisiopatologia Ospedale Silvestrini
Sant’Andrea delle Fratte - Perugia
Dott. Antonio De Tanti
Ospedale Valduce
Centro di riabilitazione Villa Beretta
Via N. Sauro,7 Costamasnaga - Lecco
Dott. Marco Franceschini
Azienda Ospedaliera di Parma
U.O. complessa di Medicina riabilitativa
Via Gramsci, 14 - Parma
Dott. Maurizio Massucci
U.O. di Riabilitazione Intensiva Neuromotoria
USL 3, Regione dell’Umbria
Piazza Garibaldi, 5 Trevi - Perugia
Dott.ssa Maria Cristina Pagliacci
Unità Spinale Unipolare Ospedale Silvestrini
Sant’Andrea delle Fratte - Perugia
Prof. Leandro Provinciali
Clinica di Neuroriabilitazione
Ospedale Regionale Torrette - Ancona
Dott. Roberto Sterzi
Ospedale San’Anna Dipartimento di Neurologia
Via Napoleona, 60 - Como
Dott.ssa Mariangela Taricco
Azienda Ospedaliera “G. Salvini”
U.O. di Recupero e Rieducazione Funzionale
Via Settembrini, 1 Passirana di Rho - Milano
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Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
Criteri metodologici
Questa Azienda ha già pubblicato diverse Linee Guida per le principali patologie
tutte realizzate da gruppi multidisciplinari e multiprofessionali. La stessa metodologia
è stata utilizzata per le linee guida della riabilitazione dell’ictus. Il gruppo ha visto
la partecipazione di diversi professionisti:
Coordinatore del Servizio Qualità
Infermieri Professionali del territorio e degli ospedali
Fisiatri
Fisioterapisti
Logopedista
Medici di Medicina Generale
Neurologo esperto della fase acuta dell’ictus
Medici responsabili dei Centri di Salute
Psicologa
Rappresentanti dell’associazione ALICE
Dopo una riunione relativa alla metodologia, sono stati assegnati compiti di ricerca
delle prove di efficacia distinte per le varie professionalità. Ogni gruppo aveva il
compito di scrivere dei contributi basandosi su uno schema di sommario generale
precostituito. Successivamente i vari contributi sono stati inseriti in un unico
documento che costituiva la bozza di lavoro da restituire ai vari componenti. Ad
ogni avanzamento si svolgeva una riunione generale dove venivano discussi i punti
critici anche leggendo i vari capitoli. Nella fase finale un gruppo più ristretto ha
svolto un lavoro di controllo e supervisione cercando di schematizzare e graduare
le raccomandazioni.
Le prove di efficacia sono state ricavate dalla lettura di:
Linee guida disponibili sulla riabilitazione dell’ictus, ricorrendo anche ad internet
attraverso i vari motori di ricerca e soprattutto attraverso il sito della National
Guidelines Clearinghouse (www.guidelines.com);
Report di valutazione tecnica dei servizi sanitari esteri;
Banche dati quali “The Cochrane Library” e “Clinical Evidence”;
Ricerca in Medline e analisi degli abstracts e degli articoli di maggior rilevanza:
parola chiave “stroke and rehabilitation”;
Lavori originali ricavati dalla lettura delle principali riviste.
Classificazione dei livelli di evidenza
La graduazione delle raccomandazioni è stata articolata secondo il seguente schema:
Ia Prove di efficacia ottenute da meta-analisi di studi randomizzati controllati;
Ib Prove di efficacia ottenute da almeno uno studio randomizzato controllato;
IIa Prove di efficacia ottenute da almeno uno studio ben disegnato controllato non
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Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
randomizzato;
IIb Prove di efficacia ottenute da almeno uno studio ben disegnato;
III Prove di efficacia ottenute da almeno uno studio ben disegnato non sperimentale
descrittivo come studi comparativi, di correlazione e studio di casi;
IV Prove di efficacia ottenute da un comitato di esperti o opinioni di autorità
scientifiche rispettate.
Livelli di raccomandazione
Grado A Corrisponde ai livelli di evidenza Ia, Ib
Grado B Corrisponde ai livelli di evidenza IIa, IIb, III
Grado C Corrisponde ai livelli di evidenza IV
Valutazione da parte di revisori esterni
Nella fase finale le linee guida sono state sottoposte a revisione esterna da parte di
esperti nazionali individuati dal gruppo multidisciplinare.
I revisori hanno proposto delle modifiche che sono state in parte implementate.
Aggiornamento Linee Guida
E’ previsto l’aggiornamento a due anni.
Implementazione
Pur non esistendo una specifica strategia di implementazione, le Linee Guida
costituiscono la base per una serie di operazioni.
In primo luogo costituiscono il riferimento per ridefinire i percorsi assistenziali e
riabilitativi della persona colpita da ictus. A questo proposito sono stati costituiti
due gruppi: uno per la definizione dei percorsi attuali ed un altro per la definizione
del percorso ideale come sintesi tra le condizioni locali di funzionamento della rete
riabilitativa e quelle suggerite dalle prove di efficacia.
E’ in corso di realizzazione uno specifico aggiornamento dei Medici di Medicina
Generale sulla riabilitazione della persona con ictus, nel quale vengono presentate
anche queste Linee Guida.
Le Linee Guida per la riabilitazione della persona con ictus cerebrale vedranno una
diffusione capillare tra tutti i professionisti che intervengono su questo problema.
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Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
Premessa generale
L’estrema variabilità nel grado di disabilità, di handicap e di qualità della vita che
si può verificare dopo un ictus, rende necessario definire per ogni singolo paziente
uno specifico progetto riabilitativo e organizzare i servizi delle aziende USL in modo
da offrire risposte diversificate ai bisogni dei pazienti. Tali bisogni sono a loro volta
determinati non solo dalle condizioni cliniche, ma anche dal contesto familiare,
da quello sociale, nonché dalle capacità e aspettative del paziente prima della
malattia.
Un rapporto dell'OMS del 1989 suddivideva i pazienti rispetto alla prognosi
riabilitativa in 3 gruppi:
1. Pazienti che recuperano anche senza intervento riabilitativo
2. Pazienti che possono migliorare solo grazie ad un intervento riabilitativo
3. Pazienti con ridotte possibilità di miglioramento a prescindere da qualsiasi tipo
di intervento riabilitativo.
In questa linea guida vengono quindi descritti gli elementi fondamentali di un
percorso riabilitativo, ovvero tutti gli elementi che in base alla letteratura scientifica
risultano supportati da prove di efficacia. Deve però essere ricordato che le evidenze
più forti si ritrovano proprio quando si affronta il tema della stroke unit, in ragione
del fatto che tale organizzazione è stata più a lungo sperimentata nei paesi
anglosassoni.
In questa linea guida si è però cercato di porre particolare attenzione agli snodi,
ovvero alle fasi di passaggio da una struttura all'altra, proprio perché è in queste
fasi che il paziente risente maggiormente di carenze o disfunzioni organizzative.
Va infine ricordato che,come sottolineato dall’OMS, non tutti i pazienti necessitano
di un intervento riabilitativo che si sviluppi lungo tutto l’arco dei servizi erogabili,
ma una rete ben funzionante deve essere in grado di modulare la propria risposta
in base alle specifiche esigenze del singolo malato.
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Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
Epidemiologia e storia naturale dell’Ictus
1. EPIDEMIOLOGIA E STORIA NATURALE
DELL’ICTUS
1.1 Incidenza e prevalenza
Si intende per ictus un deficit neurologico focale o generalizzato (coma), i cui
sintomi e segni persistono per almeno 24 ore.
E’ una malattia a elevato tasso di incidenza e mortalità, che coinvolge un gran
numero di persone, particolarmente anziani. I sopravvissuti spesso presentano
significative limitazioni fisiche, cognitive e psicologiche.
Il progressivo invecchiamento della popolazione comporta un aumento di incidenza
degli eventi, anche se gli interventi farmacologici della fase acuta e il trattamento
precoce delle complicanze potrebbero determinare un aumento di sopravvissuti
e quindi un maggior numero di soggetti con nuovo handicap.
Uno studio prospettico su popolazione, definito “ideale”, condotto in Umbria
(SEPIVAC 1986-1989) mostra che l’incidenza dell’ictus cerebrale ha un tasso grezzo
di 254 per 100000 residenti per anno (Ricci, Celani et al. 1991).
Standardizzando il dato alla popolazione italiana si ha un incidenza di 181 nuovi
casi per 100000/anno (circa 120.000 casi di nuovo ictus) come nel caso di altri studi
“ideali” analoghi (Sudlow and Warlow 1997) - Tab. 1.
Tab.1
Incidenza/anno/per la popolazione italiana
Ictus ischemico
136/100.000/anno
Ictus emorragico
24/100.000/anno
Emorragia subaracnoidea
6-8/100.000/anno
1.2 Prognosi
Circa il 10% dei pazienti con ictus ischemico muore entro 30 giorni; la mortalità è
molto più alta se si considerano anche gli ictus emorragici (intraparenchimali e le
emorragie subaracnoidee), arrivando al 20% circa; ad un anno raggiunge il 30%
(Ricci, Celani et al. 1991).
La principale causa di morte nella prima settimana è direttamente conseguente al
danno cerebrale; seguono poi le cause di morte secondarie all’immobilizzazione.
Tra queste sono più frequenti le polmoniti e le embolie polmonari.
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Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
Epidemiologia e storia naturale dell’Ictus
Anche piaghe da decubito, infezioni e malnutrizione possono essere cause di morte
se non prevenute e trattate in modo adeguato.
Le complicanze relative alla fase acuta possono coinvolgere fino al 60% dei pazienti
ospedalizzati e nei 2/3 dei casi possono essere multiple.
Per quanto riguarda l’handicap residuo dopo un mese dall’evento il 55% dei pazienti
ha perso lo stile di vita precedente ed è dipendente da altri negli atti della vita
quotidiana.
Tale percentuale può diventare molto più alta (fino al 95%) nel caso degli ictus
ischemici gravi, mentre è considerevolmente più bassa (fino al 45,5%) nelle sindromi
lacunari e nelle sindromi del circolo posteriore.
1.3 Storia naturale del recupero
Il paziente affetto da ictus presenta un recupero spontaneo che può essere facilitato
da un intervento riabilitativo.
La storia naturale della malattia prevede che la maggior parte del recupero sensitivomotorio e cognitivo avvenga nei primi 3 mesi (Wade and Hewer 1987), (Andrews,
Brocklehurst et al. 1981), (Duncan, Goldstein et al. 1992); (Kotila, Waltimo et al.
1984), (Skilbeck, Wade et al. 1983), (Nakayama, Jorgensen et al. 1994). Le capacità
funzionali migliorano ulteriormente, sia pure con minore intensità e rapidità nei
successivi tre mesi, per poi stabilizzarsi entro l’arco dell’anno (Ferrucci, Bandinelli
et al. 1993). Il recupero della disabilità sembra avvenire nel 50% dei pazienti affetti
da afasia entro il primo mese, ma prosegue oltre i primi sei (Wade and Hewer 1987).
La maggior parte del recupero della menomazione è raggiunto in media in 11
settimane, mentre il miglior recupero dell'auto-accudimento e della capacità di
movimento si ottiene in 12,5 settimane (Jorgensen, Nakayama et al. 1995)-Tab. 2.
Tab. 2
Settimane di recupero
Cammino
ADL
6
8,5
Lieve
Intermedio
13
Grave
11
Molto grave
17
20
15
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Epidemiologia e storia naturale dell’Ictus
1.4 Fattori predittivi del recupero
La possibilità di prevedere i tempi di recupero è fondamentale per il progetto
riabilitativo e per il corretto percorso terapeutico. La difficoltà di individuare i
fattori che agiscono in modo indipendente sul recupero ne ha reso difficile la sicura
definizione.
Età
L’età avanzata è un fattore prognostico negativo anche se non è chiaro se questo
agisca in ragione dell’aumento delle comorbilità (Kotila, Waltimo et al. 1984),
(Waltimo, Kaste et al. 1976), (Kalra 1994), (Paolucci, Antonucci et al. 1998), (Wade,
Langton-Hewer et al. 1984), (Wade, Skilbeck et al. 1983), (Kwakkel, Wagenaar et al.
1996), (Alexander 1994), (Granger, Hamilton et al. 1992), (Macciocchi, Diamond et
al. 1998).
Sesso
I soggetti di sesso femminili vengono ricoverati in residenze protette con una
frequenza doppia rispetto ai soggetti di sesso maschile (Kelly-Hayes, Wolf et al.
1988); i maschi sposati hanno una probabilità più bassa di essere istituzionalizzati.
In generale le donne hanno un recupero della menomazione e della disabilità più
limitato rispetto all’uomo a causa di una più grave menomazione (Wyller, Sodring
et al. 1997). Le variabilità di questo obiettivo di prognosi sono condizionate dai
paesi in cui sono stati fatti i singoli studi; l’istituzionalizzazione infatti può essere
condizionata da cultura e tradizione locali.
Sede e tipo di lesione
Le lesioni lacunari hanno una prognosi migliore rispetto a lesioni più estese (Clavier,
Hommel et al. 1994; Samuelsson, Soderfeldt et al. 1996, Adams 1999). Le lesioni
dei nuclei della base e della capsula interna producono una flaccidità prolungata
e sono correlate con una prognosi negativa (Miyai, Blau et al. 1997; Miyai, Suzuki
et al. 2000). Le lesioni corticali sono correlate con una peggior disabilità se
confrontate con le lesioni sottocorticali. Le lesioni corticali, inoltre, correlano con
il peggior recupero in base alle dimensioni dell’area cerebrale colpita (Beloosesky,
Streifler et al. 1995).
Gravità del danno sensitivo-motorio
La gravità della menomazione influenza negativamente il recupero (Macciocchi,
Diamond et al. 1998). Tra i pazienti con ictus grave hanno più probabilità di recupero
quelli più giovani, con una moglie e la precocità del recupero (Jorgensen, Reith et
al. 1999). Uno scarso controllo del tronco misurato con il Trunk Control Test
all’ingresso in riabilitazione è predittivo di scarso recupero motorio
(Franchignoni, Tesio et al. 1997).
16
Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
Epidemiologia e storia naturale dell’Ictus
I deficit sensitivi, in particolare quello propriocettivo, sono correlati con una minor
possibilità di recupero (Feigenson, McDowell et al. 1977) e in particolare del
recupero della deambulazione (Moskowitz, Lightbody et al. 1972).
Anche i deficit campimetrici diminuiscono le possibilità di recupero (Wade, Skilbeck
et al. 1983) (Feigenson, McDowell et al. 1977) (Sanchez-Blanco, 1999), soprattutto
se i pazienti sono anziani (Kalra, Smith et al. 1993). I deficit di campo visivo sono
associati a una minor sopravvivenza e condizionano il successo del ritorno all’attività
sociale e lavorativa (Kerkhoff 2000).
Deficit cognitivi e livello di coscienza
La diminuzione del livello di coscienza in fase acuta è un altro indice predittivo
negativo (Kwakkel, Wagenaar et al. 1996), (Kwak, Kadoya et al. 1983), (Stegmayr,
Asplund et al. 1999), (Bushnell, 1999).
Anche il deficit cognitivo in generale influenza negativamente il recupero (Paolucci,
Antonucci et al. 1996).
L’afasia iniziale non è correlata con il recupero motorio ma la gravità dell’afasia è
predittiva di un peggior recupero dell’afasia stessa (Pedersen, Jorgensen et al.
1995), (Pedersen, Jorgensen et al. 1997).
Il neglect si associa ad un minor recupero funzionale anche se non è dimostrato
quanto sia importante il suo ruolo in assenza di altri fattori (Kalra, Perez et al. 1997),
(Paolucci, Antonucci et al. 1998), (Pedersen, Jorgensen et al. 1997). Può favorire
ripetuti incidenti (Diller and Weinberg 1970) e correla con un maggior deficit nelle
attività della vita quotidiana (Walker and Lincoln 1991).
In termini di handicap (valutato con la Oxford Handicap Scale) non è stata
dimostrata differenza tra ictus emisferici destri e sinistri pur essendoci maggiore
incidenza di deficit sensitivo motori, di neglect e deficit di campo visivo per gli
ictus emisferici destri (Sterzi, Bottini et al. 1993).
Incontinenza sfinterica
L’incontinenza sfinterica si correla negativamente con il recupero della disabilità
e dell’handicap (Di Carlo, Lamassa et al. 1999), (Roth, Lovell et al. 2002).
Depressione e motivazione
La motivazione è un elemento importante nel processo di recupero. Quando è
mediocre, aumenta la dipendenza a lungo termine nelle attività della vita quotidiana
(Zippel 1984), (Grimby, Andren et al. 1998). La depressione correla negativamente
con le possibilità di recupero (Kotila, Waltimo et al. 1984), (Angeleri, Angeleri et
al. 1993), (Singh, Black et al. 2000), (Paolucci, Antonucci et al. 1998), (Herrmann,
Black et al. 1998) ed influenza negativamente il processo riabilitativo (Sinyor, Amato
et al. 1986).
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La valutazione
2. LA VALUTAZIONE
2.1 Premessa
Lo stato di salute è una condizione relativa, dipendente anche dalle condizioni
soggettive e socioculturali della persona stessa.
In accordo con le nuove definizioni ICF (International Classification of Functioning,
Activities and Participation) la condizione di salute è caratterizzata da 3 dimensioni:
1.La dimensione del corpo articolata in 2 aspetti:
- Le funzioni del corpo: fisiologiche e psicologiche
- Le strutture del corpo: le parti anatomiche.
2.La dimensione delle attività cioè la capacità di svolgere un compito
3.La dimensione della partecipazione cioè il coinvolgimento nella vita quotidiana
La classificazione ICF costituisce un linguaggio nuovo che identifica uno schema
moderno di concepire lo stato di salute, esplorando la persona disabile su un
modello multidimesionale. Tale classificazione non rappresenta nemmeno una
nuova forma di valutazione anche se in essa sono contenuti aspetti di quantificazione.
Condizione di salute
(Malattia)
Funzioni del Corpo
(Menomazione)
Attività
(Limitazione Attività)
Fattori
Personali
Partecipazione
(Restrizione partecip.)
Fattori
Ambientali
Un evento patologico produce una serie di alterazioni che determinano modifiche
della condizione di salute:
1.La menomazione rappresenta la conseguenza funzionale del danno;
2.La disabilità è un termine comprensivo della limitazione funzionale con la
limitazione dell’attività e la restrizione della partecipazione;
3.L’handicap è un termine che è superato dal concetto di limitazione della
partecipazione in relazione ai fattori ambientali.
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La valutazione
La valutazione in riabilitazione deve quindi esplorare tutte e tre le dimensioni
tenendo conto di tutti gli aspetti sottoelencati:
1. la limitazione funzionale;
2. la restrizione della partecipazione e la limitazione delle attività;
3. I fattori ambientali facilitanti e limitanti che influenzano le attività e la
partecipazione;
4. I fattori personali che intervengono.
2.2 Obiettivi della valutazione
Costituiscono obiettivi generali della valutazione:
- documentare la diagnosi di ictus, l’eziologia, l’area cerebrale coinvolta, le
manifestazioni cliniche, le comorbilità, lo stato clinico e funzionale prima dell’evento;
- stabilire i trattamenti necessari durante le fasi della malattia acuta;
- stabilire quanto il paziente possa beneficiare della riabilitazione;
- definire il progetto riabilitativo più appropriato;
- monitorare i progressi durante la riabilitazione e facilitare la dimissione;
- monitorare i progressi dopo il ritorno alla vita sociale.
Perché tali obiettivi siano concretamente raggiunti è necessario che :
1. la valutazione avvenga in modo standardizzato per facilitare la riproducibilità
sia per lo stesso operatore in tempi diversi sia tra diversi operatori;
2. la valutazione venga documentata nella cartella clinica;
3. le tre dimensioni vengano sottoposte a valutazione più volte lungo il percorso
riabilitativo e almeno ogniqualvolta il paziente passa da un ambiente di cura
all’altro.
2.3 Valutazione della menomazione
I principali punti da valutare sono:
1. Stato di coscienza
2. Deficit motori
forza muscolare
anormalità del tono muscolare e sinergie patologiche
3. Deficit somatosensoriali
4. Deficit delle funzioni cognitive
Attenzione
Memoria
Aprassia
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La valutazione
Neglect
Afasia
Agnosia
Funzioni esecutive
5. Deficit della coordinazione e dell’equilibrio (compreso il cammino)
6. Disartria
7. Deficit della visione (acuità visiva, campo visivo e visione binoculare)
8. Disturbi comportamentali e dell’umore
9 Aspetti funzionali:
Nutrizione
Idratazione
Deglutizione
Continenza degli sfinteri
Ritmo sonno - veglia
2.4 Valutazione della disabilità
La valutazione della disabilità consiste nella quantificazione della capacità di
svolgere le attività quotidiane nell’ambiente di vita della persona disabile. Tale
valutazione può essere fatta in senso assoluto esaminando la performance nello
svolgere le singole azioni (lavarsi, mangiare, camminare, vestirsi, avere cura di sé
etc.) oppure in senso relativo dando importanza ad attitudini personali e sociali,
ad esempio la disabilità reale derivante dal disturbo di comunicazione è diversa
tra chi esercita lavori manuali (muratore, artigiano, etc) e chi esercita lavori che
prevedono abilità comunicative (avvocato, venditore ambulante, insegnante etc),
oppure la difficoltà di preparare bevande calde è un problema per un inglese, lo è
molto meno per un italiano. In questo caso il concetto di disabilità è assimilabile,
per certi aspetti al concetto di handicap.
Per la quantificazione della disabilità le scale più usate sono: l’indice di Barthel e
la FIM (Functional Indipendance Measure) mentre la scala più conosciuta per
quantificare l’handicap è un scala mista di disabilità/handicap (Oxford Handicap
Scale).
2.5 Valutazione della qualità della vita
La valutazione della qualità della vita correlata all’ictus è ancora materia di
discussione, in quanto misura di prognosi solo recentemente studiata (Mackenzie
and Chang 2002), (Secrest and Thomas 1999), (de Haan, Aaronson et al. 1993). Le
scale più comunemente usate sono l’EuroQol e l’SF-36 (Hobart, Williams et al.
2002), (Dorman, Slattery et al. 1998). L’EuroQol valuta 6 condizioni (mobilità, cura
di sé, attività usuali, dolore, aspetti psicologici, autoquantificazione della qualità
della vita correlata alla salute). L’SF-36 valuta 8 condizioni (la funzione fisica in
assoluto e legata al ruolo, la funzione sociale, il dolore, la salute mentale, la funzione
psicologica relativa al ruolo, la vitalità e la salute generale).
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L’intervento riabilitativo
3. L’INTERVENTO RIABILITATIVO
La riabilitazione, accanto agli interventi farmacologici della fase acuta, si può
ritenere la principale forma di intervento per i pazienti che hanno subito un ictus.
E’ finalizzata ad ottenere il recupero della menomazione, l’ottimizzazione delle
abilità residue e il miglioramento della partecipazione. L’obiettivo è quello di
migliorare la qualità della vita attraverso il recupero del miglior livello fisico, cognitivo,
psicologico, funzionale e delle relazioni sociali nell’ambito dei bisogni e delle
aspirazioni dell’individuo e della sua famiglia (RCPE 2000).
Si sviluppa attraverso 5 linee di intervento (Sacco, Benjamin et al. 1997):
1. prevenzione, individuazione e trattamento delle malattie associate e delle
complicazioni legate alla fase acuta;
2. sostegno al paziente ed a quanti si occupano di lui, finalizzato a sopportare il
peso psicologico della malattia e a facilitare l’adattamento;
3. prevenzione della disabilità secondaria, promuovendo la reintegrazione nella
famiglia, come nucleo essenziale della comunità in cui il soggetto viveva, ma
anche se possibile, nelle attività lavorative e ricreative;
4. miglioramento della qualità della vita ottimizzando la gestione della disabilità
residua
5. prevenzione delle recidive e delle altre patologie vascolari associate.
La riabilitazione dell’ictus è quindi un processo attivo che inizia fin dall’evento
acuto e che procede, per coloro che presentano un danno residuo, attraverso uno
specifico progetto.
E’ possibile suddividere tale processo in 3 stadi che si succedono
cronologicamente:
1. Il primo stadio ha inizio al momento dell’insorgenza dell’ictus e dura per tutta
la fase acuta;
2. II secondo prende avvio in funzione delle disabilità che residuano, non appena
superata la fase acuta di malattia; può comportare l’intervento sia delle strutture
ospedaliere sia di quelle extraospedaliere di riabilitazione;
3. Il terzo stadio richiede interventi sanitari meno sistematici (in quanto rivolti
ad una condizione di disabilità stabilizzata) e finalizzati al mantenimento del
livello di autonomia raggiunto dal soggetto e alla prevenzione delle possibili
ulteriori involuzioni.
3.1 Il ruolo del gruppo multidisciplinare
La riabilitazione del paziente con ictus è un processo multidisciplinare in cui un
insieme di professionalità diverse contribuisce alla gestione globale del paziente,
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L’intervento riabilitativo
ponendolo al centro del proprio lavoro quotidiano.
Per tale ragione assume estrema importanza un’organizzazione dei servizi che
permetta il lavoro di gruppo, in ogni fase del percorso riabilitativo.
Per lavoro di gruppo si intende il modo di lavorare integrato di un insieme di figure
professionali che operano all’interno di un’unità funzionale, ottenendo risultati
superiori a quelli riconducibili alla semplice somma dei singoli interventi.
Il gruppo multidisciplinare si compone prevalentemente di medici, infermieri,
fisioterapisti, terapisti occupazionali, terapisti delle funzioni cognitive e del linguaggio.
Tuttavia, laddove le risorse lo consentano, sono di estrema importanza per il gruppo
psicologi, dietisti e assistenti sociali.
Le singole figure professionali che compongono il gruppo assumono importanza
all’interno dello stesso in base alla definizione del ruolo e delle funzioni di ciascuno.
Ruolo e funzioni si modificano a seconda della fase del percorso nella quale si viene
a trovare il paziente.
Ciò avviene per esempio anche per il neurologo con competenza nell’ictus e il medico
esperto di riabilitazione: il ruolo di questi due professionisti cambia infatti a seconda
delle fasi. Il neurologo è responsabile della gestione del paziente in fase acuta, ma
si avvale delle competenze del medico esperto in riabilitazione, che è responsabile
del progetto riabilitativo.
Viceversa nella fase riabilitativa vera e propria il neurologo fornisce il proprio supporto,
rispetto agli aspetti clinici specifici, al medico competente in riabilitazione, che è
responsabile della gestione del malato.
Spetta al gruppo multidisciplinare la presa in carico del paziente, che avviene
attraverso la valutazione, la gestione e la definizione di una dimissione programmata.
3.2 La valutazione
Fin dalla fase acuta, il gruppo multidisciplinare ha come primo obiettivo la valutazione
di ogni paziente con ictus che si ricovera allo scopo di inquadrare le condizioni cliniche
e definire il progetto riabilitativo. La valutazione deve essere il più precoce possibile.
Per tale ragione può essere effettuata anche singolarmente dalle diverse figure
professionali che compongono il gruppo per poi essere ricomposta in occasione della
definizione del progetto riabilitativo individuale (Wade 1998). E’ fondamentale che
il gruppo di operatori responsabile del progetto riabilitativo discuta e valuti con periodicità
stabilita all’interno di riunioni strutturate gli obiettivi da raggiungere e i progressi ottenuti.
La cadenza dipende dalla durata prevista della degenza del paziente.
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L’intervento riabilitativo
Il monitoraggio quotidiano della menomazione e della disabilità va effettuata in
riferimento ad una scheda strutturata che costituisce la base per aggiornare il
programma (Stuck, Siu et al. 1993).
Raccomandazione: la valutazione è un processo multidisciplinare aggiornato
periodicamente (Grado A).
3.3 Il progetto riabilitativo
Si definisce progetto riabilitativo individuale 1'insieme di proposizioni, elaborate
da un gruppo riabilitativo multidisciplinare, coordinato da un medico specialista
competente in riabilitazione, che tenendo conto dei bisogni, delle menomazioni
e delle disabilità recuperabili, delle abilità residue, nonché delle preferenze del
paziente e dei suoi familiari, definisce nelle linee generali gli obiettivi, i tempi e le
azioni necessarie per il raggiungimento degli esiti desiderati.
Per ogni paziente con ictus deve essere elaborato un progetto riabilitativo, che
preveda obiettivi multipli, tutti finalizzati al raggiungimento dell’autonomia e quindi
al miglioramento della qualità della vita .
3.4 La definizione degli obiettivi
Uno degli elementi che determina l’efficacia dell’intervento riabilitativo è la
definizione di obiettivi cioè l’identificazione, da parte del gruppo multidisciplinare,
di specifici obiettivi da raggiungere in un dato periodo di tempo con l’accordo del
paziente e della famiglia (Stolee, Rockwood et al. 1992; Rockwood, Joyce et al. 1997).
Gli obiettivi debbono essere comprensibili, raggiungibili e possono essere suddivisi
in obiettivi a breve, medio e lungo termine. Ciascun membro del gruppo dovrebbe
condividere la terminologia, gli strumenti per la registrazione delle diverse fasi del
processo e quelli per la valutazione del raggiungimento degli obiettivi.
I progressi e le difficoltà incontrate debbono essere adeguatamente documentate.
Il progetto riabilitativo individuale deve essere modificato ogni qualvolta si verifichi
un cambiamento sostanziale degli elementi in base a cui è stato elaborato (bisogni,
preferenze, menomazioni, abilità-disabilità residue, limiti ambientali e di risorse,
aspettative, priorità) anche in relazione ai tempi, alle azioni e/o alle condizioni
precedentemente definite.
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L’intervento riabilitativo
3.5 Il programma riabilitativo
All'interno del progetto riabilitativo, il programma definisce le aree di intervento
specifiche, gli obiettivi a breve termine, i tempi e le modalità di erogazione degli
interventi, la verifica e gli operatori coinvolti.
In particolare definisce:
gli interventi specifici durante il periodo di presa in carico, compresi gli obiettivi
immediati e quelli a breve termine e ne prevede l’aggiornamento nel tempo;
le modalità e i tempi di erogazione delle singole prestazioni previste negli stessi
interventi;
le misure di esito e i tempi di verifica più appropriati per valutare gli interventi;
i singoli operatori coinvolti negli interventi e il relativo impegno.
Il programma riabilitativo deve essere puntualmente verificato e periodicamente
aggiornato durante il periodo di presa in carico.
Il progetto riabilitativo
indica il medico specialista responsabile del progetto stesso;
tiene conto in maniera globale dei bisogni, delle preferenze del paziente (e/o dei
suoi familiari, quando è necessario), delle sue menomazioni, disabilità e, soprattutto,
delle abilità residue e recuperabili, oltre che dei fattori ambientali, contestuali e
personali;
definisce gli esiti desiderati, le aspettative e le priorità de1 paziente, dei suoi
familiari, quando è necessario, e dell'équipe curante;
deve dimostrare la consapevolezza e comprensione, da parte dell'intera équipe
riabilitativa, dell'insieme delle problematiche dei paziente, compresi gli aspetti che
non sono oggetto di interventi specifici, e di regola può non. prevedere una
quantificazione degli aspetti di cui sopra, ma ne dà una descrizione, in, termini
qualitativi e generali;
definisce il ruolo dell'équipe riabilitativa, composta da personale adeguatamente
formato, rispetto alle azioni da intraprendere per il raggiungimento degli esiti
desiderati;
definisce, nelle linee generali, gli obiettivi a breve, medio e lungo termine, i tempi
previsti, le azioni e le condizioni necessarie al raggiungimento degli esiti desiderati;
è comunicato in modo comprensibile ed appropriato al paziente. e ai suoi familiari;
è comunicato a tutti gli operatori coinvolti nel progetto stesso;
costituisce il riferimento per ogni intervento svolto dall'équipe riabilitativa.
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la gestione del paziente con ictus
4. LA GESTIONE DEL PAZIENTE CON ICTUS
Gli obiettivi prioritari del gruppo multidisciplinare nella gestione del paziente in
fase acuta sono:
porre una accurata diagnosi eziopatogenetica;
gestire il paziente in maniera globale;
individuare la terapia acuta più adeguata e prevenire recidive;
gestire in modo adeguato le comorbidità;
prevenire e gestire le complicanze;
definire prima possibile il progetto riabilitativo.
(RCPE 2000)
La gestione da parte del gruppo multidisciplinare è concretamente realizzabile in
questa fase attraverso il ruolo prevalente dell’infermiere che rappresenta il collettore
esecutivo degli interventi delle diverse professionalità.
Diventa molto importante che all’interno del gruppo si mantenga un’attiva
comunicazione che consenta la condivisione della conoscenza dei problemi da
parte delle diverse figure professionali, l’armonizzazione del lavoro e l’aggiornamento
continuo del programma.
All’interno del gruppo multidisciplinare la sostituzione di una qualunque figura
professionale va preceduta da un adeguato addestramento alla nuova metodologia
di lavoro (The Intercollegiate Working Party for Stroke 2000).
4.1 Il programma di gestione clinica in fase acuta
La gestione in fase acuta si articola in 4 fasi:
1) Il monitoraggio delle funzioni vitali;
2) La presa in carico dei bisogni essenziali del paziente;
3) La prevenzione e gestione delle complicanze;
4) L’informazione e l’educazione del paziente e della famiglia.
4.1.1 Il monitoraggio delle funzioni vitali
L’infermiere con specifiche competenze nell’ictus valuta:
la pressione arteriosa,
i parametri clinici cardiaci e polmonari,
la temperatura corporea,
i livelli di glicemia,
la stabilità del quadro neurologico.
Questi parametri sono i più importanti e vanno monitorizzati con regolarità nei
primi giorni di malattia (Indredavik, Bakke et al. 1999), (SPREAD 2000).
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la gestione del paziente con ictus
Raccomandazione:
la maggior parte di queste osservazioni deve essere ripetuta da 4 a 6 volte al giorno
nelle prime 48/72 ore (Grado A).
4.2 La presa in carico dei bisogni essenziali
Ad ogni paziente con ictus va garantita un’adeguata risposta a bisogni essenziali
quali muoversi, comunicare con gli altri, nutrirsi, mantenere in maniera adeguata
le funzioni sfinteriche.
La mancata risposta ad uno o più di questi bisogni può seriamente compromettere
la sopravvivenza od un adeguato recupero della disabilità del paziente.
4.2.1 La nutrizione e l’idratazione
Dal 27% al 45% dei pazienti che giungono in ospedale per un qualunque evento
acuto presentano uno stato di malnutrizione (McWhirter and Pennington 1994).
Questo può manifestarsi per la prima volta o peggiorare nel corso della degenza
ospedaliera; in particolare per i pazienti con ictus acuto, la percentuale di malnutriti
può passare dal 16% dell’ingresso al 35% al termine della seconda settimana (Davalos,
Ricart et al. 1996).
La malnutrizione è associata ad una prognosi peggiore e ad una minor probabilità
di recupero perché può deprimere il sistema immunitario con conseguente aumento
del rischio di setticemia, favorire l’insorgenza di piaghe da decubito e diminuire la
funzionalità muscolare.
Alcuni parametri devono essere tenuti sotto controllo: la diminuzione del peso, le
misure antropometriche, i valori di albumina e prealbumina (Potter, Langhorne et
al. 1998).
Poiché è ipotizzabile che un apporto nutritivo superiore alla norma riduca la
mortalità e migliori la prognosi, allo stato attuale il comportamento più etico,
laddove esiste incertezza clinica, è l’inclusione nello studio clinico randomizzato
FOOD (Feeding Or Ordinary Diet).
Raccomandazioni:
a) si deve valutare la stato nutritivo di tutti i pazienti con un metodo riproducibile
all’ingresso nella stroke unit (Grado C).
b) occorre personalizzare il regime dietetico in base agli aspetti clinici e alle preferenze
del paziente (Grado C).
c) gli infermieri devono registrare quotidianamente, su adeguate schede, le preferenze
alimentari del malato e la reale assunzione giornaliera di cibo e di liquidi, calcolando
l’esatto bilancio calorico e idrico (Grado C).
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la gestione del paziente con ictus
4.2.2 La disfagia
La difficoltà ad assumere il cibo ed i liquidi necessari, definita disfagia, è una
sintomatologia neurologica presente in circa il 45% dei pazienti con ictus acuto,
persiste in media una settimana, a 14 giorni è presente nel 14% dei casi e a 30 nel
3%. Nel 40% dei pazienti si verifica aspirazione in modo silente (Corner, riski 1988;
Palmer e Dechase 1991).
Non è chiaro il rapporto tra aspirazione e infezioni polmonari (Smithard, O'Neill
et al. 1996). La disfagia è determinata dalla difficoltà a far progredire il bolo dalla
bocca allo stomaco per la compromissione di una o più delle 3 fasi (orale, faringea
o esofagea).
La capacità di deglutire va valutata il più presto possibile al momento del ricovero
ospedaliero, sia per evitare episodi di aspirazione di cibo, con conseguente patologia
ab ingestis, in pazienti con disfagia, sia per evitare restrizioni nell’assunzione di
cibo e di liquidi (Gordon, Hewer et al. 1987).
La prova della deglutizione più semplice e riproducibile è il test di deglutizione
dell’acqua. Al paziente, seduto con il capo semichino, vengono fatti deglutire 5 ml
di acqua (un cucchiaino): l’esaminatore valuta la presenza di tosse, voce umida,
perdita di acqua dalla bocca o gorgoglii.
La prova deve essere ripetuta per tre volte.
Nel caso di pazienti con disfagia l’apporto nutritivo può essere garantito attraverso:
nutrizione parenterale limitatamente ai primi giorni e comunque da superare
prima possibile;
nutrizione enterale (PEG o sondino nasogastrico).
Poiché non ci sono prove di efficacia per preferire un tipo di via nutritiva enterale
rispetto all’altro, né di quando debba iniziare la nutrizione enterale stessa (Bath,
Bath et al. 2000) è indicato prendere in considerazione la possibilità di inserire il
paziente in studi randomizzati in corso (Davenport and Dennis 2000).
E’ necessario pianificare un accurato programma riabilitativo con terapie non
invasive che possono essere suddivise in 3 categorie.
Tecniche Compensatorie
Tendono ad eliminare il sintomo disfagia ma non a intervenire sul recupero.
Viene effettuata:
a) ricerca della posizione del capo e del corpo per poter controllare il passaggio del
cibo e dei liquidi;
b) modifica della consistenza e del volume del cibo;
c) modifica della frequenza a cui viene normalmente somministrato il cibo;
d) stimolazioni termiche con cibo o speciali apparecchiature.
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la gestione del paziente con ictus
Terapia indiretta
Vengono effettuati esercizi per migliorare il controllo neuromuscolare sia della
masticazione che della deglutizione. Questo è particolarmente importante in pazienti
che non hanno il controllo della lingua, che presentano:
a) lateralizzazione della lingua durante la masticazione;
b) elevazione della lingua verso il palato duro;
c) inarcamento della lingua sotto il bolo;
d) elevazione della lingua contro il palato per trattenere il bolo;
e) mobilizzazione volontaria della lingua in senso antero-posteriore;
f ) coordinazione dei movimenti in senso antero-posteriore.
Gli esercizi comprendono (Logemann 1991):
a) esercizi di mobilizzazione e contro-resistenza della lingua e della mandibola;
b) coordinazione della lingua e esercizi di masticazione utilizzando materiale con
cui il paziente può esercitare i movimenti;
c) esercizi di adduzione laringea;
d) esercizi di controllo del bolo: il paziente mastica il cibo e i liquidi senza deglutirli.
Terapia diretta
Consiste in tecniche di deglutizione che tendono a modificare la fisiologia della
deglutizione:
a) manovra di Mendelson: i pazienti sono addestrati a sentire la loro laringe elevata
durante la deglutizione e a prolungare il più possibile il periodo di massima
elevazione;
b) deglutizione sopraglottica: i pazienti volontariamente trattengono il loro respiro
prima e durante la deglutizione, chiedendo in questo modo l’accesso laringeo.
Successivamente alla deglutizione il pazienti esegue dei colpi di tosse per liberare
la faringe dai residui di cibo.
Raccomandazioni:
a) sia gli operatori sanitari che vengono in contatto con il paziente che chi se ne
prende cura debbono essere messi precocemente a conoscenza della possibile presenza
di disfagia come frequente complicanza dell’ ictus e della sua potenziale gravità
(Grado C).
b) tutti i pazienti con ictus dovrebbero essere sottoposti alla prova della deglutizione
prima di ricevere cibo solido o liquido (Grado B)
c) deve essere effettuata una valutazione della capacità di deglutizione mediante un
test semplice e ripetibile da parte di personale specializzato del gruppo
multidisciplinare (Grado C)
d) per ogni paziente con difficoltà nella deglutizione va valutata, con la collaborazione
della dietista, la consistenza della dieta e dei fluidi che può assumere senza rischio
condividendo le informazioni con i familiari (Grado C).
e) è necessario stabilire la postura migliore per una deglutizione valida e non pericolosa
(Grado C).
f ) se non è possibile nutrire il paziente per os è necessario considerare l’opportunità
della nutrizione enterale e individuare la migliore via di somministrazione (FOOD
Trial Martin Dennis Edinburg) (Grado C).
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la gestione del paziente con ictus
4.2.3 La funzionalità vescicale
Problemi abbastanza comuni dopo un ictus sono l’incontinenza e la ritenzione
urinaria che tuttavia, generalmente, si risolvono spontaneamente nella maggior
parte dei pazienti.
L’incontinenza si manifesta in una proporzione variabile da 1 a 2 terzi dei pazienti
ricoverati per ictus ma nel 20% di questi era già presente prima dell’evento (Borrie,
Campbell et al. 1986).
La ritenzione urinaria, che è particolarmente frequente negli uomini, può essere
misconosciuta.
E’ importante stabilire le condizioni del paziente rispetto alla funzione vescicale
prima dell’evento, attraverso un’accurata anamnesi.
Possibili cause sono i deficit neurologici che portano a ipertono vescicale, l’ipotono
con incontinenza da rigurgito (iscuria paradossa), i deficit cognitivi o di
comunicazione che provocano l’incapacità di riconoscere lo stimolo o chiamare in
tempo utile, un’infezione urinaria.
Una incontinenza persistente è un segno prognostico negativo per il recupero
funzionale a lungo termine (Gross 2000), (Sanchez-Blanco, Ochoa-Sangrador et al.
1999), (Loewen and Anderson 1990).
Se la causa dell’incontinenza non è chiara e persiste dopo le prime settimane sono
necessarie ricerche più approfondite come un esame colturale e la valutazione del
volume urinario residuo post-minzionale (con una ecografia vescicale o con lo
svuotamento vescicale) che è utile nel valutare l’efficacia della contrattilità vescicale.
Sia il mancato svuotamento della vescica che il catetere posizionato a permanenza
rappresentano un elevato fattore di rischio infettivo per le vie urinarie.
La cateterizzazione a permanenza potrebbe essere necessaria nei rari casi in cui ci
sono difficoltà di gestione o per la presenza di gravi lesioni cutanee, a causa delle
quali possono risultare dolorosi o difficili i cambi frequenti di lenzuola o biancheria
o nei pazienti nei quali l’incontinenza interferisce con il monitoraggio dei liquidi
e degli elettroliti.
Quando è necessario applicare il cateterismo a permanenza i sistemi a circuito
chiuso diminuiscono il rischio di infezione delle vie urinarie, tuttavia il rapporto
costo (economico) e beneficio è ancora da quantificare (2000 ISSN 1329-1874).
Raccomandazioni in fase acuta:
a) tutti gli infermieri che si occupano di pazienti con ictus debbono raccogliere
l’anamnesi rispetto alla funzione vescicale mediante schemi riproducibili ed affidabili
(Grado C).
b) l’infermiere specializzato deve valutare in tutti i pazienti con ictus l’efficacia dello
svuotamento vescicale. Debbono essere conosciute le possibilità di gestione sia nel
caso di ritenzione che di incontinenza, con i relativi ausili (Grado C).
...segue
29
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la gestione del paziente con ictus
c) il catetere deve essere utilizzato solo dopo una precisa indicazione clinica, come
parte di una gestione decisa all’interno della valutazione multidisciplinare utilizzando
un protocollo condiviso (es: il più piccolo, per le prime 48 ore etc) (Grado B).
d) la ritenzione deve essere gestita con gli svuotamenti vescicali effettuati con nelaton
secondo un attento programma temporale (da 4 a 6 svuotamenti al giorno) in assenza
di controindicazioni (grave ipertrofia prostatica, infezioni delle vie urinarie) e con
un accurato bilancio dei liquidi (Grado C).
e) laddove sia necessario usare una cateterizzazione a permanenza è opportuno
utilizzare un sistema di drenaggio sterile a circuito chiuso per ridurre la probabilità
di infezione (Grado B).
L’uso di un catetere a permanenza, per un periodo di tempo che va oltre la fase
acuta, aumenta il rischio di infezioni del tratto urinario e di stenosi uretrali.
Si ritiene necessario un esame urinario ed una urinocoltura a cadenza settimanale.
Si trattano solo le infezioni sintomatiche, ad eccezione dei casi in cui si programmi
la rimozione del catetere e, poiché questa deve effettuarsi in condizioni di assoluta
sterilità, deve essere preceduta da trattamento antibiotico fino a negativizzazione
dell’urinocoltura.
La rimozione del catetere vescicale a permanenza deve avvenire prima possibile,
senza effettuare il periodico clampaggio. Infatti, anche in condizioni croniche, la
chiusura temporizzata del catetere vescicale non migliora la compliance e predispone
ai rischi di infezioni delle vie urinarie favorendo il reflusso vescico-ureterale (Gross
1990). Sono giustificate 3-4 chiusure non oltre le 12 ore per valutare se il paziente
è in grado di avvertire lo stimolo. Dopo la rimozione del catetere occorre verificare
che il residuo post-minzionale non sia maggiore di 50cc. Rimosso il catetere dovrebbe
essere effettuata la vera ginnastica vescicale, che è utile nei pazienti collaboranti
ma può essere utile anche nei pazienti cognitivamente deficitari (Engel, Burgio et
al. 1990), (Engel, Burgio et al. 1990); (Schnelle 1990). Tale programma consiste in
minzioni programmate al bagno, dove il paziente deve essere accompagnato dal
personale sanitario o dai parenti opportunamente addestrati. In caso di incontinenza
maschile si deve utilizzare il condom, quando tollerato, invece del pannolone.
Raccomandazioni in fase post-acuta:
a) se persiste l’incontinenza si devono prendere in considerazione esami strumentali
utili per indagarne le cause (esame urodinamico e flussometria) (Grado C)
b) i pazienti con incontinenza non debbono essere dimessi senza aver pianificato
prima la gestione familiare ed in particolare domiciliare (Grado C).
c) si debbono prendere in considerazione eventuali problemi sessuali correlati al
catetere posizionato a permanenza. Pertanto è necessario considerare un adeguato
supporto psicologico (Grado C).
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la gestione del paziente con ictus
4.2.4 La funzionalità intestinale
Il mantenimento della regolarità dell’alvo è un obiettivo riabilitativo. I due problem
critici sono l’incontinenza e la costipazione.
L’incontinenza fecale si verifica nel 25% dei casi, generalmente nei pazienti con
livello di coscienza depresso, immobili o incapaci di comunicare, ma diventa molto
rara dopo 2 settimane (Brocklehurst, Andrews et al. 1985).
La costipazione è una condizione comune nella maggioranza dei pazienti e le cause
principali sono rappresentate dall’immobilità, dallo scarso apporto di liquidi e cibo
e dall’assunzione di analgesici (Warlow, Dennis et al. 1996).
La prima modalità di intervento è la prevenzione e se questo non fosse sufficiente
è necessario ricorrere al trattamento. Nei pazienti allettati è utile il trattamento
osmotico o lassativo stimolante (BestPractice Vol 4 Issue 1, 2000).
Raccomandazioni:
a) e’ importante la registrazione della frequenza delle defecazioni per poter intervenire
in maniera adeguata
b) occorre educare il paziente rendendolo consapevole dei fattori che condizionano
la costipazione (Grado C).
c) curare la dieta (ricca di fibre) e l’adeguata assunzione di liquidi (Grado C)
d) ricostituire le normali abitudini del paziente rispetto alla evacuazione: bagno
adeguato (mantenimento privacy, altezza water etc) (Grado C).
e) se dopo 3 giorni il paziente non ha evacuato occorre intervenire iniziando con
l’utilizzo di agenti osmotici (Grado C).
f ) usare agenti osmotici o lassativi in particolare per i pazienti allettati (Grado A).
g) comunque sia in caso di costipazione che di incontinenza va stabilito un programma
di riabilitazione della funzione intestinale (Grado C).
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la gestione del paziente con ictus
4.3 Le posture
La mobilizzazione e il posizionamento sono attività fondamentali fin dalla fase
acuta (Indredavik, Bakke et al. 1999). Pur essendo quest’area di bisogno di competenza
del fisioterapista e del terapista occupazionale, tutto il gruppo dovrebbe conoscere
e condividere il programma e le tecniche. Questo è particolarmente importante per
l’infermiere che è la figura che interagisce più a lungo con il paziente.
La maggior parte dei pazienti presenta un deficit di mobilità, ragione per cui la
mobilizzazione rappresenta l’elemento fondamentale dell’intervento riabilitativo
motorio in fase acuta. E’ importante da parte del gruppo multidisciplinare valutare
la capacità di mobilità attiva del paziente.
Questa inizia con l’osservazione della capacità del paziente a compiere da solo:
il cambio di postura nel letto (girarsi su entrambi i lati);
il passaggio posturale disteso-seduto per sedere sul letto;
la capacità di sedersi con le gambe fuori dal letto.
4.3.1 Il posizionamento
I frequenti cambi di posizione a letto, eseguiti dagli infermieri sulla base del
programma riabilitativo fanno parte degli interventi assistenziali sin dal momento
del ricovero.
Raccomandazioni:
a) Gli infermieri dovrebbero posizionare i pazienti per ridurre al minimo i rischi di
complicanze quali contratture, affezioni respiratorie e piaghe da decubito (Grado C).
b) Tutti i componenti del gruppo multidisciplinare, compresi i familiari, dovrebbero
essere addestrati da un terapista motorio od occupazionale (Grado C).
4.3.2 La mobilizzazione
Per mobilizzazione si intende sia quella passiva, effettuata dagli operatori sul
paziente, sia quella attiva che il paziente è in grado di effettuare con l’assistenza del
personale.
La frequenza e l’entità della mobilizzazione dipendono dalle condizioni del paziente
a partire dall’obiettivo minimo di alzarlo due volte al giorno oltreché per le cure
igieniche personali.
Le strategie per il posizionamento e la mobilizzazione debbono essere proposte dal:
fisioterapista che ha il compito di agire prevalentemente sulla menomazione,
favorendo il recupero del movimento funzionale, della postura e dell’autonomia
nelle attività di vita quotidiana e prevenendo complicanze secondarie legate
all’immobilità (ad esempio retrazioni legamentose ed infezioni polmonari).
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la gestione del paziente con ictus
Questo si realizza attraverso l’applicazione di un preciso programma consistente
in esercizi e attività specifiche.
terapista occupazionale che ha l’obiettivo di minimizzare la disabilità. Esso utilizza
una serie di strategie per esaltare la funzionalità residua, rieducare il paziente alla
gestione della propria persona e alle attività della vita quotidiana (ADL).
Una volta impostato il programma di mobilizzazione tale attività viene comunque
svolta dall’infermiere esperto nella gestione dei pazienti con ictus.
I fisioterapisti ed i terapisti occupazionali devono addestrare e condividere con gli
infermieri dedicati le tecniche più idonee per ciascun paziente (Forster, Dowswell
et al. 1999). E’ importante sorvegliare il paziente che è in grado di muoversi per il
pericolo di cadute che possono essere dovute a ipotensione ortostatica, a deficit
neurologici conseguenti all’ictus o a terapie farmacologiche (Nyberg and Gustafson
1997). Il programma di mobilizzazione prosegue con il trasferimento sulla sedia a
rotelle personalizzata ed infine con l’assunzione della posizione eretta, con la
simmetrizzazione e con il cammino.
Raccomandazioni:
a) Ogni paziente dovrebbe essere posizionato seduto in una sedia a rotelle standard
o con schienale reclinato entro le prime 24 ore, senza alcuna differenza tra paziente
affetto da ischemia o da emorragia (Grado C).
b) Anche i pazienti in coma, gravemente disorientati, con segni o sintomi di
aggravamento progressivo, con emorragia cerebrale o subaracnoidea, ipotensione
ortostatica grave o persistente ed infarto miocardico acuto, debbono essere posizionati
seduti entro le prime 24 ore monitorando attentamente i parametri vitali (Grado C).
4.4 La comunicazione
La difficoltà di comunicazione è in genere dovuta ad un deficit del linguaggio che
può essere condizionato negativamente dai disturbi di attenzione o di memoria. Ci
sono condizioni molto più rare di grave compromissione dell’attivazione motoria
che condizionano la comunicazione (es. sindrome locked-in).
Tutti i pazienti affetti da afasia o da problemi di comunicazione devono essere
valutati entro i primi giorni dal logopedista o neuropsicologo, che deve impostare
il piano di trattamento, con la condivisione del gruppo multidisciplinare, e definire
le strategie di comportamento individuale, sia per i componenti del gruppo che per
ogni altra persona che è in contatto con il paziente.
L’ obiettivo è quello di :
ridurre le difficoltà di linguaggio;
migliorare la comunicazione con conseguentemente riduzione della disabilità.
E’ di estrema importanza, quindi, l’informazione, la discussione e l’addestramento
del personale medico e paramedico e dei familiari o di chi si prende cura del paziente
per migliorare la comunicazione, la comprensione della nuova disabilità, ridurre
l’isolamento emozionale e sociale e prevenire l’eventuale depressione.
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la gestione del paziente con ictus
Strategie alternative al linguaggio parlato includono una varietà di approcci come
l’utilizzo di gesti, di disegni, di tabelle di comunicazione e di sistemi computerizzati.
Ciò può avvenire sia nelle prime fasi che quando il recupero della capacità di
comunicare con la parola rappresenta un obiettivo non percorribile.
Raccomandazioni:
a) Ciascun paziente con un ictus nell’emisfero dominante deve essere sottoposto ad
una valutazione del linguaggio da un logoterapista (grado B) - o da un altro
componente del gruppo competente nel linguaggio - effettuata con metodi validi e
riproducibili (Grado C);
b) Se sono presenti deficit di linguaggio gli infermieri, i componenti del gruppo
multidisciplinare ed i parenti devono essere messi al corrente della tecnica di
comunicazione più appropriata rispetto allo specifico danno (Grado A);
c) Qualora al termine della valutazione possono essere individuati obiettivi minimi
ed ottenuta la conferma di progressi, il paziente va sottoposto ad un trattamento
riabilitativo completo da proseguire nel tempo. (Grado C)
La disartria è presente nel 20% degli ictus in fase acuta (Warlow, Dennis et al. 1996)
e rappresenta l’altro deficit neurologico responsabile di una difficoltà di
comunicazione. Può essere definita come una compromissione degli aspetti motori
del linguaggio, caratterizzata da una alterazione dei movimenti (labio-glosso-velari
e facciali) necessaria alla produzione verbale, che divengono rallentati, non
coordinati, imprecisi con ipostenia dei muscoli coinvolti e che potrebbe coinvolgere
la respirazione, la fonazione, la risonanza e/o la articolazione della fase orale.
Una prima valutazione e la successiva scelta delle misure necessarie a ridurre i
problemi comunicativi vengono effettuate dal logopedista o dal neuropsicologo fin
dalla fase ospedaliera per poi proseguire con una rivalutazione e un nuovo piano
di trattamento nel periodo della riabilitazione intensiva, quando necessario, e
spesso anche successivamente ad esso. Valgono le considerazioni e le
raccomandazioni fatte per l’afasia. Nello specifico, il terapista del linguaggio stabilirà
la migliore strategia per gestire il singolo paziente che verrà applicata in particolar
modo dall’ infermiere ma anche da tutti gli altri componenti del gruppo.
Raccomandazione:
Informazioni e indicazioni specifiche debbono sempre essere tempestivamente fornite
anche ai familiari o alle persone che si relazionano con il paziente disartrico
(Grado C)
Le tecniche da prendere in considerazione comprendono:
lavoro per normalizzare il tono muscolare e/o migliorare la forza e la precisione
del movimento e della coordinazione dei muscoli coinvolti
compensazione attraverso modifiche del comportamento riducendo la produzione
del linguaggio al fine di aumentare la comprensione
addestramento nella eliminazione di risposte affrettate che comportano l’aumento
di produzione del linguaggio che verrebbe successivamente percepito come lento
e poco comprensibile
addestramento a compiere strategie ausiliarie come ad esempio sollevamento
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la gestione del paziente con ictus
del palato per ridurre la nasalità delle parole prodotte
suggerimento ed addestramento nell’utilizzo di strumenti alternativi che possono
variare da semplici: lo scrivere con carta e penna, l’utilizzo di lavagnetta con lettere
magnetiche; a raffinati: strumenti computerizzati
riduzione dell’handicap modificando l’ambiente tramite l’utilizzo di persone con
attitudine a comprendere pazienti disartrici
Non esiste una indicazione ad oggi dell’utilizzo di una singola strategia rieducativa
di efficacia superiore alle altre (Greener, Enderby et al. 2000). La compromissione
delle funzioni cognitive, che frequentemente vengono interpretate come
“disorientamento”, è relativamente frequente e ne è affetto circa il 25% dei
sopravvissuti. Le condizioni specifiche più frequenti, se si esclude l’afasia, sono il
neglect visuspaziale, l’aprassia, la compromissione dell’apprendimento, la riduzione
delle capacità attentive. La loro presenza può giustificare in parte una disabilità come
ad esempio una incapacità del paziente a lavarsi o mangiare autonomamente.
La riabilitazione cognitiva del neglect visuspaziale ha prove di efficacia nel migliorare
l’esecuzione di tests utilizzati comunemente nella valutazione neuropsicologica, ma
non è noto quanto questo si traduca anche in un miglioramento della disabilità
(Bowen, Lincoln et al. 2002).
Raccomandazioni:
a) Ciascun paziente dovrebbe essere valutato non appena possibile anche per le funzioni
cognitive e nel periodo della fase acuta dovrebbe essere almeno sottoposto al Mini
Mental State Examination in assenza di afasia franca. (Test di Raven 47 PMC) in
assenza di grave neglect (Grado C)
b) I pazienti con neglect visuospaziale o con deficit di campo visivo devono essere
sottoposti a strategie specifiche di addestramento (Grado B).
4.5 La prevenzione delle complicanze
Le complicanze nell’ictus sono particolarmente frequenti e variano a seconda della
gravità dei pazienti, con un’incidenza intorno al 60%.
Superata la prima settimana dall’evento acuto, in cui è molto probabile che la morte
dipenda dall’evento neurologico in sé, le complicanze correlate all’immobilità
rappresentano la maggior parte delle cause di decesso (le polmoniti o l’embolia polmonare
seguite dagli altri problemi vascolari come le recidive di ictus o eventi cardiaci).
Le complicanze dell’ictus rappresentano un costo sanitario non trascurabile poiché
determinano un prolungamento dei tempi di ricovero nella fase acuta e dei tempi
di recupero in ambiente riabilitativo. La prevenzione, l’individuazione precoce ed
il trattamento tempestivo delle complicanze sono cruciali e sono meglio garantite
al paziente con ictus attraverso la gestione di cure organizzata.
In considerazione del fatto che le manifestazioni febbrili influenzano negativamente
l’evoluzione clinica dopo l’ictus, tutte le complicanze di tipo infettivo devono essere
riconosciute precocemente (Jorgensen, Reith et al. 1999).
35
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la gestione del paziente con ictus
4.5.1 La prevenzione delle infezioni polmonari
Sono le più comuni cause di morte nelle prime settimane dopo l’ictus.
Le condizioni respiratorie sono spesso compromesse, soprattutto negli ictus più
gravi, sia in relazione alla preesistenza dei disturbi ventilatori, che alla concomitanza
di infezioni favorite dalla ridotta mobilità toracica con conseguente stasi delle
secrezioni bronchiali. Le infezioni polmonari correlano infatti con l’immobilità,
con il riflesso della tosse poco valido e con la disfagia.La prevenzione più importante
è rappresentata da una valutazione molto precoce della disfagia al fine di ridurre
la possibilità di aspirazione. L’assistenza inoltre dovrebbe essere finalizzata a
promuovere un’adeguata ventilazione, a controllare la saturazione di ossigeno e la
pCO2, a favorire la clearance bronchiale e ad utilizzare precocemente un trattamento
antibiotico in caso di infezione.
Il nursing finalizzato alla prevenzione delle complicanze respiratorie è basato su alcune
semplici procedure, quali il posizionamento seduto e la precoce mobilizzazione (entro
le prime 24 ore), l’esecuzione di respiri profondi, l’aerosolterapia e la disostruzione
bronchiale mediante clapping, che vanno integrati con l’assunzione di specifiche
posture e l’esecuzione di esercizi di riabilitazione respiratoria.
4.5.2 La conservazione dell'integrità cutanea
Le piaghe da decubito sono una complicanza completamente evitabile, quando si
verificano sono dolorose e rallentano il recupero del paziente (ed esempio favorendo
la spasticità) (vedi Linee Guida “Prevenzione e trattamento delle lesioni da decubito”
dell’Azienda USL2 dell’Umbria).
Raccomandazioni:
a) Precoce valutazione del rischio individuale del paziente (vedi allegato 2 “scala di Norton”)
(Grado C)
b) Gestione infermieristica esperta con temporizzate variazioni di posizionamento
(Grado C).
c) Utilizzo di materassi antidecubito (Grado A).
4.5.3 La prevenzione della trombosi venosa profonda e della
embolia polmonare
L’incidenza della Trombosi Venosa Profonda (TVP) riportata in letteratura, in pazienti
con ictus varia dal 25 al 66 % (Warlow, Ogston et al. 1976; Warlow, Ogston et al. 1976),
(Gubitz, Counsell et al. 2000), (Mazzone, Chiodo Grandi et al. 2002) mentre quella
dell’embolia polmonare è elevata in casistiche post-mortem (Warlow 1978) e raggiunge
il 2% se ci si attiene alla valutazione clinica (McClatchie 1980). Rappresenta il 15%
delle cause di morte a 5 settimane dall’evento (Kamran, Downey et al. 1998).
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la gestione del paziente con ictus
L’incidenza più elevata si registra nella prima settimana. Il rischio sembra essere
maggiore se l’arto è plegico.
La diagnosi clinica della TVP diviene particolarmente difficile sia per l’elevata
probabilità che l’arto paretico per ictus sia comunque edematoso e dolente (segni
che comunemente inducono il sospetto), sia per la presenza di TVP asintomatiche.
Il gold standard per la diagnosi è rappresentato dalla flebografia, anche se
l’ecodoppler a compressione degli arti inferiori rappresenta, assieme alla
pletismografia, una procedura diagnostica ragionevolmente accurata e facilmente
effettuabile.
Attualmente è raccomandato in associazione con una eventuale terapia
farmacologica (SPREAD 2000) l’utilizzo delle calze antitrombotiche; l’ efficacia è
stata provata in studi su altre patologie, di tipo chirurgico o traumatico. Ad oggi non
esistono evidenze rispetto all’uso della calza antitrombotica né indicazioni sul tipo
di calza (lunga o corta) da utilizzare, sul livello di pressione, sulla gravità dell’ipostenia
che richiede la calza o sulla necessità di posizionare la calza su uno o entrambi gli
arti (Mazzone, Chiodo Grandi et al. 2002). A tale scopo è in corso lo studio clinico
randomizzato controllato Clots Trial 1 e 2 coordinatao da Martin Dennis, Western
General Hospital Edinburg.
Raccomandazioni:
a) Fare indossare calze antitrombotiche (18 mmHg) a pazienti costretti a letto per
ipostenia o, in caso di ipostenia lieve, se sono presenti fattori di rischio come
disidratazione, età avanzata, vene varicose etc. (Grado C).
b) Rimuovere le calze all’inizio della deambulazione (Grado C).
Controindicazioni all’uso delle calze sono rappresentate da eventuali lesioni ulcerose
del piede, frequenti in pazienti diabetici e/o da arteriopatia grave degli arti inferiori.
Le calze possono essere tolte in una finestra temporale di 2-4 ore per le cure igieniche
e per il controllo di eventuali effetti collaterali (lesioni cutanee, segni costrittivi).
4.5.4 La prevenzione della spalla dolorosa
Questo tipo di complicanza interferisce negativamente con il programma riabilitativo
e, in generale, con le possibilità di recupero (Wyller 1997 ).
Durante il primo anno dopo l’ictus i pazienti con emiplegia soffrono di dolore alla
spalla (Wanklyn, Forster et al. 1996). Tra i pazienti che presentano dolore entro la
prima settimana dall’evento i 2/3 continueranno ad averlo ad un anno dopo l’ictus.
Sono state riconosciute diverse condizioni patogenetiche che possono causare
questa sindrome che è, molto probabilmente multifattoriale (Wanklyn, Forster et
al. 1996):
sublussazione acromionomerale (Zorowitz, Hughes et al. 1996),
lesione della cuffia dei rotatori
spalla congelata
sindrome da conflitto delle strutture articolari della spalla con tendinite del bicipite
tendinite del sovraspinoso ed ipertono in intrarotazione
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la gestione del paziente con ictus
artrite acromioclavicolare
artrite glenomerale
Alla spalla dolorosa si associano frequentemente le seguenti condizioni neurologiche:
ipotonia dei muscoli della spalla che favorisce una sublussazione glenomerale
spasticità
perdita della sensibilità propriocettiva profonda
neglect
deficit di campo visivo
Una piccola proporzione di pazienti presenta la sindrome dolorosa complessa
regionale, con connotazione algo-distrofica o sindrome della spalla mano, le cui
caratteristiche sono: dolore nell’abduzione, nella rotazione esterna e flessione
omerale, edema e dolore nella regione carpale, edema della mano, modifiche della
temperatura, del colore e della secchezza della cute della regione coinvolta,
osteoporosi.
E’ importante porre una diagnosi eziologica per riconoscere le lesioni trattabili
(fratture, tendinite, etc) in modo efficace da quelle per le quali non si è ancora certi
di quale sia il trattamento più appropriato.
La prevenzione di questa sindrome avviene nella fase acuta all’interno di un
programma di mobilizzazione e posizionamento con coinvolgimento del paziente
e dei parenti (Braus, Krauss et al. 1994).
Raccomandazioni:
a)Sostenere l’arto flaccido per ridurre la possibilità di sublussazione;
b) Insegnare al paziente a non tenere l’arto penzoloni quando è seduto o in piedi;
c) Coinvolgere il paziente e i parenti nelle tecniche di prevenzione (Grado B);
d) Quando il paziente è seduto sostenere l’arto con sostegni che siano più stabili dei
cuscini;
e) Evitare di esercitare trazione sull’arto negli spostamenti del paziente;
f) Individuare modalità degli spostamenti definite dal terapista, comunicate a tutto
il personale e a chi si occupa dell’assistenza del paziente;
g) Eseguire riabilitazione passiva alla spalla.
Le seguenti procedure sono importanti, anche se non supportate da prove di efficacia
(quindi tutte di grado C).
L’assenza di prove di efficacia è estesa anche alle altre strategie di prevenzione.
Supporti per la spalla: non è stato dimostrato che sostenere l’arto con ortesi/spalla
braccio nella fase acuta prevenga il dolore anche se può prevenire la sublussazione
(Brooke, de Lateur et al. 1991). Inoltre non esistono prove di efficacia di un tipo
di supporto rispetto ad un altro (Zorowitz, Idank et al. 1995).
Stimolazione elettrica funzionale: viene praticata nell’ipotesi di facilitare il recupero
della forza muscolare provocando una contrazione in maniera organizzata, riduce
la probabilità di sublussazione dell’articolazione e la spasticità. Viene applicata
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la gestione del paziente con ictus
al braccio e all’avambraccio nel tentativo di ridurre l’edema, le contratture e la
funzionalità persa (Faghri, Rodgers et al. 1994). Non ci sono evidenze per
raccomandare o sconsigliare questa tecnica per la prevenzione della spalla dolorosa.
Appare significativo solo la riduzione della sublussazione che non incide sulla
qualità della vita. (Price and Pandyan 2000).
4.6 Aspetti riabilitativi e trattamento
La riabilitazione deve essere per quanto possibile mirata e necessariamente articolata
in più tipologie di intervento.
La più comune tecnica di intervento riabilitativo in questa condizione è finalizzata
al ribilanciamento muscolare. Infatti, quando è presente flaccidità si può verificare
sublussazione della testa dell’omero e stiramento capsulare. In caso di successiva
spasticità, la prevalenza dei muscoli anteriori della cuffia dei rotatori a volte può
provocare la risalita della testa dell’omero sulla cavità glenoidale, con conseguente
sindrome da impingement dovuta ad attrito tra la testa omerale e l’acromion.
Pur non essendoci una dimostrata correlazione tra la sublussazione e la spalla
dolorosa, i trattamenti riabilitativi che agiscono sul ribilanciamento non si sono
dimostrati di provata efficacia. La tecnica Bobath ha dimostrato qualche vantaggio
non statisticamente significativo nei confronti della crioterapia, anche se in uno
studio metodologicamente discutibile.
La stimolazione elettrica funzionale e in particolare le TENS, comunemente utilizzate
per trattare il dolore, sembrano essere di qualche efficacia (Leandri, Parodi et al.
1990) (Price and Pandyan 2000).
Raccomandazioni:
a) Iniziare con antinfiammatori per os (Grado C);
b) In caso di inefficacia effettuare 3 iniezioni intrarticolari di triamcinolone 40 mg
(Grado C);
c) In caso di ulteriore inefficacia usare le TENS (Grado B).
4.6.1 La prevenzione delle cadute
Il rischio di caduta dovrebbe essere valutato all’ingresso del paziente e monitorato
durante tutta la fase del ricovero. I deficit sensitivi sia corticali che sottocorticali
aumentano il rischio di caduta. In particolare pazienti agitati, di età avanzata, in
trattamento con farmaci sedativi, anosognosici, con neglect visivo e emiplegici
sinistri hanno un elevato rischio di caduta (Rapport, Webster et al. 1993).
Raccomandazioni:
a) Identificare i pazienti a rischio di caduta (Grado C).
b)Formalizzare un programma di prevenzione delle cadute (Grado C).
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la gestione del paziente con ictus
4.6.2 Il controllo o la prevenzione delle crisi epilettiche
Episodi critici comiziali entro le prime settimane si verificano nel 5% dei casi. Sono
particolarmente frequenti nei pazienti affetti da ictus emorragico e da ictus ischemico
con interessamento della corteccia cerebrale. Occorre ricordare che spesso si
verificano per il sopraggiungere di fattori precipitanti come ad esempio la brusca
sospensione dell’alcool in paziente precedentemente dipendenti, l’utilizzo di farmaci
che modificano la soglia epilettogena, disturbi metabolici ed infezioni.
Secondo il Copenaghen Stroke Study il rischio di epilessia è correlato con la gravità
dell’ictus. Inoltre le crisi non sono correlate con la mortalità e, sorprendentemente
i pazienti con epilessia hanno una prognosi migliore (Reith, Jorgensen et al. 1997).
Raccomandazioni:
a) Si raccomanda di iniziare una profilassi anticomiziale solo dopo la prima crisi
avvenuta in fase post acuta (2 settimane dopo l’evento acuto) (Grado C).
b) Nel caso di profilassi anticomiziale già iniziata senza episodi critici certi, considerata
l’influenza negativa del farmaco anticomiziale sulle funzioni cognitive, se ne
raccomanda la graduale sospensione (Grado C).
4.6.3 Sessualità ed ictus
Una persona su 4 necessita di aiuto per problemi che concernono la sessualità dopo
l’ictus. Le funzioni sessuali e relazionali sono strettamente correlate e la disfunzione
delle prime predice la disfunzione delle seconde (Chandler and Brown 1998).
Raccomandazione:
Ogni servizio di riabilitazione dovrebbe porre attenzione alla salute sessuale e valutare
gli aspetti relazionali (Grado C).
4.7 L’informazione, l’educazione del paziente e della
famiglia
L’informazione è parte integrante dei processi di cura e di riabilitazione, in quanto
agisce:
sulla compliance al trattamento
sul processo di adattamento alla malattia
sulla attivazione delle risorse del paziente
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la gestione del paziente con ictus
sull’ottimizzazione della rete di supporto (famiglia, servizi)
Nel caso del paziente con ictus è necessario ricordare che la naturale esigenza del
malato e dei familiari di essere costantemente informati e coinvolti è uno degli
elementi del successo del processo riabilitativo (Evans, Matlock et al. 1988). L’utilizzo
di materiale informativo specifico potrebbe migliorare la prognosi del paziente e
la salute mentale di chi lo assiste (Mant, Carter et al. 1998) , mentre vi sono evidenze
lievemente più consistenti nei confronti dell’educazione dei malati e dei parenti
alla malattia tramite sedute in cui viene considerata rilevante la discussione (Forster,
Smith et al. 2001).
L’ictus è una malattia della famiglia. Inizialmente, come in altre malattie acute i
parenti hanno bisogno di informazione e supporto a causa dell’evento acuto, ma
a differenza di altre malattie la possibile disabilità residua del loro caro richiede un
supporto dal punto di vista pratico, economico, emozionale e sociale.
La complessità delle informazioni da dare è tale che è opportuno che la
comunicazione non venga lasciata al caso, ma si provveda a codificare tempi, modi
e spazi adeguati, perché la stessa avvenga in modo proficuo tra il team che gestisce
il paziente in ospedale e chi poi avrà in carico l’assistenza del paziente a domicilio.
E’ fondamentale che il gruppo riabilitativo mantenga, attraverso un proprio referente,
un flusso costante di informazioni nei confronti della famiglia, che sebbene debba
essere considerata parte integrante del gruppo, necessita di tempi e modalità di
approccio assolutamente specifici in ragione della mancanza di competenza e del
coinvolgimento emotivo.
I risultati di focus-group condotti con parenti di pazienti colpiti da ictus hanno
messo in evidenza l’importanza del fatto che l’informazione e la comunicazione
venga garantita soprattutto in alcuni “momenti critici” del percorso terapeutico, a
conferma, peraltro, di studi effettuati in altre nazioni e ambienti culturali diversi
(Evans, Matlock et al. 1988):
al momento della diagnosi è necessario che vengano fornite informazioni chiare
e complete su: quadro clinico, percorso diagnostico che si sta sviluppando,
prognosi, per aiutare il malato e i familiari a prendere coscienza della malattia e
contribuire a rassicurarlo sull’attenzione prestatagli;
durante la degenza è opportuno:
- che sia fornito il quadro complessivo dei problemi di salute e dell’approccio
terapeutico usando un linguaggio comprensibile
- che vengano forniti orientamenti per consentire la assunzione di eventuali decisioni
- che vengano condivisi gli obiettivi del progetto riabilitativo e illustrati ai familiari
i compiti di supporto alla riabilitazione.
alla dimissione, allorquando il nucleo familiare corre il maggior rischio di “ sentirsi
solo” ad affrontare i complessi e molteplici problemi posti dalla malattia, occorre
che al malato ed ai familiari:
- venga assicurato il passaggio di informazioni tra Ospedale e Medico di Medicina
Generale per favorire la presa in carico e attenuare il senso di abbandono; lo
strumento privilegiato per garantire questo passaggio è rappresentato dalla lettera
41
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la gestione del paziente con ictus
di dimissione per il M.M.G.;
- vengano illustrati gli obiettivi ed i tempi di realizzazione del progetto di
riabilitazione, tramite colloqui con il referente del team riabilitativo;
- vengano fornite informazioni su: la normativa per la disabilità; le modalità per
usufruire di ausili sanitari; le strutture e servizi per i disabili.
- vengano illustrati, tramite colloqui e dimostrazioni pratiche, i compiti di supporto
alla riabilitazione che i familiari possono svolgere.
nella fase della riabilitazione post-acuta, allorquando le aspettative di
miglioramento tramite la riabilitazione diventano alte, la comunicazione deve
assolvere il compito :
a) nei confronti della famiglia:
- di fornire orientamenti per assumere decisioni, in vista dei lunghi tempi di
recupero;
b) nei confronti del paziente
di sostenerlo nella scoperta progressiva della nuova realtà e nel favorirne la
capacità di adattamento alla malattia;
di illustrare periodicamente il decorso della malattia, valorizzando i successi
raggiunti; in questa direzione particolarmente importante risulta, oltre alla figura
del referente del team riabilitativo assistenziale, la figura del M.M.G.
Raccomandazioni:
a) Occorre considerare il bisogno della famiglia e del paziente di essere informati sul
quadro clinico, sulla prognosi della malattia, di essere coinvolti nel programma
riabilitativo ed educati alla malattia (Grado C).
b) Individuare fin da subito un referente del team e un interlocutore privilegiato tra
i familiari, in modo da facilitare la trasmissione delle informazioni e la acquisizione
di consapevolezza rispetto al ruolo fondamentale che la famiglia dovrà svolgere
(Grado C).
c) La comunicazione con la famiglia deve necessariamente essere diversificata nei
contenuti a seconda della fase evolutiva della malattia e della cultura della famiglia
(Grado C).
4.8 Il trattamento riabilitativo intensivo
Gli obiettivi del trattamento riabilitativo intensivo debbono essere:
realistici: obiettivi troppo ambiziosi creerebbero frustrazione e demotivazione
per il paziente e i parenti. Per stabilire gli obiettivi va tenuto conto del tempo
trascorso dall’ictus e dei fattori prognostici identificabili in base al quadro clinico;
condivisi: la condivisione e la consapevolezza degli obiettivi da parte del paziente
o dei parenti è molto importante per il successo del programma riabilitativo;
aggiornati: con il progredire dell’attività riabilitativa il progetto e il programma
vanno aggiornati e ridefiniti in base ai progressi del paziente.
42
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la gestione del paziente con ictus
4.8.1 Trattamento riabilitativo: le differenti scuole
Si possono schematizzare gli interventi riabilitativi in 3 modelli principali:
facilitazione, compenso e controllo motorio orientato al compito (task oriented).
La facilitazione è il più classico approccio fisioterapico. Consiste in esercizi mirati
alla diminuzione della menomazione con miglioramento della forza muscolare e
degli schemi sensitivo-motori. Pur fondandosi anche su attività passive ha comunque
bisogno della collaborazione del paziente.
Il modello compensatorio agisce fondamentalmente sul miglioramento della
disabilità, utilizzando le capacità residue: si tende ad addestrare il paziente per
minimizzare le difficoltà nelle attività della vita quotidiana.
Il modello controllo motorio orientato al compito si basa sul principio che il
movimento è frutto di meccanismi di apprendimento legati strettamente al contesto.
Non ci sono prove che un approccio sia più efficace dell’altro anche se in un recente
studio RCT l’approccio task-oriented è risultato più efficace nel miglioramento
dell’equilibrio e del controllo del tronco (Dean and Shepherd 1997).
4.8.2 L’efficacia del trattamento intensivo
La riabilitazione dell’ictus può essere effettuata con diverse intensità di trattamento.
Poiché la fisioterapia è in rapporto 1 a 1 tra fisioterapista e paziente l’intensità di
intervento è misurata con il tempo di trattamento riabilitativo o le sessioni di
trattamento applicate in uno specifico periodo di tempo.
In una metanalisi di 7 RCT (597 pazienti) dove è stato valutato l’effetto di diverse
intensità di trattamento non è stata evidenziata una significativa diminuzione di
decessi mentre c’era una significativa riduzione nell’outcome combinato di decessi
o dipendenza nei gruppi sottoposti a trattamento intensivo (Langhorne 1996).
Kwakkel et al. (1997) hanno effettuato una metanalisi su 8 RCT (623 pazienti) e uno
non randomizzato per valutare l’effetto dell’intensità del trattamento. In questa
metanalisi è stato trovato un piccolo ma significativo effetto positivo dell’intensità
del trattamento nel recupero dell’autonomia delle attività della vita quotidiana.
In una review pubblicata da van der Lee et al. (2001) è stato valutato l’effetto
dell’intensità del trattamento riabilitativo sul recupero funzionale dell’arto superiore,
anche in questo caso si enfatizza come l’intensità dell’intervento può essere
vantaggiosa anche al follow-up ad 1 anno.
4.9 La riabilitazione delle funzioni cognitive
Una grave compromissione delle capacità di apprendimento può rappresentare una
limitazione al trattamento riabilitativo (Grado C) (1995). Il training potrebbe migliorare
lo “stato di allerta” e l’”attenzione sostenuta” ma non vi sono prove che sostengano
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la gestione del paziente con ictus
l’efficacia o la non efficacia di tale trattamento (Lincoln, Majid et al. 2000).
Il trattamento dei deficit cognitivi si basa più su strategie compensatorie che sulla
riduzione della menomazione. Non ci sono significative modificazioni nel recupero
della memoria tra i soggetti trattati rispetto a quelli non trattati e quindi non si può
sostenere o negare l’efficacia della riabilitazione cognitiva per i deficit di memoria.
(Majid, Lincoln et al. 2000).
Ci sono indicazioni per il trattamento dei pazienti con emianopsia e neglect per
una specifica riabilitazione cognitiva neurovisiva (Kerkhoff, Munssinger et al. 1994;
Kerkhoff 2000).
Le tecniche di riabilitazione possono essere schematizzate in:
tecniche di recupero: con azioni dirette sul recupero della funzione con abilità
visive di base (training sul campo visivo, training di inseguimento o movimenti
saccadici, feeback per la percezione spaziale etc.) e con attività visive nella vita
quotidiana (orientamento visivo nell’ambiente);
tecniche di compensazione: strategie di ricerca visiva, movimenti oculari per la
lettura, etc.
tecniche di sostituzione: con dispositivi ottici o protesici (prismi ottici, software
per ingrandire durante il lavoro al computer, lettura etc.) o con modifiche
dell’ambiente (semplificazione, modulazione o arricchimento).
Raccomandazioni:
a) Ogni centro per la riabilitazione dell’ictus dovrebbe offrire la valutazione esperta
in ambito neuropsicologico (Grado C);
b) Pazienti con permanente neglect visivo e emianopsia dovrebbero essere sottoposti
a specifico addestramento (Grado A).
4.10 La riabilitazione di deficit di comunicazione: afasia,
disartria e aprassia bucco-facciale
Tutti i pazienti affetti da afasia o da problemi di comunicazione devono essere
valutati entro i primi giorni dal logopedista o dal neuropsicologo, che deve impostare
il piano di trattamento, con la condivisione del gruppo multidisciplinare e definire
le strategie di comportamento individuale, sia per i componenti del gruppo che
per ogni altra persona che è in contatto con il paziente.
L’ obiettivo è quello di :
ridurre le difficoltà di linguaggio;
migliorare la comunicazione con conseguentemente riduzione della disabilità.
Una diagnosi accurata è fondamentale per organizzare un piano di trattamento per
il team e per la famiglia.
Al momento non vi è evidenza dell’efficacia (né evidenza della non efficacia) del
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la gestione del paziente con ictus
trattamento effettuato da personale dedicato non specialista o da un terapista del
linguaggio, nè rispetto a quale sia il tipo di trattamento migliore (individuale, di
gruppo) per migliorare il linguaggio, nè di quale sia il periodo più opportuno di
inizio del trattamento (Greener, Enderby et al. 2000).
Le incertezze relative all’efficacia del trattamento specifico delle afasie derivano dal
fatto che prevalgono gli studi sul singolo caso piuttosto che ampi studi clinici controllati.
Il trattamento del singolo paziente sembra necessitare di intervento specifico con
personale specializzato (The Intercollegiate Working Party for Stroke 2000).
Gli obiettivi del trattamento sono:
1. ripristinare la capacità di parlare, comprendere, leggere e scrivere;
2. assistere il paziente nello sviluppo di strategie compensatorie per l’utilizzo di
circonlocuzioni;
3. identificare problemi psicologici associati che condizionano la qualità della vita
del paziente afasico e dei propri familiari;
4. aiutare la famiglia e chi se ne prende cura a comunicare con il paziente.
L’afasia può coesistere con l’aprassia e la disartria rendendo più complessa la
definizione degli obiettivi. Ad esempio in caso di aprassia occorre focalizzare
l’attenzione sulla contestualizzazione degli stimoli e sulla facilitazione della sequenza
dei gesti. In caso di disartria occorre operare un rinforzo muscolare e una stimolazione
sensitiva oltre che individuare eventuali disturbi della coordinazione.
Raccomandazioni:
a) Il periodo di trattamento intensivo dovrebbe essere di almeno 4-8 settimane (Grado B)
b) Per i pazienti con difficoltà di linguaggio croniche, soprattutto per la lettura, dovrebbero
essere previsti periodi di retraining (Grado B).
c) Un paziente con gravi disturbi di comunicazione ma con un linguaggio e funzioni
cognitive ragionevolmente integre è candidato ad ausili specifici per migliorare la
comunicazione (Grado C).
4.11 La riabilitazione delle funzioni motorie
Il trattamento riabilitativo si è dimostrato efficace nel ridurre la disabilità e la
mortalità (Collaboration 2000). Meno prove esistono per quanto riguarda l’azione
sulla menomazione. In questo senso occorre evidenziare tecniche e aspetti clinici
specifici. C’è accordo tra gli esperti che il trattamento riabilitativo nel paziente con
ictus sia affidato a un fisioterapista con specifica competenza nell’ictus (Association
of Chartered Physiotherapists in Neurology, 1995 http://www.acpin.net/).
Raccomandazione:
Il programma di trattamento riabilitativo dell’ictus dovrebbe essere coordinato da un
terapista esperto in trattamento neurologico ed in particolare esperto nell’ictus (Grado C.)
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la gestione del paziente con ictus
4.11.1 La spasticità
La spasticità è un insieme di segni e sintomi legato all’aumento del riflesso da
stiramento e ad alterati schemi motori conseguenti a ictus. La conseguenza
principale è rappresentata da una diminuzione della escursione articolare e dalla
contrattura muscolare che può produrre rilevante disabilità.
La spasticità è caratterizzata oltre che dall’ipertono anche dai movimenti patologici
che interferiscono negativamente sull’autonomia, impedendo i movimenti
segmentari fisiologici. In rari casi questi movimenti patologici possono essere
utilizzati per migliorare l’autonomia. Un esempio, in questo senso, può essere lo
schema estensorio dell’arto inferiore che, in assenza di movimenti più fini, può
costituire l’unico modo di mantenere la stazione eretta e di camminare. Occorre
tenere presente che gli spasmi (parte del quadro clinico della spasticità) possono
essere causa di dolore, soprattutto notturno, con ulteriore compromissione del
recupero.
La spasticità può essere controllata con tecniche riabilitative, con farmaci o ausili.
Nessuno di questi approcci è risolutivo e il problema va quindi affrontato in modo
multidimensionale, dal controllo motorio all’educazione dei pazienti.
Tecniche riabilitative
Il controllo della spasticità è uno degli obiettivi delle tecniche riabilitative allo scopo
di migliorare la funzionalità motoria. Questo avviene principalmente attraverso
l’intervento sul tono muscolare e sugli schemi motori. Diversi approcci sono utilizzati
anche se c’è una mancanza di prove di efficacia circa la superiorità di un metodo
rispetto ad un altro (Basmajian, Gowland et al. 1987). Vengono utilizzate tecniche
con approcci concettualmente opposti. La tecnica di Bobath tende a ridurre la
spasticità e i riflessi posturali primitivi attraverso tecniche inibitorie, mentre la tecnica
di Brunnstom promuove l’attività anche dei muscoli spastici e dei riflessi primitivi
(Bobath 1979). C’è da considerare che in rapporto all’approccio attuato le tecniche
possono condizionare periodi più o meno lunghi di trattamento con evidenti ricadute
sull’organizzazione riabilitativa. Per definire meglio l’efficacia di una tesi specifica
è quindi necessario ricorrere ad ulteriori studi.
Baclofene e altri farmaci antispastici
Malgrado l’uso diffuso da molti anni non ci sono chiare evidenze di efficacia del
baclofene e di altri farmaci antispastici. Il baclofene, le benzodiazepine e la tizanidina
hanno un’azione centrale, con potenziale azione diretta sulla spasticità. Non ci sono
RCT vasti e i confronti sono soltanto tra i farmaci disponibili. Il baclofene si è
dimostrato di uguale efficacia rispetto al diazepam nel ridurre la spasticità ma
sembra avere effetti positivi nel migliorare la capacità di deambulazione. Anche la
tizanidina insieme al baclofene riduce la spasticità con lieve vantaggio per la
tizanidina (Medici, Pebet et al. 1989). L’utilizzo dell’infusione intratecale, riservato
alle condizioni di gravi sindromi diatonico-spastiche non è stata ben studiata
nell’ictus. Un recente studio non controllato su pochi casi ha dimostrato una
riduzione della spasticità senza ipostenia dal lato sano (Meythaler, Guin-Renfroe
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la gestione del paziente con ictus
et al. 1999). Il dantrolone ha un’azione periferica, a livello del muscolo e viene
utilizzato senza prove di efficacia.
Raccomandazioni:
a) La terapia farmacologica va somministrata nell’ambito di un trattamento
multidisciplinare (Grado C).
b) La terapia dovrebbe essere attuata solo nell’ambito di un trattamento riabilitativo
con identificazione di specifici obiettivi (Grado B).
c) L’uso del dantrolene dovrebbe essere fortemente limitato considerato l’effetto
negativo sulla forza muscolare (Grado C).
Tossina botulinica
La tossina botulinica è potenzialmente un trattamento efficace per la spasticità
focale (ben identificati gruppi muscolari) con pochi effetti collaterali. Ha due
potenziali svantaggi: il costo e la perdita di efficacia dopo circa 3 mesi che, peraltro
può essere sfruttata vantaggiosamente. Non ci sono prove di efficacia della tossina
botulinica riguardo alla riduzione della disabilità se confrontata con placebo o con
tutori. Questo potrebbe essere attribuibile alla ampia disomogeneità metodologica
degli studi.
Non ci sarebbero vantaggi con l’iniezione EMG guidata rispetto a quella normale
(Childers, Stacy et al. 1996). Basse dosi di Bta nell’arto inferiore associata a specifica
fasciatura hanno lo stesso effetto rispetto a dosi maggiori iniettate in muscoli
diversi (Reiter, Danni et al. 1998). Recentemente è stata dimostrata l’efficacia dopo
iniezione negli arti superiori anche se l’effetto è sulla menomazione e non sulla
disabilità (Smith, Ellis et al. 2000).
Anche in questo ambito i dati sono contraddittori e l’efficacia è discutibile (Lagalla,
Danni et al. 2000). Le differenze riscontrate indicano comunque che è critica per
l’efficacia una attenta valutazione funzionale dei muscoli da iniettare e che, nella
decisione, il paziente e chi se ne prende cura debbono essere ascoltati (Bhakta,
Cozens et al. 2000).
Raccomandazioni:
a) La terapia con tossina botulinica va considerata nel ridurre la spasticità focale (Grado A).
b) Tale terapia dovrebbe essere applicata con obiettivi riabilitativi specifici (Grado C).
Il biofeedback
Le metanalisi effettuate non sono riuscite a mettere in evidenza in modo chiaro
l'efficacia del biofeedback.
In effetti tale approccio può essere di diverso tipo in base ai diversi distretti o funzioni
(Schleenbacker 1993), (Moreland 1998), (Glantz, 1995). Ci sono prove circa l’ efficacia
del biofeedback nel velocizzare il recupero della simmetrizzazione di carico (Dursun,
Hamamci et al. 1996), (Sackley and Lincoln 1997).
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la gestione del paziente con ictus
Raccomandazioni:
a) Questa tecnica non dovrebbe essere usata di routine ma mirata al raggiungimento
di obiettivi specifici (Grado A).
b) Il biofeedback dovrebbe essere considerato come terapia aggiuntiva, in particolare
per la rieducazione della postura eretta (Grado A).
L’elettrostimolazione
L’elettrostimolazione (ES) può essere utilizzata come un trattamento terapeutico,
in particolare per diminuire la spasticità, o in modo funzionale per migliorare la
forza anche con eventuali ortesi (Burridge, Taylor et al. 1997). In una recente
metanalisi si è messo in evidenza un ruolo dell’elettrostimolazione nel recupero
(Glanz, Klawansky et al. 1996).
Raccomandazioni:
a) L’ES dovrebbe essere usata solo nell’ambito di specifici obiettivi (Grado A).
b) La FES dovrebbe essere utilizzata se la dorsiflessione del piede facilitata può
migliorare il cammino (Grado A).
4.12 La riabilitazione delle funzioni sensitive e dolore
Le funzioni sensitive sono spesso alterate dopo un ictus, e possono costituire un
sostanziale impedimento al recupero funzionale. Tra queste il dolore costituisce un
ulteriore problema, per la componente affettiva che contiene e che può interferire
molto negativamente con il programma riabilitativo.
4.12.1 Il dolore
Il dolore può avere diverse cause: alcune dipendono direttamente dal danno del
SNC ed altre sono conseguenti a complicanze secondarie e terziarie. Nel primo
caso, il dolore è conseguenza dell’alterata elaborazione del segnale da parte del
cervello e viene per questo definito di tipo centrale. L’altro dolore è generalmente
provocato da condizioni articolari, che si possono sommare a condizioni
premorbose. Tipica di questa situazione è la spalla dolorosa con le sue diverse cause,
ma vi sono anche altre condizioni di artropatia.
Raccomandazioni:
a) Dovrebbe essere effettuata una valutazione sistematica del dolore in ogni paziente
affetto (Grado C).
b) Tutti i tipi di dolore dovrebbero essere trattati in accordo con il paziente (Grado C).
c) Il dolore centrale dovrebbe essere trattato con gli antidepressivi triciclici in prima
istanza e, quindi, prima possibile, con gli antiepilettici successivamente (Grado A).
d) Pazienti con dolore intrattabile dovrebbero essere inviati da specialisti del dolore (Grado C).
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la gestione del paziente con ictus
4.13 Altri deficit sensitivi
Le tecniche riabilitative non hanno azione specifica sul danno sensitivo, ma piuttosto
sul complessivo deficit sensitivo-motorio. Più recentemente è stata dimostrata
l’efficacia della elettrostimolazione transcutanea (TENS) e dell’agopuntura, viste
come attività di stimolazione. Questa definizione appare comunque troppo
grossolana e c’è da considerare che, ad esempio, le TENS, possono agire anche sulla
spasticità e sul dolore, così come l’agopuntura possa ridurre il dolore. E’ quindi
difficile generalizzare i risultati positivi di alcuni RCT.
I dati sull’agopuntura sono contraddittori, variando tra prove di efficacia e di
evidenza di non effetto (Kjendahl, Sallstrom et al. 1997), (Gosman-Hedstrom,
Claesson et al. 1998). La TENS in un RCT sembra efficace sia sulla menomazione
che sulla disabilità, anche se lo studio può essere condizionato dalla non omogeneità
dei 2 gruppi (Tekeoglu, Adak et al. 1998).
Raccomandazioni:
a) L’agopuntura andrebbe utilizzata solo in ambito specifico in studi RCT (Grado A).
b) La TENS andrebbe usata in modo specifico in studi RCT stratificando per obiettivi
(Grado A).
4.14 La riabilitazione dell’arto superiore
Di solito, nei pazienti con ictus è più difficoltoso recuperare la funzionalità dell’arto
superiore, che è compromessa in fase acuta nell’85% dei pazienti. Nei 3-6 mesi
successivi una percentuale variabile tra il 55 e il 75% dei casi presenta ancora tale
interessamento. Il trattamento intensivo può migliorare a 6 mesi la funzionalità nei
soggetti a media gravità mentre non ci sono effetti nei soggetti gravi (Sunderland,
Tinson et al. 1992), (Sunderland, Fletcher et al. 1994). La differenza comunque non
si evidenzia a distanza di 1 anno. Più recentemente è stato dimostrato come un
esercizio intensivo per l’arto superiore produce benefici anche ad un anno dall’evento
acuto. L’efficacia era maggiore nelle condizioni motorie più gravi e nei soggetti con
emianopsia o eminattenzione (Feys, De Weerdt et al. 1998).
Non c’è quindi chiarezza sull’efficacia del trattamento intensivo nel recupero della
funzionalità dell’arto superiore.
Raccomandazione:
Il trattamento dell’arto superiore dovrebbe essere precoce e intensivo (Grado B).
4.15 La rieducazione del cammino
La rieducazione precoce del cammino con carico parziale su un tappeto rotante
sembra essere una tecnica promettente, anche se gli studi sono tutt’ora pochi e con
pochi pazienti arruolati. In un studio recente su 50 pazienti è stato dimostrato che
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la gestione del paziente con ictus
la riduzione di carico migliora la capacità di camminare sia dopo 6 settimane che
a 3 mesi. Lo studio è, però, limitato alla metodologia, poiché non è randomizzato
(Visintin, Barbeau et al. 1998). Anche un altro studio su una minore casistica
dimostrerebbe qualche beneficio (Hesse, Bertelt et al. 1995; Hesse,
Konrad et al. 1999).
Raccomandazioni:
a) L’uso del treadmill dovrebbe essere considerato soprattutto in pazienti dove permane
la difficoltà nel cammino (Grado A).
b) La rieducazione al cammino va comunque inserita nel programma riabilitativo
anche se le tecniche non si sono dimostrate l’una più efficace dell’altra (Grado B)
4.16 I disturbi dell’umore
I disturbi dell’umore sono una comune sequela dell’ictus. Questi possono variare
dalla depressione all’ansietà e possono interferire con il programma riabilitativo
nel caso in cui si sovrappongono al deficit cognitivo, rendendo difficile la diagnosi.
4.16.1 La depressione
Interessa circa il 27% dei pazienti affetti da ictus e questo valore è significativamente
superiore alla prevalenza nella popolazione (OR 2.28, 95% CI 1.61-3.24) (Beekman,
Penninx et al. 1998), (Burvill, Johnson et al. 1995).
E’ particolarmente frequente nei primi mesi dall’evento (Burvill, Johnson et al.
1995); 1/3 dei pazienti affetti hanno un quadro depressivo che persiste oltre il primo
anno dopo l’ictus (Herrmann, Black et al. 1998).
La depressione può interferire negativamente sul successo del programma
riabilitativo (Morris, Raphael et al. 1992), (Sinyor, Amato et al. 1986) e in generale
potrebbe condizionare il recupero (Angeleri, Angeleri et al. 1993).
Questa condizione aumenta i tempi di degenza in ospedale (Schubert, Taylor et al.
1992). Il trattamento con farmaci antidepressivi è efficace nella depressione postictus in maniera significativa con un netto miglioramento nelle attività di vita
quotidiana (Skegg 1999; Smith, Silver et al. 1999; Townsend, Courchesne et al. 1999;
Silver, Macko et al. 2000; Nelles, Jentzen et al. 2001; Bailey, Riddoch et al. 2002).
I nuovi farmaci serotoninergici sono efficaci nel trattamento della depressione postictus anche se non si può affermare che un antidepressivo sia superiore all’altro.
La fluoxetina sembra migliorare sia la menomazione che la disabilità
indipendentemente dal miglioramento depressivo (Dam, Tonin et al. 1996).
Più recentemente è stato dimostrata l’efficacia antidepressiva della fluoxetina senza
alcuna influenza sul processo di recupero (Wiart, Petit et al. 2000). La fluoxetina,
confrontata con la nortriptilina risulta meno efficace (Robinson, Schultz et al. 2000).
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la gestione del paziente con ictus
4.16.2 L’ansia
Anche l’ansia può interferire negativamente con il processo di recupero. Infatti la
paura di cadere durante i trasferimenti o la deambulazione o di non riuscire a
svolgere determinate attività, può provocare una strategia di evitamento e quindi
impedire il processo di recupero.
Raccomandazioni:
a) I pazienti devono essere informati sull’impatto che la malattia produce sulla loro
vita (Grado B).
b) Si devono valutare i bisogni psicosociali del paziente (Grado C).
c) Tutti i pazienti devono essere valutati e tenuti sotto osservazione per la depressione
e l’ansia (Grado C).
d) I pazienti con grave depressione dovrebbero essere trattati con antidepressivi (Grado A)
e) I pazienti con disturbo depressivo dovrebbero essere presi in considerazione per
inserimento in uno studio controllato (Grado A).
f) I pazienti con disturbi gravi che producono una resistenza alla terapia e peggiorano
la disabilità dovrebbero essere trattati con l’aiuto di uno psicologo o psichiatra di
esperienza (Grado C).
4.17 La dimissione
Il momento della dimissione rappresenta, assieme alla presa in carico, uno degli
snodi a maggiore criticità lungo il percorso riabilitativo del paziente con ictus.
E’ infatti il momento in cui il paziente e la sua famiglia possono avvertire il disagio
di passare da una condizione protetta a una situazione che può esaltare la disabilità
rispetto alla condizione premorbosa.
Per questa ragione la dimissione deve essere pianificata e programmata con estrema
attenzione, qualunque sia l’ambiente di cura dal quale il paziente viene dimesso,
attraverso la definizione di un vero e proprio piano, il più precocemente possibile.
Si deve quindi tenere conto dello stato funzionale, delle condizioni ambientali,
psicologiche e sociali del paziente, che necessariamente condizionano la scelta
dell’ambiente riabilitativo e/o del reinserimento domiciliare.
In questa fase assumono importanza diverse figure:
1. il medico di medicina generale, in quanto gli compete, accanto alla responsabilità
della gestione clinica del paziente una volta tornato a casa, il supporto della
famiglia, mantenendo un’informazione costante rispetto ai problemi di salute e
di prognosi e rispetto alle diverse complicanze. Il medico deve inoltre chiarire le
conseguenze che le nuove condizioni del paziente possono avere nel
comportamento e nelle relazioni sociali;
2. l’assistente sociale, cui spetta di fornire informazioni circa i supporti di cui
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la gestione del paziente con ictus
possono usufruire coloro che si prendono cura del paziente con ictus e le strutture
messe a disposizione dal Servizio Sanitario. E’ necessario che il medico di famiglia
si faccia carico anche di questa funzione laddove non vi è disponibilità di tale
figura professionale;
3. il responsabile del Centro di Salute che deve farsi carico di garantire gli aspetti
organizzativi della gestione del paziente una volta dimesso dalla struttura di
ricovero a ciclo continuativo.
Tutti i pazienti che hanno subito un ictus cerebrale necessitano di un piano di
dimissione strutturato, anche allo scopo di creare un collegamento tra le diverse
fasi assistenziali e riabilitative.
Nella fase acuta è necessario garantire:
l’elaborazione all’interno del gruppo multidisciplinare del progetto riabilitativo
e conseguentemente di programmi con obiettivi da raggiungere a breve, medio
e lungo termine;
l’identificazione dei problemi potenziali: es. il paziente vive da solo? presenta una
grave disabilità premorbosa ?
la compilazione di una specifica scheda-paziente, dalla quale sia possibile evincere
gli obiettivi stabiliti, i risultati raggiunti, le difficoltà incontrate, le riunioni
multidisciplinari effettuate e i partecipanti alle stesse.
Appena è possibile, quando si è stabilizzata la fase acuta, è necessario effettuare:
la definizione del profilo prognostico sulla base del quadro clinico;
la revisione ed eventualmente la conferma degli obiettivi attesi da condividere
con il paziente e con i suoi parenti;
la attivazione dei collegamenti verso le strutture ospedaliere di riabilitazione o
verso residenze protette o servizi territoriali del Centro di Salute dove risiede il
paziente, garantendo la trasmissione delle informazioni sul quadro clinico e i
bisogni assistenziali;
la richiesta alle strutture territoriali di riferimento della valutazione del domicilio,
per favorirne un eventuale adeguamento, qualora si preveda che il paziente possa
ritornare a casa;
la valutazione della necessità temporanea di ausili, in base al programma
riabilitativo e l’eventuale prescrizione;
la verifica delle capacità del paziente, o di chi lo accudisce, di comprendere e
gestire particolari terapie o procedure;
il coinvolgimento dell’assistente sociale per i bisogni finanziari, di comunità e/o
lavorativi, e per l’attivazione delle pratiche di invalidità laddove le condizioni
cliniche lo richiedano;
la distribuzione di materiale informativo sui servizi in comunità, ambulatori
medici, servizi di riabilitazione, supporto di volontariato e collegamento con le
associazioni dei malati.
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la gestione del paziente con ictus
Alla conferma della dimissione:
la comunicazione va data almeno 72 ore prima della dimissione nel reparto per
acuti, e 14 giorni prima nell’unità di riabilitazione intensiva, ai parenti del paziente
o a coloro che se ne prendono cura; va confermata l’ organizzazione dell’eventuale
trasporto;
l’attivazione del medico responsabile del Centro di Salute, che ha il compito di
organizzare le attività assistenziali e/o riabilitative qualora il paziente non venga
trasferito in strutture ospedaliere di riabilitazione;
la comunicazione con il medico di medicina generale che deve essere portato a
conoscenza delle condizioni cliniche del paziente al momento della dimissione,
ma anche del programma e del percorso riabilitativo scelto.
4.17.1 La dimissione precoce
Il programma riabilitativo, in linea teorica, può prevedere 2 opzioni: continuare il
programma fino al raggiungimento del massimo recupero possibile oppure dimettere
precocemente dopo aver raggiunto un livello accettabile di gestibilità del paziente
a domicilio. In questo caso il programma riabilitativo sarà completato in regime di
day hospital o a livello territoriale.Una dimissione precoce non sembra presentare
differenze rispetto a un ricovero prolungato in termini di migliore prognosi mentre
ha il vantaggio di favorire un riadattamento precoce alle attività della vita quotidiana
(Rudd, Wolfe et al. 1997), (Rodgers, Soutter et al. 1997).
Raccomandazioni:
a) E’ assolutamente fondamentale impostare il programma di dimissione fin dal momento
della diagnosi clinica, all’ingresso del paziente nell’ospedale per acuti (Grado C)
b) La dimissione precoce deve essere considerata se esiste un gruppo territoriale per
la riabilitazione dell’ictus e se il paziente è capace di essere trasferito in sicurezza dal
letto alla carrozzina (Grado A)
c) La dimissione non dovrebbe essere effettuata con l’invio a servizi generici di
riabilitazione (Grado A)
d) Chi assiste i pazienti dovrebbe disporre di tutti gli ausili necessari per posizionare,
trasferire e aiutare il paziente minimizzando i rischi (Grado B)
e) I servizi ospedalieri dovrebbero avere un protocollo e linee guida locali di dimissione
ed allertare il centro di riabilitazione intensiva o il servizio territoriale di riferimento
il più precocemente possibile (Grado A)
f) Prima della dimissione occorre verificare che:
- Il paziente e la famiglia sono preparati e pienamente coinvolti (Grado C)
- Il medico di medicina generale, il team dei centri di salute e i servizi sociali sono
informati (Grado C)
- Gli ausili necessari sono stati individuati ed eventualmente prescritti (Grado C)
- Non ci sono ritardi nel proseguire il trattamento in day hospital o sul territorio (Grado A)
- I pazienti sono informati sulla presenza di associazioni e gruppi di volontariato
(Grado C)
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la gestione del paziente con ictus
4.18 L’utilizzo di ausili
L’ausilio non deve essere utilizzato solo nella fase di stabilizzazione degli esiti ma
trova una specifica utilità in tutte le fasi del processo rieducativo e in particolare in
quello intensivo.
In questa fase, infatti, l’ausilio è utile per sostenere, anche transitoriamente, i vari
programmi riabilitativi posti in atto. Inoltre anche un ausilio permanente può essere
utilmente adattato e personalizzato durante il programma di riabilitazione intensiva.
Questo vale, ad esempio, per ausili come la carrozzina che può richiedere specifici
adattamenti, o le ortesi di caviglia che andrebbero prescritte dopo una accurata
valutazione della menomazione.
Raccomandazioni:
a) La necessità di un ausilio specifico dovrebbe essere costantemente valutata
(Grado B)
b) I pazienti dovrebbero essere dotati degli ausili prima possibile (Grado A)
c) Tutti i pazienti dovrebbero disporre rapidamente degli ausili necessari (Grado C)
d) La prescrizione dell’ausilio deve essere fatta in accordo con il paziente e la famiglia
in base alle loro aspettative (Grado C)
e) Le ortesi di caviglia sono utili in pazienti selezionati (Grado B)
f) Laddove necessarie, le ortesi di caviglia vanno personalizzate (Grado C)
g) Il bastone o il tripode possono migliorare la stabilità in stazione eretta e nel
cammino in pazienti con grave disabilità (Grado B).
4.19 Gli adattamenti ambientali
Una volta ottimizzata la funzionalità della menomazione residua possono essere
necessari adattamenti dell’ambiente nel quale il paziente andrà a vivere, che hanno
lo scopo di migliorare le attività e la partecipazione dei pazienti alla vita nel loro
contesto ambientale reale.
Parlare di questo argomento non è improprio durante la fase intensiva in quanto
fin da questo momento vanno previste eventuali modifiche.
Raccomandazioni:
a) Per ogni paziente, sia esso ricoverato o già al proprio domicilio, andrebbero valutati
eventuali adattamenti ambientali che possano migliorarne l’indipendenza (Grado A)
b) La prescrizione dovrebbe essere effettuata dopo un’attenta valutazione tenendo
conto del paziente e del suo contesto sociale (Grado B)
c) Il paziente e chi se ne prende cura dovrebbero essere addestrati all’utilizzo (Grado C)
d) L’utilizzo e la necessità degli adattamenti e degli ausili dovrebbe essere regolarmente
valutati e eventualmente cambiati ove necessario (Grado B)
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la gestione del paziente con ictus
4.20 La rieducazione alle attività della vita quotidiana
Il miglioramento della disabilità dipende sia dal miglioramento della menomazione,
su cui agiscono alcune delle tecniche precedentemente descritte, sia dalle strategie
di compenso, una volta stabilizzato il danno. Tuttavia le attività mirate a questo
scopo devono iniziare precocemente ed estendersi anche dopo il trattamento
riabilitativo intensivo, per facilitare non solo le abilità della cura personale, ma
anche quelle relativa alla vita domiciliare e sociale. Il personale che si occupa di
queste tecniche è costituito principalmente dal terapista occupazionale e dagli
infermieri, che nelle loro pratiche quotidiane rivestono un ruolo cruciale nel facilitare
l’indipendenza del paziente per l’autoaccudimento. Gli studi disponibili mostrano
peraltro che la riabilitazione agisce sicuramente nel migliorare le attività della vita
quotidiana pur non essendo disponibili studi relativi a tecniche specifiche.
Raccomandazioni:
a) Tutti i pazienti con difficoltà nelle attività della vita quotidiana dovrebbero essere
valutati da un terapista occupazionale con specifica esperienza in disabilità
neurologiche (Grado A)
b) Un paziente con persistente difficoltà nelle attività della vita quotidiana dovrebbe
essere rivalutato per eventuali menomazioni percettive non precedentemente
evidenziate (Grado B)
c) Pazienti con difficoltà nelle attività della vita quotidiana dovrebbero essere trattati
dal gruppo multidisciplinare (Grado A)
d) Il paziente dovrebbe essere coinvolto sugli obiettivi del trattamento per le attività
della vita quotidiana (Grado C)
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Percorsi clinico riabilitativi del paziente con ictus
5. PERCORSI CLINICO RIABILITATIVI DEL
PAZIENTE CON ICTUS
5.1 La riabilitazione nella fase acuta
Stroke Unit e Servizi Ospedalieri per Acuti
Come dimostrato precedentemente è più appropriato che l’ictus venga trattato
presso una stroke unit o in una altro reparto dedicato alla cura dell’ictus in quanto,
tale organizzazione di cura riduce la mortalità e la disabilità. Qualora il paziente
con ictus venga ricoverato in un reparto di medicina generale, o in una unità organica
non specializzata, occorre garantire uno standard di assistenza che si avvicini quanto
più possibile a quello della stroke unit.
Raccomandazione:
Il paziente con ictus acuto va ricoverato in una stroke unit, indipendentemente dalla
gravità del quadro clinico. (Grado A)
Implicazione Organizzativa
Se non è possibile raggiungere questo livello di organizzazione è necessario garantire
che i pazienti con ictus:
vengano ricoverati in una zona del reparto per acuti dedicata;
vengano assistiti da infermieri e fisioterapisti con esperienza e competenza
specifica secondo una metodologia di lavoro che, pur in assenza di un gruppo
multidisciplinare strutturato, preveda la definizione di una strategia di intervento,
il coinvolgimento dei familiari, la focalizzazione dei problemi specifici e la
diffusione di materiale informativo.
La stroke unit
In Italia i pazienti con ictus in fase acuta possono essere ricoverati sia in reparti con
un elevato livello di specializzazione, organizzati per fornire un’assistenza
multidisciplinare, che in reparti tradizionali.
Pur non esistendo una definizione univoca di stroke unit, le caratteristiche di questi
servizi dedicati, rispetto ai centri di cura convenzionali sono:
il lavoro in gruppo multidisciplinare ad elevata specializzazione;
il continuo aggiornamento del personale coinvolto che presenta esperienza nella
gestione dell’ictus;
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Percorsi clinico riabilitativi del paziente con ictus
l’attività di ricerca associata alla attività clinica;
il coinvolgimento, l’informazione e l’educazione del paziente e dei suoi familiari;
l’organizzazione in uno spazio dedicato.
Per stroke unit si intende un reparto in cui si pratica assistenza clinica intensiva.
Un’unità di 10 posti letto prevede:
3-5 infermieri per turno (da 1 ogni 2 letti a 1 ogni 4)
1-2 fisioterapisti (da 1 ogni 5 pazienti a 1 ogni 3)
1 terapista occupazionale
0,5 terapisti del linguaggio e delle funzioni cognitive
E’ stata dimostrata l’applicabilità del modello organizzativo della stroke unit nella
realtà clinica (Stegmayr, Asplund et al. 1999) e la riduzione dei costi rispetto ai
reparti tradizionali (RCPE 2000).
I pazienti ricoverati sia in una stroke unit per acuti che in una riabilitazione intensiva
in fase precoce (entro il primo mese) hanno più probabilità di tornare ad una vita
indipendente e di non essere istituzionalizzati se paragonati ai pazienti ricoverati
nei reparti conventionali (Collaboration 2000).
La superiorità, rispetto alle cure non specialistiche, si concretizza nella prevenzione
di 1 decesso ogni 25 pazienti trattati e nel rientro a domicilio, in condizioni di
autonomia, di 1 caso in più ogni 20 trattati. Ciò si traduce nella prevenzione di 67
morti e disabili ogni 1000 pazienti ricoverati. La differenza tra i pazienti ricoverati
in stroke unit e pazienti ricoverati in reparti convenzionali è statisticamente
significativa.
Non esiste ad oggi una organizzazione con maggiori prove di efficacia per offrire
una cura migliore degli ictus che non sia il ricovero in una stroke unit, né esiste un
criterio provato per poter selezionare i pazienti che ne possano giovare di più.
5.2 La riabilitazione nella fase postacuta
Come la stroke unit per acuti e meglio del reparto di medicina generale nel ridurre
la mortalità e la disabilità anche le cosiddette stroke unit riabilitative (dedicate
esclusivamente all’ictus) o le strutture riabilitative miste (non specificamente
dedicate all’ictus) sono vantaggiose rispetto ai reparti di medicina generale (Stroke
Unit Trialist, 2002).
La fase post acuta deve svilupparsi lungo un percorso che tenga conto delle diverse
componenti cliniche, personali e sociali della persona ammalata, in modo tale da
poter applicare il progetto riabilitativo, ottenendo il miglior rapporto costo beneficio.
Se è vero che il programma riabilitativo può produrre effetti positivi anche in soggetti
con disabilità minimali, occorre definire criteri di priorità di intervento per individuare
chi può trarne maggior beneficio. Un punto critico è rappresentato dai tempi riferiti al
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Percorsi clinico riabilitativi del paziente con ictus
passaggio da un ambito riabilitativo ad un altro. Ad esempio il passaggio tra l’ospedale
dell’acuzie a quello riabilitativo o al territorio deve avvenire in tempi rapidi (non oltre
la settimana) per garantire un’appropriata prosecuzione del programma definito.
5.2.1 La tipologia degli interventi
Le attività sanitarie di riabilitazione possono essere distinte sia in relazione all'intensità
e alla complessità che alla quantità e alla qualità di risorse assorbite in:
a) attività di riabilitazione intensiva: dirette al recupero di disabilità importanti,
modificabili, che richiedono un impegno medico specialistico ad indirizzo riabilitativo
particolarmente elevato per complessità e durata dell'intervento (oltre 3 ore al giorno).
b) attività di riabilitazione estensiva: caratterizzate da un moderato impegno terapeutico
a fronte di un forte intervento di supporto assistenziale verso i soggetti in trattamento.
L'impegno clinico e terapeutico è comunque tale da richiedere una presa in carico
specificamente riabilitativa e complessivamente le attività terapeutiche sono valutabili
tra una e tre ore giornaliere.
Gli interventi di riabilitazione intensiva sono erogabili in regime di:
1. Ricovero a ciclo continuativo (degenza ordinaria)
2. Ricovero a ciclo diurno (day hospital)
Gli interventi di riabilitazione estensiva sono erogabili presso le seguenti strutture
(SSN 1998):
1. le strutture ospedaliere di lungodegenza riabilitativa;
2. i presidi ambulatoriali di recupero e rieducazione funzionale territoriali e ospedalieri;
3. i presidi di riabilitazione extraospedaliera a ciclo diurno e/o continuativo;
4. i centri ambulatoriali di riabilitazione;
5. le residenze sanitarie assistenziali (RSA);
6. le strutture residenziali o semiresidenziali di natura socio-assistenziale, i centri socioriabilitativi e il domicilio.
5.2.2 I vari ambienti riabilitativi
In generale le attività di riabilitazione sono erogate mediante una rete di servizi
ospedalieri ed extraospedalieri in regime:
di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo e/o diurno;
residenziale a ciclo continuativo e/o diurno;
ambulatoriale, extramurale, domiciliare o RSA.
5.2.3 I criteri di scelta dell’ambiente riabilitativo
La decisione relativa all’invio del paziente verso un programma di riabilitazione
deve basarsi su criteri quanto più possibile oggettivi. Questi debbono prevedere
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Percorsi clinico riabilitativi del paziente con ictus
livelli di priorità al fine di privilegiare coloro che possono trarre maggior beneficio
da un progetto riabilitativo.
Per una corretta scelta dell’ambiente riabilitativo è necessario che la valutazione
standardizzata si basi sia su dati clinici che su dati di contesto (personali, familiari
e sociali).
Per la scelta dell’ambiente riabilitativo i parametri di valutazione dovrebbero essere
i seguenti:
Condizioni Cliniche:
Deficit neurologici;
Complicanze e comorbilità;
Aspetti funzionali (deficit nutrizionali, integrità cutanea, etc).
Elementi di rilievo:
Condizioni fisiche premorbose;
Condizioni mentali e capacità di apprendimento;
Stato emotivo e motivazione.
Fattori sociali e ambientali:
Presenza di sostegno familiare;
Qualità della vita precedente all’ictus;
Etnia e lingua madre;
Accettazione dell’ictus da parte del paziente e dei familiari;
Preferenze e aspettative del paziente e dei familiari;
Caratteristiche della casa e dell’ambiente.
5.3 La riabilitazione intensiva
Gli interventi inquadrabili come riabilitazione intensiva sono rivolti al trattamento
di menomazioni molto gravi e disabilità complesse con eventuali patologie associate,
che richiedono la permanenza in ambiente riabilitativo dedicato e 1'interazione
con altre discipline specialistiche. Possono essere erogati in regime di ricovero
ordinario continuativo o in regime di day hospital.
Il programma di riabilitazione intensiva prevede un intervento di almeno 3 ore
giornaliere di trattamento individuale, erogato direttamente da personale tecnico
specializzato in riabilitazione che lavora come gruppo multidisciplinare.
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Percorsi clinico riabilitativi del paziente con ictus
5.3.1 Riabilitazione intensiva ospedaliera a ciclo continuativo
Il ricovero ordinario in riabilitazione intensiva è appropriato se:
il paziente può andare incontro a miglioramenti della menomazione e della
disabilità durante il ricovero, che gli consentiranno di essere reinserito nella
comunità o affidato a servizi che lo sottoporranno a cure riabilitative meno intensive;
le condizioni del paziente richiedono un ricovero con disponibilità continuativa,
nell'arco delle 24 ore, di prestazioni diagnostico-terapeutico-riabilitative a elevata
intensità e un trattamento riabilitativo indifferibile e non erogabile in altri regimi.
Raccomandazione:
Il paziente ammesso nel reparto di riabilitazione intensiva deve essere stabile o
moderatamente stabile, comunque con una complessità di problematiche tali da
richiedere il monitoraggio clinico 24 ore su 24 (grado C).
Il livello di STABILITA' CLINICA è quindi il criterio principale in base al quale si
decide se sia opportuno avviare un paziente alla riabilitazione intensiva ospedaliera.
Si riporta la scala utilizzata per tale definizione:
a) Stabilità
Il paziente non presenta febbre, ha parametri vitali stabili, non presenta cambiamenti
importanti nelle condizioni generali, non richiede cambiamenti nel trattamento
durante le prime 48 ore. I deficit neurologici sono stabili o in regressione, il paziente
può ricevere adeguata nutrizione per via orale o può essere attuata una nutrizione
ed idratazione per via enterale.
b) Moderata stabilità
Uno o più problemi clinici hanno richiesto un cambio di terapia nelle prime 48 ore
ma i sintomi o l’esame obiettivo non presentano significativi cambiamenti. Non è
stata stabilita una via di nutrizione e di idratazione permanente. I deficit neurologici
sono invariati o migliorano.
c) Instabilità
Il paziente ha condizioni che richiedono di essere diagnosticate e trattate presso
un'unità di terapia intensiva, perché minacciano la vita del paziente e potrebbero
causare stati patologici gravi se non prontamente trattati. Deficit neurologici e stato
di coscienza fluttuanti nelle prime 48 ore.
E' quindi evidenziato come lo stato di instabilità richieda il ricovero in unità per
acuti di terapia intensiva.
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Percorsi clinico riabilitativi del paziente con ictus
Quale paziente ricoverare in riabilitazione intensiva?
La riabilitazione intensiva deve essere quindi riservata a chi può sostenere almeno 3
ore di riabilitazione al giorno su un piano fisico, cognitivo e motivazionale.
In generale, un primo aspetto da tenere in considerazione è l’intervallo dall’evento
acuto. Come è stato detto, la riabilitazione intensiva deve essere iniziata prima possibile
ed esercitata nelle prime settimane dall’evento acuto. Ricoveri a distanza di anni dal
fatto acuto in genere non sono appropriati a meno che non ci sia un deterioramento
della disabilità.
Non ci sono evidenze circa il fatto che l’efficacia del trattamento riabilitativo sia in
relazione alla gravità del quadro clinico (Alexander 1994), (Ronning and Guldvog 1998).
La sindrome clinica è un altro criterio di scelta. L’ictus lacunare ha le possibilità di
recupero migliori e può non richiedere un trattamento intensivo quando la menomazione
è particolarmente lieve (Ween, Alexander et al. 1996), (Adams, Davis et al. 1999).
Altro criterio è la sostenibilità di un programma riabilitativo intensivo. Se il paziente
non è in grado di sopportare un trattamento riabilitativo intensivo per la gravità
del quadro clinico, le comorbilità, l’età, etc., può non essere ammesso alla
riabilitazione intensiva (1995). La gravità della patologia può essere temporanea,
e in questo caso il paziente può essere inviato in riabilitazione estensiva per poi
essere eventualmente indirizzato, nel caso in cui ci sia un miglioramento delle
condizioni cliniche, alla riabilitazione intensiva. Pazienti con condizioni difficilmente
reversibili quali gravi cardiopatie, demenze, neoplasie a decorso rapidamente
infausto, malattie degenerative del SNC, etc., devono avere un trattamento
assistenziale-riabilitativo più che riabilitativo specifico.
Il paziente può accedere al reparto di riabilitazione intensiva proveniente dal reparto
per acuti; in un minor numero di casi l’accesso può avvenire come trasferimento
da altri reparti (riabilitativi o non) o dal proprio domicilio. Al fine di garantire
l’appropriatezza del ricovero è opportuno utilizzare una scheda di richiesta
standardizzata che consenta di conoscere le caratteristiche cliniche del paziente.
Meglio ancora sarebbe poter garantire che la valutazione venga effettuata dal
medico competente in riabilitazione nei vari nodi della rete.
5.3.2 Riabilitazione intensiva delle gravi cerebrolesioni acquisite
Dove ricoverare il paziente con grave cerebrolesione acquisita?
Il concetto di grave cerebrolesione acquisita è correlata alla gravità del coma (GCS <8),
in genere dovuta alla sofferenza cerebrale diffusa conseguente al trauma. In pazienti con
ictus ischemico o emorragico si possono avere condizioni di gravità tale che non si
limitano al danno focale, ma producono un danno cerebrale diffuso spesso legato
all’edema, alla vastità del danno, all’eventuale idrocefalo etc.
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Percorsi clinico riabilitativi del paziente con ictus
Il razionale della collocazione in specifiche strutture di questi pazienti è dato dalla
peculiarità determinata dal danno diffuso. In questo caso infatti i tempi di recupero si
dilatano rispetto alla tipica curva di recupero dell’ictus e necessitano di uno specifico
approccio multidisciplinare simile a quello che si attua nei traumi cranici gravi.
Per trattare questi pazienti (coma grave nelle prime 24 ore con GCS <8) sono individuate
dalle linee guida nazionali strutture di alta specializzazione, le Unità per le Gravi
Cerebrolesioni acquisite e i Gravi Traumi Cranio-Encefalici (SSN 1998).
5.3.3 Riabilitazione intensiva in regime di day hospital
Il paziente che è gestibile al proprio domicilio ma ha ancora bisogno di riabilitazione
intensiva e di un supporto clinico complesso è candidato a passare in regime di
day hospital.
Il ricovero in day hospital è appropriato se il paziente:
a) è clinicamente stabile in misura tale da non aver bisogno di assistenza sanitaria
continuativa per 24 ore al giorno;
b) è suscettibile di significativi miglioramenti funzionali e della qualità di vita in un
ragionevole lasso di tempo;
c) ha indicazione per un intervento riabilitativo di elevata intensità o comunque
prolungato nell'ambito della stessa giornata, da somministrarsi con 1'approccio
multiprofessionale più adeguato spesso anche plurispecialistico;
d) presenta condizioni cliniche generali che gli permettono di tollerare sia tale
intervento sia i trasferimenti quotidiani da e per il proprio domicilio.
5.4 Riabilitazione estensiva
Le linee guida nazionali (SSN 1998) prevedono che gli interventi di riabilitazione
estensiva siano rivolti al trattamento di:
1. disabilità transitorie e/o minimali che richiedono un semplice e breve programma
riabilitativo;
2. disabilità importanti con possibili esiti permanenti che richiedono una presa in
carico a lungo termine e un "progetto riabilitativo".
L’intervento di riabilitazione estensiva implica comunque un progetto riabilitativo
e può essere erogato nelle seguenti strutture:
1. Strutture di riabilitazione estensiva
2. Presidi ambulatoriali
3. Centri ambulatoriali di riabilitazione
4. RSA
5. Domicilio
chi assiste il paziente può rappresentare un punto cruciale per il successo del
progetto riabilitativo. Infatti uno dei compiti dei vari setting riabilitativi è quello di
addestrare il paziente e le assistenze ad attività autogestite nel corso della giornata
per migliorare o almeno mantenere il livello di autonomia.
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Percorsi clinico riabilitativi del paziente con ictus
Il trattamento domiciliare subintesivo con tecniche fisioterapiche classiche
vadiscusso in termini di costi benefici.
I potenziali vantaggi della riabilitazione domiciliare sono:
la convenienza per il paziente che non deve spostarsi;
l’importanza nel caso di disturbi cognitivi;
l’assenza di costi per il trasporto del paziente
il migliore adeguamento dell’ambiente alla disabilità del paziente aumentando
le attività autonome e riducendo i rischi
I potenziali svantaggi sono:
1. la difficoltà di coordinare il progetto riabilitativo;
2. la mancanza di attrezzature necessarie, soprattutto per alcune tecniche riabilitative
(ad es. il letto rigido e ampio per gli esercizi e la disponibilità di diversi ausili da
provare);
3. la perdita di tempo negli spostamenti degli operatori, con diminuzione o del
numero di pazienti trattati nel tempo di intervento
5.4.1 Strutture di degenza riabilitativa estensiva
Pazienti gravi che non possono sostenere la riabilitazione intensiva o non possono
essere reinseriti a domicilio, anche temporaneamente, dovrebbero essere indirizzati
in strutture dove sia garantita una buona assistenza infermieristica e un programma
riabilitativo a bassa intensità. Il modello di riferimento è quello delle “nursing
home”. Le linee guida SSN del 1998 individuano un modello di questo tipo che
viene chiamato impropriamente lungodegenza riabilitativa.
Tali strutture “…assistono in regime di ricovero pazienti, provenienti abitualmente
dalle diverse aree assistenziali mediche e chirurgiche, non autosufficienti affetti da
patologie ad equilibrio instabile e disabilità croniche non stabilizzate o in fase
terminale, abbisognevoli di trattamenti sanitari rilevanti, anche orientati al recupero,
e di sorveglianza medica continuativa nelle 24 ore, nonché di nursing infermieristico
non erogabile in forme alternative. La fase di assistenza post-acuzie è resa in Unità
o aree di degenza specificatamente organizzate per garantire la continuità terapeutica
con l'équipe che li ha avuti in carico nella fase acuta dell'episodio di malattia. Esse
sono funzionalmente organizzate per garantire il "progetto riabilitativo di struttura".
Le strutture ospedaliere di lungodegenza assistono altresì, in regime di ricovero,
soggetti disabili non autosufficienti, a lento recupero, non in grado di partecipare
ad un programma di riabilitazione intensiva od affetti da grave disabilità richiedenti
un alto supporto assistenziale ed infermieristico ed una tutela medica continuativa
nelle 24 ore, per i quali è da prevedersi un progetto riabilitativo individuale… “
Tali strutture potrebbero essere assimilabili ad una RSA a carattere riabilitativo, ad
un ospedale di comunità organizzato in senso riabilitativo o strutture di degenza
riabilitative a bassa intensita specificamente progettate.
La realizzazione di queste strutture permetterebbe di migliorare l’appropriatezza
dell’intervento, sollevando, per un periodo limitato nel tempo, le strutture di
assistenza territoriale.
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5.4.2 Riabilitazione domiciliare o ambulatoriale?
Il problema della scelta tra riabilitazione ambulatoriale o domiciliare è molto
dibattuto, e sono stati effettuati diversi studi, alcuni dei quali hanno prodotto
risultati contrastanti, in quanto condizionati da differenze organizzative tra i diversi
sistemi sanitari e da differenze di selezione dei pazienti ed altri fattori.
Gli studi riguardano 3 elementi principali: efficacia - costi - tipo di intervento.
Efficacia
Ad oggi non ci sono forti prove di efficacia che supportino la scelta di un determinato
ambiente riabilitativo. In particolare, non esistono studi randomizzati controllati che
valutino l’efficacia della riabilitazione ambulatoriale rispetto a quella domiciliare. Vi
sono prove dell’efficacia del trattamento domiciliare nel ridurre la disabilità e
aumentare la qualità della vita rispetto al trattamento in regime di day hospital, a
costo, però, di una maggiore ansia dei parenti (Young and Forster 1992, Gladman,
Lincoln et al. 1993), (Anderson, Rubenach et al. 2000). Non ci sono differenze di
efficacia tra il trattamento prolungato in regime di ricovero continuativo ed a domicilio,
né in termini di mortalità, né di disabilità (Anderson, Mhurchu et al. 2000; Anderson,
Rubenach et al. 2000) (Widen Holmqvist, Von Koch et al. 1998) (Gladman, Lincoln et
al. 1993; Gladman, Whynes et al. 1994; Gladman and Lincoln 1994; Gladman, Forster
et al. 1995), (Rudd, Wolfe et al. 1997). E’ possibile effettuare un precoce reinserimento
a domicilio con supporto integrato dello stroke service, con il vantaggio di diminuire
il numero di pazienti disabili (Indredavik, Fjaertoft et al. 2000), (Anderson, Rubenach
et al. 2000). Il confronto tra l’ospedalizzazione e il trattamento domiciliare non porta
a differenze di prognosi, ma mette in evidenza differenze di costi. Il problema si sposta
quindi ad una valutazione di costi-benefici tra i 3 setting (domicilio, AmbulatorioDay Hospital e ricovero) che il paziente può sfruttare una volta dimesso.
Costi
Si calcola che la terapia domiciliare costi il 27%, in più rispetto al ricovero, 2,6 volte
di più rispetto al trattamento ambulatoriale e il 25 % in meno rispetto al day hospital
(Gladman, Lincoln et al. 1993; Gladman, Whynes et al. 1994; Gladman and Lincoln
1994; Gladman, Forster et al. 1995). Un altro recente studio ha confrontato il trattamento
in regime di day hospital con il trattamento in riabilitazione domiciliare dimostrando
un lieve vantaggio per la seconda con un significativo minore costo (Young and Forster
1992; Young and Forster 1993). Altri studi non mostrano differenze né in termini di
prognosi, né in costi. Probabilmente il miglior rapporto costo-benefecio può essere
ottenuto con un sistema misto domiciliare/day hospital (Roderick, Low et al. 2001).
Raccomandazioni:
a) L’attività di riabilitazione domiciliare è indicata sotto forma di terapia
occupazionale per brevi periodi (Grado A).
b) Una modalità di riabilitazione domiciliare consiste nell’attività di insegnamento
al paziente e alle assistenze per esercizi e mobilizzazioni autogestite (Grado B).
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Percorsi clinico riabilitativi del paziente con ictus
5.4.3 Riabilitazione territoriale domiciliare
L’esecuzione di esercizi a domicilio dopo la dimissione, con la supervisione di un
terapista, nel caso di pazienti con danno lieve, è risultata più efficace rispetto al
non fare alcun esercizio mirato al recupero funzionale (Duncan, Richards et al.
1998). In un RCT la visita di un terapista 1 volta alla settimana con un programma
di esercizi autogestiti, ha la stessa efficacia della riabilitazione ambulatoriale o di
day hospital (Baskett, Broad et al. 1999).
Recenti studi enfatizzano come a domicilio, piuttosto che fare un trattamento
neuromotorio occorra effettuare un programma adeguato di terapia occupazionale,
con un numero limitato di sedute (Gilbertson, Langhorne et al. 2000), (Logan, Ahern
et al. 1997), (Walker, Gladman et al. 1999).
In una recente revisione della letteratura inglese (Rice-Oxley and Turner-Stokes
1999) viene indicato come più appropriato per i pazienti giovani il trattamento
ambulatoriale (purché prolungato e specifico) mentre per l’anziano sembra adeguato
un più generico programma di riattivazione funzionale a domicilio.
La definizione di un piano assistenziale-riabilitativo attraverso l’istruzione di coloro
che assistono il paziente può rappresentare un punto cruciale per il successo del
progetto riabilitativo. Infatti uno dei compiti dei vari setting riabialitativi è quello
di addestrare il paziente e coloro che assistono ad attività autogestite nel cors della
giornata per migliorare o almeno mantenere il livello di autonomia.
Il trattamento domiciliare subintesivo con tecniche fisioterapiche classiche va
discusso in termini di costi benefici.
I potenziali vantaggi della riabilitazione domiciliare sono:
la convenienza per il paziente che non deve spostarsi;
l’importanza nel caso di disturbi cognitivi;
l’assenza di costi per il trasporto del paziente
il migliore adeguamento dell’ambiente alla disabilità del paziente aumentando
le attività autonome e riducendo i rischi
I potenziali svantaggi sono:
1. la difficoltà di coordinare il progetto riabilitativo;
2. la mancanza di attrezzature necessarie, soprattutto per alcune tecniche riabilitative
(ad es. il letto rigido e ampio per gli esercizi e la disponibilità di diversi ausili da
provare);
3. la perdita di tempo negli spostamenti degli operatori, con diminuzione o del
numero di pazienti trattati nel tempo di intervento
5.4.4 Riabilitazione territoriale ambulatoriale
Le disabilità di interesse territoriale possono essere distinte in 2 categorie: disabilità
minimali, spesso transitorie, e disabilità gravi con possibili esiti permanenti. Pertanto
l’intervento riabilitativo si rivolge a:
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Percorsi clinico riabilitativi del paziente con ictus
1. disabilità transitorie e/o minimali che richiedono un semplice e breve programma
terapeutico-riabilitativo, in genere, anche senza la completa presa in carico
dell’equipe riabilitativa;
2. disabilità importanti con possibili esiti permanenti, spesso multiple, che richiedono
una presa in carico nel lungo termine richiedenti un "progetto riabilitativo"
individuale. In questo caso è necessaria una presa in carico da parte dell’equipe
multidisciplinare.
Il tipo di menomazione alla base della disabilità deve orientare specifici percorsi
d’intervento e protocolli terapeutici cui si associa la necessità di coinvolgere specifiche
figure professionali nell’équipe riabilitativa.
Anche in caso di riabilitazione territoriale occorre elaborare un programma
riabilitativo individuale con presa in carico da parte dell’équipe riabilitativa in
stretto rapporto con il Medico di Medicina Generale (MMG), il Medico Responsabile
del Centro di Salute e lo specialista neurologo esperto in malattie cerebrovascolari.
Il gruppo multidisciplinare riabilitativo o équipe riabilitativa è composto da:
Medico specialista in Riabilitazione coordinatore dell’équipe e responsabile del
progetto riabilitativo
Terapista della Riabilitazione ( Terapista Neuromotorio e/o Logopedista)
responsabili dello specifico programma riabilitativo applicato
Infermiere Professionale
Tale équipe, ove la complessità della disabilità trattata imponga la presa in carico
più estesa del paziente, deve essere allargata ad altre figure professionali che
nevengono a costituire così parte integrante:
Assistente Sociale
Psicologo
Neurologo esperto in ictus.
Medici specialisti (in regime di consulenza polispecialistica)
L’équipe riabilitativa deve essere sempre il punto di riferimento dell’utente, che ne
viene preso in carico. Il lavoro d’équipe si basa anche in questo caso sulla stesura
di un progetto riabilitativo articolato secondo fasi ed obiettivi riabilitativi chiari e
concordati e sulla verifica del loro raggiungimento nei tempi prefissati.
Si devono per questo prevedere riunioni strutturate periodiche in cui tutti i membri
dell’équipe possono confrontarsi sia sui piani d’intervento riabilitativo che sugli
aspetti organizzativi. Nel caso della presa in carico del paziente il medico coordinatore
dell’équipe è uno specialista in riabilitazione.
In ogni caso l’équipe riabilitativa del territorio deve:
dare risposte celeri ai bisogni dell’utente e/o una rapida presa in carico (ove
necessario, nei casi più complessi)
usufruire, ove necessario, di una diagnostica riabilitativa strumentale accessibile
in tempi brevi
operare in sinergismo con l’équipe riabilitativa dell’ospedale
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Percorsi clinico riabilitativi del paziente con ictus
L'intervento riabilitativo territoriale assolve le funzioni di:
- monitoraggio periodico della disabilità;
- prosecuzione o inizio del progetto riabilitativo;
- prevenzione delle situazioni di svantaggio sociale conseguente alla disabilità;
- valutazione, prescrizione, addestramento relativo ad ausili, protesi, ortesi;
- assistenza e consulenza nelle azioni di reinserimento sociale e professionale del
disabile.
Gli interventi della riabilitazione territoriale possono essere erogati sia a livello
ambulatoriale che al domicilio dei pazienti con:
A - Disabilità lieve:
Il paziente é capace di accedere alla propria abitazione (scale o ascensore)
autonomamente, con sorveglianza o con aiuto.
B - Disabilità medio-grave:
Il paziente può mantenere la posizione seduta per almeno due ore e può essere
trasportabile.
C - Disabilità grave:
Il paziente non mantiene la posizione seduta. Non è trasportabile.
- Viene attivata la consulenza riabilitativa domiciliare.
Per la realizzazione di tale modalità operativa è importante che ogni servizio si
possa avvalere di un adeguato servizio di trasporto per disabili.
5.4.5 Le fasi della presa in carico
Le fasi fondamentali della presa in carico sono:
1.Invio dal gruppo multidisciplinare del reparto ospedaliero o dal medico di base
all’equipe riabilitativa territoriale.
2.Valutazione dell'équipe riabilitativa in ambulatorio, o a domicilio quando le
condizioni cliniche del paziente non consentono di trasportarlo.
3.Presa in carico da parte del servizio con definizione di:
- programma riabilitativo ambulatoriale
- programma riabilitativo domiciliare, attraverso un breve training (massimo 3
accessi) per fornire indicazioni ai familiari o a chi si occupa del malato, per il
supporto assistenziale e riabilitativo. Il training ha lo scopo principale di favorire
al massimo il recupero della trasportabilità
- programma di autonomia domiciliare per i pazienti non candidati all’intervento
riabilitativo ambulatoriale
- altri tipi di intervento, in relazione ai criteri sopra menzionati, nel caso che non
sia ritenuto appropriato un programma riabilitativo.
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Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
Percorsi clinico riabilitativi del paziente con ictus
Raccomandazione:
Laddove l’équipe territoriale offra prestazioni anche nell’ospedale per acuti è opportuno
e utile stabilire uno stretto collegamento tra trattamento per acuti e programma
riabilitativo territoriale. (Grado C)
5.4.6 La valutazione del domicilio
E’ compito dell’équipe territoriale anche la valutazione del domicilio del paziente
per verificare la possibilità che viva in autonomia, o, comunque, con l’aiuto di chi
si occupa di lui, all’interno dell’ambiente familiare .
La verifica delle caratteristiche della casa del paziente va fatta appena stabilizzata
la fase acuta ed ha lo scopo di individuare i problemi che il paziente potrebbe
incontrare al rientro presso il proprio domicilio.
Generalmente le aree da prendere in considerazione sono:
possibilità di spostamenti, accessi, sicurezza, mobilio della cucina
trasferimenti sedia - letto-poltrona - posizione in piedi
accesso in bagno e possibilità di fare il bagno o la doccia.
Dopo aver valutato la situazione e fatto una lista dei problemi vengono date
raccomandazioni circa le soluzione possibili al paziente e a chi lo assiste. Laddove
necessario, il nucleo familiare sarà aiutato nella stesura di un progetto di
ristrutturazione.
Sebbene non ci siano studi che forniscano prove di efficacia di tale intervento,
sembra tuttavia che questo abbia un ruolo importante nell’evitare dimissioni
improprie ed istituzionalizzazioni.
5.5 La riabilitazione nella fase cronica
5.5.1 La valutazione e il monitoraggio degli esiti
Una volta stabilizzato il quadro clinico e raggiunti gli obiettivi riabilitativi occorre
agire per minimizzare le difficoltà alla partecipazione alla vita attiva. Questa è una
fase piuttosto delicata perché coinvolge la sfera personale e sociale del paziente.
Sul piano individuale, il problema centrale è quello della non accettazione da parte
del paziente della sua disabilità. Questo porta spesso alla convinzione che
continuando il programma riabilitativo si continuerà a migliorare. In realtà è questo
un modo di allontanare il problema della propria disabilità e di fare il “malato di
professione”, anziché affrontare il difficile reinserimento nella vita quotidiana.
Spesso mancano strutture che possano facilitare il reinserimento lavorativo e sociale,
per cui la tendenza è quella di proseguire il programma, come sbocco palliativo
alla esigenze sociali del malato. L’approccio più corretto è quindi, in generale, di
interrompere il programma riabilitativo in assenza di obiettivi di ulteriore
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Percorsi clinico riabilitativi del paziente con ictus
miglioramento e delegare al paziente e a chi lo assiste le attività per mantenere la
abilità riacquisite. E’ indicato monitorare nel tempo il paziente allo scopo di
individuare le variazioni delle condizioni cliniche e valutare se ci sono margini per
riprendere un programma riabilitativo. La valutazione verrà effettuata dal gruppo
multidisciplinare territoriale sopra descritto.
5.5.2 L’ utilità dei “ricicli riabilitativi”
L’utilità dei cicli riabilitativi nel mantenere le abilità acquisite nel paziente con ictus
è un tema ancora dibattuto anche se l’utilità a lungo termine è discutibile.
Esistono indicazioni secondo le quali i pazienti trattati a lungo termine migliorano
la velocità del cammino.
Tali vantaggi, descritti in un singolo studio non randomizzato, erano perduti alla fine
del trattamento senza sostanziale variazione di disabilità (Wade, Collen et al. 1992).
Vantaggi sulla disabilità sembra vengano descritti da un altro studio in cui i pazienti
cronici trattati con attività finalizzate al singolo compito miglioravano la velocità
del cammino e la mantenevano a 2 mesi di distanza (Dean, Richards et al. 2000).
Alla luce di quanto presente in letteratura si può avere qualche certezza rispetto ai
vantaggi che possono essere ottenuti con il trattamento del paziente stabilizzato,
ma non è affatto certo che questi possano essere mantenuti.
In particolare, occorre verificare che i pazienti che deteriorano non siano quelli che
non hanno mantenuto le attività prescritte alla fine del programma riabilitativo.
Raccomandazioni:
a) I cicli di mantenimento assumono una bassa priorità, a vantaggio dell’intervento
in fase acuta e post-acuta, dove sembra che un adeguato programma riabilitativo
dia maggiori benefici (Grado C).
b) Il gruppo multidisciplinare territoriale deve monitorare periodicamente (ogni 6
mesi) il mantenimento delle abilità (Grado C).
c) Un nuovo programma riabilitativo (assistenziale, occupazionale, motorio etc.) può
essere impostato qualora si riscontri un peggioramento della disabilità (Grado C)
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Allegato
FIGURA 3
Percorso del paziente con Ictus in base alla gravità
Gruppo A
Gruppo B
Gruppo C
Pz con menomazioni minime
che richiedono solo una
supervisione o modesto aiuto
per la mobilità o nelle
normali attività della vita
quotidiana (Grado C)
Pz con menomazioni medie
o gravi che possono tollerare
almeno 3 ore di riabilitazione
al giorno che devono essere
assistiti in parte o totalmente
per la mobilità (GradoB)
Pz con poca resistenza allo
sfor zo, cognitivamente
incapaci di partecipare
ad un programma di
riabilitazione ospedaliera
(Grado C)
Riabilitazione
Territoriale
Riabilitazione
Intensiva Ospedaliera
Riabilitazione
Estensiva Ospedaliera
Struttura
Protetta
Casa
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Allegato
FIGURA 4
Percorsi di riabilitazione territoriale
Riabilitazione Territoriale
Centro Ambulatoriale
di Riabilitazione
Centro di Salute
Domicilio
- Disabilità gravi in ambito ADI
- Disabilità gravi senza possibilità di recupero
con intervento educativo per i caregiver
- Disabilità complesse che necessitano di attività
occupazionale
Disabilità lievi o più
complesse in continuità con
il progetto riabilitativo
iniziato in ospedale
Alcune sedute di
riabilitazione
neuromotoria
Intervento
multidisciplinare
Sedute di terapia
occupazionale
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Attività educativa
verso le assistenze
e i familiari
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Allegato
Scheda di Norton modificata (secondo Nancy A. Stotts)
Paziente
Data di nascita
Patologie
4
3
2
1
Condizioni
generali
Livelli di
assistenza richiesti
per ADL* relativi a:
igiene,
alimentazione,
movimenti
Buone
Abile ad eseguire
le proprie ADL*
Discrete
Richiede
assistenza per
alcune ADL*
Scadenti
Richiede
assistenza per più
ADL*
Pessime
Totalmente
dipendente per
tutte le ADL*
Stato mentale
Risponde alle
domande relative
al tempo, spazio e
persone in modo
soddisfacente e
veloce
Lucido
Orientato nel
tempo, spazio e
persone. Risposta
rapida
Apatico
Orientato nel
tempo, spazio e
persone, ma
richiede
ripetizione delle
domande
Confuso
Parzialmente
orientato nel
tempo, spazio e
persone. La
risposta può
essere rapida
Stuporoso
Totalmente
disorientato.
La risposta può
essere lenta o
rapida. Il paziente
può essere in
coma.
Deambulazione
Normale
Cammina da solo
o con l’aiuto di
presidi
Cammina con
aiuto
Cammina solo con
l’aiuto di una
persona
Costretto su sedia
Si muove solo su
sedia
Allettato
Confinato a letto
per tutte le 24 ore
Mobilità
Quantità e
controllo del
movimento di una
parte del corpo
Piena
Può muovere e
controllare le
estremità come
vuole. Può o no
usare un presidio.
Limitata
Può usare e
controllare le
estremità con la
minima assistenza
di una altra
persona. Può o no
usare un presidio
Molto limitata
Limitata
indipendenza nel
controllo e nei
movimenti delle
estremità.
Richiede sempre
assistenza di
un’altra persona.
Può o no usare un
presidio
Immobile
Non ha
indipendenza nel
movimento o
controllo delle
estremità.
Richiede
assistenza per il
movimento di
ogni estremità
Incontinenza
Valutazione dell’
insufficenza del
controllo di urine
e feci
Assente
Non incontinente
di urine e /o feci.
Può avere un
catetere
Occasionale
Incontinenza di
urine 1-2 volte/die
e o feci 1 volta/die
Abituale urine
Incontinenza
urine più di 2
volte/die, ma non
sempre e/o feci
2-3 volte /die
Doppia
Totale
incontinenza a
urine e feci
Presa in carico
1° controllo
2° controllo
3° controllo
Data
Punteggio**
Firma compilatore
* ADL: activity of daily living= attività basilari di cura della persona
** da 4 a 11 rischio elevato; da 12 a 14 rischio lieve; oltre 14 rischio nullo
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Allegato
Scheda personale del paziente per la localizzazione delle lesioni
Utente
Valutazione iniziale
Localizzazione
Localiz.
stadio
1
1 2 3 4
3
1 2 3 4
5
1 2 3 4
7
1 2 3 4
10
1 2 3 4
12
15
16
1 2 3 4
Lunghezza/ampiezza
(cm)
1 orecchio
18
1 2 3 4
23
1 2 3 4
22
1 2 3 4
aspetto
(granul-crosta-escara)
zigomo 2
3 occipite
spalla 4
5 seno
7 gomito
scapola 6
colonna 8
sacro 9
10 cresta iliace
12 gluteo
11
15 coscia
13
genitali 14
1 2 3 4
1 2 3 4
Profondità
(cm)
16 ginocchio
polpaccio 17
18 malleolo esterno
tendine Achille 19
pianta 21
23 alluce
20 malleolo interno
stadio
Localiz.
1 2 3 4
2
1 2 3 4
4
1 2 3 4
6
1 2 3 4
8
1 2 3 4
9
1 2 3 4
11
1 2 3 4
13
1 2 3 4
14
1 2 3 4
17
1 2 3 4
19
1 2 3 4
21
1 2 3 4
20
22 calcagno
Legenda
Lesioni 1° stadio - Arrossamento stabile (rossore che permane anche dopo 15’ dalla
decomposizione della zona
Lesioni 2° stadio - Escoriazioni e/o vescicole. E’ coinvolto l’epidermide e il derma.
Lesione 3° stadio - Ulcerazione a carico di tutto lo spessore della cute con esposizione del
tessuto sottocutaneo.
Lesioni 4° stadio - Ulcerazione profonda con esposizione dei muscoli e delle ossa.
Aspetto: tessuto di granulazione, chiaro e sano - crosta o tessuto fibrotico - escara
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Glossario
Glossario
La riabilitazione può essere definita come una fondamentale forma di intervento per
i pazienti che hanno subito un ictus, accanto agli interventi medici e chirurgici di provata
efficacia.
E’ finalizzata ad ottenere il recupero del miglior livello fisico, cognitivo, psicologico,
funzionale e delle relazioni sociali nell’ambito dei bisogni e delle aspirazioni dell’individuo
colpito e della sua famiglia.
Si definiscono quali "attività sanitarie di riabilitazione" gli interventi valutativi, diagnostici,
terapeutici e le altre procedure finalizzate a portare il soggetto affetto da menomazione
a contenere o minimizzare la sua disabilità, e il soggetto disabile a muoversi, camminare,
parlare, vestirsi, mangiare, comunicare e relazionarsi efficacemente nel proprio ambiente
familiare, lavorativo, scolastico a sociale.
Si definiscono "attività di riabilitazione sociale" le azioni e gli interventi finalizzati a
garantire al disabile la massima partecipazione possibile alla vita sociale, con la minor
restrizione possibile delle sue scelte operative, indipendentemente dalla gravità delle
menomazioni a delle disabilità irreversibili, al fine di contenere la condizione di handicap.
Termini
ADL (Attività di vita quotidiana). Attività quotidiane basilari come nutrirsi, rassettarsi,
lavarsi e vestirsi.
Afasia. Perdita della capacità di comunicare oralmente, per segni o per iscritto, oppure
incapacità di comprendere tali forme di comunicazione; la perdita della capacità di
usare il linguaggio.
Affidabilità, dei test di controllo. Procedura di valutazione che permette di giungere alle
medesime conclusioni diagnostiche o valutative su di un determinato paziente in tempi
diversi, in condizioni cliniche di stabilità.
Affidabilità, fra osservatori. Procedura di valutazione che permette a differenti osservatori
di giungere alle medesime conclusioni diagnostiche o valutative su di un determinato
paziente, le cui condizioni cliniche sono stabili.
Agrafia. Incapacità di esprimere per iscritto il proprio pensiero.
Alessia. Incapacità di comprendere il linguaggio scritto.
Anteriore. Parte frontale di un organo o del corpo.
Aprassia. Patologia del movimento appreso non correlata con deficit di forza,
coordinazione, sensibilità o comprensione.
Astereognosia. Incapacità di riconoscere o caratterizzare oggetti al tatto.
Atassia. Patologia del movimento in cui l'attività muscolare non è coordinata.
Attacco ischemico transitorio (TIA). Rapida insorgenza di un deficit neurologico focale
che regredisce spontaneamente in pochi minuti o in poche ore, ma sempre entro 24 ore
e che dopo adeguate indagini si ritiene causato da ischemia
Attivazione. Stimolazione del sistema nervoso ottenuta incoraggiando il paziente con
esiti di ictus a divenire mentalmente e fisicamente attivo.
Attività. Prestazione di un individuo nell’eseguire un compito od un attività
Autosufficienza. Capacità di provvedere a se stessi svolgendo le normali attività di vita
quotidiana.
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Glossario
Biofeedback. Utilizzo di retroazione visiva o uditiva sullo stato di una funzione fisiologica
(come il battito cardiaco) o sulla posizione di una parte del corpo (come il braccio o la
gamba) con il proposito di aiutare l'individuo ad ottenere un miglior controllo della
funzionalità e della posizione.
Cardiovascolare. Pertinente al cuore e ai vasi sanguigni
Caregiver. Persona che fornisce supporto diretto ad un disabile, generalmente al domicilio.
Cervello. Principale porzione dell’encefalo che comprende i due emisferi cerebrali;
termine spesso utilizzato come sinonimo di encefalo
Cognitività/cognitivo. Processo del conoscere, che comprende coscienza, percezione,
ragionamento, ricordo e capacità di soluzione dei problemi.
Comorbilità. Una o più malattie croniche addizionali in un individuo che ha avuto uno
ictus, come patologie cardiache o polmonari.
Compensazione. Abilità di un individuo con invalidità residua da ictus a svolgere un
compito sia utilizzando l'arto colpito attraverso un approccio adatto (differente), sia
l'arto sano direttamente; indica anche un approccio riabilitativo con cui il paziente si
adatta alle invalidità residue e le compensa.
Continenza. Capacità di controllo sfinterico (minzione e alvo).
Contrattura. Condizione di blocco ad alta resistenza allo stiramento muscolare passivo
per fibrosi e retrazione dei tessuti di sostegno di muscoli e articolazioni.
Controlaterale. Lato opposto.
Controllo motorio. Capacità di controllare i movimenti del corpo.
Coronaropatia. Patologia cardiaca caratterizzata da restringimento o occlusione delle
arterie che irrorano il muscolo cardiaco, che esita in dolore toracico, miocardiopatia
acuta e lesioni cardiache
Counseling. Interventi di supporto e di istruzione volti ad assistere il paziente o la
famiglia nell'identificazione delle questioni fondamentali e nella soluzione dei problemi
a esse collegati.
Deambulazione. Atto del camminare.
Decadimento fisico. Perdita di forma fisica o cardiovascolare come risultato dell'inattività.
Deficit. Perdita di abilità; in caso di ictus, perdita delle funzioni neurologiche.
Demenza. Patologia mentale caratterizzata da deficit cognitivo e frequentemente da
disturbo di personalità da deterioramento cerebrale; un esempio è il morbo di Alzheimer
Depressione. Patologia mentale caratterizzata da disperazione, scoraggiamento e tristezza.
Deterioramento. Perdita o anormalità di capacità fisiche o psicologiche.
Diagnosi. Determinazione dell'esatta natura di una specifica patologia
Disartria. Difficoltà all'articolazione corretta del linguaggio.
Disfagia. Difficoltà a deglutire.
Embolo/embolia. Coagulo o sostanza estranea nel circolo ematico che occlude un'arteria
o una vena.
Emianopsia omonima. Deficit visivo o cecità della metà destra o sinistra del campo
visivo di entrambi gli occhi.
Eminattenzione o Negligenza Spaziale Unilaterale (NSU). Ridotta capacità ad orientarsi
verso lo spazio (Personale, peripersonale, extrapersonale) controlaterale.
Emiparesi. Debolezza muscolare o paralisi parziale di un lato del corpo.
Emiplegia. Paralisi di un lato del corpo.
Emorragia cerebrale. Emorragia che si manifesta nel tessuto cerebrale.
Emorragia sub-aracnoidea. Emorragia dello spazio sub-aracnoideo che causa
compressione o emorragia a livello dell’encefalo.
Emorragia. Sanguinamento da rottura di un vaso.
Epidemiologia. Studio dei fattori che influenzano la frequenza e la distribuzione di una
malattia nella popolazione.
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Glossario
Esercizi di escursione. Esercizi durante i quali le articolazioni sono sollecitate al limite
di flessione, estensione o rotazione; gli esercizi sono attivi se il paziente si impegna con
la forza necessaria alla loro esecuzione o passivi se il terapista provvede in tal senso.
Famiglia. Parenti o amici che vivono con il paziente o che comunque gli sono vicini.
Fattore di rischio. Caratteristica individuale o ambientale che predispone o favorisce
la condizione patologica considerata.
Fibrillazione atriale. Rapida ed irregolare contrazione atriale che genera ritmo ventricolare
rapido ed irregolare.
Funzioni del Corpo. Sono le funzioni fisiologiche o psicologiche dei sistemi corporei
Gastrostomia nutrizionale. Intervento chirurgico che apre un ingresso diretto allo
stomaco, attraverso cui si nutre il paziente.
Grafestesia. Capacità di riconoscere figure o numeri disegnati sulla pelle con una punta
rigida.
Handicap. Svantaggio che risulta da un deficit o da una da inabilità, che limita
l'adempimento di un ruolo che è normale per gli individui colpiti.
IADL (Attività strumentali di vita quotidiana). Complesso delle attività richieste per
vivere indipendentemente, come usare il telefono, gestire la casa, cucinare, utilizzare i
mezzi pubblici o gestire le proprie risorse economiche.
Ictus emorragico. Ictus da rottura di un vaso cerebrale.
Ictus ischemico. Ictus causato da un insufficiente apporto ematico e di ossigenazione.
Ictus. Patologia acuta neurologica di origine vascolare con sintomi e segni che
corrispondono al coinvolgimento di un'area focale del cervello; oppure, rapida comparsa
di un deficit neurologico che persiste per almeno 24 ore ed è causato da una emorragia
cerebrale o sub-aracnoidea o dall'occlusione di un vaso che irrora o drena un territorio
encefalico.
Inabilità. Ridotta abilità o perdita dell'abilità di un individuo a svolgere le attività di vita
quotidiana.
Incidenza. Frequenza con cui si manifestano nuovi casi di una patologia in un
determinato lasso di tempo.
Incontinenza. Perdita del controllo sfinterico.
Indipendenza. Capacità di compiere tutte le normali attività senza aiuto o supervisione.
Infarto. Morte di una parte di un organo per mancanza di ossigenazione e di nutrizione.
Ingestione per aspirazione (ab ingestis). Atto di ingerire materiali liquidi o solidi nelle
vie aeree.
Ipertensione. Elevata pressione sanguigna.
Ipotensione ortostatica. Abbassamento della pressione sanguigna dal clinostatismo
all'ortostatismo.
Istituzionalizzazione. Ricovero a tempo indeterminato di un paziente con patologie
croniche in una struttura residenziale protetta.
Limitazione funzionale. Ridotta abilità o assenza di abilità a svolgere un'azione o un
compito in un range fisiologico di attività.
Limitazioni di Attività. Le difficoltà che un individuo può avere nel compiere delle attività.
Medico responsabile. Il medico che è responsabile del trattamento clinico di un paziente
e del coordinamento dei diversi specialisti necessari; si tratta in genere di un internista,
di un medico di famiglia, di un pediatra, anche se può avere altre specializzazioni.
Menomazioni. problemi nelle funzioni o nelle strutture del corpo, perdita o significativa
deviazione dalla norma
Metanalisi. Revisione sistematica; valutazione clinica e statistica di più studi clinici
randomizzati che indagano la stessa patologia.
Mobilità. Capacità di muoversi liberamente.
Mobilizzazione. Atto di aiutare un paziente a muoversi nel letto, sedersi, alzarsi ed
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Glossario
eventualmente camminare.
Monitoraggio. Controlli ripetuti delle condizioni cliniche, neurologiche e funzionali di
un paziente.
Neurologia. Branca della medicina che studia il sistema nervoso.
Occlusione. Blocco.
Omolaterale. Stesso lato.
Ortesi. Apparecchi meccanici che esercitano una pressione su parti del corpo per
sorreggere, correggere o aiutare una funzione.
Partecipazione. Il coinvolgimento di un individuo nelle situazioni relative allo Stato di
Salute, Funzioni e Strutture del Corpo, Attività e fattori Contestuali
Patologia. Interruzione delle normali funzioni organiche o strutture, o interferenza con
le stesse da parte di una malattia.
Paziente ambulatoriale. Persona che riceve il trattamento in una struttura sanitaria
senza esservi ricoverata continuativamente, anche in regime di day-hospital.
Paziente degente. Individuo sottoposto a trattamento durante il ricovero in ambiente
ospedaliero.
Percezione. Riconoscimento conscio di uno stimolo sensoriale.
Perseverazione. Involontaria e patologica persistenza di una risposta verbale o motoria
indipendente dallo stimolo e dalla sua durata.
Piaga da decubito. Ulcerazione cutanea da prolungata pressione in pazienti costretti
a letto o in carrozzina.
Profilassi. Trattamento atto a prevenire malattie.
Propriocezione. Percezione del movimento o della posizione spaziale del corpo.
Psicoterapia. Intervento psicologico continuativo.
Restrizioni della Partecipazione. Problemi incontrati da un individuo nel modo o nel
grado di coinvolgimento nelle varie situazioni della vita
Riabilitazione acuta. Termine utilizzato da alcune fonti per indicare una riabilitazione
intensa a cui viene sottoposto un paziente degente in una struttura specializzata nella
riabilitazione
Riabilitazione allargata. Approccio riabilitativo che coinvolge tutti i servizi e le discipline
riabilitative (fisioterapia, terapia occupazionale, animazione, servizi di igiene mentale, ecc.).
Riabilitazione estensiva. Attività riabilitativa applicata con un’intensità compresa
tra 1 e 3 ore.
Riabilitazione intensiva. Generalmente riconosciuta come attività riabilitativa che
comprende 3 o più ore quotidiane di fisioterapia e terapia occupazionale, psicologica
o logopedica per 5 o più giorni alla settimana.
Riabilitazione. Recupero all'autosufficienza di un disabile o comunque ottimizzazione
della sua indipendenza funzionale.
Screening. Valutazione tesa ad individuare condizioni cliniche iniziali o prima della loro
manifestazione, spesso con lo scopo di attuare trattamenti di prevenzione o
miglioramento del problema.
Sensibilità ai cambiamenti. Abilità di una procedura di valutazione o di uno strumento
di individuare cambiamenti clinici minimi.
Sensibilità. Caratteristiche di una procedura di valutazione o di uno strumento che si
riferiscono alla sua ragionevolezza, importanza e facilità di utilizzo.
Sopore. Riduzione dello stato di allerta o di veglia.
Spasticità. Anormale incremento del tono muscolare.
Stabilità clinica. Mantenimento di condizioni di salute stabili nonostante la
malattia in atto.
Stereognosia. Capacità di percepire natura e forma di un oggetto al tatto.
Stimolazione elettrica funzionale. Scariche elettriche applicate ai nervi o ai muscoli
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Glossario
colpiti da ictus con l'intento di rafforzare la contrattilità muscolare e migliorare il
controllo motorio. A minore intensità (TENS, Stimolazione elettrica trans-cutanea) la
procedura è anche utilizzata per il controllo del dolore.
Struttura residenziale protetta. Struttura con assistenza sanitaria continuativa.
Struttura riabilitativa. Struttura sanitaria organizzata e gestita per assicurare cicli
intensivi e completi di riabilitazione.
Strutture del Corpo. Sono i componenti anatomici del corpo come gli organi, gli arti e
le loro parti.
Studio di osservazione. Studio in merito a un trattamento che giunge a conclusioni
basate sull'osservazione di soggetti in un determinato lasso di tempo.
Studio prospettico. Studio basato su dati raccolti prospettivamente dall'inizio del trial.
Studio randomizzato controllato. Studio in cui i pazienti sono casualmente assegnati
al gruppo di controllo o di trattamento sulla base di una selezione effettuata prima di
raccogliere i dati.
Studio retrospettivo. Studio basato su dati raccolti in precedenza, generalmente per
altre finalità di ricerca.
Studio sperimentale. Studio in cui un trattamento è confrontato con un altro.
Tasso di mortalità. Frequenza dei decessi per una determinata patologia.
TENS. Stimolazione elettrica transcutanea.
Tolleranza ortostatica. Capacità di mantenere costante la pressione sanguigna in
posizione eretta.
Trattamento interdisciplinare. Trattamento fornito ad un paziente da due o più discipline
mediche o riabilitative, in collaborazione.
Trial. Studio clinico.
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Appendice 1
Appendice 1
La prescrizione degli ausili
Il ruolo degli ausili rappresenta una componente essenziale che s’inserisce nel
programma:
di prevenzione delle complicazioni in fase post - acuta (decubiti, TVP, problemi
polmonari ecc.);
d’aiuto nel superamento delle barriere architettoniche, ambientali e domestiche
nel momento del ritorno e reinserimento, alla dimissione, nel proprio ambiente
familiare;
di miglioramento delle possibilità di recupero della disabilità, nel periodo di
riabilitazione ambulatoriale presso le strutture di II livello;
d’aiuto nell’eventuale inserimento in Residenze Sanitarie Assistenziali, legato
spesso oltre che ad un insufficiente recupero, anche a condizioni socio - familiari
carenti;
di contenimento del danno motorio stabilizzato, per incrementare la possibilità
di reinserimento nell’ambiente socio - familiare e, quando possibile, lavorativo.
In fase acuta e immediatamente post - acuta gli ausili, necessari alla prevenzione
delle complicanze, sono di proprietà e pertinenza delle strutture di ricovero in cui
il paziente giunge dopo l’ictus e solo raramente hanno bisogno di personalizzazione
per particolari esigenze del paziente.
E’ al momento della dimissione del paziente che si deve valutare la necessità d’ausili
utili ed idonei, sia per quanto riguarda il programma riabilitativo immediato, sia
considerando la situazione ambientale in cui il paziente si troverà alla dimissione
(barriere architettoniche nelle eventuali realtà di reinserimento).
Al momento della dimissione dalla fase acuta, raramente è possibile una completa
valutazione delle capacità di recupero del paziente; nella gran parte dei casi, pertanto,
il compito di prescrizione degli ausili, secondo le condizioni cliniche, va demandato
al team della riabilitazione post - acuta, intensiva od estensiva. Il team deve fornire
al paziente, insieme alla lettera di dimissione, una dettagliata prescrizione degli
ausili necessari, indicando i codici di riferimento, le modalità, i tempi d’utilizzo e
le finalità della fornitura. Altrettanto importante è offrire ai familiari o, quando
questi fossero indisponibili, alle figure che si occuperanno dell’assistenza del
paziente, una chiara indicazione su orari ed ubicazione degli uffici di prescrizione
e sulla documentazione necessaria per ottenere la fornitura.
I
Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
Appendice 1
Gli aspetti tecnico specialistici nella prescrizione degli
ausili
La prescrizione degli ausili va vista come un atto che s’inserisce nel programma di
superamento delle disabilità e non come la fornitura d’attrezzi come diritto del
paziente.
Per questa ragione la prescrizione, che deve avvenire possibilmente su un modello
unico, perlomeno in ambito regionale, deve rappresentare l’atto finale di un processo
di valutazione del paziente effettuato dal team che ha la responsabilità del
programma riabilitativo dello stesso.
Il medico competente in riabilitazione, insieme con il fisioterapista e le eventuali
altre figure professionali che hanno in carico il paziente, deve:
elaborare la prescrizione, garantendo che la stessa avvenga all’interno di un piano
riabilitativo personalizzato;
seguire, se richiesto, le fasi di realizzazione dell’ausilio in collaborazione con
l’officina ortopedica incaricata della fornitura;
verificare, al momento del collaudo, che quanto previsto corrisponda
effettivamente alle esigenze riabilitative del paziente e non semplicemente che i
codici e/o i materiali corrispondano alla prescrizione iniziale.
Istituzione e ruolo dei centri ausili
Partendo dal presupposto che per gli operatori coinvolti nella definizione di uno
specifico progetto riabilitativo oggi la maggiore difficoltà nella scelta di un ausilio
non è tanto dovuta alla mancanza dello stesso (visto il grande sviluppo dell’offerta
da parte delle aziende del settore, sia a livello nazionale sia internazionale), quanto
alla difficoltà di identificarlo, selezionarlo ed eventualmente personalizzarlo, ne
consegue l’esigenza di proporre la creazione a livello di Azienda USL di un “CENTRO
AUSILI” (con competenza per infanzia e adulti).
Tale struttura organizzativa deve assolvere alle seguenti funzioni essenziali:
informazione e documentazione sugli ausili, sui supporti per il superamento
delle barriere architettoniche e l’ottimizzazione della mobilità, con l’utilizzo di una
banca dati per l’aggiornamento costante e l’informazione degli operatori della
riabilitazione, dei soggetti con disabilità e menomazioni funzionali congenite o
acquisite e di chi li assiste;
supporto e consulenza ai servizi di riabilitazione;
assistenza tecnica alle strutture sociali che partecipano al progetto riabilitativo
(servizi sociali dei comuni, centri di riqualificazione professionale, centri di
formazione e perfezionamento degli operatori socio – sanitari, laboratori protetti,
strutture d’accoglienza, ecc.);
promozione, informazione e supporto alle realtà associative dei disabili e del
II
Azienda Sanitaria Locale n.2 dell'Umbria
Appendice 1
volontariato;
promozione d’iniziative volte ad una maggiore conoscenza e sensibilizzazione
rispetto alle opportunità ed alle potenzialità degli “AUSILI” per il reintegro sociale
del disabile (adattamenti per la guida di veicoli, informazioni sui contributi per
l’eliminazione delle barriere architettoniche, ecc.);
attività di ricerca e studio, in particolare per la costruzione di nuovi edifici pubblici
o adibiti ad abitazione, alle applicazioni delle nuove tecnologie elettroniche ed
informatiche (Domotica: telecontrollo d’elettrodomestici ed altri automatismi nel
proprio domicilio) ed alle nuove tecniche per la mobilità dei disabili nei servizi
pubblici di trasporto (autobus, treni, ecc.);
prescrizione, collaudo e verifica dell’efficacia ed efficienza degli ausili forniti
nell’ambito del “NOMENCLATORE TARIFFARIO DELLE PROTESI”, rafforzando la
personalizzazione del servizio con adeguatezza qualitativa e tecnologicamente
aggiornata;
offerta di consulenza tecnica per la costruzione e la sperimentazione d’ausili,
protesi ortesi, strutture facilitanti l’autonomia, la mobilità e l’operatività in genere,
sia ludica sia lavorativa, del soggetto con disabilità.
Si ritiene di individuare il centro ausili in un’unica struttura funzionale di riferimento
con un responsabile tecnico-amministrativo esperto e due operatori della
riabilitazione, un fisiatra ed un fisioterapista, con specifica conoscenza ed esperienza
nel campo della realizzazione, funzionalità ed utilizzo degli ausili, che operi in
stretto contatto con le realtà riabilitative territoriali dell’intera Azienda USL e tutte
le altre realtà in qualunque modo interessate alla tematica specifica degli ausili per
l’autonomia e la mobilità del soggetto con disabilità funzionali.
III
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Progetto grafico:
Promovideo ADV - Perugia
Stampa:
Graphic Masters - Perugia
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Linea Guida
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LA RIABILITAZIONE DELLA PERSONA CON ICTUS CEREBRALE