Prefazione PROGETTAZIONE URBANISTICA Prefazione di Paolo Colarossi Questo libro di Francesco Selicato e Francesco Rotondo è un buon libro, un libro utile, un libro che appartiene alla categoria dei buoni manuali. Nel libro si tratta di progettazione urbanistica e di progetto urbano. Accanto a queste due locuzioni ne introdurrò una terza: progettazione urbana, che mi sarà utile per argomentare sui contenuti del libro. Inizio con un mio personale (e in quanto tale del tutto discutibile) e credo anche provvisorio (dirò perché in chiusura di questo testo) tentativo di interpretazione terminologica sui contenuti delle tre locuzioni: progettazione urbanistica, progetto urbano, progettazione urbana. Progettazione urbanistica: può intendersi come il complesso di processi, procedure, tecniche e strumenti che possono essere utilizzati nei progetti di interventi urbanistici nell’ambito che va dalla grande dimensione della scala urbana alla piccola dimensione della scala locale. La progettazione urbana vorrei definirla come un sapere progettuale prevalentemente orientato alla conformazione fisico-funzionale di ambiti urbani di piccola-media dimensione, o di interventi minuti e di dettaglio, ma diffusi nell’ambito urbano. Un sapere progettuale che si applica alla progettazione di forme urbane, nelle tre dimensioni dello spazio. Un sapere progettuale che non può fare a meno dei saperi della progettazione urbanistica e che apporta a questa la qualità morfologico-funzionale degli esiti degli interventi. Progetto urbano è il risultato dell’applicazione della disciplina della progettazione urbanistica e del sapere della progettazione urbana. Ne consegue, secondo queste definizioni, che progettazione urbanistica e progettazione urbana possono essere intesi come aspetti diversi ma complementari dell’urbanistica, e che richiedono una reciproca integrazione ai fini dei migliori risultati degli interventi. Il senso di questa triplice distinzione (progettazione urbanistica, progettazione urbana, progetto urbano) sta nel voler mettere in rilievo proprio il ruolo della progettazione urbana come sapere progettuale capace di produrre buone qualità morfologico-funzionali nelle parti urbane cui sia applicato. Buone qualità tra le quali sta la bellezza dello spazio urbano. O, per meglio dire, il senso della distinzione sta nel mettere in rilievo la necessità di un sapere progettuale XIV capace di produrre quelle buone qualità urbane (ambientali, sociali, estetiche, economiche), tra le quali la bellezza non è certo marginale, che devono essere intese come alcune esigenze fondamentali degli abitanti da soddisfare. Qualità urbane che sono il fondamento per un buon abitare. Qualità che nelle città contemporanee, possiamo tutti constatare, sono assai scarsamente soddisfatte. In particolare e soprattutto nelle parti di città costruite a partire dagli anni ’60 e fino a oggi. Parti di città che costituiscono una gravosa eredità per il futuro sia per l’entità dei miglioramenti necessari ai fini di un accettabile livello di qualità urbana per un buon abitare, sia per l’estensione delle stesse aree urbane, che costituiscono più della metà del totale delle aree urbanizzate. Parti di città che hanno caratteristiche spesso assai diverse le une dalle altre, per connotati sia morfologici sia funzionali. Sono quelle parti di città che con buone ragioni possiamo chiamare periferiche proprio per la carenza di qualità urbana che le accomuna. Parti di città dove non è leggibile una forma di insieme; dove manca una chiara gerarchia e organizzazione di parti; dove lo spazio pubblico è ridotto alla viabilità, ai parcheggi e ad aree verdi localizzate spesso senza chiare relazioni con la rete stradale e con l’edificato; dove le attrezzature urbane sono poche e sparse nell’impianto urbano; dove gli spazi urbani sono privi di margini leggibili e l’edificato distribuito senza chiare regole insediative. Parti di città che offrono un paesaggio banale o respingente, eterogeneo, confuso, in una parola brutto. Ecco allora la rilevanza, e la necessità, del sapere della progettazione urbana come complemento della progettazione urbanistica; sapere indispensabile per migliorare le condizioni attuali dell’abitare nelle aree urbane periferiche, ma anche per migliorare le qualità delle nuove parti di città che continuano a essere prodotte quasi sempre con gran parte degli stessi difetti ed errori funzionali e morfologici. Ma se la situazione delle aree periferiche nelle nostre città è questa descritta, evidentemente dobbiamo dedurne che tra le cause sia anche da indicare la debole presenza di adeguate tecniche di progettazione urbanistica, e soprattutto di un adeguato livello di progettazione urbana. Progettazione urbana, in particolare, che, come sapere progettuale, nelle pratiche correnti in Italia e da molto tempo sembra essere stato poco conside- PROGETTAZIONE URBANISTICA rato, emarginato, nei fatti dimenticato. Così che si può dire che quasi sempre ci si trova di fronte a progetti urbani ma contenenti assai poca progettazione urbana. Il che, è bene sottolinearlo, significa anche carenza di formazione dei progettisti. Dico “anche” carenza di formazione, perché ritengo che la situazione disastrata delle nostre città sia dovuta, nel complesso, a un grave deficit di cultura delle città, che coinvolge non solo i progettisti, ma anche politici, operatori, tecnici delle pubbliche amministrazioni, e in generale la società urbana nel suo insieme. Dunque una situazione difficile: c’è la necessità di recuperare l’insostituibile ruolo di quel sapere progettuale che definisce i contenuti della progettazione urbana, ma io credo che questo recupero, data la situazione attuale, sia sì possibile, ma solo nei tempi lunghi. E solo attraverso un lungo lavoro di informazione e di formazione che possa ricostruire almeno le basi di una cultura delle città che sia orientata alla buona qualità urbana dell’abitare. Informazione, formazione, ricostruzione: tutte operazioni che presuppongono ricerca, insegnamento e una indispensabile produzione pubblicistica per la informazione e per la formazione, anche successiva alla formazione universitaria. E, nell’ambito della pubblicistica, un rilevante ruolo può svolgere la produzione manualistica. Infatti credo occorra essere consapevoli della necessità di un vero e proprio “rinascimento”1 della cultura della progettazione urbana, che per poter incidere sulla cultura delle città, per poter essere operativa, deve passare attraverso una faticosa ricerca di recupero, riordino, riorganizzazione e consociazione dei diversi metodi e contenuti della stessa progettazione urbana, di definizioni, di classificazioni, di tassonomie ma anche di costruzioni unitarie, di sintesi, di sinergie tra metodi, tecniche, processi e procedure per la costruzione della complessità del progetto urbano, di nuovi sguardi che svelino nuovi paesaggi nei territori della progettazione urbana. Tutte operazioni che sono necessarie per un periodo di “rinascimento”, ma che sono anche funzionali strumenti per una migliore e agevole informazione e formazione. Tutte operazioni che, come meglio dirò nel seguito, sono i pre- supposti per un consolidamento della disciplina urbanistica, per il quale uno degli strumenti è senza dubbio anche l’elaborazione di manuali. Segnali incoraggianti di varia natura di un “rinascimento” della cultura delle città in Italia sono rilevabili da qualche tempo: nel dibattito, in qualche progetto, in alcune pratiche e anche in una recente produzione manualistica. All’interno della quale va annoverato, ed è questo uno dei motivi di apprezzamento, questo libro. Ma per poter meglio chiarire l’apprezzamento, e anche per esorcizzare una certa datata diffidenza e anzi ostilità verso il “manuale” e la “manualistica”, credo sia opportuno fare qualche considerazione a proposito degli obbiettivi, dei contenuti e dell’uso dei manuali, ovviamente con specifico riferimento ai manuali di urbanistica. Vale la pena di ricordare che il termine “manuale”, riferito a un tipo di libro finalizzato proprio alla informazione e alla formazione, nasce con il celebre Manuale di Epitteto (50 d.C. circa – 138 d.C.), compendio delle opere del filosofo redatto da Arriano di Nicomedia. E che in greco la parola originale è Eγχειρδιον, che si traduce con “portato, da portarsi a mano; in mano”, ma anche con “pugnale”, strumento che conviene sempre avere a portata di mano, e con “manico, impugnatura”2, il che fa venire in mente qualsiasi strumento per operare manualmente. Dunque, in questo caso, compendio dei principi dello stoicismo, da tenere sempre “a portata di mano”, e da applicare nella vita di ognuno. Vale la pena anche di citare qualche interessante definizione di manuale tratta dai vocabolari della lingua italiana. Manuale: «S’indica di solito con manuale un libro maneggevole, di facile consultazione, redatto per lo più in forma sistematica e con scopi didattici. In quest’ultimo significato il vocabolo si è applicato perciò anche a libri non propriamente e materialmente “manuali”, ma racchiudenti comunque un insegnamento particolare esposto con un certo ordine.»3 Manuale: «Fatto con mano; e anche Maneggevole, o Da aversi facilmente alla mano: onde sostantivamente dicesi per Libro che ristrettamente contenga 2 1 Il riferimento è a: Rogers, Richard George (a cura di): Towards an Urban Renaissance, Great Britain Urban Task Force, Taylor & Francis, London, 1999. Prefazione 3 Rocci, L., Vocabolario greco-italiano, Società Editrice Dante Alighieri, s.l., 1990. AA. VV., Enciclopedia italiana di lettere scienze ed arti, Istituto delle Enciclopedia Italiana, Roma, 1934. XV Prefazione PROGETTAZIONE URBANISTICA per guida e istruzione dei pratici i precetti essenziali di qualche dottrina o arte, quasi a significare che se ne deve far uso frequente e averlo spesso a mano.»4 Manuale: «Libro che espone le notizie fondamentali intorno a un determinato argomento, in modo piuttosto ampio ed esauriente, tale tuttavia da consentire una consultazione agevole e pronta.»5 Le parole chiave che possiamo estrarre da queste definizioni sono di quattro categorie. La prima categoria di parole chiave indica le condizioni d’uso: maneggevole, facile consultazione, uso frequente, consultazione agevole e pronta; la seconda il modo di presentazione dei contenuti: forma sistematica, esposizione con ordine; la terza i contenuti: precetti essenziali, notizie fondamentali; la quarta le finalità dei manuali: scopi didattici, guida e istruzione per operare. Queste parole chiave ci possono suggerire almeno tre presupposti e i relativi contenuti fondamentali per la redazione di un buon manuale: solidità, articolazione per componenti, relazioni tra le componenti. La solidità va riferita ai concetti, ai metodi e alle tecniche da comunicare. Solidità vuol dire tradizione, ma anche innovazione se fondata su solide argomentazioni condivisibili. Articolazione per componenti vuol dire semplificazione, e cioè individuazione delle componenti di una disciplina, e dunque individuazione degli elementi e relative classificazioni, ma anche tassonomie e gerarchie che ordinino in famiglie le componenti fondamentali e in sottofamiglie quelle secondarie. Relazioni tra le componenti vuol dire disegnare un sistema unitario che ricomprenda e ricomponga tra loro le diverse componenti; vuol dire cioè esplicitazione delle relazioni che possano ricostituire la complessità, o avvertenze sulle potenzialità delle possibili relazioni tra le componenti. Ma anche in presenza di tutti questi tre presupposti, dunque pure avendo a disposizione un manuale virtuoso, poiché stiamo parlando di progettazione urbanistica, occorre avvertire dei limiti insuperabili dell’uso della manualistica nella formazione del progetto urbano, e in particolare nella formazione di progetti di adeguata qualità. I limiti dell’uso della manualistica nella progettazione urbanistica, e in particolare per quelle parti che possono essere collocate nell’ambito del sapere 4 5 Pianigiani, O., Vocabolario etimologico della lingua italiana, Sonzogno, Milano, 1937. Duro, A., Vocabolario della lingua italiana, Istituto delle Enciclopedia Italiana, Roma, 1989. XVI della progettazione urbana, stanno nel terzo dei presupposti fondamentali per la costruzione di un buon manuale: nella difficile operazione di ricomposizione della disarticolazione per componenti: quell’operazione complessa e complicata, in parte argomentabile, ma in parte anche misteriosa e ineffabile che siamo abituati a definire come “sintesi progettuale”. Operazione che costituisce l’anima stessa del progetto, operazione che davvero determina la qualità dello stesso progetto. Ma anche operazione che sfugge a qualsiasi operazione di manualizzazione, perché il percorso completo per arrivare all’esito di un buon progetto è solo in parte descrivibile e classificabile6. Ecco perché l’operazione di ricomposizione può essere solo narrata attraverso esemplificazioni di casi ritenuti esemplari, buoni progetti il cui studio può solo suggerire, indirizzare, provocare idee per uno specifico progetto: con tutte le difficoltà e i pericoli di trasferimento di idee e soluzioni da un contesto all’altro. Ed ecco anche perché la progettazione urbana può essere definita una disciplina progettuale sperimentale, nel senso che la si può insegnare (informazione e formazione) solo fino a un certo punto, negli aspetti dei principi fondamentali e di alcune tecniche di base (anche con proposte di soluzioni) altrettanto fondamentali e che possono determinare alcune qualità minime irrinunciabili dello spazio urbano (oggi spesso purtroppo assenti anche queste); ma che poi va compresa a fondo e posseduta, come sapere progettuale, solo attraverso la sperimentazione, cioè attraverso l’esercizio continuo e critico (auto- ed etero-critico) della sintesi progettuale. Con un rimando continuo e progressivo tra individuazione delle componenti, costruzione delle classificazioni e delle tassonomie e ricomposizione delle stesse. Dunque, attraverso la lenta accumulazione e costruzione di una nuova cultura delle città per il futuro. A questo punto sono in grado di motivare l’apprezzamento prima solo dichiarato per questo libro di Francesco Selicato e Francesco Rotondo. E in primo luogo sul perché lo si possa considerare appartenente di pieno diritto alla famiglia dei buoni manuali. Anzitutto perché il libro contiene in un buon equilibrio i due diversi aspetti della progettazione urbanistica e della progettazione urbana. Sempre però con 6 Cfr.: Latini, A.P., “La sintesi progettuale”, in: Colarossi, P.; Latini, A.P., La progettazione urbana. Metodi e materiali, Vol. 2, Il Sole 24 Ore, Milano, 2008, pagg. 11-69. PROGETTAZIONE URBANISTICA una attenzione prevalente più che ai processi e alle procedure, a indirizzi e a tecniche progettuali per gli assetti funzionali e morfologici. Il che mi fa iscrivere questo libro tra quelli che si propongono di informare e formare anche sulle questioni della progettazione urbana. E poi, si tratta di un buon manuale perché ne possiede tutti i tre contenuti fondamentali: solidità, articolazione per componenti, relazioni tra le componenti. La solidità del libro poggia soprattutto sui davvero ampi e pressoché completi continui riferimenti, citazioni e rimandi (e relativa ricchissima bibliografia) alla letteratura e alla manualistica disciplinare, italiana e internazionale. Una solidità fondata dunque sulle risorse dell’accumulazione disciplinare recente e meno recente, per lo più a partire dalla seconda metà del xx secolo, ma con adeguati richiami anche a testi e autori precedenti. Riferimenti, citazioni, rimandi sempre puntuali, opportuni, adatti e ben organizzati secondo l’articolazione nei quattro “materiali del progetto urbano” che forma la parte centrale del libro e che propone una articolazione per componenti urbane: gli spazi del verde, gli spazi della mobilità, gli spazi pubblici dei servizi e della socialità, gli spazi degli insediamenti. Articolazione che mi sembra essere fondata proprio sulle componenti urbane di base necessarie al soddisfacimento di quelle esigenze che ritengo siano fondamentali per un buon abitare: esigenze di accoglienza nello spazio urbano, di urbanità, di socialità e di bellezza. Accoglienza, che significa facilità, gradevolezza e sicurezza di rapporti con il mondo fisico dello spazio urbano. Urbanità, che significa adeguata dotazione e distribuzione di infrastrutture, servizi e attrezzature. Socialità, che significa spazi pubblici: sia quelli dei servizi sia quelli per lo stare, per il passeggio, per il commercio e per il tempo libero, quelli della natura, della storia, dei panorami. E bellezza, che ha a che fare anche con il soddisfacimento delle tre precedenti esigenze, ma che significa soprattutto conformazione e composizione degli spazi urbani e in particolare dei sistemi di spazi pubblici. E tutte e quattro le componenti proposte per leggere e comprendere lo spazio urbano e per operare su di esso con gli strumenti della progettazione hanno aspetti che concorrono alla soddisfazione delle quattro esigenze. E così come, nei fatti, alla soddisfazione delle esigenze per un buon abitare concorrono (devono poter concorrere) tutte le quattro componenti, il libro Prefazione propone infine il tema e il problema delle relazioni tra le componenti, della ricomposizione cioè delle quattro componenti nella sintesi progettuale. Le suggestioni e i suggerimenti per come poter ricomporre una strumentale e operativa disarticolazione sono proposti nell’ultimo capitolo del libro, attraverso la lettura contestualizzata di alcuni progetti ritenuti esemplari, dei quali viene effettuata una interessante lettura incrociata tra le quattro componenti, con un gioco di continua disarticolazione e ricomposizione degli stessi progetti. Una ulteriore buona qualità di questo libro è anche nell’apparato iconografico. Qualità non certo marginale, perché è senza dubbio importante il tentativo fatto di omogeneizzazione di alcune parti delle rappresentazioni grafiche, con evidenti obiettivi di chiarezza e comunicatività, qualità indispensabili per gli obbiettivi di informazione e formazione. Per tutta questa serie di motivazioni si può inserire questo libro nell’ambito della produzione disciplinare che fornisce un ulteriore contributo verso quella costruzione di una nuova cultura delle città prima auspicata. E proprio nello spirito di un contributo alla “lenta costruzione”, e al di là dei contenuti e degli obbiettivi del libro, credo sia utile un accenno ad alcune questioni aperte, sulle quali questo, come altri libri, propone occasioni di riflessione, a riguardo in particolare della progettazione urbana, ma non solo. Le questioni riguardano: il ruolo della progettazione urbana, la sua efficacia e i suoi limiti, nell’ambito più generale della progettazione urbanistica, in rapporto ai processi di trasformazione della città esistente e di nuova costruzione di parti urbane; i relativi strumenti urbanistici da utilizzare; i luoghi rilevanti e strategici, in relazione alle potenzialità di miglioramento delle condizioni dell’abitare nella città contemporanea, di applicazione dei saperi della progettazione urbana. Per le prime due questioni credo che siano da evidenziare due aspetti: uno di efficacia, intrinseca alla natura stessa della progettazione urbana, e l’altro di limite, in parte strutturale, in parte contingente. Efficacia, per l’ampiezza potenziale del campo di utilizzazione del sapere della progettazione urbana. Sapere che può avere come finalità non solo la redazione di progetti urbani, ma anche una serie di applicazioni volte soprattutto a testare preventivamente i possibili risultati di interventi anche per quanto riguarda gli esiti di qualità urbana. Applicazioni preventive, dunque, come XVII Prefazione PROGETTAZIONE URBANISTICA sondaggi progettuali su parti o dettagli e scenari progettuali di insieme, che potrebbero evitare, almeno in parte, gravi errori irreparabili nella progettazione e nella attuazione di interventi. I sondaggi e gli scenari progettuali possono essere strumenti utili per definire alcune scelte: fissazione di indici edificatori; individuazione di parti delle aree di intervento da lasciare libere per l’edificazione, per esempio per motivi di salvaguardia sia di risorse archeologiche, storiche o naturali, di dettaglio (rilevabili al meglio nella piccola dimensione della progettazione) sia per lasciare libere visuali panoramiche; o, al contrario, individuazione delle caratteristiche delle parti da edificare anche per mettere in evidenza l’intervento; fissazione di altezze massime e minime dell’edificato e relative indicazioni per tipi edilizi, in rapporto alle opportunità di buona composizione dello spazio; individuazione delle migliori connessioni, formali e funzionali, con i contesti circostanti; innesco di processi di partecipazione degli abitanti; prime valutazioni economiche e di fattibilità degli interventi; e altro ancora. Sondaggi o scenari che possono essere utilizzati per la redazione di bandi di concorsi, di linee guida preliminari alla progettazione, di norme e di vincoli. Voglio dire, con questo, che l’obbiettivo di una buona qualità urbana va pensato anche come processo nel tempo di informazione e formazione continua, come sperimentazione e produzione continua di progettazione urbana, come accumulo e confronto di proposte di soluzione. I limiti della progettazione sono, come detto, strutturali e contingenti. Strutturali, e questo è il limite più forte, in quanto sappiamo bene come la progettazione urbanistica possa produrre solo progetti incompleti, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti propri della progettazione urbana. Vale a dire che soprattutto per quanto riguarda gli assetti fisici, ma anche funzionali, sono troppe le incognite a proposito delle domande effettive di intervento, di modalità degli interventi, dei tempi effettivi di maturazione e di manifestazione delle domande di intervento. Per cui il progetto urbanistico deve essere definito in alcune sue parti (per esempio il sistema degli spazi pubblici), ma lasciato aperto a soluzioni da decidere successivamente nel corso del tempo (per esempio alcune destinazioni d’uso, alcune caratteristiche architettoniche degli spazi pubblici e degli edifici). D’altra parte, la tendenza alla specializzazione nella formazione universitaria e nelle professioni tecnico-progettuali e la compartimentazione settoriale nelle XVIII competenze delle strutture operative delle amministrazioni locali producono quegli effetti di frammentazione e di disarticolazione degli interventi che sono ben visibili nelle città contemporanee e che rendono difficile quella ricomposizione sul terreno auspicata come momento fondamentale del processo di progettazione. Voglio dire, con questo, che il compito della progettazione urbanistica non si arresta alla redazione del progetto, ma va proiettato oltre, con una azione di accompagnamento del progetto nel corso, a volte anche lungo, dell’attuazione dello stesso progetto. Accompagnamento che vuol dire essenzialmente organizzazione di una funzione, un “ufficio” capace di prendere decisioni per opportune o necessarie variazioni, definire scelte rimaste aperte, ma sopratutto capace di operare con continuità seguendo il criterio della ricomposizione, nella sintesi progettuale, delle articolazioni di materiali urbani, specializzazioni tecniche e competenze amministrative e operative. Quanto ai luoghi rilevanti e strategici per l’applicazione dei saperi della progettazione urbanistica e urbana, credo che ne possano essere individuate due ampie categorie che nel futuro impegneranno a lungo ricerca, sperimentazione e pratiche disciplinari: la città esistente con caratteristiche di periferia (secondo la definizione datane di parti di città dotate di basse qualità urbane) e le aree urbane della dispersione e della diffusione. La presa in considerazione di queste due categorie di luoghi mi permette di riprendere quanto ho detto all’inizio a proposito della provvisorietà dell’introduzione e della interpretazione sul senso e sui contenuti delle tre locuzioni: progettazione urbanistica, progettazione urbana e progetto urbano. La provvisorietà dipende, infatti, a mio modo di vedere, da due fattori. Il primo fattore è dato proprio da quell’aspetto fenomenologico della città contemporanea di più recente formazione: la diffusione e la dispersione. Fenomeni che hanno prodotto, ormai da tempo, una sostanziale interpenetrazione di città e campagna, o meglio una confusa mescolanza di frammenti di aree urbanizzate con frammenti o relitti di aree non edificate, alcune delle quali ancora coltivate. Così che spesso è difficile parlare di progettazione urbanistica per queste aree così dualmente, ma nello stesso tempo eterogeneamente, composite. Il secondo fattore è dato da una nuova dimensione del concetto di paesaggio, ben sintetizzata nella Convenzione Europea del Paesaggio del 2000 negli articoli 1 e 2. PROGETTAZIONE URBANISTICA Nell’art. 1 vengono date le definizioni di “paesaggio” e di “obiettivo di qualità paesaggistica”. Con la prima si individua una determinata parte di territorio «così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni»; con la seconda definizione si afferma la necessità, da parte delle autorità pubbliche competenti, di tenere conto «per un determinato paesaggio, delle aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del loro ambiente di vita». Nell’art. 2 viene definito il campo di applicazione del concetto di paesaggio: «(...) si applica a tutto il territorio delle Parti e riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani. Essa comprende i paesaggi terrestri, le acque interne e marine. Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, sia i paesaggi della vita quotidiana, sia i paesaggi degradati.» Ebbene, se teniamo insieme questi due fattori, e teniamo in particolare conto anche l’obbiettivo della buona qualità morfologica (della bellezza) di un paesaggio (naturale, rurale, urbano e periurbano), come diritto di tutti gli abitanti a goderne come paesaggio della loro vita quotidiana, e dunque tenendo conto dei problematici paesaggi della città esistente, forse le tre locuzioni delle quali si è detto potrebbero essere sintetizzate in una quarta locuzione, che tutte le può comprendere: progettazione del paesaggio. Eventualmente specificandone le caratteristiche di uso o geografiche. Prefazione Perché se abbandoniamo una concezione di paesaggio inteso solo come panorami o luoghi dotati di speciali qualità ambientali o estetiche, di paesaggio come connotazione di ambiti privilegiati, ecco che tutto il mondo fisico è paesaggio, “paesaggio della vita quotidiana e paesaggio degradato”, e soprattutto paesaggio percepito dagli abitanti di un luogo. Paesaggio come assetto fisico, ma anche funzionale e sociale, tenendosi strettamente i tre aspetti l’uno con l’altro. Paesaggio come esito di processi, e come quadro della vita quotidiana da dover salvaguardare, o migliorare. Ecco dunque che, infine, compito delle discipline progettuali, che si interessano di città e di territorio, può diventare unitariamente quello di progettare, pur con diversi obbiettivi, metodi e tecniche (salvaguardia, conservazione, recupero, riqualificazione, nuovi interventi...) a seconda dei contesti di intervento, il paesaggio di un centro storico, il paesaggio urbano di un quartiere (esistente o di nuova costruzione) o il paesaggio di un margine urbano, o un paesaggio di una data area con caratteristiche rurali, o il paesaggio di un tratto di costa ormai urbanizzato, o il paesaggio di un parco naturale, e altro ancora. Progettazione del paesaggio e progetto del paesaggio, dunque. In quanto ogni azione di trasformazione del mondo fisico, che richiede comunque un progetto, elaborato in modo più o meno consapevole, comporta una trasformazione del paesaggio, inteso nel significato di spazio vissuto e percepito dagli abitanti di un dato ambito territoriale o urbano. XIX Presentazione PROGETTAZIONE URBANISTICA Presentazione Se la manualistica della prima parte del Novecento era completamente dedicata alle modalità di realizzazione della città, con particolare attenzione a modelli insediativi e strutture urbane, l’urbanistica di matrice funzionalista della seconda parte del secolo, attraverso la zonizzazione e l’uso di tipi edilizi ideali e decontestualizzati, ha considerato lo spazio, coerentemente con lo spirito del tempo, il luogo ideale per una sorta di riproposizione seriale di elementi isolati e standardizzati, luogo omogeneo e isotropo da valutare a priori in termini meramente quantitativi. L’interpretazione normativa che l’urbanistica italiana ha dato all’approccio funzionalista attraverso la cosiddetta Legge Ponte ha consolidato una visione della disciplina ancorata a indici e parametri quantitativi indipendenti dal contesto e utilizzabili superando qualsiasi considerazione attinente la specificità di luoghi e possibili soluzioni originali. L’interpretazione, in genere, dello strumento di Piano come mero indirizzo sulle quantità e sulle densità da poter utilizzare nel progetto architettonico, presto trasformato in semplice operazione edilizia, ha contribuito ad alimentare nel tempo una sorta di crescente separazione fra urbanistica e architettura in modo sempre più evidente sino alle forme assunte dalle periferie contemporanee. Negli ultimi decenni, inoltre, la giusta rilevanza assunta dalle tematiche ambientali nella pianificazione urbanistica e territoriale sempre più correttamente ispirata ai principi di uno sviluppo sostenibile, hanno spostato l’interesse dei Piani sulla identificazione delle invarianti strutturali di carattere paesistico e ambientale, con la conseguenza di trascurare, in molti casi, le indicazioni di pari valore desumibili dai tessuti insediativi consolidati. In questi ultimi anni il dibattito disciplinare si è, dunque, notevolmente spostato sui temi del progetto ambientale e dell’ecologia del paesaggio, cercando di integrare alcuni dei principali “concetti nomadi” delle discipline ecologiche nei processi di formazione dei Piani. Stabilito che l’acquisita coscienza ambientale ed ecologica costituisce un patrimonio culturale da approfondire e da non trascurare, appare utile, se non addirittura necessario, riprendere il dibattito sui caratteri insediativi per identificare, analogamente a come ormai si fa nella gran parte dei Piani urbanistici contemporanei per le invarianti strutturali di carattere ambientale, quella che XX si può definire la “matrice insediativa” dei tessuti edificati, da utilizzare come guida e riferimento per il progetto della città pianificata, sia che si tratti di parti da riqualificare e rigenerare, oggetto principale delle trasformazioni urbane contemporanee, sia che si tratti di parti nuove da progettare nelle sempre più limitate occasioni nelle quali occorre espandere ulteriormente le città così ampiamente interessate da intensi processi di crescita negli ultimi decenni. Occorre far dialogare nuovamente urbanistica e architettura lavorando sul paesaggio e sulle relazioni, identificando nei Piani le regole del progetto non soltanto in base a parametri funzionali o criteri d’uso, ma anche in base a canoni formali e prestazionali, come già sperimentato, per esempio, nello Smart Code realizzato da progettisti americani operanti nell’ambito del New Urbanism, regole che pongano, ancora, in primo piano i caratteri e le specificità del contesto. La riforma urbanistica attuata in quasi tutte le regioni italiane, offre l’opportunità di sperimentare nuove forme di relazione tra urbanistica e architettura, con prospettive diverse e originali per gli urbanisti e i progettisti dei prossimi anni. Il Piano Operativo appare un possibile strumento per regolare e sperimentare queste nuove opportunità. A chi si rivolge Il volume si rivolge essenzialmente agli studenti universitari dei corsi di Architettura, Ingegneria Edile, Ingegneria Edile–Architettura, Urbanistica e Pianificazione territoriale presenti nelle facoltà di Architettura e di Ingegneria e a quanti vorranno ulteriormente praticare i temi del progetto urbano nell’ambito delle molteplici occasioni di studio e approfondimento (preparazione finalizzata al superamento di prove progettuali per l’abilitazione all’esercizio della professione o prove per la selezione di funzionari tecnici nei concorsi banditi dagli Enti pubblici, master di progettazione), oppure ancora vorranno farne campo di sperimentazione nella pratica professionale. Per questa ragione, nell’articolazione del testo e nell’ampio corredo di illustrazioni costituito in prevalenza da disegni (definiti appositamente e rivenienti in gran parte da rielaborazioni di pratiche progettuali reali), particolare attenzione è posta nella PROGETTAZIONE URBANISTICA capacità di comunicare, in maniera chiara e comprensibile, il modo secondo cui i materiali del progetto concorrono a dare senso all’organizzazione dello spazio. I “materiali” sono analizzati singolarmente, senza però disconoscere quella complessità di relazioni entro cui prende forma e si concretizza il progetto urbano. Contenuti e struttura Il volume intende focalizzare l’attenzione del lettore su questi temi e sulla necessità, in particolare, di riportare in primo piano il dibattito sugli elementi strutturanti del progetto urbano, siano essi di matrice ambientale che di matrice insediativa, all’interno di un rinnovato connubio fra Piano e progetto. A partire dal rilevante bagaglio culturale che la disciplina urbanistica ha costruito, vengono quindi ridiscussi e messi a sistema i materiali esistenti nei numerosi e dettagliati manuali di settore con specifica attenzione a strade, parcheggi, verde e attrezzature di servizi, cui il presente testo rinvia il lettore per i necessari approfondimenti, senza alcuna presunzione di essere esaustivo. L’obiettivo che ci si pone è dunque quello di rileggere e riorganizzare i materiali del progetto in relazione alle nuove sfide progettuali che urbanisti e architetti dovranno affrontare nella pratica professionale, a partire dai fondamenti di base acquisiti durante la formazione universitaria. A tal fine sono stati considerati tutti insieme i materiali di base del progetto urbano, dagli spazi verdi a quelli della mobilità, dagli spazi per le attrezzature di servizi a quelli insediativi, in funzione di questo rinnovato rapporto tra architettura, urbanistica e ambiente, evidenziando peraltro le opportunità che la nuova forma del Piano comunale consente di cogliere. I principali materiali del progetto urbano, spazi verdi, della mobilità, dei servizi e degli insediamenti, sono strutturati in modo da rileggere la notevole quantità di riferimenti esistenti in modo sintetico e orientato al progetto, corredando le parti rivolte a identificare i principali aspetti concettuali e criteri progettuali di ciascun materiale, con l’esemplificazione che l’uso di tali criteri ha ricevuto in significative esperienze concorsuali di progettazione, e con una descrizione del ruolo e della significatività urbana e territoriale che questi progetti di intervento hanno assunto. Inoltre, possibili soluzioni per ciascun materiale del progetto urbano sono rappresentate in schede progettuali di buone prassi, tali da consentire una Presentazione lettura semplice e guidata degli elementi più significativi evidenziati nel corso della trattazione teorica. Un capitolo, nella parte conclusiva del volume, cerca di definire le modalità di integrazione tra Piano e progetto nella nuova forma di Piano, con l’obiettivo dichiarato di rendere evidenti opportunità e criticità che esso offre al progetto urbano, tema fondamentale e nuovo per quanti dovranno progettare le città italiane del prossimo futuro. Le illustrazioni In questo itinerario concettuale e metodologico una parte di rilievo è riservata dunque alla rappresentazione, affidata a schematizzazioni grafiche, non solo perché esse possano risultare utili nell’uniformare il linguaggio da comunicare, rendendo facile per esempio il confronto fra le diverse elaborazioni prodotte, quanto piuttosto col chiaro intento di evidenziare, di volta in volta, i caratteri salienti e costitutivi del progetto. Il disegno è inteso come chiave interpretativa del progetto, strumento di verifica e controllo dell’idea progettuale, sintesi al tempo stesso di quel bagaglio di conoscenze che occorre possedere per saper progettare. Le schede di approfondimento critico A chiusura dei quattro capitoli dedicati ai predetti “materiali” ci sono, infine, schede di approfondimento critico, curate da Federico Oliva, che delineano in maniera sintetica il quadro di complessità entro cui si muove oggi il progetto urbano. L’obiettivo principale è dunque quello di costruire in maniera finalizzata quel bagaglio di conoscenze di base da cui muovere nel campo della progettazione, senza comunque rinunciare a trattare il tema della progettazione urbanistica in termini problematici, ripercorrendo a tal fine le evoluzioni del progetto urbano a partire dalla rilettura dei suoi principali riferimenti teorici e metodologici, con una attenzione critica rivolta in particolare alle esperienze contemporanee maggiormente significative, come quelle del New Urbanism, per una possibile ridefinizione di quel rinnovato rapporto tra architettura, urbanistica e ambiente, cui si è già fatto riferimento. Il sito Al libro si affianca infine il sito web dedicato (disponibile all’indirizzo www.ateneonline.it/selicato) dove, nell’area docenti, sono disponibili le immaXXI Presentazione PROGETTAZIONE URBANISTICA gini del testo da proiettare a lezione. Tale apparato iconografico sarà nel tempo arricchito con nuove esperienze progettuali ogni qualvolta se ne dovessero presentare le occasioni. In maniera analoga saranno aggiornati, nell’area studenti, i riferimenti normativi, mentre una sezione speciale sarà dedicata a tenere vivo il dibattito sui temi del progetto, segnalando gli aspetti innovativi emergenti nel panorama nazionale e internazionale con riferimento all’articolazione dei contenuti secondo cui è strutturato il presente lavoro, seguendo la sperimentazione del nuovo modello di Piano in Italia in relazione ai contenuti che più lo avvi- XXII cinano al progetto urbano, proponendo ulteriori momenti di approfondimento sulle tematiche prescelte per prove progettuali abilitative all’esercizio della professione o per prove selettive di concorsi pubblici. L’auspicio è che il sito web possa contribuire a rendere attuali i temi del progetto urbano, seguendone le evoluzioni e rimarcando così il suo carattere di dinamicità. Francesco Selicato Francesco Rotondo