UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MACERATA ISTITUTO DI DIRITTO E PROCEDURA PENALE Dottorato di ricerca in Diritto e processo penale (ciclo XXIII) L’OBBLIGO GIURIDICO DI IMPEDIRE L’EVENTO Tutor Chiar.mo Prof. Carlo Sotis Coordinatore Chiar.mo Prof. Carlo Piergallini Dottoranda D.ssa Elisa Giaccaglia CAPITOLO I. LA POSIZIONE DI GARANZIA ALL'INTERNO DELLA FATTISPECIE TIPICA OMISSIVA IMPROPRIA. SEZIONE I. LA FONDAMENTALI. FATTISPECIE OMISSIVA IMPROPRIA. NOZIONI 1.1. Il reato omissivo. In particolare, la fattispecie omissiva impropria ex art. 40 cpv. c.p.: formazione (segue) 1.2. (Segue) Ambito di applicazione ed elementi costitutivi. SEZIONE II. I RUOLI DELL’OBBLIGO GIURIDICO IMPEDITIVO ALL’INTERNO DELLA FATTISPECIE OMISSIVA IMPROPRIA. IN PARTICOLARE: L’OBBLIGO GIURIDICO IMPEDITIVO QUALE PRESUPPOSTO NEL NESSO CAUSALE OMISSIVO. 1.3. L’obbligo giuridico impeditivo è condicio sine qua non dell’equivalenza causale di cui all’art. 40 co. 2 c.p.. Il nesso causale omissivo. SEZIONE III. OBBLIGO GIURIDICO APPROFONDIMENTI. DI IMPEDIRE L’EVENTO: PRIMI 1.4. Le teorie sulle fonti dell'obbligo impeditivo: la teoria formale (segue) 1.5. (Segue) L'approccio contenutistico-funzionale e la nascita della nozione di “posizione di garanzia”. La teoria eclettica. 1.6. Obblighi giuridici di impedire l’evento: singole fonti (segue) 1.7. (segue) e singole tipologie. CAPITOLO II. L'APPRODO DELLA DOTTRINA PIU' RECENTE ALLA NOZIONE GIURIDICO-FORMALE DI POSIZIONE DI GARANZIA Introduzione. SEZIONE I. L’OBBLIGO GIURIDICO EX ART. 40 CPV. C.P. RICOSTRUITO COME OBBLIGO DI GARANZIA E DISTINTO DAI MERI OBBLIGHI DI SORVEGLIANZA. 2.1. Le avvertite insufficienze delle teorie tradizionali sulle fonti degli obblighi I impeditivi. 2.2. La ricostruzione dell'obbligo impeditivo alla luce dei principi costituzionali. (Segue) 2.3. (Segue) Il principio di personalità della responsabilità penale e l'emersione del concetto di potere impeditivo. La necessaria giuridicità del potere impeditivo ed il superamento dei limiti insiti nella teoria mista. 2.4. L'approdo raggiunto dalle più recenti elaborazioni dottrinarie: l'obbligo impeditivo ex art. 40 cpv. c.p. deve essere inteso come come “obbligo di garanzia”. 2.5. L'“obbligo di garanzia” deve essere distinto dagli obblighi di attivarsi (segue). 2.6. (segue) ... e dagli obblighi di mera sorveglianza. 2.7. Brevi puntualizzazioni in tema di fonti dell'obbligo di garanzia. SEZIONE II. L’INDIVIDUAZIONE DEL VERO E PROPRIO OBBLIGO DI GARANZIA, RILEVANTE EX ART. 40 CPV. C.P., NEI CASI DI DOVERI DI VIGILANZA SULL’OPERATO ALTRUI. Introduzione. 2.8. La controversa figura degli obblighi giuridici di impedire il reato altrui: a) la collocazione sistematica ... (segue). 2.9. (Segue) ... e le conseguenze che discendono dall'adozione di una o dell'altra impostazione a riguardo. 2.10. b) l'ambito applicativo. 2.11. Il concorso mediante omissione nel reato non impedito. 2.12. Ritorno alla questione oggetto di interesse. La distinzione tra obblighi di sorveglianza ed obblighi di garanzia di impedimento di reati altrui: a) dove va compiuta tale distinzione (segue). 2.13. (segue) b) come va compiuta tale distinzione. 2.14. “Schema” conclusivo. III CAPITOLO. LA GIURISPRUDENZA ALLE PRESE CON LA NOZIONE GIURIDICO-FORMALE DI POSIZIONE DI GARANZIA II Introduzione. 3.1. Le espresse prese di posizione sulla teoria che distingue tra obblighi di garanzia, obblighi di sorveglianza ed obblighi di attivarsi. 3.2. Il criterio dei poteri giuridici impedivi: a) il cosciente e risolutivo impiego di esso. (Segue) 3.3. (Segue) b) L’elusione dell’applicazione del criterio dei poteri giuridici impeditivi: b.1) la delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro: la analisi della sussistenza dei doveri-poteri impeditivi viene evitata escludendo, a monte, l’esistenza di una valida delega. 3.4. b.2) Amministratori non esecutivi di società di capitali: l’analisi della sussistenza dei doveri-poteri impeditivi viene evitata escludendo, a monte, la sussistenza dell’elemento soggettivo. 3.5. Responsabili del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e responsabilità concorsuale nell’evento non impedito: applicazione reale o applicazione apparente del criterio dei doveri-poteri giuridici impeditivi? 3.6. Una applicazione controversa del criterio dei poteri giuridici impeditivi: la posizione di garanzia dei membri del collegio sindacale e la responsabilità per concorso nei reati non impediti. IV CAPITOLO. LA NOZIONE GIURIDICO-FORMALE DI POSIZIONE DI GARANZIA ASSICURA IL RISPETTO DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ? SEZIONE I. L’ELEMENTO DELL’OBBLIGO GIURIDICO IMPEDITIVO ED CONTRASTO CON I PRINCIPI DI RISERVA DI LEGGE E TASSATIVITÀ. IL 4.1. La denuncia corale della dottrina: l’art. 40 cpv. rappresenta uno dei più clamorosi casi di creazione giudiziale delle fattispecie incriminatrici. SEZIONE II. LA RICOSTRUZIONE DELL’OBBLIGO GIURIDICO IMPEDITIVO IN TERMINI DI “OBBLIGO DI GARANZIA” RIESCE A GARANTIRE IL RISPETTO DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ? 4.2. Delimitazione dell’ambito delle riflessioni: la giurisprudenza più virtuosa e le fonti dell’obbligo impeditivo meno controverse. 4.3. La ricostruzione in termini di “obbligo di garanzia”: a) permane pur sempre la necessità di un complesso salto interpretativo da compiersi in territori stranieri al III penalista (segue) 4.4. (segue) b) il problema di fondo: l’“obbligo giuridico di impedire l’evento” costituisce uno stranissimo elemento normativo. SEZIONE III. LA TIPIZZAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI GARANZIA. 4.4. La tipizzazione delle posizioni di garanzia nei progetti di codice penale. 4.5. La tipizzazione degli obblighi di garanzia: strada auspicabile e percorribile? IV CAPITOLO PRIMO. LA POSIZIONE DI GARANZIA ALL’INTERNO DELLA FATTISPECIE TIPICA OMISSIVA IMPROPRIA. SEZIONE I. LA FATTISPECIE OMISSIVA IMPROPRIA. NOZIONI FONDAMENTALI. 1.1. Il reato omissivo. In particolare, la fattispecie omissiva impropria ex art. 40 cpv. c.p.: formazione (segue) Omissivo è il reato la cui condotta tipica consiste nel mancato compimento dell‟obbligo imposto da una norma giuridica. Dalla essenziale definizione che precede emerge il carattere che contraddistingue, da un punto di vista concettuale, l‟omissione giuridicamente (e penalmente) rilevante: l‟omissione è un concetto normativo, in quanto essa è identificabile, riconoscibile, soltanto tramite il riferimento ad una norma giuridica, la quale prescrive il compimento di una azione considerata doverosa. L‟omissione dunque non rileva “in sé” – cioè per la natura del comportamento effettivamente tenuto – bensì rileva in quanto raffrontata ad un‟azione determinata, pretesa dall‟ordinamento giuridico. Per tale ragione, si dice che l‟omissione giuridicamente rilevante è un concetto di relazione (1). Muovendo da una prospettiva per così dire politica e socio-valutativa (2), si deve rilevare come il reato omissivo contenga un precetto decisamente più ingombrante di quello contenuto in un reato commissivo: il comando di “fare qualcosa di determinato” incide nella sfera della libertà individuale in maniera assai più invasiva di quanto non faccia un “divieto di tenere un determinato comportamento”. 1 Per la considerazione dell‟omissione quale concetto di tipo normativo e di relazione, vedansi, fra moltissimi, I. CARACCIOLI, voce Omissione (Diritto Penale), in Noviss. Dig. It., Volume XI, Torino, 1965, p. 895 e, più di recente, I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, in Enciclopedia giuridica del sole 24 ore, Bergamo, 2007, p. 33. 2 1 In tali termini F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Parte generale, Torino, 2011, p. 234. Tale maggiore interferenza nella sfera della libertà individuale si salda necessariamente con dei principi che rappresentano, nei riguardi di quella, rispettivamente il fondamento e l‟effetto. Ci si riferisce ai principi di solidarietà e di eccezionalità. Il principio di solidarietà rappresenta, appunto, il fondamento ideologico della responsabilità omissiva: le fattispecie omissive non esigono soltanto la mancata lesione di determinati beni, bensì pretendono una attivazione in favore di essi, con ciò determinando un consistente rafforzamento del grado di tutela apprestato dall‟ordinamento in favore di tali beni. Usando una immagine, si può affermare che «mentre il diritto penale dell‟azione reprime il male, il diritto penale dell‟omissione persegue il bene» (3). Il principio di eccezionalità rappresenta il corollario necessario della responsabilità di tipo omissivo: data l‟ingombranza delle fattispecie omissive, esse andranno trattate alla stregua di ipotesi – appunto - eccezionali, pena la violazione del principio costituzionale di libertà personale. Le constatazioni che precedono possono essere efficacemente riassunte dalla seguente proposizione: «il problema del reato omissivo consiste (..) nell‟ardua individuazione di un punto di equilibrio tra le due opposte esigenze espresse: 1) dal principio di eccezionalità dei reati omissivi, stante la loro maggiore interferenza nella sfera della libertà individuale rispetto ai reati commissivi; 2) dal principio di solidarietà, che impone agli individui di tenere comportamenti attivi per il soddisfacimento di altrui esigenze solidaristiche» (controllare correttezza citazione e citare Mantovani 2001, p. 337 in nota). L‟omissione acquista rilievo penale per il tramite di due canali fondamentali: 1) o in forza di una norma incriminatrice – contemplata nella parte speciale del codice penale, oppure all‟interno della legislazione penale extra codicem – la quale espressamente prevede e punisce la violazione di un obbligo di “fare qualcosa”; 2) oppure in forza di una clausola generale, quella contenuta nel comma secondo dell‟articolo 40 del codice penale, secondo cui «non impedire un evento, che si ha l‟obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». Tale clausola dà vita a fattispecie di reati nominati “omissivi impropri” (o anche “illeciti commissivi mediante omis- 3 F. MANTOVANI, L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi di legalità, di solidarietà, di libertà e di responsabilità personale, in Riv. it. dir. proc. pen, 2001, p. 338. 2 sione”)(4); tale etichetta li distingue dall‟altra categoria di reati omissivi, detti “propri” (5). 4 Nessun dubbio sussiste in ordine al fatto che le omissioni penalmente rilevanti in forza dell‟art. 40 cpv vengono nominate, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, “reati omissivi impropri”. A tutt‟oggi controverso è invece se la categoria degli omissivi impropri si esaurisca nelle fattispecie nate dalla clausola di cui all‟art. 40 cpv, o se invece tale categoria ricomprenda in sé anche altre fattispecie omissive di evento, espressamente tipizzate da specifiche norme incriminatrici. La questione controversa in realtà riguarda – in termini più generali – i criteri per distinguere tra reati omissivi propri e reati omissivi impropri. (Su tale questioni, si veda la nota seguente). 5 La collocazione della linea di confine tra i reati omissivi nominati propri e quelli nominati impropri rappresenta a tutt‟oggi una questione dibattuta. L‟impostazione tradizionale – nonché forse tuttora prevalente – impiega il criterio della sussistenza o meno, nella fattispecie incriminatrice, dell‟evento naturalistico: e così sarebbero “propri” quei reati omissivi che consistono nel mancato compimento di una condotta doverosa tipizzata da una norma di parte speciale; sarebbero “impropri” che consistono nell‟omesso impedimento di un evento materiale – che è elemento costitutivo del reato – che si doveva appunto impedire. Seguendo tale impostazione si giunge ad affermare che “reati omissivi impropri” sono tanto quelli scaturenti dalla combinazione dell‟art. 40 cpv con la singola norma commissiva di parte speciale, quanto quelli in cui il mancato impedimento di un evento sia espressamente previsto all‟interno di una specifica disposizione incriminatrice (si fa l‟esempio dell‟art. 659 c.p.). Detta in altri termini, secondo tale impostazione l‟etichetta di “reati omissivi impropri” non spetterebbe soltanto alle fattispecie che prendono forma dalla clausola generale di cui all‟art. 40 cpv, bensì spetterebbe a tutte le fattispecie – comunque e dovunque formulate – che incriminino il mancato impedimento di un evento, inteso in senso materiale. Parte della dottrina non ha mancato di sollevare critiche rispetto alla sopra descritta impostazione. È stato osservato ad esempio che, laddove è la stessa norma incriminatrice a formulare il fatto (anche) in termini di mancato impedimento dell‟evento, «l‟utilizzazione della categoria dell‟illecito commissivo mediante omissione può rivelarsi impropria: infatti (…) la problematica del reato omissivo improprio, i realtà, affiora fuori dei casi, nei quali la rilevanza penale dell‟omissione è direttamente desumibile dalla particolare fattispecie considerata» (G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979, p. 34 nota 1). Ancora, è stato rilevato che l‟impostazione che fa leva sulla presenza o meno dell‟evento naturalistico, si presenta del inidonea a selezionare le ipotesi in cui può operare il meccanismo di equiparazione ex art. 40 c.p. 2: «la presenza o meno dell‟evento naturalistico appare scarsamente significativa, essendovi fattispecie configurate come reati di pura omissione, la cui violazione può dare luogo, nel caso del verificarsi di un evento dannoso, a tale equiparazione (es. omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro, ex artt. 437 e 451 c.p.) e fattispecie configurate dalla legge come reati omissivi di evento, la cui violazione non comporta tale equiparazione (es. omissione di soccorso aggravata, ex art. 593/3 c.p.» (I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 35). E così vi è stato chi - al fine di distinguere tra reati omissivi propri ed impropri - ha proposto di sostituire al criterio che fa leva sulla presenza dell‟evento un criterio che faccia leva sulla tecnica di tipizzazione: «a nostro avviso (…) sembra preferibile – per rimanere fedeli all‟origine storica della categoria dogmatica del reato omissivo improprio – attribuire rilevanza determinante, piuttosto che alla presenza o all‟assenza di un evento naturalistico, alla tecnica di tipizzazione adottata dal legislatore nel disciplinare il comportamento punibile. Adottando un simile criterio, sono da qualificare “propri” i reati omissivi direttamente configurati come tali dalla singola disposizione incriminatrice (sia o meno presente nella loro struttura un evento naturalistico); “impropri” gli illeciti omissivi carenti di previsione legislativa espressa e ricavati dalla conversione – ad opera dell‟interprete che fa ricorso al capoverso dell‟art. 40 c.p. - di fattispecie legislativamente modellate su comportamenti di causazione positiva» (G.FIANDACA, voce Omissione (diritto penale), Dig. Disc. Pen., VIII, Torino, 1994, p. 549; vedasi anche G. FIANDACA E. MUSCO, Diritto penale, Parte generale, Bologna, 2007, p. 578). Anche il criterio fondato sulla tecnica di tipizzazione è stato sottoposto a critiche: «neppure tale criterio appare tuttavia pienamente soddisfacente, facendo dipendere l‟appartenenza all‟una o all‟altra categoria, non dalla struttura della fattispecie, ma dalla scelta contingente del Legislatore» (Leoncini, cove p. 35). La dottrina che più di recente si è occupata del tema ha suggerito un nuovo e diverso criterio. Al fine di 3 Sarà sulla fattispecie omissiva impropria - scaturente dal disposto di cui all‟art. 40 cpv. c.p. - che concentreremo l‟attenzione nel corso del presente lavoro. La fattispecie omissiva impropria ex art. 40 cpv. c.p. si forma per il tramite di una combinazione: la clausola generale contenuta nell‟articolo 40 va ad innestarsi, di volta in volta, su disposizioni di parte speciale che incriminano fatti commissivi. In tal modo le fattispecie commissive si trovano come doppiate, in quanto ad esse viene assimilata una corrispondente figura di reato, basata non sul fare, ma sull‟omettere. Rispetto a quanto sopra asserito, vanno compiute due precisazioni. Innanzitutto va rilevato che non tutte le fattispecie commissive si prestano ad accogliere l‟innesto della disposizione di cui all‟art. 40 c.p.; e cioè che a non tutte le fattispecie commissive può essere assimilata una corrispondente fattispecie imperniata sul mancato impedimento. Sul punto si tornerà nel prosieguo, parlando dell‟ambito applicativo del reato omissivo improprio. In secondo luogo va osservato che la fattispecie che nasce attraverso l‟innesto sopra descritto è una fattispecie nuova ed autonoma: ciò, nel senso che tutte le sue componenti strutturali – ad eccezione, si potrebbe dire, dell‟evento (6) – si caratterizzano in modo del tutto peculiare rispetto a quelle della corrispondente fattispecie commissiva di base (7). Il reato omissivo improprio non si riduce dunque ad una mera forma di manifestazione dell‟illecito commissivo, bensì costituisce un modello specifico di reato, strutturalmente autonomo, a livello tanto della tipicità oggettiva che di quella soggettiva (8). distinguere tra reati omissivi propri ed impropri non sarebbe congruo guardare alla tecnica di tipizzazione né sarebbe decisivo guardare alla presenza o meno di un evento naturalistico; si dovrebbe piuttosto far leva sulla tipologia di obbligo gravante sul soggetto omittente: ciò, nel senso che il meccanismo di applicazione dell‟equiparazione di cui all‟articolo 40 co. 2 può operare laddove – e soltanto laddove – in capo al soggetto omittente gravi un obbligo che possa dirsi un vero e proprio “obbligo di garanzia” (Così I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., pp. 35,36). (Per l‟illustrazione dei caratteri dell‟obbligo di garanzia, si veda infra, capitolo II sezione I). 6 G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, Milano, 1983, p. 131. 7 È stato negli ultimi decenni del XX secolo che la dottrina – sia d‟Oltralpe che nostrana – ha progressivamente preso atto della autonomia –strutturale e contenutistica – dei reati omissivi impropri, i quali erano invece fino ad allora vissuti all‟ombra degli illeciti di tipo commissivo. Vedasi in tal senso, fra gli altri, G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 72, 73. L‟accresciuto interesse dogmatico per i reati omissivi impropri rinviene è senz‟altro dipeso, fra le altre cose, da un cospicuo aumento – numerico e di importanza – di tali forme di illeciti. (Così Così F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, p. 985). 8 F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., p. 985. 4 Un‟ultima osservazione generale: la disposizione dalla quale nasce la fattispecie omissiva impropria si trova collocata all‟interno di una norma dedicata al rapporto di causalità. La dottrina è unanime nel considerare infelice tale collocazione: « (…) siffatto inserimento confonde due problemi diversi: il problema della causalità con quello dell‟illiceità dell‟omissione, problemi che devono essere tenuti distinti, perché una cosa è la connessione eziologica fra la condotta omissiva e l‟evento ed altra cosa la contraddizione tra la condotta stessa e la norma giuridica» (9). E tuttavia proprio dalla collocazione nell‟alveo della causalità si possono trarre – come si vedrà nel paragrafo a seguire – delle significative indicazioni in ordine all‟ambito applicativo della fattispecie omissiva impropria stessa (10). 1.2. (Segue) Ambito di applicazione ed elementi costitutivi. Della fattispecie omissiva impropria verranno ora indagati ambito applicativo ed elementi costitutivi. Si comincerà dal primo. Le osservazioni sullo spazio operativo della fattispecie omissiva impropria possono essere portate avanti tenendo in considerazione due piani valutativi differenti: un piano per così dire di tipo logico-strutturale ed un piano di tipo valoriale (politico-criminale). La analisi a seguire si occuperà prima dell‟uno e poi dell‟altro aspetto. Per ciò che concerne la valutazione di tipo logico strutturale, la dottrina del tutto prevalente giunge a posizioni uniformi: il dominio – naturale ed esclusivo (11) – dell‟art. 40 cpv. c.p. è rappresentato dalle fattispecie di evento causalmente orientate. La affermazione appena compiuta abbisogna di essere precisata nei suoi contenuti e delimitata nei suoi contorni. 9 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 37, il quale riporta un pensiero dell‟Antolisei. 10 11 5 G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 124. M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 2004, sub art. 40, par. 53. Che il capoverso dell‟articolo 40 c.p. possa innestarsi soltanto su fattispecie di evento, è un dato pacifico. Innanzitutto perché è la disposizione normativa stessa ad esigere la presenza di un evento: l‟evento che si aveva l‟obbligo di impedire. In secondo luogo perché non si può dubitare che l‟evento cui si riferisce l‟art. 40 cpv. sia un evento da intendere in senso naturalistico: la clausola generale che fonda la responsabilità omissiva è contenuta in una norma – l‟articolo 40 c.p. – dedicato al nesso di causalità; ora, il nesso causale viene in rilievo soltanto laddove affiori il problema di collegare una condotta umana ad un evento lesivo, inteso appunto come modificazione del mondo esterno, concettualmente e fenomenicamente separabile dalla condotta umana (12). Si può dunque rilevare come trovi conferma quanto si era detto in chiusura del precedente paragrafo: la collocazione della clausola che fonda la responsabilità omissiva impropria all‟interno dell‟alveo della causalità, fornisce indicazioni preziose circa l‟ambito operativo della responsabilità omissiva impropria stessa. Ancora, come si è detto sopra, le fattispecie che si prestano alla conversione in forma omissiva sono, tra le fattispecie di evento, soltanto quelle causalmente orientate, cioè quelle in cui ad essere incriminata è la realizzazione di un determinato evento lesivo, indifferenti restando le modalità di produzione di esso. Rimangono dunque escluse dalla sfera di operatività dell‟art. 40 cpv. non soltanto le fattispecie di mera condotta, ma altresì quelle di evento a forma vincolata, cioè quelle in cui il legislatore tipizza le modalità di produzione del risultato lesivo. Tale limitazione ha delle ragioni di tipo ontologico-strutturale. Una inerzia può equivalere ad una condotta attiva soltanto laddove ciò che conti sia esclusivamente la produzione di un evento, cagionato o, appunto, non impedito (13). L‟omissione non può invece essere assimilata all‟azione laddove l‟azione stessa debba risultare, per espressa volontà della legge, contraddistinta da peculiari modalità e contenuti: è il principio di tassatività che impedisce che sia possibile convertire in forma omissiva una condotta attiva di tipo vincolato (14). 12 In simili termini G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto penale, Parte generale, Bologna, 2007, p. 193. 13 Tra i tanti L. RISICATO, Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, Milano, 2001, p. 382. 14 6 I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 36. La delimitazione della sfera operativa dell‟art. 40 cpv. alle sole fattispecie causalmente orientate rappresenta dunque un punto pacifico in dottrina (15). Rispetto a quanto sin qui asserito, rimangono da compiere alcune puntualizzazioni. La prima riguarda il fenomeno – assai delicato – dei reati omissivi impropri plurisoggettivi, ossia il fenomeno della compartecipazione per omesso impedimento del reato commesso da altri. Di tale complessa tematica ci si occuperà nella sezione II del capitolo II (16); dunque si rimanda a quella sede per ogni considerazione ed approfondimento in merito. Qui ci si limita ad osservare che la delimitazione operativa dell‟art. 40 cpv. che è stata qui sopra tracciata è destinata ad essere messa in discussione proprio con riguardo ai reati omissivi impropri plurisoggettivi: come si avrà modo di vedere, difatti, la dottrina oggi prevalente sostiene che, quando l‟omesso impedimento riguardi reati commessi da altri, non trovi più applicazione la regole della limitazione alle sole fattispecie di evento. Ancora, è opportuno ricordare che la dottrina – oltre a circoscrivere “positivamente” la sfera operativa dell‟art. 40 cpv., individuandone il dominio nei reati di evento causalmente orientati – ha altresì provveduto a tracciare delle “delimitazioni in negativo”(17) della sfera operativa stessa, elencando una serie di tipologie di reati che in nessun caso possono prestarsi alla conversione in forma omissiva: reati che per la loro peculiare struttura o natura risultano incompatibili con una realizzazione in forma omissiva (ci si riferisce ad esempio ai reati abituali, ai delitti di mano propria, o a quelle fattispecie che pongono l‟accento su condotte caratterizzate da note descrittive necessariamente inerenti a comportamenti di tipo positivo) (18); oppure reati rispetto ai quali l‟operatività della clausola di equivalenza di cui all‟art. 40 cpv. sarebbe, per così, dire inutile o comunque 15 Unica opinione difforme da poter registrare sembra essere quella di Pagliaro, «secondo il quale l‟individuazione delle fattispecie convertibili dovrebbe fondarsi non sulla struttura della fattispecie, bensì sul criterio esclusivamente formale-linguistico della descrizione legislativa della condotta tipica, nella norma sul reato commissivo, tramite locuzioni quali “cagionare”, “procurare”, ecc; mentre non avrebbe alcuna importanza la presenza o meno nella fattispecie di un evento naturalistico» (Così in I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999, p. 29, nota 41). 16 In particolare, vedasi il paragrafo dedicato alla descrizione dell‟ambito applicativo degli obblighi giuridici di impedire il reato altrui. 17 18 L‟espressione è tratta da G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 142. Per approfondimenti si veda G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 36 e si veda G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 154 ss.. 7 impropria (ci si riferisce ai casi in cui è la stessa disposizione incriminatrice a fare menzione della condotta omissiva (19) e ai reati cosiddetti d‟obbligo(20)). Passiamo ora ad analizzare l‟altro piano di valutazione dell‟ambito applicativo delle fattispecie omissive improprie: quello che è stato qui sopra nominato il piano “valoriale”, cioè quello che si compone di valutazioni di tipo politico-criminale. Rispetto a tale piano, in realtà, tutte le osservazioni che precedono – relative alle delimitazioni ontologico-strutturali dello spazio operativo della clausola ex art. 40 cpv. - fungono da decisivo apripista. Si è detto, infatti, che da un punto di vista logico-strutturale l‟ambito applicativo della clausola di cui al comma 2 dell‟art. 40 è costituito dalle fattispecie causalmente orientate. Bene, se si compie una analisi delle fattispecie che l‟ordinamento disegna come fattispecie di evento causali pure ci si accorge che, nella quasi totalità dei casi, si tratta di fattispecie poste a tutela di beni di rango elevato, quali la vita, l‟incolumità fisica, personale e pubblica (21). Dunque, instaurando un collegamento tra struttura della fattispecie e beni tutelati, si può affermare che, in genere, le fattispecie che si prestano alla conversione in forma omissiva sono fattispecie che tutelano i beni più importanti e preziosi (22). Anzi – invertendo l‟ordine dei termini della suddetta constatazione – si potrebbe affermare che è proprio l‟elevato rango dei beni a giustificare una responsabilità anche in forma omissiva. 19 Quella della possibilità, per la clausola generale ex art. 40 cpv, di “interagire” con le norme incriminatrici che fanno espressa menzione – in via esclusiva o accanto all‟azione in senso stretto - di una condotta omissiva, è questione complessa e dibattuta. Al fine di percepire la varietà e le sfaccettature delle posizioni assunte dalla dottrina sul punto, vedasi ad esempio I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 215. 20 Per approfondimenti si vedano G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 36-37 e G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 146 ss.. 21 Si pensi ad esempio ai delitti di omicidio, lesione personale, ai reati contro l‟incolumità pubblica di cui agli artt. 422, 423, 426, 428, 430 c.p.. Esiste peraltro una corrispondenza tra la struttura di tali fattispecie e l‟elevato rango dei beni da esse tutelati: come si è detto, nelle fattispecie di evento causalmente orientate, ciò che conta è solo la produzione dell‟evento lesivo, mentre indifferenti restano le modalità attraverso le quali tale produzione si determina; così facendo, viene assicurata una tutela senz‟altro estesa – una tutela a tappeto, potremmo dire – del bene giuridico protetto; il che è pienamente coerente, appunto, con l‟elevato grado del bene in questione. 22 Ovviamente tale collegamento tra una determinata tipologia di fattispecie incriminatrice e l‟elevato rango del bene in gioco è destinato a saltare laddove, in presenza di un obbligo giuridico di impedire il reato altrui, si ritenga che la sfera operativa del capoverso dell‟art. 40 c.p. si estenda a qualunque tipologia di reato. Sul tema vedansi i rapidi cenni effettuati supra, nel presente paragrafo, nonché, per una trattazione più completa, vedasi infra, capitolo II, sezione II. 8 Fermo restando che – per tutte le ragioni viste sopra – le fattispecie omissive improprie sono spesso poste a tutela di beni quali la vita e l‟incolumità fisica, ci si deve a questo punto chiedere se per caso non vi siano ragioni per sostenere che l‟ambito applicativo di tali reati debba essere circoscritto esclusivamente alle fattispecie poste a tutela dei predetti beni. Formulato in altri termini, il quesito cui dare risposta è il seguente: se, dinnanzi a fattispecie che per la loro struttura si presterebbero ad essere convertite in omissive, debbano porsi delle limitazioni all‟applicazione della clausola ex art. 40 cpv. proprio in considerazione della tipologia dei beni in questione (23). Nel fornire risposta al suddetto quesito la dottrina appare decisamente divisa. È del tutto evidente che la questione problematica - così come è stata posta – non ha di certo natura logica o tecnica, bensì ha natura squisitamente politico-criminale: si tratta infatti di capire se - a delimitare ulteriormente lo spazio applicativo della clausola di cui al 40 capoverso - debbano o meno subentrare delle “considerazioni di valore”. Parte della dottrina risponde affermativamente (24): quella forma rafforzata di tutela offerta dal reato omissivo improprio – la quale peraltro si traduce in una altrettanto forte limitazione della sfera di libertà del soggetto agente – non potrebbe se non essere ricondotta alla particolare importanza e vulnerabilità di determinate tipologie di beni. Altra parte della dottrina esclude invece categoricamente che l‟ambito dei reati omissivi impropri possa essere delimitato in base al rango dei beni in gioco, e ciò, in considerazione soprattutto del fatto che la amplissima formula contenuta nel capoverso del‟articolo 40 non sembra consentire alcuna restrizione particolare a seconda del bene giuridico interessato ( 25). Una posizione peculiare è quella assunta dal Giunta, il quale – dopo aver constatato che effettivamente il testo dell‟art. 40 co. 2 non contiene argomenti per delimitare la sfera di operatività della clausola di equivalenza – afferma che tuttavia nulla vieta di interpretare il testo della singola norma alla luce dell‟intero sistema normativo; effettuando una tale operazione, secondo l‟Autore possono rinvenirsi, all‟interno del sistema penale, svariate 23 Il quesito è stato spesso posto con riguardo al delitto di danneggiamento: trattasi infatti di fattispecie di evento, causale pura, la quale tuttavia è posta a presidio del bene patrimonio. 24 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 48-52; P. SEMERARO, Il concorso mediante omissione nel reato, in L‟indice penale, 2006, pp. 585-586; L. RISICATO, Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, cit., p. 382. 25 Vedasi per tutti M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., p. 381. E anche I. LEObbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 220. ONCINI, 9 ragioni per rintracciare una propensione al contenimento dei reati omissivi impropri (26). Muovendo da tali premesse, l‟Autore giunge alla conclusione che non tutte le fattispecie causalmente orientate sarebbero convertibili in reati omissivi impropri, ma solo quelle che ad un tempo sono previste dal legislatore anche come colpose. Sino a questo momento la fattispecie omissiva impropria non è stata ancora indagata dal suo di dentro; finora difatti sono state fornite indicazioni soltanto in ordine alla formazione di tale fattispecie ed al suo spazio operativo. Eppure – proprio con riguardo a quest‟ultimo profilo – si è già in grado di percepire come quella omissiva impropria sia una fattispecie che si presta ad offrire ampi – e tutto sommato inquietanti – spazi di manovra agli interpreti. Da qui dinnanzi la fattispecie omissiva impropria verrà analizzata nel suo interno, e cioè in quegli elementi che ne costituiscono le componenti strutturali. La fattispecie omissiva impropria di cui all‟art. 40 cpv. c.p. esige la presenza di un evento: si è già visto sopra, parlando dell‟ambito applicativo, che deve trattarsi di un evento da intendersi in senso naturalistico e che deve trattarsi di un evento contemplato da una fattispecie incriminatrice commissiva (27). La fattispecie omissiva impropria richiede la presenza di una condotta omissiva cioè una condotta di omesso impedimento dell‟evento. La dottrina ricomprende all‟interno della condotta omissiva tanto la situazione cosiddetta tipica, quanto il mancato compimento dell‟azione di impedimento (28). La situazione tipica consisterebbe nell‟insieme di quei presupposti di fatto (ad esempio i presupposti che producono la situazione di pericolo per il bene da salvaguardare) da cui scaturisce l‟obbligo di attivarsi (29). La situazione tipica, così definita, viene ricompresa all‟interno dalla condotta tipica proprio in quanto «l‟obbligo giuridico di compiere una 26 F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, in Diritto penale e processo, 1999, p. 629. 27 Per le peculiarità concernenti i reati omissivi impropri plurisoggettivi, vedasi invece la Sezione II del Capitolo II. 28 29 Vedasi ad esempio G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 133 e ss. In tal senso, fra gli altri, G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 76. 10 certa azione non può essere posto sganciato da un determinato contesto attuale, in presenza del quale sorge la necessità e l‟utilità dell‟azione positiva»( 30). La condotta omissiva tipica consiste nel mancato compimento dell‟azione diretta ad impedire l‟evento previsto dalla fattispecie commissiva-base. Va segnalato come l‟individuazione dell‟azione doverosa non compiuta è una operazione complessa e sfuocata visto che – come si avrà modo di meglio comprendere nel prosieguo dell‟analisi – il comportamento doveroso omesso non solo non risulta descritto dalla clausola generale di cui all‟art. 40 cpv. ma neanche, spesso, dalle norme che individuano il soggetto tenuto ad attivarsi (31). Il compimento dell‟azione doverosa presuppone, a sua volta, la possibilità di agire: la condotta omessa, cioè, doveva essere, per l‟omittente, possibile. Nel suo contenuto basilare ed imprescindibile, il concetto di possibilità di agire va inteso in senso materiale: l‟azione impeditiva doveva essere possibile, per l‟omittente, in senso concreto, in senso fisico, e cioè in considerazione tanto delle condizioni esterne quanto delle condizioni personali psico-fisiche dell‟omittente (32). Su come debba intendersi – in senso più profondo e più preciso, la “possibilità impeditiva di un evento”, sono state elaborate dagli studiosi varie costruzioni concettuali, delle quali si darà conto in seguito (33). 30 F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Parte generale, Torino, 2011, p. 237. L‟Autore prosegue dicendo che «diversamente ognuno di noi sarebbe continuamente, perennemente soggetto all‟obbligo di agire, venendosi così a rendere davvero insopportabile la limitazione della libertà connessa alla pretesa normativa di comportamenti positivi». 31 Tale osservazione risulta espressa, seppur con differenti termini, in G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 363-364. 32 A tal proposito la dottrina non manca ad esempio di osservare che, nei casi in cui l‟azione impeditiva è libera – e cioè nei casi in cui la fonte dell‟obbligo non descrive l‟azione richiesta, occorre distinguere tra una impossibilità assoluta, la quale preclude ogni azione impeditiva (si fa l‟esempio del bagnino colto da improvviso malore), ed una impossibilità relativa, la quale invece limita ad una soltanto o a talune soltanto le possibili azioni impeditive (si fa l‟esempio della madre la quale, se incapace di nuotare, è pur sempre tenuta ad invocare il soccorso altrui per salvare il figlio caduto in acqua) (In tal senso F. MANTOVANI, L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi,cit., p. 342). Ancora, la dottrina non ha mancato di rilevare che, tuttavia – se non si dubita del fatto che la possibilità di agire vada intesa, primariamente, in senso materiale – le perplessità sorgono, invece, laddove al concetto di “possibilità” venga data una lettura in termini altresì soggettivistici: laddove, cioè, per valutare la possibilità di agire si prenda in considerazione altresì il momento intellettivo del soggetto omittente, ossia, ad esempio, la sua conoscenza o conoscibilità della situazione tipica. Per tali considerazioni si veda G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 375 ss.. 33 Per i contenuti del concetto di potere impeditivo nonché per il requisito della giuridicità di esso, si rinvia alla sezione I del capitolo II. Per un‟analisi di come il potere impeditivo debba atteggiarsi – laddove oggetto dell‟impedimento siano le azioni delittuose altrui – si rinvia alla sezione II del capitolo II. 11 Ancora, nella struttura della fattispecie omissiva impropria deve rinvenirsi una equivalenza causale: il mancato impedimento deve equivalere alla causazione dell‟evento; tra le componenti della fattispecie c‟è dunque quella di un nesso causale che deve intercorrere, appunto, tra la condotta omissiva e l‟evento verificatosi. Ancora, la fattispecie omissiva impropria esige la presenza di un ulteriore e fondamentale requisito: un obbligo giuridico di impedire l‟evento, elemento il quale, solo, è in grado di far scattare l‟equivalenza di qui si è qui sopra detto. Del nesso causale omissivo si parlerà nella sezione II del presente capitolo; l‟obbligo giuridico impeditivo verrà analizzato a partire dalla sezione III del presente capitolo, sino alla fine di questo lavoro. 12 SEZIONE II. I RUOLI DELL’OBBLIGO GIURIDICO IMPEDITIVO ALL’INTERNO DELLA FATTISPECIE OMISSIVA IMPROPRIA. IN PARTICOLARE: L’OBBLIGO GIURIDICO IMPEDITIVO QUALE PRESUPPOSTO NEL NESSO CAUSALE OMISSIVO. 1.3. L’obbligo giuridico impeditivo è condicio sine qua non dell’equivalenza causale di cui all’art. 40 co. 2 c.p.. Il nesso causale omissivo. È condivisa la percezione secondo cui l‟obbligo giuridico di impedire l‟evento (la cosiddetta posizione di garanzia (34)) rappresenti il cuore pulsante – la vera “questione centrale” - della fattispecie omissiva impropria ( 35 ), fungendo, rispetto ad essa, da pilastro portante. L‟obbligo giuridico impeditivo seleziona i soggetti dai quali l‟ordinamento pretende un intervento impeditivo. Così facendo, tale elemento incarna e riflette fedelmente quel carattere di eccezionalità che deve contraddistinguere la fattispecie omissiva impropria (36). Solo i soggetti che possano considerarsi titolari di un tale obbligo possono essere autori di un reato di tipo omissivo improprio; il che equivale a dire che l‟obbligo giuridico impeditivo rende la fattispecie omissiva impropria un reato di tipo proprio (37). L‟obbligo giuridico di impedire l‟evento, nel mentre che individua i soggetti obbligati ad impedire l‟evento, contribuisce a selezionare le condotte omissive rilevanti (38): «tra le innumerevoli omissioni concorrenti alla produzione dell‟evento lesivo (seppur in 34 Sulla nascita della terminologia “posizione di garanzia” – nonché sull‟attuale indifferente utilizzo dei termini “obbligo giuridico impeditivo” e “posizione di garanzia” – vedasi infra, Sezione III del presente capitolo. 35 Vedansi ad esempio L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, in Riv. it. dir. proc. pen, 1997, pp. 1363-1364; F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, cit., p. 620. 36 37 38 Si veda retro, Sezione I del presente capitolo. I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 60. In tal senso anche Cassazione penale, Sezione IV, 38991/2010. 13 modo “statico”), l‟individuazione di quella penalmente rilevante avviene sulla base della sua contrarietà ad un obbligo giuridico di impedire l‟evento» (39). Un‟omissione potrà essere considerata causale, rispetto ad un evento, solo e soltanto qualora autore dell‟omissione sia un soggetto gravato di un obbligo giuridico impeditivo. Si potrebbe dunque affermare che l‟obbligo giuridico di impedire l‟evento rappresenti il presupposto – la condicio sine qua non, potremmo dire – rispetto alla causalità omissiva stessa (40): un‟indagine circa la sussistenza di un nesso causale tra una omissione ed un evento tipico ( 41 ), ha senso di essere compiuta soltanto laddove l‟omittente sia un soggetto titolare dell‟obbligo giuridico di cui parla il capoverso dell‟articolo 40 c.p.. Ci si potrebbe spingere ad affermare che l‟obbligo giuridico impeditivo ex art. 40 cpv. – in quanto «forte nucleo normativo» ( 42 ) della fattispecie omissiva impropria – non soltanto fondi la causalità omissiva, ma altresì rappresenti ciò che è chiamato a bilanciare quella che vedremo essere la intrinseca debolezza di essa: una sorta di supplenza, attuata dal “presupposto” normativo, alle deficienze del “presupposto naturalistico”(43). Posto in luce il ruolo centrale occupato dall‟obbligo giuridico impeditivo all‟interno della fattispecie omissiva impropria, nonché lo stretto rapporto di quello con il nesso causale omissivo, è proprio su tale nesso che verrà da qui dinnanzi concentrata l‟attenzione. Quello della causalità omissiva, come è noto, è un tema inesauribile. Nello spazio di un paragrafo, il nostro obiettivo è esclusivamente il seguente: illustrare le ragioni di quella 39 F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Parte generale, Torino, 2011, p. 282. 40 Il Fiandaca ad esempio afferma che il divario esistente tra le due forme di causalità – la attiva e la omissiva – è colmato proprio dalla posizione di garanzia. L‟Autore, prendendo spunto da Kaufman, esprime tale concetto in formule asserendo che c1= c2+g, dove c1 è il nesso di causalità reale, c2 è il nesso di causalità omissiva e g è la posizione di garanzia. «Detto fuori dalla formule: al rapporto di causalità reale proprio dell‟illecito commissivo corrisponde, nell‟illecito di commissione mediante omissione, la coppia concettuale formata dal nesso di causalità ipotetica e dalla posizione di garanzia» G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 73. 41 L‟evento tipico è rappresentato – così come si è detto nella precedente sezione di questo capitolo – dall‟evento contemplato da una fattispecie incriminatrice commissiva, suscettibile di conversione. 42 Così Sezioni Unite penali, sentenza 30328/2002. 43 Ad una sorta di compensazione, di supplenza, operata dall‟ “elemento normativo” dell‟obbligo giuridico impeditivo si riferiscono ad esempio F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento, Padova, 1975, p. 200, G. INSOLERA, voce Concorso di persone nel reato, in Dig. disc. pen., vol. II. Torino, 1988, p. 470. 14 che è stata qui sopra qualificata come “debolezza intrinseca” della causalità omissiva; il che consentirà di spiegare in che senso l‟elemento dell‟ “obbligo giuridico impeditivo” dovrebbe essere chiamato a fungere, rispetto ad essa, da sostanzioso contrappeso. Più in particolare, si procederà come segue: verranno segnalate le peculiarità ontologiche del nesso causale omissivo, dopo di che verrà analizzato come esse si riverberino sull‟accertamento del nesso causale stesso, connotando tale operazione in termini di elevata (e forse insanabile) problematicità. L‟omissione consiste, per sua stessa definizione, in una condotta priva di una sua dimensione “fisica”, in un nihil, dal punto di vista naturalistico. Il nesso causale, inteso come correlazione tra una condotta ed un evento, si atteggia, nell‟ambito della causalità omissiva, in modo per forza di cose peculiare: mentre nell‟ambito della causalità commissiva il ponte causale è chiamato a legare due entità reali (la condotta umana e l‟evento verificatosi), nella causalità omissiva il rapporto causale si instaura tra una sola entità reale (l‟evento verificatosi) ed una entità inesistente (la condotta omessa), la quale può essere soltanto immaginata. Prescindendo da ogni disputa epistemologica sulla natura reale, o meno, del nesso causale omissivo e sulla reale capacità causale delle condizioni statiche (44), ci si limita a rilevare come la dottrina maggioritaria propenda oggi per la tesi della diversità della causalità omissiva rispetto alla attiva. Ciò, in quanto si tratta di una causalità che non ha natura naturalistica ma esclusivamente normativa (45): si tratta, in fondo, di una “equivalenza causale” (46), così come indicato dalla stessa norma che ne decreta l‟esistenza. Si tratta, ancora, di una causalità “doppiamente ipotetica” ( 47 ): «se infatti la formula che esplica la causalità attiva – in quanto „controfattuale‟ – è certamente ipotetica, la formula euristica della causalità omissiva è però doppiamente ipotetica»; ciò, in quanto «nella griglia controfattuale esplicativa 44 Vedasi ad esempio F. STELLA, La nozione penalmente rilevante di causa; la condizione necessaria, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, p. 1254 ss. 45 Vedasi ad esempio C.E. PALIERO, La causalità dell‟omissione: formule concettuali e paradigmi prasseologici, in Riv. it. med. leg., XIV, 1992, p. 821 e ss. 46 Di «equivalente tipico della causalità» parla G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 415 e ss. Vedansi anche G.FIANDACA, voce Omissione, cit., p. 555 e P. NUVOLONE, L‟omissione nel diritto penale italiano. Considerazioni generali introduttive, in L‟indice penale, 1982, p. 436. 47 Per il conio della felice formula – nonché per le intuizioni ed i contenuti che essa racchiude – vedasi C.E. PALIERO, La causalità dell‟omissione, cit., p. 841 e ss. 15 della causalità omissiva, l‟interloquente può collocare soltanto un dato storicamente reale, posizionato nell‟apodosi –ed è ovviamente l‟evento effettivamente integratosi; mentre nella protasi, di dati reali (…) non se ne ravvisano, giacché l‟omissione è sì antecedente (statico) reale, ma solo a condizione di essere integrata (…) dall‟azione impeditiva, che però è del tutto immaginaria». Esauriti nelle brevi battute che precedono i cenni generali sull‟essenza della causalità omissiva, la trattazione si farà ora più articolata, nell‟intento di illustrare in che maniera le suddette peculiarità si ripercuotano ed incidano sul metodo e sui criteri di accertamento del nesso. Innanzitutto va affermato che per valutare la sussistenza del nesso causale di tipo omissivo, il criterio del giudizio - ossia il modello euristico - è identico a quello impiegato per valutare la sussistenza della causalità attiva: si tratta del giudizio condizionale di tipo controfattuale (48), applicato facendo ricorso all‟esperienza tratta dai risultati delle generalizzazioni del senso comune oppure facendo ricorso alla sussunzione sotto leggi scientifiche di copertura. Tuttavia in ambito omissivo l‟applicazione della formula controfattuale presenta spiccate peculiarità, peculiarità dovute proprio a quella che è stata definita come “natura doppiamente ipotetica” della causalità omissiva. 48 La necessità di ricorrere, anche in ambito di causalità omissiva, al criterio del condizionale controfattuale è stata affermata con decisione sia in dottrina che in giurisprudenza. Per quanto riguarda la dottrina, è importante notare come la medesimezza del metodo di accertamento sia stata rilevata non soltanto da coloro che hanno sostenuto la teoria dell‟ “identità” tra causalità attiva ed omissiva (vedasi ad esempio F. STELLA, La nozione penalmente rilevante di causa, cit., pp. 1254-1255), ma altresì da coloro che hanno posto in luce i profili di divergenza fra i due tipi di causalità: ci si riferisce in particolar modo a C.E. PALIERO, La causalità dell‟omissione, cit., p. 841, il quale ritiene che «occorre distinguere (…) fra criterio del giudizio (…) e base del giudizio»; la “base del giudizio” – intesa come il tipo di antecedente selezionato quale oggetto del predicato (controfattuale) esplicativo del nesso di condizionamento – sarebbe irrimediabilmente difforme, a seconda che si tratti di causalità attiva o omissiva, il “criterio del giudizio” invece sarebbe, appunto, identico, in quanto «in entrambi i casi in effetti imperniato su di un sillogismo controfattuale». Per quanto riguarda la giurisprudenza, ci si limita qui a segnalare la pronuncia delle Sezioni Unite Franzese, la quale, dopo aver compiuto una ricognizione dello statuto della causalità penalmente rilevante, afferma a chiare lettere che «anche per i reati omissivi impropri resta valido il descritto paradigma unitario di imputazione dell‟evento. Pur dandosi atto della peculiarità concettuale dell‟omissione (è tuttora controversa la natura reale o meramente normativa dell‟efficienza condizionante di un fattore statico negli sviluppi della catena causale), si osserva che lo statuto logico del rapporto di causalità rimane sempre quello del „condizionale controfattuale‟, la cui formula dovrà rispondere al quesito se, mentalmente eliminato il mancato compimento dell‟azione doverosa e sostituito alla componente statica un ipotetico processo dinamico corrispondente al comportamento doveroso, supposto come realizzato, il singolo evento lesivo, hic et nunc verificatosi, sarebbe, o non, venuto meno, mediante un enunciato esplicativo `coperto‟ dal sapere scientifico del tempo» (Cassazione, Sezioni Unite penali, sentenza 30328/2002). 16 Come si è detto sopra, la condotta doverosa omessa – elemento situato nella protasi controfattuale del giudizio causale relativo all‟omissione – non è un elemento del reale, ma è un elemento che può essere solo immaginato. Da ciò derivano i necessari adattamenti del condizionale controfattuale in ambito omissivo. Innanzitutto l‟interprete dovrà infatti accertare quale sia stata la causa reale – intendendo con ciò la causa fisica, naturalistica – dell‟evento verificatosi (49). Solo una volta ricostruita ed appurata la catena dei fattori eziologici che hanno condotto all‟evento, sarà possibile stabilire quale sarebbe stata la condotta doverosa impeditiva e quindi sarà possibile individuare la omissione penalmente rilevante. Ancora, solo a quel punto potrà essere applicato il giudizio controfattuale, la cui formula subirà anch‟essa degli adattamenti: al posto dell‟eliminazione mentale della condotta attiva, dovrà essere compiuta una “aggiunta mentale” della condotta doverosa omessa, individuata nei termini sopra descritti. I profili altamente ipotetici della causalità, l‟incertezza per così dire costitutiva del primo polo del nesso causale, il condizionale di secondo grado, rappresentano complicanze concettuali e comportano notevoli aggravi degli oneri dimostrativi (50). Senonché nella prassi giurisprudenziale è accaduto che la suddetta complessità del nesso causale omissivo, anziché condurre ad un atteggiamento più cauto nell‟accertamento di esso, ha sospinto verso posizioni che hanno finito con il diminuire 49 Vedasi in tal senso, per tutte, Cassazione penale, Sezione IV, 25 maggio 2005 n. 25233: « (…) nella ricostruzione del nesso eziologico, non può assolutamente prescindersi dall‟individuazione di tutti gli elementi concernenti la causa dell‟evento: solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, è poi possibile analizzare la condotta (omissiva) colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l‟evento lesivo sarebbe stato evitato "al di là di ogni ragionevole dubbio"». Nel caso segnalato, la Corte escluse la possibilità di configurare un nesso causale omissivo – e dunque escluse la penale responsabilità dell‟imputato (il primario del reparto di ematologia dell‟ospedale San Salvatore di Pesaro) – proprio in quanto difettava la prova in ordine a quelle che erano state le cause “reali”, fenomeniche, degli eventi verificatisi (in particolare, si trattava dei decessi per epatite fulminante di nove pazienti ricoverati nel reparto di ematologia dell‟ospedale): « (…) appare evidente che soltanto individuando il veicolo del contagio (o comunque le concrete modalità con le quali il contagio è avvenuto) è possibile dare un contenuto fattuale alla enunciata omessa vigilanza, (...) Ciò posto, e ritornando all‟esame della concreta fattispecie "de qua", ne deriva che i giudici di merito avrebbero dovuto individuare e specificare l‟obbligo di vigilanza in concreto violato dal prof. L.: sulla condotta del personale paramedico, e di chi in particolare? sulla condotta dei medici del reparto, e di quale medico in particolare?(…)». 50 Di «aggravi degli oneri dimostrativi» parla C.E. PALIERO, La causalità dell‟omissione, cit., p. 843. 17 la pretesa di rigore nell‟accertamento stesso e con l‟accentuare il probabilismo ( 51 ), quando non, addirittura, con il compiere delle vere e proprie erosioni del paradigma causale (52). Il quadro degli orientamenti prasseologici formatisi può essere così tracciato. Si è fatto registrare un filone giurisprudenziale che ha sostanzialmente finito con l‟eludere ogni accertamento della causalità omissiva, consentendo che tale elemento rimanesse fagocitato dall‟accertamento della sussistenza di un obbligo giuridico impeditivo (53). Ancora, si è diffuso un corposo filone giurisprudenziale – divenuto dominante intorno agli anni Novanta – che affermava la sufficienza, al fine di ritenere accertato il nesso causale omissivo, di leggi scientifiche di copertura portatrici di medio-bassi coefficienti probabilistici (54) oppure che, a prescindere al riferimento al dato numerico, riteneva sufficienti “serie ed apprezzabili probabilità di successo” dell‟intervento doveroso 51 52 F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Parte generale, Torino, 2011, p. 289. Cassazione, Sezioni Unite penali, sentenza 30328/2002. 53 Si pensi, a titolo esemplificativo, a Cassazione penale, Sez. IV, 7 novembre 1988: i giudici - dinnanzi al comportamento di un medico anestesista il quale, venutosi a trovare in difficoltà durante la fase del risveglio postoperatorio di un paziente, aveva omesso di far intervenire altri sanitari – affermano che il medico «qualora ometta tale comportamento, tenendo, invece, condotta inerte ed inadeguata, sicché il paziente venga a morte, di ciò ne risponde sia sotto il profilo della causazione diretta, sia in relazione all‟inerzia, connotata dal referente normativo ex art. 40 cpv. c.p., essendogli addebitabile la verificazione di un evento che aveva l‟obbligo di impedire». Si tratta evidentemente di uno di quei casi in cui la sussistenza di un nesso causale non viene per nulla indagata; essa piuttosto viene desunta, dal solo fatto dell‟esistenza di un obbligo giuridico impeditivo in capo al soggetto omittente. Al fenomeno dell‟obliterazione di ogni verifica del nesso causale la dottrina si riferisce impiegando varie terminologie: di “volatilizzazione del nesso” parlano, ad esempio, C.E. PALIERO, La causalità dell‟omissione, cit., p. 847 e P. VENEZIANI, Il nesso tra omissione ed evento nel settore medico: struttura sostanziale e accertamento processuale, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, II, Milano, 2006, p. 1983. Anche le Sezioni Unite della Suprema Corte, nella famosa sentenza Franzese, non hanno mancato di rilevare come effettivamente la giurisprudenza sia spesso vittima della tentazione di obliterare l‟accertamento del nesso causale omissivo: «Ma la presenza nei reati omissivi impropri, accanto all‟equivalente normativo della causalità, di un ulteriore, forte, nucleo normativo, relativo sia alla posizione di garanzia che agli specifici doveri di diligenza, la cui inosservanza fonda la colpa dell‟agente, tende ad agevolare una prevaricazione di questi elementi rispetto all‟ordinaria sequenza che deve muovere dalla spiegazione del nesso eziologico». 54 Si veda ad esempio Cassazione penale, 12 luglio 1991, in cui si afferma che va ritenuto sussistente il nesso di causalità tra l‟omissione colposa del medico e la morte del paziente «anche qualora l‟esatta e tempestiva opera del sanitario avrebbe potuto evitare l‟evento non già con certezza o elevate probabilità, ma solo con probabilità apprezzabili nella misura del trenta per cento». Vedasi anche Cassazione penale, 7 marzo 1989, secondo cui «quando è in gioco la vita umana, anche limitate probabilità di successo (…) sono sufficienti a configurare la necessità di operare». Similmente, fra molte, Cassazione 11 novembre 1994. 18 omesso ( 55 ). A tale orientamento si erano contrapposte, proprio agli inizi del nuovo millennio, delle pronunce che ritenevano che il nesso causale omissivo potesse ritenersi accertato soltanto laddove si disponesse di una legge scientifica di portata predicativa prossima al cento per cento, e cioè alla certezza (56). Dal quadro degli orientamenti giurisprudenziali che sono stati descritti, appare evidente come il vero problema dell‟accertamento della causalità omissiva fosse non tanto il metodo di esso, quanto il grado di certezza raggiungibile attraverso esso. È proprio su tale profilo che sono intervenute, nel 2002, le Sezioni Unite della Suprema Corte (57), con la celebre sentenza Franzese. I contenuti di questa importante pronuncia sono talmente noti che non ci si dilungherà su di essi. Ci si limiterà a compiere qualche rapido cenno, volto a puntualizzare come la Corte abbia sciolto il nodo concettuale sottoposto al suo vaglio. Di fronte al dilemma del grado di certezza raggiungibile – di fronte cioè al contrasto tra chi riteneva sufficienti coefficienti probabilistici medio-bassi e chi li esigeva, invece, prossimi al cento - la Corte ha adottato una impostazione che per un certo verso potrebbe essere considerata intermedia: la “quantità di certezza” portata dalla legge scientifica di tipo statistico non è decisiva; non è dunque necessario che essa sia prossima al cento né è sufficiente che essa sia medio-bassa: ciò, in quanto in nessuno dei due casi il giudizio sulla causalità omissiva potrebbe dirsi esaurito ( 58). Il giudizio 55 In dottrina è stato giustamente osservato che, per quelle sentenze che, ai fini della prova del nesso causale omissivo, ritengono sufficienti anche basse probabilità di successo dell‟intervento doveroso omesso, «l‟ancoraggio al paradigma nomologico è puramente nominale» (C. PIERGALLINI, La regola dell‟oltre ogni ragionevole dubbio al banco di prova di un ordinamento di civil law, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, p. 614): accontentarsi delle basse probabilità, difatti, significa punire qualcuno non per “aver cagionato l‟evento”, ma per “aver aumentato il rischio” della verificazione di quello. 56 Ci si riferisce in particolare alle pronunce Cassazione penale, Sezione IV, 28 settembre 2000 (Baltrocchi), Cassazione penale, Sezione IV, 29 novembre 2000 (Musto) e Cassazione penale, Sezione IV, 29 novembre 2000 (Di Cintio). Si tratta di sentenze in cui risultano accolte fedelmente, letteralmente, le tesi di Federico Stella. Vedasi F. CENTONZE, Causalità attiva e causalità omissiva: tre rivoluzionarie sentenze della giurisprudenza di legittimità, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, p. 277 ss. 57 «(…) il contrasto giurisprudenziale segnalato dalla Sezione remittente verte, a ben vedere, sui criteri di determinazione e di apprezzamento del valore probabilistico della spiegazione causale, domandandosi, con particolare riferimento ai delitti omissivi impropri nell‟esercizio dell‟attività medico-churgica, quale sia il grado di probabilità richiesto quanto all‟efficacia impeditiva e salvifica del comportamento alternativo, omesso ma supposto come realizzato, rispetto al singolo evento lesivo. Non é messo dunque in crisi lo statuto condizionalistico e nomologico della causalità, bensì la sua concreta verificabilità processuale» (Cassazione, Sezioni Unite penali, sentenza 30328/2002). 58 «Non é consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell‟ipotesi accusatoria sull‟esistenza del nesso causale, poiché il giudice 19 sulla sussistenza del nesso causale non può dirsi esaurito in quanto la “quantità di certezza” portata dalla legge scientifica è soltanto il primo, dei due momenti in cui deve articolarsi il giudizio (metodo cosiddetto bifasico): per l‟accertamento della causalità occorre senz‟altro prendere innanzitutto in considerazione la portata predicativa della legge scientifica, e cioè la cosiddetta probabilità statistica ( 59 ), ma poi è necessario procedere ad un giudizio di verifica della cosiddetta probabilità logica, la quale è chiamata a stabilire la «attendibilità dell‟impiego della legge statistica per il singolo evento» (60). In particolare, la cosiddetta probabilità logica andrebbe affermata a seguito di una verifica dell‟evidenza disponibile e di tutte le circostanze del caso concreto nonché a seguito dell‟effettuazione di una operazione di esclusione dell‟interferenza, nel caso di specie, di decorsi causali alternativi. L‟obiettivo che il metodo bifasico auspica di raggiungere è quello dell‟«alto grado di credibilità razionale», e quindi della «certezza processuale». Si può asserire che - dinnanzi all‟imbarazzo circa il “quantum di probabilità scientifica” da dover esigere - ciò sulla cui efficacia le Sezioni Unite mostrano di scommettere, sia proprio quel secondo step, volto a vagliare la pertinenza del coefficiente numerico rispetto alla singola vicenda processuale. Il metodo forgiato dalla sapiente pronuncia delle Sezioni Unite è stato cristallizzato dalla prassi giurisprudenziale successiva, la quale, dal 2002 sino ai giorni nostri, si è mostrata ossequiosa rispetto al metodo Franzese (61), riproponendo immancabilmente i deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell‟evidenza disponibile, così che, all‟esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l‟interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell‟evento lesivo con „alto o elevato grado di credibilità razionale‟ o „probabilità logica» (Cassazione, Sezioni Unite penali, sentenza 30328/2002). 59 La probabilità statistica consisterebbe nella «verifica empirica circa la misura della frequenza relativa nella successione degli eventi», cioè nella «relazione quantitativa entro generi di eventi ripetibili e inerente come tale alla struttura interna del rapporto di causalità» (Cassazione, Sezioni Unite penali, sentenza 30328/2002). 60 «(…) la „probabilità logica‟, seguendo l‟incedere induttivo del ragionamento probatorio per stabilire il grado di conferma dell‟ipotesi formulata in ordine allo specifico fatto da provare, contiene la verifica aggiuntiva, sulla base dell‟intera evidenza disponibile, dell‟attendibilità dell‟impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasiva e razionale credibilità dell‟accertamento giudiziale » (Cassazione, Sezioni Unite penali, sentenza 30328/2002). 61 Talora trattasi di un ossequio senz‟altro meramente formale. Vedansi ad esempio Cassazione penale, Sezione IV, 3 ottobre 2007, n. 36162 e Cassazione penale, Sezione IV, 23 settembre 2009, n. 39959, in cui la Suprema Corte censura le modalità con cui i giudici di merito – pur dichiarando di attenersi ai principi 20 principi di diritto che “lo riassumono” e dichiarando di attenersi ad essi, Ci interessa a questo punto riprendere le fila del nostro discorso. Ci eravamo prefissati di spiegare le ragioni della sopra asserita “debolezza” della causalità omissiva, illustrando le peculiarità dell‟essenza e dell‟accertamento di essa. Si tratta ora di domandarsi se la pista concettuale indicata dalle Sezioni Unite, e seguita – almeno formalmente – dalla prassi giurisprudenziale dell‟ultimo decennio, sia o meno in grado di colmare quella debolezza o, per lo meno, di attenuare le incertezze degli interpreti. Probabilmente a tale quesito va data risposta negativa. Qui di seguito, in sintesi, le ragioni. A quasi dieci anni di distanza dalla storica pronuncia delle Sezioni Unite, buona parte della dottrina ha maturato la convinzione che il metodo ivi proposto sia un metodo inadatto ed inutilizzabile, proprio con riguardo alla causalità di tipo omissivo (62). Il metodo Franzese non sarebbe utilizzabile in quanto, ove si verta in ambito di causalità omissiva, sarebbe impossibile da attuare il secondo step, quello relativo alla probabilità logica: ciò, in quanto, in particolar modo, sarebbe impossibile effettuare quell‟operazione – ritenuta peraltro centrale dalle Sezioni Unite – di eliminazione dei possibili decorsi causali alternativi. Si tiene a precisare che oggetto delle critiche della dottrina non è la “fruttuosità” del metodo (63) , bensì propriamente la “praticabilità” di esso. espressi dalle Sezioni Unite del 2002 – avevano invece affrontato il tema dell‟accertamento della sussistenza del nesso causale omissivo. 62 Su questo punto si impone una precisazione. La pronuncia delle Sezioni Unite del 2002 venne occasionata da un caso di responsabilità omissiva: al dottor Franzese erano state addebitate gravi omissioni, sia di tipo diagnostico che terapeutico. Tuttavia il metodo forgiato in quell‟occasione dalla Suprema Corte ha assunto una “valenza generale”; nel senso che esso è stato ritenuto valido tanto per l‟ambito della causalità omissiva quanto per quello della causalità commissiva (vedasi ad esempio L. MASERA, Il modello causale delle Sezioni Unite e la causalità omissiva, in Diritto penale e processo, 2006, p. 493): difatti, ciò a cui le Sezioni Unite hanno puntato, è stato fornire un modello di accertamento causale che suggerisse le corrette condizioni e modalità di impiego, nel processo penale, delle leggi scientifiche di tipo statistico; e quello del corretto impiego delle leggi scientifiche è – come è noto – un problema che riguarda il tema della causalità tutta, sia commissiva che omissiva. Bene, fermo restando quanto detto sopra, ciò che si vuole a questo punto rilevare è che parte della dottrina, negli ultimi anni, ha iniziato a nutrire corposi dubbi in ordine alla praticabilità del metodo Franzese, proprio con riguardo al nesso causale di tipo omissivo. 63 L‟applicazione del metodo risulta non fruttuosa tutte le volte in cui non sia possibile escludere i decorsi causali alternativi, in quanto gli antecedenti causali di un evento sono (parzialmente) ignoti: «(…)invocare l‟esclusione di ipotesi causali alternative ha un senso, per poter provare (…) il nesso di causalità, solo se 21 Le ragioni poste a fondamento della asserita non praticabilità del metodo sono complesse e non possono ivi essere illustrate ( 64 ). Qui ci si limita a rilevare che è proprio la natura – doppiamente ipotetica – della causalità omissiva a rendere inutilizzabile l‟operazione di esclusione dei decorsi causali alternativi: il fatto che uno dei due poli – e cioè l‟azione doverosa omessa –sia del tutto immaginario, rende inconcepibile poter escludere fattori “alternativi rispetto ad un qualcosa” che non è mai esistito. Ora, se le penetranti osservazioni avanzate dalla dottrina colgono nel segno – e se, dunque, il metodo bifasico elaborato dalle Sezioni Unite è inattuabile in ambito omissivo - allora ciò implica che dinnanzi agli occhi dell‟interprete, il quale si trovi chiamato a verificare la sussistenza di un nesso causale di tipo omissivo, si ripropone, integro nella sua problematicità, proprio quel problema per risolvere il quale le Sezioni Unite si erano nel 2002 pronunciate: “quanto” deve essere il grado di certezza idoneo a fondare una condanna? Integri appaiono dunque, a tutt‟oggi, i problemi di accertamento dell‟impalpabile nesso causale omissivo (65). Diventa quanto mai interessante domandarsi se alla fragilità della causalità omissiva facciano da contrappeso la stabilità e la fermezza del presupposto di quella, e cioè l‟obbligo giuridico impeditivo. si è in grado di conoscere, perché epistemologicamente noti, tutti i possibili antecedenti causali di un evento (…)» (C. PIERGALLINI, La regola dell‟oltre ogni ragionevole dubbio, cit., p. 618). Ora, l‟ignoranza sugli antecedenti causali può sussistere – come è intuibile – anche ove si verta in ambito di causalità commissiva. Dunque anche in ambito di causalità commissiva l‟applicazione del metodo Franzese potrebbe rivelarsi infruttuosa. Tuttavia – come si è detto nel testo – ciò che la dottrina recente sottolinea è non già la non fruttuosità, quanto piuttosto, appunto, la totale “non praticabilità” del metodo stesso, ove si verta in ambito di causalità di tipo omissivo. 64 Per una approfondita ed interessante disamina delle ragioni per le quali il metodo bifasico Franzese è inutilizzabile nell‟ambito della causalità omissiva, si rinvia L. MASERA, Il modello causale delle Sezioni Unite e la causalità omissiva, cit., p. 493 ss.. Vedansi altresì F. STELLA, Causalità omissiva, probabilità, giudizio controfattuali. L‟attività medico chirurgica, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, II, Milano, 2006, p. 1893 ss.; C. PIERGALLINI, La regola dell‟oltre ogni ragionevole dubbio,cit., pp. 619-620; F. VIGANÒ, Riflessioni sulla cosiddetta “causalità omissiva” in materia di responsabilità medica, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, p. 1679 ss., R. BLAIOTTA, Il sapere scientifico e l‟inferenza causale, in Cass. pen., 2010, p. 1265 e ss. 65 La dottrina attuale si interroga difatti sull‟opportunità – per lo meno in determinati settori – del mantenimento delle tradizionali fattispecie di evento nonché della tradizionale teoria condizionalistica. Per i riferimenti bibliografici si rimanda alla nota precedente e si segnala, in aggiunta, G. MARINUCCI, Causalità reale e causalità ipotetica nell‟omissione impropria, in Riv. it, dir. proc. pen., 2009, p. 523 ss. 22 Della verifica del grado di solidità e certezza dell‟elemento dell‟“obbligo giuridico di impedire l‟evento” ci si occuperà, da qui sino al termine del presente lavoro. 23 SEZIONE III. OBBLIGO GIURIDICO DI IMPEDIRE L’EVENTO: PRIMI APPROFONDIMENTI. 1.4. Le teorie sulle fonti dell’obbligo impeditivo: la teoria formale (segue) Nella sezione che precede si è visto in che senso possa dirsi che l‟obbligo giuridico impeditivo assume, all‟interno della fattispecie omissiva impropria, una posizione del tutto centrale. Da qui dinnanzi l‟attenzione verrà focalizzata proprio su tale elemento, al fine di iniziare ad analizzarne fonti, contenuti e contorni. L‟opera di ricostruzione della figura dell‟obbligo giuridico impeditivo ha impegnato per decenni – e continua ad impegnare tutt‟oggi – studiosi ed operatori del diritto: data la “non inequivocità” della formula impiegata dal legislatore – il quale esaurisce le sue indicazioni parlando, appunto, di un non meglio precisato “obbligo giuridico di impedire un evento” – è stato al livello interpretativo che si è cercato di tracciare la fisionomia di questo elemento. Qui di seguito cercheremo di ripercorrere i principali approdi raggiunti dagli interpreti in ordine ai seguenti profili: a) la natura dei criteri e delle fonti da cui gli obblighi giuridici impeditivi possono scaturire; b) i contenuti delle singole fonti da cui gli obblighi impeditivi promanano; c) i contenuti che possono essere assunti dagli obblighi impeditivi stessi, distinti in base alle diverse funzioni da essi perseguite. Cominceremo l‟analisi dal primo dei suddetti profili, il quale occuperà la nostra attenzione nel presente paragrafo e nel successivo. In ordine ai criteri di determinazione delle fonti da cui poter trarre gli obblighi rilevanti ex art. 40 cpv. c.p., le concezioni elaborate dalla dottrina sono riconducibili, come è noto, a tre principali teorie: la teoria formale, quella sostanziale e quella cosiddetta mista. La teoria formale rappresenta la concezione tradizionale sviluppatasi nella dottrina italiana (66), riecheggiando l‟impostazione dominante nella dottrina d‟oltralpe (67). 66 «Non qualsiasi obbligo di non impedimento equivale, però, a norma dell‟art. 40 capoverso C. Pen., alla produzione dell‟evento: esso deve consistere in un non fare che costituisca violazione ad un obbligo di attivarsi discendente da una norma giuridica («obbligo giuridico»). Si tratti, poi, di una norma direttamente contenuta in una disposizione di legge (...) oppure in un atto giuridico cui il legislatore ricollega certi effetti, come un contratto (...) deve sempre trattarsi – in virtù del già richiamato principio di legali- 24 Secondo la teoria formale l‟“obbligo giuridico” rilevante ai sensi dell‟art. 40 cpv. può essere soltanto quello che sia espressamente previsto da una fonte giuridica formale, cioè quello che possa essere attinto da una fonte formalmente qualificata. La elaborazione originaria di tale teoria individuava tre fonti formalmente qualificate (cosiddetto trifoglio) (68): la legge, il contratto, la precedente azione pericolosa (detta anche “ingerenza”). Della legge e del contratto – quali fonti da cui può derivare un obbligo giuridico impeditivo – si tratterà specificamente nel prosieguo (69). Sulla precedente azione pericolosa non ci si soffermerà nel presente lavoro; ci si limita qui ad osservare come essa abbia da sempre rappresentato una fonte controversa, “avvolta da un alone di ambiguità nello stesso ambiente di origine”(70), come essa sia stata contestata dalla dottrina più e meno recente (71) e come essa sia, ad ogni modo, tà, che sarebbe evidentemente violato se l‟obbligo penalmente sanzionato non trovasse la sua fonte in una «legge» - di atti a cui una norma giuridica riconosce valore di legge (...)», I. CARACCIOLI, voce Omissione (Diritto Penale), cit., p. 897. Già precedentemente, in simili termini si esprimevano Autori quali l‟Antolisei ed il Grispigni (così N. PISANI, Controlli sindacali e responsabilità penale nelle società per azioni, Milano, 2003, p. 39, nota 8). 67 Vedasi per tutti A. FEUERBACH, Lehrbuch des gemeinen in Deutschland gültigen peinlichen Rechts, Giessen, 1826, p. 24 (Il riferimento bibliografico è tratto da N. PISANI, Controlli sindacali e responsabilità penale nelle società per azioni, Milano, 2003, p. 39, nota 7). Per un‟accurata analisi dell‟origine del dibattito dottrinale, negli ambienti culturali di lingua tedesca, sulla responsabilità per omesso impedimento dell‟evento – nonché per un‟attenta disamina dello sviluppo della formelle Rechtspflichttheorie e della letteratura tedesca in materia – vedasi G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 3-30. 68 Per l‟elaborazione della teoria del cosiddetto trifoglio, vedasi quanto riportato da G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 23. Parte della dottrina italiana ha ritenuto di dover ampliare – rispetto all‟originaria concezione del trifoglio – il novero delle fonti da cui può scaturire un obbligo giuridico impeditivo, inserendovi altresì la consuetudine e la negotiorum gestio. Ci si riferisce in particolare ad Autori quali il Caraccioli ed il Pannain (Per i relativi riferimenti bibliografici si fa rinvio a N. PISANI, Controlli sindacali e responsabilità penale nelle società per azioni, Milano, 2003, p. 39, nota 8). 69 Si veda infra, ultimo paragrafo della presente sezione. 70 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 205. Come si avrà modo di vedere poco più avanti, difatti, ciò che, rispetto alla fonte della “precedente azione pericolosa”, sembra difettare, è proprio una “previsione formale”. 71 Per le critiche elaborate già negli anni Settanta, si veda, tra gli altri, G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 207-217, il quale valuta la “incidenza pratica” nonché la “necessità operativa” del criterio dell‟ingerenza, attraverso un‟opera di disamina dei casi venuti al vaglio della giurisprudenza tedesca (più in particolare, dei principali casi affrontati in materia dal regio Tribunale Supremo prussiano e in seguito dal Reichsgericht). 25 rimasta estranea perfino alla giurisprudenza elaborata nel periodo in cui imperava la concezione formale stessa (72). Ciò intorno a cui in questa sede è importante soffermare l‟attenzione è piuttosto la ratio posta a fondamento della teoria formalistica, nonché i “contorni” ed i limiti della teoria stessa (73). La teoria formale è espressione della concezione liberale del diritto penale (74). Ciò, per le ragioni che seguono. Secondo la concezione liberale ciascun individuo deve poter esplicare liberamente la propria attività rispettando di norma “il solo obbligo di non aggredire (...) le altrui posizioni di interesse” (75); rispettando, quindi, di regola, norme di divieto. La responsabilità di tipo omissivo invece è una responsabilità fondata sulla violazione di norme di comando. Come si è già avuto modo di osservare (76), i comandi Per una presa di posizione più recente – sintetica ma efficace – sulla fonte della precedente azione pericolosa, vedasi F. MANTOVANI, L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi, cit., pp. 339-340. Volendo ivi riproporre alcune delle fondamentali critiche mosse nei confronti dell‟ingerenza, si potrebbe affermare quanto segue. Gli autori qui sopra citati – così come un po‟ tutti i detrattori della fonte della precedente azione pericolosa – sostengono che tutte le volte in cui la presenza di un obbligo impeditivo venga fondata su di una precedente azione pericolosa, ci si stia in realtà confondendo, nel senso che si tratterebbe, a ben vedere, di casi in cui: a) l‟obbligo impeditivo deriva non dall‟azione pericolosa ormai conclusa ma piuttosto da una attuale e perdurante posizione di controllo; b) l‟evento lesivo non sarebbe causato dalla violazione di obblighi di garanzia – asseritamente fondati su di una precedente azione pericolosa – quanto piuttosto da azioni positive inosservanti di regole cautelari (verrebbero cioè confusi obblighi di garanzia con quelli che sono obblighi di diligenza). Ancora, ritenere che dalla propria precedente azione pericolosa scaturisca un obbligo di impedire l‟evento contrasta con il disposto di cui al comma 3 dell‟art. 56 c.p., da cui si evince chiaramente che, nel nostro ordinamento, l‟impedimento di eventi lesivi scaturenti da una procedente propria azione costituisce un onere e non un obbligo. 72 A conferma di quanto asserito, si possono riportare le parole di due Autori i quali, tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta – con riguardo alla giurisprudenza sino ad allora elaborata – hanno affermato quanto segue: “né ci risultano, invero, casi venuti al vaglio della nostra giurisprudenza, nei quali si sia fatto ricorso alla categoria «propria azione precedente pericolosa» come sorgente di obblighi impeditivi penalmente rilevanti” (così G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 204205); “(...) una recente indagine sul punto ha concluso nel senso dell‟estraneità della posizione di garanzia nascente dal fare pericoloso precedente al sistema italiano (conclusione, questa, che sembra avvalorata anche dall‟analisi della nostra giurisprudenza)” (così G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 222). 73 Ciò torna utile al fine di iniziare ad illustrare quali sono state le istanze che hanno sospinto il percorso di elaborazione della figura dell‟obbligo giuridico impeditivo. Per l‟analisi di tale percorso, vedi il presente paragrafo nonché vedi infra, Capitolo II, Sezione I. 74 Per tutti vedasi G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 3. L‟Autore afferma che l‟assunto – la cui paternità va riconosciuta al grande penalista Anselm Feuerbach – secondo cui la punibilità dell‟omissione presuppone sempre una fonte formale che stabilisca l‟obbligo, rappresenta “il risultato di una specificazione (...) dei fondamentali principi ispiratori del liberalismo classico”. 75 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 4. 76 Si veda supra, Sezione I del presente capitolo. 26 comprimono la libertà dell‟individuo maggiormente di quanto facciano i divieti (77); la responsabilità omissiva dunque deve, per la concezione liberale del diritto penale, costituire un‟eccezione ( 78 ). L‟eccezionalità sarebbe salvaguardata, appunto, dalla richiesta di una stretta formalità della fonte da cui l‟obbligo impeditivo può scaturire. È stato proprio lo stretto ancoraggio alla fonte formale – ancoraggio il quale, come detto sopra, testimonia l‟intima istanza posta a base della teoria formalistica – a costituire, per così dire, la causa delle critiche che, a partire dagli anni Settanta, vennero messe nei confronti della teoria formale. In senso critico, si rilevò come la teoria formale presentasse una contraddizione laddove, da un lato, richiedeva la necessaria sussistenza di una fonte formale, e, dall‟altro, annoverava tra le fonti (all‟interno del cosiddetto trifoglio) quella del “fare pericoloso precedente”: la contraddizione consisteva nel fatto che non esiste alcuna legge che preveda la “condotta pericolosa precedente” come fonte di un obbligo generale di garanzia (79). Sempre in senso critico, si osservò come la stretta applicazione del criterio formalistico – applicazione in forza della quale, appunto, proprio nella formalità dell‟obbligo andava ravvisato il criterio decisivo ai fini di individuare la sussistenza di un obbligo rilevante ex 40 cpv. c.p. - conducesse a risultati per così dire “eccessivi”, eccessivi “per difetto” o “per eccesso”. Quest‟ultima ipotesi si verificava, ad esempio, laddove, pur esistendo una valida fonte formale che contemplava un obbligo impeditivo, non vi fosse mai stata la concreta presa in carico del bene tutelato: ecco, in tale caso l‟applicazione del criterio formalistico 77 «Chi è tenuto a compiere una determinata azione è, infatti, costretto a rinunciare a tutte le altre che, invece di questa, potrebbe realizzare a proprio piacimento», G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 4. 78 «(...) L‟adempimento di doveri a contenuto positivo (cioè di attivarsi) (...) non può che rappresentare l‟eccezione» (G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 4). 79 Tra le critiche mosse alla teoria formale, questa del “fare pericoloso precedente” fu in realtà senz‟altro la meno importante e penetrante. Ciò in quanto la fonte del “fare pericoloso precedente”, seppur compresa all‟interno del cosiddetto trifoglio e seppur tralaticiamente riproposta dalle impostazioni formalistiche, rimase di fatto estranea al sistema italiano ed alla prassi giurisprudenziale. In tal senso si veda ad esempio G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 222. 27 avrebbe dovuto condurre ad affermare l‟esistenza dell‟obbligo ex art. 40 cpv. ( 80 ), aprendo così la via a numerose – ed assai poco convincenti – forme di responsabilità per omesso impedimento di eventi. All‟opposto, la teoria formale avrebbe “peccato per difetto” nei casi di invalidità formale della fonte: l‟evenienza viene a configurarsi specialmente nelle ipotesi in cui la fonte dell‟obbligo sia costituita da un titolo negoziale, cioè da un contratto: un contratto contempla un obbligo giuridico impeditivo in capo ad un soggetto, il soggetto assume l‟incarico ivi stabilito e prende concretamente in carico la situazione (o il bene) oggetto di tutela; qualora si verifichi un evento che il soggetto era obbligato ad impedire, la rigida applicazione del criterio formalistico dovrebbe condurre a ritenere che il soggetto possa - al fine di escludere la sussistenza del proprio dovere impeditivo – invocare la presenza di un vizio formalistico che affligga il contratto stesso (81). Al di là del fatto di condurre a risultati “troppo ampi” o “troppo stretti”, ciò che, più in generale, venne rimproverato alla teoria formalistica, fu il suo astigmatismo: “la teoria formale dell‟obbligo giuridico di attivarsi (...) non è in grado di offrire alcun elemento idoneo ad individuare in modo soddisfacente l‟ambito di responsabilità penale conseguente alla fattispecie di commissione mediante omissione” (82); la teoria formale faticherebbe, cioè, a mettere a fuoco le reali istanze sottese alla responsabilità per omissione; faticherebbe a “selezionare, nella grande varietà di obblighi previsti da fonti formali, quelli realmente “impeditivi”, la cui natura possa legittimare l‟equiparazione 80 L‟esempio di scuola è quello della baby sitter, la quale, in forza di un valido contratto di lavoro – in tale contratto risiederebbe la fonte formale degli obblighi ex 40 cpv – si impegna a presentarsi in casa di una coppia di genitori, per badare al loro figlio durante il tempo di assenza di quelli. Se la baby sitter non si presenta all‟orario stabilito e se il bimbo, ugualmente lasciato solo dai genitori, si fa male, ad essere chiamata a rispondere per le lesioni dovrebbe essere, secondo l‟impostazione formalistica, la baby sitter: ciò, in quanto, anche se l‟incarico non è mai stato assunto, esisteva comunque una fonte formale che stabiliva la sussistenza dell‟obbligo di vigilanza. (Si veda, per tutti, G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale, cit., p. 604). È evidente come un tale risultato appaia troppo rigoroso, oltre che stridente col buon senso comune. 81 E così la baby sitter, la quale aveva concretamente assunto l‟incarico di protezione del minore, potrebbe invocare l‟esistenza di un vizio formale del contratto disciplinante il rapporto di lavoro. Ancora, il compratore potrebbe – per evitare di rispondere penalmente dei danni cagionati dalla cosa pericolosa da lui acquistata – invocare l‟esistenza di un vizio (ad esempio la mancata determinazione del prezzo) del contratto di compravendita. (Per tale ultimo esempio vedasi I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 38). 82 F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento, cit., pp. 123-127. 28 dell‟omesso impedimento alla causazione attiva dell‟evento” (83). Ciò che è stato rimproverato all‟impostazione formalistica è stato dunque il fatto che essa comporta una automatica – e quanto mai indebita – equiparazione degli obblighi extrapenali di attivarsi (contemplati in ogni dove dell‟ordinamento) agli obblighi di impedimento rilevanti ex art. 40 c.p., obliterando così il carattere pienamente autonomo del diritto penale ed, anzi, finendo con il “subordinare la tutela penale per omesso impedimento dell‟evento alle scelte effettuate da altri rami del diritto” (84) (Gli “altri rami del diritto” sarebbero quelli all‟interno dei quali risultano contemplati, di volta in volta, i singoli obblighi di attivarsi). Ciò che, in definitiva, è stato rimproverato alla teoria formalistica è la incapacità di quella di cogliere la ratio, tutta penalistica, che si pone a fondamento degli obblighi impeditivi cui si riferisce l‟art. 40 cpv. 1.5. (Segue) L’approccio contenutistico-funzionale e la nascita della nozione di “posizione di garanzia”. La teoria eclettica. A partire dalla metà degli anni Settanta parte della dottrina italiana – anche subendo l‟influsso di concezioni maturate presso la dottrina d‟Oltralpe ( 85 )– andò elaborando un approccio nuovo nei riguardi degli obblighi giuridici impeditivi (86): il 83 Così, sinteticamente, I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 37. Più diffusamente G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 79-96. 84 Le parole tra virgolette sono di F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, in Diritto penale e processo, 1999, p. 622. In tal modo l‟Autore riassume efficacemente concetti espressi, tra gli altri, da F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento, cit., pp. 118-136, G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 79-96, G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 192-201. Come si avrà modo di vedere più avanti, l‟Autore da ultimo citato ridimensionerà le critiche rivolte ai criteri formalistici, ritenendole superabili nella misura in cui detti criteri vengano integrati con valutazioni di tipo funzionalistico (G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 222). 85 La concezione sostanzialistico-funzionale dell‟obbligo impeditivo si è sviluppata in Germania, intorno agli anni „50. Per nutriti riferimenti bibliografici relativi alla dottrina tedesca si rinvia a MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 1988, p. 189, nota 30. 86 Ci si riferisce in particolar modo agli Autori F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento, cit., specie pp. 118-136, 187-239, 123-127; G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., specie pp. 129-170. 29 fulcro dell‟attenzione venne traslato dalla valutazione della base formale dell‟obbligo giuridico impeditivo alla considerazione della funzione di quello. Tale nuovo approccio viene indicato con l‟etichetta di “teoria contenutistico-funzionale” (o teoria sostanziale”), proprio in quanto esso si è proposto, appunto, di cercare di cogliere, in una dimensione schiettamente penalistica, la funzione della responsabilità per omesso impedimento dell‟evento e, dunque, il significato dell‟obbligo giuridico impeditivo ex art. 40 cpv. Il ragionamento tracciato dai sostenitori dell‟impostazione funzionalistica può essere descritto nei termini che seguono. Per l‟omesso impedimento di un evento – e, dunque, per una mancata “attivazione” - l‟ordinamento dovrebbe apprestare una risposta sanzionatoria penalistica solo in casi peculiari (87): una attivazione è richiesta quando occorre proteggere beni di particolare valore, beni che non possono essere tutelati adeguatamente dal titolari di essi, in quanto trattasi di soggetto incapace ( 88); detti beni, in virtù di un principio solidaristico (89), risultano affidati – anteriormente rispetto al sorgere della situazione di pericolo che possa minacciarli – ad un soggetto che si trova in un particolare rapporto, in una particolare “relazione” ( 90 ), col bene stesso; tra il titolare del bene ed il garante esiste un vero e proprio rapporto di dipendenza; il garante è dunque chiamato a tutelare quel bene, a “garantirlo”, cioè a garantire l‟incolumità di quello (91). 87 Si è già detto come la responsabilità omissiva rivesta carattere di eccezionalità. Vedi supra, sezione I del presente capitolo. 88 L‟incapacità può essere di natura, per così dire, ontologica, strutturale (si pensi al neonato, incapace di sfamarsi da solo e quindi incapace di tutelare il bene della propria incolumità fisica) oppure può dipendere da alcune circostanze particolari e contingenti (si pensi all‟ignaro passante, il quale si trova in condizione di non poter tutelare la propria incolumità fisica dal rischio del crollo di alcune tegole di un tetto pericolante, tetto che il proprietario dell‟edificio non si premura di far riparare). (Vedasi ad esempio G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 257). 89 La dottrina concorda nel ritenere che la concezione funzionale abbia condotto ad un “potenziamento della dimensione solidaristica dell‟intervento penale” (Tra i tanti, vedasi F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, cit., p. 623). 90 Come si avrà modo di vedere nel prosieguo, la “speciale relazione” potrebbe essere dovuta al particolare rapporto di vicinanza tra il garante ed il bene, oppure essa potrebbe dipendere da un rapporto di vicinanza – o di vero e proprio controllo – che un garante ha nei confronti di una fonte pericolosa che potrebbe minacciare determinati beni. 91 «(..) il giudizio di equivalenza tra l‟agire e l‟omettere presuppone che il soggetto obbligato rivesta una «posizione di garanzia» nei confronti del bene protetto. Ponendo l‟accento sulla posizione di garante in- 30 È dunque dal grembo della concezione funzionalista che ha visto la luce la terminologia di “posizione di garanzia” (Garantenstellung) ( 92 ), terminologia oggi comunemente usata (93) per riferirsi all‟obbligo giuridico impeditivo ex art. 40 cpv c.p. (94). Il celebre caso di scuola impiegato per spiegare il concetto di “posizione di garanzia” è quello della madre e del suo bambino appena nato: il bambino è incapace di espletare da sé alcune funzioni vitali fondamentali; la madre è il soggetto che dispone di un potere di signoria completo sugli accadimenti che possono ledere o porre in pericolo i beni propri del soggetto più debole (il bambino); ciò spiega come mai la madre che lasci morire di fame il proprio bambino “possa essere assimilata, dalla stessa coscienza sociale, all‟«autore» di un reato commissivo mediante azione positiva” (95). La posizione di garanzia esprimerebbe insomma quella particolare relazione, descritta nei termini che precedono, tra un garante ed un bene da proteggere; essa consiste dunque in una situazione di fatto e prescinde dalla necessità di previsioni formalistiche; sarebbe alla predetta situazione che l‟art. 40 cpv. si riferisce quando incrimina la mancata attivazione impeditiva. tendiamo, in realtà, mettere nel dovuto risalto i seguenti punti: A) Il titolare del bene penalmente protetto, e cioè il soggetto «garantito», si trova nell‟incapacità (totale o parziale) di difendersi personalmente dai pericoli che lo minacciano; B) La salvaguardia del bene in questione viene affidata al «garante» anteriormente all‟insorgere della situazione di pericolo; C) Il «garante», in forza dei presupposti sub A) e B), signoreggia l‟accadere che sfocia nell‟evento lesivo in modo penalmente equivalente a quello di chi aggredisce positivamente il bene tutelato» (G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp.129-130). 92 A conferma del fatto che la prima formulazione della nozione di Garantenstellung si sia sviluppata “nella esperienza tedesca nel quadro della concezione funzionale dell‟obbligo di garanzia”, vedi N. PISANI, Controlli sindacali, cit., p. 40. 93 «La locuzione «obbligo di garanzia» ha ormai quasi del tutto rimpiazzato nel linguaggio dottrinale la più risalente dizione, utilizzata anche dal codice, di «obbligo giuridico di impedire l‟evento», espressione, quest‟ultima, che appare irrimediabilmente legata alla vecchia concezione meramente formale» (Così I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 66). La terminologia “posizione di garanzia”, nata nelle sedi di elaborazione dottrinaria, è penetrata ormai da decenni anche nel linguaggio dei giudici; di recente essa è stata impiegata anche dal legislatore: ci si riferisce all‟art. 299 del D.Lgs. 81/2008, dove si parla espressamente di “posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all‟art. 2 comma 1, lettere b), d) ed e)” (trattasi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto). 94 Si può affermare che la locuzione “posizione di garanzia” indichi un concetto di fatto coincidente rispetto all‟obbligo giuridico di impedire l‟evento ex art. 40 cpv. Non si ritiene errato affermare che, più in particolare, la terminologia “posizione di garanzia” esprima, dell‟obbligo giuridico impeditivo, il profilo per così dire dinamico, funzionale. 95 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 131. 31 Vari sono stati, specie nella dottrina d‟Oltralpe, i tentativi di ravvisare fondamenti sostanziali unitari della posizione di garanzia (96). Uno dei maggiori sostenitori, nella dottrina nostrana, della teoria funzionalista, ha ravvisato tale fondamento contenutisticofunzionale nella “signoria del soggetto su alcune condizioni che concorrono alla produzione del risultato” (97): la responsabilità per omesso impedimento dell‟evento si giustifica per il fatto che il soggetto garante ha non soltanto la mera possibilità di impedire il verificarsi dell‟evento (ché, una tale possibilità, potrebbe essere posseduta dal titolare di un qualunque obbligo di attivarsi, ad esempio dal “soccorritore occasionale”) ma altresì il vero e proprio potere, appunto, di signoreggiare determinati fattori dell‟evento stesso: ciò, in quanto il garante risulta un soggetto titolare del potere di frustrare la stessa attivazione dei processi che causano l‟evento, trattandosi di processi inerenti a situazioni di rischio che egli è chiamato a neutralizzare (98). 96 Per una rassegna dei suddetti tentativi si veda N. PISANI, Controlli sindacali, cit., pp. 43-50. L‟Autore ricorda come parte della dottrina di lingua tedesca (in particolare vengono indicati Schünemann, Unternehmenskriminalität und Strafrecht, Berlin-Bonn, 1979 e Rudolphi, Die Gleichstellungsproblematik der unechten Unterlassunsdelikte und der Gedanke der Ingerenz, Göttingen, 1966) ritenga di dover ravvisare il principio fondante la posizione di garanzia, nel cosiddetto “dominio” (Herrschaftstheorie), in particolare sul “dominio sulla causa del risultato” (Herrschaft über die Erfolgsursache): soltanto ove l‟omissione esprima una medesima signoria sull‟accadimento espressa dall‟azione, potrà affermarsi il rapporto di “equivalenza” causale posta a base dell‟imputazione dell‟evento per omesso impedimento. Altra parte della dottrina tedesca (WELP, Vorangegangenes Tun als Grundlage einer Handlungsäquivalenz der Unterlassung, Berlin, 1968) sostiene che alla base dell‟equivalenza causale tra omettere ed agire vi sia il vincolo di affidamento che si instaura tra autore (omittente) e vittima; tale rapporto di dipendenza sorgerebbe: a) sullo schema dell‟Ingerenz, in virtù del comportamento antigiuridico dell‟omittente che susciterebbe un‟aspettativa, meritevole di tutela, orientata all‟impedimento delle conseguenze della condotta illecita precedente, oppure b) dal pre-comportamento rischioso lecito, in conseguenza del “dovere di sopportazione dei rischi dell‟agire pericoloso”. Ancora, un altro criterio è quello della cosiddetta posizione sociale del garante (Brammsen, Die Entstehungsvoraussetzungen der Garantenpflichten, Berlin, 1986): il fondamento della Garantenstellung andrebbe rinvenuto, appunto, nella posizione sociale del garante a causa della “aspettativa sociale preconsolidata che discenderebbe dal rivestire il soggetto garante un determinato ruolo sociale, aspettativa che si concretizza in relazione al soggetto destinatario di tale aspettativa il quale, in ragione della sua concreta posizione sociale, ha orientato il suo agire in vista dell‟intervento impeditivo del garante, considerato come fattore determinante del suo comportamento”. Ancora, secondo una recente dottrina il fondamento della posizione di garanzia andrebbe rinvenuto effettuando una valutazione congiunta di quelli che sono il fine di tutela e la tipologia di rischio: tale criterio conduce ad elaborare una bipartizione tra “obblighi fondati sulla competenza istituzionale” e “obblighi fondati sulla competenza organizzativa” (Quest‟ultima è la posizione di Jakobs, Strafrecht. Allgemeiner Teil, Berlin, 1991). 97 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 162-163. L‟Autore, dopo aver ricordato che una posizione di garanzia “comporta sempre un potere di signoria su alcune condizioni essenziali del verificarsi dell‟evento tipico”, afferma che è proprio tale elemento – e cioè la signoria del soggetto sul fatto – che fonda l‟imputazione obiettiva dell‟evento. 98 «Ma si badi: allorché si afferma che il garante è in grado di governare certi fattori produttivi dell‟evento, si allude, in effetti, ad un potere di signoria che va al di là della mera possibilità di impedire il verificarsi dell‟evento: d‟un tale potere di impedimento, infatti, non è privo il soggetto che sia titolare 32 Alla teoria funzionalista va senz‟altro riconosciuto il merito di aver indagato, muovendo da una prospettiva squisitamente penalistica, il fondamento della responsabilità per omesso impedimento. Tuttavia gli approdi raggiunti – e cioè la figura della “posizione di garanzia”, il concetto di “signoria dell‟uomo su alcune condizioni essenziali del verificarsi dell‟evento tipico” - presentano degli innegabili margini di indeterminatezza e genericità; si intuisce dunque come detta teoria presenti seri punti di attrito col principio di legalità (99). È andata dunque diffondendosi in dottrina la percezione che la “vecchia” concezione formale dell‟obbligo di impedire l‟evento, “pur con i suoi riconosciuti limiti (...) e la necessità di integrazioni”, non potesse essere del tutto abbandonata ( 100). Da tale percezione hanno preso le mosse quei “tentativi, nella dottrina interna, di integrare il criterio funzionale con i tradizionali criteri giuridico-formali, attraverso l‟inserimento della Garantenstellung (...) nel quadro di un più solido aggancio dell‟obbligo impeditivo ad una fonte giuridica formale” (101). Viene ricordata con il nome di teoria mista (o teoria eclettica) quella concezione la quale, appunto, sostiene la necessità dell‟integrazione tra la concezione giuridicoformale dell‟obbligo di garanzia e le concezioni sostanziali: l‟esistenza di una fonte di un semplice obbligo di attivarsi (...) Il soccorritore occasionale può soltanto evitare che una situazione di pericolo, già manifestatasi, evolva in un evento lesivo (..) il soggetto garante ha il potere di frustrare la stessa attivazione dei processi causali dipendenti dalle specifiche situazioni di rischio che egli è chiamato a neutralizzare” (G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 167-168). L‟Autore ritiene che il concetto di “potere di signoria del soggetto sul fatto” fondi l‟imputazione obiettiva dell‟evento tanto nei casi di causalità attiva che nei casi di causalità omissiva: «Tanto nel caso dell‟agire che in quello dell‟omettere, il fondamento dell‟imputazione obiettiva dell‟evento consiste, a ben vedere, nella signoria del soggetto su alcune condizioni che concorrono alla produzione del risultato». Difatti «mentre l‟agente normalmente utilizza l‟energia causale del proprio corpo, il garante che omette di attivarsi strumentalizza, invece, una forza causale esterna; e tale forma di strumentalizzazione è resa possibile proprio dal fatto che il possesso di una Garantenstellung permette di dominare alcuni fattori produttivi del risultato lesivo”. Dunque “ciò che nei due casi muta non è la signoria dell‟uomo sul decorso causale. Divergono soltanto le tecniche attraverso le quali l‟agente e l‟omittente (garante) realizzano il dominio sull‟accadere: come già detto, il primo padroneggia la catena causale che si sprigiona dal movimento del proprio corpo; il secondo influenza processi causali che traggono origine da forze esterne, naturali o eventualmente facenti capo ad un diverso soggetto». 99 Per una denuncia della svalutazione, da parte della teoria sostanziale, del principio di legalità, vedansi, fra molti, G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 240, F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, cit., p. 623, F. MANTOVANI, L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi, cit., p. 339, N. PISANI, Controlli sindacali, cit., p. 50. 100 101 I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 51. Così N. PISANI, Controlli sindacali, cit., p. 41, laddove ripercorre l‟evoluzione delle varie concezioni sull‟obbligo impeditivo ex 40 cpv. c.p.. 33 giuridico-formale sarebbe necessaria ma non sufficiente; per ritenere sussistente un obbligo giuridico impeditivo ex art. 40 cpv. c.p. occorrerebbero sia la presenza di una fonte formale che contempli quell‟obbligo, sia la sussistenza di uno specifico e concreto rapporto di garanzia tra il soggetto gravato dall‟obbligo ed il bene da proteggere; l‟esistenza di tale rapporto di garanzia andrebbe valutata tenendo conto della funzione della responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento, e cioè quella di munire di una tutela rafforzata alcuni beni che ne risultino bisognosi. La concezione suggerita dalla teoria mista è dunque “una costruzione che – senza rinunciare al dato formale della giuridicità della fonte delle diverse situazioni tipiche di obbligo – utilizza dei criteri funzionali per selezionare, tra tali diverse situazioni, quelle che hanno una rilevanza penale (ai fini della costruzione della fattispecie omissiva impropria), così da poter essere considerate delle posizioni di garanzia” (102). La teoria eclettica ha presto raccolto un ampio consenso presso la dottrina ( 103) e la giurisprudenza italiane, al punto da essere stata di recente definita “l‟indirizzo prevalente nel pensiero giuridico italiano” (104). Si avrà tuttavia modo di vedere, nella prima sezione del prossimo capitolo, come – proprio prendendo le mosse dalle acquisizioni raggiunte dalla teoria mista – la dottrina più recente abbia ulteriormente approfondito e sospinto innanzi le riflessioni sull‟obbligo giuridico impeditivo. 1.6. Obblighi giuridici di impedire l’evento: singole fonti (segue) Dopo aver dato conto dei principali criteri elaborati al fine di individuare le fonti da cui possono essere tratti gli obblighi giuridici impeditivi di cui all‟art. 40 cpv. c.p., lo sguardo verrà ora soffermato in un primo momento su specifiche, singole tipologie di fonti ed in un secondo momento su specifiche tipologie – contraddistinte in base al loro 102 Nei suddetti termini si esprime G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 221-222, uno dei primi nonché dei più importanti sostenitori, nella dottrina italiana, della necessità che “all‟indagine di tipo formale” faccia seguito “un‟indagine di tipo funzionale, per valutare se l‟obbligo de quo (...) assuma la «consistenza» di un obbligo di garanzia”. 103 Tra i tanti vedansi ad esempio, oltre al Grasso, M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., pp. 391-392. 104 34 In tali termini si è di recente espressa la Suprema Corte, Sezione VI penale, con sentenza 25527/2007. contenuto – di obblighi. Per ciò che concerne le singole fonti, l‟analisi verrà circoscritta a due sole di esse: la legge ed il contratto. Ciò implica che non ci si occuperà della precedente azione pericolosa – fonte della cui ambiguità si è peraltro già dato conto in precedenza - né della consuetudine, né della assunzione unilaterale (negotiorum gestio), quali possibili fonti degli obblighi impeditivi. Le ragioni per cui l‟attenzione verrà concentrata sulle sole fonti della legge e del contratto sono le seguenti: innanzitutto perché legge e contratto rappresentano le fonti più incontroverse – o, meglio, le meno controverse – degli obblighi giuridici impeditivi (105); in secondo luogo, in quanto sarà proprio con obblighi scaturenti dalla predette fonti che ci si confronterà, nel corso del presente lavoro (106). Non vi è dubbio sul fatto che la legge si presti a fungere da sorgente – giuridica, appunto – privilegiata degli obblighi impeditivi. La oscillazione si fanno registrare, piuttosto, in ordine alla portata da attribuire al termine “legge”: se per “legge” vada intesa soltanto quella formale dello stato, oppure se possano essere accettate anche norme di rango sublegislativo; ancora, se la “legge” da cui possano scaturire obblighi impeditivi debba essere una legge penale o extrapenale. Con riguardo al primo profilo, si può asserire che la dottrina oggi dominante ritenga che fonte dell‟obbligo impeditivo possano soltanto essere la legge, intesa come legge formale, o gli atti ad essa equiparati: è l‟esigenza di legalità, sono i «motivati scrupoli politico-garantistici» (107), che debbono condurre ad esigere un monopolio legislativo 105 In realtà – come si avrà modo di constatare nel prosieguo – anche in relazione alla legge e al contratto si fanno registrare, presso gli interpreti, posizioni variegate e sfaccettate (soprattutto con riguardo all‟esatta portata da attribuire a tali fonti, nonché con riguardo ai requisiti da pretendere da ciascuna di esse). E purtuttavia si può asserire che si tratta di fonti “non controverse”, nella misura in cui nessuno dubita che da esse possano scaturire obblighi impeditivi rilevanti ex art. 40 c.p.: si ritiene, difatti, che le leggi ed i contratti integrino quel requisito di “giuridicità” richiesto dal capoverso della suddetta norma. (Vedasi ad esempio in tal senso I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 224). 106 Ci si riferisce, in particolar modo, agli obblighi ricostruiti in termini di “obblighi di garanzia”, di cui si parlerà infra, nel capitolo II; ancora, ci si riferisce agli obblighi impeditivi agli obblighi di cui si tratterà nel capitolo III, durante l‟analisi della casistica giurisprudenziale; ci si riferisce, da ultimo, alle considerazioni che considerazioni che verranno svolte nel corso del capitolo IV, incentrate anch‟esse, per la maggior parte, su obblighi impeditivi di fonte legale. 107 35 F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento, cit., p. 202. nella configurazione degli obblighi impeditivi rilevanti ex art. 40 cpv., cioè delle posizioni di garanzia. Ciò non significa che alle fonti subordinate alla legge – e cioè ad esempio regolamenti, ordinanze, circolari – sia precluso ogni ruolo in ordine alla configurazione delle posizioni di garanzia: le fonti subordinate alla legge possono senz‟altro contribuire alla determinazione della posizione di garanzia, ma soltanto con funzione di specificazione ed attuazione rispetto alla fonte ordinaria (108). Decisamente più articolata si presenta la seconda delle sopra prospettate questioni: quella cioè relativa alla natura, penale o extrapenale, della legge dalla quale possano scaturire obblighi giuridici impeditivi. Si tratta di una tematica la quale ha peraltro subito, nel corso del tempo, alterni destini (109); qui di seguito ci si limiterà a qualche cenno essenziale. Si può affermare che la concezione tradizionale (110) e a tutt‟oggi dominante ritenga che la fonte legale dell‟obbligo impeditivo vada intesa come “legge extrapenale”, cioè come legge esterna alla fattispecie incriminatrice: a titolo di esempio, nella fonte legale civilistica di cui all‟art. 147 c.c., viene ravvisata la base normativa per trarre l‟esistenza di obblighi giuridici impeditivi, rilevanti ex art. 40 cpv., gravanti in capo ai genitori. La fonte legale extrapenale è stata - e rimane tuttora - la fonte senz‟altro privilegiata delle posizioni di garanzia. Ciò, nonostante la dottrina abbia nel corso del tempo evidenziato, 108 Come già detto sopra, ad escludere le fonti sub legislative dal novero delle fonti abilitate a fondare posizioni di garanzia è la dottrina del tutto maggioritaria. Qui si segnala la posizione di un Autore, il quale – occupandosi del tema dei rapporti tra fonte legale e fonti subordinate - elaborò una efficace distinzione: quella tra la cosiddetta «fenomenologia della creazione in astratto di una posizione di garanzia» e la «fenomenologia della disciplina in concreto dell‟operatività della posizione stessa» (Vedasi F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento, cit., p. 190 e ss.). Per la fase della creazione in astratto della posizione di garanzia, sarebbe necessariamente alla legge - intesa come legge formale - che bisogna rifarsi; ciò, in quanto solo la legge formale può stabilire (facendosi peraltro portavoce delle indicazioni costituzionali) un vincolo di tutela tra i due poli della relazione di garanzia (e cioè soggetto garante e bene protetto). Per quanto riguarda la regolamentazione in concreto della posizione di garanzia, invece, sarebbe sufficiente qualsiasi norma «avente un minimo di riconoscibilità (..) di seguito pratico nei destinatari, (…) di struttura regolamentare». 109 Per una analisi dell‟evoluzione del pensiero giuridico in materia di fonti legali penali ed extrapenali, vedansi I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 197 e ss. e F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., p. 999. 110 La legge extrapenale era proprio quella cui guardava essenzialmente l‟originaria formelle Rechtspflichttheorie, nel ricercare il fondamento giuridico formale dell‟obbligo di impedire l‟evento (In tale senso vedasi I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 197). 36 in modo sempre più marcato ed incalzante, delle profonde diffidenze nei confronti delle fonti extrapenali; diffidenze dovute ai timori di gravi vulnera arrecati ai principi costituzionali di legalità, precisione e tassatività, che dovrebbero imperare in ambito penalistico (111). Ci si deve a questo punto domandare se obblighi giuridici impeditivi possano scaturire da una fonte legale di tipo penale. La questione è a tutt‟oggi controversa 112. L‟originaria concezione formale (formelle Rechtspflichettheorie) escludeva la legge penale dal novero delle fonti prese in considerazione (113). La dottrina nostrana si è mostrata per lo più incline a ritenere che obblighi giuridici impeditivi potessero derivare altresì da norme penali (114), ritenute peraltro rispettose – in virtù della loro natura – dell‟esigenza di ricostruire la posizione di garanzia in termini penalistici, appunto. La dottrina che più di recente si è occupata approfonditamente del tema ha invece negato, con assoluta decisione, che le norme penali incriminatrici possano fungere, autonomamente considerate, da fonti degli obblighi impeditivi ex art. 40 cpv. Più in particolare, è stato rilevato – in termini che a noi appaiono convincenti – come quelle norme incriminatrici che vengono indicate dalla dottrina quali possibili fonti degli obblighi giuridici impeditivi, dimostrerebbero proprio la tesi contraria; e cioè dimostrerebbero che, in realtà, un obbligo che possa dirsi impeditivo, ai sensi dell‟art 40 cpv, in genere non può se non trovare la sua fonte e “disciplina” in una norma esterna a quella incriminatrice e che la norma penale non fa altro se non sanzionare la violazione dell‟obbligo impeditivo 111 Le diffidenze di cui si è detto nel testo vengono qui riassunte nell‟interrogativo seguente: «Perché mai (…) da un obbligo appartenente ad un settore di disciplina diverso, per oggetto e tipo di tutela, dovrebbe derivare una responsabilità penale?» (I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 217). Della questione ci si tornerà ad occupare nel Capitolo IV del presente lavoro. 112 Di ciò ha chiara contezza anche la recente giurisprudenza: «è dubbio se la fonte dell‟obbligo di garanzia possa essere la norma incriminatrice penale» Cassazione penale, Sezione IV, 12 marzo 2010 n. 16761. 113 114 In tal senso F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., p. 999. Ci si riferiva, in particolare, a quelle norme incriminatrici che sanzionano delle mancate attivazioni (cioè delle omissioni proprie), quali gli ad esempio gli articoli 673, 677, 679 c.p.. Che nella nostra dottrina di fosse diffusa la tendenza a riconoscere anche le norme incriminatrici quali possibili fonti degli obblighi giuridici impeditivi, lo si può evincere ad esempio da F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 1988, p. 191, M. ROMANO, Commentario sistematico, cit., p. 387, G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale, cit., p. 597. 37 altrove “creato” ( 115 ). L‟esclusione delle norme penali dal novero delle fonti degli obblighi giuridici impeditivi trova, peraltro, buona parte delle sue ragioni nella ricostruzione degli obblighi impeditivi stessi in termini di obblighi di garanzia; ma di ciò si tratterà nel prosieguo (116). Per quanto riguarda il contratto, anch‟esso, come la legge, è stato tradizionalmente considerato idoneo a fungere da fonte degli obblighi giuridici impeditivi; ciò, in virtù principalmente del fatto che la forza vincolante del contratto si fonda pur sempre proprio nella legge (articolo 1372 c.c.) e in virtù del fatto che la legge stessa riconosce alle parti una libertà nella determinazione del contenuto contrattuale, con il solo limite del rispetto della legge e della meritevolezza degli interessi perseguiti (art. 1322 c.c.). La dottrina recente ha precisato come – per riferirsi alle fonti delle posizioni di garanzia - sia preferibile parlare, in termini più ampi e generali, di negozio giuridico,anziché di contratto (117). Sussiste oggi una relativa convergenza circa i requisiti ed i presupposti necessari ai fini della assunzione di un obbligo giuridico impeditivo per mezzo di una fonte contrattuale: ci si riferisce, in particolar modo, alla necessaria partecipazione alla convenzione 115 I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 200, la quale afferma che «gli esempi comunemente portati a sostegno dell‟opinione avversata (…) .anziché suffragarla, la smentiscono, in quanto nessuna delle fattispecie incriminatrici indicate dalla dottrina appare davvero la fonte originaria di un obbligo di garanzia. Più precisamente, tali fattispecie contengono, alternativamente: a) o la previsione di un mero obbligo di attivarsi, autonomamente creato dalla norma incriminatrice, ma, come tale, irrilevante ai sensi dell‟art. 40/2; b) oppure la incriminazione dell‟inosservanza di un vero e proprio obbligo di garanzia, creato, però, da altra fonte extrapenale, e del quale la norma incriminatrice si limita a sanzionare tale violazione di per sé, prima e a prescindere dal verificarsi di eventi dannosi, talaltra l‟omesso impedimento di eventi in applicazione espressa dell‟art. 40/2. E‟ infatti agevole osservare che in tali fattispecie si ha sempre un rinvio, esplicito o implicito, ad altra fonte extrapenale». L‟Autrice si spende poi in una diffusa analisi delle varie tipologie di norme penali considerate tra quelle capaci di fondare delle posizioni di garanzia, analisi al termine della quale conclude che «qualsiasi norma incriminatrice è, per sua stessa natura, incompatibile con il ruolo di fonte originaria ed autonoma di obblighi rilevanti ai sensi dell‟art. 40/2» (I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 215). 116 117 Si veda infra, capitolo II sezione I. I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 223. Tale precisazione terminologia risulta estremamente utile per poter ricondurre all‟alveo della fonte negoziale, appunto, una serie di ipotesi che vengono invece spesso incluse dalla dottrina nella figura – assai discutibile – della cosiddetta assunzione volontaria della posizione di garanzia. Sul fatto che a poter fungere da fonte degli obblighi di garanzia possano essere tanto i contratti tipici che gli atti negoziali atipici, vedasi, nella giurisprudenza recente, Cassazione penale 25527/2007. 38 negoziale del titolare del bene protetto oppure del garante a titolo originario (118); ci si riferisce, altresì, alla necessità che alla stipulazione contrattuale faccia seguito una concreta presa in carico del bene protetto (e, più in generale, una concreta presa di possesso del ruolo di cui si è stati investiti), esigenza, quest‟ultima avvertita già dai sostenitori dell‟impostazione sostanzialistica (119). Delle divergenze di opinioni si fanno invece registrare in ordine alle conseguenze che l‟invalidità della fonte contrattuale può produrre in termini di sussistenza, o meno, della posizione di garanzia: è intuibile come le posizioni sul punto varino a seconda dell‟impostazione concettuale – formalistica, sostanzialistica o mista – adottata. Del tema ci si occuperà nel prosieguo, laddove ci si soffermerà ad analizzare l‟impatto che su di esso produce la ricostruzione degli obblighi impeditivi in termini di “obblighi di garanzia” (120). La questione più spinosa che riguarda la fonte contrattuale è probabilmente la seguente: se il contratto possa avere una efficacia tanto traslativa quanto costitutiva della posizione di garanzia. Ci si occuperà prima dell‟uno e poi dell‟altro profilo. Con riguardo all‟efficacia traslativa, si può affermare che vi è concordia nel ritenere che il contratto possa – seppur con alcune doverose precisazioni e limitazioni (121) – trasferire posizioni di garanzia: il contratto cioè determina uno spostamento della titolarità dell‟obbligo impeditivo - con conseguente passaggio della responsabilità penale – dal garante originario ad un garante nuovo, cosiddetto a titolo derivato. Nell‟ambito delle strutture complesse ed in particolar modo dell‟attività d‟impresa, il fenomeno del trasferimento mediante contratto delle posizioni di garanzia va a 118 Vedasi in tal senso, per tutti, G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 186 e ss. 119 Si veda retro, nella sezione I del presente capitolo, il paragrafo in cui sono state descritte le critiche mosse alla teoria formale. 120 121 Si veda infra, Capitolo II Sezione I, ultimo paragrafo. Ci si riferisce, in particolar modo, alle limitazioni connesse alla natura delle funzioni di garanzia trasferite: se ad esempio non vi è dubbio che mediante contratto possano essere trasferiti obblighi nascenti dal diritto privato, altrettanto non può dirsi laddove le funzioni espletate siano di tipo pubblicistico; in tale ultimo caso il “trasferimento” – se consentito – potrà avvenire soltanto con le modalità prescritte dalla normativa pubblicistica stessa. Ancora, ulteriori precisazioni in ordine all‟impiego del contratto come strumento di trasferimento della posizione di garanzia, andrebbero compiute distinguendo a seconda che si tratti di trasferimenti totali o parziali (vedansi ad esempio, sul punto, I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 43 e A. GARGANI, La congenita indeterminatezza degli obblighi di protezione: due casi “esemplari” di responsabilità ex art. 40 comma 2 c.p., in Dir. Pen. Proc., 2004, p. 1391. 39 coincidere con quello della cosiddetta delega di funzioni. Sul fenomeno della delega di funzioni si avrà occasione di posare lo sguardo nel corso del capitolo III ( 122). In questa sede ci si limita soltanto ad anticipare che il problema più delicato relativo alla delega di funzioni – relativo dunque, più in generale, all‟impiego del contratto quale strumento di trasferimento della posizione di garanzia – è quello che riguarda le conseguenze che la delega stessa produce in capo al soggetto delegante: il problema è cioè quello di stabilire se un contratto valido, oltre a far sorgere una nuova posizione di garanzia in capo al destinatario del trasferimento, sia altresì idoneo ad escludere qualunque obbligo impeditivo in capo al soggetto trasferente. Come detto sopra, su tali questioni si tornerà approfonditamente nel corso del capitolo III, laddove si andrà ad analizzare della casistica giurisprudenziale afferente a settori – quali quello della sicurezza sui luoghi di lavoro nonché quello degli organi amministrativi delle società di capitali – in cui l‟istituto della delega di funzioni ha ricevuto delle esplicite codificazioni normative. Se l‟efficacia traslativa di un contratto – seppur con tutte le problematiche cui essa può dar luogo e a cui si è fatto sopra cenno - non è da alcuno posta in dubbio, altrettanto non può dirsi per l‟efficacia costitutiva del contratto stesso. Per “efficacia costitutiva” del contratto si vuole intendere la capacità del contratto non già di trasferire, bensì di creare nuove posizioni di garanzia, cioè di creare obblighi impeditivi ulteriori e diversi rispetto a quelli stabiliti ex lege in capo a determinati garanti. Sul punto la dottrina appare davvero spaccata al suo interno: vi è chi ridimensiona la stessa ragion d‟essere del problema (123) e riconosce al contratto, senza limiti, efficacia tanto traslativa che costitutiva ( 124 ); vi è chi afferma che il contratto possa soltanto trasferire, non già costituire posizioni di garanzia ( 125 ); vi è chi assume una posizione per così dire intermedia riconoscendo la funzione altresì costitutiva del contratto, ma apponendo ad essa delle limitazioni (126). 122 Si vedano infra, Capitolo III, i paragrafi dedicati alla delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro e nell‟ambito dei consigli di amministrazione delle società di capitali. 123 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 188-189. 124 Ad esempio F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., pp. 10001001. 125 Vedasi ad esempio F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, cit., p. 626. 126 Ci si riferisce ad esempio alla Leoncini, la quale, dopo una approfondita disamina sul punto, ritiene di dover concludere che il contratto, come fonte costitutiva, è ammissibile soltanto rispetto ai beni personali: 40 Non approfondiremo oltre la sopra segnalata tematica dell‟efficacia costitutiva del contratto. Ciò, in quanto gli obblighi impeditivi di fonte contrattuale con i quali ci troveremo a misurarci nel prosieguo della nostra trattazione saranno, come si avrà modo di constatare, obblighi rispetto ai quali il contratto opera sempre in termini di strumento di mero trasferimento della posizione di garanzia (127). 1.7. (segue) e singole tipologie. Non si può qui fare a meno di fornire qualche indicazione in merito a come gli obblighi giuridici di impedire l‟evento (alias posizioni di garanzia) vengano distinti fra loro, sulla base del loro contenuto e della funzione da essi svolta. Fermo restando che alla base di ogni posizione di garanzia deve sussistere una funzione di protezione ( 128 ), tale funzione può atteggiarsi, per così dire, in un duplice modo: «essa può essere svolta, in concreto, o mediante l‟affidamento diretto del bene tutelando al garante (…) ovvero mediante l‟imposizione a questo di un dovere di controllo su una determinata fonte di pericolo, cui consegue (…) l‟affidamento a titolo di garanzia di tutti i beni che vengano in contatto con la sfera di potenziale lesività della stessa fonte» (129). È proprio attraverso questo duplice, possibile declinarsi della funzione di protezione che viene delineata quella fondamentale bipartizione in cui vengono distinte le posizioni di garanzia (130): posizioni di protezione e posizioni di controllo (131). «trova giustificazione...la nota opinione che vorrebbe limitare la rilevanza degli obblighi di garanzia a quelli destinati alla salvaguardia dei soli beni personali della vita e dell‟incolumità, con esclusione di quelli personali (…) Inaccoglibile anche de iure condendo appare invece il suggerimento della medesima dottrina di limitare la tutela rafforzata dell‟art. 40, in ragione del bene tutelato, anche agli obblighi ex lege» (I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 237). 127 Più in particolare, ci si riferisce al fatto che gli obblighi giuridici impeditivi di fonte contrattuale di cui si parlerà nel capitolo III, nel corso dell‟analisi della casistica giurisprudenziale, risulteranno essere, appunto, tutti obblighi rispetto ai quali il contratto ha agito come strumento traslativo. 128 Si veda retro, nella presente sezione, il paragrafo dedicato alla illustrazione dell‟approccio cosiddetto sostanzialistico, il quale, appunto, evidenziava la necessità che tra garante e bene tutelando sussista un rapporto di dipendenza, rapporto dal quale sorge l‟obbligo del garante di attivarsi per proteggere il bene considerato “debole”. 129 130 41 L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui, cit., p. 1364. La paternità della distinzione tra posizioni di protezione e posizioni di controllo va senz‟altro attribuita Le posizioni di protezione vengono definite come quelle che hanno ad oggetto specifico la protezione di un determinato bene giuridico da tutti i pericoli che lo minacciano, quale che sia la fonte da cui provengono. Le posizioni di controllo vengono definite come quelle volte a neutralizzare una determinata fonte di pericolo – fonte sulla quale si esercita, appunto, un controllo – in modo da proteggere l‟integrità di tutti i beni che possano da quella risultare minacciati (132). Alle posizioni di protezione vengono tradizionalmente ricondotti gli obblighi dei genitori di proteggere i beni della vita e della incolumità personale dei figli minori (133), gli obblighi del personale sanitario, medico e paramedico, di proteggere i beni della vita e della salute dei pazienti ( 134 ), gli obblighi dei dipendenti dell‟amministrazione carceraria, tenuti a proteggere la vita e l‟incolumità dei detenuti (135). Alle posizioni di controllo vengono pacificamente ricondotti quegli obblighi gravanti su soggetti che hanno relazioni di proprietà, di detenzione – di controllo, appunto – su cose, mobili o immobili, o anche su animali, che possono costituire fonte di pericolo (ci si riferisce ad esempio agli obblighi che derivano dagli articoli 2051, 2052 e 2053 del codice civile). Si pensi, ancora, agli obblighi gravanti sui soggetti appartenenti a determinate amministrazioni pubbliche (sindaci, prefetti etc.), chiamati a governare fonti di pericolo costituite da eventi naturali calamitosi. alla impostazione cosiddetta sostanziale: è stata proprio tale teoria, difatti, ad approfondire per prima i contenutistici e funzionali degli obblighi impeditivi dell‟evento. (Vedansi ad esempio, di recente N. PISANI, Controlli sindacali, cit., p. 40 e A. NISCO, Compliance e posizioni di garanzia: prime indicazioni dalla giurisprudenza tedesca, in Cassazione penale, 2010, p. 2438). 131 Come si avrà modo di vedere più avanti, alle categorie degli obblighi di protezione e degli obblighi di controllo parte della dottrina aggiunge una terza categoria, quella degli obblighi di impedire i reati commessi da terzi. 132 Per tutti, G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., rispettivamente a p. 172 e 189. 133 Contrasti sussistono invece in ordine alla tutelabilità, da parte degli stessi, dei beni patrimoniali dei figli: la questione attiene, più in generale, alla determinazione dell‟ambito applicativo delle fattispecie omissive impropri (Sul punto si rimanda retro, sezione I del presente capitolo). Oscillazioni sussistono altresì in ordine all‟atteggiarsi dell‟obbligo impeditivo dei genitori quando si tratta di proteggere il bene dell‟intangibilità sessuale dei figli minori. Questa tematica si interseca con quella della difficile determinazione dei contorni degli obblighi di impedire reati altrui, per cui si rinvia infra, sezione II del capitolo II. 134 La principale fonte formale di tale posizione di garanzia viene ravvisata nella legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, la 833/1978. 135 Tra le principali fonti di tale posizione di garanzia va segnalata la L. 354/1975, contenente norme sull‟ordinamento penitenziario e sull‟esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. 42 Alla categoria degli obblighi di controllo vengono altresì ricondotte le posizioni di quei soggetti che esercitano una signoria – non già su una cosa pericolosa, ma - su una vera e propria attività pericolosa: si pensi agli obblighi gravanti sugli imprenditori, sui datori di lavoro (136), i quali, in virtù dei loro poteri organizzativi e dispositivi, signoreggiano fonti di pericolo costituite dai singoli processi di lavorazione o di produzione. Più in particolare, proprio con riguardo ai casi di esercizio di attività pericolose, si deve rilevare come la giurisprudenza, senza troppe esitazioni, tragga da essi la sussistenza di obblighi impeditivi, rilevanti ex art. 40 cpv., da ricondurre alla categoria delle posizioni di controllo ( 137 ); parte della dottrina invece esorta ad una maggiore prudenza, sottolineando come proprio la categoria degli obblighi di sicurezza connessi all‟esercizio di attività pericolose presti il fianco al rischio di indebite sovrapposizioni tra una causalità omissiva e causalità attiva ( 138 ): ciò, nel senso che la categoria dall‟obbligo impeditivo di controllo – il quale dovrebbe consistere nell‟obbligo di neutralizzare una fonte di pericolo già esistente per il bene tutelato – rischia di essere scomodata laddove, invece, si dovrebbe più propriamente scorgere un vero e proprio comportamento commissivo da parte di un soggetto, il quale, più che non aver neutralizzato la fonte di pericolo, la ha innescata (139). 136 Con riguardo ai datori di lavoro, le fonti formali della posizione di garanzia sono rappresentate in via generale dall‟art. 2087 c.c. e, in maniera più specifica, dalle discipline di settore in materia antinfortunistica (vedasi, da ultimo, il D.Lgs. 81/2008). 137 Si veda, la recente Cassazione penale, Sezione IV, 12 marzo 2010 n. 16761, in cui si afferma expressis verbis che la categoria delle posizioni di controllo comprende «tutti i casi di esercizio di attività pericolose, che trova il fondamento normativo nell‟art. 2050 c.c.». 138 Ad esempio I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 122. Si rinvia infra, Capitolo III, par. 3.5, dove si avrà modo di riflettere sui delicati confini tra il “commettere” e l‟“omettere”. 139 Un caso che risulta in tal senso emblematico è quello affrontato dalla Suprema Corte con la celebre pronuncia Cassazione 6 dicembre 1990, ric. Bonetti, emessa a conclusione del processo sul disastro di Stava. I fatti sono tristemente noti: nel luglio 1985 i bacini di decantazione costruiti nei pressi della miniera di Prestavel crollarono: una immensa massa costituita da acqua e dai limi del materiale ivi depositato si riversò rovinosamente verso valle, provocando la morte di 268 persone, il ferimento di numerose altre, il crollo di molti edifici e capannoni. Imputati nel processo furono i vari dirigenti amministratori delegati e presidenti dei consigli di amministrazione delle società concessionarie della miniera di Prestavel, nonché i direttori di miniera succedutisi nel tempo. Si trattava di tutti soggetti i quali – in tempi e con modalità differenti - avevano preso parte alle decisioni di costruzione o ampliamento dei bacini di decantazione del materiale estratto dalla miniera. Ad essi venivano contestate la assoluta omissione di progetti relativi alla costruzione del secondo bacino di decantazione, la mancata effettuazione di controlli e verifiche, la mancata esecuzione 43 La categoria degli obblighi di controllo presenta ulteriori profili di complessità. A detta categoria parte della dottrina riconduce altresì quei casi in cui la fonte di pericolo da neutralizzare sia costituita dall‟agere di soggetti terzi: in tali casi il garante sarebbe tenuto ad esercitare un controllo, appunto, sulle azioni poste in essere da terzi, al fine di impedire che questi soggetti commettano reati. Altra parte della dottrina – allo stato probabilmente maggioritaria - ritiene invece che gli obblighi di impedimento dei reati altrui non possano essere sic et simpliciter assimilati agli obblighi di controllo e debbano piuttosto formare una categoria a sé stante, che va ad aggiungersi a quelle delle posizioni di controllo e di protezione. La controversa e sfuocata figura degli obblighi giuridici di impedire reati altrui verrà approfondita nella sezione II del prossimo capitolo; è a quella sede che si rimanda per ogni considerazione. Le classificazioni sopra riferite (obblighi di protezione/obblighi di controllo/obblighi di impedimento di reati altrui) sono senz‟altro utili a fini descrittivi e quali criteri di orientamento. Tuttavia esse non vanno a nostro avviso guardate come contenitori infallibili o impermeabili. E ciò, non soltanto in considerazione dei contrasti dottrinari relativi alla bontà stessa delle classificazioni delle posizioni di garanzia (se esse vadano bipartite o tripartite etc.), ma altresì, soprattutto, in considerazione del fatto che in molte situazioni concrete le suddette posizioni sono destinate a convivere, quando non a parzialmente sovrapporsi. Si pensi, solo a titolo di esempio, ai genitori, sui quali grava, come si è detto, una posizione di protezione nei confronti dei figli ma che allo stesso tempo possono essere chiamati a rispondere per omesso impedimento del reato (ad esempio di violenza sessuale) commesso, in danno dei figli stessi, da terzi soggetti. Si pensi, ancora, agli appartenenti alle forze dell‟ordine, sui quali coesistono sia una posizione di garanzia, sub specie di posizione di protezione, nei confronti dei soggetti ristretti nella loro libertà di prove e di indagini prima di procedere all‟ampliamento dei bacini. Bene, in capo a ciascuno degli imputati fu accertata la sussistenza di una posizione di garanzia e la responsabilità venne ricostruita intermante in termini omissivi: disastro colposo e omicidio colposo plurimo, cagionati mediante omissione. Per una approfondita disamina dell‟opportunità della “ricostruzione” della vicenda in termini omissivi, vedasi A. GARGANI, Ubi culpa, ibi omissio. La successione di garanti in attività inosservanti, in L‟indice penale, 2000, p. 581 ss. 44 personale, sia un obbligo di impedimento dei reati commessi – magari nei confronti dei detenuti stessi – dai propri sottoposti gerarchici (140). Si pensi ai medici, sui quali grava, come si è detto, una posizione di protezione nei confronti dei loro pazienti ma che, allo stesso tempo, possono essere chiamati a rispondere per il mancato impedimento di reati commessi dai loro stessi pazienti, quando questi ultimi possano – magari a causa del loro stato di incapacità – rappresentare delle fonti di pericolo per soggetti terzi (141). Si pensi alle posizioni di garanzia che, in ambito societario, gravano sugli organi amministrativi di vertice: esse si articolano come posizioni di protezione (nei confronti ad esempio dell‟integrità del patrimonio sociale), come posizioni di controllo (nei confronti ad esempio dell‟incolumità dei lavoratori o, più in generale, di qualunque soggetto, anche terzo, suscettibile di venir leso dalle “dinamiche”, economiche e produttive, societarie) e, allo stesso tempo, come obblighi impeditivi rispetto a condotte delittuose che possono essere poste in essere – a discapito degli stessi beni sopra menzionati – da soggetti incardinati nel‟organizzazione imprenditoriale societaria (142). Le sopra descritte plurime articolazioni delle posizioni di garanzia finiscono col coinvolgere, per forza di cose, la figura degli obblighi impeditivi dei reati altrui. Come già detto, di tali obblighi si parlerà approfonditamente nel prossimo capitolo. Sarà in quella sede, dunque, che si avrà modo di tornare a riflettere sui rapporti intercorrenti tra le varie tipologie di obblighi impeditivi. 140 Proprio in tali duplici termini (posizione di protezione e posizione di impedimento di reati di terzi) il Tribunale di Genova, con sentenza 14 luglio-27 novembre 2008 ricostruì le posizioni di garanzia gravanti in capo ai cosiddetti “soggetti in posizione apicale”, appartenenti a varie forze dell‟ordine (polizia di Stato, polizia penitenziaria etc.), imputati nel processo apertosi in seguito ai fatti accaduti nell‟estate 2001, durante il vertice del G8 di Genova, nella caserma di Bolzaneto. 141 Si veda ad esempio, tra numerose, la famosa sentenza Pozzi: Cassazione penale, 14 novembre 2007 n. 10795. 142 Le considerazioni sopra svolte hanno tratto parzialmente spunto da N. PISANI, Controlli sindacali, cit., p. 83. 45 CAPITOLO SECONDO. L’APPRODO DELLA DOTTRINA PIU’ RECENTE ALLA NOZIONE GIURIDICO-FORMALE DI POSIZIONE DI GARANZIA Introduzione. Nel I capitolo, analizzando la fattispecie omissiva impropria nei suoi contorni generali, si è cercato di spiegare in che senso l‟elemento dell‟obbligo giuridico impeditivo rappresenti il “cuore pulsante” della fattispecie stessa (143). È proprio intorno al suddetto elemento che nel presente capitolo verrà ulteriormente focalizzata l‟attenzione. La imprescindibilità - ai fini di una attribuzione di responsabilità per mancato impedimento - della individuazione di tale elemento, unita alla difficoltà di assegnare un significato univoco alla formula normativa (“obbligo giuridico di impedire l‟evento”) che ad esso si riferisce, ha fatto sì che gli sforzi ricostruttivi degli interpreti siano proseguiti nel corso del tempo, incessanti ed anelanti. Nel presente capitolo si vedrà come, prendendo le mosse dagli approdi raggiunti dalla teoria mista – e facendo leva su una ricostruzione costituzionalmente orientata dell‟obbligo impeditivo – si sia andato forgiando il concetto di potere giuridico impeditivo; proprio su tale concetto è stato collocato il discrimen tra il vero e proprio obbligo impeditivo ex art. 40 cpv. (denominato “obbligo di garanzia”) e altre figure di “obblighi di fare” - simili alla prima ma in realtà non idonei a fondare una responsabilità per omesso impedimento dell‟evento – quali gli obblighi di attivarsi e gli obblighi di sorveglianza. Le tematiche appena enunciate verranno trattate nella prima sezione del presente capitolo. La seconda sezione sarà invece dedicata ad una sorta di approfondimento, di specificazione, dei contenuti trattati nella sezione che la precede. Difatti l‟esigenza di una distinzione tra veri e propri “obblighi di garanzia” e figure di obblighi ad essi non 143 46 Vedi supra, in particolare la Sezione II del Capitolo I. riconducibili si fa tanto più impellente – non foss‟altro in termini di “frequenza” - e tanto più delicata, allorché il “dovere” in questione sia un dovere si sorvegliare altri soggetti, cioè un dovere di vigilare sull‟altrui condotta: si tratta infatti, in quei casi, di capire quando ci si trovi di fronte ad un vero e proprio obbligo di impedire l‟altrui reato. Nella seconda sezione del capitolo ci si soffermerà quindi sull‟analisi di tale controversa figura di obbligo impeditivo, obbligo alla cui violazione viene fatta conseguire, come è noto, una responsabilità per concorso nel reato non impedito. Non si potrà dunque fare a meno di confrontarsi con gli elementi di complessità propri della forma di realizzazione plurisoggettiva della fattispecie omissiva impropria. 47 SEZIONE I. L’OBBLIGO GIURIDICO EX ART. 40 CPV. C.P. RICOSTRUITO COME OBBLIGO DI GARANZIA E DISTINTO DAI MERI OBBLIGHI DI SORVEGLIANZA. 2.1. Le avvertite insufficienze delle teorie tradizionali sulle fonti degli obblighi impeditivi. Come si è già avuto modo di dire (144), nell‟ambito delle teorie sulle fonti degli obblighi giuridici impeditivi, l‟approccio eclettico è quello che ha tentato di realizzare una integrazione tra il criterio giuridico-formale – reputato necessario ma non sufficiente – ed il criterio contenutistico-funzionale, espresso dalla figura della “posizione di garanzia”: l‟obbligo giuridico-impeditivo, rilevante ai sensi dell‟art. 40 cpv., sarebbe allora quello che, ancorato ad una fonte formale, esprima la funzione (di garanzia) della responsabilità per omesso impedimento dell‟evento. Si è anche già sottolineato come l‟approccio eclettico abbia raccolto i consensi di una ampia parte della dottrina e della giurisprudenza italiane, divenendo presto l‟indirizzo di certo prevalente. Purtuttavia anche tale impostazione concettuale non è andata esente da critiche. La dottrina più recente non ha mancato di rilevare come tale impostazione sostanzialmente cumulerebbe i vizi di ciascuna delle due teorie che essa intende unificare (145): la pretesa sussistenza di una fonte formale riproporrebbe tutti i dubbi e tutte le perplessità che affiorano quando ci si trovi a maneggiare fonti sospettate di essere inidonee (146) o invalide (147); l‟idea di sopperire alle lacune del criterio formale 144 Si veda supra, capitolo I sezione III. 145 Vedasi per tutti I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 192: «(...)la presente concezione rischia, talora, di cumulare gli inconvenienti delle tesi precedenti anziché superarli (...) Così, da un lato, si continuano a qualificare come «di garanzia» certi obblighi solo in virtù di una loro (anche molto generica) previsione formale (...); dall‟altro si cede talora alla tentazione di parificare alla previsione formale dell‟obbligo mere situazioni di fatto, senza indagarne appieno il fondamento positivo». 146 Con il termine atecnico di “inidoneità” ci si vuole qui riferire a quei casi in cui la fonte formale non appare in grado di soddisfare il principio di legalità a pieno, cioè a quei casi in cui la “legalità” non verrebbe assicurata con lo stesso grado di “intensità” che da essa si pretende in ambito penalistico. 147 48 Il problema della invalidità della fonte si presenta principalmente nei casi di fonte negoziale. Vedi facendo leva sul concetto di Garantenstellung rivelerebbe tutta la sua illusorietà laddove si sia disposti a prendere atto della scarsa determinatezza del concetto stesso. Quello che è sembrato essere il vero tallone di Achille della teoria mista – al di là dell‟idea che essa avesse ricevuto in eredità i singoli vizi contestati a ciascuna delle due teorie (formale e sostanziale) che voleva coniugare – è il punto seguente: l‟impostazione mista riteneva di poter “scommettere” sull‟applicazione consecutiva dei due criteri – quello giuridico/formale e quello contenutistico/sostanziale, appunto – forgiati dalle elaborazioni teoriche che l‟avevano preceduta; bene, nella recente dottrina si è andata affermando la consapevolezza che la predetta “applicazione consecutiva” di quei criteri – la di essi sommatoria – non fosse in realtà in grado di produrre un risultato davvero efficace ( 148 ). Ciò, in quanto da un lato l‟aggancio al requisito formale è sì imprescindibile ( 149 ) ma di per sé sterile, poiché non può essere posto alcun automatismo fra la presenza di un obbligo giuridico di agire, previsto in qualche meandro dell‟ordinamento giuridico, e la rilevanza penale di quello ai sensi dell‟art. 40 comma 2; dall‟altro lato, l‟impiego del concetto di “posizione di garanzia” è anch‟esso imprescindibile – considerato che proprio in quel “vincolo di garanzia” risiede il fondamento della responsabilità per omesso impedimento dell‟evento – ma quanto mai “sfuggente”. Tale concetto si fonda difatti su di un parametro contenutistico – quello della “funzione” di garanzia – che risulta essere del tutto vago: la dottrina recente ha denunciato la “mancanza di un criterio univoco atto a stabilire quando sussista il vincolo di tutela, il rapporto di dipendenza tra il garante e il bene tutelato, in cui si sostanzierebbe, secondo le definizioni surriferite, la Garantenstellung. E alla base dell‟incertezza sul criterio di identificazione delle singole posizioni di garanzia sta la scarsa chiarezza sul fondamento dell‟attribuzione della posizione stessa ad un retro, capitolo I Sezione III. 148 «Il limite della tesi in parola risiede (..) nel non essere riuscita del tutto ad operare una compiuta sintesi delle precedenti», I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 192. 149 Una tale esigenza viene chiaramente espressa dal Giunta, il quale, richiamando l‟attenzione sull‟elemento della giuridicità dell‟obbligo impeditivo, afferma che “(...) non può non riconoscersi all‟art. 40 comma 2 il merito di offrire all‟interprete un‟importante indicazione: ovvero che il criterio formale dell‟obbligo di agire è quanto meno quello da cui prender le mosse nella ricostruzione della responsabilità per omesso impedimento dell‟evento”. (F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, in Diritto penale e processo, 1999, p. 622). 49 determinato soggetto (...)” (150). Sembra corretto affermare che la dottrina più recente ha insomma riconosciuto la bontà dell‟intuizione della teoria mista, ma ne ha altresì portato a galla i limiti: la “buona intuizione” consisterebbe nella esigenza di trovare un criterio in forza del quale operare una selezione degli obblighi penalmente rilevanti all‟interno dei molteplici doveri giuridici precisi da fonti formali; il limite consisterebbe nel fatto che il criterio attraverso cui operare la selezione è stato individuato in un parametro – cioè quello della cosiddetta posizione di garanzia – del tutto indeterminato e malleabile, un parametro che non offre dunque alcuna garanzia in termini di certezza del diritto e che, al contrario, si presta a quanto mai pericolose – ed in ogni caso indebite – strumentalizzazioni (151). 2.2. La ricostruzione dell’obbligo impeditivo alla luce dei principi costituzionali. (Segue) Si è già visto come, nella difficile impresa di individuazione degli obblighi rilevanti ex art. 40 cpv. c.p., la teoria mista avesse intuito l‟esigenza dell‟impiego di un criterio sostanziale – rinvenuto nella cosiddetta posizione di garanzia – il quale risultasse tuttavia ancorato ad un dovere giuridicamente posto. Si è anche già rimarcato come le dottrina più recente abbia posto in luce i limiti della suddetta impostazione: i doveri “giuridicamente posti” esistono in grande quantità, in ogni dove dell‟ordinamento; il criterio che dovrebbe operare una selezione tra essi è totalmente vago e quindi in definitiva inaffidabile. Ecco dunque che la dottrina che più di recente si è occupata funditus del tema, 150 151 I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 67-68. «(...) la concreta selezione degli obblighi rilevanti ai fini della clausola di equivalenza, tra i molteplici doveri previsti da fonti formali, è anche qui demandata al malleabile parametro contenutistico della «funzione» di garanzia, manipolabile a seconda delle opzioni politico-criminali dell‟interprete, con opposte tendenze, ora estensive (...) ora restrittive della punibilità (...) L‟incertezza appare ancor più accentuata in giurisprudenza, ove persiste una «coesistenza» tra criteri formali e sostanziali, alternativamente impiegati in funzione estensiva della responsabilità» (I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 39). 50 dinnanzi alle riscontrate inadeguatezze e strettoie delle teorie precedentemente elaborate, ha cercato rifugio e stimolo nei precetti della “fonte suprema” ( 152): gli sforzi interpretativi sono insomma stati fatti convergere nella direzione di un‟opera di ricostruzione dell‟obbligo giuridico impeditivo – rilevante ex art. 40 cpv. – effettuata alla luce dei principi costituzionali che devono governare la penale responsabilità (153). Imperando in ambito penale il principio di legalità, l‟obbligo idoneo a fondare una responsabilità penale ex art. 40 cpv. cp. deve trovare un ineludibile fondamento giuridico (154); esso deve cioè necessariamente essere posto da fonti giuridiche formali (155). Da ciò consegue che dovrà senz‟altro escludersi che l‟obbligo ex 40 cpv. possa trovare la propria fonte in norme soltanto morali, come pure va escluso che esso possa trovare la propria fonte in quelle che appaiono assumere la consistenza di situazioni di garanzia meramente “fattuali” (156). 152 Il Mantovani, riferendosi alle teorie formale, sostanziale e mista, parla di «inadeguatezze delle suddette teorie», inadeguatezze che «possono essere superate attraverso la ricostruzione dell‟obbligo di garanzia nei suoi precisi requisiti penali costitutivi, alla luce dei principi (...) di legalità, di solidarietà, di libertà, di responsabilità personale» (F. MANTOVANI, L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi, cit., p. 340). La Leoncini afferma che nell‟opera di ricostruzione degli obblighi rilevanti ex art. 40 cpv., «si rende indispensabile un costante riferimento al dettato costituzionale»; l‟Autrice, sebbene mostri di essere ben consapevole dei limiti insiti nell‟impostazione costituzionalmente orientata del diritto penale, ribadisce tuttavia la di essa importanza, a maggior ragione in un settore quale quello oggetto di indagine: «(...) pur nella consapevolezza delle evidenziate incertezze e dei paventati rischi di tale impostazione, la sua utilizzazione rimane, a nostro avviso, il modo più corretto di precedere (...). (...), tanto più con riferimento all‟oggetto del nostro studio, in cui si intersecano gli istituti della fattispecie omissiva impropria e del concorso di persone nel reato. In tali settori, infatti, alle indubbie carenze e difetti di tecnica legislativa della normativa vigente nella previsione dei comportamenti tipici, si cumulano obiettive difficoltà, se non, talora, addirittura, impossibilità, di una loro rigorosa tipizzazione. Ci sembra, allora, che di fronte al margine di incertezza, forse non completamente eliminabile, delle norme positive, il lavoro dell‟interprete non possa essere indirizzato verso le soluzioni più corrette che dalla Costituzione» (I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 34-37). 153 I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 33-54, F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 2007, p. 156 ss.; ID., L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi, cit., p. 340. 154 È interessante osservare, per inciso, come parte della dottrina colleghi la necessità di un fondamento giuridico dell‟obbligo impeditivo alla stessa consistenza – o meglio, alla “inconsistenza”, fisica – della condotta omissiva: «Invero, se sul piano naturalistico l‟omissione è un mero non facere e la c.d. causalità omissiva un non senso (non potendo qualsivoglia omissione concretamente incidere sul decorso causale, né tanto meno, cagionare alcun evento offensivo), ne consegue che, per la sua stessa essenza, il disvalore penale dell‟omissione è inscindibilmente connesso alla doverosità giuridica del comportamento omesso» (I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 50). 155 Su quale sia il “rango” richiesto alla fonte giuridica formale si rimanda retro, Capitolo I, Sezione III nonché si rinvia infra, all‟ultimo paragrafo della presente sezione 156 51 Proprio in virtù della suesposta considerazione si ritiene che da una situazione di convivenza more Il principio di legalità in materia penale si declina altresì, come è noto, nei termini della tassatività, intesa come necessità che gli elementi costitutivi dell‟illecito penale siano formulati in maniera precisa e determinata (157). Ora, in ossequio al principio di legalitàtassatività l‟obbligo giuridico di impedire l‟evento non può essere indeterminato: l‟azione doverosa dovrà al contrario risultare sufficientemente specifica e determinata. Da ciò, ad esempio, si fa discendere l‟esclusione della possibilità di rinvenire il fondamento dell‟obbligo impeditivo all‟interno di precetti costituzionali generici (quali ad esempio i doveri di solidarietà di cui all‟art. 2 della Costituzione, oppure i generici doveri, ex comma 2 art. 41 Cost. di svolgere l‟iniziativa economica privata senza recare danno alla sicurezza, alla libertà o alla dignità umana e senza contrastare con l‟utilità sociale) (158). Altro principio imperante in materia penalistica è quello di libertà (evincibile, nella sua intera portata, dal combinato disposto degli articoli 13, 25 comma 2 e 27 comma 1 Cost.), intesa come libertà per i cittadini di assumere decisioni ed orientare le proprie condotte di vita, conoscendo in anticipo le conseguenze (penali) che da quelle condotte possono scaturire. Calando il principio di libertà nel contesto della responsabilità per omesso impedimento dell‟evento, si ricava che il soggetto omittente -cioè colui il quale non si attiva per impedire un determinato evento – deve sapere in anticipo se la sua inerzia è penalmente irrilevante oppure se in seguito a tale inerzia egli – sussistendo tutte le condizioni – sarà chiamato a rispondere come se avesse “fisicamente” cagionato uxorio non possano scaturire obblighi di garanzia. In tal senso si veda ad esempio F. MANTOVANI, L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi, cit., p. 340. 157 Sul principio di determinatezza (o principio di tassatività) vedasi, per tutti, M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., sub art. 1, paragrafi 28 ss. Si vuole qui segnalare che vi sono Autori i quali, per riferirsi al principio di tassatività, così come descritto nel corpo del testo (e cioè quel principio in forza del quale le fattispecie incriminatrici devono risultare formulate in maniera determinata e precisa), parlano di “principio di precisione”: G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Corso di diritto penale, Milano, 2001, pp. 119-158. I medesimi Autori chiamano “principio di determinatezza” quello relativo alla necessaria probabilità, nel processo, dei fatti descritti dalle norme penali; con l‟espressione “principio di analogia” indicano invece il divieto di analogia a sfavore del reo. 158 Per una denuncia, già negli anni Ottanta, della tendenza a desumere posizioni di garanzia dai precetti costituzionali, vedasi G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 236-237. Quello di desumere direttamente dai precetti costituzionali la sussistenza di posizioni di garanzia, è un atteggiamento per nulla sconosciuto alla giurisprudenza. Sul punto si tornerà più approfonditamente nel prosieguo; per l‟intanto si ricorda la recente Cass. n. 19714 del 2009, in cui i giudici hanno preteso di far discendere dal comma 2 dell‟art. 41 Cost. una posizione di garanzia in capo ad un soggetto proprietario di un immobile – ma non anche committente dei lavori - per l‟omesso impedimento di un reato proprio stabilito dall‟art. 29 del Testo Unico in materia di edilizia. 52 l‟evento (159). Da ciò si deve trarre che l‟elemento dell‟obbligo impeditivo deve gravare su soggetti ben determinati e specificati: l‟obbligo di cui parla l‟art. 40 cpv. dunque non può essere indirizzato alla generalità indistinta dei consociati, bensì deve avere per destinatari specifiche categorie di soggetti (160). Sia dal principio di tassatività che da quello di libertà-eccezionalità della responsabilità per mancato impedimento, deve trarsi la conseguenza secondo cui l‟obbligo di garanzia deve essere rivolto all‟impedimento di eventi del tipo di quello verificatosi (161): detta in altri termini, l‟evento verificatosi deve essere uno degli eventi che l‟obbligo mirava ad impedire (162). Tra i principi costituzionali cui l‟obbligo giuridico impeditivo deve conformarsi vi è altresì quello di solidarietà. Come si è già avuto modo di osservare ( 163 ), è proprio nell‟istanza solidaristica che trova profondo fondamento la responsabilità per mancato 159 Dal principio di libertà personale – e dalla conseguente “eccezionalità” della responsabilità omissiva parte della dottrina fa discendere la necessaria “elevatezza” dell‟interesse alla cui salvaguardia l‟obbligo impeditivo è volto: “tali obblighi non possono, in generale, imporre il sacrificio dell‟interesse equivalente o, addirittura, di rango superiore dell‟obbligato (esempio: di un bene personale) a vantaggio di quello altrui di rango inferiore (esempio: patrimoniale)” (Così I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 53). 160 La necessaria specificità dei destinatari dell‟obbligo impeditivo conduce a ribadire quanto si era già avuto modo di affermare parlando dei caratteri generali della fattispecie omissiva impropria: il reato omissivo improprio è necessariamente un reato proprio (Si veda supra, Capitolo I, Sezione II). 161 Tanto il requisito della “specificità” dell‟evento da impedire, quanto quello della “specialità” dei soggetti sui quali deve gravare l‟obbligo impeditivo, sono stati fatti oggetto di riflessione da parte della dottrina tedesca già a partire degli anni Cinquanta del Novecento. Tale dato viene segnalato da G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 252, 258. 162 In tal senso vedasi già A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni nel diritto penale dell‟impresa, Firenze, 1985, p. 199 e G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 252. L‟Autore da ultimo citato, al fine di chiarire il concetto espresso, riporta un esempio: «se l‟addetto alle pulizie di un edificio, dopo aver eseguito il proprio lavoro, non provvede alla chiusura delle finestre nello stabile (che dovrebbe essere ormai abbandonato da tutti i suoi occupanti per la fine dell‟orario di lavoro) come sarebbe, invece, suo preciso obbligo onde impedire che si verifichino dei furti nell‟edificio, e una persona, rimasta casualmente nello stabile, sporgendosi dalla finestra di uno degli ultimi piani perde l‟equilibrio, cade nella strada sottostante e muore, una responsabilità penale dell‟inserviente per il reato di omicidio colposo deve escludersi, pur dovendosi riconoscere che la sua omissione ha reso possibile il verificarsi dell‟evento lesivo, e ciò perché l‟evento verificatosi non rientra tra quelli al cui impedimento era rivolta la situazione tipica di obbligo facente capo all‟omittente». Si tratta di un esempio che, sebbene presenti, a parere di chi scrive, molteplici zone d‟ombra, consente tuttavia di ben visualizzare quello che – mutuando il termine dal linguaggio della colpa – è il “nesso di rischio” tra l‟obbligo impeditivo e l‟evento verificatosi. 163 Si veda retro, Capitolo I, Sezione I, il paragrafo dedicato alla responsabilità omissiva in generale, e nel Capitolo I, Sezione III, il paragrafo dedicato alla teoria sostanziale. 53 impedimento di un evento e, più in generale, la responsabilità omissiva tutta (164). Nel reato omissivo improprio la ratio solidaristica è racchiusa in quello speciale “rapporto di protezione” che esiste tra un determinato soggetto ed un determinato bene. Ecco, tale ratio deve riflettersi sull‟elemento dell‟obbligo giuridico impeditivo, contribuendo a dettare i caratteri di esso: l‟obbligo impeditivo ex 40 cpv. si deve rivolgere a beneficio di determinati e ben specificati soggetti, ossia i soggetti titolari di quel bene che, secondo le valutazioni compiute dallo ordinamento, abbisogna di una tutela rafforzata (165). 2.3. (Segue) Il principio di personalità della responsabilità penale e l’emersione del concetto di potere impeditivo. La necessaria giuridicità del potere impeditivo ed il superamento dei limiti insiti nella teoria mista. La ricostruzione dell‟obbligo impeditivo ex art. 40 cpv. c.p. va effettuata altresì alla luce di un ulteriore principio cardine in materia penalistica, il principio di personalità della responsabilità penale, il quale “costituisce il secondo aspetto del principio (..) di legalità” (166) nonché si erge a presidio per “garantire al privato libere 164 Parte della dottrina non ha mancato di rilevare come, se è vero che sono le istanze solidaristiche a giustificare l‟imposizione di comandi, è altresì vero che dette istanze, di per sé sole, non sono sufficienti a legittimare la repressione della condotta omissiva: perché la repressione penale delle violazioni dei doveri giuridici posti dall‟ordinamento sia legittima occorre piuttosto che essa si armonizzi con gli altri principi costituzionali dettati in materia penale (Così I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 41). 165 Tra i principi costituzionali richiamati dalla dottrina vi è anche quello di offensività, il quale, come è noto, «risponde all‟esigenza garantista che la fattispecie omissiva non degradi a reato di mera disubbidienza o di infedeltà nei confronti dello Stato». Ora, tale principio in realtà si riverbera non sul solo elemento dell‟obbligo impeditivo, bensì sull‟intera fattispecie omissiva impropria. Si ritiene che, affinché il principio di offensività sia rispettato, l‟equiparazione tra l‟omissione non impeditiva e la causazione dell‟evento vada effettuata in modo tale che: a) il reato commissivo, suscettibile di conversione ex art. 40 co. 2, sia configurato come reato d‟offesa; b) l‟obbligo di garanzia sia concepito in termini solidaristici e, cioè, delimitato alla protezione di beni bisognosi della tutela rafforzata, essendo i titolari incapaci di proteggerli adeguatamente, e posto a carico di soggetti muniti di effettivi poteri impeditivi; c) che la condotta doverosa sia quella idonea a impedire l‟evento offensivo (Così I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 43 ss.) 166 Così Corte Cost. 364/1988: «A nulla varrebbe, infatti, in sede penale, garantire la riserva di legge statale, la tassatività delle leggi ecc. quando il soggetto fosse chiamato a rispondere di fatti che non può, comunque, impedire od in relazione ai quali non e in grado, senza la benché minima sua colpa, di ravvisare il dovere d‟evitarli nascente dal precetto». 54 scelte d‟azione” (167). Tale principio affonda le sue radici nell‟art. 27 comma 1 della Costituzione; la definizione della portata di esso è stata il frutto di una progressiva e profonda evoluzione concettuale ( 168 ). Il principio di “personalità della responsabilità penale” viene oggi declinato tanto nel suo significato “minimo” di divieto di responsabilità per fatto altrui – il che equivale a dire che si può essere chiamati a rispondere solo per un fatto proprio, cioè realizzato da se medesimi – quanto altresì nel suo significato “più esteso” di responsabilità per fatto proprio colpevole: responsabilità “per fatto proprio colpevole” significa che il soggetto non può essere chiamato a rispondere se non di un fatto da lui oggettivamente commesso (responsabilità per fatto proprio) e che possa essere, al contempo, a lui ricollegabile da un punto di vista psichico, soggettivo. Il soggetto insomma non può essere chiamato a rispondere se non di un fatto commesso con dolo o almeno con colpa (169). 167 Le parole tra virgolette sono ancora tratte da Corte. Cost. 364/1988. 168 Per ragioni di comodità espositiva, si potrebbe tentare di suddividere in fasi l‟evoluzione dell‟approccio della Consulta nei riguardi del principio di colpevolezza. In una prima fase la Corte Costituzionale mostrò di ritenere che il 1° comma dell‟art. 27 Cost. si limitasse a vietare la responsabilità per fatto altrui (vedansi, tra le altre, le sentenze 3/1956 e 107/1957). Si può affermare che si è assistito, poi, ad una seconda fase caratterizzata da una espressa – seppur inizialmente timida – presa d‟atto dell‟esigenza di un quid psichico che leghi il soggetto al fatto commesso; una fase in cui, tuttavia, mai la Consulta pervenne a dichiarazioni di illegittimità costituzionale delle norme impugnate, ritenendo di poter escludere che dette norme – ove correttamente interpretate – contenessero ipotesi di responsabilità oggettiva (si veda, per tutte, la sentenza n. 42 del 1965). La svolta epocale arrivò nel 1988, quando, con le storiche pronunce nn. 364 e 1085, il principio di colpevolezza venne definito nella sua portata e posto a fondamento di dichiarazioni di illegittimità costituzionale delle norme impugnate (rispettivamente, gli articoli 5 e 626, co. 1, n. 1) del codice penale). Tra le pronunce che in cui la Consulta si dedica al principio di colpevolezza, può essere ricordata anche la recentissima sentenza 322/2007: pur condividendo i ragionamenti svolti in premessa dal giudice rimettente e pur ribadendo con decisione i principi espressi nelle pronunce del 1988, la Consulta non ha accolto la questione di illegittimità costituzionale relativa all‟art. 609 sexies c.p., ritenendo tale questione mal posta e dunque inammissibile. Per una – seppur sintetica – ricostruzione dell‟evoluzione della giurisprudenza della Corte Costituzionale sul principio di colpevolezza, vedasi ad esempio R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Roma, 2011, p. 957 ss. 169 «(...) il fatto imputato, perché sia legittimamente punibile, deve necessariamente includere almeno la colpa dell‟agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica» (Corte Costituzionale 364/1988). Ancora, «è indispensabile che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all‟agente (siano, cioè, investiti dal dolo o dalla colpa) ed e altresì indispensabile che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano allo stesso agente rimproverabili e cioè anche soggettivamente disapprovati» (così Corte Costituzionale 1085/1988). Se il soggetto venisse punito anche in assenza di dolo o colpa, la possibilità di incorrere in una sanzione penale finirebbe col dipendere anche da fattori da parte sua incontrollabili, con la conseguenza che egli non sarebbe in grado di programmare la sua vita in modo da sfuggire al rischio di accidentali condanne 55 La “collegabilità” psichica implica che quel fatto sia rimproverabile all‟agente (170); la rimproverabilità si giustifica per il fatto che l‟agente, commettendo quel fatto, si è discostato – volontariamente o per colpa – da quanto l‟ordinamento “si attendava da lui”. Il soggetto viene insomma rimproverato in quanto avrebbe potuto agire diversamente (171). Calando le osservazioni che precedono nel contesto che ci interessa – e cioè quello della responsabilità omissiva – si ha che il soggetto rimproverabile è quello che non ha agito come avrebbe potuto. Detta altrimenti, perché quell‟inerzia gli sia rimproverabile, egli dovrebbe “aver potuto” agire diversamente, egli dovrebbe “aver potuto” impedire l‟evento. Il principio di personalità della responsabilità penale conduce quindi a concentrare l‟attenzione sul profilo del “poter agire”: di una responsabilità per omesso impedimento di un evento può essere chiamato a rispondere solo quel soggetto che avrebbe potuto impedirlo; un obbligo giuridico impeditivo ex art. 40 cpv. può dirsi pertanto sussistente solo laddove vi sia un soggetto munito di veri e propri poteri di impedire l‟evento. In definitiva, il principio di personalità della responsabilità penale conduce a visualizzare – quale elemento cardine di una posizione di garanzia ex art. 40 cpv. – quello dei “poteri impeditivi” (172). (Per tale osservazione, si veda G. FIANDACA -E. MUSCO, Diritto penale, cit., p. 631). 170 Esiste peraltro un indissolubile legame tra la riferibilità psichica del fatto all‟agente, la rimproverabilità di esso, e la funzione rieducativa che la Costituzione pretende dalla pena (art. 27, comma 3 Cost.): è difatti la stessa funzione rieducativa della pena, comunque concepita, a postulare che il fatto addebitato sia psichicamente riportabile, almeno nella forma della colpa, al soggetto da rieducare. Tale considerazione è stata espressa dai giudici della Consulta, i quali, in un passaggio della storica pronuncia 634/1988, hanno affermato che «Collegando il primo al terzo comma dell‟art. 27 Cost. agevolmente si scorge che, comunque s‟intenda la funzione rieducativa di quest‟ultima, essa postula almeno la colpa dell‟agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica. Non avrebbe senso la <rieducazione> di chi, non essendo almeno <in colpa> (rispetto al fatto) non ha, certo, <bisogno> di essere <rieducato>». 171 «La colpevolezza presuppone una libertà di agire dell‟uomo, una libertà del volere (...); non necessariamente un libero arbitrio (...) sì invece una libertà come capacità dell‟uomo, seppure entro certi limiti, di autodeterminarsi, di assumere decisioni, di optare tra più alternative, di scegliere se adeguarsi o ribellarsi al diritto. Senza un tale presupposto, non solo non si comprenderebbero la pena ed il rimprovero, ma, più radicalmente, non si comprenderebbero le norme come richieste di comportamenti e impositrici di doveri (...). Dalla libertà di agire (o del volere) del genere uomini si deduce la libertà di agire (o del volere) del singolo individuo che si reso autore del fatto» M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., pre-art. 39, paragrafi 71 e 74. Poco più avanti l‟Autore afferma che la colpevolezza ha come presupposto proprio il “potere agire diversamente”. 172 “(...) i limiti del potere segnano, per ciascun obbligato, il limite invalicabile della garanzia esigibile”: in tali termini, plasticamente, Relazione al «Progetto preliminare di riforma del codice penale» - Parte 56 Per “poteri impeditivi” vanno intesi dei poteri di vigilanza e controllo su una situazione di pericolo, poteri di inibirne lo sviluppo, di intervenire sulla situazione stessa con un intervento così penetrante da poter garantire seriamente l‟impedimento dell‟evento lesivo (173). E‟ proprio l‟esistenza di tali poteri (174) a consentire l‟equiparazione del mancato impedimento dell‟evento alla sua attiva causazione . Da qui dinnanzi la riflessione sull‟obbligo impeditivo ex 40 cpv. viene articolata nel seguente percorso argomentativo: 1) il tratto caratterizzante l‟obbligo giuridico impeditivo ex 40 cpv. c.p. (alias “posizione di garanzia”) consiste nella sussistenza di veri e propri poteri impeditivi dell‟evento (Come si è visto poco sopra, a tale asserzione conduce una lettura di tale obbligo alla luce del principio di personalità della responsabilità penale); 2) l‟obbligo giuridico ex art. 40 cpv. c.p. deve necessariamente affondare le proprie radici in una fonte giuridica formale (a tale asserzione conduce, come si è visto nel paragrafo che precede, la lettura di tale obbligo alla luce del principio di legalità). Se si concorda con i punti di cui ai numeri 1) e 2), non si può se non concludere nel senso che proprio l‟elemento che contraddistingue la posizione di garanzia – e cioè la sussistenza dei poteri impeditivi suddetti – debba avere una fonte giuridico-formale. detta in altri termini, i poteri impeditivi a disposizione del garante debbono necessariamente essere poteri impeditivi di tipo giuridico: “la giustificazione dell‟equivalenza normativa tra causazione attiva e omissione non impeditiva risiede nella natura giuridica del potere impeditivo. Il riferimento alla natura giuridica del potere impeditivo consente di appagare una duplice esigenza: il rispetto del principio di legalità formale; il rispetto del principio di responsabilità per fatto proprio” (175). Ciò significa che i poteri impeditivi – quei poteri i quali, per così dire, sottostanno generale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, p. 596. 173 Già negli anni Ottanta la dottrina – nel tentare di rintracciare gli elementi caratterizzanti dell‟obbligo impeditivo ex art. 40 cpv c.p. - era giunta a focalizzare l‟attenzione proprio sul concetto del “potere necessario ad impedire”: «(...) ci sono alcune volte che il legislatore, sul presupposto di una particolare posizione di potere di determinati soggetti, si attende ed impone un‟azione, per così dire, «risolutiva», nel senso di attendersi ed imporre un intervento penetrante che effettivamente impedisca il verificarsi dell‟evento criminoso» (A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni, cit., pp. 201-202). 174 Sul rapporto che intercorre tra il concetto di “potere impeditivo” e le teorie della “signoria sugli accadimenti”, si tornerà poco più avanti, sempre nel presente paragrafo. 175 I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 39. 57 all‟obbligo di garanzia e sono indispensabili per adempiere all‟obbligo stesso – devono essere conferiti al garante da una specifica norma. Bene, si può a questo punto senz‟altro prendere atto del fatto che la ricostruzione dell‟elemento dell‟“obbligo giuridico impeditivo” alla luce dei principi costituzionali abbia condotto al seguente approdo: ciò che contraddistingue l‟obbligo rilevante ai sensi dell‟art. 40 cpv. – detta in altri termini, ciò che contraddistingue la posizione di garanzia – è la presenza di poteri giuridici impeditivi. Ciò significa che una vera e propria posizione di garanzia potrà dirsi sussistente laddove – e soltanto laddove – possa essere ravvisata una corrispondenza tra l‟obbligo di impedire un evento ed un simmetrico complesso di poteri – pur sempre giuridici – impeditivi (176). La sussistenza di poteri giuridici impeditivi appare dunque essere – alla luce delle più recenti riflessioni sul tema – la condicio sine qua non per poter parlare di responsabilità per omesso impedimento dell‟evento (177). Sul concetto di “poteri giuridici impeditivi” sembra opportuno soffermare ancora l‟attenzione, indirizzandola in particolar modo verso due ordini di riflessioni: 1) appare interessante cercare di analizzare in quale misura il concetto di “potere giuridico impeditivo” sia debitore delle tesi sulla signoria fattuale ed in quale misura invece si sia emancipato da quelle; 2) appare importante osservare come l‟elaborazione del concetto di potere giuridico impeditivo abbia consentito di superare quei limiti in cui era incappata la teoria mista (178). Si comincerà proprio con lo spunto di riflessione da ultimo descritto. Si è già spiegato sopra che secondo l‟impostazione cosiddetta mista, una responsabilità per omesso impedimento dell‟evento può essere affermata - sussistendone tutti i presupposti – laddove esista una posizione di garanzia fondata su di un dovere giuridico: per dirla in più diffusi termini, la teoria mista si è proposta di impiegare sia il criterio suggerito dalla impostazione formale – ritenendo dunque necessario l‟elemento 176 A tale conclusione approdano ad esempio I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 49, ID., voce “Reato omissivo”, cit., p. 40; N. PISANI, Controlli sindacali, cit., p. 51; F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, Milano, 2009, p. 164 e ss.. 177 «La garanzia dei beni in gioco, là dove esiga la statuizione di doveri di attivarsi, non può che essere affidata a soggetti i quali abbiano il potere (giuridico e fattuale) di assicurare l‟adempimento» (Relazione al «Progetto preliminare di riforma del codice penale» - Parte generale, cit., p. 596). 178 58 Si veda supra, primo paragrafo della presente sezione. della giuridicità del dovere impeditivo – sia il criterio suggerito dalla concezione sostanziale – ritenendo dunque necessaria la presenza di un vero e proprio rapporto di garanzia. I problemi sono nati allorché la dottrina più recente ha preso atto della reale incapacità di tali due criteri di integrarsi fra loro ed “interagire”: il concetto della “posizione di garanzia” risultava troppo evanescente e quindi incapace di operare una selezione tra la molteplicità dei doveri previsti dall‟ordinamento. Ecco, la elaborazione del concetto di “poteri giuridici impeditivi” ha consentito proprio di superare l‟impasse. Si ritiene di poter affermare che ciò sia stato reso possibile grazie ad una sorta di inversione nell‟ordine degli steps lungo i quali si snoda il ragionamento sul tema: per comprendere dove fosse possibile ravvisare un obbligo rilevante ex art. 40 cpv., la teoria mista riteneva di dover prima di tutto riscontrare la presenza di un dovere giuridico, e poi vedere se esso corrispondesse o meno ad una vera e propria posizione di garanzia ( 179 ); le impostazioni dottrinarie più recenti ( 180 ) invece, sempre al fine di comprendere dove vada ravvisato un obbligo rilevante ex art. 40 cpv., hanno considerato in primis il concetto sostanziale di “posizione di garanzia”, hanno individuato l‟elemento che la contraddistingue – e cioè la presenza di veri e propri poteri impeditivi – e infine – in conformità al disposto di cui all‟art. 40 comma 2 nonché in ossequio al principio costituzionale di riserva di legge – hanno ancorato tale elemento distintivo alla giuridicità formale (181). In tal modo l‟integrazione tra criteri formali e criteri sostanziali appare essere reale e feconda. Sui contorni e sui caratteri dell‟obbligo di garanzia verrà soffermata l‟attenzione 179 A conferma del fatto che l‟analisi di tipo funzionale veniva fatta seguire al riscontro della presenza di un dovere giuridico, vedasi G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 242-243: «All‟indagine di tipo formale (sulla fonte della situazione di obbligo) dovrà far seguito, quindi, un‟indagine di tipo funzionale per valutare se l‟obbligo de quo, per il suo contenuto, il suo significato, la sua funzione assuma la «consistenza» di un obbligo di garanzia». 180 181 Vedi supra, nel presente paragrafo. «(...) la figura della cosiddetta posizione di garanzia, originariamente sorta nella dottrina tedesca sulla base di concezioni sostanzialistico-funzionali, per conservare validità nel nostro ordinamento, fondato sul principio di legalità formale, deve essere ancorata a tale principio. E, cioè, deve trovare fondamento giuridico (...) A nostro avviso (...) non solo l‟obbligo, ma anche tale vincolo di tutela, che lega il garante al bene protetto dall‟incriminazione, deve avere natura giuridica. Più precisamente, deve trattarsi di un vincolo giuridico, che formalizza il “rapporto di dipendenza” sussistente tra l‟azione doverosa del garante e la tutela del bene giuridico (...) “è necessario a nostro avviso ricondurre il concetto di Garantenstellung al principio di legalità formale, identificandola nel complesso di poteridoveri giuridici impeditivi...» (I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 68 ss.). 59 nel prossimo paragrafo. Qui di seguito ci si dedicherà invece a quello che, poco sopra, era stato indicato come un opportuno spunto di riflessione in tema di poteri giuridici impeditivi: cercare di individuare la portata dei poteri suddetti nonché di capire in che misura il concetto di “potere giuridico impeditivo” derivi dalle teorie sul “potere di signoria”, ed in che misura invece esso se ne distanzi. Come già detto, la dottrina fautrice della teoria sull‟obbligo di garanzia afferma che l‟elemento caratterizzante tale obbligo – cioè il potere impeditivo – deve necessariamente essere un potere di tipo giuridico (182). Non può dunque trattarsi né di una mera possibilità materiale di impedire l‟evento – ché la mera impedibilità materiale non sarebbe idonea a distinguere la posizione di un garante da quella di un soccorritore occasionale – né di un dominio sul decorso causale (Herrschaftstheorie) (183), né di un “potere di signoria fattuale su alcune condizioni essenziali dell‟evento tipico” (184) (185). Su quest‟ultimo punto è bene soffermare l‟attenzione: è opportuno difatti chiarire quale rapporto intercorra tra il concetto di “potere giuridico impeditivo” e le teorie sul “dominio”, sul “potere di signoria” sul decorso causale e fattuale. Volendo anticipare da subito quelle che saranno le conclusioni delle brevi riflessioni a seguire, si può affermare che il concetto di “potere giuridico impeditivo” è, da un lato, senz‟altro debitore delle teorie sul dominio causale; dall‟altro lato, invece, esso si distanzia da quelle teorie. Il debito che il concetto di potere impeditivo ha nei confronti delle teorie sul dominio causale consiste in ciò: nel fatto che “la piena emersione del ruolo del potere di impedimento come requisito fondante la posizione di garanzia si deve, nel panorama 182 Vadasi per tutti I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 71 ss.. 183 Si veda retro, Capitolo III, Sezione III. 184 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 163. Si veda retro, nel capitolo I sezione III, il paragrafo dedicato alla teoria cosiddetta sostanziale. 185 Né può trattarsi di un potere inteso, alternativamente, come fattuale (quando trattisi di obblighi di protezione o di controllo) o giuridico (quando trattasi di obblighi di impedire il reato commesso da altri). Per la critica alla impostazione subito sopra descritta, vedasi I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 73. Per l‟analisi della consistenza che devono assumere i poteri impeditivi, quando trattasi di obblighi di impedire il reato commesso da altri, vedi infra, Sezione II del presente capitolo. 60 scientifico penale, alla teoria sul dominio (Herrschaftstheorie)” (186). Va difatti riconosciuto alle “teorie sulla signoria sull‟accadimento” il merito di aver intuito la ratio della responsabilità per omesso impedimento dell‟evento (187): di aver intuito, cioè, che la equiparazione tra l‟omissione e la causazione si giustifica per il fatto che il garante tiene sotto il suo perdurante controllo i fattori di rischio; che deve esistere, quindi, una piena corrispondenza tra i doveri impeditivi ed i poteri di cui il garante dispone. Si è visto dunque come il concetto di potere giuridico impeditivo affondi le sue radici concettuali nelle cosiddette teorie sul dominio. Tuttavia, come si è anticipato sopra, il concetto di potere giuridico impeditivo, pur prendendo le mosse da quelle teorie, si è da esse distaccato. La dottrina che si è occupata del tema ha difatti progressivamente preso atto dell‟insufficienza del criterio del “potere naturalistico di intervento” a fondare un obbligo rilevante si sensi dell‟art. 40 comma 2 c.p. ( 188 ), sino ad affermare senza titubanze che: a) il potere naturalistico (signoria fattuale) sul decorso causale non è detto che sia necessario (189); b) il potere naturalistico non è in ogni caso sufficiente (190); c) è dunque necessario che il potere impeditivo – così come il dovere impeditivo – sia previsto da una fonte formale: ciò, in conformità al disposto dell‟art. 40 comma 2 c.p., al principio costituzionale di legalità nonché in conformità alla natura normativa della 186 N. PISANI, Controlli sindacali, cit., p. 43. 187 In tali termini I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 72. 188 In tal senso si vedano, fra gli altri, G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 239-242; A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni, cit., p. 186 e p. 225, N. PISANI, Controlli sindacali, cit., pp. 45 e 50. 189 Vengono portati come esempi tutti quei casi in cui il garante non sia in grado di intervenire in prima persona sul decorso causale (ad esempio un processo patologico) ma debba ricorrere ad un altro soggetto (ad esempio un medico, perché questi rimuova la situazione di pericolo per il bene) (Così I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 73). 190 Tutt‟altro: «a sviluppare (...) coerentemente la teoria del dominio sull‟accadimento si dovrebbe arrivare a conclusioni poco convincenti»; ciò in quanto «si dovrebbe giungere alla conclusione che il passante che versando nella situazione descritta dall‟art. 593 c.p., omettesse di intervenire, causando la morte del pericolante, dovrebbe rispondere di omicidio per omissione o semplicemente di omissione di soccorso a seconda che avesse o non una misura così alta di potere (naturalistico) di salvataggio» (Così A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni, cit., p. 202). 61 omissione (191). 2.4. L’approdo raggiunto dalle più recenti elaborazioni dottrinarie: l’obbligo impeditivo ex art. 40 cpv. c.p. deve essere inteso come “obbligo di garanzia”. La ricostruzione dell‟obbligo impeditivo ex art. 40 cpv. c.p. alla luce dei principi costituzionali che governano la responsabilità penale; le suggestioni provenienti dalle “teorie sul dominio”, emancipate dal riferimento al mero potere naturalistico ed agganciate ad una base formale; l‟avvertita necessità di raggiungere una integrazione efficace e feconda tra criteri formali e criteri sostanziali: tutti gli elementi appena descritti hanno svolto il ruolo di affluenti, i quali hanno portato acqua verso un‟unica foce: l‟ancoraggio della “posizione di garanzia” - e del suo requisito contenutistico, consistente, come si è visto sopra, nei poteri propriamente impeditivi – all‟elemento della giuridicità formale ( 192 ). Ecco dunque che alla posizione di garanzia, nel suo complesso, sono state assegnate una nozione, ed una consistenza, di tipo “giuridicoformale”(193): ciò è avvenuto richiedendo che “non solo il dovere di agire, ma anche la 191 Così I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 73. L‟Autrice, laddove elenca i limiti delle tesi sulla signoria sul decorso causale, descrive in primis il seguente: «contraddittoriamente si pretende di spiegare la causalità omissiva, cui si nega qualsiasi consistenza fisica, proprio con il concetto naturalistico del dominio fattuale sul decorso causale, fondandosi la punibilità per il reato omissivo improprio su un‟impossibile «efficienza causale» dell‟omissione, anziché sul suo equivalente normativo». 192 Si ritiene di poter affermare che, volendo ripercorrere la linea evolutiva delle teorie (sviluppate dalla dottrina italiana) sulle fonti dell‟obbligo impeditivo ex art. 40 cpv., il tracciato potrebbe essere disegnato come segue: l‟impostazione primigenia e tradizionale ravvisava il fondamento dell‟obbligo ex 40 cpv. in una necessaria fonte formale; la concezione sostanziale si proponeva di guardare alla funzione della responsabilità per omesso impedimento, e la ravvisava nella sussistenza di specifici vincoli di garanzia, cioè nella posizione di garanzia; la teoria mista si prefiggeva di applicare “consecutivamente” entrambi i criteri, quello formale e quello sostanziale. Bene, si può notare come le più recenti elaborazioni dottrinarie, pienamente consapevoli del fondamento e della consistenza della “funzione di garanzia”, vadano alla ricerca, per così dire, della giuridicità di essa: l‟ultimo approdo dell‟evoluzione dogmatica in materia sarebbe pertanto costituito da una sorta di “nozione giuridico-formale della posizione di garanzia”. 193 Di “ricostruzione in termini giuridico-formali del concetto di posizione di garanzia” parla espressamente I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 77. 62 funzione di garanzia trovi riscontro in una previsione formale” (194). L‟obbligo rilevante ex art. 40 cpv. è stato insomma ricostruito come “obbligo di garanzia” (195) : l‟obbligo davvero rilevante ex art. 40 cpv. – l‟unico obbligo violando il quale si può essere chiamati a rispondere, sussistendone tutti gli altri presupposti, come se si fosse cagionato un evento – è l‟obbligo che abbia la “consistenza” di un obbligo di garanzia. L‟obbligo di garanzia viene definito come “quell‟obbligo giuridico, gravante su specifiche categorie di soggetti (c.d. garanti), muniti dei necessari poteri giuridici, di vigilare e intervenire direttamente sulla situazione di pericolo per impedire eventi lesivi degli altrui beni, la cui tutela è loro «affidata», per l‟incapacità dei titolari di salvaguardarli appieno (196)” (197). Da qui dinnanzi si procederà come segue. In un primo momento verrà effettuata una elencazione – la quale, in buona parte, coinciderà con una ricapitolazione – dei caratteri qualificanti gli obblighi di garanzia. In un secondo momento, proprio facendo leva sui caratteri suddetti, verrà tratteggiata una distinzione tra gli obblighi di garanzia ed altre tipologie di obblighi – gli obblighi di sorveglianza e gli obblighi di attivarsi – i quali, seppur presentino delle affinità con i primi, non vanno con quelli confusi. Iniziando dai caratteri dell‟obbligo di garanzia, va detto che esso - così come si è già ampiamente osservato – deve trovare la sua fonte nella legge o in un altro atto dotato 194 I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 193. Si ritiene opportuno riportare qui di seguito l‟intero passaggio argomentativo: «(...) occorre (..) puntualizzare quanto già presente in nuce nella concezione «mista». Da essa, infatti, può logicamente ricavarsi un terzo, fondamentale profilo della fattispecie omissiva impropria, oltre a quelli prima indicati (necessaria giuridicità formale dell‟obbligo di garanzia, ricavabile dalla tesi formale; e sua funzione di tutela rafforzata, ricavabile dalla tesi sostanzialistico-funzionale”, e, cioè, il necessario fondamento giuridico-formale della Garantenstellung nel suo complesso. Da quest‟angolo visuale, il criterio di selezione degli obblighi di garanzia rispetto agli altri obblighi di attivarsi, indicato dalla concezione mista (e, cioè, che si tratti di obblighi giuridici, espressamente previsti da una fonte formale; e che rispondano alla funzione di garanzia) deve essere integrato, richiedendo che non solo il dovere di agire, ma anche la funzione di garanzia trovi riscontro in una precisione formale. E, come si è visto, ciò che rende riconoscibile sotto il profilo giuridico-formale tale funzione di garanzia (...) è la previsione normativa del complesso dei poteri giuridici, di vigilanza e intervento (c.d. impeditivi) , spettanti al garante». 195 Tale locuzione - “obbligo di garanzia” - sta proprio ad esprimere l‟ancoraggio formale (“obbligo”) della funzione di garanzia. 196 I corsivi sono nostri. Con essi si è inteso evidenziare i requisiti che devono essere posseduti dall‟obbligo di garanzia; tali requisiti condensano i frutti di quelle riflessioni – compiute sul tema dalla dottrina più recente – di cui si è dato conto nei paragrafi che precedono. 197 I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 79. Similmente F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 2007, p. 156 ss.. 63 del carattere della giuridicità formale (198). È sempre dal rispetto del principio di legalità (199) che scaturisce l‟ulteriore requisito dell‟obbligo di garanzia: esso deve preesistere rispetto al verificarsi del presupposto di fatto che attualizza lo specifico obbligo di impedire l‟evento. La preesistenza dell‟obbligo implica la necessaria sussistenza di una regolamentazione giuridica – preesistente, appunto – la quale disciplini i doveri ed i (corrispondenti) poteri del garante (200). Ciò che conta, dunque, al fine di poter riscontrare la presenza di un obbligo di garanzia, è che vi sia una specifica norma (o un insieme di norme) che attribuisce una posizione di garanzia ad un soggetto, posizione di garanzia che preesiste rispetto alla situazione di pericolo (o comunque alla situazione di fatto) che attualizza l‟obbligo di attivarsi (201). Ancora, la regolamentazione giuridica de qua deve conferire al garante i poteri per esplicare un intervento che sia valutabile, già sul piano astratto, come un intervento immediatamente diretto “sulla” situazione di pericolo e come un intervento (potenzialmente) risolutivo ( 202 ): solo laddove il garante disponga di poteri giuridici effettivamente risolutivi, può risultare soddisfatta la funzione profonda della responsabilità per omesso impedimento dell‟evento e, dunque, allo stesso tempo, può 198 Sulle conseguenze della nuova concezione in ordine a quelle che possono essere le fonti formali dell‟obbligo impeditivo, si veda infra, ultimo paragrafo della presente Sezione. 199 In tal senso I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 74. 200 Secondo parte della dottrina tale preesistente regolamentazione giuridica deve essere necessariamente una regolamentazione extrapenale, nel senso che essa non può essere tratta dalla norma incriminatrice stessa. Ancora, proprio facendo leva sul carattere della necessaria preesistenza della regolamentazione, parte della dottrina esclude che l‟obbligo di garanzia possa nascere autonomamente da una norma incriminatrice sul reato omissivo proprio: la norma che incrimina un reato omissivo proprio si limita a sancire un obbligo, ricollegandone l‟insorgenza al verificarsi di un determinato presupposto; l‟obbligo di garanzia, al contrario, presuppone l‟esistenza di una disciplina preesistente, appunto, rispetto al verificarsi del presupposto che attualizza l‟obbligo stesso, disciplina che forgia i contorni (doveri e poteri) di esso. (Sulla natura, extrapenale o penale, della legge contenente l‟obbligo impeditivo, vedasi retro, Capitolo I Sezione III e infra, ultimo paragrafo della presente sezione). 201 Appare interessante notare come, già negli anni Ottanta, parte della dottrina, nel tentare di ravvisare i caratteri distintivi dell‟obbligo impeditivo di cui all‟art. 40 cpv, avesse puntato l‟attenzione sull‟elemento del preventivo conferimento di poteri. Ci si riferisce in particolar modo a A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni, cit., p. 203. L‟Autore, in quel contesto, rifletteva sui caratteri distintivi dell‟obbligo giuridico impeditivo al fine di poter stabilire se un tale obbligo potesse o meno ritenersi sussistente in capo ad un “dante incarico”, cioè ad un soggetto che aveva trasferito le proprie funzioni mediante una delega. 202 64 I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 77. apparire giustificata l‟equiparazione dell‟omesso impedimento alla causazione attiva (203). Altri caratteri fondamentali dell‟obbligo di garanzia sono quelli già anticipati sopra, nel paragrafo dedicato alla lettura “costituzionalmente orientata” dell‟obbligo ex art. 40 cpv.: per ciò che concerne il contenuto, l‟obbligo di garanzia deve essere un obbligo sufficientemente specifico, in ossequio al principio di tassatività; per ciò che concerne i destinatari, esso può gravare soltanto su specifiche categorie di soggetti; per ciò che riguarda il rapporto con il bene da proteggere, tra il bene stesso ed il garante deve intercorrere un vero e proprio rapporto di dipendenza. Per poter rilevare ai sensi dell‟art. 40 cpv., un obbligo giuridico deve possedere, dunque, tutti i requisiti qui sopra analizzati. Non appare inopportuno compiere da ultimo una precisazione, di carattere terminologico e non solo. Se l‟obbligo rilevante ex art. 40 cpv. va ricostruito con tutti i caratteri che si sono visti sopra – e se, pertanto, la funzione di garanzia, la quale si esprime nella sussistenza di poteri (oltre che doveri) impeditivi, deve essere “giuridicamente” contemplata e prevista che ne è della “vecchia” concezione – nonché della relativa terminologia – di - “posizione di garanzia”? Si ricorda qui per inciso che il termine “posizione di garanzia”, coniato nelle sedi di elaborazione delle teorie sostanzial-funzionaliste, è poi diventato una formula alla moda, una formula di assoluta tendenza, per riferirsi, in generale, all‟obbligo giuridico impeditivo di cui parla il comma 2 dell‟art. 40 del codice penale (204). Bene, la dottrina non ha mancato di osservare che «la nozione di matrice tedesca di «posizione di garanzia» (...) può essere (...) conservata solo a patto che il concetto di posizione di garanzia venga ricostruito nei termini giuridico-formali sopra indicati (...) cioè come posizione giuridica di garanzia (...)» (205). 203 204 In tal senso I. LEONCINI, op. loc. ult. cit.. Vedi retro, Capitolo I, Sezione III. 205 I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 78. L‟Autrice precisa che il passaggio dalla locuzione “posizione di garanzia” alla locuzione “posizione giuridica di garanzia” non si risolverebbe in una mera variazione terminologica. Tutt‟altro, «il riferimento ad una nozione giuridico-formale (anziché meramente fattuale) di posizione di garanzia ha importanti riflessi pratici»: ad esempio, per ciò che concerne l‟identificazione del momento dell‟insorgenza dell‟obbligo di garanzia «non si dovrà guardare, come per opinione relativamente diffusa si ritiene, alla «assunzione» (fat- 65 2.5. L’“obbligo di garanzia” deve essere distinto dagli obblighi di attivarsi (segue). A questo punto, come si è già anticipato sopra, l‟attenzione dovrà essere focalizzata sulla distinzione – non sempre cristallina, eppur necessaria da compiere – tra “obblighi di garanzia” rilevanti ex art. 40 cpv. ed altre categorie di obblighi. È stata proprio la ricostruzione dell‟obbligo impeditivo di cui parla l‟art. 40 c.p. nei termini sopra descritti, che ha condotto la dottrina a differenziare, a distanziare, un tale obbligo da altri obblighi i quali – sebbene presentino dei tratti di vicinanza con l‟obbligo di garanzia – tuttavia non manifestano tutti i caratteri di quello. La classificazione che è stata forgiata contrappone gli obblighi di garanzia agli obblighi che sono stati nominati “di attivarsi” nonché agli obblighi che sono stati nominati “di sorveglianza”. Si osserva per inciso – ma sul tema si avrà modo di tornare più volte - che la tripartizione suddetta è ben lontana dall‟avere un rilievo meramente terminologico: incasellare un determinato “obbligo di fare” (206) nell‟una o nell‟altra categoria importa conseguenze dirompenti da un punto di vista penalistico. Difatti soltanto laddove venga violato un obbligo al quale possono essere riconosciuti i tratti del vero e proprio obbligo di garanzia, l‟autore della violazione, sussistendone tutti i presupposti, può essere chiamato a rispondere – non di una sanzione (penale, civile, amministrativa o, perché no, soltanto disciplinare) prevista ad hoc per l‟“inadempimento” dell‟obbligo, bensì – dell‟evento non impedito, allo stesso modo in cui sarebbe stato chiamato a rispondere se lo avesse (fisicamente, naturalisticamente) cagionato. Ciò in quanto - come detto già più e più volte – solo il vero e proprio obbligo di garanzia è quello che può rilevare ex art. 40 cpv. c.p.. Prima di entrare in medias res, analizzando nei loro contenuti le categorie degli tuale e concreta) da parte del soggetto dei compiti di protezione od di controllo, bensì al momento in cui, in base ad una specifica norma, il garante risulti giuridicamente investito dei poteri-doveri impeditivi». 206 Si è impiegata appositamente una locuzione – quella di “obbligo di fare” - generica ed atecnica, la quale fosse tuttavia in grado di richiamare alla mente un “dovere positivo” e, dunque, in caso di inadempimento, la configurazione di una responsabilità di tipo omissivo. 66 obblighi cosiddetti di attivarsi e di quelli di sorveglianza, appare opportuno soffermarsi a compiere un paio di osservazioni preliminari. Innanzitutto appare opportuno compiere una breve “contestualizzazione” della tripartizione summenzionata: le categorie nominate “obblighi di sorveglianza”, “obblighi di attivarsi” e “obblighi di garanzia” sono anch‟esse (207) di conio dottrinario ( 208 ); la percezione di tali categorie ha faticato a penetrare tanto nelle stesse sedi dottrinarie quanto, ancor di più, nella prassi giurisprudenziale (209). Si anticipa sin da subito che con tali categorie la giurisprudenza sta oggi prendendo lentamente confidenza (210) e che di essa si rinviene traccia in alcuni recenti progetti di riforma del codice penale (211). 207 Di conio dottrinario, come si è già detto, era pure la locuzione “posizione di garanzia”. Ciò non fa che testimoniare, ad avviso di chi scrive, come ci si trovi all‟interno di una materia in cui – stante la (insopportabile) laconicità del testo normativo di riferimento – è grazie agli sforzi degli interpreti che si cerca di delimitare le terre e di segnare contorni e confini della penale responsabilità. 208 Quando si parla di conio dottrinario, ci si riferisce in particolare a F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 1992, pp. 197 ss.; IDEM, L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi, cit., pp. 342 ss.; I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., passim. Si ritiene di poter affermare che un antesignano della tripartizione “obblighi di garanzia/obblighi di sorveglianza/obblighi di attivarsi” possa essere considerato A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni, cit., passim. Ciò, nei termini che verranno qui di seguito precisati. L‟Autore nella sua opera monografica ha indagato, tra le altre cose, la consistenza degli obblighi di sorveglianza residuanti in capo al dante incarico, domandandosi se tali obblighi potessero o meno integrare quelli di cui parla l‟art. 40 cpv. Ora, sebbene la distinzione terminologica (obblighi di garanzia/ obblighi di sorveglianza) non appaia compiutamente messa a fuoco (vedansi in particolare pp. 199, 211), il problema sostanziale sotteso a quella distinzione era già stato pienamente colto: ad essere percepito, cioè, è stato il fatto che vi sono obblighi i quali – seppur risultano muniti di uno specifico contenuto di vigilanza e sorveglianza – tuttavia non possono sic et simpliciter essere ricondotti agli obblighi impeditivi di cui parla l‟art. 40 cpv c.p.. 209 Nel 1999 in dottrina si scriveva che «le distinzioni tra mero obbligo di attivarsi e di garanzia e, soprattutto, tra quest‟ultimo e quello di sorveglianza appaiono, finora, insufficientemente penetrate sia nell‟elaborazione teorica, sia, e soprattutto, nella prassi giurisprudenziale. Quanto alla dottrina (...) la necessità di una netta distinzione tra le suddette categorie di obblighi e, segnatamente, tra quello di garanzia e di sorveglianza, è emersa solo in tempi recentissimi, e sembra ancora trascurata dalla maggioranza degli autori (...). Peraltro, anche qualora distinzioni tra i vari tipi di obblighi di agire siano poste in astratto, vi è una consistente disparità di vedute sui criteri distintivi, sulle ipotesi riconducibili all‟una o all‟altra categoria. (...) Passando alla giurisprudenza, (...) emerge un quadro ancor più incerto e confuso di quello precedentemente osservato. Qui, infatti, le necessarie distinzioni concettuali tra obblighi di attivarsi, di garanzia e di sorveglianza (...) appaiono spesso completamente trascurate» (I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 19-27). L‟Autrice prosegue denunciando come il tema in esame sia «tra quelli che maggiormente rivelano la progressiva allarmante frattura, che sta sempre più venendo a caratterizzare il rapporto tra elaborazione dogmatica e prassi applicativa nel nostro ordinamento». 210 Si rinvia infra al capitolo III. 211 Si veda infra capitolo IV. 67 In secondo luogo ci preme rilevare come l‟impiego dei termini “obblighi di garanzia”/ “obblighi di attivarsi”/“obblighi di sorveglianza” - ove effettuato senza piena cognizione di causa – rischi di ingenerare quanto mai pericolosi equivoci. Difatti attribuendo a tali termini un significato fedele a quello elaborato dalla impostazione teorica che ha coniato la tripartizione suddetta, le categorie degli “obblighi di sorveglianza” e degli “obblighi di attivarsi” vanno intese come autonome categorie di doveri di agire, cioè come categorie che si situano – rispetto a quelle degli obblighi di garanzia ex art. 40 cpv. – in termini di netta contrapposizione. Accade invece che spesso i termini “obblighi di sorveglianza”; “obblighi di garanzia”, “obblighi di attivarsi”, vengano impiegati in un senso per così dire atecnico e promiscuo. Ad esempio talora accade che si impieghi il termine di “obbligo di sorveglianza” - anziché per intendere una categoria diversa dall‟obbligo di garanzia rilevante ex art. 40 cpv. - per riferirsi, con esso, a determinati doveri (di sorveglianza, appunto), gravanti su di un soggetto reputato garante: per dirla altrimenti, talora il termine “obbligo di sorveglianza” viene impiegato per indicare taluni degli obblighi del garante (o comunque di un soggetto reputato tale), cioè per indicare talune delle funzioni che competono al garante. I paventati rischi di confusione terminologica compaiono massicci, ad esempio, nell‟ambito della delega di funzioni: in tale contesto, infatti, il termine “obblighi di sorveglianza” è stato spesso impiegato per indicare quei doveri “residuali” gravanti sul soggetto delegante, soggetto il quale veniva considerato (ancora) titolare di una posizione di garanzia (212). Bene, da qui dinnanzi, quando si impiegheranno i termini “obbligo di attivarsi” e “obbligo di sorveglianza”, lo si farà in senso, per così dire, tecnico: essi verranno intesi come categorie di obblighi contrapponentisi agli obblighi di garanzia; obblighi di garanzia i quali, soli, possono fondare, se violati, una responsabilità per omesso impedimento dell‟evento. Compiute le precisazioni che precedono ci si dedicherà ora all‟analisi delle categorie degli obblighi di attivarsi e di quelli di sorveglianza. 212 In tal senso vedasi ad esempio I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 151, nota 94. La confusione che spesso si fa registrare in tema di delega di funzioni conferma proprio quanto esposto nel corpo del testo, e cioè il fatto che spesso il termine “obblighi di sorveglianza” viene impiegato non come categoria autonoma e distinta rispetto all‟obbligo di garanzia, bensì come termine che indica alcuni dei doveri gravanti sul soggetto titolare di un obbligo (reputato essere) di garanzia. Sul tema della delega di funzioni, si veda infra, capitolo III. 68 Con la locuzione “obblighi di attivarsi” la dottrina più recente intende riferirsi a dei doveri di agire, che si attualizzano al verificarsi di un determinato presupposto (atto o fatto giuridico) indicato da una norma. La norma in questione può essere una norma extrapenale – in tale caso la disciplina nonché l‟eventuale sanzione per la violazione si esauriscono in altri rami del diritto (213) - oppure una norma penale; in tale ultimo caso ci si troverà dinnanzi ad una norma penale che incrimina un reato di tipo proprio (214). L‟obbligo di attivarsi si caratterizza per via del fatto che il rapporto sussistente tra il soggetto obbligato (a fare qualcosa) ed il bene (che dalla prescritta azione risulterebbe tutelato) non preesiste: tale rapporto è creato direttamente dalla norma (incriminatrice) che pone l‟obbligo stesso; l‟obbligo di attivarsi insorge solo e soltanto nel momento in cui si verifica il presupposto indicato dalla norma stessa. Gli obblighi di attivarsi possono essere rivolti sia alla generalità dei consociati (si pensi agli obblighi di cui agli articoli 593, 694, 364 del codice penale), sia a specifiche categorie di soggetti ( 215); in ogni caso si tratta di destinatari privi dei doveri-poteri giuridici impeditivi di eventi determinati. Ora, le differenze tra l‟obbligo di attivarsi e l‟obbligo di garanzia risultano evidenti. Gli obblighi di garanzia gravano sempre su categorie (pre-)determinate di soggetti ( 216 ) mentre gli obblighi di attivarsi possono anche gravare sul quisque de populo (si pensi al soggetto che, passeggiando per strada, si imbatte per caso in un corpo umano che sia o sembri inanimato). Ciò che maggiormente distingue gli obblighi di attivarsi da quelli di garanzia è l‟elemento della preesistenza: l‟obbligo di garanzia difatti, per essere realmente impeditivo, deve essere considerato tale già in astratto, con il conferimento al garante di specifici poteri giuridici di vigilanza e intervento sulla situazione di pericolo, preesistenti al verificarsi della stessa; l‟obbligo di attivarsi invece sarebbe caratterizzato 213 In tal senso I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 55. 214 Vedi retro, capitolo I sezione I. 215 In dottrina si fa l‟esempio degli obblighi di denuncia di cui agli articoli 361, 362 e 365 c.p., gravanti, rispettivamente, sui pubblici ufficiali, sugli incaricati di un pubblico servizio e sugli esercenti una professione sanitaria. 216 69 Come rilevato sopra, il reato omissivo improprio è un reato proprio. da poteri di intervento meramente fattuali e contingenti (217). Bene, dalla violazione di un obbligo di attivarsi non può mai discendere una responsabilità per omesso impedimento dell‟evento (218), poiché l‟obbligo di attivarsi non può in alcun modo – per tutte le ragioni viste sopra – essere assimilato ad un obbligo giuridico impeditivo dell‟evento ex art. 40 cpv. c.p.. 2.6. (segue) ... e dagli obblighi di mera sorveglianza. Si può analizzare ora l‟ultima delle tre categorie di obblighi, quella degli obblighi di sorveglianza. Le elaborazioni teoriche fautrici della tripartizione suddetta definiscono gli obblighi di sorveglianza come quegli obblighi, posti a carico di determinati soggetti, muniti di poteri-doveri giuridici di controllo su altrui attività, ma privi di poteri giuridici autenticamente “impeditivi”, di vigilare sullo svolgimento delle attività suddette e di intervenire, in caso di violazione delle leggi penali, mediante una condotta (consistente, di regola, nell‟informare il garante o il titolare del bene), che non può, di per sé, impedire l‟altrui comportamento illecito (219). Da tale definizione possono essere colte con immediatezza le analogie che l‟obbligo di sorveglianza presenta rispetto all‟obbligo di garanzia. L‟obbligo di sorveglianza, così come quello di garanzia, grava su particolari e ben determinati soggetti; si tratta di soggetti dotati di poteri giuridici di controllo sull‟altrui attività. Ancora, l‟obbligo di sorveglianza, così come quello di garanzia, è un obbligo preesistente, nel senso che esso viene a configurarsi in un momento antecedente rispetto 217 Si veda I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 74 ss. 218 Occorre anche qui badare a non cadere in equivoci. Alla violazione di un obbligo di attivarsi (si pensi all‟obbligo di prestare soccorso, stabilito dall‟art. 593 c.p., commi 1 e 2) potrebbe sì conseguire una responsabilità penale per l‟evento verificatosi ma, tuttavia, non si tratterebbe mai di una responsabilità che sorge in virtù del meccanismo di equiparazione ex art. 40 co. 2 c.p. (Proseguendo nell‟esempio, a colui che omette di prestare soccorso può sì venire addebitato l‟evento (morte o lesioni) verificatosi a seguito dell‟omissione, ma tale “addebito” non avverrebbe in quanto il soggetto viene considerato omittente, bensì in forza della specifica ipotesi aggravata, contemplata dal comma 3 dell‟art. 593 stesso). 219 I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 151-152.; F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 1992, p. 198; ID., Diritto penale, Parte generale, Padova, 2007, p. 156 ss. 70 a quello in cui sorge la situazione di pericolo per l‟interesse tutelato. Il carattere della preesistenza, peraltro, è reso possibile proprio dal fatto che esistono specifici soggetti pre-muniti, appunto, di doveri e poteri di controllo e vigilanza. I titolari di un obbligo di sorveglianza – nel caso in cui riscontrino una “irregolarità” nello svolgimento dell‟attività oggetto del controllo – hanno, così come i titolari di obblighi di garanzia, doveri e poteri di iniziativa e di intervento. I tratti comuni tra obblighi di sorveglianza e obblighi di garanzia si arrestano a quelli appena descritti. Profondi ed incisivi sono poi i caratteri che differenziano queste due tipologie di obblighi. Le differenze riguardano la intima consistenza dei poteri giuridici di cui dispongono i soggetti obbligati, nonché le modalità attraverso le quali possono esplicarsi i doveri di intervento. Difatti il titolare di un obbligo di garanzia dispone, come si è visto nel paragrafo che precede, di poteri e doveri di controllo e vigilanza cui corrispondono poteri e doveri giuridici impeditivi: ciò significa che il garante è tale quando è munito di poteri giuridici di tipo coercitivo nei confronti del soggetto controllato, poteri che gli consentono di intervenire, direttamente, in prima persona ed efficacemente (220). Andrà invece considerato titolare di un obbligo di mera sorveglianza quel soggetto il quale, pur avendo un potere giuridico di controllo sull‟attività dei sorvegliati, non dispone di un corrispondente potere di intervento ed impeditivo: ciò significa che, nel caso in cui nell‟attività oggetto di controllo venga ravvisata una irregolarità, il titolare di un obbligo di sorveglianza non ha il potere giuridico di intervenire ed ostacolare efficacemente la realizzazione dell‟attività stessa; le modalità attraverso le quali si esplica il potere di intervento risultano sostanzialmente circoscritte alla possibilità, per il titolare di un obbligo di sorveglianza, di informare il titolare del bene o il garante (221) (222). 220 In dottrina si fa l‟esempio degli obblighi dei superiori gerarchici nei confronti dell‟attività posta in essere dai militari subordinati (I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 153). 221 In dottrina si fa l‟esempio del potere di informazione dell‟assemblea, da parte dei sindaci, dei fatti criminosi denunciati da singoli soci al collegio sindacale o rilevati da questo nell‟esercizio dei propri poteri di controllo. Si veda sempre I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 153. 222 A conferma del fatto che il titolare di un obbligo di sorveglianza difetta di poteri realmente impeditivi, si può osservare che molti di quelli che la dottrina più recente annovera tra gli obblighi cosiddetti di sorveglianza, sono obblighi che si esplicano «nei confronti di soggetti dotati di diversi o superiori poteri, competenze e funzioni, o che, comunque, godono di un‟autonomia decisionale rispetto all‟obbligato 71 Volendo prendere a prestito categorie civilistiche, si potrebbe asserire che – rispetto alla situazione di offesa per il bene tutelato – l‟obbligo di garanzia rappresenta un‟obbligazione di risultato mentre l‟obbligo di sorveglianza rappresenta un‟obbligazione di mezzi (223). Bene, stando a tutto quanto sin qui affermato, si evince che, laddove una norma giuridica (224) conferisca ad un determinato soggetto dei poteri di controllo e vigilanza sull‟altrui attività, occorrerà comprendere (225) se detti poteri – anche in considerazione dell‟incisività dell‟intervento che il soggetto obbligato potrà apprestare – possano o meno impedire la realizzazione della attività oggetto di controllo e determinare la cessazione della situazione di pericolo. Quello sopra descritto risulta dunque essere il criterio applicando il quale è possibile: a) discernere correttamente tra obblighi di garanzia ed obblighi di sorveglianza e, di conseguenza, b) applicare “legittimamente” la clausola di equivalenza di cui all‟art. 40 cpv. c.p.; c) affermare una responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento nel pieno rispetto dei principi costituzionali di legalità e di personalità della responsabilità penale. Difatti laddove un soggetto possa reputarsi munito di doveri-poteri giuridici propriamente impeditivi rispetto al verificarsi di un certo evento, lì potrà dirsi sussistente un obbligo di garanzia ex 40 cpv. e dunque potrà configurarsi, sussistendone tutti i presupposti, una responsabilità per omesso impedimento dell‟evento. Laddove invece un soggetto dovesse risultare munito sì di doveri-poteri giuridici di controllo e vigilanza, ma non di correlativi poteri realmente impeditivi, lì dovrebbe configurarsi un obbligo cosiddetto di sorveglianza; l‟obbligo di sorveglianza non è assimilabile sull‟atto integrante il reato» (Così I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 152). 223 Per gli efficaci accostamenti tra obblighi di garanzia ed obbligazioni di risultato e tra obblighi di sorveglianza ed obbligazioni di mezzi, vedasi ad esempio A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni, cit., p. 201: «(...) con la prima formula si vuole qui indicare l‟ipotesi in cui la norma considera immediato oggetto dell‟obbligo il raggiungimento di un risultato (che per noi è l‟impedimento dell‟evento), e con la seconda formula l‟ipotesi in cui la norma considera immediato oggetto dell‟obbligo il solo compimento di determinate attività (l‟impedimento dell‟evento appare in un certo senso come effetto mediato dell‟efficacia che abbia la condotta di agevolare l‟impedimento medesimo)». 224 225 Sul concetto di “giuridicità” vedasi infra, Capitolo IV. E tale lavoro di “comprensione” dovrà essere compiuto inevitabilmente – e non senza sforzi – dagli interpreti. Sul punto si veda infra, capitolo IV. 72 all‟“obbligo giuridico di impedire l‟evento” di cui parla l‟art. 40 cpv. (l‟obbligo di sorveglianza non è, appunto, un obbligo di garanzia) e dunque la di esso violazione non può fondare una responsabilità per omesso impedimento dell‟evento (226). La violazione di un obbligo di sorveglianza potrà assumere un rilievo penale (227) solo e soltanto nei casi in cui esista una norma che preveda, ad hoc, una punizione per tale violazione (228). Del fatto che la distinzione tra “obblighi di sorveglianza” ed “obblighi di garanzia” finisca col tradursi, il più delle volte, nella distinzione tra “obblighi di sorveglianza” ed “obblighi di garanzia sub specie di obblighi di impedire il reato altrui”, si parlerà nella sezione II del presente capitolo. Nell‟immediato prosieguo, invece, si continuerà a parlare, in termini generali, della figura dell‟obbligo di garanzia. In particolare ci si concentrerà sui due profili seguenti: 1) si cercherà di descrivere come avvenga la “concretizzazione operativa” di quello che è stato individuato essere il criterio distintivo tra obblighi di garanzia ed obblighi di sorveglianza, e cioè la sussistenza di poteri giuridici impeditivi; 2) verranno svolte delle precisazioni in tema di fonti degli obblighi di garanzia. All‟aspetto sub 2) ci si dedicherà nel paragrafo seguente. Se il criterio utilizzato per tracciare le linee di confine tra obblighi di garanzia e 226 Dispiace ripetere cose già abbondantemente affermate sopra (e cioè che l‟obbligo di sorveglianza va tenuto distinto dall‟obbligo di garanzia; che la violazione di un obbligo di sorveglianza non può fondare una responsabilità ex art. 40 cpv.). Ciò nonostante, i repetita ci sembrano in questo caso non inopportuni. Ciò in quanto si tratta di un contesto davvero delicatissimo: da un lato, distinguere tra obblighi di garanzia e obblighi di sorveglianza è un‟operazione complessa e sfuggente, un‟operazione peraltro rimessa alla buona volontà degli interpreti; dall‟altro lato, ignorare o “mancare” tale distinzione, conduce al rischio di affermare delle penali responsabilità in totale dispregio dei basilari principi costituzionali posti a salvaguardia della libertà personale dei cittadini. 227 Le violazioni degli obblighi di sorveglianza potrebbero inoltre assumere rilievo, ovviamente, all‟interno dei rami dell‟ordinamento in cui detti obblighi sono previsti: ad esempio alle violazioni degli obblighi di sorveglianza potrebbero conseguire delle “reazioni” di tipo civilistico oppure delle sanzioni disciplinari, etc. 228 In tal senso ad esempio I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 155. L‟Autrice si rende bene conto del fatto che tale prospettiva rischia di aprire significativi vuoti di tutela, in quanto è facile che accada che la violazione di un obbligo di sorveglianza – e cioè la condotta inerte tenuta dal titolare di un tale obbligo – resti del tutto impunita (Stante la sopra spiegata impossibilità che dalla violazione di un obbligo di sorveglianza discenda una responsabilità ex art. 40 cpv, tale violazione resterebbe impunita tutte le volte in cui mancasse una specifica norma incriminatrice che preveda una sanzione ad hoc). Ecco perché l‟Autrice auspica che avvenga, de jure condendo, la tipizzazione di fattispecie che puniscano la violazione di obblighi di sorveglianza. 73 obblighi di sorveglianza è quello della sussistenza di veri poteri impeditivi, resta da vedere come venga concretizzato e reso operativo il criterio stesso. Sul punto, dottrina e giurisprudenza utilizzano linguaggi (almeno apparentemente) concordanti. Per stabilire se un soggetto fosse realmente dotato di poteri impeditivi esiste una serie di indici sintomatici, quali: - l‟appartenenza dell‟azione doverosa omessa alla sfera delle competenze specificamente attribuite al soggetto asserito garante; - la attribuzione al soggetto obbligato di poteri di gestione ed autonomia decisionale; - l‟attribuzione al soggetto obbligato di poteri di autonomia di spesa, da intendesi come possibilità di decidere lo stanziamento di fondi o comunque come capacità di accesso diretto alle risorse finanziarie (229). 2.7. Brevi puntualizzazioni in tema di fonti dell’obbligo di garanzia. Le ricostruzione dell‟obbligo giuridico impeditivo in termini di obbligo di garanzia produce delle ripercussioni anche sul tema delle fonti dell‟obbligo stesso. È di esse che ci si occuperà nel presente paragrafo. Una precisazione appare opportuna. Quanto verrà ivi illustrato ha la funzione non già di sostituire, bensì di integrare, quanto si è già esposto in precedenza (230), nel paragrafo dedicato agli approfondimenti su alcune fonti – in specie, la legge ed il contratto – degli obblighi rilevanti ex art. 40 cpv. c.p. Iniziamo dalla fonte legale. Per quanto riguarda la legge quale fonte dell‟obbligo di garanzia, è agevole osservare come i caratteri da essa pretesi discendono direttamente – ed immancabilmente – dalla ricostruzione dell‟obbligo impeditivo alla luce dei principi costituzionali: e così, per rispetto del principio della riserva di legge, la fonte degli obblighi di garanzia potrà 229 Nei termini sopra indicati, vedansi ad esempio, tra numerose, le seguenti pronunce della Suprema Corte: Cassazione penale 47136/2007, Cassazione penale 22614/2008, Cassazione penale 3360/2009, Cassazione 11582/2010. 230 74 Si veda retro, capitolo I sezione III. soltanto essere rinvenuta nella legge formale o in atti ad essa equiparati, con esclusione delle fonti subordinate; ancora, in ossequio al principio di tassatività, occorrerà che la fonte formale che contempla l‟obbligo di garanzia abbia un contenuto sufficientemente specifico e determinato; ancora, per il rispetto del divieto di analogia in materia penale, dovrà essere bandita ogni interpretazione analogica della norma extrapenale in cui l‟obbligo di garanzia trova la sua fonte, e ciò, anche laddove, nello specifico settore di appartenenza della norma extrapenale stessa, l‟analogia dovesse risultare consentita (231). C‟è un profilo sul quale vale senz‟altro la pena soffermare l‟attenzione. In precedenza (232) si è avuto modo di dire che rappresenta una questione controversa, in dottrina, quella di stabilire se le norme penalistiche possano o meno fungere da fonti degli obblighi giuridici impeditivi. Bene, si deve a questo punto constatare come la ricostruzione dell‟obbligo impeditivo in termini di “obbligo di garanzia” conduca necessariamente ad una posizione negativa. Come si è visto sopra, difatti, il tratto caratterizzante l‟obbligo di garanzia è rappresentato dalla necessaria compresenza di doveri e poteri impeditivi, entrambi dotati del carattere della giuridicità. Detto altrimenti, la norma che contempla l‟obbligo di garanzia deve essere una norma che non soltanto investe un garante del dovere impeditivo, ma che lo fornisce altresì dei relativi poteri, disciplinandoli e specificandoli. È dunque per questo che si esclude che la norma incriminatrice possa fungere da fonte originaria ed autonoma dell‟obbligo di garanzia: poiché la norma penale può sanzionare la violazione di un obbligo (altrove posto e previsto) ma non sarebbe in grado di creare, essa stessa, la disciplina specifica e settoriale dei doveri-poteri impeditivi (233). La ricostruzione degli obblighi rilevanti ex art. 40 cpv. in termini di obblighi di garanzia riverbera effetti anche sulla fonte contrattuale. In particolare, tre sono i profili attorno ai quali vale la pena soffermare l‟attenzione: il 231 Vedasi ad esempio I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 42. 232 Si veda retro, Capitolo I, Sezione III, il paragrafo dedicato alle singole fonti degli obblighi giuridici impeditivi. 233 Vedansi I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 42; ID., Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 203, F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., p. 1000. Si fa altresì rinvio a quanto a tal proposito già esposto retro, Capitolo I, Sezione III. 75 profilo attinente al momento temporale in cui la fonte contrattuale può produrre il passaggio della posizione di garanzia; il profilo attinente alle conseguenze che si producono nel caso in cui sia mancata la concreta presa in carico del bene protetto; il profilo attinente alle conseguenze. Per ciò che concerne il momento di insorgenza dell‟obbligo di garanzia di fonte contrattuale, deve rilevarsi quanto segue. In virtù del principio di personalità della responsabilità penale, l‟obbligo giuridico impeditivo ex art. 40 cpv. può sussistere – come si è più volte detto – soltanto laddove il garante sia dotato di doveri e di corrispondenti poteri impeditivi, sia giuridici che fattuali. Da ciò discende che un obbligo di garanzia di fonte contrattuale potrà sussistere soltanto se – e nel momento in cui – in forza del contratto ed in seguito ad esso vengano trasferiti al garante tutti i doveri-poteri impeditivi; il momento in cui tale trasferimento avviene – ed a partire dal quale sorge l‟obbligo di garanzia – non coincide necessariamente né con il momento del perfezionamento del contratto né con la mera presa in custodia fattuale del bene (234). È da qui agevole collegarsi al secondo dei sopra segnalati profili, quello della presa in carico del bene protetto. Dinnanzi ad un contratto valido, la presa in carico del bene protetto andrà dunque considerata necessaria, ma di certo non sufficiente. Ciò in quanto, al fine del sorgere dell‟obbligo impeditivo, al garante dovranno essere altresì concretamente trasferiti (235) quei poteri-doveri impeditivi, già contemplati dalla fonte giuridica contrattuale (236). Per quanto riguarda le conseguenze dell‟invalidità contrattuale, va rilevato come la ricostruzione dell‟obbligo impeditivo in termini di obbligo di garanzia conduca a delle 234 Vedansi in tal senso Vedansi I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 229; F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., p. 1001. 235 Sui criteri che possono essere impiegati per appurare che si sia verificato un effettivo e concreto “passaggio dei poteri”, si veda supra, la parte conclusiva del precedente paragrafo 236 La giurisprudenza per il vero non sembra sempre concordare con la suddetta impostazione. Si segnala ad esempio Cassazione penale, 21 ottobre 2009, n. 44890, in cui è stata confermata la sentenza di condanna nei confronti un dirigente comunale, investito contrattualmente di una posizione di garanzia, sebbene al medesimo non fossero stati conferiti i relativi poteri impeditivi (ed in particolar modo il potere di autonomia di spesa) sulla base della ragione che il soggetto aveva comunque svolto l‟incarico: «Il soggetto destinatario di una delega di funzioni in materia antinfortunistica non risponde penalmente, per il caso in cui il delegante non lo abbia messo nelle condizioni per svolgere adeguatamente i compiti affidatigli, soltanto se, inadempiente il delegante, egli abbia rifiutato il conferimento dell‟incarico. (Nella specie, il dirigente comunale delegato dal Sindaco aveva continuato a svolgere le funzioni, pur in mancanza dell‟effettiva assegnazione dei fondi necessari per il loro espletamento)». 76 posizioni assai peculiari (237). In particolar modo, la dottrina osserva che – al fine di valutare le ripercussioni che le varie forme di invalidità del contratto possono produrre sugli obblighi impeditivi penalmente rilevanti – non ci si potrà limitare a guardare il tipo di vizio affliggente il contratto (per concludere, ad esempio, che tutti i casi di contratti nulli precluderebbero senz‟altro il sorgere di un obbligo rilevante ex art. 40 cpv. c.p., mentre invece potrebbero produrre l‟effetto dell‟insorgenza della posizione di garanzia). Non ci si dovrà neanche limitare a guardare – come invece vorrebbe l‟approccio sostanzialistico – se vi sia stata o meno una assunzione fattuale del ruolo di garanzia stesso. Occorrerà piuttosto, invece, andare a verificare se il singolo vizio che colpisce il contratto – a prescindere dal tipo di regime privatistico collegato alla natura di quel vizio – vada o meno ad inficiare uno di quelli che sono gli elementi fondanti l‟obbligo impeditivo, costruito come obbligo di garanzia (238). Una impostazione del problema in termini parimenti “relativistici” andrà assunta con riguardo ai casi in cui ad un contratto invalido abbia fatto seguito una concreta presa in carico del bene da proteggere. 237 238 Vedasi F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., p. 1000 ss. E così, ad esempio, se in genere si può affermare che una causa di mera annullabilità del contratto non preclude l‟insorgenza di un obbligo di garanzia, a conclusioni opposte dovrà pervenirsi qualora la causa di annullabilità consista nello stato di incapacità di una delle due parti contrattuali, ed, in particolare, del soggetto al quale, mediante contratto, è stato attribuito l‟obbligo impeditivo. Anche per tali considerazioni, vedasi F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., p. 1003. 77 SEZIONE II. L’INDIVIDUAZIONE DEL VERO E PROPRIO OBBLIGO DI GARANZIA, RILEVANTE EX ART. 40 CPV. C.P., NEI CASI DI DOVERI DI VIGILANZA SULL’OPERATO ALTRUI. Introduzione. Nella I sezione del presente capitolo sono stati analizzati i più recenti approdi dottrinari in tema di obbligo giuridico rilevante ex art. 40 cpv. c.p.: si è visto come esso vada ricostruito nei termini di obbligo di garanzia e come vada distinto da obblighi simili ma non ad esso assimilabili, quali gli obblighi cosiddetti di sorveglianza. Sì è anche visto che gli obblighi di sorveglianza consistono in obblighi di vigilare sull‟altrui attività, evidentemente finalizzati ad evitare che l‟attività oggetto del controllo sfoci in condotte criminose. Bene, si rende qui doveroso un passaggio concettuale ulteriore. Di fronte ai casi in cui esiste un dovere, gravante su di un determinato soggetto, di controllo e vigilanza sull‟attività altrui, la distinzione tra obblighi di sorveglianza e obblighi di garanzia si pone, più esattamente, nei seguenti termini: si dovrà comprendere se ci si trovi di fronte, appunto, ad un obbligo di sorveglianza (così come descritto nella precedente sezione), oppure se ci si trovi al contrario di fronte ad un vero e proprio obbligo, rilevante ex art.40 cpv., di impedire – non un “evento qualunque”, bensì, specificamente – un reato commesso da altri, e cioè dal soggetto “sottoposto a vigilanza”. Ciò che si intende dire è che il problema della distinzione tra obblighi di sorveglianza e obblighi di garanzia diventa il problema di distinguere tra obblighi di sorveglianza e obblighi di garanzia, sub specie di obblighi di impedire il reato altrui. Ecco dunque che la distinzione suddetta ci conduce, inevitabilmente, a misurarci con la figura del cosiddetto “obbligo giuridico di impedire il reato altrui”. Tale figura rappresenta una delle più controverse tematiche che affliggono la materia delle posizioni di garanzia. Non è tutto. Dalla violazione di un obbligo di impedire il reato altrui, di norma, viene fatta discendere una responsabilità per concorso mediante omissione nel reato non impedito. Bene, la compartecipazione omissiva a reato commissivo rappresenta una 78 delle più accidentate e discusse forme di concorso di persone nel reato. Ora, posto che con le complesse figure suddette – e cioè con l‟obbligo giuridico di impedire il reato altrui e con la partecipazione mediante omissione – noi dovremo, per le ragioni sopra esposte, per forza misurarci, ci preme sin da subito fare una considerazione preliminare. Dette complesse figure non vogliono costituire l‟oggetto specifico, le “protagoniste”, del nostro discorso. L‟analisi di esse non costituisce, cioè, il fine della presente sezione; essa rappresenta piuttosto lo strumento, il passaggio (scomodo ma) necessario, per approdare alla meta che ci siamo prefissati: comprendere cioè dove – e come – vada compiuta una distinzione tra obblighi di garanzia (sub specie di impedimento dell‟altrui reato) e meri obblighi di sorveglianza. La sequenza dei paragrafi della presente sezione cerca di mostrarsi fedele al “programma di viaggio” prefissato: dapprima ci si dedicherà all‟analisi della discussa figura dell‟obbligo giuridico di impedire il reato altrui; poi verranno analizzati i più rilevanti profili contenutistici del tipo di responsabilità che viene fatta scaturire dalla violazione di quell‟obbligo; infine, muniti degli strumenti concettuali in precedenza richiamati, si cercherà di fornire una risposta alla problematica oggetto di interesse. 2.8. La controversa figura degli obblighi giuridici di impedire il reato altrui: a) la collocazione sistematica ... (segue). Parlare di un obbligo giuridico – rilevante ex art. 40 comma 2 c.p. - di impedire un reato commesso da altri, significa compiere, implicitamente, una equiparazione: significa cioè affermare che l‟“evento” di cui parla il capoverso dell‟art. 40 può essere identificato – può consistere – nel reato commesso da altri (239). 239 Il concetto è espresso chiaramente, fra gli altri, da P. SEMERARO, Il concorso mediante omissione nel reato, cit., p. 584: «A codesta conclusione si perviene mediante un‟interpretazione del concetto di evento tale da fare inserire all‟interno della sua portata anche la nozione di “fato di reato”, comprensivo di tutti gli elementi oggettivi (...)». Similmente L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui, cit., p. 1339: «Il concetto di evento ivi richiamato (benché evochi, principalmente, un „materiale accadimento naturalistico‟) potrebbe difatti estendesi a quello (più lato) di „fatto di reato‟, comprensivo di tutti i suoi elementi costitutivi oggettivi (...)». 79 Per analizzare la figura (240) dell‟“obbligo giuridico di impedire il reato altrui” (241), pertanto, non si potrà prescindere dal domandarsi se una tale equiparazione sia legittima e – ove si risponda affermativamente – in che termini essa possa essere compiuta (il che equivarrà a domandarsi entro quale spazio e quale misura sia configurabile un obbligo di impedire il reato altrui). Ancora, nel riferirsi alla figura dell‟ “obbligo di impedire il reato altrui”, occorrerà cercare di comprendere se essa costituisca un qualcosa di diverso, di autonomo, rispetto alle categorie di obblighi impeditivi di cui si è parlato (242) - obblighi di protezione ed obblighi di controllo – oppure se essa rappresenti un modo di atteggiarsi, un peculiare contenuto – una sottocategoria, insomma – degli obblighi già analizzati. Questa operazione di collocazione, per così dire, dell‟“obbligo giuridico di impedire il reato altrui”, non ha di certo una finalità meramente estetica: se l‟“obbligo giuridico di impedire il reato altrui” vive nel grembo (di una) delle “tradizionali” posizioni di garanzia, si tratterà di capire perché – ed in che cosa - esso si contraddistingua, costituendo una sottocategoria; se invece si ritiene che l “„obbligo di impedire il reato altrui” rappresenti una autonoma categoria di obbligo giuridico impeditivo, andranno allora vagliati tutti i profili – presupposti, caratteri, fonti – che possono fondare la sua rilevanza penalistica, ex art. 40 cpv.. Quale che sia, poi, la impostazione prescelta – sia, cioè, che si consideri una tale tipologia di obbligo impeditivo quale autonoma categoria, sia che la si consideri una sottospecie di una diversa posizione di garanzia – non ci si potrà esimere dal considerare quale sia il tipo di responsabilità di cui viene chiamato a rispondere colui che si rende autore della violazione di un tale obbligo: se si tratti di una responsabilità monosoggettiva, fondata sul solo capoverso dell‟art. 40, oppure se debba parlarsi di una responsabilità per concorso (art. 110 e ss.) nel reato non impedito. Quelli qui sopra elencati rappresentano i principali nodi problematici attorno ai 240 L‟impiego del termine generico di “figura” - anziché di quello di “categoria” - è intenzionale: come si vedrà qui di seguito, difatti, ad essere in forse è la stessa autonomia dogmatica di tale figura, cioè la di essa capacità di costituire una autonoma categoria. 241 Una precisazione si rende doverosa. Tutte le volte – e salvo che non sia diversamente esplicitato – che, da qui dinnanzi, verrà impiegata la formula “obbligo giuridico di impedire il reato altrui”, lo si farà in senso “neutro”. Si intende dire che con tale locuzione non ci si vorrà riferire ad una autonoma categoria di obblighi di garanzia, bensì ad un “contenuto” dell‟obbligo giuridico impeditivo: quello, appunto, di impedire il reato altrui. 242 80 Vedi retro, capitolo I, sez III. quali si è agitata la riflessione sugli “obblighi giuridici di impedire i reati altrui”. Prima di compire un‟analisi di essi, ci preme svolgere una osservazione preliminare. Quella dell‟“obbligo giuridico di impedire il reato altrui” è senz‟altro una figura complessa, la quale assomiglia ad un prisma dalle facce molteplici e cangianti, in cui il colore che viene assegnato ad una delle facce condiziona inevitabilmente la tinta e le sfumature di tutte le altre. La dottrina che si è occupata del tema ha colto la complessità e la peculiarità della figura, ed ha finito con l‟assumere delle posizioni non solo variegate ma anche difficilmente “conciliabili” (243). Lo scenario sugli “obblighi di impedire i reati altrui” - e sulla responsabilità che alla di essi violazione consegue – è così frastagliato che un‟indagine sul tema assomiglia un po‟, a parere di chi scrive, ad un cammino da compiere lungo un campo minato: ad ogni passo, cioè ad ogni asserzione, si rischia di far esplodere il contrasto con posizioni precedentemente affermate, o con quelle che si andranno di lì a poco a svolgere. Pertanto qui di seguito si procederà con molta – e ci si augura sufficiente – cautela. Nostra intenzione è quella di (limitarci a) riportare – con la massima obiettività e fedeltà che ci sono consentite – le principali posizioni assunte dai vari autori che si sono occupati del tema, “suddividendo” tali posizioni e “collocandole” all‟interno di quegli “spazi” che ci paiono rappresentare i più delicati punti nevralgici della complessa figura oggetto di analisi. Si comincerà con il trattare la questione della collocazione sistematica dell‟“obbligo di impedire il reato altrui”, al fine di stabilire se esso si erga in piedi da solo, quale categoria autonoma, o se esso viva nell‟alveo di una diversa posizione di garanzia. Le posizioni della dottrina sul punto appaiono a tutt‟oggi discordanti. Secondo un‟impostazione – che viene definita tradizionale ( 244 ) - i casi nei quali il garante è obbligato ad impedire l‟agire illecito di un terzo rientrano nel paradigma della 243 Si confessa che il tentativo di disegnare un quadro “ordinato” in tema di “obblighi giuridici di impedire i reati altrui”, ci è sembrato, a tratti, simile al tentativo compiuto da chi desidererebbe costruire puzzle raffiguranti immagini diverse, le cui tessere sono state mescolate fra loro. 244 In tal senso si esprimono, tra i tanti, M. ROMANO–G. GRASSO, in Commentario sistematico del codice penale, Artt. 85-149, Milano, 2005, p. 178; I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 125-126; F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 2007, p. 169. 81 posizione di controllo su fonti di pericolo (245). Tale impostazione, la quale si fonda sulla equiparazione dell‟uomo (il cui agire illecito va impedito) ad una fonte di pericolo, nega pertanto qualunque autonomia dogmatica all‟obbligo de quo ( 246 ). A titolo esemplificativo di obblighi di impedire l‟illecito di un terzo, vengono indicati gli obblighi di controllo dei genitori nei riguardi dei figli minori non ché quelli di controllo degli insegnanti nei confronti degli illeciti commessi dagli scolari ( 247 ); si esclude invece che possa ritenersi sussistente un obbligo impeditivo dell‟agire illecito di un (qualsiasi) soggetto terzo, in capo agli appartenenti alle forze dell‟ordine. Di più recente emersione – nonché allo stato probabilmente dominante – è l‟impostazione che ritiene che l‟ “obbligo di impedire i reati altrui” costituisca un vero e proprio tertium genus di posizione di garanzia, il quale, distinto e autonomo, andrebbe ad aggiungersi alla categoria degli obblighi di protezione e a quella degli obblighi di controllo, affiancandosi ad esse (248). Le ragioni poste a fondamento della tesi dell‟autonomia possono essere individuate 245 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 193 ss., il quale si allinea alle posizioni espresse dalla dottrina d‟Oltralpe. Vedasi anche F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento, cit., p. 237. 246 L‟impostazione che nega l‟autonomia dogmatica dell‟ “obbligo di impedire reati altrui” è, come si è detto, una impostazione tradizionale, seguita a tutt‟oggi da numerosi Autori. Nella manualistica più recente si vedano, ad esempio, G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 2009, p. 202 ss., F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Parte generale, Torino, 2011, p. 287, R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Roma, 2011, p. 488 ss. Tuttavia va segnalato - sempre a conferma del fatto che l‟analisi delle posizioni della dottrina sugli “obblighi impeditivi di reati altrui” è operazione complessa ed “inesauribile” - come all‟interno di questa stessa impostazione si facciano registrare orientamenti diversi. Ad esempio ci pare di poter affermare che gli Autori Marinucci e Dolcini disconoscono che l‟ “obbligo gi impedire reati altrui” costituisca una autonoma categoria, non perché lo ritengano una sottocategoria dell‟obbligo di controllo, quanto piuttosto perché riconducono il dovere impeditivo di reati commessi da altri alla categoria degli obblighi di controllo o a quella degli obblighi di protezione: ciò si evince analizzando le esemplificazioni che gli Autori compiono dell‟una o dell‟altra categoria. 247 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 193 ss., il quale tuttavia procede a delimitare l‟entità e la vastità di tali obblighi. 248 «(...) alla bipartizione funzionale corrente nella dottrina penalistica tedesca e, più di recente, anche in quella italiana (...) abbiamo sostituito una tripartizione, aggiungendo le situazioni tipiche di obbligo le quali hanno come contenuto l‟impedimento di azioni criminose di terzi» G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 293. All‟impostazione secondo cui gli obblighi di impedimento di reati vanno ritenuti una categoria autonoma di obblighi impeditivi aderiscono, fra gli altri, L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui, cit., pp. 1364-1365; I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 125-126; M. ROMANO–G. GRASSO, in Commentario sistematico del codice penale, cit., p. 177 ss.; N. PISANI, Controlli sindacali, cit., p. 59; F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 2007, p. 169. 82 nelle seguenti. Innanzitutto si rileva come l‟enucleazione all‟interno della categoria delle fonti di pericolo sia insoddisfacente, nella misura in cui non tiene conto che un altro essere umano solo eccezionalmente può essere considerato quale fonte di pericolo: ciò può verificarsi, ad esempio, nei casi in cui a dover essere impediti sono reati commessi da soggetti incapaci (si fa l‟esempio di obblighi - che incombono su titolari di poteri di educazione, istruzione, cura o custodia – di impedire fatti dannosi commessi, rispettivamente, dai figli minori, o dagli scolari, o da malati infermi di mente, sottoposti alla vigilanza dei primi (249)); non può invece parlarsi di “controllo su fonti di pericolo” quando i reati – il cui compimento va impedito – siano quelli commessi da soggetti pienamente capaci (si fa l‟esempio dei reati societari o fallimentari, commessi dagli amministratori di società). Ancora, si rileva come l‟autonomia della posizione di garanzia in oggetto è opportuna in quanto adatta a dare conto della assoluta peculiarità del tipo di responsabilità che discende dalla violazione di una tale tipologia di obblighi: e cioè non già una responsabilità per il reato omissivo improprio monosoggettivo, bensì una responsabilità per concorso nel reato non impedito (250). Ancora, l‟impossibilità di ricondurre tali obblighi alla categoria delle posizioni di controllo viene motivata osservando come alcune posizioni di garanzia aventi come contenuto l‟impedimento di fatti di reato di terzi, siano più facilmente riconducibili alla categoria delle posizioni di protezione che non a quelle di controllo (251) (Viene fatto l‟esempio degli obblighi di tutela dell‟amministratore di una società di capitali rispetto al patrimonio sociale). Più in particolare, la dottrina ha rilevato come la posizione volta all‟impedimento di reati altrui «può difatti attingere le proprie caratteristiche funzionali da ciascuna delle altre due, (...). Simile ambivalenza funzionale rende perciò impossibile la riconduzione sic et simpliciter delle posizioni di garanzia in oggetto ad una delle due categorie tradizionali, e rende necessaria la delineazione di un tertium 249 Si veda ad esempio F. MANTOVANI, op. loc. ult. cit.. 250 Si tratterebbe, cioè, di posizioni di garanzia «che possono essere rilevanti solo in sede di concorso di persone nel reato» (G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 293). Sul fenomeno della forma concorsuale della responsabilità – ed in particolare sui limiti di ammissibilità di una (incondizionata) conversione in responsabilità plurisoggettiva della violazione di un obbligo di impedire il reato altrui - ci si soffermerà più avanti (vedi infra, paragrafi seguenti). 251 83 G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 294. genus categoriale» (252). C‟è un altro argomento, sul quale la dottrina che per prima ha forgiato la tripartizione delle posizioni di garanzia ( 253 ) ha fatto leva, al fine di motivare l‟opportunità di considerare gli “obblighi di impedire reati altrui” quale categoria autonoma: gli obblighi di impedire il reato altrui si caratterizzerebbero rispetto alle altre posizioni di garanzia – differenziandosi da esse – per il fatto che il garante è munito di un potere impeditivo di tipo giuridico. Più in particolare, mentre le posizioni di garanzia aventi ad oggetto la neutralizzazione di una fonte di pericoli sarebbero caratterizzate da un potere fattuale di signoria sulla fonte, invece le posizioni aventi ad oggetto l‟impedimento delle azioni delittuose di un terzo sarebbero contraddistinte dall‟esistenza di un potere giuridico (254). Ora, si deve segnalare che la dottrina più recente – la quale pure si ascrive all‟impostazione dell‟autonomia dell‟“obbligo di impedire reati altrui” - non condivide l‟argomento da ultimo descritto ( 255 ): nella Sezione I del presente capitolo è stato illustrato come la dottrina più recente affermi che gli obblighi giuridici rilevanti ex art. 252 L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, in Riv. it. dir. proc. pen, 1997, pp. 1365-1366. Difatti «nelle „posizioni di protezione‟, la fonte sostanziale dell‟obbligo di attivarsi sta nel particolare legame esistente tra il garante ed il titolare del (o, direttamente, il) bene tutelando (...) senza però conferire al primo particolari poteri di impedimento, diversi da quelli che ben potrebbe avere, anche in misura superiore, il terzo quisque de populo (...) Nelle „posizioni di controllo‟, al contrario, la tutela rafforzata scaturisce proprio dalla posizione particolare („di signoria‟) in cui un determinato soggetto si trova nei confronti di una fonte di pericolo, perché (...) è in grado di dominare il processo causale che ab origine determina il pericolo della lesione». Vedasi anche I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999, p. 130, la quale afferma che in effetti, laddove si ha un obbligo di protezione di un determinato bene, non vi è differenza tra l‟ipotesi in cui l‟aggressione promani da una forza naturale e quella in cui l‟aggressione promani da un soggetto terzo. 253 In Italia G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, Milano, 1983, p. 293 ss. 254 Così G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 327 e ss. In tal senso vedansi anche, tra gli altri, L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., specie pp. 1367 e 1369; M. ROMANO–G. GRASSO, in Commentario sistematico del codice penale, Art. 85-149, cit., p. 178. 255 Ci si riferisce in particolare alle posizioni del Mantovani e della Leoncini. Quest‟ultima ad esempio afferma che «Non persuade, invece, il terzo, e ritenuto fondamentale, argomento che la dottrina adduce a sostegno dell‟autonomia della categoria e, cioè, che tali obblighi si differenzierebbero, rispetto a quelli di protezione e di controllo, per la natura del potere impeditivo rispettivamente spettante al garante. E che sarebbe un potere giuridico, in caso dell‟obbligo di impedimento di reati e, viceversa, un potere di mero fatto, in caso di obblighi di posizione e di controllo. Infatti, sebbene il potere giuridico sotteso all‟obbligo di impedimento di reati sembri assumere, talora, una posizione più vistosa (...), un potere giuridico è necessariamente sotteso, come si è più volte ribadito, anche agli altri obblighi di garanzia» (I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 126). 84 40 cpv. debbano caratterizzarsi per la sussistenza, in capo al soggetto titolare dell‟obbligo, di un potere impeditivo di tipo giuridico ( 256 ); la giuridicità del potere impeditivo, dunque, è un requisito che deve contraddistinguere tutte le posizioni di garanzia, e non soltanto quelle aventi ad oggetto l‟impedimento di reati altrui. 2.9. (Segue) ... e le conseguenze che discendono dall’adozione di una o dell’altra impostazione a riguardo. Una volta descritte le principali ragioni poste a sostegno della tesi della autonomia dogmatica dell‟“obbligo di impedire reati altrui” e quelle poste a sostegno della riconducibilità di esso ad altre posizioni di garanzia, l‟attenzione va soffermata sulle conseguenze che discendono dall‟adozione dell‟una o dell‟altra impostazione. Le principali ripercussioni si fanno registrare in punto di determinazione dei presupposti in presenza dei quali sussisterebbe un “obbligo di impedimento di reati altrui”(257). Secondo la tesi che ricomprende gli obblighi di impedire i reati di terzi tra le posizioni di controllo, un presupposto fondamentale è quello che il soggetto terzo – il cui reato va impedito – sia un «soggetto carente dei requisiti necessari a governare il proprio comportamento» ( 258 ), e cioè sia un soggetto incapace: solo un soggetto incapace, infatti, può essere assimilato a quella fonte di pericolo sulla quale va esercitato il controllo . Per converso, l‟esigenza di un tale presupposto cade laddove l‟obbligo di impedire il reato altrui sia ritenuto una categoria autonoma, venendo meno, appunto, la necessità di rispettare i requisiti della categoria degli obblighi di controllo. Sempre soffermandoci sul tema dei presupposti, va rilevato come la dottrina – questa volta all‟unanimità – ne individui uno, imprescindibile: che il soggetto terzo, il cui reato va impedito, sia un soggetto sottoposto al potere di vigilanza, di comando, del 256 Vedi retro, Sezione I del presente capitolo. 257 In dottrina viene spiegato come il problema della “qualità” del soggetto su cui si esercita il controllo sia strettamente correlato al problema dell‟appartenenza, o meno, degli “obblighi giuridici di impedire reati altrui” alla categoria degli obblighi di controllo su fonti di pericolo (Vedi ad esempio I. Leoncini, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999, p. 126 e ss). 258 85 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 193. garante. Viene difatti percepito come vi sia un quid pluris che caratterizza l‟obbligo impeditivo del reato altrui rispetto agli altri obblighi impeditivi (259): «l‟impedimento del reato di un terzo necessariamente consiste in una attività di contrasto dell‟altrui (altrimenti libera) condotta, quindi in una fattiva limitazione dell‟altrui libertà di autodeterminazione (...) quel che rileva è che comunque si impone al garante di interferire con la condotta di un terzo» ( 260). Si è già avuto modo di accennare, precedentemente – più in particolare, laddove sono state esposte le ragioni che hanno indotto taluni autori a considerare gli “obblighi di impedire reati altrui” quale categoria autonoma – come parte della dottrina abbia ritenuto di “poter risolvere” il problema della descrizione del potere impeditivo di reati di terzi, impiegando il requisito della giuridicità: ciò che caratterizzerebbe il potere impeditivo, quando si tratta dell‟impedimento di reati altrui, è che si tratta di un potere di tipo giuridico (261). Si è anche già detto, tuttavia, che la dottrina più recente – la quale pur si ascrive alla tesi della autonomia della categoria degli “obblighi di impedimento di reati altrui” - critica il requisito suddetto: ciò che contraddistingue la categoria degli “obblighi di impedimento di reati altrui” rispetto alle altre categorie di posizioni di garanzia non può essere il requisito della giuridicità del potere impeditivo esercitato sul terzo, in quanto un tale requisito deve essere riscontrato in tutte le posizioni di garanzia; anzi, si tratta proprio del requisito che consente ad una posizione di garanzia – di qualunque genere essa sia – di potersi dire tale. Disconosciuta la possibilità di rinvenire nel requisito della giuridicità il tratto caratterizzante il potere impeditivo, resta ovviamente il problema di stabilire come detto potere debba atteggiarsi, quando trattisi, appunto, di impedire il compimento di reati altrui. Sulla tematica si tornerà nel prosieguo (262). Per l‟intanto ci si limita a rilevare come l‟attenzione sia stata posta, dalla più recente dottrina, su quelle che sono le specifiche modalità – sia giuridiche che fattuali – attraverso le quali può estrinsecarsi la 259 E ciò, sia che si consideri l‟ “obbligo di impedire reati altrui” quale autonoma categoria, sia che lo si consideri come peculiare contenuto di una diversa categoria. 260 L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p. 1367. 261 Vedi retro, paragrafo precedente. 262 Vedi infra, nella presente Sezione. 86 vigilanza di un soggetto (il garante) sulla attività posta in essere da un soggetto diverso. Riprendendo le fila del nostro discorso, si può ora proseguire nell‟analisi delle conseguenze che discendono dall‟adozione di una determinata impostazione in punto di collocazione sistematica degli “obblighi di impedimento dei reati altrui”. Tali conseguenze possono dirsi del tutto marginali per ciò che concerne l‟individuazione delle fonti da cui gli obblighi di impedire il reato altrui possono promanare. Più precisamente, si può osservare quanto segue. Il problema dell‟esatta individuazione delle fonti da cui può promanare un obbligo impeditivo del reato altrui non si pone per nulla per coloro ritengono che tale obbligo costituisca una esplicazione degli obblighi di controllo: le fonti da cui potrà scaturire sarebbero, né più né meno, che quelle da cui possono scaturire gli obblighi di controllo (263). In realtà, anche presso coloro che abbracciano la tesi della tripartizione delle posizioni di garanzia, la tematica delle fonti degli “obblighi impeditivi dei reati altrui” non sembra aver mai suscitato particolare interesse: vengono infatti definite “modeste” le peculiarità che la questione dell‟individuazione delle fonti formali presenta, rispetto alla specifica posizione di garanzia in oggetto (264). Merita di essere segnalata la posizione di un Autore, il quale, dopo aver asserito che gli “obblighi di impedire reati altrui” sarebbero caratterizzati dalla giuridicità del potere impeditivo, ritiene, coerentemente, di doverne trarre delle conclusioni in ordine alle fonti da cui tali posizioni possono scaturire: viene così escluso che tali tipologie di obblighi possano nascere da una assunzione spontanea; viene altresì precisato che tali Garantenstellungen possono sì avere una origine contrattuale, ma solo nella misura in cui sia possibile, attraverso il contratto, trasferire i poteri cui la situazione di garanzia si ricollega (265). 263 Vedi retro, Capitolo I, Sezione III. 264 In tali termini si esprime L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p. 1364. 265 G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 360-361. L‟Autore porta anche degli esempi: «Così, se si può ammettere che il precettore acquisti una posizione di garanzia per l‟impedimento dei reati compiuti dal minore affidatogli dai genitori, in quanto il precettore viene dotato dei necessari poteri disciplinari nei confronti del minore stesso (...), deve, invece, negarsi che attraverso un accordo con il superiore gerarchico possa nascere in capo ad un soggetto un obbligo di impedimento dei reati militari commessi dai sottoposti. La posizione di garanzia si collega qui all‟esistenza di un rapporto di gerarchia che non sembra possibile né trasferire né creare contrattualmente». 87 Si ritiene infine di poter affermare che nessuna differenza si faccia registrare – a seconda dell‟adozione dell‟una o dell‟altra tesi sulla collocazione sistematica degli “obblighi impeditivi di reati altrui” - per ciò che concerne l‟individuazione della ratio, del fondamento funzionale di tali obblighi. Gli “obblighi di impedire i reati altrui” sono contemplati per svolgere quella medesima funzione che deve essere perseguita da tutte le posizioni di garanzia: la funzione di proteggere i beni giuridici che meritano, secondo l‟ordinamento, per diverse ragioni, tale protezione (266) (267). Coloro che considerano gli “obblighi di impedire reati altrui” come una sottocategoria degli obblighi di controllo, ovviamente rinvengono la ratio giustificatrice in quella stessa che è posta alla base delle posizioni di controllo: salvaguardare qualunque soggetto terzo possa venire danneggiato dalla specifica fonte di pericolo che si trova sotto il potere di signoria del garante. Anche per coloro che ritengono che gli “obblighi di impedire reati altrui” formino una categoria a parte, è pur sempre l‟esigenza di protezione, di rafforzamento della tutela di taluni beni, a costituire la ratio di tale posizione: «riguardata funzionalmente, la posizione di garanzia in esame desume perciò il proprio fondamento dall‟esigenza di rafforzare la tutela di taluni beni, i cui titolari appaiono incapaci di attendervi efficacemente in via autonoma, o perché nessun terzo, di fronte alla specifica fonte di pericolo signoreggiata, appare in grado di difendersi efficacemente (e così il genitore del minorenne esplosivo dovrà vigilare a che egli non aggredisca con la fionda (...) l‟ignaro postino) oppure perché lo stesso bene tutelando appare particolarmente vulnerabile, per la ridotta capacità difensiva del suo titolare o per altre ragioni, rispetto alle condotte aggressive di terzi» (268). A mutare, sarebbe esclusivamente il criterio sulla 266 In tali termini si esprime G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 292, il quale afferma che la tripartizione tra posizioni di protezione, posizioni di controllo e posizioni che hanno ad oggetto l‟impedimento di azioni illecite di terzi «non deve nascondere il dato essenziale che tutte le posizioni di garanzia sono volte, in definitiva, alla protezione di beni giuridici (...)». 267 Il termine “protezione” è stato qui utilizzato, ovviamente, non per riferirsi ad una delle categorie in cui sono state suddivise le posizioni di garanzia (la categoria delle posizioni di protezione), bensì è stato impiegato nel senso generico del suo contenuto, e cioè per intendere quella funzione – di protezione, appunto – che accomuna tutte le posizioni di garanzia. 268 L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p. 1366. 88 base del quale vengono individuati i beni giuridici da proteggere: «direttamente per le posizioni che vengono chiamate di “protezione” in senso stretto; indirettamente (attraverso il riferimento alla fonte di pericolo da controllare o al soggetto, o ai soggetti, le cui azioni costituenti reato devono esser impedite) nelle altre due ipotesi» (269). 2.10. b) l’ambito applicativo. Si è già detto nel paragrafo precedente che condicio sine qua non poter parlare di obbligo di impedire il reato altrui, è quella di stabilire una equazione tra l‟“evento” di cui parla il 40 cpv. c.p., ed il reato commesso da altri. Si era già accennato al fatto che appare imprescindibile domandarsi se – ed in che misura – tale equiparazione sia ammissibile. Ci si dedicherà qui di seguito ad approfondire questo aspetto. È intuitivo il fatto che la riflessione relativa al “margine di operatività” della equazione sopra descritta, coincide con la riflessione sull‟ambito applicativo della figura dell‟ “obbligo di impedire i reati altrui”. Il problema, descritto nei suoi più esatti termini, è il seguente. Come si è già detto nel capitolo I (270), l‟ambito operativo dell‟art. 40 cpv. è (tendenzialmente) circoscritto alle sole fattispecie di evento causali pure. Ora, si tratta di capire se un tale limite valga anche nei casi in cui l‟obbligo giuridico abbia ad oggetto l‟impedimento dei reati altrui. Ove un tale limite venga mantenuto, ciò significa che i “reati non impediti” dei quali si potrà essere chiamati a rispondere sono soltanto quelli che presentano, nella loro fattispecie, un evento naturalistico; in tali ipotesi, dunque, il termine “evento” di cui parla il 40 cpv. viene letto come “evento-naturalisticamente-inteso-cagionato-dal-reatoche-si-aveva-l‟obbligo-giuridico-di-impedire”. Se invece si ritiene che un tale limite non vada mantenuto, ciò significa che il garante omittente potrà essere chiamato a rispondere di qualunque reato, quale che sia la sua tipologia e struttura; è evidente 269 G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 292. Vedi retro, capitolo I, sezione I. 270 89 come, in tale caso, al termine “evento” ex art. 40 cpv. venga assegnata la valenza di “fatto di reato”. Secondo un‟impostazione dottrinaria maturata soprattutto a partire dagli anni Ottanta ( 271 ) – e poi sviluppatasi sino a diventare, a tutt‟oggi, quella senz‟altro dominante (272) - gli obblighi di impedire il reato altrui possono esplicarsi nei confronti di tutti i reati: non solo dunque dei reati di evento causalmente orientati e, più in generale, non solo nei confronti dei reati di evento. Il che equivale a dire che, secondo l‟opinione dominante, il termine “evento” di cui parla l‟art. 40 co. 2 va inteso – quando trattasi di obbligo di impedire il reato altrui – come “fatto di reato” (qualunque reato, commesso da altri). Appare qui opportuno – pur senza entrare nei più specifici e tecnici termini della questione – dare rapidamente conto delle principali ragioni addotte a sostegno di tale impostazione (impostazione che, da qui dinnanzi, verrà denominata “estensiva”). Un primo, tenace argomento, viene tratto dall‟art. 138 c.p.m.p. ( 273 ). La norma – la quale stabilisce la responsabilità del militare che ometta di impedire l‟esecuzione di taluni reati, che vengono esplicitamente elencati – fa salva, “in ogni altro caso”, la disposizione di cui all‟art. 40 co. 2. Bene, l‟iter argomentativo che conduce alla concezione ampia del termine evento è il seguente: a) l‟art. 138 c.p.m.p., nel prevedere un‟autonoma figura di omesso impedimento di reati militari, dispone in definitiva che la propria previsione non trovi applicazione ove esista, in capo al militare che non impedisca la commissione di uno dei reati indicati nello stesso articolo, un obbligo ex art. 40 cpv.; b) alcune delle fattispecie richiamate dall‟art. 138 c.p.m.p. sono fattispecie 271 G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 140 ss. Ma vedasi già prima, ad esempio, ad esempio S. VINCIGUERRA, Sulla partecipazione atipica mediante omissione a reato proprio (In tema di concorso del custode alla sottrazione di cose pignorate commessa dal proprietario), in Riv. it. dir. proc. pen, 1967, specie pp. 310 e 311. 272 Si vedano, fra gli altri, L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p. 1343 ss.; I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 133 ss., M. ROMANO–G. GRASSO, in Commentario sistematico del codice penale, Art. 85-149, cit., p. 179, F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 2007, p. 169, G. MARINUCCI–E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, Parte generale, cit., p. 205. 273 L‟art. 138 c.p.m.p. recita così: «Ferma in ogni altro caso la disposizione del 2° comma dell‟art. 40 c.p. il militare che, per timore di un pericolo o altro inescusabile motivo, non usa ogni mezzo possibile per impedire la esecuzione di alcuno dei reati contro la fedeltà o la difesa militare, o di rivolta o di ammutinamento, che si commette in sua presenza, è punito: 1°con la reclusione non inferiore a dieci anni, se per il reato è stabilita la pena (di morte con degradazione o quella) dell‟ergastolo; 2°negli altri casi, con la pena stabilita per il reato, diminuita dalla metà a due terzi. (...)». 90 di mera condotta; ergo c) il richiamo operato dall‟art. 138 c.p.m.p. all‟art 40 cpv. non avrebbe avuto senso, se il legislatore non avesse ritenuto che, anche per quelle fattispecie di reato (le fattispecie di mera condotta), sia possibile una responsabilità ex art. 40 cpv. (274). Ancora, un ulteriore argomento addotto dai sostenitori della tesi estensiva, è quello che fa leva sull‟art. 116 c.p.: la norma fornirebbe una chiara e forte conferma del fatto che il nostro legislatore non impiega, sempre, il termine “evento” nella accezione puramente naturalistica (275). Un altro dato testuale a sostegno della posizione estensiva viene colto nell‟art. 57 c.p., che delinea una ipotesi di responsabilità colposa del responsabile di una pubblicazione a stampa, per omesso impedimento di un fatto di reato commesso col mezzo della pubblicazione. Ora, poiché la norma, la quale fonda una responsabilità tipicamente colposa, non consentirebbe l‟estensione della sua portata incriminatrice ad ipotesi dolose – e poiché non è accettabile che le forme di omissione dolosa restino impunite – apparirebbe evidente che dell‟omesso impedimento del reato (qualunque reato) debba rispondersi, in via generale, in forza del comma 2 dell‟art. 40 c.p. (276). A fondamento della tesi estensiva viene indicata, infine, una ragione di tipo logicostrutturale. Che per il mancato impedimento, ex art. 40 cpv., si possa essere chiamati a rispondere soltanto di reati di evento causalmente orientati, trova una insuperabile 274 G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 140-141. Per una più approfondita illustrazione della tesi, vedasi L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., pp. 1342-1346. 275 L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p. 1348. Più in particolare secondo l‟Autore la norma fornirebbe conferma del fatto che il termine “evento” viene talora impiegato dal legislatore nel senso di “fatto di reato nel suo complesso”: «(...) l‟art. 116 c.p. (...), nello stabilire la responsabilità del concorrente per il fatto diverso da quello voluto, espressamente dispone che di quel reato egli risponde quando “l‟evento è conseguenza della sua azione o omissione”. Ci pare evidente, per un verso, che nel riferirsi all‟evento, il legislatore voglia significare – precisamente – il „complessivo fatto di reato commesso dagli altri concorrenti‟, che ben può essere privo di un evento naturalistico in senso stretto. Per altro verso, è altrettanto evidente che nel „costruire‟ simile responsabilità, il codice segue il medesimo criterio di tipizzazione causale (la conseguenza dell‟azione o omissione) che informa l‟intera disciplina del concorso, e che pone in relazione causale – appunto – la condotta del concorrente e il complessivo fatto tipico di reato (commesso in concorso)». 276 «(...)poiché la norma, nel fondare una responsabilità tipicamente „colposa‟, comunque non consente l‟estensione della sua portata incriminatrice ad ipotesi dolose, delle due l‟una: o l‟omissione dolosa è punita in virtù della clausola di equivalenza di cui all‟art. 40 cpv c.p. (...) o, al contrario, proprio la forma dolosa (...) deve andare impunita. Il che – per evidenti motivi di ragionevolezza – non può essere. » (L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., pp. 13461347). 91 ragione “ontologica”: un contegno di tipo omissivo non può mai tenere il posto di una commissione – equivalere ad una commissione – laddove, con riguardo a detta “commissione”, il legislatore abbia previsto specifiche modalità di realizzazione (277). Bene, un simile ostacolo non si riproporrebbe nei casi in cui l‟oggetto dell‟impedimento sia costituito dal reato altrui: in tale ipotesi, difatti, è proprio la condotta altrui ad integrare le specifiche modalità di realizzazione, gli specifici connotati materiali del fatto, previsti dalla fattispecie incriminatrice di cui il garante viene chiamato a rispondere per omissione (278). È rimasta invece del tutto minoritaria in dottrina quella tesi – che nomineremo qui di seguito “restrittiva” - secondo la quale, con riguardo agli “obblighi di impedimento di reati altrui”, dovrebbe operare quel medesimo limite strutturale che opera, in genere, per la fattispecie omissiva impropria. Il che equivale cioè a dire che, secondo la tesi “restrittiva”, i reati del cui mancato impedimento si può essere chiamati a rispondere, sono soltanto reati di evento, causali puri. Tale posizione, affermata con forza dal Fiandaca (279), è stata di recente riproposta da una parte della dottrina (280). La ragione posta a sostegno di tale tesi è tanto chiara quanto incisiva: se il limite operativo dell‟art. 40 cpv. è necessariamente costituito dai reati di evento causali puri ( 281 ), non si vede per quale ragione detto limite dovrebbe essere obliterato per una particolare tipologia – o categoria, che considerar la si voglia – di obbligo impeditivo 277 Vedi retro capitolo I sezione I. 278 L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p. 1349. 279 G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 181 e ss. Ma vedasi, già prima, ad esempio F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento, cit., p. 237. 280 Ci si riferisce in particolar modo a L. RISICATO, La partecipazione mediante commissione a reato commissivo. Genesi e soluzione di un equivoco, cit., p. 1274 e ss, ID., Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, cit., p. 453. Si veda anche P. SEMERARO, Il concorso mediante omissione nel reato, cit., p. 585, il quale sembra condividere l‟idea secondo cui, ritenere applicabile l‟art. 40 cpv anche rispetto all‟omesso impedimento di qualunque tipologia di reato, comporterebbe che “i confini dell‟art. 40 cpv verrebbero tracciati nei confronti della responsabilità concorsuale in maniera illogicamente più ampia di quelli stabiliti per la responsabilità monosoggettiva” (E pur tuttavia l‟Autore giungerà poco oltre ad affermare che un concorso ex art. 110 può essere configurato rispetto a qualunque tipologia di reato). 281 92 Vedi retro, Capitolo I, Sezione I. (282). I reati del cui mancato impedimento si può essere chiamati a rispondere sarebbero, pertanto, esclusivamente quelli che presentino nella loro struttura un evento in senso naturalistico (283). D‟altronde, mantenere – anche nei casi di obblighi di impedimento di reati altrui – la sfera operativa della responsabilità omissiva impropria circoscritta alle sole fattispecie di evento causalmente orientate, consente di appagare molteplici esigenze: la coerenza sistematica ed esegetica, anche in ossequio al canone penalistico della legalità; il contenimento – come si vedrà meglio nel prossimo paragrafo – delle ipotesi di responsabilità per concorso mediante omissione; il mantenimento di una corrispondenza tra la responsabilità per omissione e la tutela di beni di particolare rango (284). Come si è già detto, anche di recente una parte - seppur minoritaria - della dottrina, ha ribadito con veemenza la tesi restrittiva. Facendo appello ai «limiti determinati dal legislatore» (285) - e ritenendo inconcepibile che alla nozione di evento ex art. 40 cpv. venga attribuita una valenza diversa, a seconda della tipologia di obbligo impeditivo che viene in questione (286) - la suddetta dottrina confuta, uno dopo l‟altro, gli argomenti posti a sostegno della tesi estensiva. A proposito dell‟art. 138 c.p.m.p., viene affermato che detta norma in nessun modo riesce a legittimare l‟interpretazione secondo cui, in forza dell‟art. 40 cpv., si può essere chiamati a rispondere per l‟omesso impedimento di qualunque tipo di reato. Tutt‟altro. La clausola di riserva con cui quella norma si apre («Ferma in ogni altro caso la disposizione del 2° comma dell‟art. 40 c.p. ...») ha un duplice valore: da un lato, essa 282 «(...) posto cioè che nel caso di realizzazione monosoggettiva dell‟illecito il giudizio di equivalenza ex art. 40 cpv c.p. (...) va rigorosamente limitato alle fattispecie causali pure, non si comprende quale sia la ragione per cui tale regola debba essere disattesa allorché il garante è chiamato a rispondere a titolo di concorso» (G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 181). 283 G. FIANDACA, op. loc. ult. cit. Proprio in forza di un tale assunto l‟Autore nega che su un genitore possa gravare un obbligo giuridico di impedire il reato di violenza carnale commesso da terzi in danno del proprio figlio: trattasi, infatti, di fattispecie in cui difetta un evento in senso naturalistico. L‟Autore invita pertanto a riflettere «sul tipo di tecniche di tutela da predisporre, una volta verificata l‟impossibilità di utilizzare a questo scopo il meccanismo della responsabilità per omesso impedimento dell‟evento». 284 Si veda retro, Capitolo I, Sezione I. 285 L. RISICATO, Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, cit., p. 391. I “limiti determinati dal legislatore” sarebbero quelli insiti nell‟art. 40 cpv stesso, il quale, esaminato nella sua forma di realizzazione monosoggettiva, viene ritenuto indubbiamente applicabile ai soli reati di evento causali puri. 286 93 L. RISICATO, op. ult. cit., p. 390. serve a dirimere un potenziale concorso di norme, stabilendo che – in quei casi in cui un fatto possa essere astrattamente ricondotto tanto all‟art. 138 c.p. quanto all‟art. 40 cpv. – è l‟art. 138 a costituire la norma speciale, a fronte della quale la norma generale (il 40 cpv.) soccombe; dall‟altro lato, essa afferma che, appunto, in “ogni altro caso” - cioè in ogni caso non riconducibile alle situazioni disciplinate all‟interno dell‟art. 138 – resta ferma l‟applicazione dell‟art. 40; applicazione – si rileva – che non potrà se non avvenire secondo i margini operativi propri dell‟art. 40 cpv. stesso (287). Sull‟argomento tratto dall‟art. 57 c.p., si afferma che è quanto mai forzato ritenere che da tale “precisa e circoscritta fattispecie incriminatrice, disciplinante un reato omissivo proprio” - e per giunta estremamente controversa in ordine al criterio di imputazione della responsabilità nonché destinata ad operare fuori dei casi di concorso nel reato– possano legittimamente essere tratte conclusioni generalizzate circa l‟estensione delle clausole di equivalenza (177). Sull‟impiego del termine “evento” - da intendere come “fatto di reato” - effettuato dall‟art. 116 c.p., si rileva come tale norma – la quale costituisce una delle più controverse norme in tema di concorso nel reato, data la sua delicata compatibilità con il principio di colpevolezza – non rappresenta di certo la “base migliore” su cui edificare conseguenze generalizzanti in tema di concorso mediante omissione. Più in generale, all‟argomento secondo cui il termine “evento” viene impiegato dal legislatore non soltanto come “evento naturalistico”, bensì con significati poliedrici (tra cui, appunto, quello di “evento” come “fatto di reato”), la tesi restrittiva replica che – se 287 L. RISICATO, op. ult. cit., pp. 392-393, la quale conclude che «In queste condizioni, l‟art. 138 c.p.m.p. non ha più valore, come prova dell‟esistenza di una clausola generale di responsabilità per omesso impedimento dell‟evento-reato di quanto non ne abbiano – per richiamare una problematica per certi aspetti analoga – le singole fattispecie di agevolazione colposa rispetto all‟ammissibilità di un generale concorso colposo nel fatto doloso altrui». Tale lettura dell‟art. 138 c.p.m.p. è condivisa altresì da P. SEMERARO, Il concorso mediante omissione nel reato, cit., pp. 586-587, secondo il quale tale norma «è volta a precisare, mediante la formula “Ferma in ogni altro caso la disposizione del 2° comma dell‟art. 40 cpv c.p. (...)” che nelle ipotesi diverse da quelle contemplate dalla norma è applicabile l‟art. 40 cpv mentre in quelle previste dall‟art. 138 c.p.m.p. nelle quali pure ricorrono i requisiti per l‟applicazione dell‟art. 40 cpv. c.p. si applica l‟art. 138 c.p.m.p. (...) Quindi, ci pare di potere affermare che il legislatore abbia inteso precisare anzitutto l‟applicabilità anche al militare, dei reati causali puri compiuti mediante omesso impedimento dell‟evento (...) Il legislatore inoltre ha voluto risolvere il problema rappresentato dal conflitto di norme esistente tra l‟art. 138 c.p.m.p e l‟art. 40 cpv c.p., allorquando i reati indicati dall‟art. 138 c.p.m.p. risultino essere di evento (...) chiarendo che in tale evenienza debba prevalere la disciplina contenuta nell‟art. 138 c.p.m.p. (...) Alla luce di codeste considerazioni, pertanto, ci sembra che la clausola di riserva contemplata dall‟art. 138 c.p.m.p. svolga funzione affatto residuale poiché, anzi, riconosce l‟applicabilità in via generale dell‟art. 40 cpv c.p. (...) mentre per contro non aiuta a determinare una nuova interpretazione dell‟art. 40 cpv. c.p. tale da giustificare la configurazione dell‟obbligo giuridico di impedire l‟illecito penale altrui». 94 ciò è senz‟altro vero – è altresì vero che davvero pochi margini di dubbio possono esistere, in ordine alla portata da attribuire a quel termine “evento” di cui parla il comma 2 dell‟art. 40: «essendo inserito nella disciplina del rapporto di causalità materiale, non dovrebbe di per sé essere suscettibile di alcuna interpretazione polivalente della sua portata. (...) in riferimento alle norme sul rapporto di causalità è infatti pressoché certo che il concetto di “evento” adoperato dal legislatore si riferisca esclusivamente all‟effetto materiale della condotta» (288). Visto che – si argomenta ancora – l‟art. 40 cpv. disciplina l‟equivalente normativo della causalità, non può esserci ragione alcuna per ritenere che tale regola – quando l‟obbligo impeditivo abbia ad oggetto il reato altrui – possa essere dilatata fino a far coincidere l‟evento non impedito con il fatto illecito altrui, comunque strutturato. Sostenere che l‟evento di cui parla il co. 2 dell‟art. 40 possa essere sinonimo di “intero fatto illecito altrui” significherebbe operare una vera e propria applicazione analogica in malam partem dell‟art. 40 cpv.(289). Dal che – come è ben noto – si deve rifuggire. Tutto quanto è stato sin qui illustrato – attraverso l‟elencazione ed il confronto dei principali argomenti sostenuti dalle tesi contrapposte – ha avuto uno scopo preciso: mostrare la profondità del dibattito sul tema, profondità cui corrisponde una dirompente portata delle conseguenze che discendono dall‟adozione dell‟una o dell‟altra impostazione. Non si può evitare di sottolineare che ad essere in gioco è la stessa individuazione dei reati del cui mancato impedimento si può essere chiamati a rispondere; ad essere in gioco, cioè, sono gli stessi confini (e che confini!) della penale responsabilità. Ancora, ad essere in gioco è la determinazione dei beni a presidio dei quali è ammissibile la configurazione di una responsabilità anche per omissione: fintantoché l‟ambito operativo del reato omissivo improprio viene mantenuto circoscritto alle fattispecie di evento causali pure, si conserva per ciò solo il “legame” con i beni che 288 289 L. RISICATO, op. ult. cit., p. 397. Rinunciare ad esigere, nel fatto illecito altrui non impedito, la presenza di un evento in senso naturalistico – e cioè giungere ad identificare la nozione di evento con quella di reato tout court «equivale a postulare arbitrariamente un terzo comma all‟art. 40 cpv, che così reciti: “le disposizioni precedenti si applicano anche quando l‟evento non impedito consiste nel fatto illecito altrui”» (L. RISICATO, op. ult. cit., p. 400). 95 coincidono con i più “cari e preziosi” riconosciuti dall‟ordinamento (290). Bene, a fronte di una questione tanto decisiva e fondamentale (291) - e cioè quale sia l‟estensione che può essere assegnata all‟obbligo giuridico di impedire il reato altrui e, dunque, quali siano i reati di cui si possa essere chiamati a rispondere ex art. 40 cpv. – si deve prendere atto che lo scenario che si apre agli occhi del giurista è il seguente: la norma è ferma, nel suo discreto riserbo; la dottrina che ha riflettuto sul tema è approdata, come si è visto, ad esiti diametralmente opposti; la giurisprudenza – come si vedrà nel capitolo III – sembra ignorare che un problema, a riguardo, esista, e con disarmante disinvoltura chiama a rispondere il garante di turno di qualunque tipologia di reato egli non abbia impedito. 2.11. Il concorso mediante omissione nel reato non impedito. «(...) se nell‟ambito del concorso punibile sono da ricondurre tutte le condotte che abbiano avuto un‟efficacia condizionante rispetto al fatto di reato e se, in forza dell‟art. 40 co. 2, il non impedimento di un evento – in presenza di un obbligo giuridico di attivarsi volto in tale direzione – è equiparato alla sua attiva causazione, ne segue che il non impedimento di un reato da parte del titolare di un obbligo di garanzia deve essere considerato come una condotta di partecipazione rilevante» (292). Le sopra riportate affermazioni esprimono l‟opinione della giurisprudenza unanime e di larghissima parte della dottrina, secondo cui, appunto, la violazione dell‟obbligo giuridico di impedire il reato altrui determina la responsabilità penale per concorso nel reato medesimo (293): nel reato, difatti, convergerebbero il contributo attivo – apportato 290 Vedi retro, Capitolo I, Sezione I. 291 Una questione – verrebbe da dire - “prodromica” rispetto ad ogni altro discorso. G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 139; similmente, M. ROMANO–G. GRASSO, in Commentario sistematico del codice penale, Art. 85-149, cit., p. 176. 292 293 Si vedano, tra i tanti, S. VINCIGUERRA, Sulla partecipazione atipica mediante omissione a reato proprio (In tema di concorso del custode alla sottrazione di cose pignorate commessa dal proprietario), cit., p. 307 e ss., L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p. 1339 e ss., I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 353 e ss, G. MARINUCCI–E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 2006, p. 367 e ss., G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto penale, Parte generale, 2007, p. 619 e ss. 96 da chi quel reato ha materialmente commesso – ed il contributo omissivo, equiparato alla causazione attiva in forza dell‟art. 40 cpv., arrecato da chi quel reato non ha impedito, pur avendo l‟obbligo giuridico di farlo. Si tratterebbe più in particolare – afferma una parte della dottrina – di una forma di responsabilità concorsuale necessaria, “ontologica”, in quanto una tale omissione «deve necessariamente accedere all‟azione delittuosa altrui» (294). Dunque, partendo dalla prospettiva dell‟obbligo giuridico impeditivo, si afferma che dalla violazione di un obbligo di impedire il reato altrui consegue – sussistendone tutti i presupposti – una responsabilità per concorso mediante omissione in quel reato; partendo dalla prospettiva della responsabilità concorsuale, si afferma – con diversi ma equivalenti termini - che una condotta di partecipazione rilevante può anche essere costituita da un comportamento meramente omissivo, ma che ciò può avvenire soltanto quando, in capo al soggetto rimasto inerte, possa dirsi sussistente una posizione di garanzia, sub specie di obbligo di impedimento del reato altrui. Come si è detto nell‟introduzione di questa sezione, non abbiamo lo scopo – né avremmo, in questa sede, i mezzi – di esaminare approfonditamente l‟istituto della compartecipazione omissiva. Del concorso mediante omissione parleremo soltanto per In dottrina si fanno altresì registrare alcune voci fortemente perplesse, circa la “automatica deduzione”; dall‟art. 40 cpv, altresì di una forma di responsabilità omissiva concorsuale. Tra queste spicca quella di G. INSOLERA, voce Concorso di persone nel reato, in Dig. disc. pen., vol. II. cit., p. 469 e ss, il quale, dopo aver illustrato i principali punti di criticità del concorso mediante omissione, mostra di non essere contrario alla prospettiva del superamento di tale istituto. In particolare, le principali ragioni di criticità di tale forma di responsabilità, vengono dall‟Autore rinvenute nelle seguenti: a) quando l‟evento da impedire è cagionato dalla condotta di un altro soggetto, difetterebbe in realtà, in capo all‟asserito garante, un potere di effettiva signoria nei confronti dell‟evento stesso; b) per ciò che concerne l‟elemento del nesso causale, nel concorso mediante omissione si prescinde completamente da una effettiva dimostrazione di esso, «essendo sufficiente, da un lato la constatazione dell‟esistenza di una posizione di garanzia, dall‟altro l‟operare dell‟equivalenza stabilita dall‟art. 40 cpv»; c) per ciò che concerne infine l‟elemento soggettivo, a lasciare perplessi è l‟incondizionata assimilazione «di un contegno inerte ad una effettiva volontà di cooperare». Una volta espresse le ragioni che lo inducono a dubitare della ammissibilità dell‟istituto del concorso mediante omissione, l‟Autore si domanda se possano tuttavia esservi degli spazi all‟interno dei quali una tale forma di responsabilità sia configurabile. La riflessione sul punto conduce l‟Autore a concludere che un concorso mediante omissione è configurabile nella stretta misura in cui «il mancato impedimento dell‟evento costituisca una delle articolazioni funzionali della realizzazione dell‟illecito (...) cioè (...) solo in presenza di un effettivo e funzionale inserimento della omissione tra i presupposti organizzativi dell‟illecito (...) Prescindendo quindi dall‟assegnare un valore decisivo all‟indagine sul profilo intenzionale. (...) sarà proprio il significato obiettivo che l‟omissione esprime nel combinarsi e nell‟operare dei vari apporti funzionali alla realizzazione del reato (...)» 294 Così L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p. 1379, il quale, poco più avanti, parlerà, appunto, di «responsabilità ontologicamente concorsuale». 97 puntualizzare alcuni contenuti, i quali fungeranno da strumenti concettuali indispensabili per svolgere, nei paragrafi a seguire, le riflessioni utili ai fini del nostro discorso. In particolare, l‟attenzione verrà focalizzata sui profili seguenti: l‟ambito operativo del concorso mediante omissione; la modalità di interazione delle due clausole generali (artt. 110 e 40 cpv.) dal cui combinarsi la figura del concorso omissivo scaturisce; la descrizione dell‟atteggiarsi dei presupposti in presenza dei quali può parlarsi di concorso mediante omissione. Sulla questione dello “spazio vitale” del concorso mediante omissione, si può evitare di dilungarsi in questa sede: su tale questione, difatti, si riverberano gli effetti delle varie concezioni maturate riguardo all‟“ambito applicativo” degli obblighi giuridici di impedire i reati altrui. Di tali concezioni si è parlato nel paragrafo che precede. Qui ci si limita pertanto ad osservare come coloro che ritengono che un obbligo giuridico di impedire il reato altrui sia configurabile con riguardo a qualunque tipologia di reato (anche quelli di evento a forma vincolata o di mera condotta) ritengono altresì, almeno di norma, che si possa essere chiamati a rispondere, per concorso mediante omissione, di qualunque tipologia di reato, appunto (184). Ove invece si abbracci - con riguardo alla sfera applicativa degli “obblighi impeditivi di reati altrui” - una posizione restrittiva, per conseguenza si riterrà che l‟ambito di operatività della partecipazione negativa a reato omissivo sia lo stesso del 40 cpv.: reati di evento causali puri, posti a tutela di beni particolari. Come si è già accennato sopra, la tematica dello spazio operativo della compartecipazione omissiva è tanto “sofferta” - e a ragione – in dottrina, quanto è pacifica in giurisprudenza, laddove, con pressoché assoluto automatismo, vengono stabilite delle responsabilità omissive concorsuali a fronte dell‟asserito omesso impedimento di qualunque genere di reato (295). Sempre a proposito dell‟ambito operativo del concorso mediante omissione, appare interessante effettuare un‟ultima precisazione. Come si è detto sopra, la dottrina allo stato maggioritaria ritiene che l‟“obbligo impeditivo dei reati altrui” costituisca una autonoma posizione di garanzia; bene, è qui interessante rilevare come quella stessa dottrina, almeno di norma, impieghi l‟istituto del concorso mediante omissione in via 295 98 Vedi infra, Capitolo III. per così dire generalizzata: il concorso mediante omissione viene cioè ritenuto sussistente tanto nei casi in cui l‟obbligo giuridico di impedire il reato derivi la sua essenza da una funzione di controllo (sul soggetto il cui reato va impedito), quanto nei casi in cui l‟obbligo giuridico di impedire il reato derivi da una preesistente posizione di protezione ( 296 ). Insomma, al concorso mediante omissione la dottrina dominante è solita riferirsi tanto nel caso, ad esempio, del genitore che non ha impedito il reato commesso dall‟irrequieto figlio minore (sul quale può e deve esercitare poteri di controllo), quanto nel caso del genitore che non ha impedito il reato, commesso da terzi in danno del figlio minore (rispetto al quale il genitore ha una posizione di protezione). Ci si occuperà ora delle modalità di interazione tra le due clausole generali (artt. 40 e 110 c.p.) che fondano la forma di responsabilità per compartecipazione omissiva. Il tema si presenta di notevole profondità dogmatica; i rapidi cenni che, qui di seguito, verranno dedicati ad esso, resteranno, per forza di cose, alla superficiale enunciazione dei principali problemi coinvolti. In via di approssimazione, si può affermare che le posizioni sul tema possono essere ricondotte a due fondamentali orientamenti: da un lato si può ritenere che le due clausole si combinino fra loro, penetrandosi vicendevolmente e dando così vita ad una nuova tipicità (297); dall‟altro lato si può invece ritenere che le due clausole possano sì accostarsi – di un “accostamento necessario” si tratterebbe, peraltro, come già detto, secondo parte della dottrina ( 298 ) - ma vanno mantenute assolutamente distinte, nel senso che esse non possono combinarsi in alcun modo e vanno applicate “una di seguito all‟altra” (299). 296 Si veda per tutti I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 124, la quale afferma che tanto gli obblighi impeditivi di reati attribuiti ai titolari di posizione di protezione, quanto quelli derivanti da poteri giuridici di controllo, sono «accomunati nelle conseguenze penali, e cioè, dalla loro esclusiva rilevanza a titolo di compartecipazione omissiva». Per una posizione fortemente contraria all‟impiego “generalizzato” della categoria degli “obblighi di impedimento di reati altrui” e della forma di responsabilità omissiva, si veda L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., passim; per un approfondimento della posizione di tale Autore, si rinvia al paragrafo seguente. 297 Si potrebbe immaginare, ad esempio, che l‟elemento della condotta partecipativa “venga offerto” dall‟art. 40 cpv – il quale contempla l‟omissione del garante – e che l‟elemento del nesso causale vada ricostruito attingendo alla materia del concorso. 298 Si veda supra, la posizione di quella dottrina che parla di concorso “ontologicamente necessario”. 299 L. RISICATO, Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, cit., p. 454 ss. 99 Seguendo l‟impostazione descritta per prima, si può giungere a riconoscere alle norme sul concorso una funzione incriminatrice: una situazione non integrante tutti i presupposti di cui al comma 2 dell‟art. 40 potrebbe, ad esempio, assumere rilievo penalistico in forza delle norme sul concorso (300) Escludere, invece, che le due norme possano combinarsi interferendo fra loro, significa negare che la forma concorsuale possa svolgere – rispetto alla responsabilità omissiva impropria – una qualsiasi funzione incriminatrice (301): in ordine alle condotte omissive opera con assoluta sufficienza ed esclusività l‟art. 40 cpv. c.p., nel senso che i presupposti ed i requisiti di operatività della responsabilità per omesso impedimento dell‟altrui reato sarebbero già interamente compresi nell‟art. 40 cpv.; di qui, l‟affermazione secondo cui l‟art. 110 non sarebbe chiamato a svolgere nessuna funzione incriminatrice con riguardo, appunto, alle condotte omissive ( 302 ); il concorso potrà venire in questione soltanto in chiave e con funzione di disciplina (303). 300 Ad una tale impostazione riteniamo di poter ricondurre la posizione, ad esempio, di P. SEMERARO, Il concorso mediante omissione nel reato, cit., p. 593 ss. 301 A questa impostazione possiamo ascrivere, in particolare, le voci di L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p. 1378 ss. e quella di L. RISICATO, Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, cit., p, 446 ss. Ora, è interessante notare come proprio quelli appena citati sono Autori i quali, sempre in tema di concorso mediante omissione, assumono posizioni diametralmente opposte con riguardo ad altri specifici profili (“altri”, rispetto a quello, qui sopra esaminato, delle “modalità operative” della combinazione fra 40 cpv e 110 c.p.). (Si ponga già solo mente al fatto che la Risicato, a differenza del Bisori, afferma che il concorso mediante omissione è ammissibile solo con riguardo a fattispecie causali pure). Bene, quanto appena affermato è volto a dimostrare ciò che è stato asserito in apertura della presente sezione: e cioè che ricostruire con rigore e precisione le varie posizioni assunte dalla dottrina in tema di obbligo giuridico di impedire il reato altrui ed in tema di concorso mediante omissione nel reato commissivo, è davvero un percorso labirintico. 302 «(...) la categoria della partecipazione mediante omissione a reato commissivo (..) tradisce un pericoloso equivoco, in quanto lascia intendere che sia configurabile una condotta di partecipazione (cioè originariamente atipica) di natura omissiva al reato commissivo, mentre l‟indagine compiuta ha posto invece in evidenza come le fattispecie oggetto di studio vanno ricondotte a due qualificazioni dogmatiche distinte ed irriducibili. Se ricorrono i presupposti di operatività dell‟art. 40 cpv., l‟omittente che versa in situazione di concorso con altre persone non è partecipe, bensì coautore: la rilevanza penale della sua condotta omissiva non dipende cioè da una supposta funziona incriminatrice dell‟art. 110 c.p., ma va ricondotta pienamente all‟applicazione dell‟art. 40 cpv alla norma incriminatrice di parte speciale, con la conseguenza che le norme sulla compartecipazione criminosa verranno in rilievo esclusivamente sotto il profilo della funzione di disciplina. Se di contro esulano i presupposti di operatività dell‟art. 40 cpv, colui che omette un‟azione doverosa potrà assumere il ruolo del partecipe ma non in relazione ad un preteso contributo “materiale” di tipo omissivo, bensì in funzione del contributo “morale” consistente nell‟eventuale rafforzamento del proposito criminoso in capo all‟autore in senso stretto (...)». L. RISICATO, Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, cit., pp. 460,461. 303 Peraltro in genere si ritiene che la applicazione della disciplina del concorso alla responsabilità per 100 L‟attenzione può a questo punto essere soffermata su quelli che sono i presupposti in presenza dei quali può configurarsi una responsabilità concorsuale omissiva. Il fatto di reato realizzato è evidentemente quello commesso fisicamente dal terzo (304). La pluralità di soggetti si realizza per il meccanismo che si è descritto sopra: nel reato concorrerebbero – “necessariamente”, secondo taluni - il contributo attivo di chi ha materialmente posto in essere il reato ed il contributo omissivo di chi, pur avendone l‟obbligo giuridico, non lo ha impedito. Per ciò che concerne la condotta partecipativa, essa deve essere rappresentata dall‟omissione non impeditiva di cui parla l‟art. 40 cpv.: una omissione, dunque, che rileva nella esclusiva misura in cui il soggetto che “la pone in essere” sia titolare di un obbligo giuridico impedivo. Ai nostri fini, è utile sottolineare sin da subito come, ove una vera e propria posizione di garanzia difetti, l‟omissione non potrà in alcun modo rilevare a titolo di concorso, a meno che: a) essa sia incriminata da una norma ad hoc (essa rileverà, pertanto, non in forza dell‟art. 40 cpv., bensì come omissione propria, altrove sanzionata); oppure b) il contegno inerte si traduca in realtà in un rafforzamento del proposito criminoso dell‟autore materiale del reato, potendo così esso rilevare in termini di concorso morale (305). Sempre in tema di condotta partecipativa, è interessante domandarsi se il contributo omissivo - ove sia causalmente rilevante – rappresenti, ontologicamente, una forma di concorso morale o materiale. Si rileva in dottrina come non sia mancata «giurisprudenza che abbia opinato per la prima soluzione, probabilmente sulla scorta del facile rilievo che nulla di materiale vi è nell‟inerzia»; in realtà – si osserva «occorre guardare al valore normativo per equivalente dell‟omissione, non alla sua omissione non possa essere una applicazione “automatica ed immediata”, nel senso che occorrerebbe invece procedere, di volta, a verificare la compatibilità della singola norma con la natura peculiare della responsabilità omissiva. Per un approfondimento su quali possano essere, all‟interno della disciplina sul concorso di persone nel reato, le norme più o meno “compatibili”, vedansi L. Bisori, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p. 1382,1383 e P. SEMERARO, Il concorso mediante omissione nel reato, cit., pp. 595-597. 304 Se possa trattarsi di un qualunque reato, oppure se debba trattarsi di specifiche tipologie di reati (causali puri), si è già detto abbondantemente qui sopra. 305 In tali termini, ad esempio, L. RISICATO, Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, cit., p. 379 ss. Per una più articolata riflessione sul punto, si veda infra, ultimo paragrafo della presente sezione. 101 natura ontologica: e sotto questo profilo essa è meglio assimilabile al contributo materiale» (306). Per quanto riguarda l‟elemento del nesso causale tra la condotta (omissiva) del garante ed il reato non impedito, potrebbe sorgere un dubbio, cui la dottrina non ha mancato di dar voce. Ci si potrebbe domandare se, al fine di ritenere sussistente il nesso causale, debba provarsi che il compimento, da parte del garante, dell‟azione doverosa, avrebbe con certezza impedito la realizzazione del reato; oppure se il nesso causale possa dirsi sussistente anche laddove si riesca a provare che l‟inerzia del garante abbia agevolato la realizzazione del reato, nel senso che una attivazione di quello avrebbe ostacolato avrebbe reso meno agevole, appunto - la commissione del reato stesso (307). Presso coloro che ritengono che le due clausole generali (artt. 40 cpv. e 110) non possono combinarsi fra loro – e cioè che ritengono che i presupposti della incriminazione della compartecipazione omissiva siano tutti contenuti nel solo articolo 40 cpv. (308) - il dubbio non dovrebbe neanche astrattamente profilarsi: il nesso causale è quello condizionalistico, ex art. 40 cpv., ed esso va accertato “secondo i canoni ed i rigori” da ultimo cristallizzati nella famosa sentenza Franzese (309). Ma in realtà, a ben guardare, il dubbio andrebbe agilmente sciolto in ogni caso, e cioè anche da coloro che ritenessero che, di fronte a fenomeni di compartecipazione omissiva, debba – per la determinazione del nesso causale – guardarsi alla disciplina concorsuale. Autorevole e consolidata dottrina, difatti, sostiene che anche in ambito concorsuale l‟unico criterio applicabile sia quello condizionalistico, con sussunzione sotto leggi scientifiche (310): il ricorso ad una diversa nozione di causalità – ad esempio la cosiddetta causalità agevolatrice – si presenta del tutto inutile, nonché completamente “surrogabile” da una corretta applicazione del criterio condizionalistico stesso; una applicazione, cioè, che identifichi il secondo polo del nesso causale nel fatto di reato 306 L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., pp. 1387-1388. 307 Il quesito viene ad esempio posto, in termini concisi ma cristallini, da L. BISORI, op. ult. cit., p. 1383. 308 Per tale posizione, vedi supra. 309 Vedi retro, capitolo I sezione II. 310 Si vedano, per tutti, C. PEDRAZZI, Il concorso di persone nel reato, Palermo, 1952, p. 78 e ss.; M. ROMANO–G. GRASSO, in Commentario sistematico del codice penale, Art. 85-149, cit., p. 163 ss. 102 concreto, ricostruito hic et nunc e che provveda ad escludere i fattori causali ipotetici (311). Detta impostazione risulta avvalorata anche da un recente arresto delle Sezioni Unite della Suprema Corte le quali, richiamando i principi espressi nella celebre sentenza Franzese, hanno affermato che, anche nell‟ambito del concorso di persone nel reato – e nonostante «le ben note difficoltà di prova» - il nesso causale va accertato con un giudizio ex post, che sia in grado di stabilire - mediante l‟operazione controfattuale di eliminazione mentale della condotta materiale atipica del concorrente, integrata dal criterio di sussunzione sotto leggi di copertura o generalizzazione e massime di esperienza dotate di affidabile plausibilità empirica – che sussiste un nesso eziologico tra la condotta del concorrente e la realizzazione del fatto di reato, così come storicamente verificatosi, hic et nunc, con tutte le sue caratteristiche essenziali (312). Calando le affermazioni appena svolte nel contesto della compartecipazione omissiva, si deve dunque affermare che un nesso causale tra il contributo omissivo del garante ed il reato realizzato potrà dirsi sussistente solo allorquando si possa accertare oltre ogni ragionevole dubbio che eliminando mentalmente la condotta del concorrente – e cioè “aggiungendo mentalmente” la condotta doverosa omessa – il reato non sarebbe stato compiuto ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (313) (314). Spenderemo qualche rapidissimo cenno anche sull‟ultimo presupposto della realizzazione plurisoggettiva del reato omissivo improprio, e cioè sull‟elemento soggettivo del concorrente (315). 311 «Ma gli esempi prospettati a sostegno della causalità agevolatrice non appaiono persuasivi: nelle situazioni considerate si deve infatti ammettere l‟esistenza di un nesso di condizionamento, pur utilizzando la formula tradizionale, sempre che si tenga conto di due principi la cui corretta applicazione risulta essenziale. Anzitutto, è necessario fare riferimento non all‟accadimento astratto, ma ad un accadimento concreto che si verifica hic et nunc (...); in secondo luogo, nell‟applicazione della formula della condicio sine qua non, come si è già detto, non è possibile tener conto di processi causali ipotetici che avrebbero eventualmente operato (...). Alla luce di tali considerazioni, dunque, non si può certo negare il valore condizionante del comportamento del complice che (..) fornisce la chiave allo scassinatore: la cassaforte sarebbe sì stata aperta, ma in tempi diversi e sulla base di un processo causale che non si è realizzato» (M. ROMANO–G. GRASSO, op. ult. cit., p. 166). 312 Cassazione penale, Sezioni Unite, 12 luglio 2005 n. 33748, par. 4. 313 In tali termini anche F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 200. 314 Nel capitolo III si avrà modo di verificare se – e con quanta “fedeltà” - la giurisprudenza si attenga ai parametri sopra descritti, quando si tratta di andare a riscontrare l‟“efficacia causale” del contributo omissivo del garante. 315 I profili problematici relativi all‟elemento soggettivo non costituiranno oggetto di approfondimento nel 103 Limitando l‟attenzione alle sole ipotesi di concorso doloso ( 316 ), si deve osservare quanto segue. La prova del dolo del concorrente omittente andrà raggiunta – e non desunta – accertando con rigore ed intransigenza la ricorrenza di tutte le componenti in cui deve articolarsi il dolo di un concorrente: e così da un lato, dovrà accertarsi la presenza del dolo del fatto criminoso realizzato, il quale dovrà comprendere – per ciò che concerne il momento rappresentativo - la conoscenza della propria posizione di garanzia, della ricorrenza di una situazione di pericolo, dell‟azione doverosa da compiere nonché dei mezzi necessari per raggiungere il risultato impeditivo, e – per ciò che concerne il momento volitivo – l‟intenzionalità dell‟omissione, pur avendo la possibilità di agire; dall‟altro lato, dovrà accertarsi la presenza del dolo di concorso, e cioè la coscienza e la volontà relative al contributo causale arrecato dalla propria condotta omissiva (317). Sono stati sin qui affrontati i principali profili contenutistici della compartecipazione mediante omissione. Ciò ha consentito di prendere atto di come la dottrina abbia assunto posizioni variegate in ordine alla ammissibilità di tale figura, alle modalità e ai margini operativi di essa. Esiste tuttavia una opinione – una sorta di percezione – che tutti gli autori che si sono occupati del tema sembrano condividere: la percezione che la compartecipazione mediante omissione – figura dai contorni sfuocati e malleabili – costituisca uno strumento che “rischia di sfuggire di mano”; più precisamente, la percezione che il binomio costituito dalle due clausole generali (110 e 40 cpv. c.p.) rischi di trasformarsi in un pericoloso strumento «moltiplicatore di punibilità» (318). presente lavoro, incentrato sull‟analisi del solo elemento “tipico” della posizione di garanzia. 316 Verrà invece tralasciata ogni riflessione – la quale richiederebbe approfondimenti che non ci sono consentiti in questa sede – sulla complessa figura della cooperazione colposa (e sulla linea di confine rispetto all‟ipotesi del concorso di cause indipendenti) nonché sulla controversa figura del concorso colposo a delitto doloso. 317 Vedansi, fra i molti, G. MARINUCCI–E. DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2006, pp. 260, 261 e G. FIANDACA–E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2007, p. 611 ss. 318 Così L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p. 1376. Rischi di proliferazione di responsabilità vengono denunciati, ad esempio, fra i tanti, da I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 371; L. RISICATO, Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, cit., p. 379; M. ROMANO–G. GRASSO, in Commentario sistematico del codice penale, Art. 85-149, cit., p. 179, P. Semeraro, Il concorso mediante omissione nel reato, cit., p. 586. 104 Il rischio di “proliferazione di responsabilità” può in effetti celarsi in molteplici pieghe di tale istituto. La “moltiplicazione della punibilità” si verifica, in fondo, già sul piano dell‟ambito applicativo, considerato che, secondo l‟impostazione che abbiamo visto essere dominante, il reato omissivo improprio – quando si realizza in forma plurisoggettiva – sarebbe configurabile rispetto a qualunque tipologia di reato. Ma soprattutto la “proliferazione della responsabilità” deriva dal rischio di un disinvolto impiego della combinazione delle due clausole generali. Si pensi ad esempio al già segnalato fenomeno, in forza del quale nella fattispecie omissiva impropria l‟elemento “forte” della posizione di garanzia rischia di fagocitare in sé l‟elemento dell‟accertamento del nesso causale ( 319 ). Bene, un tale rischio si presenta amplificato nella fattispecie omissiva impropria plurisoggettiva: la “forza causale” dell‟omissione – ove non riuscisse ad essere affermata nei termini di un vero e proprio mancato impedimento – potrebbe venire affermata sulla base di una – magari tanto vaga quanto comoda – asserita agevolazione (320). Un simile rischio di fagocitazione può presentarsi anche con riguardo all‟elemento soggettivo (321). Ma i rischi di “proliferazione della responsabilità” possono anche configurarsi per ragioni diverse da quelle sopra viste. Si pensi ad un caso in cui la posizione di garanzia – lungi dall‟essere “forte e dominante” - si presenti scolorita e di dubbia sussistenza. Bene, anche qui, facendo un impiego distorto della combinazione tra l‟art. 110 ed il 40 cpv., si potrebbe giungere ad affermare una penale responsabilità: l‟assenza di certezza sulla effettiva presenza di una posizione di garanzia e sulla reale equivalenza tra l‟inerzia ed il reato commesso, potrebbe “venire colmata” facendo riferimento ad un 319 Vedi retro, Capitolo I, Sezione II. 320 Il rischio, cioè, è quello che venga impiegata – in via del tutto impropria a quale mero escamotage argomentativo – la formula secondo cui “il garante non ha impedito e comunque ha agevolato”. Come si avrà modo di vedere nel capitolo III, tale formula ricorre spesso, nelle sentenze in tema di compartecipazione omissiva, per giustificare la presenza del contributo causale del garante. 321 Il rischio è cioè quello che l‟accertamento della presenza di una posizione di garanzia finisca col surrogare, con l‟inglobare quello che dovrebbe essere, invece, il rigoroso accertamento della sussistenza della colpa, o del composito dolo di concorso. È quanto a nostro avviso accade, ad esempio, quando la sussistenza del dolo del garante finisce con l‟essere affermata in forza della possibilità, da parte di quello, di percepire “segnali di allarme” (Si veda infra, capitolo III). 105 “contributo agevolativo” comunque fornito dal soggetto rimasto inerte; la mancanza di una prova rigorosa circa l‟effettivo contributo agevolativo (magari di tipo morale) del soggetto rimasto inerte, potrebbe “venire camuffata” dalla asserita violazione di un obbligo impeditivo posto in capo all‟inerte. Si intende dire, cioè, che un impiego poco coscienzioso della combinazione tra art. 110 e art. 40 cpv. potrebbe condurre al seguente risultato: che le due clausole generali vengano fatte stare in piedi, reggendosi reciprocamente l‟una sull‟altra, in un contesto in cui, invece, nessuna di esse dovrebbe legittimamente “dimorare”. Insomma, ciò che la dottrina – tutta – percepisce, è che un impiego disinvolto del binomio 110 -40 cpv. c.p. condurrebbe a conseguenze serie ed inaccettabili: «salterebbe ogni peculiarità della tipicità omissiva dettata dall‟art. 40 cpv. c.p., insieme stemperata e „travolta‟ dalla forza omnicomprensiva della tipicità causale della fattispecie plurisoggettiva eventuale. Con effetti paragonabili a quelli del trionfale ingresso di un pachiderma in un negozio di cristalli» (322). Di fronte alla percezione che il binomio 110-40 cpv. rischi di diventare un incontrollato moltiplicatore di punibilità, la dottrina è corale nel segnalare l‟esigenza di circoscrivere la sfera applicativa del concorso mediante omissione ma si divide, di nuovo, al momento di indicare le vie da percorrere per raggiungere la suddetta delimitazione. Come si è visto sopra, vi è chi ritiene che vada operata una selezione in relazione alle tipologie di fattispecie, asserendo che il concorso mediante omissione sia configurabile soltanto rispetto a fattispecie di evento causali pure (323). Vi è chi ha suggerito di battere la via dell‟elemento soggettivo, giungendo ad affermare che una responsabilità per omesso impedimento sia configurabile soltanto laddove, in capo al garante rimasto inerte, possa essere riscontrato un grado di volizione particolarmente intenso, escludendo la possibilità che il garante sia chiamato a rispondere per dolo eventuale (324). Vi è chi ritiene che la delimitazione della sfera operativa del concorso mediante omissione vada raggiunta attraverso un‟opera di esatta ed intransigente individuazione 322 L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p. 1376. 323 Vedi supra, nel paragrafo dedicato all‟ambito applicativo degli obblighi di impedire reati altrui. 324 PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, Milano, 1996, p. 363. 106 di quell‟elemento che funge da basilare fondamento di una tale forma di responsabilità: la posizione di garanzia (325). 2.12. Ritorno alla questione oggetto di interesse. La distinzione tra obblighi di sorveglianza ed obblighi di garanzia di impedimento di reati altrui: a) dove va compiuta tale distinzione ... (segue). Da quanto è stato sin qui illustrato, emerge come l‟“l‟obbligo di impedire reati commessi da altri” costituisca una figura complessa, le cui membra molteplici si articolano intersecandosi talvolta fra loro. Ora, prescindendo per un attimo dalle varie categorie e dalle singole tesi forgiate all‟interno della dottrina – così come, d‟altronde, da esse sembra prescindere la giurisprudenza, la quale, come si vedrà, suole impiegare senza troppa parsimonia gli “obblighi giuridici di impedire i reati altrui” e la correlativa forma di responsabilità – si deve constatare, compiendo una “analisi di insieme”, che la figura dell‟ “obbligo impeditivo di reati altrui” viene scomodata – a torto o a ragione – in una grande e variegata quantità di ipotesi: si parla di “obbligo di impedire reati altrui” per riferirsi alla situazione del garante, titolare di una posizione di protezione nei confronti di un determinato bene, che deve impedire che il bene oggetto di protezione venga leso da condotte criminose altrui; si parla di “obbligo di impedire reati altrui” per riferirsi alla situazione di colui che ha sotto la sua sfera di controllo un soggetto che, per il suo stato di incapacità, è un soggetto pericoloso, e che deve dunque impedire i reati eventualmente posti in essere da quel soggetto; si parla, parimenti, di “obbligo di impedire reati altrui” per riferirsi alla situazione di colui che deve vigilare sull‟attività posta in essere da altri soggetti – perfettamente capaci e responsabili – affinché detta attività non diventi criminosa. In tutte le situazioni sopra descritte, l‟obbligo impeditivo 325 Vedansi, ad esempio, L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., specie pp. 1350 e 1372; M. ROMANO–G. GRASSO, in Commentario sistematico del codice penale, Art. 85-149, cit., p. 180; I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., specie pp. 353 e 371. Ci sembra di poter ricondurre a tale filone anche l‟opinione di A. ROSSI, La responsabilità penale dei componenti degli organi di controllo societario: riflessioni e digressioni su struttura, accertamento, limiti, in Studi in onore di Mario Romano, Napoli, 2011, p. 2132. 107 viene dai più configurato rispetto a qualunque tipologia di reato. Ancora, ogni qual volta venga configurato un “obbligo impeditivo di reati altrui”, viene poi fatta conseguire – con pressoché totale automatismo – una responsabilità concorsuale del garante nel reato non impedito, con tutti i rischi – ulteriori – di moltiplicazione di punibilità di cui si è dato conto alla fine del paragrafo che precede. Una volta descritto lo scenario che si presenta agli occhi del giurista in tema di “obbligo giuridico di impedire il reato altrui”, ci si può ora rimettere sul binario che ci eravamo proposti di seguire: cercare di comprendere – alla luce dei parametri indicati dalla dottrina che più di recente si è occupata del tema – dove possano dirsi sussistenti veri e propri obblighi impeditivi rilevanti ex art. 40 cpv., e dove, invece, esistano situazioni di obblighi che, pur simili ai primi, non hanno di quelli la reale consistenza. Nello specifico contesto che ci occupa, si tratterà dunque di comprendere come possa essere tracciata la linea di confine, la distinzione, tra meri obblighi di sorveglianza e gli obblighi di garanzia, sub specie di obblighi di impedimento dell‟altrui reato. L‟analisi verrà condotta suddividendo idealmente il discorso in due parti. In un primo momento si cercherà di circoscrivere l‟area all‟interno della quale la suddetta distinzione va tracciata o, più precisamente, l‟area all‟interno della quale la distinzione tra “obblighi giuridici di impedire reati altrui” e “obblighi di sorveglianza” è, a nostro avviso, più “necessaria” - ed insieme più difficile – da compiere. In un secondo momento l‟attenzione verrà concentrata sul come detta distinzione vada compiuta. Partendo dal primo profilo, si può osservare quanto segue. A nostro avviso, nel mare magno delle situazioni che vengono ricondotte agli obblighi di impedimento di reati altrui, ve ne sono alcune rispetto alle quali la distinzione dagli obblighi di mera sorveglianza diventa più impellente. Allo scopo di “visualizzare” tali situazioni, si ritiene qui opportuno illustrare la tesi elaborata da un Autore, tesi di cui si è appositamente evitato di trattare nei paragrafi precedenti. Ci si riferisce alla teoria del Bisori (326), il quale si è dedicato con particolare approfondimento al tema dell‟impedimento del reato altrui. Una precisazione preliminare è doverosa. L‟Autore citato in alcun modo si è occupato del problema della distinzione tra “veri” obblighi di garanzia, obblighi di sorveglianza 326 L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., passim. 108 ed obblighi di attivarsi (327). L‟oggetto della sua indagine è stato esclusivamente quello degli obblighi (di garanzia) di impedire i reati altrui; nel compiere tale indagine l‟Autore ha ritenuto di dover “fare ordine”; di cercare cioè – all‟interno dell‟ampio spettro delle situazioni (indiscriminatamente) ricondotte agli “obblighi di impedire reati di terzi” - di operare delle ripartizioni, di “creare delle caselle”. Bene, noi in questa sede illustreremo la tesi forgiata dal Bisori poiché, a nostro avviso, l‟operazione di sistemazione compiuta dall‟Autore aiuta proprio a riflettere sul problema della distinzione tra obblighi di sorveglianza e obblighi di garanzia, sub specie di “obblighi giuridici di impedire reati commessi da altri”; ciò, nella misura in cui, secondo noi, è proprio all‟interno di “una delle caselle” tratteggiate dall‟Autore che diventa tanto difficile quanto necessario distinguere tra veri “obblighi giuridici impeditivi di reati di terzi” e meri obblighi di sorveglianza. Bene, secondo il Bisori, nell‟ambito delle situazioni ricondotte agli “obblighi di impedire reati altrui” occorre compiere la seguente distinzione. Da un lato, vi sarebbero i casi in cui «l‟ordinamento riguarda alla particolare vulnerabilità di un bene come al motivo sostanziale per la creazione di una posizione di garante, vale a dire in tutti i casi in cui (...) la posizione di garanzia si traduce concretamente (...) nell‟imposizione al garante dell‟obbligo di porre le proprie capacità di difesa a fianco di quelle, insufficienti, del garantito, ovvero anche di vigilare su una più complessiva occasione di pericolo (es. il traffico ferroviario) che rende più vulnerabili tutti i beni che vi entrano in contatto». Secondo l‟Autore «in tali casi è del tutto indifferente – rispetto alla finalità di rafforzamento della tutela perseguita tramite la costruzione della posizione di garanzia – che la concreta ed individuata fonte del pericolo sia rappresentata da una causa naturale ovvero da una causa umana. Ciò che interessa all‟ordinamento non è tanto chi o cosa determini il pericolo della lesione del bene garantito (...) bensì che il bene stesso sia comunque protetto dalle potenziali fonti di pericolo, cioè che il garante, quale che ne sia le fonte, adoperi ogni mezzo di cui dispone per interrompere la vicenda causale innescatasi che altrimenti sfocerebbe nell‟evento lesivo» (328). 327 Si segnala peraltro come la cristallizzazione delle categorie suddette - “obblighi di garanzia”, distinti dagli “obblighi di sorveglianza” e dagli “obblighi di attivarsi” - sia avvenuta in un periodo successivo alla data di pubblicazione del lavoro del Bisori cui ci si riferisce. 328 E così, esemplificando, «non interessa se il neonato sia deceduto per fatto naturale e/o casuale o per 109 Dall‟altro lato, si situerebbero i casi in cui «si guarda alla concreta funzione dell‟obbligo di impedire gli altrui fatti delittuosi»: si tratta dei casi in cui «la finalità di garanzia conferisce un diverso contenuto all‟obbligo di impedimento»; casi, cioè, in cui «è la condotta del terzo che emerge in primo piano, è essa l‟oggetto primo di un interesse di tutela che l‟ordinamento esprime proprio con il conferimento al garante di specifici poteri giuridici di interferenza-impedimento»; casi, insomma in cui è la condotta dell‟agente a formare «oggetto diretto ed immediato dell‟obbligo di garanzia». La distinzione che l‟Autore ha ritenuto di dover compiere, dunque, è stata quella tra situazioni in cui l‟obbligo di impedire il reato altrui rappresenta uno dei possibili contenuti, uno dei possibili modi di esplicarsi di una (diversa e preesistente) posizione di garanzia, e, dall‟altro lato, situazioni in cui l‟obbligo di impedire il reato altrui costituisce il contenuto specifico (ed esclusivo) della posizione di garanzia; situazioni, cioè, in cui l‟obbligo di impedire il reato altrui costituisce la specifica funzione del garante. Compiuta tale distinzione, il Bisori sviluppa coerentemente il suo pensiero e – dando vita a quella che è, per sua stessa ammissione, una «delicata tessitura concettuale» (329) - fa discendere da quella distinzione rilevantissime conseguenze, sia in punto di determinazione dell‟ambito applicativo dell‟“obbligo impeditivo di reati altrui”, sia in punto di individuazione della sfera di responsabilità (autenticamente) concorsuale (330). fatto illecito altrui: se, cioè, sia accidentalmente precipitato dal davanzale della finestra di casa dopo esservi incautamente salito sua sponte o se sullo stesso sia stato invece posto con intenzione omicida dalla bambinaia rancorosa; come neppure rileva se il macigno che ha cagionato il disastro ferroviario sia stato collocato sulle rotaie dal terrorista, o piuttosto sia ivi rotolato dalla malferma scarpata della trincea» (L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., pp. 1368,1369). 329 L. BISORI, op. ult. cit., p. 1376. 330 Nell‟impostazione teorica disegnata dal Bisori, la distinzione tra i casi in cui la condotta delittuosa del terzo è solo una delle possibili fonti di pericolo per il bene da proteggere e, dall‟altro lato, i casi in cui la condotta delittuosa del terzo rappresenta l‟oggetto diretto ed immediato dell‟obbligo di garanzia, riverbera consistenti effetti in ordine ai profili seguenti: a) la collocazione temporale dell‟intervento impeditivo doveroso; b) l‟individuazione della sfera in cui la responsabilità per la violazione dell‟obbligo può configurarsi come autenticamente concorsuale; c) la determinazione dell‟ambito operativo di detta responsabilità. Per ciò che concerne il punto a), l‟Autore osserva che nell‟ipotesi in cui l‟obbligo impeditivo abbia ad oggetto diretto la salvaguardia del bene «il garante può ben attivarsi anche successivamente alla condotta altrui, lungo lo svolgersi dell‟iter criminis o anche del processo causale già innescato: potrà cioè assolvere al proprio compito di protezione attivandosi utilmente in qualsiasi momento anteriore all‟evento, fino al „termine ultimo‟ costituito dal definitivo instaurarsi della situazione lesiva a carico del bene protetto. Quando, al contrario, la condotta altrui costituisce oggetto dell‟obbligo di impedimento, l‟istanza di protezione arretra al momento medesimo in cui sorge il pericolo che essa condotta venga 110 attuata o – se iniziata – portata a compimento» (L. BISORI, op. ult. cit., p. 1369). In ordine ai punti b) e c), Bisori afferma quanto segue. Quando l‟obbligo di garanzia sia rivolto ad impedire non le altrui condotte, bensì i soli eventi lesivi a carico di determinati beni, il garante non dovrà essere chiamato a rispondere per concorso nel reato commesso da terzi, bensì potrà solo essere chiamato a rispondere, monosoggettivamente, per l‟evento (cagionato dalla condotta di terzi) non impedito; per tale forma di responsabilità troverà applicazione il limite strutturale stabilito per la forma monosoggettiva della responsabilità per omissione: si potrà pertanto essere chiamati a rispondere soltanto del mancato impedimento di fattispecie di evento causali pure. Quando invece l‟obbligo di garanzia ha come specifico contenuto l‟obbligo di impedimento di reati altrui, il garante omittente potrà essere chiamato a rispondere in concorso con il suo autore del reato non impedito; le norme sul concorso verranno impiegate con mera funzione di disciplina e, ad ogni modo, solo se – e nella misura in cui – compatibili con la struttura del reato omissivo. Qui di seguito, più in dettaglio, le ragioni di tali approdi. Quando l‟obbligo di garanzia non è rivolto, specificamente, ad impedire le altrui condotte, bensì è rivolto ad impedire eventi lesivi a carico di determinati beni, «ciò che interessa, e che determina la rilevanza penale dell‟inerzia del garante, è che questi non abbia impedito un fatto dannoso che avrebbe dovuto impedire alla stregua della sua posizione di tutela (...). Solo questa inerzia – dal punto di vista della posizione di garanzia violata – assume disvalore penale ai sensi della disciplina sull‟omissione, e tale giudizio di disvalore non muta alla stregua delle diverse fonti causali del danno non impedito, poiché esse – semplicemente – non „interessano‟». Dunque – prosegue l‟Autore – ove l‟obbligo sia rivolto «alla sola salvaguardia diretta del bene, la conversione della condotta tipica riguarderà la sola forza causale della condotta del terzo aggressore, e pertanto l‟omissione assorbirà il disvalore della sola causazione dell‟evento, e non anche quello dei connotati della condotta, dello „stampo esteriore‟ come compiutamente disegnato dal legislatore». L‟Autore spiega questo concetto con un esempio: «Il curatore dell‟emancipato, conosciuta l‟intenzione di questi di sottoscrivere un contratto dal dubbio contenuto, può sì attivarsi e così impedire che egli rimanga vittima di una truffa perpetrata da un terzo, ma non dispone di nessun potere di interferenza con la condotta del reo: non può cioè impedirgli di porre in essere gli artifizi o i raggiri necessari a conseguire il risultato criminoso (...) Attivandosi, egli può sì impedire che la catena causale innescata dal reo sfoci in un danno per il bene tutelato (..), evento che egli ha l‟obbligo giuridico di impedire essendo (indubbiamente) garante di quel bene. Ma solo questo danno potrà essergli imputato – per equivalente – e non anche la condotta del terzo...». Difatti « può ben darsi che l‟inerte sia nella concreta possibilità di impedire altrimenti che la condotta criminosa del terzo sfoci in un risultato lesivo per il bene garantito; ma se la posizione di garanzia che egli riveste riguarda la sola integrità del bene – perché egli è privo di quei poteri di interferenza con l‟altrui condotta che invece connotano l‟obbligo di impedimento di reati – solo l‟evento dannoso potrà essergli imputato per equivalente ai sensi dell‟art. 40 cpv c.p., benché esso sia causalmente collegato alla condotta criminosa altrui; ma non quest‟ultima, nella sua considerazione tipica (anche) di disvalore». Ecco dunque come mai Bisori giunge ad escludere che, nelle situazioni descritte, il garante possa essere chiamato a rispondere per concorso nel reato non impedito; il garante potrà soltanto rispondere monosoggettivamente dell‟evento non impedito (Nell‟esempio del curatore dell‟emancipato, Bisori afferma che «mentre il terzo risponderà di truffa, il curatore infedele potrà rispondere al più solo di danneggiamento»). Trattandosi di una responsabilità monosoggettiva, per essa varranno i limiti strutturali previsti dall‟art. 40 co. 2: essa potrà dunque configurarsi soltanto con riguardo a fattispecie di evento causali pure («Quando l‟obbligo di garanzia sia rivolto ad impedire non le altrui condotte, bensì i soli eventi lesivi a carico di determinati beni, rivive integralmente il limite strutturale generalmente fissato alla forma monosoggettiva della responsabilità per omissione» L. BISORI, op. ult. cit., p. 1381). L‟Autore sottolinea con decisione che le suesposte conclusioni mantengono la loro validità anche nelle ipotesi in cui il reato commesso da altri consista in una fattispecie causale pura. Viene fatto l‟esempio di un genitore che non impedisce l‟omicidio commesso in danno del figlio da un terzo: il genitore potrà rispondere dell‟evento non impedito ma non del concorso nel reato del terzo; ciò, in quanto, se venisse chiamato a rispondere per concorso nel reato commesso dal terzo e gli venisse, gli rimarrebbe assoggettato alla disciplina concorsuale in relazione a “motivi e circostanze” – motivi e circostanze che hanno caratterizzato la condotta delittuosa del terzo – che sono rimaste, invece, del tutto estranee rispetto all‟inerzia e rispetto alla sfera di signoria del garante stesso. (Ad applicare coerentemente la suddetta impostazione, si deve ad esempio concludere che “non risponde di alcun reato (...) la madre che non impedisce il congiungimento carnale della figlia minorenne con un terzo: non certo di concorso nella 111 Su tali conseguenze non ci soffermeremo: si è detto più e più volte che nostro scopo non è quello di approfondire le complesse figure degli “obblighi impeditivi di reati altrui” e della responsabilità concorsuale omissiva. Della tesi elaborata dal Bisori si è trattato perché a nostro avviso essa consente – al di là e a prescindere dall‟impostazione dogmatica che si ritenga di abbracciare sugli “obblighi impeditivi di reati altrui” - di “visualizzare” gli spazi all‟interno dei quali, come si è già detto sopra, la distinzione tra obblighi di sorveglianza e “obblighi giuridici di impedire reati commessi da altri” è più delicata e complessa. A nostro avviso, nell‟ambito di tutte le situazioni più o meno opportunamente ricondotte agli “obblighi di impedire reati commessi da altri”, quelle in cui si pone un vero problema di bene distinguere tra obblighi di garanzia e obblighi di sorveglianza, sono quei casi – qui sopra descritti per secondi – in cui l‟impedimento del reato del terzo costituisce “la specifica funzione” del garante. Quei casi, cioè, in cui esistono dei puntuali doveri-poteri giuridici, posti in capo ad un soggetto, di controllare soggetti terzi, di vigilare sull‟attività di quelli ( 331 ). Ecco, è proprio in queste ipotesi che, secondo noi, si presenta come particolarmente spinoso il problema di capire se tali doveri integrino delle situazioni di sorveglianza, oppure se ad essi possano essere riconosciuti il “potere” e la incisività di obblighi impeditivi ex art. 40 cpv. violenza carnale, poiché ella non ha alcun potere giuridico di interferenza con la condotta del terzo; nemmeno di violenza carnale per omissione, trattandosi di reato a forma vincolata” L. BISORI, op. ult. cit., p. 1389). Quando invece è la condotta dell‟agente a formare l‟oggetto diretto ed immediato dell‟obbligo di garanzia, il mancato impedimento del reato assorbirà ogni elemento di disvalore della condotta del reo, abbraccerà ogni caratteristica oggettiva del reato non impedito. In tali casi, secondo il Bisori, è cioè possibile imputare al garante inerte il disvalore del complessivo fatto di reato commesso da altri, ivi compresi i connotati di tipicità e disvalore connessi alle modalità della condotta. Dunque, nei casi in cui l‟evento da impedire è “precisamente l‟intero fatto oggettivo di reato altrui”, il garante potrà essere chiamato a rispondere per concorso nel reato non impedito (Come si è avuto modo di vedere sopra, l‟applicazione delle norme sul concorso deve secondo il Bisori avvenire con esclusiva funzione di disciplina). 331 Si pensi ai doveri di vigilanza sull‟operato degli amministratori posti in capo ai sindaci dagli articoli 2403 e 2407 del codice civile. Si pensi all‟obbligo di vigilanza – previsto espressamente dal comma 3 dell‟art. 16 del D.Lgs. 81/2008 – gravante sul datore di lavoro delegante, rispetto all‟espletamento, da parte del delegato, delle funzioni trasferitegli. Ancora, si pensi ai doveri di controllo, posti in capo ai membri dell‟organismo «deputato a vigilare sul funzionamento e l‟osservanza dei modelli» di prevenzione del rischio-reato, ex art. 6 D.Lgs. 231/2001. Sulle specifiche questioni che la prassi si è trovata a fronteggiare, ci si soffermerà nel capitolo III. 112 2.13. (segue) b) come va compiuta tale distinzione. Una volta individuato il “dove”, si può precedere all‟altro profilo, cioè quello del “come” la distinzione tra “obblighi di impedire reati altrui” e “obblighi di sorveglianza” vada compiuta. A questo proposito, deve innanzitutto attingersi a piene mani a quanto illustrato nella sezione I del presente capitolo, circa i tratti che devono distinguere il vero obbligo di garanzia da un obbligo di mera sorveglianza. Si era spiegato come la dottrina più recente sia giunta a ritenere che un obbligo di garanzia risulti contraddistinto dalla presenza – oltre che di un dovere giuridico impeditivo – altresì di un potere impeditivo, anch‟esso dotato del carattere della giuridicità ( 332 ). È la sussistenza di poteri giuridici impeditivi, dunque, a contraddistinguere una vera posizione di garanzia (333). Se quanto appena affermato può essere preso come punto fermo, resta tuttavia da affrontare una “complicanza”. Quando l‟obbligo di garanzia ha per oggetto l‟impedimento di reati altrui, il potere giuridico impeditivo di cui si è detto qui sopra dovrebbe essere rivolto nei confronti dell‟azione di altri esseri umani. Diventa quindi necessario cercare di comprendere come debba atteggiarsi il potere giuridico impeditivo quando venga in questione una posizione di garanzia volta ad impedire il reato altrui ( 334 ). Ripercorreremo qui di seguito gli esiti cui è giunta la dottrina che si è occupata del tema (335). 332 Supra, Sezione I del presente capitolo. 333 Come si è visto nei paragrafi precedenti, la dottrina meno recente aveva ritenuto che l‟elemento della giuridicità dei poteri impeditivi caratterizzasse la figura dell‟ “obbligo di impedire reati altrui”, distinguendola dalle altre tipologie di posizioni di garanzia. La dottrina più recente ha evidentemente superato quella impostazione, affermando la necessità, appunto, che la giuridicità dei poteri impeditivi caratterizzi qualunque posizione di garanzia. 334 Una dottrina – nel riferirsi alle norme che impongono obblighi di controllo sull‟operato altrui, dalla cui violazione può discendere una responsabilità per omesso impedimento dell‟altrui reato – ha ad esempio parlato di “obblighi eterotropi” (Vedasi A. NISCO, Compliance e posizioni di garanzia: prime indicazioni dalla giurisprudenza tedesca, cit., p. 2447 nota n. 93, il quale cita L. CORNACCHIA, Concorso di colpe e principio di responsabilità penale per fatto proprio, Giappichelli, 2004, p. 524 ss). 335 Sempre in ordine alla determinazione del contenuto dei “poteri impeditivi”, verranno invece descritti nel capitolo III gli atteggiamenti assunti dalla prassi giurisprudenziale, con riguardo alle concrete questioni che essa si è trovata a fronteggiare. 113 In dottrina si è parlato di «specifici poteri giuridici di impedimento-comando nei confronti del reo», poteri che pongono il garante «in grado di interferire direttamente (e lecitamente) con l‟intera condotta di reato posta in essere dal secondo» (336). Il Pisani riconosce la bontà dell‟“intuizione” - cioè la necessità di riscontrare una interferenza nei confronti dell‟intera condotta posta in essere dal terzo - ma ritiene che lo specifico concetto di “potere di comando-impedimento” possa attagliarsi a rapporti di carattere autoritario (militare, carcerario) di diritto pubblico, mentre non risulta idoneo nei casi di rapporti privatistici ( 337 ). L‟Autore cerca quindi di interrogarsi su come possa atteggiarsi un potere giuridico impeditivo di reati altrui, nel quadro di rapporti (in particolare, egli si riferisce ai rapporti tra organi societari) che non vengono configurati dall‟ordinamento in termini di soggezione (rapporti, cioè, che si situano al di fuori di situazioni giuridiche di sottoposizione ad un vero e proprio potere di comando). Bene - dopo aver escluso che il potere impeditivo di reati altrui possa consistere nella mera possibilità di “influire sulle decisioni” del soggetto controllato, da parte del soggetto controllante (338) - il Pisani ritiene di dover ricorrere al concetto giuridico di potestà: la potestà viene definita, dalla teoria generale del diritto, come quel potere «con cui la volontà di un soggetto si afferma in modo decisivo, producendo effetti, senza che altri soggetti, che pure subiscono o risentono tali effetti, abbiano verso il primo alcun obbligo» 339. Dunque, secondo l‟Autore, anche al di fuori di rapporti di carattere gerarchico, l‟ordinamento concepisce situazioni in cui un soggetto esercita un potere di controllo sull‟attività (e non sulla persona fisica) di un altro soggetto340, ed in cui, per il soggetto controllato, deriva la «“necessità giuridica” di subire gli effetti dell‟uso del potere senza alcuna possibilità di opporsi ad essi»: ecco, detta situazione corrisponderebbe, a detta del Pisani, alla sussistenza di un potere giuridico impeditivo di 336 L. BISORI, op. ult. cit., p. 1367. 337 N. PISANI, Controlli sindacali e responsabilità penale nelle società per azioni, cit., p. 66. Di certo, a detta del Pisani, il concetto di “potere di comando-impedimento” non risulta idoneo rispetto ai casi in cui i rapporti privatistici siano di carattere paritetico, e probabilmente neanche rispetto ai casi in cui detti rapporti siano di tipo subordinato. 338 N. PISANI, op. ult. cit., p. 67. 339 Così PISANI, op. ult. cit., pp. 69-70, il quale richiama SANTI ROMANO, Poteri, potestà, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1983 e CARCATERA, Corso di filosofia del diritto, Roma, 1996. 340 Così PISANI, op. ult. cit., p. 68. 114 reati altrui. Non è tutto. Secondo l‟Autore, a detta situazione di poterepotestà/soggezione deve affiancarsi un preciso «effetto giuridico tipico» (341): il soggetto che esercita il controllo deve essere dotato di poteri di conformazione o di invalidazione (ad esempio poteri di ratifica, di autorizzazione, oppure di dichiarazione di invalidità), capaci di ripercuotere il loro effetto nella sfera dell‟altrui attività giuridica. Al concetto di “conformazione” fa riferimento anche il Giunta, il quale – nell‟indagare come debba atteggiarsi il potere giuridico impeditivo dei reati altrui nel campo societario – afferma che «se non si vuole banalizzare il concetto di poteri impeditivi, non sembra dubbio che dalla categoria in questione devono escludersi quei poteri il cui esercizio può produrre solamente un‟influenza sulle decisioni del soggetto controllato, non bastando nemmeno che tale influenza, in casi analoghi, abbia indotto il soggetto controllato ad astenersi dall‟illecito. (...) siffatti poteri deboli, quand‟anche coronati da successo, non sono impeditivi; tali, per converso, sono invece i poteri cui corrispondono doveri di conformazione, in quanto il loro esercizio produce effetti giuridici vincolanti sull‟attività del soggetto controllato, e più in generale i poteri di blocco dell‟attività del controllato, come la revoca di quest‟ultimo» (342). Va segnalata da ultimo la posizione di un autorevole Autore il quale – occupandosi di responsabilità omissiva e di poteri giuridici omissivi all‟interno dell‟ambito societario si mostra invece molto perplesso nei riguardi di quelle posizioni che sembrano descrivere il “potere-giuridico-impeditivo-di-reati-altrui” come un potere senz‟altro impeditivo, in quanto dotato, già ex ante, di sicure chance di successo (343): l‟Autore 341 L‟effetto giuridico tipico è quello che deve discendere, appunto, dall‟esercizio del potere-potestà. Così PISANI, op. ult. cit., pp. 70-71. 342 F. GIUNTA, Controllo e controllori nello specchio del diritto penale, in Riv. trim. dir. pen. ec, 2006, p. 608. Similmente anche R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell‟economia: reati societari e reati in materia di mercato finanziario, Milano, 2008, p. 39: «Per quanto riguarda le azioni impeditive, va però evidenziato che si può parlare di omesso impedimento dell‟evento (rilevante ex art. 40 cpv c.p.) soltanto se il soggetto destinatario dell‟obbligo (...) era dotato di reali poteri impeditivi. A tale proposito giova però sottolineare che può parlarsi di poteri impeditivi soltanto con riferimento a quei poteri all‟esercizio dei quali fa riscontro un dovere di conformazione; quando, in altre parole, l‟esercizio del potere impeditivo determina un effetto giuridico vincolante nei confronti del soggetto obbligato (...)». 343 F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 169: «(...) in tali elaborazioni dottrinali si tende a includere nell‟ambito dei poteri che delineano la posizione di garanzia soltanto quei poteri impeditivi che hanno, già ex ante, sicure chance di successo (perché dotati di effetti giuridici vincolanti o di conformazione).(...) In realtà l‟idea di circoscrivere la posizione di garanzia nell‟ambito dei controlli societari facendo riferimento ai soli poteri che risultano senz‟altro impeditivi in virtù della loro attitudine ad incidere direttamente e immediatamente sull‟attività lecita del controllato non tiene in debita considerazione il fatto che nessun componente di un organo di controllo societario può, in via generale, incidere direttamente e immediatamente sulle scelte gestionali, perché altrimenti rischierebbe 115 ritiene pertanto più opportuno affermare che – per lo meno con riferimento all‟ambito dei controlli societari – poteri impeditivi rilevanti ex art. 40 cpv. siano quelli astrattamente - già solo astrattamente – capaci di impedire, agendo su una o più fasi del processo di realizzazione del reato, il verificarsi dell‟illecito da parte del soggetto sottoposto al controllo (344). In forza di tutto quanto argomentato - nel presente paragrafo nonché nella precedente Sezione, laddove si è parlato di obblighi di garanzia in generale – si può conclusivamente affermare quanto segue. A detta della più recente ed attenta dottrina l‟obbligo di garanzia avente ad oggetto l‟impedimento di un reato altrui dovrebbe – al fine di poter essere qualificato tale – presentare i seguenti caratteri (345): -esso deve affondare le sue radici in una previsione di legge e gravare su uno specifico soggetto; -parimenti giuridica deve essere la previsione dei poteri impeditivi del garante; -i poteri impeditivi devono caratterizzarsi come (astratta) possibilità di interferenza – lecita, totale e diretta – sull‟attività del soggetto controllato, nei termini che sono stati qui sopra descritti; - l‟evento (evento-reato) non impedito deve essere del medesimo tipo di quello che la posizione di garanzia mira ad impedire; di essere stravolto il principio fondamentale per cui “la gestione dell‟impresa spetta esclusivamente agli amministratori (art. 2380 bis c.c.)». 344 F. CENTONZE, op. loc. ult. cit.: «Nell‟ambito dei controlli societari, poteri impeditivi – ai fini dell‟individuazione e della descrizione della posizione di garanzia – sono quindi quei poteri giuridici che possono astrattamente (secondo un modello di causalità generale) impedire, agendo su una o più fasi del processo di realizzazione del reato, il verificarsi dell‟illecito da parte del soggetto sottoposto al controllo. Tali poteri fondano e delimitano la posizione di garanzia e impongono al garante di attivarsi». L‟Autore si affretta a precisare che «tuttavia il teorico, possibile effetto impeditivo di tali poteri non dice ancora nulla sul concreto impedimento dell‟evento che sarebbe derivato dall‟esercizio dei poteri effettivamente disponibili nel caso di specie (secondo lo schema della causalità individuale)». L‟indagine sui poteri, dunque, dopo aver assunto rilevanza per circoscrivere in astratto la posizione di garanzia, dovrà assumere rilievo nuovamente, per compiere il giudizio circa la sussistenza del nesso causale: «il singolo amministratore delegante potrà dirsi infatti concorrente nel reato commesso dall‟esecutivo solo se in giudizio il pubblico ministero sia in grado di dare la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che il comportamento doveroso omesso avrebbe impedito la realizzazione del fatto criminoso da parte dell‟esecutivo. Un giudizio controfattuale dunque compiuto immaginando presente nel caso di specie l‟azione dolorosa e, quindi, l‟esercizio da parte del delegante degli eventuali poteri impeditivi a lui attribuiti dalla legge e realmente esercitabili nella vicenda concreta». 345 Come si è visto nei paragrafi che precedono, rimangono a tutt‟oggi controverse, in dottrina, la questione relative alla “estensione applicativa” dell‟obbligo impeditivo di reato altrui, la questione della autonomia dogmatica di tale obbligo nonché quella relativa alla tipologia di responsabilità conseguente alla di esso violazione. 116 - deve esserci identità tra il bene garantito dalla previsione dell‟obbligo di impedimento e quello garantito dalla fattispecie incriminatrice del cui mancato impedimento il garante verrebbe chiamato a rispondere. Ove un obbligo, pur giuridicamente previsto, non dovesse soddisfare, cumulativamente, i suddetti caratteri, quello non potrà essere ritenuto un obbligo di garanzia volto all‟impedimento dei reati altrui; esso potrà dunque essere considerato alla stregua di un obbligo di sorveglianza o di un mero obbligo di attivarsi. 2.14. “Schema” conclusivo. Considerata la complessità intrinseca della materia trattata nella presente sezione – complessità senz‟altro aggravata alla compresenza, in dottrina, di posizioni variegate e talora difficilmente “comunicanti” fra loro – si avverte qui il bisogno di tracciare una sorta di mappa riassuntiva di tutto quanto qui sopra esposto. A nostro avviso, il quadro potrebbe essere disegnato come segue. a) Quando il controllo sull‟attività posta in essere da altri appare come uno dei possibili contenuti in cui si articola una “preesistente” posizione di garanzia (346), si profila per il garante omittente la possibilità di essere chiamato a rispondere per il fatto, commesso da altri, non impedito. Allo stato, come si è visto sopra, la dottrina risulta profondamente frazionata con riguardo ai confini ed ai caratteri di una tale responsabilità: vi è chi ritiene che si profili, sempre e comunque, una responsabilità per concorso nel reato non impedito; vi è chi afferma che una responsabilità concorsuale sarebbe configurabile soltanto con riguardo ai casi in cui il reato non impedito sia costituito da una fattispecie di evento causale pura; vi è chi, infine, ritiene che, quando l‟impedimento del reato è (solo) uno dei possibili contenuti di una (diversa) posizione di garanzia, si potrà essere chiamati a rispondere non già in concorso nel reato non impedito, bensì soltanto, monosoggettivamente (347), dell‟evento – cagionato dal reato – la cui verificazione non 346 Si pensi al più volte citato caso del genitore, chiamato a tutelare, ad esempio, la vita del proprio figlio, tanto che essa venga minacciata da una causa naturale (quale potrebbe essere una malattia), tanto che essa venga posta in pericolo da una causa umana (quale una condotta delittuosa altrui). 347 La conseguenza è che vigerà, dunque, il “limite applicativo” di cui al 40 cpv c.p., costituito dalle 117 è stata impedita. La giurisprudenza si mostra meno “tormentata” e di norma procede ad affermare una responsabilità del garante omittente rispetto a qualunque tipologia di reato non impedito ed in concorso con l‟autore materiale di quel reato (348). b) Diversa è l‟ipotesi in cui il controllo sull‟attività altrui – e l‟(eventuale) impedimento del reato commesso dal soggetto “controllato” - appaiono essere il contenuto “esclusivo” di una funzione specifica attribuita ad un soggetto: è qui che, a nostro avviso, si presenta, in tutta la sua complessità e delicatezza, il problema di distinguere tra il caso in cui sussista una vera e propria posizione di garanzia ed il caso in cui, invece, si tratti di un mero obbligo di sorveglianza. È in questa ipotesi, dunque, che andrà compiuta con rigore ed approfondimento l‟indagine circa la effettiva capacità impeditiva del potere giuridico attribuito. b.1) Ove possa ritenersi sussistente, nei termini che sono stati sopra descritti, un vero e proprio “obbligo giuridico di impedire reati altrui”, potrà profilarsi una responsabilità per concorso nel reato non impedito. Ciò affermato, si deve prendere atto, ancora una volta, del fatto che la dottrina, a proposito di tale responsabilità, si dirami in molteplici rivoli: vi è chi limita la responsabilità omissiva impropria plurisoggettiva ai soli casi di fattispecie di evento causalmente orientate; chi invece ritiene che possa rispondersi per concorso di qualunque reato; vi è chi ritiene che tale responsabilità concorsuale prenda vita dalla combinazione delle due clausole generali di cui agli articoli 40 cpv. e 110 c.p.; chi invece, al contrario, ritiene che i presupposti dell‟incriminazione siano contenuti tutti all‟interno del solo art. 40 comma 2, e che al concorso possa ricorrersi soltanto, “in un fattispecie di evento causali pure. 348 Anche in giurisprudenza, per il vero, si fanno registrare – quanto meno da un punto di vista formale delle “oscillazioni”, oscillazioni che probabilmente testimoniano una assenza di chiarezza sulla materia. Si pensi al caso del genitore che, a conoscenza del fatto che a danno del proprio figlio vengono commessi da terzi fatti di violenza sessuale, non impedisce il compimento di essi. Bene, si può osservare come - “a parità di situazione” - il reato ascritto al genitore omittente talora viene qualificato ricorrendo agli articoli 110 e 609 bis c.p. (ad esempio Cassazione penale, CED 06/235469), talaltra, invece, viene qualificato ai sensi degli articoli 40 comma 2 e 609 bis c.p. (ad esempio Cassazione 4730/2008). Non è tutto; si deve rilevare altresì che, anche laddove l‟imputazione viene costruita in forza del solo art. 40 cpv – e cioè laddove non venga “scomodato”, nel capo di imputazione, il riferimento alla disciplina concorsuale – i giudici di legittimità si trovino poi ad esaminare motivi di ricorso espressamente inerenti alla disciplina concorsuale (ci si riferisce sempre, ad esempio, a Cassazione 4730/2008, laddove i giudici, nei paragrafi 6 e 7 della motivazione, prendono in esame la possibilità di applicare, al caso di specie, l‟attenuante di cui all‟art. 114 c.p.). 118 secondo momento”, con funzione di disciplina. La giurisprudenza, dal canto suo, ritiene – come già detto – che una responsabilità concorsuale mediante omissione possa profilarsi con riguardo a qualunque tipologia di reato; i giudici sembrano poi soprassedere rispetto alla delicata tematica delle “modalità di interazione” tra le due clausole generali, ex artt. 40 c.p. 2 e 110 c.p.. b.2) Ove invece l‟obbligo di vigilanza sull‟attività altrui non abbia la consistenza di un vero e proprio “obbligo giuridico di impedire reati altrui”, ma sia un mero obbligo di sorveglianza, in quel caso il soggetto omittente – il quale abbia cioè violato l‟obbligo di sorveglianza – non potrà in alcun modo essere chiamato a rispondere per il mancato impedimento del reato in forza dell‟art. 40 cpv. Ciò, in quanto, per poter essere chiamati a rispondere – monosoggettivamente o in concorso – ex art. 40 cpv. c.p., occorre essere titolari di un (vero e proprio) obbligo di garanzia (349). Esclusa la possibilità di una responsabilità ex art. 40 cpv. c.p., l‟inerzia del soggetto omittente potrà assumere rilievo penalistico in due soli casi: b.2.1.) se detta inerzia (cioè la violazione dell‟obbligo di “fare qualcosa”) risulti prevista e sanzionata, come omissione propria, da una norma incriminatrice ad hoc; b.2.2.) se possa essere provato che detta inerzia – lungi dall‟essere stata un‟inerzia mera – abbia in realtà esercitato una effettiva influenza sulla psiche dell‟esecutore materiale del reato, rilevando così nei termini del concorso morale. 349 L‟affermazione appena svolta può sembrare pleonastica e sovrabbondante. A nostro avviso essa non è inutile, considerata l‟accentuata “opacità” dei confini della materia, nonché considerata la estrema facilità di “scivolare” in indebite affermazioni di responsabilità (Si veda infra, Capitolo III). 119 CAPITOLO III. LA GIURISPRUDENZA ALLE PRESE CON LA NOZIONE GIURIDICO-FORMALE DI POSIZIONE DI GARANZIA Introduzione. Il presente capitolo sarà interamente dedicato alla verifica dell‟impatto che le categorie e le figure illustrate nel capitolo precedente hanno prodotto nella recentissima prassi giurisprudenziale (350). Così descritto, l‟ambito di indagine è potenzialmente illimitato. I criteri che verranno impiegati per circoscriverlo sono i seguenti: talora si andrà ad attingere ad alcuni settori, all‟interno dei quali il problema dell‟individuazione dei veri obblighi di garanzia si presenta con elevato grado di frequenza e di complessità; talaltra l‟attenzione verrà concentrata su singole pronunce le quali, come monadi solitarie, hanno avuto la capacità di incidere con personalità e decisione sulla questione oggetto del nostro interesse. Il motore della ricerca non è mai costituito da una pretesa di esaustività; risultato, quest‟ultimo, a cui sarebbe peraltro illusorio ambire, anche in considerazione dell‟estrema complessità e tecnicità di alcuni dei settori all‟interno dei quali l‟analisi sarà compiuta. Il motore della ricerca sarà, piuttosto, costituito dalla curiosità: la curiosità di verificare come i giudici si stanno regolando in un campo del diritto penale – quale è quello delle posizioni di garanzia e della responsabilità omissiva impropria – tanto delicato quanto sfuocato. Un‟ultima considerazione preliminare. La nostra sarà una ricerca „verticale‟. Con ciò si intende dire che all‟interno di ogni settore o di ogni pronuncia analizzati, verrà come effettuato un prelievo in verticale, appunto: da quel tassello che è la fattispecie tipica verranno estratti esclusivamente quei blocchi di materia che contengono le informazioni utili ai fini della verifica che ci siamo prefissati di compiere. 350 Ci si riferisce, beninteso, alle figure dell‟obbligo di garanzia, dell‟obbligo di sorveglianza, dell‟obbligo di garanzia sub specie di obbligo di impedire il reato altrui; ancora, al legame causale che deve intercorrere tra la condotta violativa dell‟obbligo di garanzia e l‟evento (evento-reato) verificatosi. 120 3.1. Le espresse prese di posizione sulla teoria che distingue tra obblighi di garanzia, obblighi di sorveglianza ed obblighi di attivarsi. È interessare riscontrare come la Suprema Corte si sia di recente misurata, in maniera diretta ed espressa, con l‟elaborazione concettuale – di conio dottrinario – che distingue gli obblighi di garanzia da quelli di attivarsi e di sorveglianza. Meritano di essere segnalate alcune pronunce che ci sono parse assai significative in tal senso: la sentenza 22614/2008, con la quale la Sezione IV della Cassazione penale chiude la vicenda processuale scaturita in seguito all‟incidente verificatosi nell‟ottobre 2001 nell‟aeroporto milanese di Linate, e la sentenza 38991/2010, chiamata a pronunciarsi sulla penale responsabilità di amministratori e dirigenti di società aventi in carico uno stabilimento dedito alla produzione di fibre di nailon, per i decessi di una pluralità di lavoratori i quali, in detto stabilimento, avevano respirato polveri di amianto. Si ritiene di poter affermare che la sentenza 22614/2008 rappresenti il primo caso in cui i giudici della Corte di Cassazione – per lo meno con un tale grado di analiticità e consapevolezza – tracciano la classificazione tra obblighi di garanzia, obblighi di attivarsi ed obblighi di sorveglianza. Vi è di più. Nella decisione del 2008 la classificazione suddetta – lungi dall‟essere meramente enunciata – rappresenta la vera chiave di volta, impiegata per “risolvere” la posizione di uno degli imputati, ossia il direttore dell‟aeroporto di Linate (351). 351 La vicenda è tristemente nota. Nell‟ottobre 2001, in una giornata in cui sull‟aeroporto milanese gravava una fitta nebbia, “si verificò una collisione tra un Boeing MD 87 delle linee aeree scandinave, volo SAS 686, regolarmente in fase di decollo, ed un velivolo privato Cessna marche D-IEVX che s‟era inopinatamente trovato a rullare sulla stessa pista. Per effetto della collisione il Boeing si schiantò contro un capannone aeroportuale, mentre il Cessna, messosi di traverso sulla pista, venne completamente avvolto dalle fiamme. In conseguenza dell‟evento perirono complessivamente 118 persone, vale a dire tutti i componenti degli equipaggi e tutti i passeggeri trasportati sui due aeromobili, nonché quattro dipendenti della SEA s.p.a. intenti al lavoro all‟interno del capannone.”. Nella ricostruzione delle cause del sinistro, l‟attenzione fu posta in particolare sulla mancanza di alcune strumentazioni (costituite da specifiche tipologie di radar di terra, di stop-bars e di sistemi di allarme) che, - se in uso – avrebbero consentito ai controllori di volo di rendersi conto degli spostamenti dei velivoli. All‟esito delle indagini furono ipotizzati i reati di disastro aviatorio ed omicidio colposo plurimo, “essendosi ravvisati diversi livelli e forme di responsabilità per colpa, attribuiti a soggetti che stavano al vertice o avevano ruoli direttivi all‟interno dell‟ENAV, ad altri occupanti ruoli specifici all‟interno dell‟ENAC, per i quali si poteva configurare una competenza in merito alla gestione del traffico aereo in quell‟aeroporto, a soggetti con diversi ruoli all‟interno della S.E.A. s.p.a., società di gestione dei servizi aeroportuali, e, infine, a Z.P., il controllore di volo che aveva da ultimo tenuto i contatti radio con l‟aereo Cessna.”. Per ciò che concerne la posizione oggetto di nostro interesse – e cioè quella del direttore dell‟aeroporto – va osservato che a questi si contestava di aver omesso “di rilevare la situazione di carenza dei supporti di sistema per l‟assistenza ed il controllo dei movimenti di superficie necessari per la sicurezza della operatività aeroportuale in condizioni di bassa visibilità - insistente nell‟aeroporto di Linate in particolare a 121 Nel paragrafo tredicesimo della sentenza la Suprema Corte scolpisce il percorso argomentativo che la condurrà a confermare la pronuncia assolutoria del direttore dell‟aeroporto di Linate, giustificando tale assoluzione su un asserito inequivocabile, difetto di posizione di garanzia di quell‟imputato. La Cassazione innanzitutto precisa cosa debba intendersi per “obbligo di garanzia”. Ci piace segnalare come nelle parole della Sezione IV sia riscontrabile una piena, corposa e puntuale adesione ai concetti elaborati dalla dottrina più recente e da noi illustrati nel capitolo II: l‟obbligo di garanzia è un obbligo di carattere giuridico; esso può gravare solo su specifiche categorie di soggetti, i quali devono risultare forniti – previamente forniti – di poteri giuridici di vigilanza ed intervento direttamente incidenti sulla situazione di pericolo; l‟obbligo di garanzia deve risultare enunciato con sufficiente specificità e la violazione di esso può rilevare solo nella misura in cui l‟evento non impedito «si inserisca nel novero di quei tipi di evento che l‟obbligo di garanzia mirava, appunto, a prevenire» (352); ancora, quando l‟obbligo di garanzia consiste in un obbligo di impedimento di reati altrui, esso «(sia che lo si voglia includere, secondo la impostazione tradizionale, nella più ampia categoria degli obblighi di controllo, sia che lo si voglia, al contrario, considerare come categoria autonoma rispetto alle altre) presuppone pur sempre che il garante sia dotato di poteri-doveri giuridici di vigilanza sull‟operato di terzi e, nel contempo, di poteri-doveri di impedire il compimento di azioni penalmente illecite da parte di tali soggetti». Una volta enunciati i caratteri che devono essere posseduti dagli obblighi di garanzia rilevanti ex art 40 cpv. c.p., la Suprema Corte affronta il tema della distinzione tra tali obblighi e gli obblighi di sorveglianza e di attivarsi (353) e conclude affermando che è causa (e dal momento) della inoperatività del radar di sorveglianza del movimento di superficie, della mancanza di una barra d‟arresto a norma ICAO e di un sistema di allarme antiintrusione all‟intersezione del raccordo aeroportuale R6 con la pista, della insufficienza della segnaletica informativa direzionale e di locazione all‟ingresso del raccordo R6 dal piazzale di Linate Ovest - e di adottare i conseguenti provvedimenti di prescrizione in ordine al ripristino degli impianti di sicurezza ovvero di limitazione operativa sull‟area di movimento”. 352 Cassazione 22614/2008. 353 “la dottrina non ha mancato di rilevare che "il fondamentale problema che si pone, in ordine agli obblighi giuridici finalizzati all‟impedimento di altrui azioni illecite, consiste nello stabilire, di volta in volta, se si tratti di un vero e proprio obbligo di garanzia, rilevante ai sensi dell‟art. 40, comma 2, oppure di un mero obbligo di sorveglianza, la cui inosservanza possa rilevare unicamente ai fini di una fattispecie omissiva propria, ove possa essere direttamente ricondotta ad una previsione legislativa di parte speciale (...) o, altrimenti, debba considerarsi priva di qualunque rilievo penale.” (Cassazione 22614/2008). 122 “essenziale, al fine di delimitare il confine tra obbligo di garanzia e di sorveglianza ... il riferimento agli effettivi poteri-doveri impeditivi giuridicamente conferiti all‟obbligato sull‟atto costituente reato. E, cioè, occorrerà distinguere a seconda che si tratti di poteri- doveri realmente impeditivi, direttamente incidenti sull‟attività del terzo, autore del reato (...) oppure di poteri-doveri che, pur finalizzati all‟impedimento del reato, non prevedano l‟intervento diretto dell‟obbligato sull‟atto che lo integra, ma, più limitatamente, l‟informazione del garante o del titolare del bene sull‟attività illecita del terzo» (354). Una volta enunciati i principi a suo avviso governanti la materia, la Corte procede alla applicazione di essi nel caso oggetto di indagine. I giudici compiono una analitica – e per nulla semplice (355) – opera di ricostruzione del quadro normativo vigente all‟epoca dei fatti, opera nella quale vengono minuziosamente individuati – e poi coordinati fra loro – i singoli interventi normativi succedutisi nel tempo (356). La suddetta ricostruzione è finalizzata a chiarire quali fossero i doveri giuridici gravanti sul direttore dell‟aeroporto. Dopo di che la Corte procede a verificare, con un rigore concettuale a nostro avviso encomiabile, se potessero ritenersi sussistenti, in capo al direttore, altrettanti poteri, di carattere giuridico e di efficacia impeditiva rispetto al tipo di evento verificatosi (357): vengono così indagati – sempre sulla base delle disposizioni normative e 354 La Suprema Corte in realtà si spinge ben oltre poiché - dopo aver delineato la distinzione tra obblighi di garanzia, obblighi di sorveglianza e obblighi di attivarsi – giunge a compiere espresse denunce: in particolare, ad essere denunciate sono sia la confusione con cui vengono spesso adoperate le locuzioni “obbligo di attivarsi”, “obbligo di garanzia” e “obbligo di sorveglianza”, sia la gravità della mancata percezione della differenza delle situazioni sottese a tali “nomenclature”. 355 «I diversi, contrapposti, approdi cui sono pervenuti al riguardo i giudici del merito e le contrapposte approfondite argomentazioni hinc et inde rassegnate dalle parti danno contezza di un assetto normativo non percepito in termini di indiscutibile inopinabilità da parte dell‟interprete.» (Cassazione 22614/2008). 356 Per amor di precisione, segnaliamo che le principali norme fatte oggetto di analisi sono le seguenti: il codice della navigazione (art. 719 e ss.), il regolamento contenuto nel RD 356/1925 – ritenuto applicabile, stante la mancata adozione di testi regolamentari che sarebbero invece dovuti intervenire a specificare alcune disposizioni (meramente programmatiche) contenute nel codice della navigazione; il D.P.R. 145/1981, con riguardo ai compiti assegnati all‟Azienda Autonoma di assistenza al volo, seguito dai DPR 484&1981 e 461/1985; il D.Lgs. 250/1997, istitutivo dell‟Enac. La Suprema Corte afferma che un vero e proprio assetto normativo di razionalizzazione del sistema sarebbe intervenuto soltanto col D.Lgs. 96/2005, e quindi in un‟epoca successiva a quella in cui si verificò il disastro aereo per cui è processo. 357 Al fine di “concretizzare” le affermazioni sopra svolte, è opportuno precisare che, nel caso di specie, si trattava, in particolare, di stabilire quanto segue: -se sul direttore dell‟aeroporto gravassero specifici doveri-poteri di adottare provvedimenti di limitazione 123 regolamentari – i rapporti intercorrenti tra il direttore dell‟aeroporto, l‟ENAC (Ente Nazionale per l‟Aviazione Civile) e l‟ENAV (Ente Nazionale di Assistenza al Volo) e, dopo ampio e diffuso argomentare (358), si approda alla conclusione che «non appare (…), normativamente esplicitato o diversamente attribuito (..) al direttore di aeroporto, un potere al riguardo dispositivo-impositivo nei confronti di ENAV, nel contesto di una posizione di garanzia in capo a lui predeterminata». Il filo del ragionamento seguito dai giudici si legittimità può dunque essere così ripercorso: - l‟obbligo giuridico rilevante ex art. 40 cpv. deve essere contrassegnato dalla presenza di poteri giuridici realmente impeditivi; - il potere può dirsi realmente impeditivo quando il soggetto gravato dell‟obbligo sia in grado di intervenire direttamente per impedire il verificarsi dell‟evento; e cioè quando sia in grado – nell‟ambito della propria competenza ed autonomia – di assumere le relative decisioni e determinazioni; - nel caso di specie – in forza dell‟analisi sia del quadro normativo, sia dei rapporti intercorsi tra i vari organi ed enti deputati alla sorveglianza sulla sicurezza del traffico aereo – i giudici hanno ritenuto di dover escludere che, tra i molteplici compiti affidati ad un direttore di aeroporto, fossero rintracciabili altresì specifici doveri-poteri di assumere determinazioni che avrebbero potuto dispiegare un‟efficacia impeditiva rispetto ad eventi del tipo di quello verificatosi. Una altrettanto espressa presa di posizione sulla distinzione tra obblighi di garanzia, obblighi di sorveglianza e obblighi di attivarsi è quella assunta nella sentenza 38991/2010 della Suprema Corte. Si tratta in tale caso, tuttavia, di una presa di posizione di carattere diametralmente opposto rispetto a quella del 2008: nella pronuncia del 2010, difatti, i giudici descrivono la dei movimenti degli aeromobili sulle aree di manovra in condizioni di bassa visibilità; -se sul direttore dell‟aeroporto gravassero specifici doveri-poteri, autonomi, di decidere l‟adozione della strumentazioni (radar di terra etc.) di cui era stata riscontrata la mancanza. 358 Merita di essere sottolineato come i giudici abbiano avvertito la necessità di andare a verificare se l‟imputato potesse dirsi titolare di poteri impeditivi realmente “autonomi”: “(…) rimanendo pur sempre da verificare se i singoli specifici atti siano ad esso direttamente attribuiti o assegnati, la regola cautelare dovendosi pur sempre ragguagliare ad un rinvenibile dato normativo o comunque attributivo al riguardo. (…) se si vanno ad analizzare alcune delle ordinanze del direttore d‟aeroporto prodotte in atti in tema di disciplina dei movimenti in aeroporto ... si constata che il loro contenuto non è mai il frutto o la conseguenza dell‟esercizio di un autonomo potere di disciplina tecnica della materia, ma costituisce la sintesi di situazioni operative studiate e proposte da altri enti, in base alle rispettive competenze”. 124 teoria che distingue tra obblighi di garanzia e meri obblighi di sorveglianza al fine di criticare la bontà e la con divisibilità di essa. Vale la pena riportare il passaggio motivazionale cruciale dell‟orientamento suddetto: «Secondo parte della dottrina, gli obblighi di garanzia non vanno confusi con gli "obblighi di sorveglianza", i quali comportano per chi ne è onerato, solo un compito di vigilanza sulle situazioni di pericolo, ma non un compito impeditivo (es. i sindaci di una s.p.a. in ordine a taluni loro compiti di sola sorveglianza). Ne consegue che la titolarità di una mera posizione di sorveglianza non è idonea a far sorgere l‟obbligo di impedire l‟evento. Tale orientamento, nella sua radicale formulazione non può essere condiviso,(..). Invero, la posizione di garanzia richiede l‟esistenza di poteri impeditivi che, però, possono anche concretizzarsi in obblighi diversi e di minore efficacia, rispetto a quelli direttamente e specificamente volti ad impedire il verificarsi dell‟evento. Del resto nella gran parte dei casi i garanti non dispongono sempre e in ogni situazione di tutti i poteri impeditivi che invece di volta in volta si modulano sulle situazioni concrete. (…). In conclusione può affermarsi che un soggetto è titolare di una posizione di garanzia, se ha la possibilità, con la sua condotta attiva di influenzare il decorso degli eventi indirizzandoli verso uno sviluppo atto ad impedire la lesione del bene giuridico da lui preso in carico»(359). La Suprema Corte dunque, senza adoperare mezzi termini, disconosce l‟impostazione secondo cui un obbligo rilevante ex art. 40 cpv. sussiste solo e soltanto laddove vi sia perfetta corrispondenza tra doveri giuridici e poteri giuridici, quest‟ultimi dotati di diretta e specifica efficacia impeditiva. È dalle premesse concettuali sopra citate che la Cassazione prenderà le mosse, nel caso di specie, per giungere ad affermare la sussistenza di una posizione di garanzia in capo a 359 Nell‟adottare tale impostazione, la Suprema Corte si richiama ad un precedente, costituito dalla pronuncia della Sezione IV, 16761/2010. In effetti la sentenza da ultimo citata - dopo aver parlato della distinzione tra obblighi di garanzia, obblighi di attivarsi ed obblighi di sorveglianza - asserisce che “Non sembra invece condivisibile l‟affermazione che il garante, perché risponda dell‟evento, debba essere dotato di tutti i poteri impeditivi dell‟evento essendo richiesto all‟agente che ponga in essere solo quelli da lui esigibili (…) Insomma la posizione di garanzia richiede l‟esistenza dei poteri impeditivi che peraltro possono anche concretizzarsi in obblighi diversi (per es. di natura sollecitatoria), e di minore efficacia, rispetto a quelli direttamente e specificamente diretti ad impedire il verificarsi dell‟evento.”. A nostro avviso, tuttavia, la suddetta asserzione non va in alcun modo ad intaccare la applicazione – da parte delle Suprema Corte, in quell‟occasione – del criterio della ricerca dei doveri-poteri giuridici impeditivi. (Si veda a tal proposito il paragrafo seguente). 125 tutti i componenti del consiglio di amministrazione delle società coinvolte nella vicenda giudiziaria (360). 3.2. Il criterio dei poteri giuridici impedivi: a) il cosciente e risolutivo impiego di esso. (Segue) Le sentenze esaminate nel paragrafo che precede rappresentano casi in cui, come si è visto, i giudici hanno espressamente descritto – per approvarla o per criticarla – la teoria che distingue tra obblighi di garanzia, obblighi di sorveglianza e obblighi di attivarsi. Bene, a seguito dell‟indagine compiuta sulla giurisprudenza che, nel primo decennio del XXI secolo, si è occupata di posizioni di garanzia, si ritiene di poter affermare quanto segue. Anche in quegli arresti giurisprudenziali in cui alla teoria della distinzione “obblighi di garanzia/ obblighi di sorveglianza/ obblighi di attivarsi” non viene fatto esplicito riferimento, ad essere filtrato è il “criterio fondatore” della distinzione suddetta: il criterio dei poteri giuridici impeditivi, la cui sussistenza farebbe da discrimen tra obblighi rilevanti ex art. 40 cpv. ed altre tipologie di obblighi. Più in particolare, ad essere filtrata è stata la percezione che quello dei poteri giuridici impeditivi rappresenta l‟elemento su cui poter legittimamente fondare una responsabilità per omesso impedimento di un evento: il garante è colui sul quale si appunta non soltanto un determinato dovere giuridico impeditivo, ma altresì il corrispondente potere – possibilmente giuridico anch‟esso – di impedimento. Se quanto è stato asserito è vero – e cioè che nella recente prassi giurisprudenziale è ormai radicata la consapevolezza della necessaria sussistenza di poteri giuridici impeditivi – ci pare di poter affermare che è altresì vero che, dinnanzi ad una tale consapevolezza, le “reazioni” sono le più difformi. Ci sono casi in cui del criterio dei poteri giuridici impeditivi si cerca di fare una approfondita applicazione, rendendolo peraltro il criterio “risolutivo” con riguardo alla vicenda esaminata; ci sono dei casi in cui tale criterio viene sì richiamato ed invocato, ma poi 360 Sui contenuti della sentenza 39881/2010 si tornerà nel prosieguo, data la rilevanza di essi sia in tema di responsabilità degli amministratori non esecutivi, sia in tema di efficacia della delega di funzioni nell‟ambito della sicurezza sul lavoro. 126 una vera applicazione di esso viene in realtà frustrata; vi sono casi in cui l‟applicazione del criterio suddetto risulta davvero ardua, nel senso che da quella discendono risultati che sono tutto fuorché incontrovertibili. Si inizierà qui col trattare delle ipotesi in cui quello della sussistenza dei poteri giuridici impeditivi ha costituito il decisivo criterio ispiratore della decisione sulla vicenda di specie. La casistica è nutrita e l‟elencazione delle pronunce potrebbe essere lunga (361). Ci si limiterà qui pertanto a segnalarne alcune, recenti, le quali sono state scelte in virtù della rilevanza o della peculiarità delle vicende che le hanno occasionate. Il criterio del dovere potere-giuridico impeditivo ci sembra aver fatto da “guida concettuale” per il Tribunale di Milano (362), chiamato nel 2010 a giudicare sulla penale responsabilità di quattro responsabili del sito web Google Video.it (363). Nella vicenda in oggetto, due erano i capi di imputazione gravanti sugli imputati: quello relativo al concorso mediante omissione nel delitto di diffamazione (artt. 110, 40 co. 2, 595 commi 1 e 3 c.p.) e quello relativo all‟illecito trattamento dei dati personali (artt. 110, 169 commi 1 e 2 D.Lgs. 196/2003, in riferimento agli articoli 23, 27 e 26 del decreto stesso). Ai fini che qui ci interessano, verrà presa in considerazione esclusivamente l‟imputazione relativa al concorso mediante omissione nel delitto di diffamazione, e cioè l‟imputazione costruita sulla base del capoverso dell‟articolo 40 c.p.. 361 Tra le tante, si possono segnalare le seguenti. Cassazione 32298/2006, la quale - dopo aver ricordato, appunto, che l‟obbligo giuridico di impedire l‟evento si caratterizza per la compresenza di due componenti, costituite da un dovere di intervento stabilito da una fonte normativa e da un potere (giuridico, ma anche di fatto) impeditivo – conferma la sussistenza di una posizione di garanzia in capo a due fratelli, che avevano dato in locazione un immobile di loro proprietà omettendo ogni doverosa verifica sullo stato di manutenzione dell‟impianto di riscaldamento. Alla necessità di compiere una seria indagine sulle specifiche competenze nonché sul ruolo esercitato all‟interno di un‟organizzazione complessa – elementi, questi, che costituiscono il “risvolto applicativo” del criterio dei poteri giuridici impeditivi – si richiama Cassazione 42496/2009, laddove annulla la sentenza di condanna che aveva ritenuto sussistente una posizione di garanzia in capo ad un ragazzo che svolgeva il servizio civile presso una associazione ambientalista (posizione di garanzia ritenuta sussistente in relazione ad un tragico fatto verificatosi durante una gita organizzata dall‟associazione stessa). Ancora, si può segnalare Cassazione 17754/2010, la quale annulla l‟assoluzione pronunciata nei confronti di una Preside di scuola media, demandando al giudice del rinvio il compito di analizzare “i poteri direttivi che la legge le riconosce”, per stabilire se quella avesse una posizione di garanzia nei confronti di un alunno, rimasto vittima di un incidente stradale, appena uscito da scuola, lungo la strada comunale antistante l‟edificio scolastico. 362 Tribunale Milano, Sezione IV, 12 aprile 2010 n. 1972. 363 SI trattava, in particolare, del Presidente del Consiglio di Amministrazione di Google Italy s.r.l., di due amministratori delegati nonché del responsabile delle policy sulla privacy per l‟Europa (Global Privacy Counse) di Google Inc. 127 Il delitto di diffamazione era quello commesso da alcuni ragazzi di un istituto tecnico di Torino, i quali – dopo aver girato un video che mostrava numerosi atti vessatori dagli stessi compiuti nei confronti di un loro coetaneo disabile – lo caricarono su Google Video; sul sito il video rimase per due mesi, durante i quali venne visualizzato per oltre cinquemila volte. La responsabilità in capo ai gestori del sito web era stata dai PM “costruita” sulla base del seguente impianto concettuale: i responsabili del sito avevano omesso di effettuare il controllo preventivo sul contenuto del filmato, violando gli obblighi relativi al corretto trattamento dei dati personali (in particolare, gli obblighi derivanti dagli articoli 13, 26 e 17 del D.Lgs 196/2003) e così non impedendo che il video venisse immesso per la successiva diffusione a mezzo internet; essi dunque dovevano essere chiamati a rispondere per concorso mediante omissione nell‟altrui delitto di diffamazione (364). Il giudice di prime cure prende invece le distanze dall‟assunto elaborato dall‟ufficio dell‟accusa, e lo fa sottolineando l‟assenza, nel caso di specie, di doveri-poteri giuridici 364 Si riporta qui di seguito il testo del capo di imputazione oggetto di interesse: “A) per i reati di cui agli art. 110, 40 comma 2, 595 comma l e 3 C.P. perché in concorso tra loro D.D.C. - Presidente del Consiglio di Amministrazione di Google Italy s.r.l. dal 19.3.2004 e successivamente nominato amministratore delegato in data 2.4.2004 (fino al 21.5.2007), D.L.R.G. - membro del Consiglio di Amministrazione di Google Italy s.r.l. dal 19.3.2004 e successivamente nominato amministratore delegato in data 2.4.2004 (fino al 21.5.2007), Fl.P.A. - responsabile delle policy sulla privacy per l‟Europa (Global Privacy Counse) di Google Inc., De.A. - responsabile del progetto Google Video per l‟Europa. Offendevano la reputazione dell‟Associazione Vivi Down - associazione italiana per la ricerca scientifica e per la tutela della persona Down, nonché di D.L.F.G., consentendo che venisse immesso per la successiva diffusione a mezzo internet, attraverso le pagine del sito http://video.google.it e senza alcun controllo preventivo sul suo contenuto, un filmato in cui persone minorenni, in concorso tra loro, pronunciando la seguente frase "Salve, siamo dell‟associazione Vivi down, un nostro mongolo si è cagato addosso e mò non sappiamo che minchia fare perché l‟odore di merda c‟è entrato nelle narici" e ponendo in essere numerosi altri atti vessatori nei confronti di un loro coetaneo disabile, ledevano i diritti e le libertà fondamentali nonché la dignità degli interessati. In Milano, in epoca immediatamente successiva all‟8 settembre 2006 (data del video upload) e fino al 7 novembre 2006 (data della rimozione del video). Obbligo giuridico ex art. 40 comma 2 così individuato: omettevano - ciascuno nella rispettiva qualità - il corretto trattamento di dati personali come prescritto dal D.lvo 30 giugno 2003 n.196 (e altresì più volte sollecitato dall‟Autorità Garante per la protezione dei dati personali, dopo la conclusione del procedimento di cui al successivo capo C, in data 22.3.2006, 9.5.2006 e 3.7.2006) ed in particolare: - dall‟art 13, difettando del tutto l‟informativa sulla privacy - visualizzabile in italiano dalla pagina iniziale del servizio Google video, in sede di attivazione del relativo account al fine di porre in essere l‟upload dei files - in ordine a quanto prescritto dal comma 1 della richiamata norma e, per essa, del valido consenso di cui all‟art. 23 comma 3, - dall‟art. 26, riguardando altresì dati idonei a rivelare lo stato di salute della persona inquadrata, - dall‟art. 17, per i rischi specifici insiti nel tipo di trattamento omesso nell‟ipotesi di cui al presente procedimento, non attivandosi Google Italy s.r.l. neppure in tal senso - tramite il prescritto interpello presso l‟Autorità Garante. Trattamento omesso - anche in relazione alle concrete misure organizzative da apprestare (…)”. 128 impeditivi, idonei a fondare una posizione di garanzia a carico dei responsabili del sito web. La tesi del giudice meneghino può essere riassunta attorno ai due poli argomentativi seguenti: la posizione di garanzia, per dirsi tale, deve fondarsi su un dovere preciso, specifico, e posto dalla legge; ancora, la posizione di garanzia, per dirsi tale, deve essere contrassegnata da poteri, anch‟essi giuridici, impeditivi; e i poteri impeditivi, per dirsi a loro volta tali, devono essere contrassegnati dal carattere della preventività rispetto all‟evento da impedire. Nel caso di specie, ad avviso del giudice milanese, difettano sia l‟uno che l‟altro elemento. Da un lato, ad avviso del giudice, dalle norme richiamate dai pubblici ministeri non poteva esser fatto scaturire alcun obbligo impeditivo specifico rispetto all‟evento verificatosi («non esiste, a parere di chi scrive, perlomeno fino ad oggi, un obbligo di legge codificato che imponga agli ISP un controllo preventivo della innumerevole serie di dati che passano ogni secondo nelle maglie dei gestori o proprietari dei siti web, e non appare possibile ricavarlo aliunde superando d‟un balzo il divieto di analogia in malam partem, cardine interpretativo della nostra cultura procedimentale penale (…) Non appare quindi conforme (…) far derivare l‟esistenza di tale obbligo di intervento dalla violazione di una legge che non abbia per oggetto tali condotte e che sia stata emanata a copertura di comportamenti diversi da quello contestato»). Dall‟altro lato, il giudice afferma che, anche laddove si fosse voluto ritenere sussistente un tale obbligo impeditivo, a detto obbligo non sarebbe potuta corrispondere una reale “possibilità impeditiva”: «pur ammettendo per ipotesi che esista un potere giuridico derivante dalla normativa sulla privacy che costituisca l‟obbligo giuridico fondante la posizione di garanzia, non vi è chi non veda che tale potere, anche se correttamente utilizzato, certamente non avrebbe potuto "impedire l‟evento" diffamatorio»; ove un tale obbligo impeditivo venisse ritenuto sussistente, difatti, «imporrebbe (…) un controllo o un filtro preventivo su tutti i dati immessi ogni secondo sulla rete, causandone l‟ immediata impossibilità di funzionamento». Negata la sussistenza di una posizione di garanzia, il Tribunale di Milano assolve i quattro imputati dal reato di concorso mediante omissione nel delitto di diffamazione, «perché il fatto, così come per gli stessi contestato, non sussiste» (365). 365 Concordano con il ragionamento seguito dal giudice milanese – nonché con l‟esito assolutorio – C. 129 Al criterio della giuridicità dei poteri impeditivi ci pare attenersi 366 minuziosamente anche Cassazione penale, Sez. IV, 12 marzo 2010, n. 16761 ( ). In seguito al ricorso del procuratore generale della Repubblica presso la Corte d‟Appello di Salerno, i giudici della Suprema Corte di sono trovati a dover valutare, tra le altre cose, la sussistenza di una posizione di garanzia in capo al Sindaco di Sarno, al quale era stato contestato di aver omesso «di dare tempestivamente il segnale di allarme alla popolazione, di disporre l‟evacuazione delle persone residenti nelle zone a rischio, di convocare ed insediare tempestivamente il comitato locale per la protezione civile etc.» e di aver così cagionato, mediante omissione, la morte di 137 persone (367). I giudici di merito avevano assolto il sindaco, sulla base di un asserito difetto della posizione di garanzia. La Cassazione compie una meticolosa ricostruzione del quadro normativo – ricostruzione effettuata attraverso l‟analisi delle norme vigenti ( 368 ) e attraverso l‟individuazione della ripartizione delle competenza tra Sindaco e Prefetto, distinguendo a seconda della tipologia di evento calamitoso e a seconda dei rapporti (di concorrenza o di residualità) sussistente tra le competenze stesse - al fine di verificare la sussistenza o meno, in capo al Sindaco, di effettivi poteri giuridici impeditivi rispetto alle morti verificatesi. In particolare, si trattava di comprendere se in capo al sindaco MELZI D‟ERIL – G.E. VIGEVANI, Nelle motivazioni di condanna della sentenza violazione della privacy per mancato consenso, in Guida al Diritto, 2010, p. 20 ss. e A. MANNA, I soggetti in posizione di garanzia, in Il diritto dell‟Informazione e dell‟Informatica, 2010, p. 779 ss. Gli autori sopra citati mostrano invece delle perplessità con riguardo alla pronuncia di condanna adottata in relazione all‟imputazione di cui al capo B), quella cioè per violazione dell‟art. 167 del D.Lgs. 196/2003. Di tale secondo aspetto della vicenda giudiziaria, tuttavia, non è di certo in questa sede opportuno occuparsi. 366 Per amore di precisione va ricordato che tale pronuncia – come si è avuto modo di spiegare, in nota, nel paragrafo che precede – mostra di non aderire pienamente alla teoria che distingue tra obblighi di garanzia ed obblighi di attivarsi. E tuttavia essa, a nostro avviso, applica con estrema fedeltà e rigore il criterio dei doveri-poteri giuridici impeditivi. 367 Al fine di descrivere i fatti della vicenda – anch‟essa tristemente nota – si riporta un passaggio tratto dalla pronuncia della Suprema Corte: «Il (OMISSIS) da una montagna denominata (OMISSIS), sita al confine tra le province di (OMISSIS), scendevano numerose colate rapide di fango che investivano gli abitati di (OMISSIS). L‟abitato maggiormente colpito da questo evento era il comune di (OMISSIS) dove si verificavano 137 morti di persone che si trovavano nella località indicata. Le colate erano state provocate dallo scioglimento, ad opera di precipitazioni di pioggia intensissime e durate diversi giorni, dei sedimenti di origine vulcanica formatisi sulla montagna e poggianti su un substrato solido di roccia calcarea (…) Queste colate provocavano varie tipologie di danni alle costruzioni (crollo totale di immobili, crollo parziale di altri, danni localizzati in alcune parti di altri immobili, danni lievi di parti non strutturali) ma, soprattutto, numerosissime morti di abitanti (…)». 368 In particolar modo, si trattava della disciplina contenuta nella L. 225/1992 e di quella contenuta in una direttiva della presidenza del consiglio dei ministri, la n. 91/1995 (cosiddetta direttiva Barberi). 130 incombessero i doveri-poteri di compiere attività di prevenzione e di evacuazione – attività, queste, senz‟altro dotate di (per lo meno astratta) efficacia impeditiva rispetto agli eventi accaduti – oppure se, al contrario, quello avesse soltanto un compito di assistenza e soccorso delle popolazioni colpite. La Suprema Corte annulla la sentenza assolutoria e affida l‟indagine suddetta al giudice del rinvio. 3.3. (Segue) b) L’elusione dell’applicazione del criterio dei poteri giuridici impeditivi: b.1) la delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro: la analisi della sussistenza dei doveri-poteri impeditivi viene evitata escludendo, a monte, l’esistenza di una valida delega. Nel presente paragrafo la nostra indagine della prassi giurisprudenziale avrà ad oggetto l‟istituto della delega di funzioni ed il suo impiego nel settore della sicurezza nei luoghi di lavoro. Si tratta difatti, a nostro avviso, di un terreno che si presta – o meglio, che si presterebbe - a fungere da fertile banco di prova per testare l‟impiego del criterio dei poteri giuridici impeditivi. Si anticipa sin da subito che invece, secondo noi, la giurisprudenza che si è occupata di tale tema ha evitato di “misurarsi davvero” con la questione della distinzione tra veri obblighi di garanzia e meri obblighi di sorveglianza. Il presente paragrafo verrà idealmente suddiviso in due parti: dapprima si cercherà di motivare perché quello della delega di funzioni costituisca – almeno in astratto - un ambito di indagine ideale; in un secondo momento ci si dedicherà a descrivere l‟atteggiamento assunto in materia dalla giurisprudenza nonché a spiegare le ragioni del nostro giudizio su di esso. Nell‟ambito del reato omissivo improprio, il fenomeno della delega di funzioni e cioè il fenomeno del trasferimento, mediante atto negoziale, da un soggetto delegante ad un soggetto delegatario, oltre che delle funzioni, altresì dell‟obbligo giuridico impeditivo ( 369 ) - ha da sempre sollevato, tra le altre cose, il delicato problema di 369 Vedi retro, capitolo I sezione III. 131 stabilire quali siano l‟effettivo contenuto e l‟effettiva consistenza della posizione gravante sul soggetto delegante: in altri termini, ci si è da sempre chiesti se in capo al dante incarico permanga o meno un dovere rilevante ai sensi dell‟art. 40 cpv. c.p.. La dottrina ha indagato la questione, approdando a conclusioni variegate. Possono essere qui rapidamente ricordate le tre principali concezioni che sono state elaborate (370): la concezione cosiddetta formale, secondo cui la delega non potrebbe in nessun caso traslare definitivamente una posizione di garanzia tipica, prevista dalla legge, e secondo cui, dunque, essa potrebbe al più assumere rilevanza per escludere – se non la sussistenza di una posizione di garanzia in capo al delegante, quanto meno – la colpa di esso; la concezione cosiddetta funzionale, secondo cui la delega dispiegherebbe il sicuro effetto di costituire un nuovo e diverso garante, spogliando il dante incarico della posizione penalmente rilevante; infine la teoria cosiddetta intermedia, secondo la quale in capo al dante incarico permarrebbe pur sempre un obbligo, ma esso muterebbe di contenuto, trasformandosi in un obbligo di sorveglianza sull‟altrui attività (371). Ci pare opportuno precisare che ogni questione in tema di delega di funzioni presuppone la “soluzione”, a sua volta, di una questione prodromica: occorre difatti prima di tutto individuare quali siano, all‟interno di una struttura complessa, i garanti originari; solo una volta appurato che un soggetto è titolare di una posizione di garanzia, si potrà porre il problema di stabilire quali siano gli effetti di una delega da questi conferita a terzi. Si veda ad esempio in tal senso, per tutte, Cassazione 4123/2008: «In tema di normativa antinfortunistica, nelle imprese di grandi dimensioni, si pone la questione, attinente all‟individuazione del soggetto che assume su di sé, in via immediata e diretta, la posizione di garanzia, la cui soluzione precede, logicamente e giuridicamente, quella della (eventuale) delega di funzioni. (…) ». Per una ricognizione dei garanti a titolo originario nell‟ambito della sicurezza sul lavoro vendansi, fra gli altri, F. D‟ALESSANDRO, La delega di funzioni nell‟ambito della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, alla luce del decreto correttivo n. 106/2009, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, p. 1130; N. PISANI, Posizioni di garanzia e colpa d‟organizzazione nel diritto penale del lavoro, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2009, passim. 370 Per una accurata illustrazione delle principali teorie sviluppate in tema di delega di funzioni, vedasi T. VITARELLI, Delega di funzioni e responsabilità penale, Milano, 2006, p. 45 e ss. 371 Ci sembra importante compiere una precisazione. La terminologia “obbligo di sorveglianza”, impiegata dalla dottrina tradizionale in tema di delega di funzioni, voleva indicare un obbligo che, sebbene mutato di contenuti, era pur sempre un obbligo di garanzia. Invece – come si è visto nel capitolo precedente (sezione I) – a partire dalla fine degli anni Novanta una parte della dottrina ha iniziato ad impiegare la terminologia “obbligo di sorveglianza” per riferirsi ad una situazione ben diversa – anzi, propriamente contrapposta – all‟obbligo di garanzia. La stessa nomenclatura è stata dunque utilizzata, nel corso del tempo, attribuendo ad essa significati diversi. Di tali significati è nostro avviso importante avere chiara contezza. Anche perché una confusione terminologica finirebbe con l‟aggravare la situazione di un ambito – quello delle posizioni di garanzia e della responsabilità omissiva impropria – già pervaso da tanti dubbi e da tante incertezze. 132 Con specifico riguardo al settore della sicurezza nei luoghi di lavoro, il fenomeno della delega di funzioni – di creazione dottrinaria e giurisprudenziale - ha conosciuto una consacrazione normativa ( 372 ). Gli attuali articoli 16 e 17 del D.Lgs. 81/2008 contemplano l‟istituto della delega di funzioni, ne descrivono dettagliatamente i caratteri ed i presupposti (ci si riferisce in particolare alla disciplina dei commi 1 e 2 dell‟art. 16) e ne individuano i limiti (ci si riferisce in particolar modo agli «obblighi non delegabili» di cui all‟art. 17). Il legislatore provvede altresì – ed è su questo profilo che si appunterà da qui dinnanzi la nostra attenzione – ad indicare quali sono gli effetti che la delega produce in capo al datore di lavoro delegante: il comma 3 dell‟art. 16 recita che “la delega di funzioni non esclude l‟obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite”. Ora, quanto sin qui esposto dovrebbe rendere palese perché la delega di funzioni, nel settore della sicurezza sul lavoro, costituisca un ambito elettivo di indagine. Ci troviamo difatti dinnanzi ad un caso in cui in capo ad un soggetto (e cioè in capo al garante delegante) la legge prescrive un obbligo – “giuridico”, per ovvie ragioni – di “fare qualcosa”: più precisamente, un obbligo di «vigilare» sull‟attività di un altro soggetto (cioè sull‟attività del delegato). Ai nostri fini, dunque, - e alla luce di tutto quanto illustrato nel capitolo secondo del presente lavoro – la questione da indagare è la seguente: cercare di comprendere se ad un tale obbligo di vigilanza – giuridicamente posto - possa o meno essere attribuita la consistenza di un obbligo impeditivo ex art. 40 cpv. c.p.; il che equivale a stabilire se la violazione, da parte del datore di lavoro, di un tale obbligo, possa o meno rilevare in termini di concorso mediante omissione nel reato commesso dal soggetto delegato (373). Prima di andare analizzare in che maniera la giurisprudenza si sia confrontata con la suddetta questione, ci sembra opportuno compiere una precisazione. 372 Il primo riconoscimento normativo è stato quello introdotto dal d.lgs. 242/1996 all‟interno dell‟art. 1, comma 4 ter D.lgs 626/1994. La vera codificazione dell‟istituto della delega di funzioni si è avuta con il d.lgs. 81/2008. Per una agile ricostruzione dell‟evoluzione della normativa vedasi L. DEGL‟INNOCENTI, Le novità in materia di delega di funzioni introdotte dal d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106, in Cassaz. Pen., 2010, p. 2479. 373 La questione sopra individuata si ripropone peraltro, per intero, con riguardo al fenomeno della subdelega, oggi disciplinato dal co. 3-bis dell‟art. 16: si tratterà infatti di stabilire se l‟obbligo di vigilanza contemplato dal comma 3-bis – cioè l‟obbligo che grava sul delegato, il quale decide, a sua volta, di delegare alcune funzioni – abbia o meno la consistenza di un obbligo di garanzia. 133 Nel 2009 il legislatore è intervenuto ( 374 ) aggiungendo al comma terzo un periodo ulteriore, in cui si stabilisce che “l‟obbligo di cui al primo comma (l‟obbligo di vigilanza gravante sul datore di lavoro delegante, ndr) si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all‟art. 30 co. 4 (il modello di organizzazione e gestione di cui al D.Lgs. 231/2001, ndr)”. Si tratta, beninteso, di una disposizione normativa di efficacia dirompente: ci limitiamo qui a segnalare come essa intervenga non soltanto a forgiare il contenuto dell‟obbligo di vigilanza, ma altresì a creare, in un certo qual modo, un legame tra il destino dell‟autore individuale e quello dell‟ente, sovrapponendo parzialmente i piani delle rispettive responsabilità (375). Ai fini tuttavia che qui ci interessano, si può affermare che la novità legislativa del 2009 non intervenga a mutare i termini della questione oggetto della nostra indagine, per come è stata qui sopra descritta. Difatti, se è vero che l‟ultimo periodo del comma 3 interviene a plasmare il contenuto del dovere di vigilanza che residua in capo al datore di lavoro delegante, è altresì vero che permane integra ed immutata la questione problematica che è stata sopra posta in luce: stabilire se un tale dovere possa essere considerato o meno un obbligo di garanzia e stabilire quali siano le penali conseguenze di una eventuale violazione di quello. Poste tutte le premesse che precedono, sorge spontaneamente la curiosità di verificare come la giurisprudenza abbia fronteggiato la questione qui sopra descritta: la curiosità cioè di verificare se i giudici ritengano che un datore di lavoro delegante – titolare ex lege di un obbligo di vigilanza – vada o meno considerato quale garante ai sensi del capoverso dell‟articolo 40 c.p.. Anche in questo caso, si è cercato orientare l‟indagine su pronunce recenti. Di esse non 374 In particolare, l‟intervento di modifica è stato effettuato dall‟art. 12 del D.Lgs. 106/2009. 375 Il Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro aveva già richiamato – ed in un certo qual modo fatto proprio – lo “strumento” del modello di organizzazione e prevenzione del rischio reato di cui all‟art. 231/2001: l‟art. 30 del d.lgs. 81/2008, difatti, descrive tutta una serie di contenuti –relativi, appunto, alla sicurezza sul lavoro – di cui il modello 231/2001 si deve arricchire. Ora, la riforma che nel 2009 è andata ad incidere sull‟articolo 16, ha compiuto un passo ulteriore, di portata davvero notevole. Stabilendo che l‟obbligo di vigilanza – residuante in capo al datore di lavoro delegante – si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di cui all‟art. 30, viene stabilito un vero e proprio legame di destini, appunto, tra la responsabilità amministrativa dell‟ente e la responsabilità individuale penale della persona fisica: più in particolare, l‟adozione ed efficace attuazione del modello può rappresentare ora un fattore di esonero non soltanto della responsabilità da reato dell‟ente ma altresì della responsabilità penale per l‟evento concreto che grava sul datore di lavoro (Vedasi in tal senso, tra gli altri, N. PISANI, Posizioni di garanzia e colpa d‟organizzazione nel diritto penale del lavoro, cit., p. 148). 134 verranno descritte le vicende di fatto che le hanno occasionate – trattasi difatti di tutti casi di infortuni verificatisi sui luoghi di lavoro - bensì verranno posti in luce i passaggi fondamentali delle argomentazioni in diritto. Bene, i giudici non mancano di rilevare come un datore di lavoro, titolare di una originaria posizione di garanzia, possa, mediante delega, trasferire ad altri i propri obblighi di compiti, con conseguente sostituzione e subentro del delegato nella posizione di garanzia che faceva originariamente capo al suo titolare. Ci si affretta tuttavia a precisare che, in ogni caso, rimane integro e fermo l‟obbligo del delegante di vigilare e controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto richiesto o prescritto dalla legge. In tali termini si è espressa, ad esempio, la Cassazione con la pronuncia 3360/2009 (376), laddove ha analizzato la posizione dell‟amministratore unico di una società di costruzioni, il quale impugnava la sentenza di condanna asserendo, tra le altre cose, di aver conferito a soggetti terzi apposite deleghe di funzioni, con autonomia di gestione e di spesa. Ancora, similmente si è espressa la Cassazione, con pronuncia 38415/2006, laddove ha esaminato il ricorso del titolare di una autocarrozzeria – condannato in primo e secondo grado per il reato di lesioni colpose gravi, cagionate mediante omissione ad un lavoratore dipendente – il quale eccepiva di aver conferito, in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, una delega di fatto al capo officina. E l‟elenco potrebbe essere ancora lungo (377). Dunque i giudici della Suprema Corte non mancano mai di affermare quanto segue: il delegato subentra nella posizione del delegante e che dunque la delega può avere una efficacia costitutiva, nel senso che essa crea una nuova posizione di garanzia e nel senso 376 Tale pronuncia è stata fatta oggetto di indagine anche in un paragrafo precedente, cioè il paragrafo in cui si è parlato della espressa presa di posizione, ad opera della Suprema Corte, sulla teoria della distinzione tra obblighi di garanzia, obblighi di sorveglianza e obblighi di attivarsi. In quel paragrafo l‟attenzione era stata concentrata sulla “parte” della pronuncia dedicata all‟analisi della posizione del direttore dell‟aeroporto di Linate. 377 Si segnalano ad esempio Cassazione 32357/2010, Cassazione 22614/2008 (pronuncia precedentemente esaminata con riguardo alla posizione del direttore dell‟aeroporto), con riguardo alla posizione di un amministratore delegato dell‟Enav, Cassazione 12 gennaio 2005, Cassazione 1 aprile 2004, Cassazione 9343/2000. Si coglie l‟occasione per ricordare che – ancor prima della “positivizzazione” operata dal d.lgs. 81/2008 – quella della “consistenza” dell‟obbligo residuante in capo al dante incarico fosse una questione di pieno rilievo giurisprudenziale. 135 che essa può esentare il datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica; dopo di che, tuttavia, ribadiscono prontamente quanto prescritto dalla legge, e cioè che, in ogni caso, permane sul datore di lavoro un obbligo di vigilare e controllare l‟operato del delegato. Il punto dolente consiste nel fatto che – se ci si vuole spingere a cercare di comprendere quale sia la consistenza che i giudici attribuiscono a tale obbligo residuante in capo al delegante - si rimane inevitabilmente delusi (378). In realtà non si vuole dire che la Cassazione assume, con riguardo alla suddetta questione, un atteggiamento volontariamente latitante. A noi sembra piuttosto che è come se la questione oggetto del nostro interesse riesca a fare a meno di essere affrontata. Si cercherà qui di seguito di spiegarsi meglio. Le questione oggetto di interesse – e cioè la determinazione della consistenza dell‟obbligo residuante dopo il conferimento di una delega di funzioni – si profila, in realtà, solo ed esclusivamente in quei casi in cui ci si trovi in presenza di una valida delega di funzioni: qualora invece la delega non sia una delega valida, essa viene ritenuta incapace di trasferire alcunché; in tali casi dunque non ha senso domandarsi che tipo di obbligo residui in capo al delegante, posto che su di esso grava l‟intera, intonsa, posizione di garanzia originaria. Ecco, alla luce dell‟analisi da noi effettuata, si ritiene di poter affermare che la giurisprudenza eviti di misurarsi col problema della consistenza dell‟obbligo di vigilanza del datore di lavoro delegante in quanto, in genere, ha modo di “risolvere” la questione a monte, escludendo, cioè, che nei casi di specie possano ritenersi sussistenti valide deleghe di funzioni. Ciò è esattamente quanto è avvenuto nei casi sopra analizzati, laddove i gravami proposti dagli imputati sono stati rigettati motivando in forza di un asserito difetto di valide deleghe di funzioni conferite dagli imputati ricorrenti a soggetti terzi: più in particolare, nei casi di specie è stato ritenuto che difettassero degli atti di delega che potessero dirsi espressi, certi ed in equivoci. Discostandosi dalle specifiche pronunce analizzate – ed affrontando la questione nei 378 Tale opinione ha trovato il sostegno di S. PESCI, La prevenzione degli infortuni sul lavoro, in Giur. Merito, 2009, p. 2652 ss., in Juris data on line, il quale afferma che la giurisprudenza “non sembra tuttavia in grado, per ora, di offrire univoci e consapevoli criteri discretivi e non di rado affronta la questione in termini non adeguatamente meditati, limitandosi alla reiterazione della formula generica che rimanda alla necessità della vigilanza del delegato sul delegante”. 136 suoi più generali termini – va rilevato come, ad escludere la sussistenza di una valida delega, possano intervenire fattori molteplici: una delega è ritenuta non valida tutte le volte in cui difetti anche uno soltanto dei requisiti che devono caratterizzarla ( 379 ); ancora, una delega è reputata non valida qualora si ritenga che essa – seppur dotata di ogni rigore formale - pretenda di trasferire compiti in realtà non delegabili (380). Bene, ogni qualvolta si presenta un dubbio sulla validità della delega, viene esclusa una qualsiasi possibile efficacia liberatoria a favore del datore di lavoro delegante. E‟ proprio per tale ragione, dunque, che, a nostro avviso, la giurisprudenza ha potuto sostanzialmente evitare – per lo meno in tutti i casi che sono stati fatti oggetto della nostra analisi – di fare davvero i conti con la reale entità dell‟obbligo residuale di vigilanza. 3.4. b.2) Amministratori non esecutivi di società di capitali: l’analisi della sussistenza dei doveri-poteri impeditivi viene evitata escludendo, a monte, la sussistenza dell’elemento soggettivo. Un altro ambito all‟interno del quale l‟individuazione dei veri obblighi di garanzia si presenta complessa e delicata è quello relativo alla posizione degli amministratori non esecutivi di società di capitali. 379 Come accennato sopra, i requisiti ed i caratteri che una valida delega di funzioni deve presentare, risultano oggi espressamente indicati nell‟art. 16 TU 81/2008. Essi rappresentano la “cristallizzazione normativa” di requisiti elaborati e “fissati”, nel corso dei decenni precedenti, a livello giurisprudenziale. La casistica in tal senso è davvero sconfinata. Possono essere citate, solo a titolo esemplificativo, Cassazione 6420/2007, Cassazione 47136/2007, Cassazione 8604/2008, Cassazione 45931/2009, Cassazione 7691/2010 etc. 380 Anche tale questione è stata affrontata espressamente dal D.Lgs. 81/2008, all‟articolo 17. La giurisprudenza è concorde nel ritenere che la delega di funzioni – pur laddove essa sia espressa ed efficace – non possa mai valere ad escludere la posizione di garanzia del datore di lavoro con riguardo alle scelte più importanti, cioè quelle relative alle decisioni di carattere generale di politica aziendale. Anche qui la casistica è nutrita; viene citata, per tutte, Cassazione 38991/2010: « In caso di strutture aziendali complesse, pertanto, la delega di funzioni esclude la riferibilità di eventi lesivi ai deleganti se derivano da occasionali disfunzioni. Nell‟ipotesi in cui, invece, siano determinati da difetti strutturali aziendali e del processo produttivo, permane integralmente la responsabilità dei vertici aziendali (…). (…)In conclusione, quindi, anche in presenza di una delega di funzioni (…) la posizione di garanzia (…) non viene meno, pur essendo in presenza di una struttura aziendale complessa ed organizzata, con riferimento a ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione delle lavorazioni che attingono direttamente la sfera di responsabilità del datore di lavoro.». 137 L‟impostazione del presente paragrafo ricalcherà quella del precedente: dapprima si illustrerà perché, in tale ambito, l‟opera di discernimento degli obblighi di garanzia si presenti complessa; in un secondo momento verrà espresso, sulla scorta dell‟analisi di alcune pronunce, un giudizio su quello che è l‟atteggiamento assunto dalla giurisprudenza in materia. La riforma che nel 2003 ha investito il diritto societario, ha interessato, tra i vari profili, altresì alcune norme le quali rappresentavano le fonti – giuridiche, appunto – da cui veniva estratto l‟obbligo impeditivo, rilevante ai sensi dell‟art. 40 cpv., gravante sui membri dei consigli di amministrazione. Ci si riferisce in particolar modo agli articoli 2392 e 2381 c.c.. La norma indicata per prima prevedeva la solidale responsabilità degli amministratori qualora essi non avessero vigilato sul generale andamento della gestione oppure qualora essi, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli, non avessero fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. Da tale norma civile la giurisprudenza penale faceva scaturire la sussistenza di un generale, vastissimo, obbligo giuridico impeditivo, rilevante ex 40 cpv.; esso veniva fatto gravare, pressoché indistintamente, tanto in capo agli amministratori delegati quanto in capo a quelli non esecutivi (381); in ciò la giurisprudenza trovava buon gioco per il fatto che nella legge mancava una disciplina analitica relativa alla ripartizione delle attribuzioni tra amministratori non esecutivi e amministratori delegati (382). La riforma ha profondamente inciso sulla situazione sopra descritta. Sono stati definiti i contenuti ed i limiti del fenomeno della delega di funzioni conferita dal consiglio di amministrazione ad un comitato esecutivo o ad alcuni amministratori; sono stati disciplinati i doveri degli amministratori privi di delega (ci si riferisce in particolare alle disposizioni dei commi 3 e 6 dell‟art. 2381 c.c.) e quelli degli amministratori delegati (ci si riferisce in particolare al comma 5 dell‟art. 2381 c.c.) (383). 381 Sull‟impiego “indiscriminato” dell‟art. 2392 c.c., nella sua vecchia formulazione, si veda, tra i tanti, I. MERENDA, Sulla responsabilità penale dell‟amministratore senza delega. Alcune considerazioni dopo la riforma del diritto societario, in Cassazione penale, 2011, p. 1184. 382 L‟articolo 2381 c.c., nella sua formulazione previgente, prevedeva, sì, la ammissibilità del fenomeno della delega di attribuzioni, ma la relativa disciplina era minimale: erano indicati i soggetti che potevano essere destinatari di tale delega ed erano elencate le attribuzioni non delegabili. 383 Le modifiche in tema di delega di attribuzioni – dagli amministratori deleganti a quelli operativi – sono state apportate per uno scopo preciso: quello di «evitare indebite estensioni che (…) finivano per 138 Per ciò che concerne la responsabilità degli amministratori, la modifica più incisiva è senz‟altro quella consistita nell‟eliminazione, dal testo dell‟articolo 2392 c.c., del dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione; si può affermare che tale dovere sia stato sostituito – in virtù del rinvio compiuto dal comma 2 dell‟art. 2392 c.c. al comma 3 dell‟art. 2381 – da un dovere di valutazione dell‟assetto organizzativo della società. Nell‟articolo 2392 è stata invece mantenuta la previsione di una responsabilità solidale degli amministratori qualora essi, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento. La dottrina ha guardato con generale favore a tali modifiche, in quanto la precedente formulazione normativa si prestava a strumentalizzazioni non condivisibili (384). Quelli qui sopra descritti non sono che dei tratti – generali ed approssimativi – sulla complessa riforma che nel 2003 ha investito la disciplina dei consigli di amministrazione delle società di capitali. Detti tratti appaiono tuttavia sufficienti a percepire come nel 2003 sia stata posta in essere una vera e propria regolamentazione – nonché, in un certa misura, una ridistribuzione – di competenze e funzioni all‟interno dei consigli di amministrazione. Questa è la ragione per cui tale ambito rappresenta un terreno fertile ai fini della nostra indagine: nel mutato quadro normativo e nella mutata ripartizione di compiti e doveri, occorre stabilire se – ed in che termini - questi ultimi siano idonei a fondare una posizione di garanzia (385). trasformarla (n.d.r., la responsabilità degli amministratori) in una responsabilità sostanzialmente oggettiva, allontanando le persone più consapevoli dall‟accettare o mantenere incarichi in società o in situazioni in cui il rischio di una procedura concorsuale le esponeva a responsabilità praticamente inevitabili» (In tali termini la Relazione al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, par. 3, reperita in I. MERENDA, op. ult. cit., p. 1184. 384 Vedansi, ad esempio, I. MERENDA, op. loc. ult. cit.; F. CENTONZE, La Suprema Corte di Cassazione e la responsabilità omissiva degli amministratori non esecutivi dopo la riforma del diritto societario, in Cassazione penale, 2008, p. 110; A. CRESPI, Note minime sulla posizione di garanzia dell‟amministratore delegante nella riforma introdotta dal d.lgs. n. 6/2003, in Riv. Soc., 2009, p. 1419. Si veda altresì A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni nel diritto penale dell‟impresa, cit., p. 226, il quale, dopo aver ricordato come i singoli amministratori on delegati non abbiano, di regola, poteri così penetranti da assicurare l‟impedimento dei reati che vengono commessi dagli amministratori delegati, denunciava quanto segue: «In questi casi, sanzionare gli amministratori non delegati potrebbe trovare una povera giustificazione solo nell‟astratto principio del “noblesse oblige”: si “pagherebbe” per la posizione occupata». 385 Le modifiche normative intervenute in tale materia pongono un ulteriore, delicatissimo problema: quello relativo alla applicabilità, o meno, dell‟art. 2 c.p.; ciò, in quanto ci si trova dinnanzi ad un fenomeno di modifica di norme extrapenali in qualche modo richiamate da una norma penale (l‟art. 40, appunto). 139 In termini più concreti, occorrerebbe compiere un‟analisi – caratterizzata da elevato grado di rigore e tecnicismo - della articolazioni della nuova disciplina di materia commerciale, al fine di stabilire se gli specifici doveri e le specifiche competenze che la legge attribuisce ai singoli amministratori (386) – quali ad esempio il dover di agire in modo informato, ex co. 6 art. 2381 c.c., il potere di impugnazione delle delibere, ex co. 4 art. 2388 c.c., il potere, con riguardo alle sole società con azioni quotate, di attivare il pubblico ministero, ex art. 2409 c.c. ( 387 ) – integrino o meno quei doveri-poteri propriamente impeditivi, aventi la consistenza di obblighi di garanzia (388). È a questo punto interessante andare a verificare come la recente prassi giurisprudenziale si comporti in materia. Bene, riteniamo di poter affermare che la giurisprudenza ometta di misurarsi, di confrontarsi davvero, con il tema della reale efficacia impeditiva dei doveri–poteri dei singoli amministratori non esecutivi (389). Intanto va segnalato come continuino a registrarsi pronunce di legittimità che – o in modo implicito o in maniera decisamente espressa – sostanzialmente disconoscono che la riforma del 2003 abbia prodotto una qualche efficacia, rispetto al quadro previgente, Si tratta di un profilo che la giurisprudenza più recente – vedansi ad esempio Cassazione 45513/2008 oppure Cassazione 23838/2007 - non manca, seppur en passant, di segnalare. Di tale complessa tematica ci si occuperà nel corso del capitolo IV. 386 Sull‟importanza di valutare i poteri conferiti ai singoli soggetti amministratori, vedasi, per tutti, F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 186 ss. 387 Per delle analisi accurate dei singoli doveri e poteri attribuiti agli amministratori deleganti, vedansi, I. MERENDA, Sulla responsabilità penale dell‟amministratore senza delega. Alcune considerazioni dopo la riforma del diritto societario, in Cassazione penale, 2011, p. 1184 e ss., P. CHIARAVIGLIO, La responsabilità dell‟amministratore delegante fra “agire informato” e poteri di impedimento, in Le Società, 2010, p. 887 ss., in Leggi d‟Italia on line; F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p.174 ss., E. GARAVAGLIA, Posizioni di garanzia proprie degli amministratori ed obbligo di impedire i reati, in Giur. comm., 2009, p. 445 e ss., in Juris data on line, E. BURZI, Amministratore privo di delega e obbligo di impedire i reati dei quali abbia conoscenza, in Giur. it., 2008, p. 434 e ss., in Leggi d‟Italia on line. 388 Gli Autori citati nella nota precedente concludono nel senso che il singolo amministratore delegante non dispone di alcun vero e proprio potere impeditivo, rispetto ai reati posti in essere dagli amministratori operativi. 389 Tale opinione trova un importante avallo in quella espressa da autorevole dottrina: «la giurisprudenza penalistica assai di rado si addentra in un esame dei poteri che l‟amministratore delegato avrebbe potuto esercitare per impedire l‟evento: l‟indagine sui poteri e di doveri dei deleganti è spesso stata surrogata dalla mera enunciazione (…) delle già citate clausole generali (…) Insomma, in giurisprudenza si prescinde dall‟applicazione di quella regola aurea che prescrive la corrispondenza tra poteri e doveri e la necessità di riscontrare il potenziale impeditivo rispetto al processo di produzione dell‟evento» (Così F. CENTONZE, op. ult. cit., p. 189). 140 in punto di determinazione della posizione di garanzia degli amministratori non operativi e quindi continuano ad affermare la responsabilità penale di questi per concorso nei reati non impediti (390). Ma non è su queste pronunce che soffermeremo l‟attenzione. Ciò che ci preme davvero rilevare è piuttosto che anche quelle pronunce che, al contrario, prendono espressamente atto delle modifiche apportate dalla riforma societaria – nonché dell‟alleggerimento che esse comportano in punto di posizione di garanzia degli amministratori non esecutivi - anche quelle pronunce omettono di misurarsi davvero con la tematica dell‟individuazione dei reali doveri-poteri giuridici impeditivi. Si cercherà di motivare quanto appena asserito citando alcuni esempi. Nella celeberrima pronuncia di Cassazione, n. 23838 del 2007, si legge che «la riforma della disciplina delle società, portata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, ha certamente modificato il quadro normativo dei doveri di chi è preposto alla gestione della società ed ha compiutamente regolamentato la responsabilità dell‟amministratore destinatario di delega». Dopo aver descritto le principali novità che hanno riguardato gli articoli 2381 e 2392, la Suprema Corte conclude affermando che «per ciò che interessa il versante penale, questa premessa riconfigura (…) la “posizione di garanzia” del consigliere non operativo, posto che l‟obbligo di impedire l‟evento, disciplinato quale tramite giuridico causale, dall‟art. 40 cp., si parametra su una fonte normativa (..) che costituisce il dovere di intervento». In termini simili si esprime la Suprema Corte con la pronuncia 36595/2009, laddove afferma che «le modifiche sui poteri degli amministratori (…) non possono non incidere sulla responsabilità penale ex art. 40 cpv. c.p., che trova il suo fondamento in una disposizione normativa che impone il dovere di intervenire»; e dopo aver dato conto delle intervenute modifiche, conclude asserendo che esse «hanno certamente ristretto 390 Si segnalano ad esempio Cassazione 9736/2009 – la quale dà per implicita la sicura permanenza, in capo al consigliere non operativo, di una posizione di garanzia – e Cassazione 45513/2008. Quest‟ultima espressamente afferma che « anche voler leggere i fatti con i paradigmi normativi attuali (…)la posizione di garanzia resta comunque scolpita dall‟art. 2392 c.c., comma 2, norma rimasta sostanzialmente inalterata per la definizione del dovere di tutela del patrimonio societario all‟atto della conoscenza di fatti per essa pregiudizievoli». Una volta riconosciuta una posizione di garanzia in capo ai consiglieri non operativi, viene profilata una responsabilità di quelli per concorso mediante omissione, in qualunque tipologia di reato posto in essere dagli amministratori esecutivi: gli amministratori non esecutivi vengono chiamati a rispondere per concorso tanto in reati propri (societari o fallimentari) quanto in reati comuni (ad esempio truffe, appropriazioni indebite, etc.). 141 l‟ambito della responsabilità penale di tali soggetti» . Tuttavia – nonostante possa apparire che la Corte sia scesa in campo ed abbia assunto esplicite prese di posizione in tema di posizioni di garanzia – non si può fare a meno di rilevare come le suddette prese di posizione rivestano, in realtà, un carattere meramente enunciativo. Ciò, nel senso che ad esse non fa mai seguito una reale indagine – effettuata nei termini che sono stati sopra accennati - sugli specifici doveri-poteri degli amministratori non esecutivi e sulla capacità di essi di impedire i reati commessi dagli amministratori operativi. Bene, si ritiene di poter affermare – per lo meno con riguardo ai casi che sono stati esaminati – che l‟indagine sui reali doveri-poteri giuridici impeditivi sia stata omessa perché è un po‟ come se la Cassazione non abbia mai avuto l‟esigenza di compierla. E non ha avuto l‟esigenza di compierla perché le vicende oggetto di analisi sono state – per così dire – risolte su un piano diverso da quello della posizione di garanzia: cioè sul piano dell‟elemento soggettivo. Si cercherà di essere più chiari. Cassazione 23838/2007 afferma sì che le riforme del 2003 si ripercuotono sulla posizione di garanzia ma tale affermazione – si potrebbe dire – lì comincia e lì finisce, nel senso che non c‟è il bisogno di approfondirla e far discendere da essa conseguenze utili per la soluzione della vicenda esaminata. Lo stesso dicasi per Cassazione 36595/2009. Si tratta difatti sempre di casi in cui la vicenda viene risolta, per così dire, a monte: non c‟è neanche il bisogno di comprendere se gli amministratori non esecutivi avessero o meno doveri-poteri giuridici realmente impeditivi in quanto si poteva escludere, già a monte, appunto, che detti soggetti potessero venire chiamati a rispondere. Ciò in quanto in capo ad essi difettava l‟elemento della conoscenza, che l‟articolo 2392 pone quale presupposto del dovere di fare il possibile per impedire fatti pregiudizievoli. In entrambe le sentenze segnalate, difatti, la parte decisiva della pronuncia è proprio quella in cui la Corte spiega come non fosse stato assolto, dall‟ufficio dell‟accusa, l‟onere di dimostrare la conoscenza dell‟evento illecito da parte degli amministratori non esecutivi (391). 391 Si tralascia in questa sede ogni considerazione ed ogni approfondimento relativo al dolo – cioè ai 142 Quelle sopra esposte rappresentano le ragioni per cui, a nostro avviso, l‟ambito della responsabilità degli amministratori non esecutivi non ha ancora avuto modo di rappresentare – sebbene avrebbe in potenza l‟idoneità per farlo – un vero banco di prova circa la tenuta e l‟applicazione dei principi garantisti elaborati in tema di obbligo di garanzia. 3.5. Responsabili del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e responsabilità concorsuale nell’evento non impedito: applicazione reale o applicazione apparente del criterio dei doveri-poteri giuridici impeditivi? Un‟ulteriore figura che ci offre lo spunto per riflettere in ordine all‟atteggiamento della giurisprudenza in tema di obblighi giuridici impeditivi, è quella del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Il settore di riferimento è, dunque, di nuovo quello della sicurezza sui luoghi di lavoro. I requisiti ed i compiti del responsabile del servizio di prevenzione e protezione trovano oggi una loro analitica disciplina negli articoli 31 e seguenti del D.Lgs. 81/2008. A difettare, invece, è una regolamentazione delle sanzioni irrogabili nei casi in cui tali soggetti non adempiano agli obblighi su di essi gravanti: le norme che, all‟interno del decreto, sono espressamente dedicate alla determinazione delle sanzioni penali applicabili, non contemplano mai il r.s.p.p. quale destinatario di esse; dall‟articolo 299, letto a contrario, si desume che il legislatore esclude che tale soggetto possa essere chiamato a rispondere in qualità di garante. L‟analisi degli orientamenti assunti dalla prassi giurisprudenziale sembrerebbe molto agile e lineare da compiere: la giurisprudenza si è mostrata sempre pressoché corale – e ciò, anche prima dell‟entrata in vigore del t.u. del 2008 - nell‟asserire che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione non è titolare di una posizione di contenuti ed alla “consistenza” di esso – dell‟amministratore non operativo. Su tale tema vedansi, tra gli altri, F. CENTONZE, La Suprema Corte di Cassazione e la responsabilità omissiva degli amministratori non esecutivi dopo la riforma del diritto societario, cit., p. 109 e ss.; D. PULITANÒ, Amministratori non operativi e omesso impedimento di delitti commessi da altri amministratori, in Società, 2008, p. 902 e ss., in Leggi d‟Italia on line. 143 garanzia (392). La sussistenza di una posizione di garanzia viene esclusa in virtù di una serie composita di ragioni. Innanzitutto perché - come si è avuto modo di accennare qui sopra – le inadempienze o inosservanze del responsabile del servizio di prevenzione e protezione risultano essere non sanzionate – né a livello penale né a livello amministrativo – all‟interno della normativa di settore. Viene inoltre espressamente escluso che la designazione, da parte del datore di lavoro, del responsabile del servizio di prevenzione e protezione equivalga ad una delega di funzioni. Con ovvia, conseguente esclusione della possibilità che in capo al r.s.p.p. possa essere trasferita la posizione di garanzia gravante sul datore di lavoro delegante (393). Nell‟escludere la sussistenza di una posizione di garanzia, i giudici non mancano, peraltro, di fare altresì leva altresì sull‟argomento seguente: il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è privo di una capacità immediatamente operativa sulla struttura aziendale, spettando ad esso soltanto il compito di prestare aiuto al datore di lavoro nella individuazione e segnalazione dei fattori di rischio dell‟ambiente di lavoro; il responsabile del servizio di prevenzione e protezione sarebbe cioè privo di qualunque vero potere decisionale e di spesa (394). Tale argomentare richiama alla nostra mente proprio quel criterio – di cui si è a lungo discorso nel capitolo precedente – di necessaria sussistenza di poteri personali effettivamente impeditivi. Alla luce di quanto sin qui descritto, la applicazione dei principi elaborati dalla più recente dottrina in tema di obbligo di garanzia appare ineccepibile. Eppure a nostro avviso ci sono ragioni per le quali – sulle pronunce che riguardano i 392 Vedansi in tal senso, tra le più recenti pronunce, Cass., 2814/2011, Cass., 11582/2010, Cass., 16134/2010, Cass., 32357/2010, Cass., 23929/2009, Cass., 1834/2009, Cass., 37861/2009, Cass., 25288/2008 e Cass., 15226/2007. 393 Vedansi in particolare, tra le pronunce sopra citate, Cass., 11582/2010 e Cass., 32357/2010. 394 Vedasi, per tutte, la sopra citata Cass., 25288/2008, in cui si legge che «i componenti del servizio di prevenzione e protezione, essendo considerati dei semplici “ausiliari” del datore di lavoro, non possono venire chiamati a rispondere direttamente del loro operato, proprio perché difettano di un effettivo potere decisionale. Essi sono soltanto dei “consulenti” e i risultati dei loro studi e delle loro elaborazioni, come in qualsiasi altro settore dell‟amministrazione dell‟azienda (ad esempio, in campo fiscale, tributario, giuslavoristico), vengono fatti propri dal vertice che li ha scelti sulla base di un rapporto di affidamento liberamente instaurato e che della loro opera si avvale per meglio ottemperare agli obblighi di cui è esclusivo destinatario». 144 responsabili del servizio di prevenzione e protezione - vale la pena continuare a soffermare lo sguardo. Perché accade che molte pronunce in tema di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, dopo aver escluso la sussistenza di una posizione di garanzia in capo a tale figura, si concludono con l‟affermazione della penale responsabilità di quello. Più in particolare, l‟affermazione della penale responsabilità si snoda attraverso i seguenti passaggi argomentativi: a) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione non è titolare di una posizione di garanzia ma ciò non significa che egli non possa essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio; b) ciò avviene ogni qualvolta l‟infortunio sia riconducibile ad una situazione pericolosa che quegli avrebbe avuto l‟obbligo di riconoscere e segnalare; c) si deve difatti presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che a quella segnalazione avrebbe fatto seguito l‟adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare la situazione pericolosa (395). La condotta negligente del r.s.p.p. viene insomma individuata quale concausa nella determinazione dell‟evento, ragion per cui il responsabile del servizio di prevenzione e protezione viene chiamato a rispondere di tale evento in concorso con il datore di lavoro. Bene, si avverte a questo punto l‟esigenza di compiere alcune osservazioni. Come è ben noto, una delle condiciones sine quibus per poter rispondere a titolo concorsuale, consiste nel contributo arrecato alla realizzazione del fatto di reato. Per ciò che concerne il contributo concorsuale, guardato nel suo substrato ontologico, si può affermare che delle due è l‟una: o si tratta di un contributo di tipo commissivo, materiale o morale, oppure, nel caso in cui la condotta consista in una mera omissione, detta condotta potrà rilevare quale contributo solo e soltanto nel caso in cui il soggetto agente – anzi, omittente – sia titolare di una posizione di garanzia (396). Ora, applicando le coordinate suesposte al settore di specie, si deve rilevare quanto segue. Poiché la Cassazione esclude – e a ragione – che in capo al r.s.p.p. sussista una 395 In tali termini vedansi – sempre nell‟ambito delle sentenze precedentemente citate – Cass., 25288/2008, Cass., 1834/2009, Cass., 16134/2010, Cass., 2814/2011. 396 Vedi retro, Capitolo II, Sezione II. 145 posizione di garanzia, si deve per forza, conseguentemente, escludere che detto soggetto possa essere chiamato a rispondere per concorso mediante omissione (397). L‟omissione di cui si rende autore tale soggetto, peraltro, non può neanche rilevare – lo si è già detto – quale reato omissivo proprio, difettando qualunque previsione normativa in tal senso. Una responsabilità concorsuale potrebbe dunque legittimamente profilarsi solo laddove il contributo fornito dal r.s.p.p. sia di tipo commissivo (398). 397 Per delle considerazioni su tale delicata questione vedasi N. PISANI, Posizioni di garanzia e colpa d‟organizzazione nel diritto penale del lavoro, cit., p. 152 e ss. 398 Non si ignora che quello della distinzione tra l‟agire e l‟omettere, tra la causazione attiva e la causalità omissiva, rappresenta uno dei più complessi problemi che attraversano il diritto penale. Non si pretende di comprimere in una nota a pié di pagina un tema che intere monografie faticherebbero a contenere. In questa sede ci si limiterà pertanto – anche in considerazione del fatto che il presente capitolo è dedicato all‟analisi della prassi giurisprudenziale – a descrivere gli approdi cui la giurisprudenza di legittimità pare essere pervenuta. Numerosi sono, difatti, gli arresti nei quali la Suprema Corte, di recente, si è misurata a viso aperto con il problema di dover segnare una linea di confine tra l‟agire e l‟omettere, Possono essere ricordate, ad esempio, le sentenze 10795/2007 e 840/2007- nelle quali i giudici si sono trovati a dover indagare la natura (commissiva od omissiva) delle condotte poste in essere dall‟imputato che, in entrambi i casi, era un medico psichiatra; la sentenza 26020/2009, nella quale i giudici hanno riflettuto su quale potesse dirsi il “tipo di causalità” innescato dalle condotte poste in essere da alcuni elettricisti dell‟Enel; ancora, Cassazione 16761/2010, in cui i giudici si sono interrogati sulla natura attiva o commissiva delle condotte poste in essere dal sindaco e da un assessore del Comune di Sarno. La finalità per la quale le suddette indagini sono state compiute, è spesso esplicitamente dichiarata: laddove possa dirsi che il fatto è commissivo, è superfluo stare a domandarsi se il soggetto fosse o meno titolare di una posizione di garanzia (in tali termini, ad esempio, Cassazione 16761/2010); ancora, laddove la condotta è di tipo commissivo, non ha senso compiere il giudizio controfattuale, e cioè domandarsi se, qualora la condotta doverosa omessa fosse stata posta in essere, l‟evento si sarebbe o meno verificato; ciò in quanto, ove la condotta è commissiva, è la condotta stessa a scatenar”, da un punto di vista eziologico, tutti o alcuni dei fattori che conducono all‟evento verificatosi (in tali termini, ad esempio, Cassazione 10795/2007 e Cassazione 840/2007). Bene, al fine di compiere la distinzione su riferita, la Cassazione mostra di aderire ad un criterio – elaborato in sede dottrinaria – di tipo normativo: al fine di stabilire se il soggetto ha omesso o ha commesso non bisogna guardare tanto a ciò che, da un punto di vista fenomenico-naturalistico, quegli ha fatto o non ha fatto (Basti pensare, a tal proposito, che potrebbero essere state compiute numerose azioni, eppure si potrebbe aver omesso di compiere l‟azione – l‟unica – doverosa). Occorre piuttosto comprendere se il soggetto ha introdotto un fattore di rischio o di peggioramento nei confronti del bene protetto, oppure se «le cose» non hanno fatto che «procedere per conto loro» (Si veda M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, sub art. pre-39, cit., par. 40). Si riporta qui di seguito un intero passaggio in cui la Suprema Corte affronta il tema della distinzione tra l‟agire e l‟omettere, muovendosi secondo le coordinate sopra illustrate: « In astratto la distinzione tra causalità commissiva e causalità omissiva è del tutto chiara: nella prima viene violato un divieto;nella seconda è un comando ad essere violato. Spesso (in particolare nella responsabilità professionale medica ma anche in altri settori della responsabilità) viene ritenuta omissiva una condotta che non lo è anche se le conseguenze pratiche non sono di grande rilevanza. Questa confusione è anche ricollegata alla circostanza che coloro che pongono in essere la condotta sono in genere gravati di una posizione di garanzia; ed inoltre sono ben pochi i casi nei quali la condotta cui riferire l‟evento dannoso è esclusivamente attiva (il chirurgo ha inavvertitamente tagliato un vaso durante l‟intervento) o passiva (il medico ha colposamente omesso di ricoverare il paziente). Nella stragrande maggioranza dei casi sono presenti condotte attive e passive che interagiscono tra di loro rendendo ancor più difficile l‟accertamento della natura della causalità. (…) 146 Prima di poter esprimere un giudizio favorevole sulle pronunce che hanno ad oggetto la responsabilità del r.s.p.p., occorrerebbe dunque a nostro avviso verificare, caso per caso, se l‟affermazione della responsabilità di tali soggetti “passi attraverso” l‟accertamento dell‟effettiva dazione di un contributo di tipo commissivo colposo (399). Ove un tale accertamento possa dirsi compiuto, nulla quaestio. Ove invece un tale accertamento difetti, a nostro avviso si creerebbe una situazione che può essere così descritta: la posizione di garanzia viene ritenuta inesistente ma è come E‟ invece opportuno sottolineare che i criteri indicati per distinguere tra causalità commissiva e omissiva hanno subito nel tempo un perfezionamento e si è più di recente affermato nell‟ambito della responsabilità medica - fermo restando che è da ritenere causalità omissiva quella del medico che omette di curare il paziente o che rifiuta di ricoverarlo e commissiva quella del medico che erra nella terapia provocando un evento dannoso - che ha natura commissiva la condotta del medico che ha introdotto nel quadro clinico del paziente un fattore di rischio poi effettivamente concretizzatosi; è invece omissiva la condotta del sanitario che non abbia contrastato un rischio già presente nel quadro clinico del paziente (evidente è il riferimento di questa impostazione alla teoria del rischio cui si fa riferimento nella teoria dell‟imputazione obiettiva dell‟evento). Non si tratta di un riferimento alla non condivisibile (e ormai ampiamente superata) teoria dell‟aumento del rischio ma di una ricostruzione che tiene conto della introduzione di un fattore causale che ha certamente cagionato, o contribuito a cagionare, l‟evento. Questo orientamento è seguito da alcune decisioni della Corte di cassazione (v. la già citata Cass., sez. IV, 2 aprile 2007, n. 21597, Pecchioli). Si è ancora condivisibilmente precisato che l‟elemento di rischio commissivo introdotto dall‟agente nella serie causale deve aver avuto effettiva efficacia causale nel decorso eziologico non essendo sufficiente per trasformare la causalità omissiva in commissiva - l‟introduzione di un fattore eziologicamente irrilevante (si fa l‟esempio del medico che non ricoveri il paziente, disconoscendo la grave patologia da cui è affetto, e gli somministri un blando analgesico: ciò non trasforma la causalità omissiva in causalità commissiva).(…)». Ora, applicando le coordinate qui sopra illustrate al caso che ci occupa, si tratterebbe di comprendere – cosa, questa, di certo non facile né immediata – se possa dirsi che la condotta (di certo non “corretta”) del responsabile del servizio di prevenzione e protezione abbia o meno introdotto un fattore di rischio all‟interno di quel quadro rappresentato dall‟ambiente e dalle condizioni di lavoro. 399 Inscindibilmente legato al problema della distinzione tra l‟omettere e l‟agire è quello della distinzione tra il reato omissivo e le componenti omissive della colpa: in ogni condotta colposa vi è una componente omissiva, che consiste nell‟omettere di porre in essere l‟atteggiamento diligente; eppure «(…) l‟obbligo di garanzia e l‟obbligo di diligenza sono distinti e autonomi (…) Mentre l‟obbligo di garanzia attiene alla causalità (omissiva), l‟obbligo di diligenza attiene alla colpa (…)» (Così F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., p. 1005. Vedasi C. PIERGALLINI, Natura commissiva od omissiva della responsabilità e relative conseguenze, in Danno e resp., 2009, p. 1111 e ss., in Leggi d‟Italia on line). Anche in questo caso, per compiere qualche rapido cenno sulla tematica, ci si affida alle parole della Suprema Corte: «E‟ peraltro opportuno accogliere l‟invito di quegli autori che invitano a non confondere tra il reato omissivo e le componenti omissive della colpa: i casi del medico che adotta una terapia errata (e quindi omette di somministrare quella corretta) o che dimette anticipatamente il paziente (e quindi omette di continuare a curarlo in ambito ospedaliero) non rientrano nella causalità omissiva ma in quella attiva. Si è detto, da parte di un Autore, che i medici che hanno sbagliato diagnosi e terapia "non hanno violato un comando penale, bensì solo un divieto di cagionare (o contribuito a cagionare, si trattasse anche solo di accelerare) lesioni o morte con negligenza, imperizia o imprudenza". Il medesimo Autore (criticando l‟orientamento giurisprudenziale che riteneva omissiva la condotta del datore di lavoro che non aveva impedito che i lavoratori dipendenti fossero sottoposti ad inalazione di fibre di amianto) precisa infatti efficacemente che "l‟omissione di cui all‟art. 40 cpv. c.p., infatti, non è un‟omissione di cautele, ma - più radicalmente e specificamente - un omesso impedimento......"». 147 se, di essa, venisse fatto rivivere lo spettro, e questo venisse utilizzato al fine – magari implicito ed inconfessato – di legittimare una responsabilità che, in ultima istanza, viene fondata su di un contegno omissivo. In questo senso, dunque, potrebbe a nostro avviso trattarsi – così come recita il titolo del presente paragrafo - di una applicazione soltanto apparente dei criteri garantisti elaborati in tema di obbligo di garanzia e di responsabilità omissiva impropria. Calando le considerazioni che precedono nel concreto dei casi analizzati, ci pare di poter riscontrare quanto segue: tutte le pronunce – eccezion fatta per la sentenza 2814/2011, in cui la Corte sembra tenere in espressa considerazione l‟evenienza di un apporto di tipo commissivo (400) – affermano la penale responsabilità del r.s.p.p. facendo leva su condotte che appaiono configurate in termini puramente omissivi: Cassazione 25288/2008 addebita al r.s.p.p. la omessa segnalazione di una scorretta modalità con la quale nel cantiere di lavoro avveniva il taglio delle passerelle di legno; Cassazione 1834/2009 addebita al r.s.p.p. di aver ignorato una situazione pericolosa consistente in determinate operazioni di posizionamento di ganci di carrelli elevatori; Cassazione 16134/2010 addebita al r.s.p.p. la condotta di omessa individuazione e segnalazione del rischio di prevedibile contatto con schizzi di metallo fuso incandescente durante un determinato processo di lavorazione. Ora, a giustificare la penale rilevanza delle suddette omissioni viene invocato una sorta di «spirito del sistema antinfortunistico», che dalle omissioni stesse verrebbe violato ( 401 ); oppure esse vengono etichettate come (non meglio precisate) «omissioni sensibili»(402). 400 Nella sentenza 2814/2011, difatti, vengono compiuti degli espressi riferimenti – tanto nella parte dell‟enunciazione dei principi di diritto, quanto in quella della applicazione di essi alla vicenda concreta – al fatto che fossero stati dati, dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione, dei “suggerimenti sbagliati”; suggerimenti i quali avrebbero avuto l‟effettiva capacità di indurre il datore di lavoro ad omettere l‟adozione delle necessarie misure. 401 Cass., 16134/2010: «(…) Se dunque risulta stabile nelle diverse stagioni legislative, la configurazione della mappazione dei rischi come strumento essenziale dell‟intero sistema antinfortunistico, l‟omissione di condotte doverose in relazione alla funzione di responsabile o di addetto al servizio di prevenzione e protezione (Cass. Pen., IV, 15/2/2007, n. 15226) realizza la violazione dell‟intero sistema antinfortunistico, senza che abbia alcuna rilevanza il mancato apprestamento di una specifica sanzione penale per la violazione di sistema.». 402 Cass., 1834/2009: «l‟assenza di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale non esclude che l‟inottemperanza alle stesse - e segnatamente la mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza, nonché di informazione e formazione dei lavoratori - possa integrare un‟omissione "sensibile" tutte le volte in cui 148 L‟interrogativo che sorge è il seguente: in forza di che cosa le omissioni degli r.s.p.p., nominate “sensibili”, potrebbero mai essere considerate tipiche – e dunque penalmente rilevanti –, posto che non è contemplato alcun reato omissivo proprio e posto che difetta una posizione di garanzia? 3.6. Una applicazione controversa del criterio dei poteri giuridici impeditivi: la posizione di garanzia dei membri del collegio sindacale e la responsabilità per concorso nei reati non impediti. Nel presente paragrafo ci si immergerà di nuovo nel contesto delle società di capitali, al fine di trattare di una figura rispetto alla quale l‟individuazione dell‟obbligo di garanzia è assai controversa e fa registrare a tutt‟oggi un poderoso contrasto tra la consolidata prassi giurisprudenziale e parte della dottrina: si tratta della figura dei membri del collegio sindacale. Si accenna sin da subito che la difficoltà di stabilire la sussistenza di vere e proprie posizioni di garanzia si inserisce in una questione problematica di più vaste dimensioni, che investe non soltanto i sindaci, bensì i membri di qualsiasi organismo – interno o esterno - di controllo societario. L‟orientamento del tutto dominante in giurisprudenza è quello che ritiene che in capo ai membri del collegio sindacale gravi una posizione di garanzia ( 403), ragion per cui essi possono essere chiamati a rispondere per omesso impedimento – o meglio, un sinistro sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal responsabile del servizio». 403 Rispetto a tale consolidato orientamento si fatto altresì registrare delle eccezioni. Tra queste, si segnala Cass., 45237/2001, dove si legge che « (…) non è in alcun modo previsto dalla legge che il sindaco possa, sia pure ai limitati fini di cui si discute, sostituire l‟amministratore inadempiente. La legge, invero, riconosce ai sindaci poteri di controllo e verifica, che non sono meramente contabili e formali, ma si estendono anche al contenuto della gestione (…) Tuttavia la legge non conferisce al collegio sindacale poteri di amministrazione attiva, nemmeno in via di sostituzione. Si vuol dire, cioè, che ai sindaci non sono riconosciuti poteri per imporre agli amministratori di società determinati comportamenti; (…). La mancanza di un preciso obbligo di legge che consenta ai sindaci di sostituirsi agli amministratori nell‟assolvimento dei loro compiti e le circostanze di fatto che hanno reso impossibile la convocazione di una assemblea sociale sulle inadempienze degli amministratori, rendono impossibile il ricorso al capoverso dell‟art. 40 c.p. per individuare la responsabilità (..) in relazione agli artt. 224 e 217 L.F..». 149 come si vedrà più avanti, per concorso mediante omissione - dei reati posti in essere dagli amministratori (404). Nel ricostruire la posizione di garanzia del sindaco, la giurisprudenza procede nei seguenti termini. Dapprima effettua una ricognizione degli articolati doveri, compiti e poteri che le nuove norme attribuiscono ai membri del collegio sindacale; dopo di che, facendo leva in special modo sull‟art. 2403 c.c. (il quale prescrive un impegnativo e generale dovere di vigilanza) e sull‟art. 2403 bis c.c. (il quale assegna ai sindaci il potere di compiere atti di ispezione e controllo), conclude asserendo che sul sindaco grava un vero e proprio potere di intervento: «l‟obbligo di vigilanza, tanto più alla luce della (…) riforma del diritto societario, che ne ha meglio definito l‟ambito di esplicazione – non è limitato al mero controllo contabile, ma deve estendersi anche al contenuto della gestione(…), cosicché il controllo sindacale, se non investe in forma diretta le scelte imprenditoriali, non si risolve neppure in una verifica contabile limitata alla documentazione messa a disposizione dagli amministratori (…)»; «quindi in capo ai sindaci gravano obblighi di impedire che gli amministratori compiano atti contrari alla legge e dannosi per la società (…)»(405). Una volta affermata la sussistenza di una posizione di garanzia in capo ai sindaci – ed una volta ricondotta (più o meno consciamente) tale posizione di garanzia al genus di quelle di impedimento di reati altrui – la giurisprudenza di legittimità si dedica all‟analisi dei vari aspetti che contraddistinguono la figura della responsabilità per concorso mediante omissione. In questa sede la nostra attenzione verrà indirizzata sui seguenti profili: a) le tipologie di reati per il cui mancato impedimento i sindaci vengono chiamati a rispondere; b) le modalità di accertamento del nesso causale tra l‟omissione non impeditiva ed il reato verificatosi (406). 404 Si deve osservare che la responsabilità omissiva impropria – ed il conseguente concorso nel reato non impedito – rappresenta una estensione rispetto alle ipotesi – “già” gravanti sui sindaci – di responsabilità omissiva propria. Si veda in tal senso F. GIUNTA, Controllo e controllori nello specchio del diritto penale, cit., 2006, p. 607. 405 Nei termini suddetti, rispettivamente Cass., 15360/2010 e Cass., 20515/2009. Similmente anche Cass., 17690 del 2010 e Cass.,19 gennaio 2006. 406 Si tralascerà del tutto, invece, di trattare il profilo relativo all‟elemento soggettivo, nei termini in cui esso viene richiesto e ricostruito in capo al concorrente omittente: ciò, conformemente al fatto che gli approfondimenti sull‟aspetto dell‟elemento soggettivo del reato non hanno mai costituito oggetto del presente lavoro. 150 Per ciò che concerne il primo profilo, deve osservarsi che la responsabilità concorsuale viene dalla giurisprudenza tratteggiata in termini assai ampi, nel senso che, sostanzialmente, il concorso viene ritenuto configurabile con riguardo a qualunque tipo di reato ( 407 ): e così, non rileva se il reato del cui mancato impedimento si viene chiamati a rispondere sia una fattispecie di condotta o di evento (408); ancora, non rileva se si tratti di un reato proprio degli amministratori (e dunque se si tratti di una fattispecie ricompresa nell‟ambito del diritto penale societario o fallimentare) o se si tratti di un reato comune (409). Con riguardo al nesso causale – sempre concentrando l‟attenzione sulle recentissime pronunce citate nel presente paragrafo – ci sembra di poter affermare che la giurisprudenza mostri un atteggiamento oscillante. Talora si fa registrare un‟impostazione per così dire scrupolosa e virtuosa: è il caso ad esempio di Cassazione 15360/2010, la quale annulla l‟ordinanza di applicazione degli arresti domiciliari nei confronti di tre membri di un collegio sindacale, proprio in forza dell‟asserito difetto, nel caso di specie, di una idonea base indiziaria circa la sussistenza di un effettivo contributo causale tra le condotte omissive contestate ai sindaci ed i reati commessi dagli amministratori (410). 407 Tale affermazione trova l‟autorevole avallo di F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 260. 408 Sulla necessità – sostenuta da una parte, seppur minoritaria, della dottrina – che il reato di cui si viene chiamati a rispondere per concorso omissivo contempli un evento naturalistico, si veda retro, Capitolo II Sezione II. 409 In giurisprudenza, tra le pronunce precedentemente citate, si veda Cassazione 20515/2009, nella quale l‟imputazione per concorso mediante omissione era relativa ad un delitto di peculato. In dottrina si vedano – sempre con riguardo all‟ambito applicativo all‟interno del quale la giurisprudenza traccia la responsabilità concorsuale omissiva dei sindaci – le osservazioni svolte da F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 293 ss.; G. GIORDANENGO-F. RESTANO, Riflessioni in materia di responsabilità civile e penale dei sindaci di società per azioni, in Giurisprudenza commerciale, in Giur. comm., 2010, p. 1095 ss., reperibile su www.dejure.giuffre.it. Vedasi anche A. ROSSI, La responsabilità penale dei componenti degli organi di controllo societario: riflessioni e digressioni su struttura, accertamento, limiti, cit., p. 2135, la quale sofferma l‟attenzione su un profilo particolare: l‟Autrice ricorda come debba escludersi, a monte, la configurabilità di un concorso mediante omissione in un reato il quale risulti totalmente perfetto e realizzato, al momento della presa di cognizione di esso da parte degli organi di controllo. 410 «Sennonché l‟ipotesi del coinvolgimento dei sindaci non può poggiare, acriticamente, solo sulla loro posizione di garanzia e discendere, tout court, dal mancato esercizio dei doveri di controllo, ma postula l‟esistenza di elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, della partecipazione, in qualsiasi modo, dei sindaci all‟attività degli amministratori ovvero di valide ragioni che inducano a ritenere che l‟omesso controllo abbia avuto effettiva incidenza di contributo causale nella commissione del reato da parte degli amministratori. La motivazione resa dal Tribunale del riesame non consente di 151 Altre volte, invece, le modalità di accertamento del nesso causale risultano davvero censurabili, in quanto si assiste ad un vero e proprio “schiacciamento” della causalità sulla posizione di garanzia, nel senso che la prima (la causalità) viene ritenuta sussistente in re ipsa, cioè in virtù del solo fatto che si ritiene sussistente la seconda (la posizione di garanzia) ( 411). Ciò è quanto ad esempio accade, a nostro avviso, nella pronuncia 17690/2010, in cui la spiegazione circa la sussistenza del nesso causale si esaurisce, sostanzialmente, in un acritico «la condotta inerte (..) giustamente si apprezza di rilevante apporto criminoso» ( 412 ). Ciò è quanto accade, altresì, nella pronuncia 20515/2009, laddove, in punto di motivazione sul nesso causale, non si fa molto di diverso dal limitarsi ad asserire che l‟omissione di controlli, nel caso di specie, non poteva se non essersi tradotta in un contributo partecipativo (413). Sin qui è stato descritto l‟atteggiamento assunto dalla più recente prassi giurisprudenziale con riguardo alla responsabilità omissiva impropria dei sindaci di società di capitali. Come si è avuto modo di anticipare in apertura del presente paragrafo, si tratta di un settore molto discusso e controverso, in cui profonde divergenze di opinioni si fanno registrare non soltanto tra giurisprudenza e dottrina ma altresì all‟interno della dottrina stessa. Gli autori che si sono occupati del tema non hanno mancato di compiere approfondite analisi di tutte le disposizioni normative che disciplinano funzioni ed attribuzioni dei singoli sindaci ( 414 ) ( 415 ). E al termine di tali analisi sono pervenuti a conclusioni cogliere l‟esistenza di idonea base indiziaria nel senso sopra indicato » (Cass., 15360/2010). 411 Per delle considerazioni relative al generale rischio di “schiacciamento” dell‟accertamento del nesso sulla posizione di garanzia, vedasi retro, capitolo I Sezione II. Per delle considerazioni sempre su tale tema - ma calate nello specifico contesto della responsabilità dei sindaci - vedasi F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 264, 299 ss. 412 Più in particolare, la citata sentenza – se esprime, in punto di causalità, principi condivisibili – non ci pare poi compiere una altrettanto condivisibile applicazione di essi, laddove, per giustificare la sussistenza del nesso argomenta così: « Un qualsiasi (doveroso) cenno al riguardo avrebbe goduto di un‟efficacia decisiva per interrompere la dissennata emorragia di ricchezza dalle casse di AMBRA ASSICURAZIONI (…) (…)L‟efficacia della condotta inerte e incondizionatamente silente davanti all‟azione predatoria degli amministratori, giustamente si apprezza di rilevante apporto criminoso, perché si risolse in un indispensabile viatico per la riuscita del disegno di bancarotta fraudolenta ». 413 Cass., 20515/2009: «(…) il fatto che abbia omesso qualsiasi attività volta ad ostacolare il grossolano depauperamento della SIMEC non consente di qualificare la sua condotta diversamente dalla consapevole partecipazione». 414 Anche in questo ambito difatti – così come si visto, sopra, con riguardo agli amministratori – è 152 diametralmente opposte: da un lato vi è chi ritiene che taluni doveri-poteri attribuiti ai sindaci abbiano effettive potenzialità impeditivo-inibitorie ( 416 ); dall‟altro vi è chi esclude categoricamente che sui sindaci possa gravare un vero obbligo di garanzia, posto che nessuno dei poteri riconosciuti ai sindaci può dirsi realmente impeditivo, in quanto mai i sindaci dispongono della reale possibilità di imporre le proprie determinazioni o sostituire la propria attività a quella degli amministratori (417). L‟imbarazzo in ordine alla sussistenza di una posizione di garanzia non è, peraltro, limitato alla figura dei sindaci; al contrario, esso è destinato a ripresentarsi con riguardo ai soggetti membri di qualunque organismo di controllo societario: con riguardo ai controlli di tipo interno, si pensi agli organismi di controllo previsti dai cosiddetti modelli societari alternativi (il “comitato”, nelle società che adottano il sistema monistico e il “consiglio di sorveglianza”, nelle società che adottano i sistema dualistico) o anche all‟organismo di vigilanza contemplato dal d.lgs. 231/2001; con riguardo ai controlli esterni, si pensi alla posizione dei revisori contabili, o a quella dei membri delle cosiddette autorità indipendenti. Con riferimento agli organismi di controllo qui sopra citati, non ci risulta che, allo stato, la magistratura giudicante abbia assunto esplicite prese di posizioni, in ordine alla configurabilità di obblighi di garanzia. Posizioni sul tema sono state invece assunte dalla dottrina, la quale si presenta, ancora una volta, gravemente frazionata, al suo interno, tra chi esclude con fermezza che degli obblighi di garanzia siano mai ravvisabili e chi, al contrario, si mostra più che fondamentale focalizzare l‟attenzione non tanto sui poteri attribuiti al collegio, quanto piuttosto sui poteri individuali – e cioè quelli attribuiti ai sindaci come singoli: solo questi ultimi, infatti, sono poteri idonei – ove ne abbiano la relativa consistenza - fondare una posizione di garanzia. In tal senso vedasi, per tutti, vedasi F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 269 e ss. 415 L‟analisi ha avuto ad oggetto sia le disposizioni codicistiche (in particolar modo, oltre ai già segnalati articoli 2403 e 2403 bis, gli articoli 2405, 2406 co. 2, 2407, 2409, 2409 septies), sia – con riferimento alle società quotate - quelle contenute nel t.u.f. (in particolar modo, articoli 149 e 151 d.lgs. 58/1998). 416 Vedansi F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 280 ss.; A. ROSSI, La responsabilità penale dei componenti degli organi di controllo societario: riflessioni e digressioni su struttura, accertamento, limiti, cit., p. 2133. 417 Vedansi, tra i lavori più recenti, quelli di F. GIUNTA, Controllo e controllori nello specchio del diritto penale, cit., pp. 609-610, L. MANDELLI, I sindaci di s.p.a. tra doveri di sorveglianza e posizioni di garanzia, in Banca borsa tit. cred., 2009, p. 444 e ss., reperito su www.studiolegaleriva.it, R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell‟economia: reati societari e reati in materia di mercato finanziario, cit., p. 38 ss. Nella manualistica recente, vedasi ad esempio F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Parte generale, cit., p. 286. 153 possibilista (418). Ora, ciò che ci preme davvero osservare è il dato seguente. A nostro avviso l‟imbarazzo circa la determinazione di una posizione di garanzia in capo al singolo soggetto membro di un organismo di controllo funge da specchio, il quale riflette con chiarezza uno dei problemi che affliggono la figura dell‟obbligo giuridico ex 40 cpv.: e cioè il fatto che l‟interprete penale è chiamato - al fine di desumere la sussistenza di una posizione di garanzia - a compiere delle complesse opere di ricostruzione normativa, opere le quali afferiscono ad ambiti che sono completamente estranei a quello penale e che raramente possono, esse stesse, approdare a risultati univoci (419). 418 Con riguardo agli organi di controllo dei sistemi societari cosiddetti alternativi, vedasi - per una accuratissima indagine sui doveri-poteri impeditivi riconosciuti dalla legge in capo ai membri di tali organi - F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 288 e poi p. 345 e ss. Secondo l‟Autore una posizione di garanzia sarebbe configurabile in capo ai membri del consiglio di sorveglianza (Concorde anche R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell‟economia: reati societari e reati in materia di mercato finanziario, cit., p. 40); l‟Autore si mostra invece perplesso – riproponendo le medesime perplessità espresse in ordine alla sussistenza di una posizione di garanzia in capo agli amministratori nel sistema tradizionale – con riguardo all‟esistenza di una posizione di garanzia dei membri per il comitato per il controllo sulla gestione. In senso difforme invece, ad esempio, A. ROSSI, La responsabilità penale degli organi di controllo societario, cit., p. 2137, la quale sembra propendere per la configurabilità di una posizione di garanzia in capo ai membri di entrambi i nuovi organi di controllo societari. Con riguardo all‟Organismo di Vigilanza di cui al d.lgs. 231/2001, la dottrina maggioritaria esclude la sussistenza di una posizione di garanzia in capo ai membri di quello (e dunque esclude la possibilità che essi vengano chiamati a rispondere per concorso mediante omissione nei reati realizzati da un esponente aziendale). Per la spiegazione delle ragioni di una tale impostazione negativa, vedansi ad esempio F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, Milano, 2009, p. 411 e ss. e F. GIUNTA, Controllo e controllori nello specchio del diritto penale, cit., pp. 610,611; A. INGRASSIA-L. TROYER, Vi è una posizione di garanzia in capo ai membri dell‟organismo di vigilanza? Spunti di riflessione, in Riv. dott. Comm., 2008, p. 1266 ss., in Juris data on line. Possibilisti, in ordine alla configurabilità di una posizione di garanzia, si mostrano invece, ad esempio, A. NISCO, Compliance e posizioni di garanzia: prime indicazioni dalla giurisprudenza tedesca, cit., p. 2449 e F. VIGNOLI, Profili critici della responsabilità penale dell‟organismo di vigilanza, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2010, p. 97 ss. Anche per ciò che concerne la configurabilità di una posizione di garanzia in capo ai revisori contabili, la giurisprudenza appare divisa: per la posizione affermativa vedasi F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 322 ss.. Per la posizione negativa vedasi ad esempio A. CRESPI, La pretesa “posizione di garanzia” del revisore contabile, in Riv. Soc., 2006, p. 273 e ss.. 419 Tale difficoltà è denunciata da F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., pp. 288, 341 ss.. L‟Autore lascia intendere che se desumere la sussistenza di una posizione di garanzia può costituire, con riguardo ai sindaci, una operazione complicata, la medesima operazione diventa un vero rompicapo con riguardo, ad esempio, ai componenti degli organi sociali nel sistema dualistico e nel sistema monistico; ciò, non foss‟altro per il fatto che la disciplina civilistica di riferimento risulta confezionata con la (censurabile) tecnica del rinvio. 154 BIBLIOGRAFIA ANTOLISEI Francesco, L‟obbligo di impedire l‟evento, in Rivista italiana di Diritto penale, 1936, p. 121 e ss.; BARBIERI Enrico, Reato colposo: confini sostanziali tra azione ed omissione e obbligo giuridico di impedire l‟evento, in Cassazione penale, 2010, p. 4329 ss.; BISORI Luca, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, in Rivista italiana di Diritto e procedura penale, 1997, p. 1339 ss.; BLAIOTTA Rocco, Il sapere scientifico e l‟inferenza causale, in Cassazione penale, 2010, p. 1265 ss.; BURZI Eleonora, Amministratore privo di delega e obbligo di impedire i reati dei quali abbia conoscenza, in Giurisprudenza italiana, 2008, p. 434 ss.; CARACCIOLI Ivo, Diritto penale, Padova, 1998; CARACCIOLI Ivo, Voce Omissione (Diritto Penale), in Novissimo Digesto Italiano, XI, Torino, 1965, p. 896 ss.; CENTONZE Francesco, Causalità attiva e causalità omissiva: tre rivoluzionarie sentenze della giurisprudenza di legittimità, in Rivista italiana di Diritto e Procedura penale, 2011, p. 277 ss.; CENTONZE Francesco, Controlli societari e responsabilità penale, Milano, 2009; CENTONZE Francesco, La Suprema Corte di Cassazione e la responsabilità omissiva degli amministratori non esecutivi dopo la riforma del diritto societario, in Cassazione penale, 2008, p. 109 ss.; CHIARAVIGLIO Pietro, La responsabilità dell‟amministratore delegante fra “agire informato” e poteri di impedimento, in Le Società, 2010, p. 887 ss.; CRESPI Alberto, La pretesa “posizione di garanzia” del revisore contabile, in Rivista delle Società, 2006, p. 273 ss.; CRESPI Alberto, Note minime sulla posizione di garanzia dell‟amministratore delegante nella riforma introdotta dal d.lgs. n. 6/2003, in Rivista delle Società, 2009, p. 1419 e ss.; D‟ALESSANDRO Francesco, La delega di funzioni nell‟ambito della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, alla luce del decreto correttivo n. 106/2009, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura penale, 2010, p. 1125 ss.; 155 DEGL‟INNOCENTI Leonardo, Le novità in materia di delega di funzioni introdotte dal d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106, in Cassazione Penale, 2010, p. 2479 ss.; FIANDACA Giovanni, Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979. 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