UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MACERATA
ISTITUTO DI DIRITTO E PROCEDURA PENALE
Dottorato di ricerca
in Diritto e processo penale (ciclo XXIII)
L’OBBLIGO GIURIDICO
DI IMPEDIRE L’EVENTO
Tutor
Chiar.mo Prof. Carlo Sotis
Coordinatore
Chiar.mo Prof. Carlo Piergallini
Dottoranda
D.ssa Elisa Giaccaglia
CAPITOLO I.
LA POSIZIONE DI GARANZIA ALL'INTERNO DELLA
FATTISPECIE TIPICA OMISSIVA IMPROPRIA.
SEZIONE I. LA
FONDAMENTALI.
FATTISPECIE
OMISSIVA
IMPROPRIA.
NOZIONI
1.1. Il reato omissivo. In particolare, la fattispecie omissiva impropria ex art. 40 cpv.
c.p.: formazione (segue)
1.2. (Segue) Ambito di applicazione ed elementi costitutivi.
SEZIONE II.
I RUOLI DELL’OBBLIGO GIURIDICO IMPEDITIVO ALL’INTERNO DELLA
FATTISPECIE OMISSIVA IMPROPRIA. IN PARTICOLARE: L’OBBLIGO
GIURIDICO IMPEDITIVO QUALE PRESUPPOSTO NEL NESSO CAUSALE
OMISSIVO.
1.3. L’obbligo giuridico impeditivo è condicio sine qua non dell’equivalenza causale di
cui all’art. 40 co. 2 c.p.. Il nesso causale omissivo.
SEZIONE III.
OBBLIGO
GIURIDICO
APPROFONDIMENTI.
DI
IMPEDIRE
L’EVENTO:
PRIMI
1.4. Le teorie sulle fonti dell'obbligo impeditivo: la teoria formale (segue)
1.5. (Segue) L'approccio contenutistico-funzionale e la nascita della nozione di
“posizione di garanzia”. La teoria eclettica.
1.6. Obblighi giuridici di impedire l’evento: singole fonti (segue)
1.7. (segue) e singole tipologie.
CAPITOLO II.
L'APPRODO DELLA DOTTRINA PIU' RECENTE ALLA NOZIONE
GIURIDICO-FORMALE DI POSIZIONE DI GARANZIA
Introduzione.
SEZIONE I. L’OBBLIGO GIURIDICO EX ART. 40 CPV. C.P. RICOSTRUITO
COME OBBLIGO DI GARANZIA E DISTINTO DAI MERI OBBLIGHI DI
SORVEGLIANZA.
2.1. Le avvertite insufficienze delle teorie tradizionali sulle fonti degli obblighi
I
impeditivi.
2.2. La ricostruzione dell'obbligo impeditivo alla luce dei principi costituzionali.
(Segue)
2.3. (Segue) Il principio di personalità della responsabilità penale e l'emersione del
concetto di potere impeditivo. La necessaria giuridicità del potere impeditivo ed il
superamento dei limiti insiti nella teoria mista.
2.4. L'approdo raggiunto dalle più recenti elaborazioni dottrinarie: l'obbligo impeditivo
ex art. 40 cpv. c.p. deve essere inteso come come “obbligo di garanzia”.
2.5. L'“obbligo di garanzia” deve essere distinto dagli obblighi di attivarsi (segue).
2.6. (segue) ... e dagli obblighi di mera sorveglianza.
2.7. Brevi puntualizzazioni in tema di fonti dell'obbligo di garanzia.
SEZIONE II.
L’INDIVIDUAZIONE DEL VERO E PROPRIO OBBLIGO DI GARANZIA,
RILEVANTE EX ART. 40 CPV. C.P., NEI CASI DI DOVERI DI VIGILANZA
SULL’OPERATO ALTRUI.
Introduzione.
2.8. La controversa figura degli obblighi giuridici di impedire il reato altrui: a) la
collocazione sistematica ... (segue).
2.9. (Segue) ... e le conseguenze che discendono dall'adozione di una o dell'altra
impostazione a riguardo.
2.10. b) l'ambito applicativo.
2.11. Il concorso mediante omissione nel reato non impedito.
2.12. Ritorno alla questione oggetto di interesse. La distinzione tra obblighi di
sorveglianza ed obblighi di garanzia di impedimento di reati altrui: a) dove va compiuta
tale distinzione (segue).
2.13. (segue) b) come va compiuta tale distinzione.
2.14. “Schema” conclusivo.
III CAPITOLO.
LA GIURISPRUDENZA ALLE PRESE CON LA NOZIONE
GIURIDICO-FORMALE DI POSIZIONE DI GARANZIA
II
Introduzione.
3.1. Le espresse prese di posizione sulla teoria che distingue tra obblighi di garanzia,
obblighi di sorveglianza ed obblighi di attivarsi.
3.2. Il criterio dei poteri giuridici impedivi: a) il cosciente e risolutivo impiego di esso.
(Segue)
3.3. (Segue) b) L’elusione dell’applicazione del criterio dei poteri giuridici impeditivi:
b.1) la delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro: la analisi della sussistenza
dei doveri-poteri impeditivi viene evitata escludendo, a monte, l’esistenza di una valida
delega.
3.4. b.2) Amministratori non esecutivi di società di capitali: l’analisi della sussistenza
dei doveri-poteri impeditivi viene evitata escludendo, a monte, la sussistenza
dell’elemento soggettivo.
3.5. Responsabili del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e responsabilità
concorsuale nell’evento non impedito: applicazione reale o applicazione apparente del
criterio dei doveri-poteri giuridici impeditivi?
3.6. Una applicazione controversa del criterio dei poteri giuridici impeditivi: la
posizione di garanzia dei membri del collegio sindacale e la responsabilità per concorso
nei reati non impediti.
IV CAPITOLO.
LA NOZIONE GIURIDICO-FORMALE DI POSIZIONE DI
GARANZIA ASSICURA IL RISPETTO DEL PRINCIPIO DI
LEGALITÀ?
SEZIONE I.
L’ELEMENTO DELL’OBBLIGO GIURIDICO IMPEDITIVO ED
CONTRASTO CON I PRINCIPI DI RISERVA DI LEGGE E TASSATIVITÀ.
IL
4.1. La denuncia corale della dottrina: l’art. 40 cpv. rappresenta uno dei più clamorosi
casi di creazione giudiziale delle fattispecie incriminatrici.
SEZIONE II.
LA RICOSTRUZIONE DELL’OBBLIGO GIURIDICO IMPEDITIVO IN
TERMINI DI “OBBLIGO DI GARANZIA” RIESCE A GARANTIRE IL
RISPETTO DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ?
4.2. Delimitazione dell’ambito delle riflessioni: la giurisprudenza più virtuosa e le fonti
dell’obbligo impeditivo meno controverse.
4.3. La ricostruzione in termini di “obbligo di garanzia”: a) permane pur sempre la
necessità di un complesso salto interpretativo da compiersi in territori stranieri al
III
penalista (segue)
4.4. (segue) b) il problema di fondo: l’“obbligo giuridico di impedire l’evento”
costituisce uno stranissimo elemento normativo.
SEZIONE III.
LA TIPIZZAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI GARANZIA.
4.4. La tipizzazione delle posizioni di garanzia nei progetti di codice penale.
4.5. La tipizzazione degli obblighi di garanzia: strada auspicabile e percorribile?
IV
CAPITOLO PRIMO.
LA POSIZIONE DI GARANZIA ALL’INTERNO DELLA
FATTISPECIE TIPICA OMISSIVA IMPROPRIA.
SEZIONE I.
LA FATTISPECIE OMISSIVA IMPROPRIA. NOZIONI FONDAMENTALI.
1.1. Il reato omissivo. In particolare, la fattispecie omissiva impropria ex art. 40
cpv. c.p.: formazione (segue)
Omissivo è il reato la cui condotta tipica consiste nel mancato compimento dell‟obbligo
imposto da una norma giuridica.
Dalla essenziale definizione che precede emerge il carattere che contraddistingue, da un
punto di vista concettuale, l‟omissione giuridicamente (e penalmente) rilevante:
l‟omissione è un concetto normativo, in quanto essa è identificabile, riconoscibile, soltanto tramite il riferimento ad una norma giuridica, la quale prescrive il compimento di
una azione considerata doverosa. L‟omissione dunque non rileva “in sé” – cioè per la
natura del comportamento effettivamente tenuto – bensì rileva in quanto raffrontata ad
un‟azione determinata, pretesa dall‟ordinamento giuridico. Per tale ragione, si dice che
l‟omissione giuridicamente rilevante è un concetto di relazione (1).
Muovendo da una prospettiva per così dire politica e socio-valutativa (2), si deve rilevare come il reato omissivo contenga un precetto decisamente più ingombrante di quello
contenuto in un reato commissivo: il comando di “fare qualcosa di determinato” incide
nella sfera della libertà individuale in maniera assai più invasiva di quanto non faccia un
“divieto di tenere un determinato comportamento”.
1
Per la considerazione dell‟omissione quale concetto di tipo normativo e di relazione, vedansi, fra
moltissimi, I. CARACCIOLI, voce Omissione (Diritto Penale), in Noviss. Dig. It., Volume XI, Torino, 1965,
p. 895 e, più di recente, I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, in Enciclopedia giuridica del sole 24 ore,
Bergamo, 2007, p. 33.
2
1
In tali termini F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Parte generale, Torino, 2011, p. 234.
Tale maggiore interferenza nella sfera della libertà individuale si salda necessariamente
con dei principi che rappresentano, nei riguardi di quella, rispettivamente il fondamento
e l‟effetto. Ci si riferisce ai principi di solidarietà e di eccezionalità.
Il principio di solidarietà rappresenta, appunto, il fondamento ideologico della responsabilità omissiva: le fattispecie omissive non esigono soltanto la mancata lesione di determinati beni, bensì pretendono una attivazione in favore di essi, con ciò determinando
un consistente rafforzamento del grado di tutela apprestato dall‟ordinamento in favore
di tali beni. Usando una immagine, si può affermare che «mentre il diritto penale
dell‟azione reprime il male, il diritto penale dell‟omissione persegue il bene» (3).
Il principio di eccezionalità rappresenta il corollario necessario della responsabilità di
tipo omissivo: data l‟ingombranza delle fattispecie omissive, esse andranno trattate alla
stregua di ipotesi – appunto - eccezionali, pena la violazione del principio costituzionale
di libertà personale.
Le constatazioni che precedono possono essere efficacemente riassunte dalla seguente
proposizione: «il problema del reato omissivo consiste (..) nell‟ardua individuazione di
un punto di equilibrio tra le due opposte esigenze espresse: 1) dal principio di eccezionalità dei reati omissivi, stante la loro maggiore interferenza nella sfera della libertà
individuale rispetto ai reati commissivi; 2) dal principio di solidarietà, che impone agli
individui di tenere comportamenti attivi per il soddisfacimento di altrui esigenze solidaristiche» (controllare correttezza citazione e citare Mantovani 2001, p. 337 in nota).
L‟omissione acquista rilievo penale per il tramite di due canali fondamentali:
1) o in forza di una norma incriminatrice – contemplata nella parte speciale del codice
penale, oppure all‟interno della legislazione penale extra codicem – la quale espressamente prevede e punisce la violazione di un obbligo di “fare qualcosa”;
2) oppure in forza di una clausola generale, quella contenuta nel comma secondo
dell‟articolo 40 del codice penale, secondo cui «non impedire un evento, che si ha
l‟obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». Tale clausola dà vita a fattispecie di reati nominati “omissivi impropri” (o anche “illeciti commissivi mediante omis-
3
F. MANTOVANI, L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi di legalità, di solidarietà, di
libertà e di responsabilità personale, in Riv. it. dir. proc. pen, 2001, p. 338.
2
sione”)(4); tale etichetta li distingue dall‟altra categoria di reati omissivi, detti “propri”
(5).
4
Nessun dubbio sussiste in ordine al fatto che le omissioni penalmente rilevanti in forza dell‟art. 40 cpv
vengono nominate, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, “reati omissivi impropri”.
A tutt‟oggi controverso è invece se la categoria degli omissivi impropri si esaurisca nelle fattispecie nate
dalla clausola di cui all‟art. 40 cpv, o se invece tale categoria ricomprenda in sé anche altre fattispecie
omissive di evento, espressamente tipizzate da specifiche norme incriminatrici.
La questione controversa in realtà riguarda – in termini più generali – i criteri per distinguere tra reati
omissivi propri e reati omissivi impropri. (Su tale questioni, si veda la nota seguente).
5
La collocazione della linea di confine tra i reati omissivi nominati propri e quelli nominati impropri
rappresenta a tutt‟oggi una questione dibattuta.
L‟impostazione tradizionale – nonché forse tuttora prevalente – impiega il criterio della sussistenza o
meno, nella fattispecie incriminatrice, dell‟evento naturalistico: e così sarebbero “propri” quei reati
omissivi che consistono nel mancato compimento di una condotta doverosa tipizzata da una norma di
parte speciale; sarebbero “impropri” che consistono nell‟omesso impedimento di un evento materiale –
che è elemento costitutivo del reato – che si doveva appunto impedire. Seguendo tale impostazione si
giunge ad affermare che “reati omissivi impropri” sono tanto quelli scaturenti dalla combinazione dell‟art.
40 cpv con la singola norma commissiva di parte speciale, quanto quelli in cui il mancato impedimento di
un evento sia espressamente previsto all‟interno di una specifica disposizione incriminatrice (si fa
l‟esempio dell‟art. 659 c.p.). Detta in altri termini, secondo tale impostazione l‟etichetta di “reati omissivi
impropri” non spetterebbe soltanto alle fattispecie che prendono forma dalla clausola generale di cui
all‟art. 40 cpv, bensì spetterebbe a tutte le fattispecie – comunque e dovunque formulate – che incriminino
il mancato impedimento di un evento, inteso in senso materiale.
Parte della dottrina non ha mancato di sollevare critiche rispetto alla sopra descritta impostazione. È stato
osservato ad esempio che, laddove è la stessa norma incriminatrice a formulare il fatto (anche) in termini
di mancato impedimento dell‟evento, «l‟utilizzazione della categoria dell‟illecito commissivo mediante
omissione può rivelarsi impropria: infatti (…) la problematica del reato omissivo improprio, i realtà,
affiora fuori dei casi, nei quali la rilevanza penale dell‟omissione è direttamente desumibile dalla
particolare fattispecie considerata» (G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, Milano,
1979, p. 34 nota 1). Ancora, è stato rilevato che l‟impostazione che fa leva sulla presenza o meno
dell‟evento naturalistico, si presenta del inidonea a selezionare le ipotesi in cui può operare il meccanismo
di equiparazione ex art. 40 c.p. 2: «la presenza o meno dell‟evento naturalistico appare scarsamente
significativa, essendovi fattispecie configurate come reati di pura omissione, la cui violazione può dare
luogo, nel caso del verificarsi di un evento dannoso, a tale equiparazione (es. omissione di cautele contro
gli infortuni sul lavoro, ex artt. 437 e 451 c.p.) e fattispecie configurate dalla legge come reati omissivi di
evento, la cui violazione non comporta tale equiparazione (es. omissione di soccorso aggravata, ex art.
593/3 c.p.» (I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 35).
E così vi è stato chi - al fine di distinguere tra reati omissivi propri ed impropri - ha proposto di sostituire
al criterio che fa leva sulla presenza dell‟evento un criterio che faccia leva sulla tecnica di tipizzazione: «a
nostro avviso (…) sembra preferibile – per rimanere fedeli all‟origine storica della categoria dogmatica
del reato omissivo improprio – attribuire rilevanza determinante, piuttosto che alla presenza o
all‟assenza di un evento naturalistico, alla tecnica di tipizzazione adottata dal legislatore nel disciplinare
il comportamento punibile. Adottando un simile criterio, sono da qualificare “propri” i reati omissivi
direttamente configurati come tali dalla singola disposizione incriminatrice (sia o meno presente nella
loro struttura un evento naturalistico); “impropri” gli illeciti omissivi carenti di previsione legislativa
espressa e ricavati dalla conversione – ad opera dell‟interprete che fa ricorso al capoverso dell‟art. 40
c.p. - di fattispecie legislativamente modellate su comportamenti di causazione positiva» (G.FIANDACA,
voce Omissione (diritto penale), Dig. Disc. Pen., VIII, Torino, 1994, p. 549; vedasi anche G. FIANDACA E. MUSCO, Diritto penale, Parte generale, Bologna, 2007, p. 578).
Anche il criterio fondato sulla tecnica di tipizzazione è stato sottoposto a critiche: «neppure tale criterio
appare tuttavia pienamente soddisfacente, facendo dipendere l‟appartenenza all‟una o all‟altra
categoria, non dalla struttura della fattispecie, ma dalla scelta contingente del Legislatore» (Leoncini,
cove p. 35).
La dottrina che più di recente si è occupata del tema ha suggerito un nuovo e diverso criterio. Al fine di
3
Sarà sulla fattispecie omissiva impropria - scaturente dal disposto di cui all‟art. 40 cpv.
c.p. - che concentreremo l‟attenzione nel corso del presente lavoro.
La fattispecie omissiva impropria ex art. 40 cpv. c.p. si forma per il tramite di
una combinazione: la clausola generale contenuta nell‟articolo 40 va ad innestarsi, di
volta in volta, su disposizioni di parte speciale che incriminano fatti commissivi. In tal
modo le fattispecie commissive si trovano come doppiate, in quanto ad esse viene assimilata una corrispondente figura di reato, basata non sul fare, ma sull‟omettere.
Rispetto a quanto sopra asserito, vanno compiute due precisazioni.
Innanzitutto va rilevato che non tutte le fattispecie commissive si prestano ad accogliere
l‟innesto della disposizione di cui all‟art. 40 c.p.; e cioè che a non tutte le fattispecie
commissive può essere assimilata una corrispondente fattispecie imperniata sul mancato
impedimento. Sul punto si tornerà nel prosieguo, parlando dell‟ambito applicativo del
reato omissivo improprio.
In secondo luogo va osservato che la fattispecie che nasce attraverso l‟innesto sopra descritto è una fattispecie nuova ed autonoma: ciò, nel senso che tutte le sue componenti
strutturali – ad eccezione, si potrebbe dire, dell‟evento (6) – si caratterizzano in modo
del tutto peculiare rispetto a quelle della corrispondente fattispecie commissiva di base
(7). Il reato omissivo improprio non si riduce dunque ad una mera forma di manifestazione dell‟illecito commissivo, bensì costituisce un modello specifico di reato, strutturalmente autonomo, a livello tanto della tipicità oggettiva che di quella soggettiva (8).
distinguere tra reati omissivi propri ed impropri non sarebbe congruo guardare alla tecnica di tipizzazione
né sarebbe decisivo guardare alla presenza o meno di un evento naturalistico; si dovrebbe piuttosto far
leva sulla tipologia di obbligo gravante sul soggetto omittente: ciò, nel senso che il meccanismo di
applicazione dell‟equiparazione di cui all‟articolo 40 co. 2 può operare laddove – e soltanto laddove – in
capo al soggetto omittente gravi un obbligo che possa dirsi un vero e proprio “obbligo di garanzia” (Così
I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., pp. 35,36).
(Per l‟illustrazione dei caratteri dell‟obbligo di garanzia, si veda infra, capitolo II sezione I).
6
G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, Milano, 1983, p. 131.
7
È stato negli ultimi decenni del XX secolo che la dottrina – sia d‟Oltralpe che nostrana – ha
progressivamente preso atto della autonomia –strutturale e contenutistica – dei reati omissivi impropri, i
quali erano invece fino ad allora vissuti all‟ombra degli illeciti di tipo commissivo. Vedasi in tal senso, fra
gli altri, G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 72, 73.
L‟accresciuto interesse dogmatico per i reati omissivi impropri rinviene è senz‟altro dipeso, fra le altre
cose, da un cospicuo aumento – numerico e di importanza – di tali forme di illeciti. (Così Così F.
MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, p.
985).
8
F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., p. 985.
4
Un‟ultima osservazione generale: la disposizione dalla quale nasce la fattispecie omissiva impropria si trova collocata all‟interno di una norma dedicata al rapporto di causalità.
La dottrina è unanime nel considerare infelice tale collocazione: « (…) siffatto inserimento confonde due problemi diversi: il problema della causalità con quello
dell‟illiceità dell‟omissione, problemi che devono essere tenuti distinti, perché una cosa
è la connessione eziologica fra la condotta omissiva e l‟evento ed altra cosa la contraddizione tra la condotta stessa e la norma giuridica» (9). E tuttavia proprio dalla collocazione nell‟alveo della causalità si possono trarre – come si vedrà nel paragrafo a seguire – delle significative indicazioni in ordine all‟ambito applicativo della fattispecie
omissiva impropria stessa (10).
1.2. (Segue) Ambito di applicazione ed elementi costitutivi.
Della fattispecie omissiva impropria verranno ora indagati ambito applicativo ed
elementi costitutivi.
Si comincerà dal primo.
Le osservazioni sullo spazio operativo della fattispecie omissiva impropria possono essere portate avanti tenendo in considerazione due piani valutativi differenti: un piano
per così dire di tipo logico-strutturale ed un piano di tipo valoriale (politico-criminale).
La analisi a seguire si occuperà prima dell‟uno e poi dell‟altro aspetto.
Per ciò che concerne la valutazione di tipo logico strutturale, la dottrina del tutto prevalente giunge a posizioni uniformi: il dominio – naturale ed esclusivo (11) – dell‟art. 40
cpv. c.p. è rappresentato dalle fattispecie di evento causalmente orientate.
La affermazione appena compiuta abbisogna di essere precisata nei suoi contenuti e delimitata nei suoi contorni.
9
G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 37, il quale riporta un pensiero
dell‟Antolisei.
10
11
5
G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 124.
M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 2004, sub art. 40, par. 53.
Che il capoverso dell‟articolo 40 c.p. possa innestarsi soltanto su fattispecie di evento, è
un dato pacifico. Innanzitutto perché è la disposizione normativa stessa ad esigere la
presenza di un evento: l‟evento che si aveva l‟obbligo di impedire. In secondo luogo
perché non si può dubitare che l‟evento cui si riferisce l‟art. 40 cpv. sia un evento da intendere in senso naturalistico: la clausola generale che fonda la responsabilità omissiva
è contenuta in una norma – l‟articolo 40 c.p. – dedicato al nesso di causalità; ora, il nesso causale viene in rilievo soltanto laddove affiori il problema di collegare una condotta
umana ad un evento lesivo, inteso appunto come modificazione del mondo esterno,
concettualmente e fenomenicamente separabile dalla condotta umana (12).
Si può dunque rilevare come trovi conferma quanto si era detto in chiusura del precedente paragrafo: la collocazione della clausola che fonda la responsabilità omissiva impropria all‟interno dell‟alveo della causalità, fornisce indicazioni preziose circa l‟ambito
operativo della responsabilità omissiva impropria stessa.
Ancora, come si è detto sopra, le fattispecie che si prestano alla conversione in forma
omissiva sono, tra le fattispecie di evento, soltanto quelle causalmente orientate, cioè
quelle in cui ad essere incriminata è la realizzazione di un determinato evento lesivo,
indifferenti restando le modalità di produzione di esso. Rimangono dunque escluse dalla
sfera di operatività dell‟art. 40 cpv. non soltanto le fattispecie di mera condotta, ma altresì quelle di evento a forma vincolata, cioè quelle in cui il legislatore tipizza le modalità di produzione del risultato lesivo.
Tale limitazione ha delle ragioni di tipo ontologico-strutturale. Una inerzia può equivalere ad una condotta attiva soltanto laddove ciò che conti sia esclusivamente la produzione di un evento, cagionato o, appunto, non impedito (13). L‟omissione non può invece essere assimilata all‟azione laddove l‟azione stessa debba risultare, per espressa volontà della legge, contraddistinta da peculiari modalità e contenuti: è il principio di tassatività che impedisce che sia possibile convertire in forma omissiva una condotta attiva
di tipo vincolato (14).
12
In simili termini G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto penale, Parte generale, Bologna, 2007, p. 193.
13
Tra i tanti L. RISICATO, Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, Milano,
2001, p. 382.
14
6
I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 36.
La delimitazione della sfera operativa dell‟art. 40 cpv. alle sole fattispecie causalmente
orientate rappresenta dunque un punto pacifico in dottrina (15).
Rispetto a quanto sin qui asserito, rimangono da compiere alcune puntualizzazioni.
La prima riguarda il fenomeno – assai delicato – dei reati omissivi impropri plurisoggettivi, ossia il fenomeno della compartecipazione per omesso impedimento del reato
commesso da altri. Di tale complessa tematica ci si occuperà nella sezione II del capitolo II (16); dunque si rimanda a quella sede per ogni considerazione ed approfondimento
in merito. Qui ci si limita ad osservare che la delimitazione operativa dell‟art. 40 cpv.
che è stata qui sopra tracciata è destinata ad essere messa in discussione proprio con riguardo ai reati omissivi impropri plurisoggettivi: come si avrà modo di vedere, difatti, la
dottrina oggi prevalente sostiene che, quando l‟omesso impedimento riguardi reati
commessi da altri, non trovi più applicazione la regole della limitazione alle sole fattispecie di evento.
Ancora, è opportuno ricordare che la dottrina – oltre a circoscrivere “positivamente” la
sfera operativa dell‟art. 40 cpv., individuandone il dominio nei reati di evento causalmente orientati – ha altresì provveduto a tracciare delle “delimitazioni in negativo”(17)
della sfera operativa stessa, elencando una serie di tipologie di reati che in nessun caso
possono prestarsi alla conversione in forma omissiva: reati che per la loro peculiare
struttura o natura risultano incompatibili con una realizzazione in forma omissiva (ci si
riferisce ad esempio ai reati abituali, ai delitti di mano propria, o a quelle fattispecie che
pongono l‟accento su condotte caratterizzate da note descrittive necessariamente inerenti a comportamenti di tipo positivo) (18); oppure reati rispetto ai quali l‟operatività della
clausola di equivalenza di cui all‟art. 40 cpv. sarebbe, per così, dire inutile o comunque
15
Unica opinione difforme da poter registrare sembra essere quella di Pagliaro, «secondo il quale
l‟individuazione delle fattispecie convertibili dovrebbe fondarsi non sulla struttura della fattispecie, bensì
sul criterio esclusivamente formale-linguistico della descrizione legislativa della condotta tipica, nella
norma sul reato commissivo, tramite locuzioni quali “cagionare”, “procurare”, ecc; mentre non avrebbe
alcuna importanza la presenza o meno nella fattispecie di un evento naturalistico» (Così in I. LEONCINI,
Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999, p. 29, nota 41).
16
In particolare, vedasi il paragrafo dedicato alla descrizione dell‟ambito applicativo degli obblighi
giuridici di impedire il reato altrui.
17
18
L‟espressione è tratta da G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 142.
Per approfondimenti si veda G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 36 e si veda G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 154 ss..
7
impropria (ci si riferisce ai casi in cui è la stessa disposizione incriminatrice a fare menzione della condotta omissiva (19) e ai reati cosiddetti d‟obbligo(20)).
Passiamo ora ad analizzare l‟altro piano di valutazione dell‟ambito applicativo delle fattispecie omissive improprie: quello che è stato qui sopra nominato il piano “valoriale”,
cioè quello che si compone di valutazioni di tipo politico-criminale.
Rispetto a tale piano, in realtà, tutte le osservazioni che precedono – relative alle delimitazioni ontologico-strutturali dello spazio operativo della clausola ex art. 40 cpv. - fungono da decisivo apripista.
Si è detto, infatti, che da un punto di vista logico-strutturale l‟ambito applicativo della
clausola di cui al comma 2 dell‟art. 40 è costituito dalle fattispecie causalmente orientate. Bene, se si compie una analisi delle fattispecie che l‟ordinamento disegna come fattispecie di evento causali pure ci si accorge che, nella quasi totalità dei casi, si tratta di
fattispecie poste a tutela di beni di rango elevato, quali la vita, l‟incolumità fisica, personale e pubblica (21).
Dunque, instaurando un collegamento tra struttura della fattispecie e beni tutelati, si può
affermare che, in genere, le fattispecie che si prestano alla conversione in forma omissiva sono fattispecie che tutelano i beni più importanti e preziosi (22). Anzi – invertendo
l‟ordine dei termini della suddetta constatazione – si potrebbe affermare che è proprio
l‟elevato rango dei beni a giustificare una responsabilità anche in forma omissiva.
19
Quella della possibilità, per la clausola generale ex art. 40 cpv, di “interagire” con le norme incriminatrici che fanno espressa menzione – in via esclusiva o accanto all‟azione in senso stretto - di una condotta
omissiva, è questione complessa e dibattuta. Al fine di percepire la varietà e le sfaccettature delle posizioni assunte dalla dottrina sul punto, vedasi ad esempio I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 215.
20
Per approfondimenti si vedano G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 36-37 e
G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 146 ss..
21
Si pensi ad esempio ai delitti di omicidio, lesione personale, ai reati contro l‟incolumità pubblica di cui
agli artt. 422, 423, 426, 428, 430 c.p.. Esiste peraltro una corrispondenza tra la struttura di tali fattispecie
e l‟elevato rango dei beni da esse tutelati: come si è detto, nelle fattispecie di evento causalmente
orientate, ciò che conta è solo la produzione dell‟evento lesivo, mentre indifferenti restano le modalità
attraverso le quali tale produzione si determina; così facendo, viene assicurata una tutela senz‟altro estesa
– una tutela a tappeto, potremmo dire – del bene giuridico protetto; il che è pienamente coerente, appunto,
con l‟elevato grado del bene in questione.
22
Ovviamente tale collegamento tra una determinata tipologia di fattispecie incriminatrice e l‟elevato
rango del bene in gioco è destinato a saltare laddove, in presenza di un obbligo giuridico di impedire il
reato altrui, si ritenga che la sfera operativa del capoverso dell‟art. 40 c.p. si estenda a qualunque tipologia
di reato. Sul tema vedansi i rapidi cenni effettuati supra, nel presente paragrafo, nonché, per una
trattazione più completa, vedasi infra, capitolo II, sezione II.
8
Fermo restando che – per tutte le ragioni viste sopra – le fattispecie omissive improprie
sono spesso poste a tutela di beni quali la vita e l‟incolumità fisica, ci si deve a questo
punto chiedere se per caso non vi siano ragioni per sostenere che l‟ambito applicativo di
tali reati debba essere circoscritto esclusivamente alle fattispecie poste a tutela dei predetti beni. Formulato in altri termini, il quesito cui dare risposta è il seguente: se, dinnanzi a fattispecie che per la loro struttura si presterebbero ad essere convertite in omissive, debbano porsi delle limitazioni all‟applicazione della clausola ex art. 40 cpv. proprio in considerazione della tipologia dei beni in questione (23).
Nel fornire risposta al suddetto quesito la dottrina appare decisamente divisa. È del tutto evidente che la questione problematica - così come è stata posta – non ha di certo natura logica o tecnica, bensì ha natura squisitamente politico-criminale: si tratta infatti di
capire se - a delimitare ulteriormente lo spazio applicativo della clausola di cui al 40 capoverso - debbano o meno subentrare delle “considerazioni di valore”. Parte della dottrina risponde affermativamente (24): quella forma rafforzata di tutela offerta dal reato
omissivo improprio – la quale peraltro si traduce in una altrettanto forte limitazione della sfera di libertà del soggetto agente – non potrebbe se non essere ricondotta alla particolare importanza e vulnerabilità di determinate tipologie di beni. Altra parte della dottrina esclude invece categoricamente che l‟ambito dei reati omissivi impropri possa essere delimitato in base al rango dei beni in gioco, e ciò, in considerazione soprattutto del
fatto che la amplissima formula contenuta nel capoverso del‟articolo 40 non sembra
consentire alcuna restrizione particolare a seconda del bene giuridico interessato ( 25).
Una posizione peculiare è quella assunta dal Giunta, il quale – dopo aver constatato che
effettivamente il testo dell‟art. 40 co. 2 non contiene argomenti per delimitare la sfera di
operatività della clausola di equivalenza – afferma che tuttavia nulla vieta di interpretare
il testo della singola norma alla luce dell‟intero sistema normativo; effettuando una tale
operazione, secondo l‟Autore possono rinvenirsi, all‟interno del sistema penale, svariate
23
Il quesito è stato spesso posto con riguardo al delitto di danneggiamento: trattasi infatti di fattispecie di
evento, causale pura, la quale tuttavia è posta a presidio del bene patrimonio.
24
G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 48-52; P. SEMERARO, Il concorso mediante omissione nel reato, in L‟indice penale, 2006, pp. 585-586; L. RISICATO, Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, cit., p. 382.
25
Vedasi per tutti M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., p. 381. E anche I. LEObbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 220.
ONCINI,
9
ragioni per rintracciare una propensione al contenimento dei reati omissivi impropri (26).
Muovendo da tali premesse, l‟Autore giunge alla conclusione che non tutte le fattispecie
causalmente orientate sarebbero convertibili in reati omissivi impropri, ma solo quelle
che ad un tempo sono previste dal legislatore anche come colpose.
Sino a questo momento la fattispecie omissiva impropria non è stata ancora indagata dal
suo di dentro; finora difatti sono state fornite indicazioni soltanto in ordine alla formazione di tale fattispecie ed al suo spazio operativo. Eppure – proprio con riguardo a
quest‟ultimo profilo – si è già in grado di percepire come quella omissiva impropria sia
una fattispecie che si presta ad offrire ampi – e tutto sommato inquietanti – spazi di manovra agli interpreti.
Da qui dinnanzi la fattispecie omissiva impropria verrà analizzata nel suo interno, e cioè
in quegli elementi che ne costituiscono le componenti strutturali.
La fattispecie omissiva impropria di cui all‟art. 40 cpv. c.p. esige la presenza di un evento: si è già visto sopra, parlando dell‟ambito applicativo, che deve trattarsi di un evento da intendersi in senso naturalistico e che deve trattarsi di un evento contemplato
da una fattispecie incriminatrice commissiva (27).
La fattispecie omissiva impropria richiede la presenza di una condotta omissiva cioè una
condotta di omesso impedimento dell‟evento.
La dottrina ricomprende all‟interno della condotta omissiva tanto la situazione cosiddetta tipica, quanto il mancato compimento dell‟azione di impedimento (28).
La situazione tipica consisterebbe nell‟insieme di quei presupposti di fatto (ad esempio i
presupposti che producono la situazione di pericolo per il bene da salvaguardare) da cui
scaturisce l‟obbligo di attivarsi (29). La situazione tipica, così definita, viene ricompresa
all‟interno dalla condotta tipica proprio in quanto «l‟obbligo giuridico di compiere una
26
F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, in Diritto penale
e processo, 1999, p. 629.
27
Per le peculiarità concernenti i reati omissivi impropri plurisoggettivi, vedasi invece la Sezione II del
Capitolo II.
28
29
Vedasi ad esempio G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 133 e ss.
In tal senso, fra gli altri, G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 76.
10
certa azione non può essere posto sganciato da un determinato contesto attuale, in presenza del quale sorge la necessità e l‟utilità dell‟azione positiva»( 30).
La condotta omissiva tipica consiste nel mancato compimento dell‟azione diretta ad impedire l‟evento previsto dalla fattispecie commissiva-base. Va segnalato come
l‟individuazione dell‟azione doverosa non compiuta è una operazione complessa e sfuocata visto che – come si avrà modo di meglio comprendere nel prosieguo dell‟analisi –
il comportamento doveroso omesso non solo non risulta descritto dalla clausola generale di cui all‟art. 40 cpv. ma neanche, spesso, dalle norme che individuano il soggetto tenuto ad attivarsi (31).
Il compimento dell‟azione doverosa presuppone, a sua volta, la possibilità di agire: la
condotta omessa, cioè, doveva essere, per l‟omittente, possibile. Nel suo contenuto basilare ed imprescindibile, il concetto di possibilità di agire va inteso in senso materiale:
l‟azione impeditiva doveva essere possibile, per l‟omittente, in senso concreto, in senso
fisico, e cioè in considerazione tanto delle condizioni esterne quanto delle condizioni
personali psico-fisiche dell‟omittente (32). Su come debba intendersi – in senso più profondo e più preciso, la “possibilità impeditiva di un evento”, sono state elaborate dagli
studiosi varie costruzioni concettuali, delle quali si darà conto in seguito (33).
30
F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Parte generale, Torino, 2011, p. 237. L‟Autore prosegue dicendo
che «diversamente ognuno di noi sarebbe continuamente, perennemente soggetto all‟obbligo di agire,
venendosi così a rendere davvero insopportabile la limitazione della libertà connessa alla pretesa normativa di comportamenti positivi».
31
Tale osservazione risulta espressa, seppur con differenti termini, in G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 363-364.
32
A tal proposito la dottrina non manca ad esempio di osservare che, nei casi in cui l‟azione impeditiva è
libera – e cioè nei casi in cui la fonte dell‟obbligo non descrive l‟azione richiesta, occorre distinguere tra
una impossibilità assoluta, la quale preclude ogni azione impeditiva (si fa l‟esempio del bagnino colto da
improvviso malore), ed una impossibilità relativa, la quale invece limita ad una soltanto o a talune soltanto le possibili azioni impeditive (si fa l‟esempio della madre la quale, se incapace di nuotare, è pur sempre
tenuta ad invocare il soccorso altrui per salvare il figlio caduto in acqua) (In tal senso F. MANTOVANI,
L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi,cit., p. 342).
Ancora, la dottrina non ha mancato di rilevare che, tuttavia – se non si dubita del fatto che la possibilità di
agire vada intesa, primariamente, in senso materiale – le perplessità sorgono, invece, laddove al concetto
di “possibilità” venga data una lettura in termini altresì soggettivistici: laddove, cioè, per valutare la possibilità di agire si prenda in considerazione altresì il momento intellettivo del soggetto omittente, ossia, ad
esempio, la sua conoscenza o conoscibilità della situazione tipica. Per tali considerazioni si veda G.
GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 375 ss..
33
Per i contenuti del concetto di potere impeditivo nonché per il requisito della giuridicità di esso, si
rinvia alla sezione I del capitolo II. Per un‟analisi di come il potere impeditivo debba atteggiarsi –
laddove oggetto dell‟impedimento siano le azioni delittuose altrui – si rinvia alla sezione II del capitolo II.
11
Ancora, nella struttura della fattispecie omissiva impropria deve rinvenirsi una equivalenza causale: il mancato impedimento deve equivalere alla causazione dell‟evento; tra
le componenti della fattispecie c‟è dunque quella di un nesso causale che deve intercorrere, appunto, tra la condotta omissiva e l‟evento verificatosi.
Ancora, la fattispecie omissiva impropria esige la presenza di un ulteriore e fondamentale requisito: un obbligo giuridico di impedire l‟evento, elemento il quale, solo, è in
grado di far scattare l‟equivalenza di qui si è qui sopra detto.
Del nesso causale omissivo si parlerà nella sezione II del presente capitolo; l‟obbligo
giuridico impeditivo verrà analizzato a partire dalla sezione III del presente capitolo, sino alla fine di questo lavoro.
12
SEZIONE II.
I
RUOLI
DELL’OBBLIGO
GIURIDICO
IMPEDITIVO
ALL’INTERNO DELLA FATTISPECIE OMISSIVA IMPROPRIA.
IN PARTICOLARE: L’OBBLIGO GIURIDICO IMPEDITIVO
QUALE PRESUPPOSTO NEL NESSO CAUSALE OMISSIVO.
1.3. L’obbligo giuridico impeditivo è condicio sine qua non dell’equivalenza causale
di cui all’art. 40 co. 2 c.p.. Il nesso causale omissivo.
È condivisa la percezione secondo cui l‟obbligo giuridico di impedire l‟evento (la
cosiddetta posizione di garanzia (34)) rappresenti il cuore pulsante – la vera “questione
centrale” - della fattispecie omissiva impropria ( 35 ), fungendo, rispetto ad essa, da
pilastro portante.
L‟obbligo giuridico impeditivo seleziona i soggetti dai quali l‟ordinamento pretende un
intervento impeditivo. Così facendo, tale elemento incarna e riflette fedelmente quel
carattere di eccezionalità che deve contraddistinguere la fattispecie omissiva impropria
(36).
Solo i soggetti che possano considerarsi titolari di un tale obbligo possono essere autori
di un reato di tipo omissivo improprio; il che equivale a dire che l‟obbligo giuridico
impeditivo rende la fattispecie omissiva impropria un reato di tipo proprio (37).
L‟obbligo giuridico di impedire l‟evento, nel mentre che individua i soggetti obbligati
ad impedire l‟evento, contribuisce a selezionare le condotte omissive rilevanti (38): «tra
le innumerevoli omissioni concorrenti alla produzione dell‟evento lesivo (seppur in
34
Sulla nascita della terminologia “posizione di garanzia” – nonché sull‟attuale indifferente utilizzo dei
termini “obbligo giuridico impeditivo” e “posizione di garanzia” – vedasi infra, Sezione III del presente
capitolo.
35
Vedansi ad esempio L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza
italiane, in Riv. it. dir. proc. pen, 1997, pp. 1363-1364; F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel contesto
della fattispecie omissiva impropria, cit., p. 620.
36
37
38
Si veda retro, Sezione I del presente capitolo.
I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 60.
In tal senso anche Cassazione penale, Sezione IV, 38991/2010.
13
modo “statico”), l‟individuazione di quella penalmente rilevante avviene sulla base
della sua contrarietà ad un obbligo giuridico di impedire l‟evento» (39). Un‟omissione
potrà essere considerata causale, rispetto ad un evento, solo e soltanto qualora autore
dell‟omissione sia un soggetto gravato di un obbligo giuridico impeditivo.
Si potrebbe dunque affermare che l‟obbligo giuridico di impedire l‟evento rappresenti il
presupposto – la condicio sine qua non, potremmo dire – rispetto alla causalità omissiva
stessa (40): un‟indagine circa la sussistenza di un nesso causale tra una omissione ed un
evento tipico ( 41 ), ha senso di essere compiuta soltanto laddove l‟omittente sia un
soggetto titolare dell‟obbligo giuridico di cui parla il capoverso dell‟articolo 40 c.p..
Ci si potrebbe spingere ad affermare che l‟obbligo giuridico impeditivo ex art. 40 cpv. –
in quanto «forte nucleo normativo» ( 42 ) della fattispecie omissiva impropria – non
soltanto fondi la causalità omissiva, ma altresì rappresenti ciò che è chiamato a
bilanciare quella che vedremo essere la intrinseca debolezza di essa: una sorta di
supplenza, attuata dal “presupposto” normativo, alle deficienze del “presupposto
naturalistico”(43).
Posto in luce il ruolo centrale occupato dall‟obbligo giuridico impeditivo
all‟interno della fattispecie omissiva impropria, nonché lo stretto rapporto di quello con
il nesso causale omissivo, è proprio su tale nesso che verrà da qui dinnanzi concentrata
l‟attenzione.
Quello della causalità omissiva, come è noto, è un tema inesauribile. Nello spazio di un
paragrafo, il nostro obiettivo è esclusivamente il seguente: illustrare le ragioni di quella
39
F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Parte generale, Torino, 2011, p. 282.
40
Il Fiandaca ad esempio afferma che il divario esistente tra le due forme di causalità – la attiva e la omissiva – è colmato proprio dalla posizione di garanzia. L‟Autore, prendendo spunto da Kaufman, esprime tale concetto in formule asserendo che c1= c2+g, dove c1 è il nesso di causalità reale, c2 è il nesso di
causalità omissiva e g è la posizione di garanzia. «Detto fuori dalla formule: al rapporto di causalità reale proprio dell‟illecito commissivo corrisponde, nell‟illecito di commissione mediante omissione, la coppia concettuale formata dal nesso di causalità ipotetica e dalla posizione di garanzia» G. FIANDACA, Il
reato commissivo mediante omissione, cit., p. 73.
41
L‟evento tipico è rappresentato – così come si è detto nella precedente sezione di questo capitolo –
dall‟evento contemplato da una fattispecie incriminatrice commissiva, suscettibile di conversione.
42
Così Sezioni Unite penali, sentenza 30328/2002.
43
Ad una sorta di compensazione, di supplenza, operata dall‟ “elemento normativo” dell‟obbligo
giuridico impeditivo si riferiscono ad esempio F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento
dell‟evento, Padova, 1975, p. 200, G. INSOLERA, voce Concorso di persone nel reato, in Dig. disc. pen.,
vol. II. Torino, 1988, p. 470.
14
che è stata qui sopra qualificata come “debolezza intrinseca” della causalità omissiva; il
che consentirà di spiegare in che senso l‟elemento dell‟ “obbligo giuridico impeditivo”
dovrebbe essere chiamato a fungere, rispetto ad essa, da sostanzioso contrappeso.
Più in particolare, si procederà come segue: verranno segnalate le peculiarità
ontologiche del nesso causale omissivo, dopo di che verrà analizzato come esse si
riverberino sull‟accertamento del nesso causale stesso, connotando tale operazione in
termini di elevata (e forse insanabile) problematicità.
L‟omissione consiste, per sua stessa definizione, in una condotta priva di una sua
dimensione “fisica”, in un nihil, dal punto di vista naturalistico. Il nesso causale, inteso
come correlazione tra una condotta ed un evento, si atteggia, nell‟ambito della causalità
omissiva, in modo per forza di cose peculiare: mentre nell‟ambito della causalità
commissiva il ponte causale è chiamato a legare due entità reali (la condotta umana e
l‟evento verificatosi), nella causalità omissiva il rapporto causale si instaura tra una sola
entità reale (l‟evento verificatosi) ed una entità inesistente (la condotta omessa), la quale
può essere soltanto immaginata. Prescindendo da ogni disputa epistemologica sulla
natura reale, o meno, del nesso causale omissivo e sulla reale capacità causale delle
condizioni statiche (44), ci si limita a rilevare come la dottrina maggioritaria propenda
oggi per la tesi della diversità della causalità omissiva rispetto alla attiva. Ciò, in quanto
si tratta di una causalità che non ha natura naturalistica ma esclusivamente normativa
(45): si tratta, in fondo, di una “equivalenza causale” (46), così come indicato dalla stessa
norma che ne decreta l‟esistenza. Si tratta, ancora, di una causalità “doppiamente
ipotetica” ( 47 ): «se infatti la formula che esplica la causalità attiva – in quanto
„controfattuale‟ – è certamente ipotetica, la formula euristica della causalità omissiva è
però doppiamente ipotetica»; ciò, in quanto «nella griglia controfattuale esplicativa
44
Vedasi ad esempio F. STELLA, La nozione penalmente rilevante di causa; la condizione necessaria, in
Riv. it. dir. proc. pen., 1988, p. 1254 ss.
45
Vedasi ad esempio C.E. PALIERO, La causalità dell‟omissione: formule concettuali e paradigmi
prasseologici, in Riv. it. med. leg., XIV, 1992, p. 821 e ss.
46
Di «equivalente tipico della causalità» parla G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 415 e ss.
Vedansi anche G.FIANDACA, voce Omissione, cit., p. 555 e P. NUVOLONE, L‟omissione nel diritto penale
italiano. Considerazioni generali introduttive, in L‟indice penale, 1982, p. 436.
47
Per il conio della felice formula – nonché per le intuizioni ed i contenuti che essa racchiude – vedasi
C.E. PALIERO, La causalità dell‟omissione, cit., p. 841 e ss.
15
della causalità omissiva, l‟interloquente può collocare soltanto un dato storicamente
reale, posizionato nell‟apodosi –ed è ovviamente l‟evento effettivamente integratosi;
mentre nella protasi, di dati reali (…) non se ne ravvisano, giacché l‟omissione è sì
antecedente (statico) reale, ma solo a condizione di essere integrata (…) dall‟azione
impeditiva, che però è del tutto immaginaria».
Esauriti nelle brevi battute che precedono i cenni generali sull‟essenza della causalità
omissiva, la trattazione si farà ora più articolata, nell‟intento di illustrare in che maniera
le suddette peculiarità si ripercuotano ed incidano sul metodo e sui criteri di
accertamento del nesso.
Innanzitutto va affermato che per valutare la sussistenza del nesso causale di tipo
omissivo, il criterio del giudizio - ossia il modello euristico - è identico a quello
impiegato per valutare la sussistenza della causalità attiva: si tratta del giudizio
condizionale di tipo controfattuale (48), applicato facendo ricorso all‟esperienza tratta
dai risultati delle generalizzazioni del senso comune oppure facendo ricorso alla
sussunzione sotto leggi scientifiche di copertura.
Tuttavia in ambito omissivo l‟applicazione della formula controfattuale presenta
spiccate peculiarità, peculiarità dovute proprio a quella che è stata definita come “natura
doppiamente ipotetica” della causalità omissiva.
48
La necessità di ricorrere, anche in ambito di causalità omissiva, al criterio del condizionale
controfattuale è stata affermata con decisione sia in dottrina che in giurisprudenza.
Per quanto riguarda la dottrina, è importante notare come la medesimezza del metodo di accertamento sia
stata rilevata non soltanto da coloro che hanno sostenuto la teoria dell‟ “identità” tra causalità attiva ed
omissiva (vedasi ad esempio F. STELLA, La nozione penalmente rilevante di causa, cit., pp. 1254-1255),
ma altresì da coloro che hanno posto in luce i profili di divergenza fra i due tipi di causalità: ci si riferisce
in particolar modo a C.E. PALIERO, La causalità dell‟omissione, cit., p. 841, il quale ritiene che «occorre
distinguere (…) fra criterio del giudizio (…) e base del giudizio»; la “base del giudizio” – intesa come il
tipo di antecedente selezionato quale oggetto del predicato (controfattuale) esplicativo del nesso di
condizionamento – sarebbe irrimediabilmente difforme, a seconda che si tratti di causalità attiva o
omissiva, il “criterio del giudizio” invece sarebbe, appunto, identico, in quanto «in entrambi i casi in
effetti imperniato su di un sillogismo controfattuale».
Per quanto riguarda la giurisprudenza, ci si limita qui a segnalare la pronuncia delle Sezioni Unite
Franzese, la quale, dopo aver compiuto una ricognizione dello statuto della causalità penalmente
rilevante, afferma a chiare lettere che «anche per i reati omissivi impropri resta valido il descritto
paradigma unitario di imputazione dell‟evento. Pur dandosi atto della peculiarità concettuale
dell‟omissione (è tuttora controversa la natura reale o meramente normativa dell‟efficienza
condizionante di un fattore statico negli sviluppi della catena causale), si osserva che lo statuto logico del
rapporto di causalità rimane sempre quello del „condizionale controfattuale‟, la cui formula dovrà
rispondere al quesito se, mentalmente eliminato il mancato compimento dell‟azione doverosa e sostituito
alla componente statica un ipotetico processo dinamico corrispondente al comportamento doveroso,
supposto come realizzato, il singolo evento lesivo, hic et nunc verificatosi, sarebbe, o non, venuto meno,
mediante un enunciato esplicativo `coperto‟ dal sapere scientifico del tempo» (Cassazione, Sezioni Unite
penali, sentenza 30328/2002).
16
Come si è detto sopra, la condotta doverosa omessa – elemento situato nella protasi
controfattuale del giudizio causale relativo all‟omissione – non è un elemento del reale,
ma è un elemento che può essere solo immaginato. Da ciò derivano i necessari
adattamenti del condizionale controfattuale in ambito omissivo.
Innanzitutto l‟interprete dovrà infatti accertare quale sia stata la causa reale –
intendendo con ciò la causa fisica, naturalistica – dell‟evento verificatosi (49). Solo una
volta ricostruita ed appurata la catena dei fattori eziologici che hanno condotto
all‟evento, sarà possibile stabilire quale sarebbe stata la condotta doverosa impeditiva e
quindi sarà possibile individuare la omissione penalmente rilevante.
Ancora, solo a quel punto potrà essere applicato il giudizio controfattuale, la cui
formula subirà anch‟essa degli adattamenti: al posto dell‟eliminazione mentale della
condotta attiva, dovrà essere compiuta una “aggiunta mentale” della condotta doverosa
omessa, individuata nei termini sopra descritti.
I profili altamente ipotetici della causalità, l‟incertezza per così dire costitutiva
del primo polo del nesso causale, il condizionale di secondo grado, rappresentano
complicanze concettuali e comportano notevoli aggravi degli oneri dimostrativi (50).
Senonché nella prassi giurisprudenziale è accaduto che la suddetta complessità del
nesso causale omissivo, anziché condurre ad un atteggiamento più cauto
nell‟accertamento di esso, ha sospinto verso posizioni che hanno finito con il diminuire
49
Vedasi in tal senso, per tutte, Cassazione penale, Sezione IV, 25 maggio 2005 n. 25233: « (…) nella
ricostruzione del nesso eziologico, non può assolutamente prescindersi dall‟individuazione di tutti gli elementi concernenti la causa dell‟evento: solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici il
momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, è poi possibile analizzare la condotta (omissiva) colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi
come realizzata la condotta dovuta, l‟evento lesivo sarebbe stato evitato "al di là di ogni ragionevole
dubbio"».
Nel caso segnalato, la Corte escluse la possibilità di configurare un nesso causale omissivo – e dunque
escluse la penale responsabilità dell‟imputato (il primario del reparto di ematologia dell‟ospedale San
Salvatore di Pesaro) – proprio in quanto difettava la prova in ordine a quelle che erano state le cause “reali”, fenomeniche, degli eventi verificatisi (in particolare, si trattava dei decessi per epatite fulminante di
nove pazienti ricoverati nel reparto di ematologia dell‟ospedale): « (…) appare evidente che soltanto individuando il veicolo del contagio (o comunque le concrete modalità con le quali il contagio è avvenuto)
è possibile dare un contenuto fattuale alla enunciata omessa vigilanza, (...) Ciò posto, e ritornando
all‟esame della concreta fattispecie "de qua", ne deriva che i giudici di merito avrebbero dovuto individuare e specificare l‟obbligo di vigilanza in concreto violato dal prof. L.: sulla condotta del personale
paramedico, e di chi in particolare? sulla condotta dei medici del reparto, e di quale medico in particolare?(…)».
50
Di «aggravi degli oneri dimostrativi» parla C.E. PALIERO, La causalità dell‟omissione, cit., p. 843.
17
la pretesa di rigore nell‟accertamento stesso e con l‟accentuare il probabilismo ( 51 ),
quando non, addirittura, con il compiere delle vere e proprie erosioni del paradigma
causale (52).
Il quadro degli orientamenti prasseologici formatisi può essere così tracciato. Si è fatto
registrare un filone giurisprudenziale che ha sostanzialmente finito con l‟eludere ogni
accertamento della causalità omissiva, consentendo che tale elemento rimanesse
fagocitato dall‟accertamento della sussistenza di un obbligo giuridico impeditivo (53).
Ancora, si è diffuso un corposo filone giurisprudenziale – divenuto dominante intorno
agli anni Novanta – che affermava la sufficienza, al fine di ritenere accertato il nesso
causale omissivo, di leggi scientifiche di copertura portatrici di medio-bassi coefficienti
probabilistici (54) oppure che, a prescindere al riferimento al dato numerico, riteneva
sufficienti “serie ed apprezzabili probabilità di successo” dell‟intervento doveroso
51
52
F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Parte generale, Torino, 2011, p. 289.
Cassazione, Sezioni Unite penali, sentenza 30328/2002.
53
Si pensi, a titolo esemplificativo, a Cassazione penale, Sez. IV, 7 novembre 1988: i giudici - dinnanzi
al comportamento di un medico anestesista il quale, venutosi a trovare in difficoltà durante la fase del risveglio postoperatorio di un paziente, aveva omesso di far intervenire altri sanitari – affermano che il medico «qualora ometta tale comportamento, tenendo, invece, condotta inerte ed inadeguata, sicché il paziente venga a morte, di ciò ne risponde sia sotto il profilo della causazione diretta, sia in relazione
all‟inerzia, connotata dal referente normativo ex art. 40 cpv. c.p., essendogli addebitabile la verificazione
di un evento che aveva l‟obbligo di impedire».
Si tratta evidentemente di uno di quei casi in cui la sussistenza di un nesso causale non viene per nulla indagata; essa piuttosto viene desunta, dal solo fatto dell‟esistenza di un obbligo giuridico impeditivo in capo al soggetto omittente.
Al fenomeno dell‟obliterazione di ogni verifica del nesso causale la dottrina si riferisce impiegando varie
terminologie: di “volatilizzazione del nesso” parlano, ad esempio, C.E. PALIERO, La causalità
dell‟omissione, cit., p. 847 e P. VENEZIANI, Il nesso tra omissione ed evento nel settore medico: struttura
sostanziale e accertamento processuale, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, II, Milano, 2006, p.
1983.
Anche le Sezioni Unite della Suprema Corte, nella famosa sentenza Franzese, non hanno mancato di rilevare come effettivamente la giurisprudenza sia spesso vittima della tentazione di obliterare l‟accertamento
del nesso causale omissivo: «Ma la presenza nei reati omissivi impropri, accanto all‟equivalente normativo della causalità, di un ulteriore, forte, nucleo normativo, relativo sia alla posizione di garanzia che
agli specifici doveri di diligenza, la cui inosservanza fonda la colpa dell‟agente, tende ad agevolare una
prevaricazione di questi elementi rispetto all‟ordinaria sequenza che deve muovere dalla spiegazione del
nesso eziologico».
54
Si veda ad esempio Cassazione penale, 12 luglio 1991, in cui si afferma che va ritenuto sussistente il
nesso di causalità tra l‟omissione colposa del medico e la morte del paziente «anche qualora l‟esatta e
tempestiva opera del sanitario avrebbe potuto evitare l‟evento non già con certezza o elevate probabilità,
ma solo con probabilità apprezzabili nella misura del trenta per cento». Vedasi anche Cassazione penale,
7 marzo 1989, secondo cui «quando è in gioco la vita umana, anche limitate probabilità di successo (…)
sono sufficienti a configurare la necessità di operare». Similmente, fra molte, Cassazione 11 novembre
1994.
18
omesso ( 55 ). A tale orientamento si erano contrapposte, proprio agli inizi del nuovo
millennio, delle pronunce che ritenevano che il nesso causale omissivo potesse ritenersi
accertato soltanto laddove si disponesse di una legge scientifica di portata predicativa
prossima al cento per cento, e cioè alla certezza (56).
Dal quadro degli orientamenti giurisprudenziali che sono stati descritti, appare evidente
come il vero problema dell‟accertamento della causalità omissiva fosse non tanto il
metodo di esso, quanto il grado di certezza raggiungibile attraverso esso.
È proprio su tale profilo che sono intervenute, nel 2002, le Sezioni Unite della Suprema
Corte (57), con la celebre sentenza Franzese. I contenuti di questa importante pronuncia
sono talmente noti che non ci si dilungherà su di essi. Ci si limiterà a compiere qualche
rapido cenno, volto a puntualizzare come la Corte abbia sciolto il nodo concettuale
sottoposto al suo vaglio.
Di fronte al dilemma del grado di certezza raggiungibile – di fronte cioè al contrasto tra
chi riteneva sufficienti coefficienti probabilistici medio-bassi e chi li esigeva, invece,
prossimi al cento - la Corte ha adottato una impostazione che per un certo verso
potrebbe essere considerata intermedia: la “quantità di certezza” portata dalla legge
scientifica di tipo statistico non è decisiva; non è dunque necessario che essa sia
prossima al cento né è sufficiente che essa sia medio-bassa: ciò, in quanto in nessuno
dei due casi il giudizio sulla causalità omissiva potrebbe dirsi esaurito ( 58). Il giudizio
55
In dottrina è stato giustamente osservato che, per quelle sentenze che, ai fini della prova del nesso
causale omissivo, ritengono sufficienti anche basse probabilità di successo dell‟intervento doveroso
omesso, «l‟ancoraggio al paradigma nomologico è puramente nominale» (C. PIERGALLINI, La regola
dell‟oltre ogni ragionevole dubbio al banco di prova di un ordinamento di civil law, in Riv. it. dir. proc.
pen., 2007, p. 614): accontentarsi delle basse probabilità, difatti, significa punire qualcuno non per “aver
cagionato l‟evento”, ma per “aver aumentato il rischio” della verificazione di quello.
56
Ci si riferisce in particolare alle pronunce Cassazione penale, Sezione IV, 28 settembre 2000
(Baltrocchi), Cassazione penale, Sezione IV, 29 novembre 2000 (Musto) e Cassazione penale, Sezione IV,
29 novembre 2000 (Di Cintio). Si tratta di sentenze in cui risultano accolte fedelmente, letteralmente, le
tesi di Federico Stella. Vedasi F. CENTONZE, Causalità attiva e causalità omissiva: tre rivoluzionarie
sentenze della giurisprudenza di legittimità, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, p. 277 ss.
57
«(…) il contrasto giurisprudenziale segnalato dalla Sezione remittente verte, a ben vedere, sui criteri di
determinazione e di apprezzamento del valore probabilistico della spiegazione causale, domandandosi,
con particolare riferimento ai delitti omissivi impropri nell‟esercizio dell‟attività medico-churgica, quale
sia il grado di probabilità richiesto quanto all‟efficacia impeditiva e salvifica del comportamento
alternativo, omesso ma supposto come realizzato, rispetto al singolo evento lesivo. Non é messo dunque
in crisi lo statuto condizionalistico e nomologico della causalità, bensì la sua concreta verificabilità
processuale» (Cassazione, Sezioni Unite penali, sentenza 30328/2002).
58
«Non é consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge
statistica la conferma, o meno, dell‟ipotesi accusatoria sull‟esistenza del nesso causale, poiché il giudice
19
sulla sussistenza del nesso causale non può dirsi esaurito in quanto la “quantità di
certezza” portata dalla legge scientifica è soltanto il primo, dei due momenti in cui deve
articolarsi il giudizio (metodo cosiddetto bifasico): per l‟accertamento della causalità
occorre senz‟altro prendere innanzitutto in considerazione la portata predicativa della
legge scientifica, e cioè la cosiddetta probabilità statistica ( 59 ), ma poi è necessario
procedere ad un giudizio di verifica della cosiddetta probabilità logica, la quale è
chiamata a stabilire la «attendibilità dell‟impiego della legge statistica per il singolo
evento» (60). In particolare, la cosiddetta probabilità logica andrebbe affermata a seguito
di una verifica dell‟evidenza disponibile e di tutte le circostanze del caso concreto
nonché a seguito dell‟effettuazione di una operazione di esclusione dell‟interferenza, nel
caso di specie, di decorsi causali alternativi.
L‟obiettivo che il metodo bifasico auspica di raggiungere è quello dell‟«alto grado di
credibilità razionale», e quindi della «certezza processuale».
Si può asserire che - dinnanzi all‟imbarazzo circa il “quantum di probabilità scientifica”
da dover esigere - ciò sulla cui efficacia le Sezioni Unite mostrano di scommettere, sia
proprio quel secondo step, volto a vagliare la pertinenza del coefficiente numerico
rispetto alla singola vicenda processuale.
Il metodo forgiato dalla sapiente pronuncia delle Sezioni Unite è stato cristallizzato
dalla prassi giurisprudenziale successiva, la quale, dal 2002 sino ai giorni nostri, si è
mostrata ossequiosa rispetto al metodo Franzese (61), riproponendo immancabilmente i
deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell‟evidenza
disponibile, così che, all‟esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l‟interferenza di
fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del
medico è stata condizione necessaria dell‟evento lesivo con „alto o elevato grado di credibilità razionale‟
o „probabilità logica» (Cassazione, Sezioni Unite penali, sentenza 30328/2002).
59
La probabilità statistica consisterebbe nella «verifica empirica circa la misura della frequenza relativa
nella successione degli eventi», cioè nella «relazione quantitativa entro generi di eventi ripetibili e
inerente come tale alla struttura interna del rapporto di causalità» (Cassazione, Sezioni Unite penali,
sentenza 30328/2002).
60
«(…) la „probabilità logica‟, seguendo l‟incedere induttivo del ragionamento probatorio per stabilire
il grado di conferma dell‟ipotesi formulata in ordine allo specifico fatto da provare, contiene la verifica
aggiuntiva, sulla base dell‟intera evidenza disponibile, dell‟attendibilità dell‟impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasiva e razionale credibilità dell‟accertamento giudiziale » (Cassazione, Sezioni Unite penali, sentenza 30328/2002).
61
Talora trattasi di un ossequio senz‟altro meramente formale. Vedansi ad esempio Cassazione penale,
Sezione IV, 3 ottobre 2007, n. 36162 e Cassazione penale, Sezione IV, 23 settembre 2009, n. 39959, in cui
la Suprema Corte censura le modalità con cui i giudici di merito – pur dichiarando di attenersi ai principi
20
principi di diritto che “lo riassumono” e dichiarando di attenersi ad essi,
Ci interessa a questo punto riprendere le fila del nostro discorso. Ci eravamo prefissati
di spiegare le ragioni della sopra asserita “debolezza” della causalità omissiva,
illustrando le peculiarità dell‟essenza e dell‟accertamento di essa.
Si tratta ora di domandarsi se la pista concettuale indicata dalle Sezioni Unite, e seguita
– almeno formalmente – dalla prassi giurisprudenziale dell‟ultimo decennio, sia o meno
in grado di colmare quella debolezza o, per lo meno, di attenuare le incertezze degli
interpreti.
Probabilmente a tale quesito va data risposta negativa. Qui di seguito, in sintesi, le
ragioni.
A quasi dieci anni di distanza dalla storica pronuncia delle Sezioni Unite, buona parte
della dottrina ha maturato la convinzione che il metodo ivi proposto sia un metodo
inadatto ed inutilizzabile, proprio con riguardo alla causalità di tipo omissivo (62).
Il metodo Franzese non sarebbe utilizzabile in quanto, ove si verta in ambito di causalità
omissiva, sarebbe impossibile da attuare il secondo step, quello relativo alla probabilità
logica: ciò, in quanto, in particolar modo, sarebbe impossibile effettuare
quell‟operazione – ritenuta peraltro centrale dalle Sezioni Unite – di eliminazione dei
possibili decorsi causali alternativi.
Si tiene a precisare che oggetto delle critiche della dottrina non è la “fruttuosità” del
metodo (63) , bensì propriamente la “praticabilità” di esso.
espressi dalle Sezioni Unite del 2002 – avevano invece affrontato il tema dell‟accertamento della
sussistenza del nesso causale omissivo.
62
Su questo punto si impone una precisazione.
La pronuncia delle Sezioni Unite del 2002 venne occasionata da un caso di responsabilità omissiva: al
dottor Franzese erano state addebitate gravi omissioni, sia di tipo diagnostico che terapeutico.
Tuttavia il metodo forgiato in quell‟occasione dalla Suprema Corte ha assunto una “valenza generale”; nel
senso che esso è stato ritenuto valido tanto per l‟ambito della causalità omissiva quanto per quello della
causalità commissiva (vedasi ad esempio L. MASERA, Il modello causale delle Sezioni Unite e la
causalità omissiva, in Diritto penale e processo, 2006, p. 493): difatti, ciò a cui le Sezioni Unite hanno
puntato, è stato fornire un modello di accertamento causale che suggerisse le corrette condizioni e
modalità di impiego, nel processo penale, delle leggi scientifiche di tipo statistico; e quello del corretto
impiego delle leggi scientifiche è – come è noto – un problema che riguarda il tema della causalità tutta,
sia commissiva che omissiva.
Bene, fermo restando quanto detto sopra, ciò che si vuole a questo punto rilevare è che parte della
dottrina, negli ultimi anni, ha iniziato a nutrire corposi dubbi in ordine alla praticabilità del metodo
Franzese, proprio con riguardo al nesso causale di tipo omissivo.
63
L‟applicazione del metodo risulta non fruttuosa tutte le volte in cui non sia possibile escludere i decorsi
causali alternativi, in quanto gli antecedenti causali di un evento sono (parzialmente) ignoti: «(…)invocare
l‟esclusione di ipotesi causali alternative ha un senso, per poter provare (…) il nesso di causalità, solo se
21
Le ragioni poste a fondamento della asserita non praticabilità del metodo sono
complesse e non possono ivi essere illustrate ( 64 ). Qui ci si limita a rilevare che è
proprio la natura – doppiamente ipotetica – della causalità omissiva a rendere
inutilizzabile l‟operazione di esclusione dei decorsi causali alternativi: il fatto che uno
dei due poli – e cioè l‟azione doverosa omessa –sia del tutto immaginario, rende
inconcepibile poter escludere fattori “alternativi rispetto ad un qualcosa” che non è mai
esistito.
Ora, se le penetranti osservazioni avanzate dalla dottrina colgono nel segno – e se,
dunque, il metodo bifasico elaborato dalle Sezioni Unite è inattuabile in ambito
omissivo - allora ciò implica che dinnanzi agli occhi dell‟interprete, il quale si trovi
chiamato a verificare la sussistenza di un nesso causale di tipo omissivo, si ripropone,
integro nella sua problematicità, proprio quel problema per risolvere il quale le Sezioni
Unite si erano nel 2002 pronunciate: “quanto” deve essere il grado di certezza idoneo a
fondare una condanna?
Integri appaiono dunque, a tutt‟oggi, i problemi di accertamento dell‟impalpabile nesso
causale omissivo (65).
Diventa quanto mai interessante domandarsi se alla fragilità della causalità omissiva
facciano da contrappeso la stabilità e la fermezza del presupposto di quella, e cioè
l‟obbligo giuridico impeditivo.
si è in grado di conoscere, perché epistemologicamente noti, tutti i possibili antecedenti causali di un
evento (…)» (C. PIERGALLINI, La regola dell‟oltre ogni ragionevole dubbio, cit., p. 618).
Ora, l‟ignoranza sugli antecedenti causali può sussistere – come è intuibile – anche ove si verta in ambito
di causalità commissiva. Dunque anche in ambito di causalità commissiva l‟applicazione del metodo
Franzese potrebbe rivelarsi infruttuosa.
Tuttavia – come si è detto nel testo – ciò che la dottrina recente sottolinea è non già la non fruttuosità,
quanto piuttosto, appunto, la totale “non praticabilità” del metodo stesso, ove si verta in ambito di
causalità di tipo omissivo.
64
Per una approfondita ed interessante disamina delle ragioni per le quali il metodo bifasico Franzese è
inutilizzabile nell‟ambito della causalità omissiva, si rinvia L. MASERA, Il modello causale delle Sezioni
Unite e la causalità omissiva, cit., p. 493 ss.. Vedansi altresì F. STELLA, Causalità omissiva, probabilità,
giudizio controfattuali. L‟attività medico chirurgica, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, II, Milano,
2006, p. 1893 ss.; C. PIERGALLINI, La regola dell‟oltre ogni ragionevole dubbio,cit., pp. 619-620; F.
VIGANÒ, Riflessioni sulla cosiddetta “causalità omissiva” in materia di responsabilità medica, in Riv. it.
dir. proc. pen., 2009, p. 1679 ss., R. BLAIOTTA, Il sapere scientifico e l‟inferenza causale, in Cass. pen.,
2010, p. 1265 e ss.
65
La dottrina attuale si interroga difatti sull‟opportunità – per lo meno in determinati settori – del
mantenimento delle tradizionali fattispecie di evento nonché della tradizionale teoria condizionalistica.
Per i riferimenti bibliografici si rimanda alla nota precedente e si segnala, in aggiunta, G. MARINUCCI,
Causalità reale e causalità ipotetica nell‟omissione impropria, in Riv. it, dir. proc. pen., 2009, p. 523 ss.
22
Della verifica del grado di solidità e certezza dell‟elemento dell‟“obbligo giuridico di
impedire l‟evento” ci si occuperà, da qui sino al termine del presente lavoro.
23
SEZIONE III.
OBBLIGO
GIURIDICO
DI
IMPEDIRE
L’EVENTO:
PRIMI
APPROFONDIMENTI.
1.4. Le teorie sulle fonti dell’obbligo impeditivo: la teoria formale (segue)
Nella sezione che precede si è visto in che senso possa dirsi che l‟obbligo
giuridico impeditivo assume, all‟interno della fattispecie omissiva impropria, una
posizione del tutto centrale. Da qui dinnanzi l‟attenzione verrà focalizzata proprio su
tale elemento, al fine di iniziare ad analizzarne fonti, contenuti e contorni.
L‟opera di ricostruzione della figura dell‟obbligo giuridico impeditivo ha impegnato per
decenni – e continua ad impegnare tutt‟oggi – studiosi ed operatori del diritto: data la
“non inequivocità” della formula impiegata dal legislatore – il quale esaurisce le sue
indicazioni parlando, appunto, di un non meglio precisato “obbligo giuridico di
impedire un evento” – è stato al livello interpretativo che si è cercato di tracciare la
fisionomia di questo elemento.
Qui di seguito cercheremo di ripercorrere i principali approdi raggiunti dagli interpreti
in ordine ai seguenti profili: a) la natura dei criteri e delle fonti da cui gli obblighi
giuridici impeditivi possono scaturire; b) i contenuti delle singole fonti da cui gli
obblighi impeditivi promanano; c) i contenuti che possono essere assunti dagli obblighi
impeditivi stessi, distinti in base alle diverse funzioni da essi perseguite.
Cominceremo l‟analisi dal primo dei suddetti profili, il quale occuperà la nostra
attenzione nel presente paragrafo e nel successivo.
In ordine ai criteri di determinazione delle fonti da cui poter trarre gli obblighi rilevanti
ex art. 40 cpv. c.p., le concezioni elaborate dalla dottrina sono riconducibili, come è
noto, a tre principali teorie: la teoria formale, quella sostanziale e quella cosiddetta
mista.
La teoria formale rappresenta la concezione tradizionale sviluppatasi nella dottrina
italiana (66), riecheggiando l‟impostazione dominante nella dottrina d‟oltralpe (67).
66
«Non qualsiasi obbligo di non impedimento equivale, però, a norma dell‟art. 40 capoverso C. Pen., alla produzione dell‟evento: esso deve consistere in un non fare che costituisca violazione ad un obbligo di
attivarsi discendente da una norma giuridica («obbligo giuridico»). Si tratti, poi, di una norma direttamente contenuta in una disposizione di legge (...) oppure in un atto giuridico cui il legislatore ricollega
certi effetti, come un contratto (...) deve sempre trattarsi – in virtù del già richiamato principio di legali-
24
Secondo la teoria formale l‟“obbligo giuridico” rilevante ai sensi dell‟art. 40 cpv. può
essere soltanto quello che sia espressamente previsto da una fonte giuridica formale,
cioè quello che possa essere attinto da una fonte formalmente qualificata. La
elaborazione originaria di tale teoria individuava tre fonti formalmente qualificate
(cosiddetto trifoglio) (68): la legge, il contratto, la precedente azione pericolosa (detta
anche “ingerenza”).
Della legge e del contratto – quali fonti da cui può derivare un obbligo giuridico
impeditivo – si tratterà specificamente nel prosieguo (69).
Sulla precedente azione pericolosa non ci si soffermerà nel presente lavoro; ci si limita
qui ad osservare come essa abbia da sempre rappresentato una fonte controversa,
“avvolta da un alone di ambiguità nello stesso ambiente di origine”(70), come essa sia
stata contestata dalla dottrina più e meno recente (71) e come essa sia, ad ogni modo,
tà, che sarebbe evidentemente violato se l‟obbligo penalmente sanzionato non trovasse la sua fonte in
una «legge» - di atti a cui una norma giuridica riconosce valore di legge (...)», I. CARACCIOLI, voce Omissione (Diritto Penale), cit., p. 897.
Già precedentemente, in simili termini si esprimevano Autori quali l‟Antolisei ed il Grispigni (così N.
PISANI, Controlli sindacali e responsabilità penale nelle società per azioni, Milano, 2003, p. 39, nota 8).
67
Vedasi per tutti A. FEUERBACH, Lehrbuch des gemeinen in Deutschland gültigen peinlichen Rechts,
Giessen, 1826, p. 24 (Il riferimento bibliografico è tratto da N. PISANI, Controlli sindacali e responsabilità
penale nelle società per azioni, Milano, 2003, p. 39, nota 7).
Per un‟accurata analisi dell‟origine del dibattito dottrinale, negli ambienti culturali di lingua tedesca, sulla
responsabilità per omesso impedimento dell‟evento – nonché per un‟attenta disamina dello sviluppo della
formelle Rechtspflichttheorie e della letteratura tedesca in materia – vedasi G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 3-30.
68
Per l‟elaborazione della teoria del cosiddetto trifoglio, vedasi quanto riportato da G. FIANDACA, Il reato
commissivo mediante omissione, cit., p. 23.
Parte della dottrina italiana ha ritenuto di dover ampliare – rispetto all‟originaria concezione del trifoglio
– il novero delle fonti da cui può scaturire un obbligo giuridico impeditivo, inserendovi altresì la
consuetudine e la negotiorum gestio. Ci si riferisce in particolare ad Autori quali il Caraccioli ed il
Pannain (Per i relativi riferimenti bibliografici si fa rinvio a N. PISANI, Controlli sindacali e responsabilità
penale nelle società per azioni, Milano, 2003, p. 39, nota 8).
69
Si veda infra, ultimo paragrafo della presente sezione.
70
G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 205. Come si avrà modo di vedere poco
più avanti, difatti, ciò che, rispetto alla fonte della “precedente azione pericolosa”, sembra difettare, è
proprio una “previsione formale”.
71
Per le critiche elaborate già negli anni Settanta, si veda, tra gli altri, G. FIANDACA, Il reato commissivo
mediante omissione, cit., pp. 207-217, il quale valuta la “incidenza pratica” nonché la “necessità operativa” del criterio dell‟ingerenza, attraverso un‟opera di disamina dei casi venuti al vaglio della giurisprudenza tedesca (più in particolare, dei principali casi affrontati in materia dal regio Tribunale Supremo
prussiano e in seguito dal Reichsgericht).
25
rimasta estranea perfino alla giurisprudenza elaborata nel periodo in cui imperava la
concezione formale stessa (72).
Ciò intorno a cui in questa sede è importante soffermare l‟attenzione è piuttosto la ratio
posta a fondamento della teoria formalistica, nonché i “contorni” ed i limiti della teoria
stessa (73).
La teoria formale è espressione della concezione liberale del diritto penale (74). Ciò, per
le ragioni che seguono. Secondo la concezione liberale ciascun individuo deve poter
esplicare liberamente la propria attività rispettando di norma “il solo obbligo di non
aggredire (...) le altrui posizioni di interesse” (75); rispettando, quindi, di regola, norme
di divieto. La responsabilità di tipo omissivo invece è una responsabilità fondata sulla
violazione di norme di comando. Come si è già avuto modo di osservare (76), i comandi
Per una presa di posizione più recente – sintetica ma efficace – sulla fonte della precedente azione pericolosa, vedasi F. MANTOVANI, L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi, cit., pp. 339-340.
Volendo ivi riproporre alcune delle fondamentali critiche mosse nei confronti dell‟ingerenza, si potrebbe
affermare quanto segue. Gli autori qui sopra citati – così come un po‟ tutti i detrattori della fonte della
precedente azione pericolosa – sostengono che tutte le volte in cui la presenza di un obbligo impeditivo
venga fondata su di una precedente azione pericolosa, ci si stia in realtà confondendo, nel senso che si
tratterebbe, a ben vedere, di casi in cui: a) l‟obbligo impeditivo deriva non dall‟azione pericolosa ormai
conclusa ma piuttosto da una attuale e perdurante posizione di controllo; b) l‟evento lesivo non sarebbe
causato dalla violazione di obblighi di garanzia – asseritamente fondati su di una precedente azione pericolosa – quanto piuttosto da azioni positive inosservanti di regole cautelari (verrebbero cioè confusi obblighi di garanzia con quelli che sono obblighi di diligenza). Ancora, ritenere che dalla propria precedente
azione pericolosa scaturisca un obbligo di impedire l‟evento contrasta con il disposto di cui al comma 3
dell‟art. 56 c.p., da cui si evince chiaramente che, nel nostro ordinamento, l‟impedimento di eventi lesivi
scaturenti da una procedente propria azione costituisce un onere e non un obbligo.
72
A conferma di quanto asserito, si possono riportare le parole di due Autori i quali, tra la fine degli anni
Settanta e gli inizi degli anni Ottanta – con riguardo alla giurisprudenza sino ad allora elaborata – hanno
affermato quanto segue: “né ci risultano, invero, casi venuti al vaglio della nostra giurisprudenza, nei
quali si sia fatto ricorso alla categoria «propria azione precedente pericolosa» come sorgente di obblighi
impeditivi penalmente rilevanti” (così G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 204205); “(...) una recente indagine sul punto ha concluso nel senso dell‟estraneità della posizione di garanzia nascente dal fare pericoloso precedente al sistema italiano (conclusione, questa, che sembra avvalorata anche dall‟analisi della nostra giurisprudenza)” (così G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit.,
p. 222).
73
Ciò torna utile al fine di iniziare ad illustrare quali sono state le istanze che hanno sospinto il percorso
di elaborazione della figura dell‟obbligo giuridico impeditivo. Per l‟analisi di tale percorso, vedi il
presente paragrafo nonché vedi infra, Capitolo II, Sezione I.
74
Per tutti vedasi G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 3. L‟Autore afferma che
l‟assunto – la cui paternità va riconosciuta al grande penalista Anselm Feuerbach – secondo cui la
punibilità dell‟omissione presuppone sempre una fonte formale che stabilisca l‟obbligo, rappresenta “il
risultato di una specificazione (...) dei fondamentali principi ispiratori del liberalismo classico”.
75
G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 4.
76
Si veda supra, Sezione I del presente capitolo.
26
comprimono la libertà dell‟individuo maggiormente di quanto facciano i divieti (77); la
responsabilità omissiva dunque deve, per la concezione liberale del diritto penale,
costituire un‟eccezione ( 78 ). L‟eccezionalità sarebbe salvaguardata, appunto, dalla
richiesta di una stretta formalità della fonte da cui l‟obbligo impeditivo può scaturire.
È stato proprio lo stretto ancoraggio alla fonte formale – ancoraggio il quale, come detto
sopra, testimonia l‟intima istanza posta a base della teoria formalistica – a costituire, per
così dire, la causa delle critiche che, a partire dagli anni Settanta, vennero messe nei
confronti della teoria formale.
In senso critico, si rilevò come la teoria formale presentasse una contraddizione
laddove, da un lato, richiedeva la necessaria sussistenza di una fonte formale, e,
dall‟altro, annoverava tra le fonti (all‟interno del cosiddetto trifoglio) quella del “fare
pericoloso precedente”: la contraddizione consisteva nel fatto che non esiste alcuna
legge che preveda la “condotta pericolosa precedente” come fonte di un obbligo
generale di garanzia (79).
Sempre in senso critico, si osservò come la stretta applicazione del criterio formalistico
– applicazione in forza della quale, appunto, proprio nella formalità dell‟obbligo andava
ravvisato il criterio decisivo ai fini di individuare la sussistenza di un obbligo rilevante
ex 40 cpv. c.p. - conducesse a risultati per così dire “eccessivi”, eccessivi “per difetto” o
“per eccesso”.
Quest‟ultima ipotesi si verificava, ad esempio, laddove, pur esistendo una valida fonte
formale che contemplava un obbligo impeditivo, non vi fosse mai stata la concreta presa
in carico del bene tutelato: ecco, in tale caso l‟applicazione del criterio formalistico
77
«Chi è tenuto a compiere una determinata azione è, infatti, costretto a rinunciare a tutte le altre che,
invece di questa, potrebbe realizzare a proprio piacimento», G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante
omissione, cit., p. 4.
78
«(...) L‟adempimento di doveri a contenuto positivo (cioè di attivarsi) (...) non può che rappresentare
l‟eccezione» (G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 4).
79
Tra le critiche mosse alla teoria formale, questa del “fare pericoloso precedente” fu in realtà senz‟altro
la meno importante e penetrante. Ciò in quanto la fonte del “fare pericoloso precedente”, seppur compresa
all‟interno del cosiddetto trifoglio e seppur tralaticiamente riproposta dalle impostazioni formalistiche,
rimase di fatto estranea al sistema italiano ed alla prassi giurisprudenziale. In tal senso si veda ad esempio
G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 222.
27
avrebbe dovuto condurre ad affermare l‟esistenza dell‟obbligo ex art. 40 cpv. ( 80 ),
aprendo così la via a numerose – ed assai poco convincenti – forme di responsabilità per
omesso impedimento di eventi.
All‟opposto, la teoria formale avrebbe “peccato per difetto” nei casi di invalidità
formale della fonte: l‟evenienza viene a configurarsi specialmente nelle ipotesi in cui la
fonte dell‟obbligo sia costituita da un titolo negoziale, cioè da un contratto: un contratto
contempla un obbligo giuridico impeditivo in capo ad un soggetto, il soggetto assume
l‟incarico ivi stabilito e prende concretamente in carico la situazione (o il bene) oggetto
di tutela; qualora si verifichi un evento che il soggetto era obbligato ad impedire, la
rigida applicazione del criterio formalistico dovrebbe condurre a ritenere che il soggetto
possa - al fine di escludere la sussistenza del proprio dovere impeditivo – invocare la
presenza di un vizio formalistico che affligga il contratto stesso (81).
Al di là del fatto di condurre a risultati “troppo ampi” o “troppo stretti”, ciò che, più in
generale, venne rimproverato alla teoria formalistica, fu il suo astigmatismo: “la teoria
formale dell‟obbligo giuridico di attivarsi (...) non è in grado di offrire alcun elemento
idoneo ad individuare in modo soddisfacente l‟ambito di responsabilità penale
conseguente alla fattispecie di commissione mediante omissione” (82); la teoria formale
faticherebbe, cioè, a mettere a fuoco le reali istanze sottese alla responsabilità per
omissione; faticherebbe a “selezionare, nella grande varietà di obblighi previsti da fonti
formali, quelli realmente “impeditivi”, la cui natura possa legittimare l‟equiparazione
80
L‟esempio di scuola è quello della baby sitter, la quale, in forza di un valido contratto di lavoro – in
tale contratto risiederebbe la fonte formale degli obblighi ex 40 cpv – si impegna a presentarsi in casa di
una coppia di genitori, per badare al loro figlio durante il tempo di assenza di quelli. Se la baby sitter non
si presenta all‟orario stabilito e se il bimbo, ugualmente lasciato solo dai genitori, si fa male, ad essere
chiamata a rispondere per le lesioni dovrebbe essere, secondo l‟impostazione formalistica, la baby sitter:
ciò, in quanto, anche se l‟incarico non è mai stato assunto, esisteva comunque una fonte formale che stabiliva la sussistenza dell‟obbligo di vigilanza. (Si veda, per tutti, G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale, cit., p. 604). È evidente come un tale risultato appaia troppo rigoroso, oltre che stridente col buon senso comune.
81
E così la baby sitter, la quale aveva concretamente assunto l‟incarico di protezione del minore, potrebbe invocare l‟esistenza di un vizio formale del contratto disciplinante il rapporto di lavoro. Ancora, il
compratore potrebbe – per evitare di rispondere penalmente dei danni cagionati dalla cosa pericolosa da
lui acquistata – invocare l‟esistenza di un vizio (ad esempio la mancata determinazione del prezzo) del
contratto di compravendita. (Per tale ultimo esempio vedasi I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p.
38).
82
F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento, cit., pp. 123-127.
28
dell‟omesso impedimento alla causazione attiva dell‟evento” (83).
Ciò che è stato rimproverato all‟impostazione formalistica è stato dunque il fatto che
essa comporta una automatica – e quanto mai indebita – equiparazione degli obblighi
extrapenali di attivarsi (contemplati in ogni dove dell‟ordinamento) agli obblighi di
impedimento rilevanti ex art. 40 c.p., obliterando così il carattere pienamente autonomo
del diritto penale ed, anzi, finendo con il “subordinare la tutela penale per omesso
impedimento dell‟evento alle scelte effettuate da altri rami del diritto” (84) (Gli “altri
rami del diritto” sarebbero quelli all‟interno dei quali risultano contemplati, di volta in
volta, i singoli obblighi di attivarsi).
Ciò che, in definitiva, è stato rimproverato alla teoria formalistica è la incapacità di
quella di cogliere la ratio, tutta penalistica, che si pone a fondamento degli obblighi
impeditivi cui si riferisce l‟art. 40 cpv.
1.5. (Segue) L’approccio contenutistico-funzionale e la nascita della nozione di
“posizione di garanzia”. La teoria eclettica.
A partire dalla metà degli anni Settanta parte della dottrina italiana – anche
subendo l‟influsso di concezioni maturate presso la dottrina d‟Oltralpe ( 85 )– andò
elaborando un approccio nuovo nei riguardi degli obblighi giuridici impeditivi (86): il
83
Così, sinteticamente, I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 37. Più diffusamente G. FIANDACA, Il
reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 79-96.
84
Le parole tra virgolette sono di F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, in Diritto penale e processo, 1999, p. 622. In tal modo l‟Autore riassume efficacemente
concetti espressi, tra gli altri, da F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento,
cit., pp. 118-136, G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 79-96, G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 192-201. Come si avrà modo di vedere più avanti, l‟Autore da ultimo citato ridimensionerà le critiche rivolte ai criteri formalistici, ritenendole superabili nella misura in cui detti
criteri vengano integrati con valutazioni di tipo funzionalistico (G. GRASSO, Il reato omissivo improprio,
cit., p. 222).
85
La concezione sostanzialistico-funzionale dell‟obbligo impeditivo si è sviluppata in Germania, intorno
agli anni „50. Per nutriti riferimenti bibliografici relativi alla dottrina tedesca si rinvia a MANTOVANI,
Diritto penale, Parte generale, Padova, 1988, p. 189, nota 30.
86
Ci si riferisce in particolar modo agli Autori F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento
dell‟evento, cit., specie pp. 118-136, 187-239, 123-127; G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante
omissione, cit., specie pp. 129-170.
29
fulcro dell‟attenzione venne traslato dalla valutazione della base formale dell‟obbligo
giuridico impeditivo alla considerazione della funzione di quello.
Tale nuovo approccio viene indicato con l‟etichetta di “teoria contenutistico-funzionale”
(o teoria sostanziale”), proprio in quanto esso si è proposto, appunto, di cercare di
cogliere, in una dimensione schiettamente penalistica, la funzione della responsabilità
per omesso impedimento dell‟evento e, dunque, il significato dell‟obbligo giuridico
impeditivo ex art. 40 cpv.
Il ragionamento tracciato dai sostenitori dell‟impostazione funzionalistica può essere
descritto nei termini che seguono. Per l‟omesso impedimento di un evento – e, dunque,
per una mancata “attivazione” - l‟ordinamento dovrebbe apprestare una risposta
sanzionatoria penalistica solo in casi peculiari (87): una attivazione è richiesta quando
occorre proteggere beni di particolare valore, beni che non possono essere tutelati
adeguatamente dal titolari di essi, in quanto trattasi di soggetto incapace ( 88); detti beni,
in virtù di un principio solidaristico (89), risultano affidati – anteriormente rispetto al
sorgere della situazione di pericolo che possa minacciarli – ad un soggetto che si trova
in un particolare rapporto, in una particolare “relazione” ( 90 ), col bene stesso; tra il
titolare del bene ed il garante esiste un vero e proprio rapporto di dipendenza; il garante
è dunque chiamato a tutelare quel bene, a “garantirlo”, cioè a garantire l‟incolumità di
quello (91).
87
Si è già detto come la responsabilità omissiva rivesta carattere di eccezionalità. Vedi supra, sezione I
del presente capitolo.
88
L‟incapacità può essere di natura, per così dire, ontologica, strutturale (si pensi al neonato, incapace di
sfamarsi da solo e quindi incapace di tutelare il bene della propria incolumità fisica) oppure può dipendere da alcune circostanze particolari e contingenti (si pensi all‟ignaro passante, il quale si trova in condizione di non poter tutelare la propria incolumità fisica dal rischio del crollo di alcune tegole di un tetto
pericolante, tetto che il proprietario dell‟edificio non si premura di far riparare). (Vedasi ad esempio G.
GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 257).
89
La dottrina concorda nel ritenere che la concezione funzionale abbia condotto ad un “potenziamento
della dimensione solidaristica dell‟intervento penale” (Tra i tanti, vedasi F. GIUNTA, La posizione di
garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, cit., p. 623).
90
Come si avrà modo di vedere nel prosieguo, la “speciale relazione” potrebbe essere dovuta al
particolare rapporto di vicinanza tra il garante ed il bene, oppure essa potrebbe dipendere da un rapporto
di vicinanza – o di vero e proprio controllo – che un garante ha nei confronti di una fonte pericolosa che
potrebbe minacciare determinati beni.
91
«(..) il giudizio di equivalenza tra l‟agire e l‟omettere presuppone che il soggetto obbligato rivesta una
«posizione di garanzia» nei confronti del bene protetto. Ponendo l‟accento sulla posizione di garante in-
30
È dunque dal grembo della concezione funzionalista che ha visto la luce la terminologia
di “posizione di garanzia” (Garantenstellung) ( 92 ), terminologia oggi comunemente
usata (93) per riferirsi all‟obbligo giuridico impeditivo ex art. 40 cpv c.p. (94).
Il celebre caso di scuola impiegato per spiegare il concetto di “posizione di garanzia” è
quello della madre e del suo bambino appena nato: il bambino è incapace di espletare da
sé alcune funzioni vitali fondamentali; la madre è il soggetto che dispone di un potere di
signoria completo sugli accadimenti che possono ledere o porre in pericolo i beni propri
del soggetto più debole (il bambino); ciò spiega come mai la madre che lasci morire di
fame il proprio bambino “possa essere assimilata, dalla stessa coscienza sociale,
all‟«autore» di un reato commissivo mediante azione positiva” (95).
La posizione di garanzia esprimerebbe insomma quella particolare relazione, descritta
nei termini che precedono, tra un garante ed un bene da proteggere; essa consiste
dunque in una situazione di fatto e prescinde dalla necessità di previsioni formalistiche;
sarebbe alla predetta situazione che l‟art. 40 cpv. si riferisce quando incrimina la
mancata attivazione impeditiva.
tendiamo, in realtà, mettere nel dovuto risalto i seguenti punti: A) Il titolare del bene penalmente protetto, e cioè il soggetto «garantito», si trova nell‟incapacità (totale o parziale) di difendersi personalmente
dai pericoli che lo minacciano; B) La salvaguardia del bene in questione viene affidata al «garante» anteriormente all‟insorgere della situazione di pericolo; C) Il «garante», in forza dei presupposti sub A) e
B), signoreggia l‟accadere che sfocia nell‟evento lesivo in modo penalmente equivalente a quello di chi
aggredisce positivamente il bene tutelato» (G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit.,
pp.129-130).
92
A conferma del fatto che la prima formulazione della nozione di Garantenstellung si sia sviluppata
“nella esperienza tedesca nel quadro della concezione funzionale dell‟obbligo di garanzia”, vedi N.
PISANI, Controlli sindacali, cit., p. 40.
93
«La locuzione «obbligo di garanzia» ha ormai quasi del tutto rimpiazzato nel linguaggio dottrinale la
più risalente dizione, utilizzata anche dal codice, di «obbligo giuridico di impedire l‟evento», espressione, quest‟ultima, che appare irrimediabilmente legata alla vecchia concezione meramente formale» (Così
I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 66).
La terminologia “posizione di garanzia”, nata nelle sedi di elaborazione dottrinaria, è penetrata ormai da
decenni anche nel linguaggio dei giudici; di recente essa è stata impiegata anche dal legislatore: ci si
riferisce all‟art. 299 del D.Lgs. 81/2008, dove si parla espressamente di “posizioni di garanzia relative ai
soggetti di cui all‟art. 2 comma 1, lettere b), d) ed e)” (trattasi del datore di lavoro, del dirigente e del
preposto).
94
Si può affermare che la locuzione “posizione di garanzia” indichi un concetto di fatto coincidente
rispetto all‟obbligo giuridico di impedire l‟evento ex art. 40 cpv. Non si ritiene errato affermare che, più
in particolare, la terminologia “posizione di garanzia” esprima, dell‟obbligo giuridico impeditivo, il
profilo per così dire dinamico, funzionale.
95
G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 131.
31
Vari sono stati, specie nella dottrina d‟Oltralpe, i tentativi di ravvisare fondamenti
sostanziali unitari della posizione di garanzia (96). Uno dei maggiori sostenitori, nella
dottrina nostrana, della teoria funzionalista, ha ravvisato tale fondamento contenutisticofunzionale nella “signoria del soggetto su alcune condizioni che concorrono alla
produzione del risultato” (97): la responsabilità per omesso impedimento dell‟evento si
giustifica per il fatto che il soggetto garante ha non soltanto la mera possibilità di
impedire il verificarsi dell‟evento (ché, una tale possibilità, potrebbe essere posseduta
dal titolare di un qualunque obbligo di attivarsi, ad esempio dal “soccorritore
occasionale”) ma altresì il vero e proprio potere, appunto, di signoreggiare determinati
fattori dell‟evento stesso: ciò, in quanto il garante risulta un soggetto titolare del potere
di frustrare la stessa attivazione dei processi che causano l‟evento, trattandosi di
processi inerenti a situazioni di rischio che egli è chiamato a neutralizzare (98).
96
Per una rassegna dei suddetti tentativi si veda N. PISANI, Controlli sindacali, cit., pp. 43-50.
L‟Autore ricorda come parte della dottrina di lingua tedesca (in particolare vengono indicati
Schünemann, Unternehmenskriminalität und Strafrecht, Berlin-Bonn, 1979 e Rudolphi, Die
Gleichstellungsproblematik der unechten Unterlassunsdelikte und der Gedanke der Ingerenz, Göttingen,
1966) ritenga di dover ravvisare il principio fondante la posizione di garanzia, nel cosiddetto “dominio”
(Herrschaftstheorie), in particolare sul “dominio sulla causa del risultato” (Herrschaft über die
Erfolgsursache): soltanto ove l‟omissione esprima una medesima signoria sull‟accadimento espressa
dall‟azione, potrà affermarsi il rapporto di “equivalenza” causale posta a base dell‟imputazione
dell‟evento per omesso impedimento. Altra parte della dottrina tedesca (WELP, Vorangegangenes Tun als
Grundlage einer Handlungsäquivalenz der Unterlassung, Berlin, 1968) sostiene che alla base
dell‟equivalenza causale tra omettere ed agire vi sia il vincolo di affidamento che si instaura tra autore
(omittente) e vittima; tale rapporto di dipendenza sorgerebbe: a) sullo schema dell‟Ingerenz, in virtù del
comportamento antigiuridico dell‟omittente che susciterebbe un‟aspettativa, meritevole di tutela, orientata
all‟impedimento delle conseguenze della condotta illecita precedente, oppure b) dal pre-comportamento
rischioso lecito, in conseguenza del “dovere di sopportazione dei rischi dell‟agire pericoloso”. Ancora, un
altro criterio è quello della cosiddetta posizione sociale del garante (Brammsen, Die
Entstehungsvoraussetzungen der Garantenpflichten, Berlin, 1986): il fondamento della Garantenstellung
andrebbe rinvenuto, appunto, nella posizione sociale del garante a causa della “aspettativa sociale
preconsolidata che discenderebbe dal rivestire il soggetto garante un determinato ruolo sociale, aspettativa
che si concretizza in relazione al soggetto destinatario di tale aspettativa il quale, in ragione della sua
concreta posizione sociale, ha orientato il suo agire in vista dell‟intervento impeditivo del garante,
considerato come fattore determinante del suo comportamento”. Ancora, secondo una recente dottrina il
fondamento della posizione di garanzia andrebbe rinvenuto effettuando una valutazione congiunta di
quelli che sono il fine di tutela e la tipologia di rischio: tale criterio conduce ad elaborare una bipartizione
tra “obblighi fondati sulla competenza istituzionale” e “obblighi fondati sulla competenza organizzativa”
(Quest‟ultima è la posizione di Jakobs, Strafrecht. Allgemeiner Teil, Berlin, 1991).
97
G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 162-163. L‟Autore, dopo aver ricordato
che una posizione di garanzia “comporta sempre un potere di signoria su alcune condizioni essenziali del
verificarsi dell‟evento tipico”, afferma che è proprio tale elemento – e cioè la signoria del soggetto sul
fatto – che fonda l‟imputazione obiettiva dell‟evento.
98
«Ma si badi: allorché si afferma che il garante è in grado di governare certi fattori produttivi
dell‟evento, si allude, in effetti, ad un potere di signoria che va al di là della mera possibilità di impedire
il verificarsi dell‟evento: d‟un tale potere di impedimento, infatti, non è privo il soggetto che sia titolare
32
Alla teoria funzionalista va senz‟altro riconosciuto il merito di aver indagato, muovendo
da una prospettiva squisitamente penalistica, il fondamento della responsabilità per
omesso impedimento. Tuttavia gli approdi raggiunti – e cioè la figura della “posizione
di garanzia”, il concetto di “signoria dell‟uomo su alcune condizioni essenziali del
verificarsi dell‟evento tipico” - presentano degli innegabili margini di indeterminatezza
e genericità; si intuisce dunque come detta teoria presenti seri punti di attrito col
principio di legalità (99).
È andata dunque diffondendosi in dottrina la percezione che la “vecchia”
concezione formale dell‟obbligo di impedire l‟evento, “pur con i suoi riconosciuti limiti
(...) e la necessità di integrazioni”, non potesse essere del tutto abbandonata ( 100). Da
tale percezione hanno preso le mosse quei “tentativi, nella dottrina interna, di integrare
il criterio funzionale con i tradizionali criteri giuridico-formali, attraverso
l‟inserimento della Garantenstellung (...) nel quadro di un più solido aggancio
dell‟obbligo impeditivo ad una fonte giuridica formale” (101).
Viene ricordata con il nome di teoria mista (o teoria eclettica) quella concezione la
quale, appunto, sostiene la necessità dell‟integrazione tra la concezione giuridicoformale dell‟obbligo di garanzia e le concezioni sostanziali: l‟esistenza di una fonte
di un semplice obbligo di attivarsi (...) Il soccorritore occasionale può soltanto evitare che una situazione
di pericolo, già manifestatasi, evolva in un evento lesivo (..) il soggetto garante ha il potere di frustrare la
stessa attivazione dei processi causali dipendenti dalle specifiche situazioni di rischio che egli è chiamato
a neutralizzare” (G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 167-168).
L‟Autore ritiene che il concetto di “potere di signoria del soggetto sul fatto” fondi l‟imputazione obiettiva
dell‟evento tanto nei casi di causalità attiva che nei casi di causalità omissiva: «Tanto nel caso dell‟agire
che in quello dell‟omettere, il fondamento dell‟imputazione obiettiva dell‟evento consiste, a ben vedere,
nella signoria del soggetto su alcune condizioni che concorrono alla produzione del risultato». Difatti
«mentre l‟agente normalmente utilizza l‟energia causale del proprio corpo, il garante che omette di
attivarsi strumentalizza, invece, una forza causale esterna; e tale forma di strumentalizzazione è resa
possibile proprio dal fatto che il possesso di una Garantenstellung permette di dominare alcuni fattori
produttivi del risultato lesivo”. Dunque “ciò che nei due casi muta non è la signoria dell‟uomo sul
decorso causale. Divergono soltanto le tecniche attraverso le quali l‟agente e l‟omittente (garante)
realizzano il dominio sull‟accadere: come già detto, il primo padroneggia la catena causale che si
sprigiona dal movimento del proprio corpo; il secondo influenza processi causali che traggono origine
da forze esterne, naturali o eventualmente facenti capo ad un diverso soggetto».
99
Per una denuncia della svalutazione, da parte della teoria sostanziale, del principio di legalità, vedansi,
fra molti, G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 240, F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel
contesto della fattispecie omissiva impropria, cit., p. 623, F. MANTOVANI, L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi, cit., p. 339, N. PISANI, Controlli sindacali, cit., p. 50.
100
101
I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 51.
Così N. PISANI, Controlli sindacali, cit., p. 41, laddove ripercorre l‟evoluzione delle varie concezioni
sull‟obbligo impeditivo ex 40 cpv. c.p..
33
giuridico-formale sarebbe necessaria ma non sufficiente; per ritenere sussistente un
obbligo giuridico impeditivo ex art. 40 cpv. c.p. occorrerebbero sia la presenza di una
fonte formale che contempli quell‟obbligo, sia la sussistenza di uno specifico e concreto
rapporto di garanzia tra il soggetto gravato dall‟obbligo ed il bene da proteggere;
l‟esistenza di tale rapporto di garanzia andrebbe valutata tenendo conto della funzione
della responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento, e cioè quella di munire
di una tutela rafforzata alcuni beni che ne risultino bisognosi.
La concezione suggerita dalla teoria mista è dunque “una costruzione che – senza
rinunciare al dato formale della giuridicità della fonte delle diverse situazioni tipiche di
obbligo – utilizza dei criteri funzionali per selezionare, tra tali diverse situazioni, quelle
che hanno una rilevanza penale (ai fini della costruzione della fattispecie omissiva
impropria), così da poter essere considerate delle posizioni di garanzia” (102).
La teoria eclettica ha presto raccolto un ampio consenso presso la dottrina ( 103) e la
giurisprudenza italiane, al punto da essere stata di recente definita “l‟indirizzo
prevalente nel pensiero giuridico italiano” (104).
Si avrà tuttavia modo di vedere, nella prima sezione del prossimo capitolo, come –
proprio prendendo le mosse dalle acquisizioni raggiunte dalla teoria mista – la dottrina
più recente abbia ulteriormente approfondito e sospinto innanzi le riflessioni
sull‟obbligo giuridico impeditivo.
1.6. Obblighi giuridici di impedire l’evento: singole fonti (segue)
Dopo aver dato conto dei principali criteri elaborati al fine di individuare le fonti da cui
possono essere tratti gli obblighi giuridici impeditivi di cui all‟art. 40 cpv. c.p., lo
sguardo verrà ora soffermato in un primo momento su specifiche, singole tipologie di
fonti ed in un secondo momento su specifiche tipologie – contraddistinte in base al loro
102
Nei suddetti termini si esprime G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 221-222, uno dei
primi nonché dei più importanti sostenitori, nella dottrina italiana, della necessità che “all‟indagine di tipo
formale” faccia seguito “un‟indagine di tipo funzionale, per valutare se l‟obbligo de quo (...) assuma la
«consistenza» di un obbligo di garanzia”.
103
Tra i tanti vedansi ad esempio, oltre al Grasso, M. ROMANO, Commentario sistematico del codice
penale, cit., pp. 391-392.
104
34
In tali termini si è di recente espressa la Suprema Corte, Sezione VI penale, con sentenza 25527/2007.
contenuto – di obblighi.
Per ciò che concerne le singole fonti, l‟analisi verrà circoscritta a due sole di esse: la
legge ed il contratto. Ciò implica che non ci si occuperà della precedente azione
pericolosa – fonte della cui ambiguità si è peraltro già dato conto in precedenza - né
della consuetudine, né della assunzione unilaterale (negotiorum gestio), quali possibili
fonti degli obblighi impeditivi.
Le ragioni per cui l‟attenzione verrà concentrata sulle sole fonti della legge e del
contratto sono le seguenti: innanzitutto perché legge e contratto rappresentano le fonti
più incontroverse – o, meglio, le meno controverse – degli obblighi giuridici impeditivi
(105); in secondo luogo, in quanto sarà proprio con obblighi scaturenti dalla predette
fonti che ci si confronterà, nel corso del presente lavoro (106).
Non vi è dubbio sul fatto che la legge si presti a fungere da sorgente – giuridica,
appunto – privilegiata degli obblighi impeditivi.
La oscillazione si fanno registrare, piuttosto, in ordine alla portata da attribuire al
termine “legge”: se per “legge” vada intesa soltanto quella formale dello stato, oppure
se possano essere accettate anche norme di rango sublegislativo; ancora, se la “legge”
da cui possano scaturire obblighi impeditivi debba essere una legge penale o
extrapenale.
Con riguardo al primo profilo, si può asserire che la dottrina oggi dominante ritenga che
fonte dell‟obbligo impeditivo possano soltanto essere la legge, intesa come legge
formale, o gli atti ad essa equiparati: è l‟esigenza di legalità, sono i «motivati scrupoli
politico-garantistici» (107), che debbono condurre ad esigere un monopolio legislativo
105
In realtà – come si avrà modo di constatare nel prosieguo – anche in relazione alla legge e al contratto
si fanno registrare, presso gli interpreti, posizioni variegate e sfaccettate (soprattutto con riguardo
all‟esatta portata da attribuire a tali fonti, nonché con riguardo ai requisiti da pretendere da ciascuna di
esse).
E purtuttavia si può asserire che si tratta di fonti “non controverse”, nella misura in cui nessuno dubita che
da esse possano scaturire obblighi impeditivi rilevanti ex art. 40 c.p.: si ritiene, difatti, che le leggi ed i
contratti integrino quel requisito di “giuridicità” richiesto dal capoverso della suddetta norma. (Vedasi ad
esempio in tal senso I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit.,
p. 224).
106
Ci si riferisce, in particolar modo, agli obblighi ricostruiti in termini di “obblighi di garanzia”, di cui si
parlerà infra, nel capitolo II; ancora, ci si riferisce agli obblighi impeditivi agli obblighi di cui si tratterà
nel capitolo III, durante l‟analisi della casistica giurisprudenziale; ci si riferisce, da ultimo, alle
considerazioni che considerazioni che verranno svolte nel corso del capitolo IV, incentrate anch‟esse, per
la maggior parte, su obblighi impeditivi di fonte legale.
107
35
F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento, cit., p. 202.
nella configurazione degli obblighi impeditivi rilevanti ex art. 40 cpv., cioè delle
posizioni di garanzia. Ciò non significa che alle fonti subordinate alla legge – e cioè ad
esempio regolamenti, ordinanze, circolari – sia precluso ogni ruolo in ordine alla
configurazione delle posizioni di garanzia: le fonti subordinate alla legge possono
senz‟altro contribuire alla determinazione della posizione di garanzia, ma soltanto con
funzione di specificazione ed attuazione rispetto alla fonte ordinaria (108).
Decisamente più articolata si presenta la seconda delle sopra prospettate questioni:
quella cioè relativa alla natura, penale o extrapenale, della legge dalla quale possano
scaturire obblighi giuridici impeditivi. Si tratta di una tematica la quale ha peraltro
subito, nel corso del tempo, alterni destini (109); qui di seguito ci si limiterà a qualche
cenno essenziale.
Si può affermare che la concezione tradizionale (110) e a tutt‟oggi dominante ritenga che
la fonte legale dell‟obbligo impeditivo vada intesa come “legge extrapenale”, cioè come
legge esterna alla fattispecie incriminatrice: a titolo di esempio, nella fonte legale
civilistica di cui all‟art. 147 c.c., viene ravvisata la base normativa per trarre l‟esistenza
di obblighi giuridici impeditivi, rilevanti ex art. 40 cpv., gravanti in capo ai genitori. La
fonte legale extrapenale è stata - e rimane tuttora - la fonte senz‟altro privilegiata delle
posizioni di garanzia. Ciò, nonostante la dottrina abbia nel corso del tempo evidenziato,
108
Come già detto sopra, ad escludere le fonti sub legislative dal novero delle fonti abilitate a fondare
posizioni di garanzia è la dottrina del tutto maggioritaria.
Qui si segnala la posizione di un Autore, il quale – occupandosi del tema dei rapporti tra fonte legale e
fonti subordinate - elaborò una efficace distinzione: quella tra la cosiddetta «fenomenologia della
creazione in astratto di una posizione di garanzia» e la «fenomenologia della disciplina in concreto
dell‟operatività della posizione stessa» (Vedasi F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso
impedimento dell‟evento, cit., p. 190 e ss.). Per la fase della creazione in astratto della posizione di
garanzia, sarebbe necessariamente alla legge - intesa come legge formale - che bisogna rifarsi; ciò, in
quanto solo la legge formale può stabilire (facendosi peraltro portavoce delle indicazioni costituzionali)
un vincolo di tutela tra i due poli della relazione di garanzia (e cioè soggetto garante e bene protetto). Per
quanto riguarda la regolamentazione in concreto della posizione di garanzia, invece, sarebbe sufficiente
qualsiasi norma «avente un minimo di riconoscibilità (..) di seguito pratico nei destinatari, (…) di
struttura regolamentare».
109
Per una analisi dell‟evoluzione del pensiero giuridico in materia di fonti legali penali ed extrapenali,
vedansi I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 197 e ss.
e F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., p. 999.
110
La legge extrapenale era proprio quella cui guardava essenzialmente l‟originaria formelle
Rechtspflichttheorie, nel ricercare il fondamento giuridico formale dell‟obbligo di impedire l‟evento (In
tale senso vedasi I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p.
197).
36
in modo sempre più marcato ed incalzante, delle profonde diffidenze nei confronti delle
fonti extrapenali; diffidenze dovute ai timori di gravi vulnera arrecati ai principi
costituzionali di legalità, precisione e tassatività, che dovrebbero imperare in ambito
penalistico (111).
Ci si deve a questo punto domandare se obblighi giuridici impeditivi possano scaturire
da una fonte legale di tipo penale. La questione è a tutt‟oggi controversa 112. L‟originaria
concezione formale (formelle Rechtspflichettheorie) escludeva la legge penale dal
novero delle fonti prese in considerazione (113). La dottrina nostrana si è mostrata per lo
più incline a ritenere che obblighi giuridici impeditivi potessero derivare altresì da
norme penali (114), ritenute peraltro rispettose – in virtù della loro natura – dell‟esigenza
di ricostruire la posizione di garanzia in termini penalistici, appunto. La dottrina che più
di recente si è occupata approfonditamente del tema ha invece negato, con assoluta
decisione, che le norme penali incriminatrici possano fungere, autonomamente
considerate, da fonti degli obblighi impeditivi ex art. 40 cpv. Più in particolare, è stato
rilevato – in termini che a noi appaiono convincenti – come quelle norme incriminatrici
che vengono indicate dalla dottrina quali possibili fonti degli obblighi giuridici
impeditivi, dimostrerebbero proprio la tesi contraria; e cioè dimostrerebbero che, in
realtà, un obbligo che possa dirsi impeditivo, ai sensi dell‟art 40 cpv, in genere non può
se non trovare la sua fonte e “disciplina” in una norma esterna a quella incriminatrice e
che la norma penale non fa altro se non sanzionare la violazione dell‟obbligo impeditivo
111
Le diffidenze di cui si è detto nel testo vengono qui riassunte nell‟interrogativo seguente: «Perché mai
(…) da un obbligo appartenente ad un settore di disciplina diverso, per oggetto e tipo di tutela, dovrebbe
derivare una responsabilità penale?» (I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di
sorveglianza, cit., p. 217).
Della questione ci si tornerà ad occupare nel Capitolo IV del presente lavoro.
112
Di ciò ha chiara contezza anche la recente giurisprudenza: «è dubbio se la fonte dell‟obbligo di
garanzia possa essere la norma incriminatrice penale» Cassazione penale, Sezione IV, 12 marzo 2010 n.
16761.
113
114
In tal senso F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., p. 999.
Ci si riferiva, in particolare, a quelle norme incriminatrici che sanzionano delle mancate attivazioni
(cioè delle omissioni proprie), quali gli ad esempio gli articoli 673, 677, 679 c.p.. Che nella nostra
dottrina di fosse diffusa la tendenza a riconoscere anche le norme incriminatrici quali possibili fonti degli
obblighi giuridici impeditivi, lo si può evincere ad esempio da F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte
generale, Padova, 1988, p. 191, M. ROMANO, Commentario sistematico, cit., p. 387, G. FIANDACA - E.
MUSCO, Diritto penale, cit., p. 597.
37
altrove “creato” ( 115 ). L‟esclusione delle norme penali dal novero delle fonti degli
obblighi giuridici impeditivi trova, peraltro, buona parte delle sue ragioni nella
ricostruzione degli obblighi impeditivi stessi in termini di obblighi di garanzia; ma di
ciò si tratterà nel prosieguo (116).
Per quanto riguarda il contratto, anch‟esso, come la legge, è stato
tradizionalmente considerato idoneo a fungere da fonte degli obblighi giuridici
impeditivi; ciò, in virtù principalmente del fatto che la forza vincolante del contratto si
fonda pur sempre proprio nella legge (articolo 1372 c.c.) e in virtù del fatto che la legge
stessa riconosce alle parti una libertà nella determinazione del contenuto contrattuale,
con il solo limite del rispetto della legge e della meritevolezza degli interessi perseguiti
(art. 1322 c.c.).
La dottrina recente ha precisato come – per riferirsi alle fonti delle posizioni di garanzia
- sia preferibile parlare, in termini più ampi e generali, di negozio giuridico,anziché di
contratto (117).
Sussiste oggi una relativa convergenza circa i requisiti ed i presupposti necessari ai fini
della assunzione di un obbligo giuridico impeditivo per mezzo di una fonte contrattuale:
ci si riferisce, in particolar modo, alla necessaria partecipazione alla convenzione
115
I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 200, la quale
afferma che «gli esempi comunemente portati a sostegno dell‟opinione avversata (…) .anziché suffragarla, la smentiscono, in quanto nessuna delle fattispecie incriminatrici indicate dalla dottrina appare davvero la fonte originaria di un obbligo di garanzia. Più precisamente, tali fattispecie contengono, alternativamente: a) o la previsione di un mero obbligo di attivarsi, autonomamente creato dalla norma incriminatrice, ma, come tale, irrilevante ai sensi dell‟art. 40/2; b) oppure la incriminazione dell‟inosservanza
di un vero e proprio obbligo di garanzia, creato, però, da altra fonte extrapenale, e del quale la norma
incriminatrice si limita a sanzionare tale violazione di per sé, prima e a prescindere dal verificarsi di eventi dannosi, talaltra l‟omesso impedimento di eventi in applicazione espressa dell‟art. 40/2. E‟ infatti
agevole osservare che in tali fattispecie si ha sempre un rinvio, esplicito o implicito, ad altra fonte extrapenale». L‟Autrice si spende poi in una diffusa analisi delle varie tipologie di norme penali considerate
tra quelle capaci di fondare delle posizioni di garanzia, analisi al termine della quale conclude che «qualsiasi norma incriminatrice è, per sua stessa natura, incompatibile con il ruolo di fonte originaria ed autonoma di obblighi rilevanti ai sensi dell‟art. 40/2» (I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 215).
116
117
Si veda infra, capitolo II sezione I.
I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 223. Tale
precisazione terminologia risulta estremamente utile per poter ricondurre all‟alveo della fonte negoziale,
appunto, una serie di ipotesi che vengono invece spesso incluse dalla dottrina nella figura – assai
discutibile – della cosiddetta assunzione volontaria della posizione di garanzia.
Sul fatto che a poter fungere da fonte degli obblighi di garanzia possano essere tanto i contratti tipici che
gli atti negoziali atipici, vedasi, nella giurisprudenza recente, Cassazione penale 25527/2007.
38
negoziale del titolare del bene protetto oppure del garante a titolo originario (118); ci si
riferisce, altresì, alla necessità che alla stipulazione contrattuale faccia seguito una
concreta presa in carico del bene protetto (e, più in generale, una concreta presa di
possesso del ruolo di cui si è stati investiti), esigenza, quest‟ultima avvertita già dai
sostenitori dell‟impostazione sostanzialistica (119).
Delle divergenze di opinioni si fanno invece registrare in ordine alle conseguenze che
l‟invalidità della fonte contrattuale può produrre in termini di sussistenza, o meno, della
posizione di garanzia: è intuibile come le posizioni sul punto varino a seconda
dell‟impostazione concettuale – formalistica, sostanzialistica o mista – adottata. Del
tema ci si occuperà nel prosieguo, laddove ci si soffermerà ad analizzare l‟impatto che
su di esso produce la ricostruzione degli obblighi impeditivi in termini di “obblighi di
garanzia” (120).
La questione più spinosa che riguarda la fonte contrattuale è probabilmente la seguente:
se il contratto possa avere una efficacia tanto traslativa quanto costitutiva della
posizione di garanzia. Ci si occuperà prima dell‟uno e poi dell‟altro profilo.
Con riguardo all‟efficacia traslativa, si può affermare che vi è concordia nel ritenere
che il contratto possa – seppur con alcune doverose precisazioni e limitazioni (121) –
trasferire posizioni di garanzia: il contratto cioè determina uno spostamento della
titolarità dell‟obbligo impeditivo - con conseguente passaggio della responsabilità
penale – dal garante originario ad un garante nuovo, cosiddetto a titolo derivato.
Nell‟ambito delle strutture complesse ed in particolar modo dell‟attività d‟impresa, il
fenomeno del trasferimento mediante contratto delle posizioni di garanzia va a
118
Vedasi in tal senso, per tutti, G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 186 e ss.
119
Si veda retro, nella sezione I del presente capitolo, il paragrafo in cui sono state descritte le critiche
mosse alla teoria formale.
120
121
Si veda infra, Capitolo II Sezione I, ultimo paragrafo.
Ci si riferisce, in particolar modo, alle limitazioni connesse alla natura delle funzioni di garanzia
trasferite: se ad esempio non vi è dubbio che mediante contratto possano essere trasferiti obblighi nascenti
dal diritto privato, altrettanto non può dirsi laddove le funzioni espletate siano di tipo pubblicistico; in tale
ultimo caso il “trasferimento” – se consentito – potrà avvenire soltanto con le modalità prescritte dalla
normativa pubblicistica stessa.
Ancora, ulteriori precisazioni in ordine all‟impiego del contratto come strumento di trasferimento della
posizione di garanzia, andrebbero compiute distinguendo a seconda che si tratti di trasferimenti totali o
parziali (vedansi ad esempio, sul punto, I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 43 e A. GARGANI, La
congenita indeterminatezza degli obblighi di protezione: due casi “esemplari” di responsabilità ex art.
40 comma 2 c.p., in Dir. Pen. Proc., 2004, p. 1391.
39
coincidere con quello della cosiddetta delega di funzioni. Sul fenomeno della delega di
funzioni si avrà occasione di posare lo sguardo nel corso del capitolo III ( 122). In questa
sede ci si limita soltanto ad anticipare che il problema più delicato relativo alla delega di
funzioni – relativo dunque, più in generale, all‟impiego del contratto quale strumento di
trasferimento della posizione di garanzia – è quello che riguarda le conseguenze che la
delega stessa produce in capo al soggetto delegante: il problema è cioè quello di
stabilire se un contratto valido, oltre a far sorgere una nuova posizione di garanzia in
capo al destinatario del trasferimento, sia altresì idoneo ad escludere qualunque obbligo
impeditivo in capo al soggetto trasferente. Come detto sopra, su tali questioni si tornerà
approfonditamente nel corso del capitolo III, laddove si andrà ad analizzare della
casistica giurisprudenziale afferente a settori – quali quello della sicurezza sui luoghi di
lavoro nonché quello degli organi amministrativi delle società di capitali – in cui
l‟istituto della delega di funzioni ha ricevuto delle esplicite codificazioni normative.
Se l‟efficacia traslativa di un contratto – seppur con tutte le problematiche cui essa può
dar luogo e a cui si è fatto sopra cenno - non è da alcuno posta in dubbio, altrettanto
non può dirsi per l‟efficacia costitutiva del contratto stesso. Per “efficacia costitutiva”
del contratto si vuole intendere la capacità del contratto non già di trasferire, bensì di
creare nuove posizioni di garanzia, cioè di creare obblighi impeditivi ulteriori e diversi
rispetto a quelli stabiliti ex lege in capo a determinati garanti. Sul punto la dottrina
appare davvero spaccata al suo interno: vi è chi ridimensiona la stessa ragion d‟essere
del problema (123) e riconosce al contratto, senza limiti, efficacia tanto traslativa che
costitutiva ( 124 ); vi è chi afferma che il contratto possa soltanto trasferire, non già
costituire posizioni di garanzia ( 125 ); vi è chi assume una posizione per così dire
intermedia riconoscendo la funzione altresì costitutiva del contratto, ma apponendo ad
essa delle limitazioni (126).
122
Si vedano infra, Capitolo III, i paragrafi dedicati alla delega di funzioni in materia di sicurezza sul
lavoro e nell‟ambito dei consigli di amministrazione delle società di capitali.
123
G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 188-189.
124
Ad esempio F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., pp. 10001001.
125
Vedasi ad esempio F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva
impropria, cit., p. 626.
126
Ci si riferisce ad esempio alla Leoncini, la quale, dopo una approfondita disamina sul punto, ritiene di
dover concludere che il contratto, come fonte costitutiva, è ammissibile soltanto rispetto ai beni personali:
40
Non approfondiremo oltre la sopra segnalata tematica dell‟efficacia costitutiva del
contratto. Ciò, in quanto gli obblighi impeditivi di fonte contrattuale con i quali ci
troveremo a misurarci nel prosieguo della nostra trattazione saranno, come si avrà modo
di constatare, obblighi rispetto ai quali il contratto opera sempre in termini di strumento
di mero trasferimento della posizione di garanzia (127).
1.7. (segue) e singole tipologie.
Non si può qui fare a meno di fornire qualche indicazione in merito a come gli
obblighi giuridici di impedire l‟evento (alias posizioni di garanzia) vengano distinti fra
loro, sulla base del loro contenuto e della funzione da essi svolta.
Fermo restando che alla base di ogni posizione di garanzia deve sussistere una funzione
di protezione ( 128 ), tale funzione può atteggiarsi, per così dire, in un duplice modo:
«essa può essere svolta, in concreto, o mediante l‟affidamento diretto del bene tutelando
al garante (…) ovvero mediante l‟imposizione a questo di un dovere di controllo su una
determinata fonte di pericolo, cui consegue (…) l‟affidamento a titolo di garanzia di
tutti i beni che vengano in contatto con la sfera di potenziale lesività della stessa fonte»
(129).
È proprio attraverso questo duplice, possibile declinarsi della funzione di protezione che
viene delineata quella fondamentale bipartizione in cui vengono distinte le posizioni di
garanzia (130): posizioni di protezione e posizioni di controllo (131).
«trova giustificazione...la nota opinione che vorrebbe limitare la rilevanza degli obblighi di garanzia a
quelli destinati alla salvaguardia dei soli beni personali della vita e dell‟incolumità, con esclusione di
quelli personali (…) Inaccoglibile anche de iure condendo appare invece il suggerimento della medesima
dottrina di limitare la tutela rafforzata dell‟art. 40, in ragione del bene tutelato, anche agli obblighi ex
lege» (I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 237).
127
Più in particolare, ci si riferisce al fatto che gli obblighi giuridici impeditivi di fonte contrattuale di cui
si parlerà nel capitolo III, nel corso dell‟analisi della casistica giurisprudenziale, risulteranno essere,
appunto, tutti obblighi rispetto ai quali il contratto ha agito come strumento traslativo.
128
Si veda retro, nella presente sezione, il paragrafo dedicato alla illustrazione dell‟approccio cosiddetto
sostanzialistico, il quale, appunto, evidenziava la necessità che tra garante e bene tutelando sussista un
rapporto di dipendenza, rapporto dal quale sorge l‟obbligo del garante di attivarsi per proteggere il bene
considerato “debole”.
129
130
41
L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui, cit., p. 1364.
La paternità della distinzione tra posizioni di protezione e posizioni di controllo va senz‟altro attribuita
Le posizioni di protezione vengono definite come quelle che hanno ad oggetto specifico
la protezione di un determinato bene giuridico da tutti i pericoli che lo minacciano,
quale che sia la fonte da cui provengono. Le posizioni di controllo vengono definite
come quelle volte a neutralizzare una determinata fonte di pericolo – fonte sulla quale si
esercita, appunto, un controllo – in modo da proteggere l‟integrità di tutti i beni che
possano da quella risultare minacciati (132).
Alle posizioni di protezione vengono tradizionalmente ricondotti gli obblighi dei
genitori di proteggere i beni della vita e della incolumità personale dei figli minori (133),
gli obblighi del personale sanitario, medico e paramedico, di proteggere i beni della vita
e della salute dei pazienti ( 134 ), gli obblighi dei dipendenti dell‟amministrazione
carceraria, tenuti a proteggere la vita e l‟incolumità dei detenuti (135).
Alle posizioni di controllo vengono pacificamente ricondotti quegli obblighi gravanti su
soggetti che hanno relazioni di proprietà, di detenzione – di controllo, appunto – su
cose, mobili o immobili, o anche su animali, che possono costituire fonte di pericolo (ci
si riferisce ad esempio agli obblighi che derivano dagli articoli 2051, 2052 e 2053 del
codice civile). Si pensi, ancora, agli obblighi gravanti sui soggetti appartenenti a
determinate amministrazioni pubbliche (sindaci, prefetti etc.), chiamati a governare
fonti di pericolo costituite da eventi naturali calamitosi.
alla impostazione cosiddetta sostanziale: è stata proprio tale teoria, difatti, ad approfondire per prima i
contenutistici e funzionali degli obblighi impeditivi dell‟evento. (Vedansi ad esempio, di recente N.
PISANI, Controlli sindacali, cit., p. 40 e A. NISCO, Compliance e posizioni di garanzia: prime indicazioni
dalla giurisprudenza tedesca, in Cassazione penale, 2010, p. 2438).
131
Come si avrà modo di vedere più avanti, alle categorie degli obblighi di protezione e degli obblighi di
controllo parte della dottrina aggiunge una terza categoria, quella degli obblighi di impedire i reati
commessi da terzi.
132
Per tutti, G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., rispettivamente a p. 172 e 189.
133
Contrasti sussistono invece in ordine alla tutelabilità, da parte degli stessi, dei beni patrimoniali dei
figli: la questione attiene, più in generale, alla determinazione dell‟ambito applicativo delle fattispecie
omissive impropri (Sul punto si rimanda retro, sezione I del presente capitolo).
Oscillazioni sussistono altresì in ordine all‟atteggiarsi dell‟obbligo impeditivo dei genitori quando si tratta
di proteggere il bene dell‟intangibilità sessuale dei figli minori. Questa tematica si interseca con quella
della difficile determinazione dei contorni degli obblighi di impedire reati altrui, per cui si rinvia infra,
sezione II del capitolo II.
134
La principale fonte formale di tale posizione di garanzia viene ravvisata nella legge istitutiva del
servizio sanitario nazionale, la 833/1978.
135
Tra le principali fonti di tale posizione di garanzia va segnalata la L. 354/1975, contenente norme
sull‟ordinamento penitenziario e sull‟esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.
42
Alla categoria degli obblighi di controllo vengono altresì ricondotte le posizioni di quei
soggetti che esercitano una signoria – non già su una cosa pericolosa, ma - su una vera e
propria attività pericolosa: si pensi agli obblighi gravanti sugli imprenditori, sui datori di
lavoro (136), i quali, in virtù dei loro poteri organizzativi e dispositivi, signoreggiano
fonti di pericolo costituite dai singoli processi di lavorazione o di produzione.
Più in particolare, proprio con riguardo ai casi di esercizio di attività pericolose, si deve
rilevare come la giurisprudenza, senza troppe esitazioni, tragga da essi la sussistenza di
obblighi impeditivi, rilevanti ex art. 40 cpv., da ricondurre alla categoria delle posizioni
di controllo ( 137 ); parte della dottrina invece esorta ad una maggiore prudenza,
sottolineando come proprio la categoria degli obblighi di sicurezza connessi
all‟esercizio di attività pericolose presti il fianco al rischio di indebite sovrapposizioni
tra una causalità omissiva e causalità attiva ( 138 ): ciò, nel senso che la categoria
dall‟obbligo impeditivo di controllo – il quale dovrebbe consistere nell‟obbligo di
neutralizzare una fonte di pericolo già esistente per il bene tutelato – rischia di essere
scomodata laddove, invece, si dovrebbe più propriamente scorgere un vero e proprio
comportamento commissivo da parte di un soggetto, il quale, più che non aver
neutralizzato la fonte di pericolo, la ha innescata (139).
136
Con riguardo ai datori di lavoro, le fonti formali della posizione di garanzia sono rappresentate in via
generale dall‟art. 2087 c.c. e, in maniera più specifica, dalle discipline di settore in materia
antinfortunistica (vedasi, da ultimo, il D.Lgs. 81/2008).
137
Si veda, la recente Cassazione penale, Sezione IV, 12 marzo 2010 n. 16761, in cui si afferma expressis
verbis che la categoria delle posizioni di controllo comprende «tutti i casi di esercizio di attività
pericolose, che trova il fondamento normativo nell‟art. 2050 c.c.».
138
Ad esempio I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p.
122.
Si rinvia infra, Capitolo III, par. 3.5, dove si avrà modo di riflettere sui delicati confini tra il “commettere”
e l‟“omettere”.
139
Un caso che risulta in tal senso emblematico è quello affrontato dalla Suprema Corte con la celebre
pronuncia Cassazione 6 dicembre 1990, ric. Bonetti, emessa a conclusione del processo sul disastro di
Stava.
I fatti sono tristemente noti: nel luglio 1985 i bacini di decantazione costruiti nei pressi della miniera di
Prestavel crollarono: una immensa massa costituita da acqua e dai limi del materiale ivi depositato si
riversò rovinosamente verso valle, provocando la morte di 268 persone, il ferimento di numerose altre, il
crollo di molti edifici e capannoni.
Imputati nel processo furono i vari dirigenti amministratori delegati e presidenti dei consigli di
amministrazione delle società concessionarie della miniera di Prestavel, nonché i direttori di miniera
succedutisi nel tempo. Si trattava di tutti soggetti i quali – in tempi e con modalità differenti - avevano
preso parte alle decisioni di costruzione o ampliamento dei bacini di decantazione del materiale estratto
dalla miniera. Ad essi venivano contestate la assoluta omissione di progetti relativi alla costruzione del
secondo bacino di decantazione, la mancata effettuazione di controlli e verifiche, la mancata esecuzione
43
La categoria degli obblighi di controllo presenta ulteriori profili di complessità.
A detta categoria parte della dottrina riconduce altresì quei casi in cui la fonte di
pericolo da neutralizzare sia costituita dall‟agere di soggetti terzi: in tali casi il garante
sarebbe tenuto ad esercitare un controllo, appunto, sulle azioni poste in essere da terzi,
al fine di impedire che questi soggetti commettano reati.
Altra parte della dottrina – allo stato probabilmente maggioritaria - ritiene invece che gli
obblighi di impedimento dei reati altrui non possano essere sic et simpliciter assimilati
agli obblighi di controllo e debbano piuttosto formare una categoria a sé stante, che va
ad aggiungersi a quelle delle posizioni di controllo e di protezione.
La controversa e sfuocata figura degli obblighi giuridici di impedire reati altrui verrà
approfondita nella sezione II del prossimo capitolo; è a quella sede che si rimanda per
ogni considerazione.
Le
classificazioni
sopra
riferite
(obblighi
di
protezione/obblighi
di
controllo/obblighi di impedimento di reati altrui) sono senz‟altro utili a fini descrittivi e
quali criteri di orientamento.
Tuttavia esse non vanno a nostro avviso guardate come contenitori infallibili o
impermeabili. E ciò, non soltanto in considerazione dei contrasti dottrinari relativi alla
bontà stessa delle classificazioni delle posizioni di garanzia (se esse vadano bipartite o
tripartite etc.), ma altresì, soprattutto, in considerazione del fatto che in molte situazioni
concrete le suddette posizioni sono destinate a convivere, quando non a parzialmente
sovrapporsi.
Si pensi, solo a titolo di esempio, ai genitori, sui quali grava, come si è detto, una
posizione di protezione nei confronti dei figli ma che allo stesso tempo possono essere
chiamati a rispondere per omesso impedimento del reato (ad esempio di violenza
sessuale) commesso, in danno dei figli stessi, da terzi soggetti. Si pensi, ancora, agli
appartenenti alle forze dell‟ordine, sui quali coesistono sia una posizione di garanzia,
sub specie di posizione di protezione, nei confronti dei soggetti ristretti nella loro libertà
di prove e di indagini prima di procedere all‟ampliamento dei bacini.
Bene, in capo a ciascuno degli imputati fu accertata la sussistenza di una posizione di garanzia e la
responsabilità venne ricostruita intermante in termini omissivi: disastro colposo e omicidio colposo
plurimo, cagionati mediante omissione.
Per una approfondita disamina dell‟opportunità della “ricostruzione” della vicenda in termini omissivi,
vedasi A. GARGANI, Ubi culpa, ibi omissio. La successione di garanti in attività inosservanti, in L‟indice
penale, 2000, p. 581 ss.
44
personale, sia un obbligo di impedimento dei reati commessi – magari nei confronti dei
detenuti stessi – dai propri sottoposti gerarchici (140). Si pensi ai medici, sui quali grava,
come si è detto, una posizione di protezione nei confronti dei loro pazienti ma che, allo
stesso tempo, possono essere chiamati a rispondere per il mancato impedimento di reati
commessi dai loro stessi pazienti, quando questi ultimi possano – magari a causa del
loro stato di incapacità – rappresentare delle fonti di pericolo per soggetti terzi (141). Si
pensi alle posizioni di garanzia che, in ambito societario, gravano sugli organi
amministrativi di vertice: esse si articolano come posizioni di protezione (nei confronti
ad esempio dell‟integrità del patrimonio sociale), come posizioni di controllo (nei
confronti ad esempio dell‟incolumità dei lavoratori o, più in generale, di qualunque
soggetto, anche terzo, suscettibile di venir leso dalle “dinamiche”, economiche e
produttive, societarie) e, allo stesso tempo, come obblighi impeditivi rispetto a condotte
delittuose che possono essere poste in essere – a discapito degli stessi beni sopra
menzionati – da soggetti incardinati nel‟organizzazione imprenditoriale societaria (142).
Le sopra descritte plurime articolazioni delle posizioni di garanzia finiscono col
coinvolgere, per forza di cose, la figura degli obblighi impeditivi dei reati altrui. Come
già detto, di tali obblighi si parlerà approfonditamente nel prossimo capitolo. Sarà in
quella sede, dunque, che si avrà modo di tornare a riflettere sui rapporti intercorrenti tra
le varie tipologie di obblighi impeditivi.
140
Proprio in tali duplici termini (posizione di protezione e posizione di impedimento di reati di terzi) il
Tribunale di Genova, con sentenza 14 luglio-27 novembre 2008 ricostruì le posizioni di garanzia gravanti
in capo ai cosiddetti “soggetti in posizione apicale”, appartenenti a varie forze dell‟ordine (polizia di
Stato, polizia penitenziaria etc.), imputati nel processo apertosi in seguito ai fatti accaduti nell‟estate
2001, durante il vertice del G8 di Genova, nella caserma di Bolzaneto.
141
Si veda ad esempio, tra numerose, la famosa sentenza Pozzi: Cassazione penale, 14 novembre 2007 n.
10795.
142
Le considerazioni sopra svolte hanno tratto parzialmente spunto da N. PISANI, Controlli sindacali, cit.,
p. 83.
45
CAPITOLO SECONDO.
L’APPRODO DELLA DOTTRINA PIU’ RECENTE ALLA
NOZIONE GIURIDICO-FORMALE DI POSIZIONE DI
GARANZIA
Introduzione.
Nel I capitolo, analizzando la fattispecie omissiva impropria nei suoi contorni generali,
si è cercato di spiegare in che senso l‟elemento dell‟obbligo giuridico impeditivo
rappresenti il “cuore pulsante” della fattispecie stessa (143).
È proprio intorno al suddetto elemento che nel presente capitolo verrà ulteriormente
focalizzata l‟attenzione.
La imprescindibilità - ai fini di una attribuzione di responsabilità per mancato
impedimento - della individuazione di tale elemento, unita alla difficoltà di assegnare un
significato univoco alla formula normativa (“obbligo giuridico di impedire l‟evento”)
che ad esso si riferisce, ha fatto sì che gli sforzi ricostruttivi degli interpreti siano
proseguiti nel corso del tempo, incessanti ed anelanti.
Nel presente capitolo si vedrà come, prendendo le mosse dagli approdi raggiunti dalla
teoria mista – e facendo leva su una ricostruzione costituzionalmente orientata
dell‟obbligo impeditivo – si sia andato forgiando il concetto di potere giuridico
impeditivo; proprio su tale concetto è stato collocato il discrimen tra il vero e proprio
obbligo impeditivo ex art. 40 cpv. (denominato “obbligo di garanzia”) e altre figure di
“obblighi di fare” - simili alla prima ma in realtà non idonei a fondare una responsabilità
per omesso impedimento dell‟evento – quali gli obblighi di attivarsi e gli obblighi di
sorveglianza.
Le tematiche appena enunciate verranno trattate nella prima sezione del presente
capitolo.
La seconda sezione sarà invece dedicata ad una sorta di approfondimento, di
specificazione, dei contenuti trattati nella sezione che la precede. Difatti l‟esigenza di
una distinzione tra veri e propri “obblighi di garanzia” e figure di obblighi ad essi non
143
46
Vedi supra, in particolare la Sezione II del Capitolo I.
riconducibili si fa tanto più impellente – non foss‟altro in termini di “frequenza” - e
tanto più delicata, allorché il “dovere” in questione sia un dovere si sorvegliare altri
soggetti, cioè un dovere di vigilare sull‟altrui condotta: si tratta infatti, in quei casi, di
capire quando ci si trovi di fronte ad un vero e proprio obbligo di impedire l‟altrui reato.
Nella seconda sezione del capitolo ci si soffermerà quindi sull‟analisi di tale controversa
figura di obbligo impeditivo, obbligo alla cui violazione viene fatta conseguire, come è
noto, una responsabilità per concorso nel reato non impedito.
Non si potrà dunque fare a meno di confrontarsi con gli elementi di complessità propri
della forma di realizzazione plurisoggettiva della fattispecie omissiva impropria.
47
SEZIONE I.
L’OBBLIGO GIURIDICO EX ART. 40 CPV. C.P. RICOSTRUITO
COME OBBLIGO DI GARANZIA E DISTINTO DAI MERI
OBBLIGHI DI SORVEGLIANZA.
2.1. Le avvertite insufficienze delle teorie tradizionali sulle fonti degli obblighi
impeditivi.
Come si è già avuto modo di dire (144), nell‟ambito delle teorie sulle fonti degli
obblighi giuridici impeditivi, l‟approccio eclettico è quello che ha tentato di realizzare
una integrazione tra il criterio giuridico-formale – reputato necessario ma non
sufficiente – ed il criterio contenutistico-funzionale, espresso dalla figura della
“posizione di garanzia”: l‟obbligo giuridico-impeditivo, rilevante ai sensi dell‟art. 40
cpv., sarebbe allora quello che, ancorato ad una fonte formale, esprima la funzione (di
garanzia) della responsabilità per omesso impedimento dell‟evento.
Si è anche già sottolineato come l‟approccio eclettico abbia raccolto i consensi di una
ampia parte della dottrina e della giurisprudenza italiane, divenendo presto l‟indirizzo di
certo prevalente.
Purtuttavia anche tale impostazione concettuale non è andata esente da critiche.
La dottrina più recente non ha mancato di rilevare come tale impostazione
sostanzialmente cumulerebbe i vizi di ciascuna delle due teorie che essa intende
unificare (145): la pretesa sussistenza di una fonte formale riproporrebbe tutti i dubbi e
tutte le perplessità che affiorano quando ci si trovi a maneggiare fonti sospettate di
essere inidonee (146) o invalide (147); l‟idea di sopperire alle lacune del criterio formale
144
Si veda supra, capitolo I sezione III.
145
Vedasi per tutti I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit.,
p. 192: «(...)la presente concezione rischia, talora, di cumulare gli inconvenienti delle tesi precedenti
anziché superarli (...) Così, da un lato, si continuano a qualificare come «di garanzia» certi obblighi solo
in virtù di una loro (anche molto generica) previsione formale (...); dall‟altro si cede talora alla
tentazione di parificare alla previsione formale dell‟obbligo mere situazioni di fatto, senza indagarne
appieno il fondamento positivo».
146
Con il termine atecnico di “inidoneità” ci si vuole qui riferire a quei casi in cui la fonte formale non
appare in grado di soddisfare il principio di legalità a pieno, cioè a quei casi in cui la “legalità” non
verrebbe assicurata con lo stesso grado di “intensità” che da essa si pretende in ambito penalistico.
147
48
Il problema della invalidità della fonte si presenta principalmente nei casi di fonte negoziale. Vedi
facendo leva sul concetto di Garantenstellung rivelerebbe tutta la sua illusorietà laddove
si sia disposti a prendere atto della scarsa determinatezza del concetto stesso.
Quello che è sembrato essere il vero tallone di Achille della teoria mista – al di là
dell‟idea che essa avesse ricevuto in eredità i singoli vizi contestati a ciascuna delle due
teorie (formale e sostanziale) che voleva coniugare – è il punto seguente: l‟impostazione
mista riteneva di poter “scommettere” sull‟applicazione consecutiva dei due criteri –
quello giuridico/formale e quello contenutistico/sostanziale, appunto – forgiati dalle
elaborazioni teoriche che l‟avevano preceduta; bene, nella recente dottrina si è andata
affermando la consapevolezza che la predetta “applicazione consecutiva” di quei criteri
– la di essi sommatoria – non fosse in realtà in grado di produrre un risultato davvero
efficace ( 148 ). Ciò, in quanto da un lato l‟aggancio al requisito formale è sì
imprescindibile ( 149 ) ma di per sé sterile, poiché non può essere posto alcun
automatismo fra la presenza di un obbligo giuridico di agire, previsto in qualche
meandro dell‟ordinamento giuridico, e la rilevanza penale di quello ai sensi dell‟art. 40
comma 2; dall‟altro lato, l‟impiego del concetto di “posizione di garanzia” è anch‟esso
imprescindibile – considerato che proprio in quel “vincolo di garanzia” risiede il
fondamento della responsabilità per omesso impedimento dell‟evento – ma quanto mai
“sfuggente”. Tale concetto si fonda difatti su di un parametro contenutistico – quello
della “funzione” di garanzia – che risulta essere del tutto vago: la dottrina recente ha
denunciato la “mancanza di un criterio univoco atto a stabilire quando sussista il
vincolo di tutela, il rapporto di dipendenza tra il garante e il bene tutelato, in cui si
sostanzierebbe, secondo le definizioni surriferite, la Garantenstellung. E alla base
dell‟incertezza sul criterio di identificazione delle singole posizioni di garanzia sta la
scarsa chiarezza sul fondamento dell‟attribuzione della posizione stessa ad un
retro, capitolo I Sezione III.
148
«Il limite della tesi in parola risiede (..) nel non essere riuscita del tutto ad operare una compiuta
sintesi delle precedenti», I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza,
cit., p. 192.
149
Una tale esigenza viene chiaramente espressa dal Giunta, il quale, richiamando l‟attenzione
sull‟elemento della giuridicità dell‟obbligo impeditivo, afferma che “(...) non può non riconoscersi
all‟art. 40 comma 2 il merito di offrire all‟interprete un‟importante indicazione: ovvero che il criterio
formale dell‟obbligo di agire è quanto meno quello da cui prender le mosse nella ricostruzione della
responsabilità per omesso impedimento dell‟evento”. (F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel contesto
della fattispecie omissiva impropria, in Diritto penale e processo, 1999, p. 622).
49
determinato soggetto (...)” (150).
Sembra corretto affermare che la dottrina più recente ha insomma riconosciuto la bontà
dell‟intuizione della teoria mista, ma ne ha altresì portato a galla i limiti: la “buona
intuizione” consisterebbe nella esigenza di trovare un criterio in forza del quale operare
una selezione degli obblighi penalmente rilevanti all‟interno dei molteplici doveri
giuridici precisi da fonti formali; il limite consisterebbe nel fatto che il criterio
attraverso cui operare la selezione è stato individuato in un parametro – cioè quello della
cosiddetta posizione di garanzia – del tutto indeterminato e malleabile, un parametro
che non offre dunque alcuna garanzia in termini di certezza del diritto e che, al
contrario, si presta a quanto mai pericolose – ed in ogni caso indebite –
strumentalizzazioni (151).
2.2. La ricostruzione dell’obbligo impeditivo alla luce dei principi costituzionali.
(Segue)
Si è già visto come, nella difficile impresa di individuazione degli obblighi
rilevanti ex art. 40 cpv. c.p., la teoria mista avesse intuito l‟esigenza dell‟impiego di un
criterio sostanziale – rinvenuto nella cosiddetta posizione di garanzia – il quale
risultasse tuttavia ancorato ad un dovere giuridicamente posto. Si è anche già rimarcato
come le dottrina più recente abbia posto in luce i limiti della suddetta impostazione: i
doveri
“giuridicamente
posti”
esistono
in
grande
quantità,
in
ogni
dove
dell‟ordinamento; il criterio che dovrebbe operare una selezione tra essi è totalmente
vago e quindi in definitiva inaffidabile.
Ecco dunque che la dottrina che più di recente si è occupata funditus del tema,
150
151
I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 67-68.
«(...) la concreta selezione degli obblighi rilevanti ai fini della clausola di equivalenza, tra i molteplici
doveri previsti da fonti formali, è anche qui demandata al malleabile parametro contenutistico della
«funzione» di garanzia, manipolabile a seconda delle opzioni politico-criminali dell‟interprete, con
opposte tendenze, ora estensive (...) ora restrittive della punibilità (...) L‟incertezza appare ancor più
accentuata in giurisprudenza, ove persiste una «coesistenza» tra criteri formali e sostanziali,
alternativamente impiegati in funzione estensiva della responsabilità» (I. LEONCINI, voce “Reato
omissivo”, cit., p. 39).
50
dinnanzi alle riscontrate inadeguatezze e strettoie delle teorie precedentemente
elaborate, ha cercato rifugio e stimolo nei precetti della “fonte suprema” ( 152): gli sforzi
interpretativi sono insomma stati fatti convergere nella direzione di un‟opera di
ricostruzione dell‟obbligo giuridico impeditivo – rilevante ex art. 40 cpv. – effettuata
alla luce dei principi costituzionali che devono governare la penale responsabilità (153).
Imperando in ambito penale il principio di legalità, l‟obbligo idoneo a fondare una
responsabilità penale ex art. 40 cpv. cp. deve trovare un ineludibile fondamento
giuridico (154); esso deve cioè necessariamente essere posto da fonti giuridiche formali
(155). Da ciò consegue che dovrà senz‟altro escludersi che l‟obbligo ex 40 cpv. possa
trovare la propria fonte in norme soltanto morali, come pure va escluso che esso possa
trovare la propria fonte in quelle che appaiono assumere la consistenza di situazioni di
garanzia meramente “fattuali” (156).
152
Il Mantovani, riferendosi alle teorie formale, sostanziale e mista, parla di «inadeguatezze delle
suddette teorie», inadeguatezze che «possono essere superate attraverso la ricostruzione dell‟obbligo di
garanzia nei suoi precisi requisiti penali costitutivi, alla luce dei principi (...) di legalità, di solidarietà, di
libertà, di responsabilità personale» (F. MANTOVANI, L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei
principi, cit., p. 340).
La Leoncini afferma che nell‟opera di ricostruzione degli obblighi rilevanti ex art. 40 cpv., «si rende
indispensabile un costante riferimento al dettato costituzionale»; l‟Autrice, sebbene mostri di essere ben
consapevole dei limiti insiti nell‟impostazione costituzionalmente orientata del diritto penale, ribadisce
tuttavia la di essa importanza, a maggior ragione in un settore quale quello oggetto di indagine: «(...) pur
nella consapevolezza delle evidenziate incertezze e dei paventati rischi di tale impostazione, la sua
utilizzazione rimane, a nostro avviso, il modo più corretto di precedere (...). (...), tanto più con riferimento
all‟oggetto del nostro studio, in cui si intersecano gli istituti della fattispecie omissiva impropria e del
concorso di persone nel reato. In tali settori, infatti, alle indubbie carenze e difetti di tecnica legislativa
della normativa vigente nella previsione dei comportamenti tipici, si cumulano obiettive difficoltà, se non,
talora, addirittura, impossibilità, di una loro rigorosa tipizzazione. Ci sembra, allora, che di fronte al
margine di incertezza, forse non completamente eliminabile, delle norme positive, il lavoro dell‟interprete
non possa essere indirizzato verso le soluzioni più corrette che dalla Costituzione» (I. LEONCINI, Obbligo
di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 34-37).
153
I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 33-54, F.
MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 2007, p. 156 ss.; ID., L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi, cit., p. 340.
154
È interessante osservare, per inciso, come parte della dottrina colleghi la necessità di un fondamento
giuridico dell‟obbligo impeditivo alla stessa consistenza – o meglio, alla “inconsistenza”, fisica – della
condotta omissiva: «Invero, se sul piano naturalistico l‟omissione è un mero non facere e la c.d. causalità
omissiva un non senso (non potendo qualsivoglia omissione concretamente incidere sul decorso causale,
né tanto meno, cagionare alcun evento offensivo), ne consegue che, per la sua stessa essenza, il disvalore
penale dell‟omissione è inscindibilmente connesso alla doverosità giuridica del comportamento omesso»
(I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 50).
155
Su quale sia il “rango” richiesto alla fonte giuridica formale si rimanda retro, Capitolo I, Sezione III
nonché si rinvia infra, all‟ultimo paragrafo della presente sezione
156
51
Proprio in virtù della suesposta considerazione si ritiene che da una situazione di convivenza more
Il principio di legalità in materia penale si declina altresì, come è noto, nei termini della
tassatività, intesa come necessità che gli elementi costitutivi dell‟illecito penale siano
formulati in maniera precisa e determinata (157). Ora, in ossequio al principio di legalitàtassatività l‟obbligo giuridico di impedire l‟evento non può essere indeterminato:
l‟azione doverosa dovrà al contrario risultare sufficientemente specifica e determinata.
Da ciò, ad esempio, si fa discendere l‟esclusione della possibilità di rinvenire il
fondamento dell‟obbligo impeditivo all‟interno di precetti costituzionali generici (quali
ad esempio i doveri di solidarietà di cui all‟art. 2 della Costituzione, oppure i generici
doveri, ex comma 2 art. 41 Cost. di svolgere l‟iniziativa economica privata senza recare
danno alla sicurezza, alla libertà o alla dignità umana e senza contrastare con l‟utilità
sociale) (158).
Altro principio imperante in materia penalistica è quello di libertà (evincibile, nella sua
intera portata, dal combinato disposto degli articoli 13, 25 comma 2 e 27 comma 1
Cost.), intesa come libertà per i cittadini di assumere decisioni ed orientare le proprie
condotte di vita, conoscendo in anticipo le conseguenze (penali) che da quelle condotte
possono scaturire. Calando il principio di libertà nel contesto della responsabilità per
omesso impedimento dell‟evento, si ricava che il soggetto omittente -cioè colui il quale
non si attiva per impedire un determinato evento – deve sapere in anticipo se la sua
inerzia è penalmente irrilevante oppure se in seguito a tale inerzia egli – sussistendo
tutte le condizioni – sarà chiamato a rispondere come se avesse “fisicamente” cagionato
uxorio non possano scaturire obblighi di garanzia. In tal senso si veda ad esempio F. MANTOVANI,
L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi, cit., p. 340.
157
Sul principio di determinatezza (o principio di tassatività) vedasi, per tutti, M. ROMANO, Commentario
sistematico del codice penale, cit., sub art. 1, paragrafi 28 ss.
Si vuole qui segnalare che vi sono Autori i quali, per riferirsi al principio di tassatività, così come
descritto nel corpo del testo (e cioè quel principio in forza del quale le fattispecie incriminatrici devono
risultare formulate in maniera determinata e precisa), parlano di “principio di precisione”: G. MARINUCCI
– E. DOLCINI, Corso di diritto penale, Milano, 2001, pp. 119-158. I medesimi Autori chiamano “principio
di determinatezza” quello relativo alla necessaria probabilità, nel processo, dei fatti descritti dalle norme
penali; con l‟espressione “principio di analogia” indicano invece il divieto di analogia a sfavore del reo.
158
Per una denuncia, già negli anni Ottanta, della tendenza a desumere posizioni di garanzia dai precetti
costituzionali, vedasi G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 236-237.
Quello di desumere direttamente dai precetti costituzionali la sussistenza di posizioni di garanzia, è un
atteggiamento per nulla sconosciuto alla giurisprudenza. Sul punto si tornerà più approfonditamente nel
prosieguo; per l‟intanto si ricorda la recente Cass. n. 19714 del 2009, in cui i giudici hanno preteso di far
discendere dal comma 2 dell‟art. 41 Cost. una posizione di garanzia in capo ad un soggetto proprietario di
un immobile – ma non anche committente dei lavori - per l‟omesso impedimento di un reato proprio
stabilito dall‟art. 29 del Testo Unico in materia di edilizia.
52
l‟evento (159). Da ciò si deve trarre che l‟elemento dell‟obbligo impeditivo deve gravare
su soggetti ben determinati e specificati: l‟obbligo di cui parla l‟art. 40 cpv. dunque non
può essere indirizzato alla generalità indistinta dei consociati, bensì deve avere per
destinatari specifiche categorie di soggetti (160).
Sia dal principio di tassatività che da quello di libertà-eccezionalità della responsabilità
per mancato impedimento, deve trarsi la conseguenza secondo cui l‟obbligo di garanzia
deve essere rivolto all‟impedimento di eventi del tipo di quello verificatosi (161): detta in
altri termini, l‟evento verificatosi deve essere uno degli eventi che l‟obbligo mirava ad
impedire (162).
Tra i principi costituzionali cui l‟obbligo giuridico impeditivo deve conformarsi vi è
altresì quello di solidarietà. Come si è già avuto modo di osservare ( 163 ), è proprio
nell‟istanza solidaristica che trova profondo fondamento la responsabilità per mancato
159
Dal principio di libertà personale – e dalla conseguente “eccezionalità” della responsabilità omissiva parte della dottrina fa discendere la necessaria “elevatezza” dell‟interesse alla cui salvaguardia l‟obbligo
impeditivo è volto: “tali obblighi non possono, in generale, imporre il sacrificio dell‟interesse equivalente
o, addirittura, di rango superiore dell‟obbligato (esempio: di un bene personale) a vantaggio di quello
altrui di rango inferiore (esempio: patrimoniale)” (Così I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di
garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 53).
160
La necessaria specificità dei destinatari dell‟obbligo impeditivo conduce a ribadire quanto si era già
avuto modo di affermare parlando dei caratteri generali della fattispecie omissiva impropria: il reato
omissivo improprio è necessariamente un reato proprio (Si veda supra, Capitolo I, Sezione II).
161
Tanto il requisito della “specificità” dell‟evento da impedire, quanto quello della “specialità” dei
soggetti sui quali deve gravare l‟obbligo impeditivo, sono stati fatti oggetto di riflessione da parte della
dottrina tedesca già a partire degli anni Cinquanta del Novecento. Tale dato viene segnalato da G.
GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 252, 258.
162
In tal senso vedasi già A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni nel diritto penale dell‟impresa,
Firenze, 1985, p. 199 e G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 252. L‟Autore da ultimo citato, al
fine di chiarire il concetto espresso, riporta un esempio: «se l‟addetto alle pulizie di un edificio, dopo aver
eseguito il proprio lavoro, non provvede alla chiusura delle finestre nello stabile (che dovrebbe essere
ormai abbandonato da tutti i suoi occupanti per la fine dell‟orario di lavoro) come sarebbe, invece, suo
preciso obbligo onde impedire che si verifichino dei furti nell‟edificio, e una persona, rimasta
casualmente nello stabile, sporgendosi dalla finestra di uno degli ultimi piani perde l‟equilibrio, cade
nella strada sottostante e muore, una responsabilità penale dell‟inserviente per il reato di omicidio
colposo deve escludersi, pur dovendosi riconoscere che la sua omissione ha reso possibile il verificarsi
dell‟evento lesivo, e ciò perché l‟evento verificatosi non rientra tra quelli al cui impedimento era rivolta
la situazione tipica di obbligo facente capo all‟omittente». Si tratta di un esempio che, sebbene presenti, a
parere di chi scrive, molteplici zone d‟ombra, consente tuttavia di ben visualizzare quello che – mutuando
il termine dal linguaggio della colpa – è il “nesso di rischio” tra l‟obbligo impeditivo e l‟evento
verificatosi.
163
Si veda retro, Capitolo I, Sezione I, il paragrafo dedicato alla responsabilità omissiva in generale, e
nel Capitolo I, Sezione III, il paragrafo dedicato alla teoria sostanziale.
53
impedimento di un evento e, più in generale, la responsabilità omissiva tutta (164). Nel
reato omissivo improprio la ratio solidaristica è racchiusa in quello speciale “rapporto
di protezione” che esiste tra un determinato soggetto ed un determinato bene. Ecco, tale
ratio deve riflettersi sull‟elemento dell‟obbligo giuridico impeditivo, contribuendo a
dettare i caratteri di esso: l‟obbligo impeditivo ex 40 cpv. si deve rivolgere a beneficio
di determinati e ben specificati soggetti, ossia i soggetti titolari di quel bene che,
secondo le valutazioni compiute dallo ordinamento, abbisogna di una tutela rafforzata
(165).
2.3. (Segue) Il principio di personalità della responsabilità penale e l’emersione del
concetto di potere impeditivo. La necessaria giuridicità del potere impeditivo ed il
superamento dei limiti insiti nella teoria mista.
La ricostruzione dell‟obbligo impeditivo ex art. 40 cpv. c.p. va effettuata altresì
alla luce di un ulteriore principio cardine in materia penalistica, il principio di
personalità della responsabilità penale, il quale “costituisce il secondo aspetto del
principio (..) di legalità” (166) nonché si erge a presidio per “garantire al privato libere
164
Parte della dottrina non ha mancato di rilevare come, se è vero che sono le istanze solidaristiche a
giustificare l‟imposizione di comandi, è altresì vero che dette istanze, di per sé sole, non sono sufficienti a
legittimare la repressione della condotta omissiva: perché la repressione penale delle violazioni dei doveri
giuridici posti dall‟ordinamento sia legittima occorre piuttosto che essa si armonizzi con gli altri principi
costituzionali dettati in materia penale (Così I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e
obbligo di sorveglianza, cit., p. 41).
165
Tra i principi costituzionali richiamati dalla dottrina vi è anche quello di offensività, il quale, come è
noto, «risponde all‟esigenza garantista che la fattispecie omissiva non degradi a reato di mera
disubbidienza o di infedeltà nei confronti dello Stato». Ora, tale principio in realtà si riverbera non sul
solo elemento dell‟obbligo impeditivo, bensì sull‟intera fattispecie omissiva impropria. Si ritiene che,
affinché il principio di offensività sia rispettato, l‟equiparazione tra l‟omissione non impeditiva e la
causazione dell‟evento vada effettuata in modo tale che: a) il reato commissivo, suscettibile di
conversione ex art. 40 co. 2, sia configurato come reato d‟offesa; b) l‟obbligo di garanzia sia concepito in
termini solidaristici e, cioè, delimitato alla protezione di beni bisognosi della tutela rafforzata, essendo i
titolari incapaci di proteggerli adeguatamente, e posto a carico di soggetti muniti di effettivi poteri
impeditivi; c) che la condotta doverosa sia quella idonea a impedire l‟evento offensivo (Così I. LEONCINI,
Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 43 ss.)
166
Così Corte Cost. 364/1988: «A nulla varrebbe, infatti, in sede penale, garantire la riserva di legge
statale, la tassatività delle leggi ecc. quando il soggetto fosse chiamato a rispondere di fatti che non può,
comunque, impedire od in relazione ai quali non e in grado, senza la benché minima sua colpa, di
ravvisare il dovere d‟evitarli nascente dal precetto».
54
scelte d‟azione” (167).
Tale principio affonda le sue radici nell‟art. 27 comma 1 della Costituzione; la
definizione della portata di esso è stata il frutto di una progressiva e profonda
evoluzione concettuale ( 168 ). Il principio di “personalità della responsabilità penale”
viene oggi declinato tanto nel suo significato “minimo” di divieto di responsabilità per
fatto altrui – il che equivale a dire che si può essere chiamati a rispondere solo per un
fatto proprio, cioè realizzato da se medesimi – quanto altresì nel suo significato “più
esteso” di responsabilità per fatto proprio colpevole: responsabilità “per fatto proprio
colpevole” significa che il soggetto non può essere chiamato a rispondere se non di un
fatto da lui oggettivamente commesso (responsabilità per fatto proprio) e che possa
essere, al contempo, a lui ricollegabile da un punto di vista psichico, soggettivo. Il
soggetto insomma non può essere chiamato a rispondere se non di un fatto commesso
con dolo o almeno con colpa (169).
167
Le parole tra virgolette sono ancora tratte da Corte. Cost. 364/1988.
168
Per ragioni di comodità espositiva, si potrebbe tentare di suddividere in fasi l‟evoluzione dell‟approccio
della Consulta nei riguardi del principio di colpevolezza.
In una prima fase la Corte Costituzionale mostrò di ritenere che il 1° comma dell‟art. 27 Cost. si
limitasse a vietare la responsabilità per fatto altrui (vedansi, tra le altre, le sentenze 3/1956 e 107/1957).
Si può affermare che si è assistito, poi, ad una seconda fase caratterizzata da una espressa – seppur
inizialmente timida – presa d‟atto dell‟esigenza di un quid psichico che leghi il soggetto al fatto
commesso; una fase in cui, tuttavia, mai la Consulta pervenne a dichiarazioni di illegittimità
costituzionale delle norme impugnate, ritenendo di poter escludere che dette norme – ove correttamente
interpretate – contenessero ipotesi di responsabilità oggettiva (si veda, per tutte, la sentenza n. 42 del
1965).
La svolta epocale arrivò nel 1988, quando, con le storiche pronunce nn. 364 e 1085, il principio di
colpevolezza venne definito nella sua portata e posto a fondamento di dichiarazioni di illegittimità
costituzionale delle norme impugnate (rispettivamente, gli articoli 5 e 626, co. 1, n. 1) del codice penale).
Tra le pronunce che in cui la Consulta si dedica al principio di colpevolezza, può essere ricordata anche la
recentissima sentenza 322/2007: pur condividendo i ragionamenti svolti in premessa dal giudice
rimettente e pur ribadendo con decisione i principi espressi nelle pronunce del 1988, la Consulta non ha
accolto la questione di illegittimità costituzionale relativa all‟art. 609 sexies c.p., ritenendo tale questione
mal posta e dunque inammissibile.
Per una – seppur sintetica – ricostruzione dell‟evoluzione della giurisprudenza della Corte Costituzionale
sul principio di colpevolezza, vedasi ad esempio R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale, Parte generale,
Roma, 2011, p. 957 ss.
169
«(...) il fatto imputato, perché sia legittimamente punibile, deve necessariamente includere almeno la
colpa dell‟agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica» (Corte Costituzionale
364/1988). Ancora, «è indispensabile che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare
il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all‟agente (siano, cioè, investiti dal dolo o
dalla colpa) ed e altresì indispensabile che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano allo stesso agente
rimproverabili e cioè anche soggettivamente disapprovati» (così Corte Costituzionale 1085/1988).
Se il soggetto venisse punito anche in assenza di dolo o colpa, la possibilità di incorrere in una sanzione
penale finirebbe col dipendere anche da fattori da parte sua incontrollabili, con la conseguenza che egli
non sarebbe in grado di programmare la sua vita in modo da sfuggire al rischio di accidentali condanne
55
La “collegabilità” psichica implica che quel fatto sia rimproverabile all‟agente (170); la
rimproverabilità si giustifica per il fatto che l‟agente, commettendo quel fatto, si è
discostato – volontariamente o per colpa – da quanto l‟ordinamento “si attendava da
lui”. Il soggetto viene insomma rimproverato in quanto avrebbe potuto agire
diversamente (171).
Calando le osservazioni che precedono nel contesto che ci interessa – e cioè
quello della responsabilità omissiva – si ha che il soggetto rimproverabile è quello che
non ha agito come avrebbe potuto. Detta altrimenti, perché quell‟inerzia gli sia
rimproverabile, egli dovrebbe “aver potuto” agire diversamente, egli dovrebbe “aver
potuto” impedire l‟evento.
Il principio di personalità della responsabilità penale conduce quindi a concentrare
l‟attenzione sul profilo del “poter agire”: di una responsabilità per omesso impedimento
di un evento può essere chiamato a rispondere solo quel soggetto che avrebbe potuto
impedirlo; un obbligo giuridico impeditivo ex art. 40 cpv. può dirsi pertanto sussistente
solo laddove vi sia un soggetto munito di veri e propri poteri di impedire l‟evento.
In definitiva, il principio di personalità della responsabilità penale conduce a
visualizzare – quale elemento cardine di una posizione di garanzia ex art. 40 cpv. –
quello dei “poteri impeditivi” (172).
(Per tale osservazione, si veda G. FIANDACA -E. MUSCO, Diritto penale, cit., p. 631).
170
Esiste peraltro un indissolubile legame tra la riferibilità psichica del fatto all‟agente, la rimproverabilità
di esso, e la funzione rieducativa che la Costituzione pretende dalla pena (art. 27, comma 3 Cost.): è
difatti la stessa funzione rieducativa della pena, comunque concepita, a postulare che il fatto addebitato
sia psichicamente riportabile, almeno nella forma della colpa, al soggetto da rieducare. Tale
considerazione è stata espressa dai giudici della Consulta, i quali, in un passaggio della storica pronuncia
634/1988, hanno affermato che «Collegando il primo al terzo comma dell‟art. 27 Cost. agevolmente si
scorge che, comunque s‟intenda la funzione rieducativa di quest‟ultima, essa postula almeno la colpa
dell‟agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica. Non avrebbe senso la
<rieducazione> di chi, non essendo almeno <in colpa> (rispetto al fatto) non ha, certo, <bisogno> di
essere <rieducato>».
171
«La colpevolezza presuppone una libertà di agire dell‟uomo, una libertà del volere (...); non
necessariamente un libero arbitrio (...) sì invece una libertà come capacità dell‟uomo, seppure entro certi
limiti, di autodeterminarsi, di assumere decisioni, di optare tra più alternative, di scegliere se adeguarsi o
ribellarsi al diritto. Senza un tale presupposto, non solo non si comprenderebbero la pena ed il
rimprovero, ma, più radicalmente, non si comprenderebbero le norme come richieste di comportamenti e
impositrici di doveri (...). Dalla libertà di agire (o del volere) del genere uomini si deduce la libertà di
agire (o del volere) del singolo individuo che si reso autore del fatto» M. ROMANO, Commentario
sistematico del codice penale, cit., pre-art. 39, paragrafi 71 e 74. Poco più avanti l‟Autore afferma che la
colpevolezza ha come presupposto proprio il “potere agire diversamente”.
172
“(...) i limiti del potere segnano, per ciascun obbligato, il limite invalicabile della garanzia esigibile”:
in tali termini, plasticamente, Relazione al «Progetto preliminare di riforma del codice penale» - Parte
56
Per “poteri impeditivi” vanno intesi dei poteri di vigilanza e controllo su una situazione
di pericolo, poteri di inibirne lo sviluppo, di intervenire sulla situazione stessa con un
intervento così penetrante da poter garantire seriamente l‟impedimento dell‟evento
lesivo (173). E‟ proprio l‟esistenza di tali poteri (174) a consentire l‟equiparazione del
mancato impedimento dell‟evento alla sua attiva causazione .
Da qui dinnanzi la riflessione sull‟obbligo impeditivo ex 40 cpv. viene articolata
nel seguente percorso argomentativo:
1) il tratto caratterizzante l‟obbligo giuridico impeditivo ex 40 cpv. c.p. (alias
“posizione di garanzia”) consiste nella sussistenza di veri e propri poteri impeditivi
dell‟evento (Come si è visto poco sopra, a tale asserzione conduce una lettura di tale
obbligo alla luce del principio di personalità della responsabilità penale);
2) l‟obbligo giuridico ex art. 40 cpv. c.p. deve necessariamente affondare le proprie
radici in una fonte giuridica formale (a tale asserzione conduce, come si è visto nel
paragrafo che precede, la lettura di tale obbligo alla luce del principio di legalità).
Se si concorda con i punti di cui ai numeri 1) e 2), non si può se non concludere nel
senso che proprio l‟elemento che contraddistingue la posizione di garanzia – e cioè la
sussistenza dei poteri impeditivi suddetti – debba avere una fonte giuridico-formale.
detta in altri termini, i poteri impeditivi a disposizione del garante debbono
necessariamente essere poteri impeditivi di tipo giuridico: “la giustificazione
dell‟equivalenza normativa tra causazione attiva e omissione non impeditiva risiede
nella natura giuridica del potere impeditivo. Il riferimento alla natura giuridica del
potere impeditivo consente di appagare una duplice esigenza: il rispetto del principio di
legalità formale; il rispetto del principio di responsabilità per fatto proprio” (175). Ciò
significa che i poteri impeditivi – quei poteri i quali, per così dire, sottostanno
generale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, p. 596.
173
Già negli anni Ottanta la dottrina – nel tentare di rintracciare gli elementi caratterizzanti dell‟obbligo
impeditivo ex art. 40 cpv c.p. - era giunta a focalizzare l‟attenzione proprio sul concetto del “potere
necessario ad impedire”: «(...) ci sono alcune volte che il legislatore, sul presupposto di una particolare
posizione di potere di determinati soggetti, si attende ed impone un‟azione, per così dire, «risolutiva», nel
senso di attendersi ed imporre un intervento penetrante che effettivamente impedisca il verificarsi
dell‟evento criminoso» (A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni, cit., pp. 201-202).
174
Sul rapporto che intercorre tra il concetto di “potere impeditivo” e le teorie della “signoria sugli
accadimenti”, si tornerà poco più avanti, sempre nel presente paragrafo.
175
I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 39.
57
all‟obbligo di garanzia e sono indispensabili per adempiere all‟obbligo stesso – devono
essere conferiti al garante da una specifica norma.
Bene, si può a questo punto senz‟altro prendere atto del fatto che la ricostruzione
dell‟elemento dell‟“obbligo giuridico impeditivo” alla luce dei principi costituzionali
abbia condotto al seguente approdo: ciò che contraddistingue l‟obbligo rilevante ai sensi
dell‟art. 40 cpv. – detta in altri termini, ciò che contraddistingue la posizione di garanzia
– è la presenza di poteri giuridici impeditivi. Ciò significa che una vera e propria
posizione di garanzia potrà dirsi sussistente laddove – e soltanto laddove – possa essere
ravvisata una corrispondenza tra l‟obbligo di impedire un evento ed un simmetrico
complesso di poteri – pur sempre giuridici – impeditivi (176).
La sussistenza di poteri giuridici impeditivi appare dunque essere – alla luce delle più
recenti riflessioni sul tema – la condicio sine qua non per poter parlare di responsabilità
per omesso impedimento dell‟evento (177).
Sul concetto di “poteri giuridici impeditivi” sembra opportuno soffermare ancora
l‟attenzione, indirizzandola in particolar modo verso due ordini di riflessioni: 1) appare
interessante cercare di analizzare in quale misura il concetto di “potere giuridico
impeditivo” sia debitore delle tesi sulla signoria fattuale ed in quale misura invece si sia
emancipato da quelle; 2) appare importante osservare come l‟elaborazione del concetto
di potere giuridico impeditivo abbia consentito di superare quei limiti in cui era
incappata la teoria mista (178).
Si comincerà proprio con lo spunto di riflessione da ultimo descritto.
Si è già spiegato sopra che secondo l‟impostazione cosiddetta mista, una responsabilità
per omesso impedimento dell‟evento può essere affermata - sussistendone tutti i
presupposti – laddove esista una posizione di garanzia fondata su di un dovere
giuridico: per dirla in più diffusi termini, la teoria mista si è proposta di impiegare sia il
criterio suggerito dalla impostazione formale – ritenendo dunque necessario l‟elemento
176
A tale conclusione approdano ad esempio I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e
obbligo di sorveglianza, cit., p. 49, ID., voce “Reato omissivo”, cit., p. 40; N. PISANI, Controlli sindacali,
cit., p. 51; F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, Milano, 2009, p. 164 e ss..
177
«La garanzia dei beni in gioco, là dove esiga la statuizione di doveri di attivarsi, non può che essere
affidata a soggetti i quali abbiano il potere (giuridico e fattuale) di assicurare l‟adempimento»
(Relazione al «Progetto preliminare di riforma del codice penale» - Parte generale, cit., p. 596).
178
58
Si veda supra, primo paragrafo della presente sezione.
della giuridicità del dovere impeditivo – sia il criterio suggerito dalla concezione
sostanziale – ritenendo dunque necessaria la presenza di un vero e proprio rapporto di
garanzia. I problemi sono nati allorché la dottrina più recente ha preso atto della reale
incapacità di tali due criteri di integrarsi fra loro ed “interagire”: il concetto della
“posizione di garanzia” risultava troppo evanescente e quindi incapace di operare una
selezione tra la molteplicità dei doveri previsti dall‟ordinamento.
Ecco, la elaborazione del concetto di “poteri giuridici impeditivi” ha consentito proprio
di superare l‟impasse. Si ritiene di poter affermare che ciò sia stato reso possibile grazie
ad una sorta di inversione nell‟ordine degli steps lungo i quali si snoda il ragionamento
sul tema: per comprendere dove fosse possibile ravvisare un obbligo rilevante ex art. 40
cpv., la teoria mista riteneva di dover prima di tutto riscontrare la presenza di un dovere
giuridico, e poi vedere se esso corrispondesse o meno ad una vera e propria posizione di
garanzia ( 179 ); le impostazioni dottrinarie più recenti ( 180 ) invece, sempre al fine di
comprendere dove vada ravvisato un obbligo rilevante ex art. 40 cpv., hanno
considerato in primis il concetto sostanziale di “posizione di garanzia”, hanno
individuato l‟elemento che la contraddistingue – e cioè la presenza di veri e propri
poteri impeditivi – e infine – in conformità al disposto di cui all‟art. 40 comma 2 nonché
in ossequio al principio costituzionale di riserva di legge – hanno ancorato tale elemento
distintivo alla giuridicità formale (181). In tal modo l‟integrazione tra criteri formali e
criteri sostanziali appare essere reale e feconda.
Sui contorni e sui caratteri dell‟obbligo di garanzia verrà soffermata l‟attenzione
179
A conferma del fatto che l‟analisi di tipo funzionale veniva fatta seguire al riscontro della presenza di
un dovere giuridico, vedasi G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 242-243: «All‟indagine di
tipo formale (sulla fonte della situazione di obbligo) dovrà far seguito, quindi, un‟indagine di tipo
funzionale per valutare se l‟obbligo de quo, per il suo contenuto, il suo significato, la sua funzione
assuma la «consistenza» di un obbligo di garanzia».
180
181
Vedi supra, nel presente paragrafo.
«(...) la figura della cosiddetta posizione di garanzia, originariamente sorta nella dottrina tedesca
sulla base di concezioni sostanzialistico-funzionali, per conservare validità nel nostro ordinamento,
fondato sul principio di legalità formale, deve essere ancorata a tale principio. E, cioè, deve trovare
fondamento giuridico (...) A nostro avviso (...) non solo l‟obbligo, ma anche tale vincolo di tutela, che
lega il garante al bene protetto dall‟incriminazione, deve avere natura giuridica. Più precisamente, deve
trattarsi di un vincolo giuridico, che formalizza il “rapporto di dipendenza” sussistente tra l‟azione
doverosa del garante e la tutela del bene giuridico (...) “è necessario a nostro avviso ricondurre il
concetto di Garantenstellung al principio di legalità formale, identificandola nel complesso di poteridoveri giuridici impeditivi...» (I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di
sorveglianza, cit., p. 68 ss.).
59
nel prossimo paragrafo.
Qui di seguito ci si dedicherà invece a quello che, poco sopra, era stato indicato
come un opportuno spunto di riflessione in tema di poteri giuridici impeditivi: cercare di
individuare la portata dei poteri suddetti nonché di capire in che misura il concetto di
“potere giuridico impeditivo” derivi dalle teorie sul “potere di signoria”, ed in che
misura invece esso se ne distanzi.
Come già detto, la dottrina fautrice della teoria sull‟obbligo di garanzia afferma che
l‟elemento caratterizzante tale obbligo – cioè il potere impeditivo – deve
necessariamente essere un potere di tipo giuridico (182). Non può dunque trattarsi né di
una mera possibilità materiale di impedire l‟evento – ché la mera impedibilità materiale
non sarebbe idonea a distinguere la posizione di un garante da quella di un soccorritore
occasionale – né di un dominio sul decorso causale (Herrschaftstheorie) (183), né di un
“potere di signoria fattuale su alcune condizioni essenziali dell‟evento tipico” (184) (185).
Su quest‟ultimo punto è bene soffermare l‟attenzione: è opportuno difatti chiarire quale
rapporto intercorra tra il concetto di “potere giuridico impeditivo” e le teorie sul
“dominio”, sul “potere di signoria” sul decorso causale e fattuale.
Volendo anticipare da subito quelle che saranno le conclusioni delle brevi riflessioni a
seguire, si può affermare che il concetto di “potere giuridico impeditivo” è, da un lato,
senz‟altro debitore delle teorie sul dominio causale; dall‟altro lato, invece, esso si
distanzia da quelle teorie.
Il debito che il concetto di potere impeditivo ha nei confronti delle teorie sul dominio
causale consiste in ciò: nel fatto che “la piena emersione del ruolo del potere di
impedimento come requisito fondante la posizione di garanzia si deve, nel panorama
182
Vadasi per tutti I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit.,
pp. 71 ss..
183
Si veda retro, Capitolo III, Sezione III.
184
G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 163. Si veda retro, nel capitolo I
sezione III, il paragrafo dedicato alla teoria cosiddetta sostanziale.
185
Né può trattarsi di un potere inteso, alternativamente, come fattuale (quando trattisi di obblighi di
protezione o di controllo) o giuridico (quando trattasi di obblighi di impedire il reato commesso da altri).
Per la critica alla impostazione subito sopra descritta, vedasi I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di
garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 73.
Per l‟analisi della consistenza che devono assumere i poteri impeditivi, quando trattasi di obblighi di
impedire il reato commesso da altri, vedi infra, Sezione II del presente capitolo.
60
scientifico penale, alla teoria sul dominio (Herrschaftstheorie)” (186).
Va difatti riconosciuto alle “teorie sulla signoria sull‟accadimento” il merito di aver
intuito la ratio della responsabilità per omesso impedimento dell‟evento (187): di aver
intuito, cioè, che la equiparazione tra l‟omissione e la causazione si giustifica per il fatto
che il garante tiene sotto il suo perdurante controllo i fattori di rischio; che deve esistere,
quindi, una piena corrispondenza tra i doveri impeditivi ed i poteri di cui il garante
dispone.
Si è visto dunque come il concetto di potere giuridico impeditivo affondi le sue radici
concettuali nelle cosiddette teorie sul dominio. Tuttavia, come si è anticipato sopra, il
concetto di potere giuridico impeditivo, pur prendendo le mosse da quelle teorie, si è da
esse distaccato. La dottrina che si è occupata del tema ha difatti progressivamente preso
atto dell‟insufficienza del criterio del “potere naturalistico di intervento” a fondare un
obbligo rilevante si sensi dell‟art. 40 comma 2 c.p. ( 188 ), sino ad affermare senza
titubanze che:
a) il potere naturalistico (signoria fattuale) sul decorso causale non è detto che sia
necessario (189);
b) il potere naturalistico non è in ogni caso sufficiente (190);
c) è dunque necessario che il potere impeditivo – così come il dovere impeditivo – sia
previsto da una fonte formale: ciò, in conformità al disposto dell‟art. 40 comma 2 c.p.,
al principio costituzionale di legalità nonché in conformità alla natura normativa della
186
N. PISANI, Controlli sindacali, cit., p. 43.
187
In tali termini I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p.
72.
188
In tal senso si vedano, fra gli altri, G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 239-242; A.
FIORELLA, Il trasferimento di funzioni, cit., p. 186 e p. 225, N. PISANI, Controlli sindacali, cit., pp. 45 e
50.
189
Vengono portati come esempi tutti quei casi in cui il garante non sia in grado di intervenire in prima
persona sul decorso causale (ad esempio un processo patologico) ma debba ricorrere ad un altro soggetto
(ad esempio un medico, perché questi rimuova la situazione di pericolo per il bene) (Così I. LEONCINI,
Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 73).
190
Tutt‟altro: «a sviluppare (...) coerentemente la teoria del dominio sull‟accadimento si dovrebbe
arrivare a conclusioni poco convincenti»; ciò in quanto «si dovrebbe giungere alla conclusione che il
passante che versando nella situazione descritta dall‟art. 593 c.p., omettesse di intervenire, causando la
morte del pericolante, dovrebbe rispondere di omicidio per omissione o semplicemente di omissione di
soccorso a seconda che avesse o non una misura così alta di potere (naturalistico) di salvataggio» (Così
A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni, cit., p. 202).
61
omissione (191).
2.4. L’approdo raggiunto dalle più recenti elaborazioni dottrinarie: l’obbligo
impeditivo ex art. 40 cpv. c.p. deve essere inteso come “obbligo di garanzia”.
La ricostruzione dell‟obbligo impeditivo ex art. 40 cpv. c.p. alla luce dei principi
costituzionali che governano la responsabilità penale; le suggestioni provenienti dalle
“teorie sul dominio”, emancipate dal riferimento al mero potere naturalistico ed
agganciate ad una base formale; l‟avvertita necessità di raggiungere una integrazione
efficace e feconda tra criteri formali e criteri sostanziali: tutti gli elementi appena
descritti hanno svolto il ruolo di affluenti, i quali hanno portato acqua verso un‟unica
foce: l‟ancoraggio della “posizione di garanzia” - e del suo requisito contenutistico,
consistente, come si è visto sopra, nei poteri propriamente impeditivi – all‟elemento
della giuridicità formale ( 192 ). Ecco dunque che alla posizione di garanzia, nel suo
complesso, sono state assegnate una nozione, ed una consistenza, di tipo “giuridicoformale”(193): ciò è avvenuto richiedendo che “non solo il dovere di agire, ma anche la
191
Così I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 73.
L‟Autrice, laddove elenca i limiti delle tesi sulla signoria sul decorso causale, descrive in primis il seguente: «contraddittoriamente si pretende di spiegare la causalità omissiva, cui si nega qualsiasi consistenza fisica, proprio con il concetto naturalistico del dominio fattuale sul decorso causale, fondandosi la
punibilità per il reato omissivo improprio su un‟impossibile «efficienza causale» dell‟omissione, anziché
sul suo equivalente normativo».
192
Si ritiene di poter affermare che, volendo ripercorrere la linea evolutiva delle teorie (sviluppate dalla
dottrina italiana) sulle fonti dell‟obbligo impeditivo ex art. 40 cpv., il tracciato potrebbe essere disegnato
come segue: l‟impostazione primigenia e tradizionale ravvisava il fondamento dell‟obbligo ex 40 cpv. in
una necessaria fonte formale; la concezione sostanziale si proponeva di guardare alla funzione della
responsabilità per omesso impedimento, e la ravvisava nella sussistenza di specifici vincoli di garanzia,
cioè nella posizione di garanzia; la teoria mista si prefiggeva di applicare “consecutivamente” entrambi i
criteri, quello formale e quello sostanziale. Bene, si può notare come le più recenti elaborazioni
dottrinarie, pienamente consapevoli del fondamento e della consistenza della “funzione di garanzia”,
vadano alla ricerca, per così dire, della giuridicità di essa: l‟ultimo approdo dell‟evoluzione dogmatica in
materia sarebbe pertanto costituito da una sorta di “nozione giuridico-formale della posizione di
garanzia”.
193
Di “ricostruzione in termini giuridico-formali del concetto di posizione di garanzia” parla espressamente I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 77.
62
funzione di garanzia trovi riscontro in una previsione formale” (194).
L‟obbligo rilevante ex art. 40 cpv. è stato insomma ricostruito come “obbligo di
garanzia” (195) : l‟obbligo davvero rilevante ex art. 40 cpv. – l‟unico obbligo violando il
quale si può essere chiamati a rispondere, sussistendone tutti gli altri presupposti, come
se si fosse cagionato un evento – è l‟obbligo che abbia la “consistenza” di un obbligo di
garanzia.
L‟obbligo di garanzia viene definito come “quell‟obbligo giuridico, gravante su
specifiche categorie di soggetti (c.d. garanti), muniti dei necessari poteri giuridici, di
vigilare e intervenire direttamente sulla situazione di pericolo per impedire eventi lesivi
degli altrui beni, la cui tutela è loro «affidata», per l‟incapacità dei titolari di
salvaguardarli appieno (196)” (197).
Da qui dinnanzi si procederà come segue. In un primo momento verrà effettuata una
elencazione – la quale, in buona parte, coinciderà con una ricapitolazione – dei caratteri
qualificanti gli obblighi di garanzia. In un secondo momento, proprio facendo leva sui
caratteri suddetti, verrà tratteggiata una distinzione tra gli obblighi di garanzia ed altre
tipologie di obblighi – gli obblighi di sorveglianza e gli obblighi di attivarsi – i quali,
seppur presentino delle affinità con i primi, non vanno con quelli confusi.
Iniziando dai caratteri dell‟obbligo di garanzia, va detto che esso - così come si è
già ampiamente osservato – deve trovare la sua fonte nella legge o in un altro atto dotato
194
I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 193. Si ritiene
opportuno riportare qui di seguito l‟intero passaggio argomentativo: «(...) occorre (..) puntualizzare quanto già presente in nuce nella concezione «mista». Da essa, infatti, può logicamente ricavarsi un terzo,
fondamentale profilo della fattispecie omissiva impropria, oltre a quelli prima indicati (necessaria giuridicità formale dell‟obbligo di garanzia, ricavabile dalla tesi formale; e sua funzione di tutela rafforzata,
ricavabile dalla tesi sostanzialistico-funzionale”, e, cioè, il necessario fondamento giuridico-formale della Garantenstellung nel suo complesso. Da quest‟angolo visuale, il criterio di selezione degli obblighi di
garanzia rispetto agli altri obblighi di attivarsi, indicato dalla concezione mista (e, cioè, che si tratti di
obblighi giuridici, espressamente previsti da una fonte formale; e che rispondano alla funzione di garanzia) deve essere integrato, richiedendo che non solo il dovere di agire, ma anche la funzione di garanzia
trovi riscontro in una precisione formale. E, come si è visto, ciò che rende riconoscibile sotto il profilo
giuridico-formale tale funzione di garanzia (...) è la previsione normativa del complesso dei poteri giuridici, di vigilanza e intervento (c.d. impeditivi) , spettanti al garante».
195
Tale locuzione - “obbligo di garanzia” - sta proprio ad esprimere l‟ancoraggio formale (“obbligo”) della
funzione di garanzia.
196
I corsivi sono nostri. Con essi si è inteso evidenziare i requisiti che devono essere posseduti
dall‟obbligo di garanzia; tali requisiti condensano i frutti di quelle riflessioni – compiute sul tema dalla
dottrina più recente – di cui si è dato conto nei paragrafi che precedono.
197
I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 79. Similmente F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 2007, p. 156 ss..
63
del carattere della giuridicità formale (198).
È sempre dal rispetto del principio di legalità (199) che scaturisce l‟ulteriore requisito
dell‟obbligo di garanzia: esso deve preesistere rispetto al verificarsi del presupposto di
fatto che attualizza lo specifico obbligo di impedire l‟evento. La preesistenza
dell‟obbligo implica la necessaria sussistenza di una regolamentazione giuridica –
preesistente, appunto – la quale disciplini i doveri ed i (corrispondenti) poteri del
garante (200).
Ciò che conta, dunque, al fine di poter riscontrare la presenza di un obbligo di garanzia,
è che vi sia una specifica norma (o un insieme di norme) che attribuisce una posizione
di garanzia ad un soggetto, posizione di garanzia che preesiste rispetto alla situazione di
pericolo (o comunque alla situazione di fatto) che attualizza l‟obbligo di attivarsi (201).
Ancora, la regolamentazione giuridica de qua deve conferire al garante i poteri per
esplicare un intervento che sia valutabile, già sul piano astratto, come un intervento
immediatamente diretto “sulla” situazione di pericolo e come un intervento
(potenzialmente) risolutivo ( 202 ): solo laddove il garante disponga di poteri giuridici
effettivamente risolutivi, può risultare soddisfatta la funzione profonda della
responsabilità per omesso impedimento dell‟evento e, dunque, allo stesso tempo, può
198
Sulle conseguenze della nuova concezione in ordine a quelle che possono essere le fonti formali
dell‟obbligo impeditivo, si veda infra, ultimo paragrafo della presente Sezione.
199
In tal senso I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 74.
200
Secondo parte della dottrina tale preesistente regolamentazione giuridica deve essere necessariamente
una regolamentazione extrapenale, nel senso che essa non può essere tratta dalla norma incriminatrice
stessa.
Ancora, proprio facendo leva sul carattere della necessaria preesistenza della regolamentazione, parte
della dottrina esclude che l‟obbligo di garanzia possa nascere autonomamente da una norma
incriminatrice sul reato omissivo proprio: la norma che incrimina un reato omissivo proprio si limita a
sancire un obbligo, ricollegandone l‟insorgenza al verificarsi di un determinato presupposto; l‟obbligo di
garanzia, al contrario, presuppone l‟esistenza di una disciplina preesistente, appunto, rispetto al verificarsi
del presupposto che attualizza l‟obbligo stesso, disciplina che forgia i contorni (doveri e poteri) di esso.
(Sulla natura, extrapenale o penale, della legge contenente l‟obbligo impeditivo, vedasi retro, Capitolo I
Sezione III e infra, ultimo paragrafo della presente sezione).
201
Appare interessante notare come, già negli anni Ottanta, parte della dottrina, nel tentare di ravvisare i
caratteri distintivi dell‟obbligo impeditivo di cui all‟art. 40 cpv, avesse puntato l‟attenzione sull‟elemento
del preventivo conferimento di poteri. Ci si riferisce in particolar modo a A. FIORELLA, Il trasferimento di
funzioni, cit., p. 203. L‟Autore, in quel contesto, rifletteva sui caratteri distintivi dell‟obbligo giuridico
impeditivo al fine di poter stabilire se un tale obbligo potesse o meno ritenersi sussistente in capo ad un
“dante incarico”, cioè ad un soggetto che aveva trasferito le proprie funzioni mediante una delega.
202
64
I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 77.
apparire giustificata l‟equiparazione dell‟omesso impedimento alla causazione attiva
(203).
Altri caratteri fondamentali dell‟obbligo di garanzia sono quelli già anticipati sopra, nel
paragrafo dedicato alla lettura “costituzionalmente orientata” dell‟obbligo ex art. 40
cpv.: per ciò che concerne il contenuto, l‟obbligo di garanzia deve essere un obbligo
sufficientemente specifico, in ossequio al principio di tassatività; per ciò che concerne i
destinatari, esso può gravare soltanto su specifiche categorie di soggetti; per ciò che
riguarda il rapporto con il bene da proteggere, tra il bene stesso ed il garante deve
intercorrere un vero e proprio rapporto di dipendenza.
Per poter rilevare ai sensi dell‟art. 40 cpv., un obbligo giuridico deve possedere, dunque,
tutti i requisiti qui sopra analizzati.
Non appare inopportuno compiere da ultimo una precisazione, di carattere
terminologico e non solo.
Se l‟obbligo rilevante ex art. 40 cpv. va ricostruito con tutti i caratteri che si sono visti
sopra – e se, pertanto, la funzione di garanzia, la quale si esprime nella sussistenza di
poteri (oltre che doveri) impeditivi, deve essere “giuridicamente” contemplata e prevista
che ne è della “vecchia” concezione – nonché della relativa terminologia – di
-
“posizione di garanzia”?
Si ricorda qui per inciso che il termine “posizione di garanzia”, coniato nelle sedi di
elaborazione delle teorie sostanzial-funzionaliste, è poi diventato una formula alla
moda, una formula di assoluta tendenza, per riferirsi, in generale, all‟obbligo giuridico
impeditivo di cui parla il comma 2 dell‟art. 40 del codice penale (204).
Bene, la dottrina non ha mancato di osservare che «la nozione di matrice tedesca di
«posizione di garanzia» (...) può essere (...) conservata solo a patto che il concetto di
posizione di garanzia venga ricostruito nei termini giuridico-formali sopra indicati (...)
cioè come posizione giuridica di garanzia (...)» (205).
203
204
In tal senso I. LEONCINI, op. loc. ult. cit..
Vedi retro, Capitolo I, Sezione III.
205
I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 78. L‟Autrice
precisa che il passaggio dalla locuzione “posizione di garanzia” alla locuzione “posizione giuridica di garanzia” non si risolverebbe in una mera variazione terminologica. Tutt‟altro, «il riferimento ad una nozione giuridico-formale (anziché meramente fattuale) di posizione di garanzia ha importanti riflessi pratici»: ad esempio, per ciò che concerne l‟identificazione del momento dell‟insorgenza dell‟obbligo di garanzia «non si dovrà guardare, come per opinione relativamente diffusa si ritiene, alla «assunzione» (fat-
65
2.5. L’“obbligo di garanzia” deve essere distinto dagli obblighi di attivarsi (segue).
A questo punto, come si è già anticipato sopra, l‟attenzione dovrà essere
focalizzata sulla distinzione – non sempre cristallina, eppur necessaria da compiere – tra
“obblighi di garanzia” rilevanti ex art. 40 cpv. ed altre categorie di obblighi.
È stata proprio la ricostruzione dell‟obbligo impeditivo di cui parla l‟art. 40 c.p. nei
termini sopra descritti, che ha condotto la dottrina a differenziare, a distanziare, un tale
obbligo da altri obblighi i quali – sebbene presentino dei tratti di vicinanza con
l‟obbligo di garanzia – tuttavia non manifestano tutti i caratteri di quello.
La classificazione che è stata forgiata contrappone gli obblighi di garanzia agli obblighi
che sono stati nominati “di attivarsi” nonché agli obblighi che sono stati nominati “di
sorveglianza”.
Si osserva per inciso – ma sul tema si avrà modo di tornare più volte - che la
tripartizione suddetta è ben lontana dall‟avere un rilievo meramente terminologico:
incasellare un determinato “obbligo di fare” (206) nell‟una o nell‟altra categoria importa
conseguenze dirompenti da un punto di vista penalistico. Difatti soltanto laddove venga
violato un obbligo al quale possono essere riconosciuti i tratti del vero e proprio obbligo
di garanzia, l‟autore della violazione, sussistendone tutti i presupposti, può essere
chiamato a rispondere – non di una sanzione (penale, civile, amministrativa o, perché
no, soltanto disciplinare) prevista ad hoc per l‟“inadempimento” dell‟obbligo, bensì –
dell‟evento non impedito, allo stesso modo in cui sarebbe stato chiamato a rispondere se
lo avesse (fisicamente, naturalisticamente) cagionato. Ciò in quanto - come detto già più
e più volte – solo il vero e proprio obbligo di garanzia è quello che può rilevare ex art.
40 cpv. c.p..
Prima di entrare in medias res, analizzando nei loro contenuti le categorie degli
tuale e concreta) da parte del soggetto dei compiti di protezione od di controllo, bensì al momento in cui,
in base ad una specifica norma, il garante risulti giuridicamente investito dei poteri-doveri impeditivi».
206
Si è impiegata appositamente una locuzione – quella di “obbligo di fare” - generica ed atecnica, la
quale fosse tuttavia in grado di richiamare alla mente un “dovere positivo” e, dunque, in caso di
inadempimento, la configurazione di una responsabilità di tipo omissivo.
66
obblighi cosiddetti di attivarsi e di quelli di sorveglianza, appare opportuno soffermarsi
a compiere un paio di osservazioni preliminari.
Innanzitutto appare opportuno compiere una breve “contestualizzazione” della
tripartizione summenzionata: le categorie nominate “obblighi di sorveglianza”,
“obblighi di attivarsi” e “obblighi di garanzia” sono anch‟esse (207) di conio dottrinario
( 208 ); la percezione di tali categorie ha faticato a penetrare tanto nelle stesse sedi
dottrinarie quanto, ancor di più, nella prassi giurisprudenziale (209). Si anticipa sin da
subito che con tali categorie la giurisprudenza sta oggi prendendo lentamente
confidenza (210) e che di essa si rinviene traccia in alcuni recenti progetti di riforma del
codice penale (211).
207
Di conio dottrinario, come si è già detto, era pure la locuzione “posizione di garanzia”. Ciò non fa che
testimoniare, ad avviso di chi scrive, come ci si trovi all‟interno di una materia in cui – stante la
(insopportabile) laconicità del testo normativo di riferimento – è grazie agli sforzi degli interpreti che si
cerca di delimitare le terre e di segnare contorni e confini della penale responsabilità.
208
Quando si parla di conio dottrinario, ci si riferisce in particolare a F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 1992, pp. 197 ss.; IDEM, L‟obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi, cit.,
pp. 342 ss.; I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., passim.
Si ritiene di poter affermare che un antesignano della tripartizione “obblighi di garanzia/obblighi di
sorveglianza/obblighi di attivarsi” possa essere considerato A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni, cit.,
passim. Ciò, nei termini che verranno qui di seguito precisati. L‟Autore nella sua opera monografica ha
indagato, tra le altre cose, la consistenza degli obblighi di sorveglianza residuanti in capo al dante
incarico, domandandosi se tali obblighi potessero o meno integrare quelli di cui parla l‟art. 40 cpv. Ora,
sebbene la distinzione terminologica (obblighi di garanzia/ obblighi di sorveglianza) non appaia
compiutamente messa a fuoco (vedansi in particolare pp. 199, 211), il problema sostanziale sotteso a
quella distinzione era già stato pienamente colto: ad essere percepito, cioè, è stato il fatto che vi sono
obblighi i quali – seppur risultano muniti di uno specifico contenuto di vigilanza e sorveglianza – tuttavia
non possono sic et simpliciter essere ricondotti agli obblighi impeditivi di cui parla l‟art. 40 cpv c.p..
209
Nel 1999 in dottrina si scriveva che «le distinzioni tra mero obbligo di attivarsi e di garanzia e, soprattutto, tra quest‟ultimo e quello di sorveglianza appaiono, finora, insufficientemente penetrate sia
nell‟elaborazione teorica, sia, e soprattutto, nella prassi giurisprudenziale. Quanto alla dottrina (...) la
necessità di una netta distinzione tra le suddette categorie di obblighi e, segnatamente, tra quello di garanzia e di sorveglianza, è emersa solo in tempi recentissimi, e sembra ancora trascurata dalla maggioranza degli autori (...). Peraltro, anche qualora distinzioni tra i vari tipi di obblighi di agire siano poste
in astratto, vi è una consistente disparità di vedute sui criteri distintivi, sulle ipotesi riconducibili all‟una
o all‟altra categoria. (...) Passando alla giurisprudenza, (...) emerge un quadro ancor più incerto e confuso di quello precedentemente osservato. Qui, infatti, le necessarie distinzioni concettuali tra obblighi di
attivarsi, di garanzia e di sorveglianza (...) appaiono spesso completamente trascurate» (I. LEONCINI,
Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 19-27). L‟Autrice prosegue
denunciando come il tema in esame sia «tra quelli che maggiormente rivelano la progressiva allarmante
frattura, che sta sempre più venendo a caratterizzare il rapporto tra elaborazione dogmatica e prassi applicativa nel nostro ordinamento».
210
Si rinvia infra al capitolo III.
211
Si veda infra capitolo IV.
67
In secondo luogo ci preme rilevare come l‟impiego dei termini “obblighi di garanzia”/
“obblighi di attivarsi”/“obblighi di sorveglianza” - ove effettuato senza piena cognizione
di causa – rischi di ingenerare quanto mai pericolosi equivoci.
Difatti attribuendo a tali termini un significato fedele a quello elaborato dalla
impostazione teorica che ha coniato la tripartizione suddetta, le categorie degli “obblighi
di sorveglianza” e degli “obblighi di attivarsi” vanno intese come autonome categorie di
doveri di agire, cioè come categorie che si situano – rispetto a quelle degli obblighi di
garanzia ex art. 40 cpv. – in termini di netta contrapposizione.
Accade invece che spesso i termini “obblighi di sorveglianza”; “obblighi di garanzia”,
“obblighi di attivarsi”, vengano impiegati in un senso per così dire atecnico e
promiscuo. Ad esempio talora accade che si impieghi il termine di “obbligo di
sorveglianza” - anziché per intendere una categoria diversa dall‟obbligo di garanzia
rilevante ex art. 40 cpv. - per riferirsi, con esso, a determinati doveri (di sorveglianza,
appunto), gravanti su di un soggetto reputato garante: per dirla altrimenti, talora il
termine “obbligo di sorveglianza” viene impiegato per indicare taluni degli obblighi del
garante (o comunque di un soggetto reputato tale), cioè per indicare talune delle
funzioni che competono al garante. I paventati rischi di confusione terminologica
compaiono massicci, ad esempio, nell‟ambito della delega di funzioni: in tale contesto,
infatti, il termine “obblighi di sorveglianza” è stato spesso impiegato per indicare quei
doveri “residuali” gravanti sul soggetto delegante, soggetto il quale veniva considerato
(ancora) titolare di una posizione di garanzia (212).
Bene, da qui dinnanzi, quando si impiegheranno i termini “obbligo di attivarsi” e
“obbligo di sorveglianza”, lo si farà in senso, per così dire, tecnico: essi verranno intesi
come categorie di obblighi contrapponentisi agli obblighi di garanzia; obblighi di
garanzia i quali, soli, possono fondare, se violati, una responsabilità per omesso
impedimento dell‟evento.
Compiute le precisazioni che precedono ci si dedicherà ora all‟analisi delle
categorie degli obblighi di attivarsi e di quelli di sorveglianza.
212
In tal senso vedasi ad esempio I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 151, nota 94. La confusione che spesso si fa registrare in tema di delega di funzioni conferma proprio quanto esposto nel corpo del testo, e cioè il fatto che spesso il termine “obblighi di sorveglianza” viene impiegato non come categoria autonoma e distinta rispetto all‟obbligo di garanzia, bensì
come termine che indica alcuni dei doveri gravanti sul soggetto titolare di un obbligo (reputato essere) di
garanzia. Sul tema della delega di funzioni, si veda infra, capitolo III.
68
Con la locuzione “obblighi di attivarsi” la dottrina più recente intende riferirsi a
dei doveri di agire, che si attualizzano al verificarsi di un determinato presupposto (atto
o fatto giuridico) indicato da una norma. La norma in questione può essere una norma
extrapenale – in tale caso la disciplina nonché l‟eventuale sanzione per la violazione si
esauriscono in altri rami del diritto (213) - oppure una norma penale; in tale ultimo caso
ci si troverà dinnanzi ad una norma penale che incrimina un reato di tipo proprio (214).
L‟obbligo di attivarsi si caratterizza per via del fatto che il rapporto sussistente tra il
soggetto obbligato (a fare qualcosa) ed il bene (che dalla prescritta azione risulterebbe
tutelato) non preesiste: tale rapporto è creato direttamente dalla norma (incriminatrice)
che pone l‟obbligo stesso; l‟obbligo di attivarsi insorge solo e soltanto nel momento in
cui si verifica il presupposto indicato dalla norma stessa.
Gli obblighi di attivarsi possono essere rivolti sia alla generalità dei consociati (si pensi
agli obblighi di cui agli articoli 593, 694, 364 del codice penale), sia a specifiche
categorie di soggetti ( 215); in ogni caso si tratta di destinatari privi dei doveri-poteri
giuridici impeditivi di eventi determinati.
Ora, le differenze tra l‟obbligo di attivarsi e l‟obbligo di garanzia risultano evidenti. Gli
obblighi di garanzia gravano sempre su categorie (pre-)determinate di soggetti ( 216 )
mentre gli obblighi di attivarsi possono anche gravare sul quisque de populo (si pensi al
soggetto che, passeggiando per strada, si imbatte per caso in un corpo umano che sia o
sembri inanimato). Ciò che maggiormente distingue gli obblighi di attivarsi da quelli di
garanzia è l‟elemento della preesistenza: l‟obbligo di garanzia difatti, per essere
realmente impeditivo, deve essere considerato tale già in astratto, con il conferimento al
garante di specifici poteri giuridici di vigilanza e intervento sulla situazione di pericolo,
preesistenti al verificarsi della stessa; l‟obbligo di attivarsi invece sarebbe caratterizzato
213
In tal senso I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p.
55.
214
Vedi retro, capitolo I sezione I.
215
In dottrina si fa l‟esempio degli obblighi di denuncia di cui agli articoli 361, 362 e 365 c.p., gravanti,
rispettivamente, sui pubblici ufficiali, sugli incaricati di un pubblico servizio e sugli esercenti una
professione sanitaria.
216
69
Come rilevato sopra, il reato omissivo improprio è un reato proprio.
da poteri di intervento meramente fattuali e contingenti (217).
Bene, dalla violazione di un obbligo di attivarsi non può mai discendere una
responsabilità per omesso impedimento dell‟evento (218), poiché l‟obbligo di attivarsi
non può in alcun modo – per tutte le ragioni viste sopra – essere assimilato ad un
obbligo giuridico impeditivo dell‟evento ex art. 40 cpv. c.p..
2.6. (segue) ... e dagli obblighi di mera sorveglianza.
Si può analizzare ora l‟ultima delle tre categorie di obblighi, quella degli
obblighi di sorveglianza. Le elaborazioni teoriche fautrici della tripartizione suddetta
definiscono gli obblighi di sorveglianza come quegli obblighi, posti a carico di
determinati soggetti, muniti di poteri-doveri giuridici di controllo su altrui attività, ma
privi di poteri giuridici autenticamente “impeditivi”, di vigilare sullo svolgimento delle
attività suddette e di intervenire, in caso di violazione delle leggi penali, mediante una
condotta (consistente, di regola, nell‟informare il garante o il titolare del bene), che non
può, di per sé, impedire l‟altrui comportamento illecito (219).
Da tale definizione possono essere colte con immediatezza le analogie che l‟obbligo di
sorveglianza presenta rispetto all‟obbligo di garanzia. L‟obbligo di sorveglianza, così
come quello di garanzia, grava su particolari e ben determinati soggetti; si tratta di
soggetti dotati di poteri giuridici di controllo sull‟altrui attività.
Ancora, l‟obbligo di sorveglianza, così come quello di garanzia, è un obbligo
preesistente, nel senso che esso viene a configurarsi in un momento antecedente rispetto
217
Si veda I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 74 ss.
218
Occorre anche qui badare a non cadere in equivoci. Alla violazione di un obbligo di attivarsi (si pensi
all‟obbligo di prestare soccorso, stabilito dall‟art. 593 c.p., commi 1 e 2) potrebbe sì conseguire una
responsabilità penale per l‟evento verificatosi ma, tuttavia, non si tratterebbe mai di una responsabilità
che sorge in virtù del meccanismo di equiparazione ex art. 40 co. 2 c.p. (Proseguendo nell‟esempio, a
colui che omette di prestare soccorso può sì venire addebitato l‟evento (morte o lesioni) verificatosi a
seguito dell‟omissione, ma tale “addebito” non avverrebbe in quanto il soggetto viene considerato
omittente, bensì in forza della specifica ipotesi aggravata, contemplata dal comma 3 dell‟art. 593 stesso).
219
I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., pp. 151-152.; F.
MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 1992, p. 198; ID., Diritto penale, Parte generale,
Padova, 2007, p. 156 ss.
70
a quello in cui sorge la situazione di pericolo per l‟interesse tutelato. Il carattere della
preesistenza, peraltro, è reso possibile proprio dal fatto che esistono specifici soggetti
pre-muniti, appunto, di doveri e poteri di controllo e vigilanza.
I titolari di un obbligo di sorveglianza – nel caso in cui riscontrino una “irregolarità”
nello svolgimento dell‟attività oggetto del controllo – hanno, così come i titolari di
obblighi di garanzia, doveri e poteri di iniziativa e di intervento.
I tratti comuni tra obblighi di sorveglianza e obblighi di garanzia si arrestano a quelli
appena descritti.
Profondi ed incisivi sono poi i caratteri che differenziano queste due tipologie di
obblighi. Le differenze riguardano la intima consistenza dei poteri giuridici di cui
dispongono i soggetti obbligati, nonché le modalità attraverso le quali possono
esplicarsi i doveri di intervento. Difatti il titolare di un obbligo di garanzia dispone,
come si è visto nel paragrafo che precede, di poteri e doveri di controllo e vigilanza cui
corrispondono poteri e doveri giuridici impeditivi: ciò significa che il garante è tale
quando è munito di poteri giuridici di tipo coercitivo nei confronti del soggetto
controllato, poteri che gli consentono di intervenire, direttamente, in prima persona ed
efficacemente (220). Andrà invece considerato titolare di un obbligo di mera sorveglianza
quel soggetto il quale, pur avendo un potere giuridico di controllo sull‟attività dei
sorvegliati, non dispone di un corrispondente potere di intervento ed impeditivo: ciò
significa che, nel caso in cui nell‟attività oggetto di controllo venga ravvisata una
irregolarità, il titolare di un obbligo di sorveglianza non ha il potere giuridico di
intervenire ed ostacolare efficacemente la realizzazione dell‟attività stessa; le modalità
attraverso le quali si esplica il potere di intervento risultano sostanzialmente circoscritte
alla possibilità, per il titolare di un obbligo di sorveglianza, di informare il titolare del
bene o il garante (221) (222).
220
In dottrina si fa l‟esempio degli obblighi dei superiori gerarchici nei confronti dell‟attività posta in
essere dai militari subordinati (I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di
sorveglianza, cit., p. 153).
221
In dottrina si fa l‟esempio del potere di informazione dell‟assemblea, da parte dei sindaci, dei fatti
criminosi denunciati da singoli soci al collegio sindacale o rilevati da questo nell‟esercizio dei propri
poteri di controllo. Si veda sempre I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di
sorveglianza, cit., p. 153.
222
A conferma del fatto che il titolare di un obbligo di sorveglianza difetta di poteri realmente impeditivi,
si può osservare che molti di quelli che la dottrina più recente annovera tra gli obblighi cosiddetti di
sorveglianza, sono obblighi che si esplicano «nei confronti di soggetti dotati di diversi o superiori poteri,
competenze e funzioni, o che, comunque, godono di un‟autonomia decisionale rispetto all‟obbligato
71
Volendo prendere a prestito categorie civilistiche, si potrebbe asserire che – rispetto alla
situazione di offesa per il bene tutelato – l‟obbligo di garanzia rappresenta
un‟obbligazione
di
risultato
mentre
l‟obbligo
di
sorveglianza
rappresenta
un‟obbligazione di mezzi (223).
Bene, stando a tutto quanto sin qui affermato, si evince che, laddove una norma
giuridica (224) conferisca ad un determinato soggetto dei poteri di controllo e vigilanza
sull‟altrui attività, occorrerà comprendere (225) se detti poteri – anche in considerazione
dell‟incisività dell‟intervento che il soggetto obbligato potrà apprestare – possano o
meno impedire la realizzazione della attività oggetto di controllo e determinare la
cessazione della situazione di pericolo.
Quello sopra descritto risulta dunque essere il criterio applicando il quale è possibile:
a) discernere correttamente tra obblighi di garanzia ed obblighi di sorveglianza e, di
conseguenza,
b) applicare “legittimamente” la clausola di equivalenza di cui all‟art. 40 cpv. c.p.;
c) affermare una responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento nel pieno
rispetto dei principi costituzionali di legalità e di personalità della responsabilità penale.
Difatti laddove un soggetto possa reputarsi munito di doveri-poteri giuridici
propriamente impeditivi rispetto al verificarsi di un certo evento, lì potrà dirsi
sussistente un obbligo di garanzia ex 40 cpv. e dunque potrà configurarsi, sussistendone
tutti i presupposti, una responsabilità per omesso impedimento dell‟evento. Laddove
invece un soggetto dovesse risultare munito sì di doveri-poteri giuridici di controllo e
vigilanza, ma non di correlativi poteri realmente impeditivi, lì dovrebbe configurarsi un
obbligo cosiddetto di sorveglianza; l‟obbligo di sorveglianza non è assimilabile
sull‟atto integrante il reato» (Così I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di
sorveglianza, cit., p. 152).
223
Per gli efficaci accostamenti tra obblighi di garanzia ed obbligazioni di risultato e tra obblighi di
sorveglianza ed obbligazioni di mezzi, vedasi ad esempio A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni, cit.,
p. 201: «(...) con la prima formula si vuole qui indicare l‟ipotesi in cui la norma considera immediato
oggetto dell‟obbligo il raggiungimento di un risultato (che per noi è l‟impedimento dell‟evento), e con la
seconda formula l‟ipotesi in cui la norma considera immediato oggetto dell‟obbligo il solo compimento
di determinate attività (l‟impedimento dell‟evento appare in un certo senso come effetto mediato
dell‟efficacia che abbia la condotta di agevolare l‟impedimento medesimo)».
224
225
Sul concetto di “giuridicità” vedasi infra, Capitolo IV.
E tale lavoro di “comprensione” dovrà essere compiuto inevitabilmente – e non senza sforzi – dagli
interpreti. Sul punto si veda infra, capitolo IV.
72
all‟“obbligo giuridico di impedire l‟evento” di cui parla l‟art. 40 cpv. (l‟obbligo di
sorveglianza non è, appunto, un obbligo di garanzia) e dunque la di esso violazione non
può fondare una responsabilità per omesso impedimento dell‟evento (226).
La violazione di un obbligo di sorveglianza potrà assumere un rilievo penale (227) solo e
soltanto nei casi in cui esista una norma che preveda, ad hoc, una punizione per tale
violazione (228).
Del fatto che la distinzione tra “obblighi di sorveglianza” ed “obblighi di
garanzia” finisca col tradursi, il più delle volte, nella distinzione tra “obblighi di
sorveglianza” ed “obblighi di garanzia sub specie di obblighi di impedire il reato altrui”,
si parlerà nella sezione II del presente capitolo.
Nell‟immediato prosieguo, invece, si continuerà a parlare, in termini generali,
della figura dell‟obbligo di garanzia. In particolare ci si concentrerà sui due profili
seguenti:
1) si cercherà di descrivere come avvenga la “concretizzazione operativa” di quello che
è stato individuato essere il criterio distintivo tra obblighi di garanzia ed obblighi di
sorveglianza, e cioè la sussistenza di poteri giuridici impeditivi;
2) verranno svolte delle precisazioni in tema di fonti degli obblighi di garanzia.
All‟aspetto sub 2) ci si dedicherà nel paragrafo seguente.
Se il criterio utilizzato per tracciare le linee di confine tra obblighi di garanzia e
226
Dispiace ripetere cose già abbondantemente affermate sopra (e cioè che l‟obbligo di sorveglianza va
tenuto distinto dall‟obbligo di garanzia; che la violazione di un obbligo di sorveglianza non può fondare
una responsabilità ex art. 40 cpv.). Ciò nonostante, i repetita ci sembrano in questo caso non inopportuni.
Ciò in quanto si tratta di un contesto davvero delicatissimo: da un lato, distinguere tra obblighi di garanzia
e obblighi di sorveglianza è un‟operazione complessa e sfuggente, un‟operazione peraltro rimessa alla
buona volontà degli interpreti; dall‟altro lato, ignorare o “mancare” tale distinzione, conduce al rischio di
affermare delle penali responsabilità in totale dispregio dei basilari principi costituzionali posti a
salvaguardia della libertà personale dei cittadini.
227
Le violazioni degli obblighi di sorveglianza potrebbero inoltre assumere rilievo, ovviamente,
all‟interno dei rami dell‟ordinamento in cui detti obblighi sono previsti: ad esempio alle violazioni degli
obblighi di sorveglianza potrebbero conseguire delle “reazioni” di tipo civilistico oppure delle sanzioni
disciplinari, etc.
228
In tal senso ad esempio I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di
sorveglianza, cit., p. 155. L‟Autrice si rende bene conto del fatto che tale prospettiva rischia di aprire
significativi vuoti di tutela, in quanto è facile che accada che la violazione di un obbligo di sorveglianza –
e cioè la condotta inerte tenuta dal titolare di un tale obbligo – resti del tutto impunita (Stante la sopra
spiegata impossibilità che dalla violazione di un obbligo di sorveglianza discenda una responsabilità ex
art. 40 cpv, tale violazione resterebbe impunita tutte le volte in cui mancasse una specifica norma
incriminatrice che preveda una sanzione ad hoc). Ecco perché l‟Autrice auspica che avvenga, de jure
condendo, la tipizzazione di fattispecie che puniscano la violazione di obblighi di sorveglianza.
73
obblighi di sorveglianza è quello della sussistenza di veri poteri impeditivi, resta da
vedere come venga concretizzato e reso operativo il criterio stesso.
Sul punto, dottrina e giurisprudenza utilizzano linguaggi (almeno apparentemente)
concordanti. Per stabilire se un soggetto fosse realmente dotato di poteri impeditivi
esiste una serie di indici sintomatici, quali:
-
l‟appartenenza
dell‟azione
doverosa
omessa
alla
sfera
delle
competenze
specificamente attribuite al soggetto asserito garante;
- la attribuzione al soggetto obbligato di poteri di gestione ed autonomia decisionale;
- l‟attribuzione al soggetto obbligato di poteri di autonomia di spesa, da intendesi come
possibilità di decidere lo stanziamento di fondi o comunque come capacità di accesso
diretto alle risorse finanziarie (229).
2.7. Brevi puntualizzazioni in tema di fonti dell’obbligo di garanzia.
Le ricostruzione dell‟obbligo giuridico impeditivo in termini di obbligo di
garanzia produce delle ripercussioni anche sul tema delle fonti dell‟obbligo stesso. È di
esse che ci si occuperà nel presente paragrafo.
Una precisazione appare opportuna. Quanto verrà ivi illustrato ha la funzione non già di
sostituire, bensì di integrare, quanto si è già esposto in precedenza (230), nel paragrafo
dedicato agli approfondimenti su alcune fonti – in specie, la legge ed il contratto – degli
obblighi rilevanti ex art. 40 cpv. c.p.
Iniziamo dalla fonte legale.
Per quanto riguarda la legge quale fonte dell‟obbligo di garanzia, è agevole osservare
come i caratteri da essa pretesi discendono direttamente – ed immancabilmente – dalla
ricostruzione dell‟obbligo impeditivo alla luce dei principi costituzionali: e così, per
rispetto del principio della riserva di legge, la fonte degli obblighi di garanzia potrà
229
Nei termini sopra indicati, vedansi ad esempio, tra numerose, le seguenti pronunce della Suprema
Corte: Cassazione penale 47136/2007, Cassazione penale 22614/2008, Cassazione penale 3360/2009,
Cassazione 11582/2010.
230
74
Si veda retro, capitolo I sezione III.
soltanto essere rinvenuta nella legge formale o in atti ad essa equiparati, con esclusione
delle fonti subordinate; ancora, in ossequio al principio di tassatività, occorrerà che la
fonte formale che contempla l‟obbligo di garanzia abbia un contenuto sufficientemente
specifico e determinato; ancora, per il rispetto del divieto di analogia in materia penale,
dovrà essere bandita ogni interpretazione analogica della norma extrapenale in cui
l‟obbligo di garanzia trova la sua fonte, e ciò, anche laddove, nello specifico settore di
appartenenza della norma extrapenale stessa, l‟analogia dovesse risultare consentita
(231).
C‟è un profilo sul quale vale senz‟altro la pena soffermare l‟attenzione.
In precedenza (232) si è avuto modo di dire che rappresenta una questione controversa, in
dottrina, quella di stabilire se le norme penalistiche possano o meno fungere da fonti
degli obblighi giuridici impeditivi. Bene, si deve a questo punto constatare come la
ricostruzione dell‟obbligo impeditivo in termini di “obbligo di garanzia” conduca
necessariamente ad una posizione negativa.
Come si è visto sopra, difatti, il tratto caratterizzante l‟obbligo di garanzia è
rappresentato dalla necessaria compresenza di doveri e poteri impeditivi, entrambi
dotati del carattere della giuridicità. Detto altrimenti, la norma che contempla l‟obbligo
di garanzia deve essere una norma che non soltanto investe un garante del dovere
impeditivo, ma che lo fornisce altresì dei relativi poteri, disciplinandoli e specificandoli.
È dunque per questo che si esclude che la norma incriminatrice possa fungere da fonte
originaria ed autonoma dell‟obbligo di garanzia: poiché la norma penale può sanzionare
la violazione di un obbligo (altrove posto e previsto) ma non sarebbe in grado di creare,
essa stessa, la disciplina specifica e settoriale dei doveri-poteri impeditivi (233).
La ricostruzione degli obblighi rilevanti ex art. 40 cpv. in termini di obblighi di
garanzia riverbera effetti anche sulla fonte contrattuale.
In particolare, tre sono i profili attorno ai quali vale la pena soffermare l‟attenzione: il
231
Vedasi ad esempio I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 42.
232
Si veda retro, Capitolo I, Sezione III, il paragrafo dedicato alle singole fonti degli obblighi giuridici
impeditivi.
233
Vedansi I. LEONCINI, voce “Reato omissivo”, cit., p. 42; ID., Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e
obbligo di sorveglianza, cit., p. 203, F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati
omissivi, cit., p. 1000.
Si fa altresì rinvio a quanto a tal proposito già esposto retro, Capitolo I, Sezione III.
75
profilo attinente al momento temporale in cui la fonte contrattuale può produrre il
passaggio della posizione di garanzia; il profilo attinente alle conseguenze che si
producono nel caso in cui sia mancata la concreta presa in carico del bene protetto; il
profilo attinente alle conseguenze.
Per ciò che concerne il momento di insorgenza dell‟obbligo di garanzia di fonte
contrattuale, deve rilevarsi quanto segue. In virtù del principio di personalità della
responsabilità penale, l‟obbligo giuridico impeditivo ex art. 40 cpv. può sussistere –
come si è più volte detto – soltanto laddove il garante sia dotato di doveri e di
corrispondenti poteri impeditivi, sia giuridici che fattuali. Da ciò discende che un
obbligo di garanzia di fonte contrattuale potrà sussistere soltanto se – e nel momento in
cui – in forza del contratto ed in seguito ad esso vengano trasferiti al garante tutti i
doveri-poteri impeditivi; il momento in cui tale trasferimento avviene – ed a partire dal
quale sorge l‟obbligo di garanzia – non coincide necessariamente né con il momento del
perfezionamento del contratto né con la mera presa in custodia fattuale del bene (234).
È da qui agevole collegarsi al secondo dei sopra segnalati profili, quello della presa in
carico del bene protetto. Dinnanzi ad un contratto valido, la presa in carico del bene
protetto andrà dunque considerata necessaria, ma di certo non sufficiente. Ciò in quanto,
al fine del sorgere dell‟obbligo impeditivo, al garante dovranno essere altresì
concretamente trasferiti (235) quei poteri-doveri impeditivi, già contemplati dalla fonte
giuridica contrattuale (236).
Per quanto riguarda le conseguenze dell‟invalidità contrattuale, va rilevato come la
ricostruzione dell‟obbligo impeditivo in termini di obbligo di garanzia conduca a delle
234
Vedansi in tal senso Vedansi I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di
sorveglianza, cit., p. 229; F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., p.
1001.
235
Sui criteri che possono essere impiegati per appurare che si sia verificato un effettivo e concreto
“passaggio dei poteri”, si veda supra, la parte conclusiva del precedente paragrafo
236
La giurisprudenza per il vero non sembra sempre concordare con la suddetta impostazione. Si segnala
ad esempio Cassazione penale, 21 ottobre 2009, n. 44890, in cui è stata confermata la sentenza di
condanna nei confronti un dirigente comunale, investito contrattualmente di una posizione di garanzia,
sebbene al medesimo non fossero stati conferiti i relativi poteri impeditivi (ed in particolar modo il potere
di autonomia di spesa) sulla base della ragione che il soggetto aveva comunque svolto l‟incarico: «Il
soggetto destinatario di una delega di funzioni in materia antinfortunistica non risponde penalmente, per
il caso in cui il delegante non lo abbia messo nelle condizioni per svolgere adeguatamente i compiti
affidatigli, soltanto se, inadempiente il delegante, egli abbia rifiutato il conferimento dell‟incarico. (Nella
specie, il dirigente comunale delegato dal Sindaco aveva continuato a svolgere le funzioni, pur in
mancanza dell‟effettiva assegnazione dei fondi necessari per il loro espletamento)».
76
posizioni assai peculiari (237).
In particolar modo, la dottrina osserva che – al fine di valutare le ripercussioni che le
varie forme di invalidità del contratto possono produrre sugli obblighi impeditivi
penalmente rilevanti – non ci si potrà limitare a guardare il tipo di vizio affliggente il
contratto (per concludere, ad esempio, che tutti i casi di contratti nulli precluderebbero
senz‟altro il sorgere di un obbligo rilevante ex art. 40 cpv. c.p., mentre invece
potrebbero produrre l‟effetto dell‟insorgenza della posizione di garanzia). Non ci si
dovrà neanche limitare a guardare – come invece vorrebbe l‟approccio sostanzialistico –
se vi sia stata o meno una assunzione fattuale del ruolo di garanzia stesso.
Occorrerà piuttosto, invece, andare a verificare se il singolo vizio che colpisce il
contratto – a prescindere dal tipo di regime privatistico collegato alla natura di quel
vizio – vada o meno ad inficiare uno di quelli che sono gli elementi fondanti l‟obbligo
impeditivo, costruito come obbligo di garanzia (238).
Una impostazione del problema in termini parimenti “relativistici” andrà assunta con
riguardo ai casi in cui ad un contratto invalido abbia fatto seguito una concreta presa in
carico del bene da proteggere.
237
238
Vedasi F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., p. 1000 ss.
E così, ad esempio, se in genere si può affermare che una causa di mera annullabilità del contratto non
preclude l‟insorgenza di un obbligo di garanzia, a conclusioni opposte dovrà pervenirsi qualora la causa
di annullabilità consista nello stato di incapacità di una delle due parti contrattuali, ed, in particolare, del
soggetto al quale, mediante contratto, è stato attribuito l‟obbligo impeditivo. Anche per tali
considerazioni, vedasi F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., p.
1003.
77
SEZIONE II.
L’INDIVIDUAZIONE DEL VERO E PROPRIO OBBLIGO DI
GARANZIA, RILEVANTE EX ART. 40 CPV. C.P., NEI CASI DI
DOVERI DI VIGILANZA SULL’OPERATO ALTRUI.
Introduzione.
Nella I sezione del presente capitolo sono stati analizzati i più recenti approdi
dottrinari in tema di obbligo giuridico rilevante ex art. 40 cpv. c.p.: si è visto come esso
vada ricostruito nei termini di obbligo di garanzia e come vada distinto da obblighi
simili ma non ad esso assimilabili, quali gli obblighi cosiddetti di sorveglianza.
Sì è anche visto che gli obblighi di sorveglianza consistono in obblighi di vigilare
sull‟altrui attività, evidentemente finalizzati ad evitare che l‟attività oggetto del
controllo sfoci in condotte criminose.
Bene, si rende qui doveroso un passaggio concettuale ulteriore.
Di fronte ai casi in cui esiste un dovere, gravante su di un determinato soggetto, di
controllo e vigilanza sull‟attività altrui, la distinzione tra obblighi di sorveglianza e
obblighi di garanzia si pone, più esattamente, nei seguenti termini: si dovrà
comprendere se ci si trovi di fronte, appunto, ad un obbligo di sorveglianza (così come
descritto nella precedente sezione), oppure se ci si trovi al contrario di fronte ad un vero
e proprio obbligo, rilevante ex art.40 cpv., di impedire – non un “evento qualunque”,
bensì, specificamente – un reato commesso da altri, e cioè dal soggetto “sottoposto a
vigilanza”.
Ciò che si intende dire è che il problema della distinzione tra obblighi di sorveglianza e
obblighi di garanzia diventa il problema di distinguere tra obblighi di sorveglianza e
obblighi di garanzia, sub specie di obblighi di impedire il reato altrui.
Ecco dunque che la distinzione suddetta ci conduce, inevitabilmente, a misurarci con la
figura del cosiddetto “obbligo giuridico di impedire il reato altrui”.
Tale figura rappresenta una delle più controverse tematiche che affliggono la materia
delle posizioni di garanzia.
Non è tutto. Dalla violazione di un obbligo di impedire il reato altrui, di norma, viene
fatta discendere una responsabilità per concorso mediante omissione nel reato non
impedito. Bene, la compartecipazione omissiva a reato commissivo rappresenta una
78
delle più accidentate e discusse forme di concorso di persone nel reato.
Ora, posto che con le complesse figure suddette – e cioè con l‟obbligo giuridico di
impedire il reato altrui e con la partecipazione mediante omissione – noi dovremo, per
le ragioni sopra esposte, per forza misurarci, ci preme sin da subito fare una
considerazione preliminare.
Dette complesse figure non vogliono costituire l‟oggetto specifico, le “protagoniste”,
del nostro discorso. L‟analisi di esse non costituisce, cioè, il fine della presente sezione;
essa rappresenta piuttosto lo strumento, il passaggio (scomodo ma) necessario, per
approdare alla meta che ci siamo prefissati: comprendere cioè dove – e come – vada
compiuta una distinzione tra obblighi di garanzia (sub specie di impedimento dell‟altrui
reato) e meri obblighi di sorveglianza.
La sequenza dei paragrafi della presente sezione cerca di mostrarsi fedele al
“programma di viaggio” prefissato: dapprima ci si dedicherà all‟analisi della discussa
figura dell‟obbligo giuridico di impedire il reato altrui; poi verranno analizzati i più
rilevanti profili contenutistici del tipo di responsabilità che viene fatta scaturire dalla
violazione di quell‟obbligo; infine, muniti degli strumenti concettuali in precedenza
richiamati, si cercherà di fornire una risposta alla problematica oggetto di interesse.
2.8. La controversa figura degli obblighi giuridici di impedire il reato altrui: a) la
collocazione sistematica ... (segue).
Parlare di un obbligo giuridico – rilevante ex art. 40 comma 2 c.p. - di impedire
un reato commesso da altri, significa compiere, implicitamente, una equiparazione:
significa cioè affermare che l‟“evento” di cui parla il capoverso dell‟art. 40 può essere
identificato – può consistere – nel reato commesso da altri (239).
239
Il concetto è espresso chiaramente, fra gli altri, da P. SEMERARO, Il concorso mediante omissione nel
reato, cit., p. 584: «A codesta conclusione si perviene mediante un‟interpretazione del concetto di evento
tale da fare inserire all‟interno della sua portata anche la nozione di “fato di reato”, comprensivo di tutti
gli elementi oggettivi (...)». Similmente L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui, cit., p. 1339:
«Il concetto di evento ivi richiamato (benché evochi, principalmente, un „materiale accadimento
naturalistico‟) potrebbe difatti estendesi a quello (più lato) di „fatto di reato‟, comprensivo di tutti i suoi
elementi costitutivi oggettivi (...)».
79
Per analizzare la figura (240) dell‟“obbligo giuridico di impedire il reato altrui” (241),
pertanto, non si potrà prescindere dal domandarsi se una tale equiparazione sia legittima
e – ove si risponda affermativamente – in che termini essa possa essere compiuta (il che
equivarrà a domandarsi entro quale spazio e quale misura sia configurabile un obbligo
di impedire il reato altrui).
Ancora, nel riferirsi alla figura dell‟ “obbligo di impedire il reato altrui”, occorrerà
cercare di comprendere se essa costituisca un qualcosa di diverso, di autonomo, rispetto
alle categorie di obblighi impeditivi di cui si è parlato (242) - obblighi di protezione ed
obblighi di controllo – oppure se essa rappresenti un modo di atteggiarsi, un peculiare
contenuto – una sottocategoria, insomma – degli obblighi già analizzati. Questa
operazione di collocazione, per così dire, dell‟“obbligo giuridico di impedire il reato
altrui”, non ha di certo una finalità meramente estetica: se l‟“obbligo giuridico di
impedire il reato altrui” vive nel grembo (di una) delle “tradizionali” posizioni di
garanzia, si tratterà di capire perché – ed in che cosa - esso si contraddistingua,
costituendo una sottocategoria; se invece si ritiene che l “„obbligo di impedire il reato
altrui” rappresenti una autonoma categoria di obbligo giuridico impeditivo, andranno
allora vagliati tutti i profili – presupposti, caratteri, fonti – che possono fondare la sua
rilevanza penalistica, ex art. 40 cpv..
Quale che sia, poi, la impostazione prescelta – sia, cioè, che si consideri una tale
tipologia di obbligo impeditivo quale autonoma categoria, sia che la si consideri una
sottospecie di una diversa posizione di garanzia – non ci si potrà esimere dal considerare
quale sia il tipo di responsabilità di cui viene chiamato a rispondere colui che si rende
autore della violazione di un tale obbligo: se si tratti di una responsabilità
monosoggettiva, fondata sul solo capoverso dell‟art. 40, oppure se debba parlarsi di una
responsabilità per concorso (art. 110 e ss.) nel reato non impedito.
Quelli qui sopra elencati rappresentano i principali nodi problematici attorno ai
240
L‟impiego del termine generico di “figura” - anziché di quello di “categoria” - è intenzionale: come si
vedrà qui di seguito, difatti, ad essere in forse è la stessa autonomia dogmatica di tale figura, cioè la di
essa capacità di costituire una autonoma categoria.
241
Una precisazione si rende doverosa. Tutte le volte – e salvo che non sia diversamente esplicitato – che,
da qui dinnanzi, verrà impiegata la formula “obbligo giuridico di impedire il reato altrui”, lo si farà in
senso “neutro”. Si intende dire che con tale locuzione non ci si vorrà riferire ad una autonoma categoria di
obblighi di garanzia, bensì ad un “contenuto” dell‟obbligo giuridico impeditivo: quello, appunto, di
impedire il reato altrui.
242
80
Vedi retro, capitolo I, sez III.
quali si è agitata la riflessione sugli “obblighi giuridici di impedire i reati altrui”.
Prima di compire un‟analisi di essi, ci preme svolgere una osservazione preliminare.
Quella dell‟“obbligo giuridico di impedire il reato altrui” è senz‟altro una figura
complessa, la quale assomiglia ad un prisma dalle facce molteplici e cangianti, in cui il
colore che viene assegnato ad una delle facce condiziona inevitabilmente la tinta e le
sfumature di tutte le altre.
La dottrina che si è occupata del tema ha colto la complessità e la peculiarità della
figura, ed ha finito con l‟assumere delle posizioni non solo variegate ma anche
difficilmente “conciliabili” (243).
Lo scenario sugli “obblighi di impedire i reati altrui” - e sulla responsabilità che alla di
essi violazione consegue – è così frastagliato che un‟indagine sul tema assomiglia un
po‟, a parere di chi scrive, ad un cammino da compiere lungo un campo minato: ad ogni
passo, cioè ad ogni asserzione, si rischia di far esplodere il contrasto con posizioni
precedentemente affermate, o con quelle che si andranno di lì a poco a svolgere.
Pertanto qui di seguito si procederà con molta – e ci si augura sufficiente – cautela.
Nostra intenzione è quella di (limitarci a) riportare – con la massima obiettività e fedeltà
che ci sono consentite – le principali posizioni assunte dai vari autori che si sono
occupati del tema, “suddividendo” tali posizioni e “collocandole” all‟interno di quegli
“spazi” che ci paiono rappresentare i più delicati punti nevralgici della complessa figura
oggetto di analisi.
Si comincerà con il trattare la questione della collocazione sistematica
dell‟“obbligo di impedire il reato altrui”, al fine di stabilire se esso si erga in piedi da
solo, quale categoria autonoma, o se esso viva nell‟alveo di una diversa posizione di
garanzia.
Le posizioni della dottrina sul punto appaiono a tutt‟oggi discordanti.
Secondo un‟impostazione – che viene definita tradizionale ( 244 ) - i casi nei quali il
garante è obbligato ad impedire l‟agire illecito di un terzo rientrano nel paradigma della
243
Si confessa che il tentativo di disegnare un quadro “ordinato” in tema di “obblighi giuridici di
impedire i reati altrui”, ci è sembrato, a tratti, simile al tentativo compiuto da chi desidererebbe costruire
puzzle raffiguranti immagini diverse, le cui tessere sono state mescolate fra loro.
244
In tal senso si esprimono, tra i tanti, M. ROMANO–G. GRASSO, in Commentario sistematico del codice
penale, Artt. 85-149, Milano, 2005, p. 178; I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e
obbligo di sorveglianza, cit., pp. 125-126; F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 2007,
p. 169.
81
posizione di controllo su fonti di pericolo (245). Tale impostazione, la quale si fonda
sulla equiparazione dell‟uomo (il cui agire illecito va impedito) ad una fonte di pericolo,
nega pertanto qualunque autonomia dogmatica all‟obbligo de quo ( 246 ). A titolo
esemplificativo di obblighi di impedire l‟illecito di un terzo, vengono indicati gli
obblighi di controllo dei genitori nei riguardi dei figli minori non ché quelli di controllo
degli insegnanti nei confronti degli illeciti commessi dagli scolari ( 247 ); si esclude
invece che possa ritenersi sussistente un obbligo impeditivo dell‟agire illecito di un
(qualsiasi) soggetto terzo, in capo agli appartenenti alle forze dell‟ordine.
Di più recente emersione – nonché allo stato probabilmente dominante – è
l‟impostazione che ritiene che l‟ “obbligo di impedire i reati altrui” costituisca un vero e
proprio tertium genus di posizione di garanzia, il quale, distinto e autonomo, andrebbe
ad aggiungersi alla categoria degli obblighi di protezione e a quella degli obblighi di
controllo, affiancandosi ad esse (248).
Le ragioni poste a fondamento della tesi dell‟autonomia possono essere individuate
245
G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 193 ss., il quale si allinea alle posizioni
espresse dalla dottrina d‟Oltralpe. Vedasi anche F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso
impedimento dell‟evento, cit., p. 237.
246
L‟impostazione che nega l‟autonomia dogmatica dell‟ “obbligo di impedire reati altrui” è, come si è
detto, una impostazione tradizionale, seguita a tutt‟oggi da numerosi Autori. Nella manualistica più recente si vedano, ad esempio, G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano,
2009, p. 202 ss., F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Parte generale, Torino, 2011, p. 287, R. GAROFOLI,
Manuale di diritto penale, Parte generale, Roma, 2011, p. 488 ss.
Tuttavia va segnalato - sempre a conferma del fatto che l‟analisi delle posizioni della dottrina sugli “obblighi impeditivi di reati altrui” è operazione complessa ed “inesauribile” - come all‟interno di questa
stessa impostazione si facciano registrare orientamenti diversi. Ad esempio ci pare di poter affermare che
gli Autori Marinucci e Dolcini disconoscono che l‟ “obbligo gi impedire reati altrui” costituisca una autonoma categoria, non perché lo ritengano una sottocategoria dell‟obbligo di controllo, quanto piuttosto
perché riconducono il dovere impeditivo di reati commessi da altri alla categoria degli obblighi di controllo o a quella degli obblighi di protezione: ciò si evince analizzando le esemplificazioni che gli Autori
compiono dell‟una o dell‟altra categoria.
247
G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., pp. 193 ss., il quale tuttavia procede a
delimitare l‟entità e la vastità di tali obblighi.
248
«(...) alla bipartizione funzionale corrente nella dottrina penalistica tedesca e, più di recente, anche in
quella italiana (...) abbiamo sostituito una tripartizione, aggiungendo le situazioni tipiche di obbligo le
quali hanno come contenuto l‟impedimento di azioni criminose di terzi» G. GRASSO, Il reato omissivo
improprio, cit., p. 293. All‟impostazione secondo cui gli obblighi di impedimento di reati vanno ritenuti
una categoria autonoma di obblighi impeditivi aderiscono, fra gli altri, L. BISORI, L‟omesso impedimento
del reato altrui, cit., pp. 1364-1365; I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di
sorveglianza, cit., pp. 125-126; M. ROMANO–G. GRASSO, in Commentario sistematico del codice penale,
cit., p. 177 ss.; N. PISANI, Controlli sindacali, cit., p. 59; F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale,
Padova, 2007, p. 169.
82
nelle seguenti. Innanzitutto si rileva come l‟enucleazione all‟interno della categoria
delle fonti di pericolo sia insoddisfacente, nella misura in cui non tiene conto che un
altro essere umano solo eccezionalmente può essere considerato quale fonte di pericolo:
ciò può verificarsi, ad esempio, nei casi in cui a dover essere impediti sono reati
commessi da soggetti incapaci (si fa l‟esempio di obblighi - che incombono su titolari
di poteri di educazione, istruzione, cura o custodia – di impedire fatti dannosi
commessi, rispettivamente, dai figli minori, o dagli scolari, o da malati infermi di
mente, sottoposti alla vigilanza dei primi (249)); non può invece parlarsi di “controllo su
fonti di pericolo” quando i reati – il cui compimento va impedito – siano quelli
commessi da soggetti pienamente capaci (si fa l‟esempio dei reati societari o
fallimentari, commessi dagli amministratori di società).
Ancora, si rileva come l‟autonomia della posizione di garanzia in oggetto è opportuna in
quanto adatta a dare conto della assoluta peculiarità del tipo di responsabilità che
discende dalla violazione di una tale
tipologia di obblighi: e cioè non già una
responsabilità per il reato omissivo improprio monosoggettivo, bensì una responsabilità
per concorso nel reato non impedito (250).
Ancora, l‟impossibilità di ricondurre tali obblighi alla categoria delle posizioni di
controllo viene motivata osservando come alcune posizioni di garanzia aventi come
contenuto l‟impedimento di fatti di reato di terzi, siano più facilmente riconducibili alla
categoria delle posizioni di protezione che non a quelle di controllo (251) (Viene fatto
l‟esempio degli obblighi di tutela dell‟amministratore di una società di capitali rispetto
al patrimonio sociale). Più in particolare, la dottrina ha rilevato come la posizione volta
all‟impedimento di reati altrui «può difatti attingere le proprie caratteristiche funzionali
da ciascuna delle altre due, (...). Simile ambivalenza funzionale rende perciò
impossibile la riconduzione sic et simpliciter delle posizioni di garanzia in oggetto ad
una delle due categorie tradizionali, e rende necessaria la delineazione di un tertium
249
Si veda ad esempio F. MANTOVANI, op. loc. ult. cit..
250
Si tratterebbe, cioè, di posizioni di garanzia «che possono essere rilevanti solo in sede di concorso di
persone nel reato» (G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 293). Sul fenomeno della forma
concorsuale della responsabilità – ed in particolare sui limiti di ammissibilità di una (incondizionata)
conversione in responsabilità plurisoggettiva della violazione di un obbligo di impedire il reato altrui - ci
si soffermerà più avanti (vedi infra, paragrafi seguenti).
251
83
G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 294.
genus categoriale» (252).
C‟è un altro argomento, sul quale la dottrina che per prima ha forgiato la tripartizione
delle posizioni di garanzia ( 253 ) ha fatto leva, al fine di motivare l‟opportunità di
considerare gli “obblighi di impedire reati altrui” quale categoria autonoma: gli obblighi
di impedire il reato altrui si caratterizzerebbero rispetto alle altre posizioni di garanzia –
differenziandosi da esse – per il fatto che il garante è munito di un potere impeditivo di
tipo giuridico. Più in particolare, mentre le posizioni di garanzia aventi ad oggetto la
neutralizzazione di una fonte di pericoli sarebbero caratterizzate da un potere fattuale di
signoria sulla fonte, invece le posizioni aventi ad oggetto l‟impedimento delle azioni
delittuose di un terzo sarebbero contraddistinte dall‟esistenza di un potere giuridico
(254).
Ora, si deve segnalare che la dottrina più recente – la quale pure si ascrive
all‟impostazione dell‟autonomia dell‟“obbligo di impedire reati altrui” - non condivide
l‟argomento da ultimo descritto ( 255 ): nella Sezione I del presente capitolo è stato
illustrato come la dottrina più recente affermi che gli obblighi giuridici rilevanti ex art.
252
L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, in Riv. it.
dir. proc. pen, 1997, pp. 1365-1366. Difatti «nelle „posizioni di protezione‟, la fonte sostanziale
dell‟obbligo di attivarsi sta nel particolare legame esistente tra il garante ed il titolare del (o,
direttamente, il) bene tutelando (...) senza però conferire al primo particolari poteri di impedimento,
diversi da quelli che ben potrebbe avere, anche in misura superiore, il terzo quisque de populo (...) Nelle
„posizioni di controllo‟, al contrario, la tutela rafforzata scaturisce proprio dalla posizione particolare
(„di signoria‟) in cui un determinato soggetto si trova nei confronti di una fonte di pericolo, perché (...) è
in grado di dominare il processo causale che ab origine determina il pericolo della lesione».
Vedasi anche I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino,
1999, p. 130, la quale afferma che in effetti, laddove si ha un obbligo di protezione di un determinato
bene, non vi è differenza tra l‟ipotesi in cui l‟aggressione promani da una forza naturale e quella in cui
l‟aggressione promani da un soggetto terzo.
253
In Italia G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, Milano, 1983, p. 293 ss.
254
Così G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 327 e ss. In tal senso vedansi anche, tra gli altri,
L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., specie pp.
1367 e 1369; M. ROMANO–G. GRASSO, in Commentario sistematico del codice penale, Art. 85-149, cit.,
p. 178.
255
Ci si riferisce in particolare alle posizioni del Mantovani e della Leoncini. Quest‟ultima ad esempio
afferma che «Non persuade, invece, il terzo, e ritenuto fondamentale, argomento che la dottrina adduce a
sostegno dell‟autonomia della categoria e, cioè, che tali obblighi si differenzierebbero, rispetto a quelli di
protezione e di controllo, per la natura del potere impeditivo rispettivamente spettante al garante. E che
sarebbe un potere giuridico, in caso dell‟obbligo di impedimento di reati e, viceversa, un potere di mero
fatto, in caso di obblighi di posizione e di controllo. Infatti, sebbene il potere giuridico sotteso all‟obbligo
di impedimento di reati sembri assumere, talora, una posizione più vistosa (...), un potere giuridico è
necessariamente sotteso, come si è più volte ribadito, anche agli altri obblighi di garanzia» (I. LEONCINI,
Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 126).
84
40 cpv. debbano caratterizzarsi per la sussistenza, in capo al soggetto titolare
dell‟obbligo, di un potere impeditivo di tipo giuridico ( 256 ); la giuridicità del potere
impeditivo, dunque, è un requisito che deve contraddistinguere tutte le posizioni di
garanzia, e non soltanto quelle aventi ad oggetto l‟impedimento di reati altrui.
2.9. (Segue) ... e le conseguenze che discendono dall’adozione di una o dell’altra
impostazione a riguardo.
Una volta descritte le principali ragioni poste a sostegno della tesi della
autonomia dogmatica dell‟“obbligo di impedire reati altrui” e quelle poste a sostegno
della riconducibilità di esso ad altre posizioni di garanzia, l‟attenzione va soffermata
sulle conseguenze che discendono dall‟adozione dell‟una o dell‟altra impostazione.
Le principali ripercussioni si fanno registrare in punto di determinazione dei
presupposti in presenza dei quali sussisterebbe un “obbligo di impedimento di reati
altrui”(257).
Secondo la tesi che ricomprende gli obblighi di impedire i reati di terzi tra le posizioni
di controllo, un presupposto fondamentale è quello che il soggetto terzo – il cui reato va
impedito – sia un «soggetto carente dei requisiti necessari a governare il proprio
comportamento» ( 258 ), e cioè sia un soggetto incapace: solo un soggetto incapace,
infatti, può essere assimilato a quella fonte di pericolo sulla quale va esercitato il
controllo .
Per converso, l‟esigenza di un tale presupposto cade laddove l‟obbligo di impedire il
reato altrui sia ritenuto una categoria autonoma, venendo meno, appunto, la necessità di
rispettare i requisiti della categoria degli obblighi di controllo.
Sempre soffermandoci sul tema dei presupposti, va rilevato come la dottrina –
questa volta all‟unanimità – ne individui uno, imprescindibile: che il soggetto terzo, il
cui reato va impedito, sia un soggetto sottoposto al potere di vigilanza, di comando, del
256
Vedi retro, Sezione I del presente capitolo.
257
In dottrina viene spiegato come il problema della “qualità” del soggetto su cui si esercita il controllo
sia strettamente correlato al problema dell‟appartenenza, o meno, degli “obblighi giuridici di impedire
reati altrui” alla categoria degli obblighi di controllo su fonti di pericolo (Vedi ad esempio I. Leoncini,
Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999, p. 126 e ss).
258
85
G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 193.
garante. Viene difatti percepito come vi sia un quid pluris che caratterizza l‟obbligo
impeditivo del reato altrui rispetto agli altri obblighi impeditivi (259): «l‟impedimento del
reato di un terzo necessariamente consiste in una attività di contrasto dell‟altrui
(altrimenti libera) condotta, quindi in una fattiva limitazione dell‟altrui libertà di
autodeterminazione (...) quel che rileva è che comunque si impone al garante di
interferire con la condotta di un terzo» ( 260).
Si è già avuto modo di accennare, precedentemente – più in particolare, laddove sono
state esposte le ragioni che hanno indotto taluni autori a considerare gli “obblighi di
impedire reati altrui” quale categoria autonoma – come parte della dottrina abbia
ritenuto di “poter risolvere” il problema della descrizione del potere impeditivo di reati
di terzi, impiegando il requisito della giuridicità: ciò che caratterizzerebbe il potere
impeditivo, quando si tratta dell‟impedimento di reati altrui, è che si tratta di un potere
di tipo giuridico (261). Si è anche già detto, tuttavia, che la dottrina più recente – la quale
pur si ascrive alla tesi della autonomia della categoria degli “obblighi di impedimento di
reati altrui” - critica il requisito suddetto: ciò che contraddistingue la categoria degli
“obblighi di impedimento di reati altrui” rispetto alle altre categorie di posizioni di
garanzia non può essere il requisito della giuridicità del potere impeditivo esercitato sul
terzo, in quanto un tale requisito deve essere riscontrato in tutte le posizioni di garanzia;
anzi, si tratta proprio del requisito che consente ad una posizione di garanzia – di
qualunque genere essa sia – di potersi dire tale.
Disconosciuta la possibilità di rinvenire nel requisito della giuridicità il tratto
caratterizzante il potere impeditivo, resta ovviamente il problema di stabilire come detto
potere debba atteggiarsi, quando trattisi, appunto, di impedire il compimento di reati
altrui. Sulla tematica si tornerà nel prosieguo (262). Per l‟intanto ci si limita a rilevare
come l‟attenzione sia stata posta, dalla più recente dottrina, su quelle che sono le
specifiche modalità – sia giuridiche che fattuali – attraverso le quali può estrinsecarsi la
259
E ciò, sia che si consideri l‟ “obbligo di impedire reati altrui” quale autonoma categoria, sia che lo si
consideri come peculiare contenuto di una diversa categoria.
260
L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p.
1367.
261
Vedi retro, paragrafo precedente.
262
Vedi infra, nella presente Sezione.
86
vigilanza di un soggetto (il garante) sulla attività posta in essere da un soggetto diverso.
Riprendendo le fila del nostro discorso, si può ora proseguire nell‟analisi delle
conseguenze che discendono dall‟adozione di una determinata impostazione in punto di
collocazione sistematica degli “obblighi di impedimento dei reati altrui”.
Tali conseguenze possono dirsi del tutto marginali per ciò che concerne
l‟individuazione delle fonti da cui gli obblighi di impedire il reato altrui possono
promanare. Più precisamente, si può osservare quanto segue.
Il problema dell‟esatta individuazione delle fonti da cui può promanare un obbligo
impeditivo del reato altrui non si pone per nulla per coloro ritengono che tale obbligo
costituisca una esplicazione degli obblighi di controllo: le fonti da cui potrà scaturire
sarebbero, né più né meno, che quelle da cui possono scaturire gli obblighi di controllo
(263).
In realtà, anche presso coloro che abbracciano la tesi della tripartizione delle posizioni
di garanzia, la tematica delle fonti degli “obblighi impeditivi dei reati altrui” non sembra
aver mai suscitato particolare interesse: vengono infatti definite “modeste” le peculiarità
che la questione dell‟individuazione delle fonti formali presenta, rispetto alla specifica
posizione di garanzia in oggetto (264).
Merita di essere segnalata la posizione di un Autore, il quale, dopo aver asserito che gli
“obblighi di impedire reati altrui” sarebbero caratterizzati dalla giuridicità del potere
impeditivo, ritiene, coerentemente, di doverne trarre delle conclusioni in ordine alle
fonti da cui tali posizioni possono scaturire: viene così escluso che tali tipologie di
obblighi possano nascere da una assunzione spontanea; viene altresì precisato che tali
Garantenstellungen possono sì avere una origine contrattuale, ma solo nella misura in
cui sia possibile, attraverso il contratto, trasferire i poteri cui la situazione di garanzia si
ricollega (265).
263
Vedi retro, Capitolo I, Sezione III.
264
In tali termini si esprime L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e
giurisprudenza italiane, cit., p. 1364.
265
G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 360-361. L‟Autore porta anche degli esempi:
«Così, se si può ammettere che il precettore acquisti una posizione di garanzia per l‟impedimento dei
reati compiuti dal minore affidatogli dai genitori, in quanto il precettore viene dotato dei necessari poteri
disciplinari nei confronti del minore stesso (...), deve, invece, negarsi che attraverso un accordo con il
superiore gerarchico possa nascere in capo ad un soggetto un obbligo di impedimento dei reati militari
commessi dai sottoposti. La posizione di garanzia si collega qui all‟esistenza di un rapporto di gerarchia
che non sembra possibile né trasferire né creare contrattualmente».
87
Si ritiene infine di poter affermare che nessuna differenza si faccia registrare – a
seconda dell‟adozione dell‟una o dell‟altra tesi sulla collocazione sistematica degli
“obblighi impeditivi di reati altrui” - per ciò che concerne l‟individuazione della ratio,
del fondamento funzionale di tali obblighi.
Gli “obblighi di impedire i reati altrui” sono contemplati per svolgere quella medesima
funzione che deve essere perseguita da tutte le posizioni di garanzia: la funzione di
proteggere i beni giuridici che meritano, secondo l‟ordinamento, per diverse ragioni,
tale protezione (266) (267).
Coloro che considerano gli “obblighi di impedire reati altrui” come una sottocategoria
degli obblighi di controllo, ovviamente rinvengono la ratio giustificatrice in quella
stessa che è posta alla base delle posizioni di controllo: salvaguardare qualunque
soggetto terzo possa venire danneggiato dalla specifica fonte di pericolo che si trova
sotto il potere di signoria del garante.
Anche per coloro che ritengono che gli “obblighi di impedire reati altrui” formino una
categoria a parte, è pur sempre l‟esigenza di protezione, di rafforzamento della tutela di
taluni beni, a costituire la ratio di tale posizione: «riguardata funzionalmente, la
posizione di garanzia in esame desume perciò il proprio fondamento dall‟esigenza di
rafforzare la tutela di taluni beni, i cui titolari appaiono incapaci di attendervi
efficacemente in via autonoma, o perché nessun terzo, di fronte alla specifica fonte di
pericolo signoreggiata, appare in grado di difendersi efficacemente (e così il genitore
del minorenne esplosivo dovrà vigilare a che egli non aggredisca con la fionda (...)
l‟ignaro postino) oppure perché lo stesso bene tutelando appare particolarmente
vulnerabile, per la ridotta capacità difensiva del suo titolare o per altre ragioni, rispetto
alle condotte aggressive di terzi» (268). A mutare, sarebbe esclusivamente il criterio sulla
266
In tali termini si esprime G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 292, il quale afferma che la
tripartizione tra posizioni di protezione, posizioni di controllo e posizioni che hanno ad oggetto
l‟impedimento di azioni illecite di terzi «non deve nascondere il dato essenziale che tutte le posizioni di
garanzia sono volte, in definitiva, alla protezione di beni giuridici (...)».
267
Il termine “protezione” è stato qui utilizzato, ovviamente, non per riferirsi ad una delle categorie in cui
sono state suddivise le posizioni di garanzia (la categoria delle posizioni di protezione), bensì è stato
impiegato nel senso generico del suo contenuto, e cioè per intendere quella funzione – di protezione,
appunto – che accomuna tutte le posizioni di garanzia.
268
L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p.
1366.
88
base del quale vengono individuati i beni giuridici da proteggere: «direttamente per le
posizioni che vengono chiamate di “protezione” in senso stretto; indirettamente
(attraverso il riferimento alla fonte di pericolo da controllare o al soggetto, o ai
soggetti, le cui azioni costituenti reato devono esser impedite) nelle altre due ipotesi»
(269).
2.10. b) l’ambito applicativo.
Si è già detto nel paragrafo precedente che condicio sine qua non poter parlare di
obbligo di impedire il reato altrui, è quella di stabilire una equazione tra l‟“evento” di
cui parla il 40 cpv. c.p., ed il reato commesso da altri.
Si era già accennato al fatto che appare imprescindibile domandarsi se – ed in che
misura – tale equiparazione sia ammissibile.
Ci si dedicherà qui di seguito ad approfondire questo aspetto. È intuitivo il fatto che la
riflessione relativa al “margine di operatività” della equazione sopra descritta, coincide
con la riflessione sull‟ambito applicativo della figura dell‟ “obbligo di impedire i reati
altrui”.
Il problema, descritto nei suoi più esatti termini, è il seguente. Come si è già detto nel
capitolo I (270), l‟ambito operativo dell‟art. 40 cpv. è (tendenzialmente) circoscritto alle
sole fattispecie di evento causali pure. Ora, si tratta di capire se un tale limite valga
anche nei casi in cui l‟obbligo giuridico abbia ad oggetto l‟impedimento dei reati altrui.
Ove un tale limite venga mantenuto, ciò significa che i “reati non impediti” dei quali si
potrà essere chiamati a rispondere sono soltanto quelli che presentano, nella loro
fattispecie, un evento naturalistico; in tali ipotesi, dunque, il termine “evento” di cui
parla il 40 cpv. viene letto come “evento-naturalisticamente-inteso-cagionato-dal-reatoche-si-aveva-l‟obbligo-giuridico-di-impedire”. Se invece si ritiene che un tale limite
non vada mantenuto, ciò significa che il garante omittente potrà essere chiamato a
rispondere di qualunque reato, quale che sia la sua tipologia e struttura; è evidente
269
G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 292.
Vedi retro, capitolo I, sezione I.
270
89
come, in tale caso, al termine “evento” ex art. 40 cpv. venga assegnata la valenza di
“fatto di reato”.
Secondo un‟impostazione dottrinaria maturata soprattutto a partire dagli anni
Ottanta ( 271 ) – e poi sviluppatasi sino a diventare, a tutt‟oggi, quella senz‟altro
dominante (272) - gli obblighi di impedire il reato altrui possono esplicarsi nei confronti
di tutti i reati: non solo dunque dei reati di evento causalmente orientati e, più in
generale, non solo nei confronti dei reati di evento. Il che equivale a dire che, secondo
l‟opinione dominante, il termine “evento” di cui parla l‟art. 40 co. 2 va inteso – quando
trattasi di obbligo di impedire il reato altrui – come “fatto di reato” (qualunque reato,
commesso da altri).
Appare qui opportuno – pur senza entrare nei più specifici e tecnici termini della
questione – dare rapidamente conto delle principali ragioni addotte a sostegno di tale
impostazione (impostazione che, da qui dinnanzi, verrà denominata “estensiva”).
Un primo, tenace argomento, viene tratto dall‟art. 138 c.p.m.p. ( 273 ). La norma – la
quale stabilisce la responsabilità del militare che ometta di impedire l‟esecuzione di
taluni reati, che vengono esplicitamente elencati – fa salva, “in ogni altro caso”, la
disposizione di cui all‟art. 40 co. 2. Bene, l‟iter argomentativo che conduce alla
concezione ampia del termine evento è il seguente: a) l‟art. 138 c.p.m.p., nel prevedere
un‟autonoma figura di omesso impedimento di reati militari, dispone in definitiva che la
propria previsione non trovi applicazione ove esista, in capo al militare che non
impedisca la commissione di uno dei reati indicati nello stesso articolo, un obbligo ex
art. 40 cpv.; b) alcune delle fattispecie richiamate dall‟art. 138 c.p.m.p. sono fattispecie
271
G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 140 ss. Ma vedasi già prima, ad esempio, ad esempio
S. VINCIGUERRA, Sulla partecipazione atipica mediante omissione a reato proprio (In tema di concorso
del custode alla sottrazione di cose pignorate commessa dal proprietario), in Riv. it. dir. proc. pen, 1967,
specie pp. 310 e 311.
272
Si vedano, fra gli altri, L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e
giurisprudenza italiane, cit., p. 1343 ss.; I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo
di sorveglianza, cit., pp. 133 ss., M. ROMANO–G. GRASSO, in Commentario sistematico del codice
penale, Art. 85-149, cit., p. 179, F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 2007, p. 169, G.
MARINUCCI–E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, Parte generale, cit., p. 205.
273
L‟art. 138 c.p.m.p. recita così: «Ferma in ogni altro caso la disposizione del 2° comma dell‟art. 40 c.p.
il militare che, per timore di un pericolo o altro inescusabile motivo, non usa ogni mezzo possibile per
impedire la esecuzione di alcuno dei reati contro la fedeltà o la difesa militare, o di rivolta o di
ammutinamento, che si commette in sua presenza, è punito: 1°con la reclusione non inferiore a dieci
anni, se per il reato è stabilita la pena (di morte con degradazione o quella) dell‟ergastolo; 2°negli altri
casi, con la pena stabilita per il reato, diminuita dalla metà a due terzi. (...)».
90
di mera condotta; ergo c) il richiamo operato dall‟art. 138 c.p.m.p. all‟art 40 cpv. non
avrebbe avuto senso, se il legislatore non avesse ritenuto che, anche per quelle
fattispecie di reato (le fattispecie di mera condotta), sia possibile una responsabilità ex
art. 40 cpv. (274).
Ancora, un ulteriore argomento addotto dai sostenitori della tesi estensiva, è quello che
fa leva sull‟art. 116 c.p.: la norma fornirebbe una chiara e forte conferma del fatto che il
nostro legislatore non impiega, sempre, il termine “evento” nella accezione puramente
naturalistica (275).
Un altro dato testuale a sostegno della posizione estensiva viene colto nell‟art. 57 c.p.,
che delinea una ipotesi di responsabilità colposa del responsabile di una pubblicazione a
stampa, per omesso impedimento di un fatto di reato commesso col mezzo della
pubblicazione. Ora, poiché la norma, la quale fonda una responsabilità tipicamente
colposa, non consentirebbe l‟estensione della sua portata incriminatrice ad ipotesi
dolose – e poiché non è accettabile che le forme di omissione dolosa restino impunite –
apparirebbe evidente che dell‟omesso impedimento del reato (qualunque reato) debba
rispondersi, in via generale, in forza del comma 2 dell‟art. 40 c.p. (276).
A fondamento della tesi estensiva viene indicata, infine, una ragione di tipo logicostrutturale. Che per il mancato impedimento, ex art. 40 cpv., si possa essere chiamati a
rispondere soltanto di reati di evento causalmente orientati, trova una insuperabile
274
G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., pp. 140-141. Per una più approfondita illustrazione della
tesi, vedasi L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane,
cit., pp. 1342-1346.
275
L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p.
1348. Più in particolare secondo l‟Autore la norma fornirebbe conferma del fatto che il termine “evento”
viene talora impiegato dal legislatore nel senso di “fatto di reato nel suo complesso”: «(...) l‟art. 116 c.p.
(...), nello stabilire la responsabilità del concorrente per il fatto diverso da quello voluto, espressamente
dispone che di quel reato egli risponde quando “l‟evento è conseguenza della sua azione o omissione”.
Ci pare evidente, per un verso, che nel riferirsi all‟evento, il legislatore voglia significare – precisamente
– il „complessivo fatto di reato commesso dagli altri concorrenti‟, che ben può essere privo di un evento
naturalistico in senso stretto. Per altro verso, è altrettanto evidente che nel „costruire‟ simile
responsabilità, il codice segue il medesimo criterio di tipizzazione causale (la conseguenza dell‟azione o
omissione) che informa l‟intera disciplina del concorso, e che pone in relazione causale – appunto – la
condotta del concorrente e il complessivo fatto tipico di reato (commesso in concorso)».
276
«(...)poiché la norma, nel fondare una responsabilità tipicamente „colposa‟, comunque non consente
l‟estensione della sua portata incriminatrice ad ipotesi dolose, delle due l‟una: o l‟omissione dolosa è
punita in virtù della clausola di equivalenza di cui all‟art. 40 cpv c.p. (...) o, al contrario, proprio la
forma dolosa (...) deve andare impunita. Il che – per evidenti motivi di ragionevolezza – non può essere. »
(L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., pp. 13461347).
91
ragione “ontologica”: un contegno di tipo omissivo non può mai tenere il posto di una
commissione – equivalere ad una commissione – laddove, con riguardo a detta
“commissione”, il legislatore abbia previsto specifiche modalità di realizzazione (277).
Bene, un simile ostacolo non si riproporrebbe nei casi in cui l‟oggetto dell‟impedimento
sia costituito dal reato altrui: in tale ipotesi, difatti, è proprio la condotta altrui ad
integrare le specifiche modalità di realizzazione, gli specifici connotati materiali del
fatto, previsti dalla fattispecie incriminatrice di cui il garante viene chiamato a
rispondere per omissione (278).
È rimasta invece del tutto minoritaria in dottrina quella tesi – che nomineremo
qui di seguito “restrittiva” - secondo la quale, con riguardo agli “obblighi di
impedimento di reati altrui”, dovrebbe operare quel medesimo limite strutturale che
opera, in genere, per la fattispecie omissiva impropria. Il che equivale cioè a dire che,
secondo la tesi “restrittiva”, i reati del cui mancato impedimento si può essere chiamati
a rispondere, sono soltanto reati di evento, causali puri.
Tale posizione, affermata con forza dal Fiandaca (279), è stata di recente riproposta da
una parte della dottrina (280).
La ragione posta a sostegno di tale tesi è tanto chiara quanto incisiva: se il limite
operativo dell‟art. 40 cpv. è necessariamente costituito dai reati di evento causali puri
( 281 ), non si vede per quale ragione detto limite dovrebbe essere obliterato per una
particolare tipologia – o categoria, che considerar la si voglia – di obbligo impeditivo
277
Vedi retro capitolo I sezione I.
278
L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p.
1349.
279
G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 181 e ss. Ma vedasi, già prima, ad
esempio F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell‟evento, cit., p. 237.
280
Ci si riferisce in particolar modo a L. RISICATO, La partecipazione mediante commissione a reato
commissivo. Genesi e soluzione di un equivoco, cit., p. 1274 e ss, ID., Combinazione ed interferenza di
forme di manifestazione del reato, cit., p. 453. Si veda anche P. SEMERARO, Il concorso mediante
omissione nel reato, cit., p. 585, il quale sembra condividere l‟idea secondo cui, ritenere applicabile l‟art.
40 cpv anche rispetto all‟omesso impedimento di qualunque tipologia di reato, comporterebbe che “i
confini dell‟art. 40 cpv verrebbero tracciati nei confronti della responsabilità concorsuale in maniera
illogicamente più ampia di quelli stabiliti per la responsabilità monosoggettiva” (E pur tuttavia l‟Autore
giungerà poco oltre ad affermare che un concorso ex art. 110 può essere configurato rispetto a qualunque
tipologia di reato).
281
92
Vedi retro, Capitolo I, Sezione I.
(282). I reati del cui mancato impedimento si può essere chiamati a rispondere sarebbero,
pertanto, esclusivamente quelli che presentino nella loro struttura un evento in senso
naturalistico (283). D‟altronde, mantenere – anche nei casi di obblighi di impedimento di
reati altrui – la sfera operativa della responsabilità omissiva impropria circoscritta alle
sole fattispecie di evento causalmente orientate, consente di appagare molteplici
esigenze: la coerenza sistematica ed esegetica, anche in ossequio al canone penalistico
della legalità; il contenimento – come si vedrà meglio nel prossimo paragrafo – delle
ipotesi di responsabilità per concorso mediante omissione; il mantenimento di una
corrispondenza tra la responsabilità per omissione e la tutela di beni di particolare rango
(284).
Come si è già detto, anche di recente una parte - seppur minoritaria - della dottrina, ha
ribadito con veemenza la tesi restrittiva. Facendo appello ai «limiti determinati dal
legislatore» (285) - e ritenendo inconcepibile che alla nozione di evento ex art. 40 cpv.
venga attribuita una valenza diversa, a seconda della tipologia di obbligo impeditivo che
viene in questione (286) - la suddetta dottrina confuta, uno dopo l‟altro, gli argomenti
posti a sostegno della tesi estensiva.
A proposito dell‟art. 138 c.p.m.p., viene affermato che detta norma in nessun modo
riesce a legittimare l‟interpretazione secondo cui, in forza dell‟art. 40 cpv., si può essere
chiamati a rispondere per l‟omesso impedimento di qualunque tipo di reato. Tutt‟altro.
La clausola di riserva con cui quella norma si apre («Ferma in ogni altro caso la
disposizione del 2° comma dell‟art. 40 c.p. ...») ha un duplice valore: da un lato, essa
282
«(...) posto cioè che nel caso di realizzazione monosoggettiva dell‟illecito il giudizio di equivalenza ex
art. 40 cpv c.p. (...) va rigorosamente limitato alle fattispecie causali pure, non si comprende quale sia la
ragione per cui tale regola debba essere disattesa allorché il garante è chiamato a rispondere a titolo di
concorso» (G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, cit., p. 181).
283
G. FIANDACA, op. loc. ult. cit. Proprio in forza di un tale assunto l‟Autore nega che su un genitore
possa gravare un obbligo giuridico di impedire il reato di violenza carnale commesso da terzi in danno del
proprio figlio: trattasi, infatti, di fattispecie in cui difetta un evento in senso naturalistico. L‟Autore invita
pertanto a riflettere «sul tipo di tecniche di tutela da predisporre, una volta verificata l‟impossibilità di
utilizzare a questo scopo il meccanismo della responsabilità per omesso impedimento dell‟evento».
284
Si veda retro, Capitolo I, Sezione I.
285
L. RISICATO, Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, cit., p. 391. I “limiti
determinati dal legislatore” sarebbero quelli insiti nell‟art. 40 cpv stesso, il quale, esaminato nella sua
forma di realizzazione monosoggettiva, viene ritenuto indubbiamente applicabile ai soli reati di evento
causali puri.
286
93
L. RISICATO, op. ult. cit., p. 390.
serve a dirimere un potenziale concorso di norme, stabilendo che – in quei casi in cui un
fatto possa essere astrattamente ricondotto tanto all‟art. 138 c.p. quanto all‟art. 40 cpv. –
è l‟art. 138 a costituire la norma speciale, a fronte della quale la norma generale (il 40
cpv.) soccombe; dall‟altro lato, essa afferma che, appunto, in “ogni altro caso” - cioè in
ogni caso non riconducibile alle situazioni disciplinate all‟interno dell‟art. 138 – resta
ferma l‟applicazione dell‟art. 40; applicazione – si rileva – che non potrà se non
avvenire secondo i margini operativi propri dell‟art. 40 cpv. stesso (287).
Sull‟argomento tratto dall‟art. 57 c.p., si afferma che è quanto mai forzato ritenere che
da tale “precisa e circoscritta fattispecie incriminatrice, disciplinante un reato omissivo
proprio” - e per giunta estremamente controversa in ordine al criterio di imputazione
della responsabilità nonché destinata ad operare fuori dei casi di concorso nel reato–
possano legittimamente essere tratte conclusioni generalizzate circa l‟estensione delle
clausole di equivalenza (177).
Sull‟impiego del termine “evento” - da intendere come “fatto di reato” - effettuato
dall‟art. 116 c.p., si rileva come tale norma – la quale costituisce una delle più
controverse norme in tema di concorso nel reato, data la sua delicata compatibilità con il
principio di colpevolezza – non rappresenta di certo la “base migliore” su cui edificare
conseguenze generalizzanti in tema di concorso mediante omissione.
Più in generale, all‟argomento secondo cui il termine “evento” viene impiegato dal
legislatore non soltanto come “evento naturalistico”, bensì con significati poliedrici (tra
cui, appunto, quello di “evento” come “fatto di reato”), la tesi restrittiva replica che – se
287
L. RISICATO, op. ult. cit., pp. 392-393, la quale conclude che «In queste condizioni, l‟art. 138 c.p.m.p.
non ha più valore, come prova dell‟esistenza di una clausola generale di responsabilità per omesso
impedimento dell‟evento-reato di quanto non ne abbiano – per richiamare una problematica per certi
aspetti analoga – le singole fattispecie di agevolazione colposa rispetto all‟ammissibilità di un generale
concorso colposo nel fatto doloso altrui».
Tale lettura dell‟art. 138 c.p.m.p. è condivisa altresì da P. SEMERARO, Il concorso mediante omissione nel
reato, cit., pp. 586-587, secondo il quale tale norma «è volta a precisare, mediante la formula “Ferma in
ogni altro caso la disposizione del 2° comma dell‟art. 40 cpv c.p. (...)” che nelle ipotesi diverse da quelle
contemplate dalla norma è applicabile l‟art. 40 cpv mentre in quelle previste dall‟art. 138 c.p.m.p. nelle
quali pure ricorrono i requisiti per l‟applicazione dell‟art. 40 cpv. c.p. si applica l‟art. 138 c.p.m.p. (...)
Quindi, ci pare di potere affermare che il legislatore abbia inteso precisare anzitutto l‟applicabilità anche
al militare, dei reati causali puri compiuti mediante omesso impedimento dell‟evento (...) Il legislatore
inoltre ha voluto risolvere il problema rappresentato dal conflitto di norme esistente tra l‟art. 138 c.p.m.p
e l‟art. 40 cpv c.p., allorquando i reati indicati dall‟art. 138 c.p.m.p. risultino essere di evento (...)
chiarendo che in tale evenienza debba prevalere la disciplina contenuta nell‟art. 138 c.p.m.p. (...) Alla
luce di codeste considerazioni, pertanto, ci sembra che la clausola di riserva contemplata dall‟art. 138
c.p.m.p. svolga funzione affatto residuale poiché, anzi, riconosce l‟applicabilità in via generale dell‟art.
40 cpv c.p. (...) mentre per contro non aiuta a determinare una nuova interpretazione dell‟art. 40 cpv. c.p.
tale da giustificare la configurazione dell‟obbligo giuridico di impedire l‟illecito penale altrui».
94
ciò è senz‟altro vero – è altresì vero che davvero pochi margini di dubbio possono
esistere, in ordine alla portata da attribuire a quel termine “evento” di cui parla il comma
2 dell‟art. 40: «essendo inserito nella disciplina del rapporto di causalità materiale, non
dovrebbe di per sé essere suscettibile di alcuna interpretazione polivalente della sua
portata. (...) in riferimento alle norme sul rapporto di causalità è infatti pressoché certo
che il concetto di “evento” adoperato dal legislatore si riferisca esclusivamente
all‟effetto materiale della condotta» (288). Visto che – si argomenta ancora – l‟art. 40
cpv. disciplina l‟equivalente normativo della causalità, non può esserci ragione alcuna
per ritenere che tale regola – quando l‟obbligo impeditivo abbia ad oggetto il reato altrui
– possa essere dilatata fino a far coincidere l‟evento non impedito con il fatto illecito
altrui, comunque strutturato. Sostenere che l‟evento di cui parla il co. 2 dell‟art. 40
possa essere sinonimo di “intero fatto illecito altrui” significherebbe operare una vera e
propria applicazione analogica in malam partem dell‟art. 40 cpv.(289). Dal che – come è
ben noto – si deve rifuggire.
Tutto quanto è stato sin qui illustrato – attraverso l‟elencazione ed il confronto
dei principali argomenti sostenuti dalle tesi contrapposte – ha avuto uno scopo preciso:
mostrare la profondità del dibattito sul tema, profondità cui corrisponde una dirompente
portata delle conseguenze che discendono dall‟adozione dell‟una o dell‟altra
impostazione.
Non si può evitare di sottolineare che ad essere in gioco è la stessa individuazione dei
reati del cui mancato impedimento si può essere chiamati a rispondere; ad essere in
gioco, cioè, sono gli stessi confini (e che confini!) della penale responsabilità.
Ancora, ad essere in gioco è la determinazione dei beni a presidio dei quali è
ammissibile la configurazione di una responsabilità anche per omissione: fintantoché
l‟ambito operativo del reato omissivo improprio viene mantenuto circoscritto alle
fattispecie di evento causali pure, si conserva per ciò solo il “legame” con i beni che
288
289
L. RISICATO, op. ult. cit., p. 397.
Rinunciare ad esigere, nel fatto illecito altrui non impedito, la presenza di un evento in senso
naturalistico – e cioè giungere ad identificare la nozione di evento con quella di reato tout court «equivale a postulare arbitrariamente un terzo comma all‟art. 40 cpv, che così reciti: “le disposizioni
precedenti si applicano anche quando l‟evento non impedito consiste nel fatto illecito altrui”» (L.
RISICATO, op. ult. cit., p. 400).
95
coincidono con i più “cari e preziosi” riconosciuti dall‟ordinamento (290).
Bene, a fronte di una questione tanto decisiva e fondamentale (291) - e cioè quale sia
l‟estensione che può essere assegnata all‟obbligo giuridico di impedire il reato altrui e,
dunque, quali siano i reati di cui si possa essere chiamati a rispondere ex art. 40 cpv. – si
deve prendere atto che lo scenario che si apre agli occhi del giurista è il seguente: la
norma è ferma, nel suo discreto riserbo; la dottrina che ha riflettuto sul tema è
approdata, come si è visto, ad esiti diametralmente opposti; la giurisprudenza – come si
vedrà nel capitolo III – sembra ignorare che un problema, a riguardo, esista, e con
disarmante disinvoltura chiama a rispondere il garante di turno di qualunque tipologia di
reato egli non abbia impedito.
2.11. Il concorso mediante omissione nel reato non impedito.
«(...) se nell‟ambito del concorso punibile sono da ricondurre tutte le condotte
che abbiano avuto un‟efficacia condizionante rispetto al fatto di reato e se, in forza
dell‟art. 40 co. 2, il non impedimento di un evento – in presenza di un obbligo giuridico
di attivarsi volto in tale direzione – è equiparato alla sua attiva causazione, ne segue
che il non impedimento di un reato da parte del titolare di un obbligo di garanzia deve
essere considerato come una condotta di partecipazione rilevante» (292).
Le sopra riportate affermazioni esprimono l‟opinione della giurisprudenza unanime e di
larghissima parte della dottrina, secondo cui, appunto, la violazione dell‟obbligo
giuridico di impedire il reato altrui determina la responsabilità penale per concorso nel
reato medesimo (293): nel reato, difatti, convergerebbero il contributo attivo – apportato
290
Vedi retro, Capitolo I, Sezione I.
291
Una questione – verrebbe da dire - “prodromica” rispetto ad ogni altro discorso.
G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, cit., p. 139; similmente, M. ROMANO–G. GRASSO, in
Commentario sistematico del codice penale, Art. 85-149, cit., p. 176.
292
293
Si vedano, tra i tanti, S. VINCIGUERRA, Sulla partecipazione atipica mediante omissione a reato
proprio (In tema di concorso del custode alla sottrazione di cose pignorate commessa dal proprietario),
cit., p. 307 e ss., L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza
italiane, cit., p. 1339 e ss., I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di
sorveglianza, cit., p. 353 e ss, G. MARINUCCI–E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, Parte generale,
Milano, 2006, p. 367 e ss., G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto penale, Parte generale, 2007, p. 619 e ss.
96
da chi quel reato ha materialmente commesso – ed il contributo omissivo, equiparato
alla causazione attiva in forza dell‟art. 40 cpv., arrecato da chi quel reato non ha
impedito, pur avendo l‟obbligo giuridico di farlo.
Si tratterebbe più in particolare – afferma una parte della dottrina – di una forma di
responsabilità concorsuale necessaria, “ontologica”, in quanto una tale omissione «deve
necessariamente accedere all‟azione delittuosa altrui» (294).
Dunque, partendo dalla prospettiva dell‟obbligo giuridico impeditivo, si afferma che
dalla violazione di un obbligo di impedire il reato altrui consegue – sussistendone tutti i
presupposti – una responsabilità per concorso mediante omissione in quel reato;
partendo dalla prospettiva della responsabilità concorsuale, si afferma – con diversi ma
equivalenti termini - che una condotta di partecipazione rilevante può anche essere
costituita da un comportamento meramente omissivo, ma che ciò può avvenire soltanto
quando, in capo al soggetto rimasto inerte, possa dirsi sussistente una posizione di
garanzia, sub specie di obbligo di impedimento del reato altrui.
Come si è detto nell‟introduzione di questa sezione, non abbiamo lo scopo – né
avremmo, in questa sede, i mezzi – di esaminare approfonditamente l‟istituto della
compartecipazione omissiva. Del concorso mediante omissione parleremo soltanto per
In dottrina si fanno altresì registrare alcune voci fortemente perplesse, circa la “automatica deduzione”;
dall‟art. 40 cpv, altresì di una forma di responsabilità omissiva concorsuale.
Tra queste spicca quella di G. INSOLERA, voce Concorso di persone nel reato, in Dig. disc. pen., vol. II.
cit., p. 469 e ss, il quale, dopo aver illustrato i principali punti di criticità del concorso mediante
omissione, mostra di non essere contrario alla prospettiva del superamento di tale istituto. In particolare,
le principali ragioni di criticità di tale forma di responsabilità, vengono dall‟Autore rinvenute nelle
seguenti:
a) quando l‟evento da impedire è cagionato dalla condotta di un altro soggetto, difetterebbe in realtà, in
capo all‟asserito garante, un potere di effettiva signoria nei confronti dell‟evento stesso;
b) per ciò che concerne l‟elemento del nesso causale, nel concorso mediante omissione si prescinde
completamente da una effettiva dimostrazione di esso, «essendo sufficiente, da un lato la constatazione
dell‟esistenza di una posizione di garanzia, dall‟altro l‟operare dell‟equivalenza stabilita dall‟art. 40
cpv»;
c) per ciò che concerne infine l‟elemento soggettivo, a lasciare perplessi è l‟incondizionata assimilazione
«di un contegno inerte ad una effettiva volontà di cooperare».
Una volta espresse le ragioni che lo inducono a dubitare della ammissibilità dell‟istituto del concorso
mediante omissione, l‟Autore si domanda se possano tuttavia esservi degli spazi all‟interno dei quali una
tale forma di responsabilità sia configurabile. La riflessione sul punto conduce l‟Autore a concludere che
un concorso mediante omissione è configurabile nella stretta misura in cui «il mancato impedimento
dell‟evento costituisca una delle articolazioni funzionali della realizzazione dell‟illecito (...) cioè (...) solo
in presenza di un effettivo e funzionale inserimento della omissione tra i presupposti organizzativi
dell‟illecito (...) Prescindendo quindi dall‟assegnare un valore decisivo all‟indagine sul profilo
intenzionale. (...) sarà proprio il significato obiettivo che l‟omissione esprime nel combinarsi e
nell‟operare dei vari apporti funzionali alla realizzazione del reato (...)»
294
Così L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p.
1379, il quale, poco più avanti, parlerà, appunto, di «responsabilità ontologicamente concorsuale».
97
puntualizzare alcuni contenuti, i quali fungeranno da strumenti concettuali
indispensabili per svolgere, nei paragrafi a seguire, le riflessioni utili ai fini del nostro
discorso.
In particolare, l‟attenzione verrà focalizzata sui profili seguenti: l‟ambito operativo del
concorso mediante omissione; la modalità di interazione delle due clausole generali
(artt. 110 e 40 cpv.) dal cui combinarsi la figura del concorso omissivo scaturisce; la
descrizione dell‟atteggiarsi dei presupposti in presenza dei quali può parlarsi di
concorso mediante omissione.
Sulla questione dello “spazio vitale” del concorso mediante omissione, si può
evitare di dilungarsi in questa sede: su tale questione, difatti, si riverberano gli effetti
delle varie concezioni maturate riguardo all‟“ambito applicativo” degli obblighi
giuridici di impedire i reati altrui. Di tali concezioni si è parlato nel paragrafo che
precede. Qui ci si limita pertanto ad osservare come coloro che ritengono che un
obbligo giuridico di impedire il reato altrui sia configurabile con riguardo a qualunque
tipologia di reato (anche quelli di evento a forma vincolata o di mera condotta)
ritengono altresì, almeno di norma, che si possa essere chiamati a rispondere, per
concorso mediante omissione, di qualunque tipologia di reato, appunto (184). Ove
invece si abbracci - con riguardo alla sfera applicativa degli “obblighi impeditivi di reati
altrui” - una posizione restrittiva, per conseguenza si riterrà che l‟ambito di operatività
della partecipazione negativa a reato omissivo sia lo stesso del 40 cpv.: reati di evento
causali puri, posti a tutela di beni particolari.
Come si è già accennato sopra, la tematica dello spazio operativo della
compartecipazione omissiva è tanto “sofferta” - e a ragione – in dottrina, quanto è
pacifica in giurisprudenza, laddove, con pressoché assoluto automatismo, vengono
stabilite delle responsabilità omissive concorsuali a fronte dell‟asserito omesso
impedimento di qualunque genere di reato (295).
Sempre a proposito dell‟ambito operativo del concorso mediante omissione, appare
interessante effettuare un‟ultima precisazione. Come si è detto sopra, la dottrina allo
stato maggioritaria ritiene che l‟“obbligo impeditivo dei reati altrui” costituisca una
autonoma posizione di garanzia; bene, è qui interessante rilevare come quella stessa
dottrina, almeno di norma, impieghi l‟istituto del concorso mediante omissione in via
295
98
Vedi infra, Capitolo III.
per così dire generalizzata: il concorso mediante omissione viene cioè ritenuto
sussistente tanto nei casi in cui l‟obbligo giuridico di impedire il reato derivi la sua
essenza da una funzione di controllo (sul soggetto il cui reato va impedito), quanto nei
casi in cui l‟obbligo giuridico di impedire il reato derivi da una preesistente posizione di
protezione ( 296 ). Insomma, al concorso mediante omissione la dottrina dominante è
solita riferirsi tanto nel caso, ad esempio, del genitore che non ha impedito il reato
commesso dall‟irrequieto figlio minore (sul quale può e deve esercitare poteri di
controllo), quanto nel caso del genitore che non ha impedito il reato, commesso da terzi
in danno del figlio minore (rispetto al quale il genitore ha una posizione di protezione).
Ci si occuperà ora delle modalità di interazione tra le due clausole generali (artt.
40 e 110 c.p.) che fondano la forma di responsabilità per compartecipazione omissiva.
Il tema si presenta di notevole profondità dogmatica; i rapidi cenni che, qui di seguito,
verranno dedicati ad esso, resteranno, per forza di cose, alla superficiale enunciazione
dei principali problemi coinvolti.
In via di approssimazione, si può affermare che le posizioni sul tema possono essere
ricondotte a due fondamentali orientamenti: da un lato si può ritenere che le due
clausole si combinino fra loro, penetrandosi vicendevolmente e dando così vita ad una
nuova tipicità (297); dall‟altro lato si può invece ritenere che le due clausole possano sì
accostarsi – di un “accostamento necessario” si tratterebbe, peraltro, come già detto,
secondo parte della dottrina ( 298 ) - ma vanno mantenute assolutamente distinte, nel
senso che esse non possono combinarsi in alcun modo e vanno applicate “una di seguito
all‟altra” (299).
296
Si veda per tutti I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit.,
pp. 124, la quale afferma che tanto gli obblighi impeditivi di reati attribuiti ai titolari di posizione di
protezione, quanto quelli derivanti da poteri giuridici di controllo, sono «accomunati nelle conseguenze
penali, e cioè, dalla loro esclusiva rilevanza a titolo di compartecipazione omissiva». Per una posizione
fortemente contraria all‟impiego “generalizzato” della categoria degli “obblighi di impedimento di reati
altrui” e della forma di responsabilità omissiva, si veda L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui
nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., passim; per un approfondimento della posizione di tale
Autore, si rinvia al paragrafo seguente.
297
Si potrebbe immaginare, ad esempio, che l‟elemento della condotta partecipativa “venga offerto”
dall‟art. 40 cpv – il quale contempla l‟omissione del garante – e che l‟elemento del nesso causale vada
ricostruito attingendo alla materia del concorso.
298
Si veda supra, la posizione di quella dottrina che parla di concorso “ontologicamente necessario”.
299
L. RISICATO, Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, cit., p. 454 ss.
99
Seguendo l‟impostazione descritta per prima, si può giungere a riconoscere alle norme
sul concorso una funzione incriminatrice: una situazione non integrante tutti i
presupposti di cui al comma 2 dell‟art. 40 potrebbe, ad esempio, assumere rilievo
penalistico in forza delle norme sul concorso (300)
Escludere, invece, che le due norme possano combinarsi interferendo fra loro, significa
negare che la forma concorsuale possa svolgere – rispetto alla responsabilità omissiva
impropria – una qualsiasi funzione incriminatrice (301): in ordine alle condotte omissive
opera con assoluta sufficienza ed esclusività l‟art. 40 cpv. c.p., nel senso che i
presupposti ed i requisiti di operatività della responsabilità per omesso impedimento
dell‟altrui reato sarebbero già interamente compresi nell‟art. 40 cpv.; di qui,
l‟affermazione secondo cui l‟art. 110 non sarebbe chiamato a svolgere nessuna funzione
incriminatrice con riguardo, appunto, alle condotte omissive ( 302 ); il concorso potrà
venire in questione soltanto in chiave e con funzione di disciplina (303).
300
Ad una tale impostazione riteniamo di poter ricondurre la posizione, ad esempio, di P. SEMERARO, Il
concorso mediante omissione nel reato, cit., p. 593 ss.
301
A questa impostazione possiamo ascrivere, in particolare, le voci di L. BISORI, L‟omesso impedimento
del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p. 1378 ss. e quella di L. RISICATO,
Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, cit., p, 446 ss.
Ora, è interessante notare come proprio quelli appena citati sono Autori i quali, sempre in tema di
concorso mediante omissione, assumono posizioni diametralmente opposte con riguardo ad altri specifici
profili (“altri”, rispetto a quello, qui sopra esaminato, delle “modalità operative” della combinazione fra
40 cpv e 110 c.p.). (Si ponga già solo mente al fatto che la Risicato, a differenza del Bisori, afferma che il
concorso mediante omissione è ammissibile solo con riguardo a fattispecie causali pure).
Bene, quanto appena affermato è volto a dimostrare ciò che è stato asserito in apertura della presente
sezione: e cioè che ricostruire con rigore e precisione le varie posizioni assunte dalla dottrina in tema di
obbligo giuridico di impedire il reato altrui ed in tema di concorso mediante omissione nel reato
commissivo, è davvero un percorso labirintico.
302
«(...) la categoria della partecipazione mediante omissione a reato commissivo (..) tradisce un
pericoloso equivoco, in quanto lascia intendere che sia configurabile una condotta di partecipazione
(cioè originariamente atipica) di natura omissiva al reato commissivo, mentre l‟indagine compiuta ha
posto invece in evidenza come le fattispecie oggetto di studio vanno ricondotte a due qualificazioni
dogmatiche distinte ed irriducibili. Se ricorrono i presupposti di operatività dell‟art. 40 cpv., l‟omittente
che versa in situazione di concorso con altre persone non è partecipe, bensì coautore: la rilevanza penale
della sua condotta omissiva non dipende cioè da una supposta funziona incriminatrice dell‟art. 110 c.p.,
ma va ricondotta pienamente all‟applicazione dell‟art. 40 cpv alla norma incriminatrice di parte
speciale, con la conseguenza che le norme sulla compartecipazione criminosa verranno in rilievo
esclusivamente sotto il profilo della funzione di disciplina. Se di contro esulano i presupposti di
operatività dell‟art. 40 cpv, colui che omette un‟azione doverosa potrà assumere il ruolo del partecipe ma
non in relazione ad un preteso contributo “materiale” di tipo omissivo, bensì in funzione del contributo
“morale” consistente nell‟eventuale rafforzamento del proposito criminoso in capo all‟autore in senso
stretto (...)». L. RISICATO, Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, cit., pp.
460,461.
303
Peraltro in genere si ritiene che la applicazione della disciplina del concorso alla responsabilità per
100
L‟attenzione può a questo punto essere soffermata su quelli che sono i
presupposti in presenza dei quali può configurarsi una responsabilità concorsuale
omissiva.
Il fatto di reato realizzato è evidentemente quello commesso fisicamente dal terzo (304).
La pluralità di soggetti si realizza per il meccanismo che si è descritto sopra: nel reato
concorrerebbero – “necessariamente”, secondo taluni - il contributo attivo di chi ha
materialmente posto in essere il reato ed il contributo omissivo di chi, pur avendone
l‟obbligo giuridico, non lo ha impedito.
Per ciò che concerne la condotta partecipativa, essa deve essere rappresentata
dall‟omissione non impeditiva di cui parla l‟art. 40 cpv.: una omissione, dunque, che
rileva nella esclusiva misura in cui il soggetto che “la pone in essere” sia titolare di un
obbligo giuridico impedivo. Ai nostri fini, è utile sottolineare sin da subito come, ove
una vera e propria posizione di garanzia difetti, l‟omissione non potrà in alcun modo
rilevare a titolo di concorso, a meno che: a) essa sia incriminata da una norma ad hoc
(essa rileverà, pertanto, non in forza dell‟art. 40 cpv., bensì come omissione propria,
altrove sanzionata); oppure b) il contegno inerte si traduca in realtà in un rafforzamento
del proposito criminoso dell‟autore materiale del reato, potendo così esso rilevare in
termini di concorso morale (305).
Sempre in tema di condotta partecipativa, è interessante domandarsi se il contributo
omissivo - ove sia causalmente rilevante – rappresenti, ontologicamente, una forma di
concorso morale o materiale. Si rileva in dottrina come non sia mancata
«giurisprudenza che abbia opinato per la prima soluzione, probabilmente sulla scorta
del facile rilievo che nulla di materiale vi è nell‟inerzia»; in realtà – si osserva «occorre guardare al valore normativo per equivalente dell‟omissione, non alla sua
omissione non possa essere una applicazione “automatica ed immediata”, nel senso che occorrerebbe
invece procedere, di volta, a verificare la compatibilità della singola norma con la natura peculiare della
responsabilità omissiva. Per un approfondimento su quali possano essere, all‟interno della disciplina sul
concorso di persone nel reato, le norme più o meno “compatibili”, vedansi L. Bisori, L‟omesso
impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p. 1382,1383 e P. SEMERARO, Il
concorso mediante omissione nel reato, cit., pp. 595-597.
304
Se possa trattarsi di un qualunque reato, oppure se debba trattarsi di specifiche tipologie di reati
(causali puri), si è già detto abbondantemente qui sopra.
305
In tali termini, ad esempio, L. RISICATO, Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del
reato, cit., p. 379 ss. Per una più articolata riflessione sul punto, si veda infra, ultimo paragrafo della
presente sezione.
101
natura ontologica: e sotto questo profilo essa è meglio assimilabile al contributo
materiale» (306).
Per quanto riguarda l‟elemento del nesso causale tra la condotta (omissiva) del garante
ed il reato non impedito, potrebbe sorgere un dubbio, cui la dottrina non ha mancato di
dar voce. Ci si potrebbe domandare se, al fine di ritenere sussistente il nesso causale,
debba provarsi che il compimento, da parte del garante, dell‟azione doverosa, avrebbe
con certezza impedito la realizzazione del reato; oppure se il nesso causale possa dirsi
sussistente anche laddove si riesca a provare che l‟inerzia del garante abbia agevolato la
realizzazione del reato, nel senso che una attivazione di quello avrebbe ostacolato avrebbe reso meno agevole, appunto - la commissione del reato stesso (307).
Presso coloro che ritengono che le due clausole generali (artt. 40 cpv. e 110) non
possono combinarsi fra loro – e cioè che ritengono che i presupposti della
incriminazione della compartecipazione omissiva siano tutti contenuti nel solo articolo
40 cpv. (308) - il dubbio non dovrebbe neanche astrattamente profilarsi: il nesso causale è
quello condizionalistico, ex art. 40 cpv., ed esso va accertato “secondo i canoni ed i
rigori” da ultimo cristallizzati nella famosa sentenza Franzese (309).
Ma in realtà, a ben guardare, il dubbio andrebbe agilmente sciolto in ogni caso, e cioè
anche da coloro che ritenessero che, di fronte a fenomeni di compartecipazione
omissiva, debba – per la determinazione del nesso causale – guardarsi alla disciplina
concorsuale. Autorevole e consolidata dottrina, difatti, sostiene che anche in ambito
concorsuale l‟unico criterio applicabile sia quello condizionalistico, con sussunzione
sotto leggi scientifiche (310): il ricorso ad una diversa nozione di causalità – ad esempio
la cosiddetta causalità agevolatrice – si presenta del tutto inutile, nonché completamente
“surrogabile” da una corretta applicazione del criterio condizionalistico stesso; una
applicazione, cioè, che identifichi il secondo polo del nesso causale nel fatto di reato
306
L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., pp.
1387-1388.
307
Il quesito viene ad esempio posto, in termini concisi ma cristallini, da L. BISORI, op. ult. cit., p. 1383.
308
Per tale posizione, vedi supra.
309
Vedi retro, capitolo I sezione II.
310
Si vedano, per tutti, C. PEDRAZZI, Il concorso di persone nel reato, Palermo, 1952, p. 78 e ss.; M.
ROMANO–G. GRASSO, in Commentario sistematico del codice penale, Art. 85-149, cit., p. 163 ss.
102
concreto, ricostruito hic et nunc e che provveda ad escludere i fattori causali ipotetici
(311). Detta impostazione risulta avvalorata anche da un recente arresto delle Sezioni
Unite della Suprema Corte le quali, richiamando i principi espressi nella celebre
sentenza Franzese, hanno affermato che, anche nell‟ambito del concorso di persone nel
reato – e nonostante «le ben note difficoltà di prova» - il nesso causale va accertato con
un giudizio ex post, che sia in grado di stabilire - mediante l‟operazione controfattuale
di eliminazione mentale della condotta materiale atipica del concorrente, integrata dal
criterio di sussunzione sotto leggi di copertura o generalizzazione e massime di
esperienza dotate di affidabile plausibilità empirica – che sussiste un nesso eziologico
tra la condotta del concorrente e la realizzazione del fatto di reato, così come
storicamente verificatosi, hic et nunc, con tutte le sue caratteristiche essenziali (312).
Calando le affermazioni appena svolte nel contesto della compartecipazione omissiva, si
deve dunque affermare che un nesso causale tra il contributo omissivo del garante ed il
reato realizzato potrà dirsi sussistente solo allorquando si possa accertare oltre ogni
ragionevole dubbio che eliminando mentalmente la condotta del concorrente – e cioè
“aggiungendo mentalmente” la condotta doverosa omessa – il reato non sarebbe stato
compiuto ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con
minore intensità lesiva (313) (314).
Spenderemo qualche rapidissimo cenno anche sull‟ultimo presupposto della
realizzazione plurisoggettiva del reato omissivo improprio, e cioè sull‟elemento
soggettivo del concorrente (315).
311
«Ma gli esempi prospettati a sostegno della causalità agevolatrice non appaiono persuasivi: nelle
situazioni considerate si deve infatti ammettere l‟esistenza di un nesso di condizionamento, pur
utilizzando la formula tradizionale, sempre che si tenga conto di due principi la cui corretta applicazione
risulta essenziale. Anzitutto, è necessario fare riferimento non all‟accadimento astratto, ma ad un
accadimento concreto che si verifica hic et nunc (...); in secondo luogo, nell‟applicazione della formula
della condicio sine qua non, come si è già detto, non è possibile tener conto di processi causali ipotetici
che avrebbero eventualmente operato (...). Alla luce di tali considerazioni, dunque, non si può certo
negare il valore condizionante del comportamento del complice che (..) fornisce la chiave allo
scassinatore: la cassaforte sarebbe sì stata aperta, ma in tempi diversi e sulla base di un processo
causale che non si è realizzato» (M. ROMANO–G. GRASSO, op. ult. cit., p. 166).
312
Cassazione penale, Sezioni Unite, 12 luglio 2005 n. 33748, par. 4.
313
In tali termini anche F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 200.
314
Nel capitolo III si avrà modo di verificare se – e con quanta “fedeltà” - la giurisprudenza si attenga ai
parametri sopra descritti, quando si tratta di andare a riscontrare l‟“efficacia causale” del contributo
omissivo del garante.
315
I profili problematici relativi all‟elemento soggettivo non costituiranno oggetto di approfondimento nel
103
Limitando l‟attenzione alle sole ipotesi di concorso doloso ( 316 ), si deve osservare
quanto segue. La prova del dolo del concorrente omittente andrà raggiunta – e non
desunta – accertando con rigore ed intransigenza la ricorrenza di tutte le componenti in
cui deve articolarsi il dolo di un concorrente: e così da un lato, dovrà accertarsi la
presenza del dolo del fatto criminoso realizzato, il quale dovrà comprendere – per ciò
che concerne il momento rappresentativo - la conoscenza della propria posizione di
garanzia, della ricorrenza di una situazione di pericolo, dell‟azione doverosa da
compiere nonché dei mezzi necessari per raggiungere il risultato impeditivo, e – per ciò
che concerne il momento volitivo – l‟intenzionalità dell‟omissione, pur avendo la
possibilità di agire; dall‟altro lato, dovrà accertarsi la presenza del dolo di concorso, e
cioè la coscienza e la volontà relative al contributo causale arrecato dalla propria
condotta omissiva (317).
Sono stati sin qui affrontati i principali profili contenutistici della
compartecipazione mediante omissione.
Ciò ha consentito di prendere atto di come la dottrina abbia assunto posizioni variegate
in ordine alla ammissibilità di tale figura, alle modalità e ai margini operativi di essa.
Esiste tuttavia una opinione – una sorta di percezione – che tutti gli autori che si sono
occupati del tema sembrano condividere: la percezione che la compartecipazione
mediante omissione – figura dai contorni sfuocati e malleabili – costituisca uno
strumento che “rischia di sfuggire di mano”; più precisamente, la percezione che il
binomio costituito dalle due clausole generali (110 e 40 cpv. c.p.) rischi di trasformarsi
in un pericoloso strumento «moltiplicatore di punibilità» (318).
presente lavoro, incentrato sull‟analisi del solo elemento “tipico” della posizione di garanzia.
316
Verrà invece tralasciata ogni riflessione – la quale richiederebbe approfondimenti che non ci sono
consentiti in questa sede – sulla complessa figura della cooperazione colposa (e sulla linea di confine
rispetto all‟ipotesi del concorso di cause indipendenti) nonché sulla controversa figura del concorso
colposo a delitto doloso.
317
Vedansi, fra i molti, G. MARINUCCI–E. DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano,
2006, pp. 260, 261 e G. FIANDACA–E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2007, p. 611 ss.
318
Così L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p.
1376. Rischi di proliferazione di responsabilità vengono denunciati, ad esempio, fra i tanti, da I.
LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., p. 371; L. RISICATO,
Combinazione ed interferenza di forme di manifestazione del reato, cit., p. 379; M. ROMANO–G. GRASSO,
in Commentario sistematico del codice penale, Art. 85-149, cit., p. 179, P. Semeraro, Il concorso
mediante omissione nel reato, cit., p. 586.
104
Il rischio di “proliferazione di responsabilità” può in effetti celarsi in molteplici pieghe
di tale istituto.
La “moltiplicazione della punibilità” si verifica, in fondo, già sul piano dell‟ambito
applicativo, considerato che, secondo l‟impostazione che abbiamo visto essere
dominante, il reato omissivo improprio – quando si realizza in forma plurisoggettiva –
sarebbe configurabile rispetto a qualunque tipologia di reato.
Ma soprattutto la “proliferazione della responsabilità” deriva dal rischio di un disinvolto
impiego della combinazione delle due clausole generali.
Si pensi ad esempio al già segnalato fenomeno, in forza del quale nella fattispecie
omissiva impropria l‟elemento “forte” della posizione di garanzia rischia di fagocitare
in sé l‟elemento dell‟accertamento del nesso causale ( 319 ). Bene, un tale rischio si
presenta amplificato nella fattispecie omissiva impropria plurisoggettiva: la “forza
causale” dell‟omissione – ove non riuscisse ad essere affermata nei termini di un vero e
proprio mancato impedimento – potrebbe venire affermata sulla base di una – magari
tanto vaga quanto comoda – asserita agevolazione (320).
Un simile rischio di fagocitazione può presentarsi anche con riguardo all‟elemento
soggettivo (321).
Ma i rischi di “proliferazione della responsabilità” possono anche configurarsi per
ragioni diverse da quelle sopra viste. Si pensi ad un caso in cui la posizione di garanzia
– lungi dall‟essere “forte e dominante” - si presenti scolorita e di dubbia sussistenza.
Bene, anche qui, facendo un impiego distorto della combinazione tra l‟art. 110 ed il 40
cpv., si potrebbe giungere ad affermare una penale responsabilità: l‟assenza di certezza
sulla effettiva presenza di una posizione di garanzia e sulla reale equivalenza tra
l‟inerzia ed il reato commesso, potrebbe “venire colmata” facendo riferimento ad un
319
Vedi retro, Capitolo I, Sezione II.
320
Il rischio, cioè, è quello che venga impiegata – in via del tutto impropria a quale mero escamotage
argomentativo – la formula secondo cui “il garante non ha impedito e comunque ha agevolato”. Come si
avrà modo di vedere nel capitolo III, tale formula ricorre spesso, nelle sentenze in tema di
compartecipazione omissiva, per giustificare la presenza del contributo causale del garante.
321
Il rischio è cioè quello che l‟accertamento della presenza di una posizione di garanzia finisca col
surrogare, con l‟inglobare quello che dovrebbe essere, invece, il rigoroso accertamento della sussistenza
della colpa, o del composito dolo di concorso. È quanto a nostro avviso accade, ad esempio, quando la
sussistenza del dolo del garante finisce con l‟essere affermata in forza della possibilità, da parte di quello,
di percepire “segnali di allarme” (Si veda infra, capitolo III).
105
“contributo agevolativo” comunque fornito dal soggetto rimasto inerte; la mancanza di
una prova rigorosa circa l‟effettivo contributo agevolativo (magari di tipo morale) del
soggetto rimasto inerte, potrebbe “venire camuffata” dalla asserita violazione di un
obbligo impeditivo posto in capo all‟inerte. Si intende dire, cioè, che un impiego poco
coscienzioso della combinazione tra art. 110 e art. 40 cpv. potrebbe condurre al seguente
risultato: che le due clausole generali vengano fatte stare in piedi, reggendosi
reciprocamente l‟una sull‟altra, in un contesto in cui, invece, nessuna di esse dovrebbe
legittimamente “dimorare”.
Insomma, ciò che la dottrina – tutta – percepisce, è che un impiego disinvolto del
binomio 110 -40 cpv. c.p. condurrebbe a conseguenze serie ed inaccettabili: «salterebbe
ogni peculiarità della tipicità omissiva dettata dall‟art. 40 cpv. c.p., insieme stemperata
e „travolta‟ dalla forza omnicomprensiva della tipicità causale della fattispecie
plurisoggettiva eventuale. Con effetti paragonabili a quelli del trionfale ingresso di un
pachiderma in un negozio di cristalli» (322).
Di fronte alla percezione che il binomio 110-40 cpv. rischi di diventare un
incontrollato moltiplicatore di punibilità, la dottrina è corale nel segnalare l‟esigenza di
circoscrivere la sfera applicativa del concorso mediante omissione ma si divide, di
nuovo, al momento di indicare le vie da percorrere per raggiungere la suddetta
delimitazione.
Come si è visto sopra, vi è chi ritiene che vada operata una selezione in relazione alle
tipologie di fattispecie, asserendo che il concorso mediante omissione sia configurabile
soltanto rispetto a fattispecie di evento causali pure (323). Vi è chi ha suggerito di battere
la via dell‟elemento soggettivo, giungendo ad affermare che una responsabilità per
omesso impedimento sia configurabile soltanto laddove, in capo al garante rimasto
inerte, possa essere riscontrato un grado di volizione particolarmente intenso,
escludendo la possibilità che il garante sia chiamato a rispondere per dolo eventuale
(324). Vi è chi ritiene che la delimitazione della sfera operativa del concorso mediante
omissione vada raggiunta attraverso un‟opera di esatta ed intransigente individuazione
322
L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., p.
1376.
323
Vedi supra, nel paragrafo dedicato all‟ambito applicativo degli obblighi di impedire reati altrui.
324
PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, Milano, 1996, p. 363.
106
di quell‟elemento che funge da basilare fondamento di una tale forma di responsabilità:
la posizione di garanzia (325).
2.12. Ritorno alla questione oggetto di interesse. La distinzione tra obblighi di
sorveglianza ed obblighi di garanzia di impedimento di reati altrui: a) dove va
compiuta tale distinzione ... (segue).
Da quanto è stato sin qui illustrato, emerge come l‟“l‟obbligo di impedire reati
commessi da altri” costituisca una figura complessa, le cui membra molteplici si
articolano intersecandosi talvolta fra loro.
Ora, prescindendo per un attimo dalle varie categorie e dalle singole tesi forgiate
all‟interno della dottrina – così come, d‟altronde, da esse sembra prescindere la
giurisprudenza, la quale, come si vedrà, suole impiegare senza troppa parsimonia gli
“obblighi giuridici di impedire i reati altrui” e la correlativa forma di responsabilità – si
deve constatare, compiendo una “analisi di insieme”, che la figura dell‟ “obbligo
impeditivo di reati altrui” viene scomodata – a torto o a ragione – in una grande e
variegata quantità di ipotesi: si parla di “obbligo di impedire reati altrui” per riferirsi alla
situazione del garante, titolare di una posizione di protezione nei confronti di un
determinato bene, che deve impedire che il bene oggetto di protezione venga leso da
condotte criminose altrui; si parla di “obbligo di impedire reati altrui” per riferirsi alla
situazione di colui che ha sotto la sua sfera di controllo un soggetto che, per il suo stato
di incapacità, è un soggetto pericoloso, e che deve dunque impedire i reati
eventualmente posti in essere da quel soggetto; si parla, parimenti, di “obbligo di
impedire reati altrui” per riferirsi alla situazione di colui che deve vigilare sull‟attività
posta in essere da altri soggetti – perfettamente capaci e responsabili – affinché detta
attività non diventi criminosa. In tutte le situazioni sopra descritte, l‟obbligo impeditivo
325
Vedansi, ad esempio, L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza
italiane, cit., specie pp. 1350 e 1372; M. ROMANO–G. GRASSO, in Commentario sistematico del codice
penale, Art. 85-149, cit., p. 180; I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di
sorveglianza, cit., specie pp. 353 e 371. Ci sembra di poter ricondurre a tale filone anche l‟opinione di A.
ROSSI, La responsabilità penale dei componenti degli organi di controllo societario: riflessioni e
digressioni su struttura, accertamento, limiti, in Studi in onore di Mario Romano, Napoli, 2011, p. 2132.
107
viene dai più configurato rispetto a qualunque tipologia di reato.
Ancora, ogni qual volta venga configurato un “obbligo impeditivo di reati altrui”, viene
poi fatta conseguire – con pressoché totale automatismo – una responsabilità
concorsuale del garante nel reato non impedito, con tutti i rischi – ulteriori – di
moltiplicazione di punibilità di cui si è dato conto alla fine del paragrafo che precede.
Una volta descritto lo scenario che si presenta agli occhi del giurista in tema di
“obbligo giuridico di impedire il reato altrui”, ci si può ora rimettere sul binario che ci
eravamo proposti di seguire: cercare di comprendere – alla luce dei parametri indicati
dalla dottrina che più di recente si è occupata del tema – dove possano dirsi sussistenti
veri e propri obblighi impeditivi rilevanti ex art. 40 cpv., e dove, invece, esistano
situazioni di obblighi che, pur simili ai primi, non hanno di quelli la reale consistenza.
Nello specifico contesto che ci occupa, si tratterà dunque di comprendere come possa
essere tracciata la linea di confine, la distinzione, tra meri obblighi di sorveglianza e gli
obblighi di garanzia, sub specie di obblighi di impedimento dell‟altrui reato.
L‟analisi verrà condotta suddividendo idealmente il discorso in due parti. In un primo
momento si cercherà di circoscrivere l‟area all‟interno della quale la suddetta
distinzione va tracciata o, più precisamente, l‟area all‟interno della quale la distinzione
tra “obblighi giuridici di impedire reati altrui” e “obblighi di sorveglianza” è, a nostro
avviso, più “necessaria” - ed insieme più difficile – da compiere. In un secondo
momento l‟attenzione verrà concentrata sul come detta distinzione vada compiuta.
Partendo dal primo profilo, si può osservare quanto segue. A nostro avviso, nel
mare magno delle situazioni che vengono ricondotte agli obblighi di impedimento di
reati altrui, ve ne sono alcune rispetto alle quali la distinzione dagli obblighi di mera
sorveglianza diventa più impellente.
Allo scopo di “visualizzare” tali situazioni, si ritiene qui opportuno illustrare la tesi
elaborata da un Autore, tesi di cui si è appositamente evitato di trattare nei paragrafi
precedenti. Ci si riferisce alla teoria del Bisori (326), il quale si è dedicato con particolare
approfondimento al tema dell‟impedimento del reato altrui.
Una precisazione preliminare è doverosa. L‟Autore citato in alcun modo si è occupato
del problema della distinzione tra “veri” obblighi di garanzia, obblighi di sorveglianza
326
L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit.,
passim.
108
ed obblighi di attivarsi (327). L‟oggetto della sua indagine è stato esclusivamente quello
degli obblighi (di garanzia) di impedire i reati altrui; nel compiere tale indagine l‟Autore
ha ritenuto di dover “fare ordine”; di cercare cioè – all‟interno dell‟ampio spettro delle
situazioni (indiscriminatamente) ricondotte agli “obblighi di impedire reati di terzi” - di
operare delle ripartizioni, di “creare delle caselle”. Bene, noi in questa sede illustreremo
la tesi forgiata dal Bisori poiché, a nostro avviso, l‟operazione di sistemazione compiuta
dall‟Autore aiuta proprio a riflettere sul problema della distinzione tra obblighi di
sorveglianza e obblighi di garanzia, sub specie di “obblighi giuridici di impedire reati
commessi da altri”; ciò, nella misura in cui, secondo noi, è proprio all‟interno di “una
delle caselle” tratteggiate dall‟Autore che diventa tanto difficile quanto necessario
distinguere tra veri “obblighi giuridici impeditivi di reati di terzi” e meri obblighi di
sorveglianza.
Bene, secondo il Bisori, nell‟ambito delle situazioni ricondotte agli “obblighi di
impedire reati altrui” occorre compiere la seguente distinzione.
Da un lato, vi sarebbero i casi in cui «l‟ordinamento riguarda alla particolare
vulnerabilità di un bene come al motivo sostanziale per la creazione di una posizione di
garante, vale a dire in tutti i casi in cui (...) la posizione di garanzia si traduce
concretamente (...) nell‟imposizione al garante dell‟obbligo di porre le proprie capacità
di difesa a fianco di quelle, insufficienti, del garantito, ovvero anche di vigilare su una
più complessiva occasione di pericolo (es. il traffico ferroviario) che rende più
vulnerabili tutti i beni che vi entrano in contatto». Secondo l‟Autore «in tali casi è del
tutto indifferente – rispetto alla finalità di rafforzamento della tutela perseguita tramite
la costruzione della posizione di garanzia – che la concreta ed individuata fonte del
pericolo sia rappresentata da una causa naturale ovvero da una causa umana. Ciò che
interessa all‟ordinamento non è tanto chi o cosa determini il pericolo della lesione del
bene garantito (...) bensì che il bene stesso sia comunque protetto dalle potenziali fonti
di pericolo, cioè che il garante, quale che ne sia le fonte, adoperi ogni mezzo di cui
dispone per interrompere la vicenda causale innescatasi che altrimenti sfocerebbe
nell‟evento lesivo» (328).
327
Si segnala peraltro come la cristallizzazione delle categorie suddette - “obblighi di garanzia”, distinti
dagli “obblighi di sorveglianza” e dagli “obblighi di attivarsi” - sia avvenuta in un periodo successivo alla
data di pubblicazione del lavoro del Bisori cui ci si riferisce.
328
E così, esemplificando, «non interessa se il neonato sia deceduto per fatto naturale e/o casuale o per
109
Dall‟altro lato, si situerebbero i casi in cui «si guarda alla concreta funzione
dell‟obbligo di impedire gli altrui fatti delittuosi»: si tratta dei casi in cui «la finalità di
garanzia conferisce un diverso contenuto all‟obbligo di impedimento»; casi, cioè, in cui
«è la condotta del terzo che emerge in primo piano, è essa l‟oggetto primo di un
interesse di tutela che l‟ordinamento esprime proprio con il conferimento al garante di
specifici poteri giuridici di interferenza-impedimento»; casi, insomma in cui è la
condotta dell‟agente a formare «oggetto diretto ed immediato dell‟obbligo di garanzia».
La distinzione che l‟Autore ha ritenuto di dover compiere, dunque, è stata quella tra
situazioni in cui l‟obbligo di impedire il reato altrui rappresenta uno dei possibili
contenuti, uno dei possibili modi di esplicarsi di una (diversa e preesistente) posizione
di garanzia, e, dall‟altro lato, situazioni in cui l‟obbligo di impedire il reato altrui
costituisce il contenuto specifico (ed esclusivo) della posizione di garanzia; situazioni,
cioè, in cui l‟obbligo di impedire il reato altrui costituisce la specifica funzione del
garante.
Compiuta tale distinzione, il Bisori sviluppa coerentemente il suo pensiero e – dando
vita a quella che è, per sua stessa ammissione, una «delicata tessitura concettuale» (329)
- fa discendere da quella distinzione rilevantissime conseguenze, sia in punto di
determinazione dell‟ambito applicativo dell‟“obbligo impeditivo di reati altrui”, sia in
punto di individuazione della sfera di responsabilità (autenticamente) concorsuale (330).
fatto illecito altrui: se, cioè, sia accidentalmente precipitato dal davanzale della finestra di casa dopo
esservi incautamente salito sua sponte o se sullo stesso sia stato invece posto con intenzione omicida
dalla bambinaia rancorosa; come neppure rileva se il macigno che ha cagionato il disastro ferroviario
sia stato collocato sulle rotaie dal terrorista, o piuttosto sia ivi rotolato dalla malferma scarpata della
trincea» (L. BISORI, L‟omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit.,
pp. 1368,1369).
329
L. BISORI, op. ult. cit., p. 1376.
330
Nell‟impostazione teorica disegnata dal Bisori, la distinzione tra i casi in cui la condotta delittuosa del
terzo è solo una delle possibili fonti di pericolo per il bene da proteggere e, dall‟altro lato, i casi in cui la
condotta delittuosa del terzo rappresenta l‟oggetto diretto ed immediato dell‟obbligo di garanzia, riverbera
consistenti effetti in ordine ai profili seguenti: a) la collocazione temporale dell‟intervento impeditivo
doveroso; b) l‟individuazione della sfera in cui la responsabilità per la violazione dell‟obbligo può
configurarsi come autenticamente concorsuale; c) la determinazione dell‟ambito operativo di detta
responsabilità.
Per ciò che concerne il punto a), l‟Autore osserva che nell‟ipotesi in cui l‟obbligo impeditivo abbia ad
oggetto diretto la salvaguardia del bene «il garante può ben attivarsi anche successivamente alla
condotta altrui, lungo lo svolgersi dell‟iter criminis o anche del processo causale già innescato: potrà
cioè assolvere al proprio compito di protezione attivandosi utilmente in qualsiasi momento anteriore
all‟evento, fino al „termine ultimo‟ costituito dal definitivo instaurarsi della situazione lesiva a carico del
bene protetto. Quando, al contrario, la condotta altrui costituisce oggetto dell‟obbligo di impedimento,
l‟istanza di protezione arretra al momento medesimo in cui sorge il pericolo che essa condotta venga
110
attuata o – se iniziata – portata a compimento» (L. BISORI, op. ult. cit., p. 1369).
In ordine ai punti b) e c), Bisori afferma quanto segue.
Quando l‟obbligo di garanzia sia rivolto ad impedire non le altrui condotte, bensì i soli eventi lesivi a
carico di determinati beni, il garante non dovrà essere chiamato a rispondere per concorso nel reato
commesso da terzi, bensì potrà solo essere chiamato a rispondere, monosoggettivamente, per l‟evento
(cagionato dalla condotta di terzi) non impedito; per tale forma di responsabilità troverà applicazione il
limite strutturale stabilito per la forma monosoggettiva della responsabilità per omissione: si potrà
pertanto essere chiamati a rispondere soltanto del mancato impedimento di fattispecie di evento causali
pure.
Quando invece l‟obbligo di garanzia ha come specifico contenuto l‟obbligo di impedimento di reati altrui,
il garante omittente potrà essere chiamato a rispondere in concorso con il suo autore del reato non
impedito; le norme sul concorso verranno impiegate con mera funzione di disciplina e, ad ogni modo,
solo se – e nella misura in cui – compatibili con la struttura del reato omissivo.
Qui di seguito, più in dettaglio, le ragioni di tali approdi.
Quando l‟obbligo di garanzia non è rivolto, specificamente, ad impedire le altrui condotte, bensì è rivolto
ad impedire eventi lesivi a carico di determinati beni, «ciò che interessa, e che determina la rilevanza
penale dell‟inerzia del garante, è che questi non abbia impedito un fatto dannoso che avrebbe dovuto
impedire alla stregua della sua posizione di tutela (...). Solo questa inerzia – dal punto di vista della
posizione di garanzia violata – assume disvalore penale ai sensi della disciplina sull‟omissione, e tale
giudizio di disvalore non muta alla stregua delle diverse fonti causali del danno non impedito, poiché
esse – semplicemente – non „interessano‟». Dunque – prosegue l‟Autore – ove l‟obbligo sia rivolto «alla
sola salvaguardia diretta del bene, la conversione della condotta tipica riguarderà la sola forza causale
della condotta del terzo aggressore, e pertanto l‟omissione assorbirà il disvalore della sola causazione
dell‟evento, e non anche quello dei connotati della condotta, dello „stampo esteriore‟ come
compiutamente disegnato dal legislatore». L‟Autore spiega questo concetto con un esempio: «Il curatore
dell‟emancipato, conosciuta l‟intenzione di questi di sottoscrivere un contratto dal dubbio contenuto, può
sì attivarsi e così impedire che egli rimanga vittima di una truffa perpetrata da un terzo, ma non dispone
di nessun potere di interferenza con la condotta del reo: non può cioè impedirgli di porre in essere gli
artifizi o i raggiri necessari a conseguire il risultato criminoso (...) Attivandosi, egli può sì impedire che
la catena causale innescata dal reo sfoci in un danno per il bene tutelato (..), evento che egli ha l‟obbligo
giuridico di impedire essendo (indubbiamente) garante di quel bene. Ma solo questo danno potrà essergli
imputato – per equivalente – e non anche la condotta del terzo...». Difatti « può ben darsi che l‟inerte sia
nella concreta possibilità di impedire altrimenti che la condotta criminosa del terzo sfoci in un risultato
lesivo per il bene garantito; ma se la posizione di garanzia che egli riveste riguarda la sola integrità del
bene – perché egli è privo di quei poteri di interferenza con l‟altrui condotta che invece connotano
l‟obbligo di impedimento di reati – solo l‟evento dannoso potrà essergli imputato per equivalente ai sensi
dell‟art. 40 cpv c.p., benché esso sia causalmente collegato alla condotta criminosa altrui; ma non
quest‟ultima, nella sua considerazione tipica (anche) di disvalore». Ecco dunque come mai Bisori giunge
ad escludere che, nelle situazioni descritte, il garante possa essere chiamato a rispondere per concorso nel
reato non impedito; il garante potrà soltanto rispondere monosoggettivamente dell‟evento non impedito
(Nell‟esempio del curatore dell‟emancipato, Bisori afferma che «mentre il terzo risponderà di truffa, il
curatore infedele potrà rispondere al più solo di danneggiamento»). Trattandosi di una responsabilità
monosoggettiva, per essa varranno i limiti strutturali previsti dall‟art. 40 co. 2: essa potrà dunque
configurarsi soltanto con riguardo a fattispecie di evento causali pure («Quando l‟obbligo di garanzia sia
rivolto ad impedire non le altrui condotte, bensì i soli eventi lesivi a carico di determinati beni, rivive
integralmente il limite strutturale generalmente fissato alla forma monosoggettiva della responsabilità
per omissione» L. BISORI, op. ult. cit., p. 1381).
L‟Autore sottolinea con decisione che le suesposte conclusioni mantengono la loro validità anche nelle
ipotesi in cui il reato commesso da altri consista in una fattispecie causale pura. Viene fatto l‟esempio di
un genitore che non impedisce l‟omicidio commesso in danno del figlio da un terzo: il genitore potrà
rispondere dell‟evento non impedito ma non del concorso nel reato del terzo; ciò, in quanto, se venisse
chiamato a rispondere per concorso nel reato commesso dal terzo e gli venisse, gli rimarrebbe
assoggettato alla disciplina concorsuale in relazione a “motivi e circostanze” – motivi e circostanze che
hanno caratterizzato la condotta delittuosa del terzo – che sono rimaste, invece, del tutto estranee rispetto
all‟inerzia e rispetto alla sfera di signoria del garante stesso. (Ad applicare coerentemente la suddetta
impostazione, si deve ad esempio concludere che “non risponde di alcun reato (...) la madre che non
impedisce il congiungimento carnale della figlia minorenne con un terzo: non certo di concorso nella
111
Su tali conseguenze non ci soffermeremo: si è detto più e più volte che nostro scopo non
è quello di approfondire le complesse figure degli “obblighi impeditivi di reati altrui” e
della responsabilità concorsuale omissiva. Della tesi elaborata dal Bisori si è trattato
perché a nostro avviso essa consente – al di là e a prescindere dall‟impostazione
dogmatica che si ritenga di abbracciare sugli “obblighi impeditivi di reati altrui” - di
“visualizzare” gli spazi all‟interno dei quali, come si è già detto sopra, la distinzione tra
obblighi di sorveglianza e “obblighi giuridici di impedire reati commessi da altri” è più
delicata e complessa.
A nostro avviso, nell‟ambito di tutte le situazioni più o meno opportunamente ricondotte
agli “obblighi di impedire reati commessi da altri”, quelle in cui si pone un vero
problema di bene distinguere tra obblighi di garanzia e obblighi di sorveglianza, sono
quei casi – qui sopra descritti per secondi – in cui l‟impedimento del reato del terzo
costituisce “la specifica funzione” del garante. Quei casi, cioè, in cui esistono dei
puntuali doveri-poteri giuridici, posti in capo ad un soggetto, di controllare soggetti
terzi, di vigilare sull‟attività di quelli ( 331 ). Ecco, è proprio in queste ipotesi che,
secondo noi, si presenta come particolarmente spinoso il problema di capire se tali
doveri integrino delle situazioni di sorveglianza, oppure se ad essi possano essere
riconosciuti il “potere” e la incisività di obblighi impeditivi ex art. 40 cpv.
violenza carnale, poiché ella non ha alcun potere giuridico di interferenza con la condotta del terzo;
nemmeno di violenza carnale per omissione, trattandosi di reato a forma vincolata” L. BISORI, op. ult.
cit., p. 1389).
Quando invece è la condotta dell‟agente a formare l‟oggetto diretto ed immediato dell‟obbligo di
garanzia, il mancato impedimento del reato assorbirà ogni elemento di disvalore della condotta del reo,
abbraccerà ogni caratteristica oggettiva del reato non impedito. In tali casi, secondo il Bisori, è cioè
possibile imputare al garante inerte il disvalore del complessivo fatto di reato commesso da altri, ivi
compresi i connotati di tipicità e disvalore connessi alle modalità della condotta. Dunque, nei casi in cui
l‟evento da impedire è “precisamente l‟intero fatto oggettivo di reato altrui”, il garante potrà essere
chiamato a rispondere per concorso nel reato non impedito (Come si è avuto modo di vedere sopra,
l‟applicazione delle norme sul concorso deve secondo il Bisori avvenire con esclusiva funzione di
disciplina).
331
Si pensi ai doveri di vigilanza sull‟operato degli amministratori posti in capo ai sindaci dagli articoli
2403 e 2407 del codice civile. Si pensi all‟obbligo di vigilanza – previsto espressamente dal comma 3
dell‟art. 16 del D.Lgs. 81/2008 – gravante sul datore di lavoro delegante, rispetto all‟espletamento, da
parte del delegato, delle funzioni trasferitegli. Ancora, si pensi ai doveri di controllo, posti in capo ai
membri dell‟organismo «deputato a vigilare sul funzionamento e l‟osservanza dei modelli» di
prevenzione del rischio-reato, ex art. 6 D.Lgs. 231/2001. Sulle specifiche questioni che la prassi si è
trovata a fronteggiare, ci si soffermerà nel capitolo III.
112
2.13. (segue) b) come va compiuta tale distinzione.
Una volta individuato il “dove”, si può precedere all‟altro profilo, cioè quello del
“come” la distinzione tra “obblighi di impedire reati altrui” e “obblighi di sorveglianza”
vada compiuta.
A questo proposito, deve innanzitutto attingersi a piene mani a quanto illustrato nella
sezione I del presente capitolo, circa i tratti che devono distinguere il vero obbligo di
garanzia da un obbligo di mera sorveglianza.
Si era spiegato come la dottrina più recente sia giunta a ritenere che un obbligo di
garanzia risulti contraddistinto dalla presenza – oltre che di un dovere giuridico
impeditivo – altresì di un potere impeditivo, anch‟esso dotato del carattere della
giuridicità (
332
). È la sussistenza di poteri giuridici impeditivi, dunque, a
contraddistinguere una vera posizione di garanzia (333).
Se quanto appena affermato può essere preso come punto fermo, resta tuttavia da
affrontare una “complicanza”.
Quando l‟obbligo di garanzia ha per oggetto l‟impedimento di reati altrui, il potere
giuridico impeditivo di cui si è detto qui sopra dovrebbe essere rivolto nei confronti
dell‟azione di altri esseri umani.
Diventa quindi necessario cercare di comprendere come debba atteggiarsi il potere
giuridico impeditivo quando venga in questione una posizione di garanzia volta ad
impedire il reato altrui ( 334 ). Ripercorreremo qui di seguito gli esiti cui è giunta la
dottrina che si è occupata del tema (335).
332
Supra, Sezione I del presente capitolo.
333
Come si è visto nei paragrafi precedenti, la dottrina meno recente aveva ritenuto che l‟elemento della
giuridicità dei poteri impeditivi caratterizzasse la figura dell‟ “obbligo di impedire reati altrui”,
distinguendola dalle altre tipologie di posizioni di garanzia. La dottrina più recente ha evidentemente
superato quella impostazione, affermando la necessità, appunto, che la giuridicità dei poteri impeditivi
caratterizzi qualunque posizione di garanzia.
334
Una dottrina – nel riferirsi alle norme che impongono obblighi di controllo sull‟operato altrui, dalla cui
violazione può discendere una responsabilità per omesso impedimento dell‟altrui reato – ha ad esempio
parlato di “obblighi eterotropi” (Vedasi A. NISCO, Compliance e posizioni di garanzia: prime indicazioni
dalla giurisprudenza tedesca, cit., p. 2447 nota n. 93, il quale cita L. CORNACCHIA, Concorso di colpe e
principio di responsabilità penale per fatto proprio, Giappichelli, 2004, p. 524 ss).
335
Sempre in ordine alla determinazione del contenuto dei “poteri impeditivi”, verranno invece descritti
nel capitolo III gli atteggiamenti assunti dalla prassi giurisprudenziale, con riguardo alle concrete
questioni che essa si è trovata a fronteggiare.
113
In dottrina si è parlato di «specifici poteri giuridici di impedimento-comando nei
confronti del reo», poteri che pongono il garante «in grado di interferire direttamente (e
lecitamente) con l‟intera condotta di reato posta in essere dal secondo» (336).
Il Pisani riconosce la bontà dell‟“intuizione” - cioè la necessità di riscontrare una
interferenza nei confronti dell‟intera condotta posta in essere dal terzo - ma ritiene che
lo specifico concetto di “potere di comando-impedimento” possa attagliarsi a rapporti
di carattere autoritario (militare, carcerario) di diritto pubblico, mentre non risulta
idoneo nei casi di rapporti privatistici ( 337 ). L‟Autore cerca quindi di interrogarsi su
come possa atteggiarsi un potere giuridico impeditivo di reati altrui, nel quadro di
rapporti (in particolare, egli si riferisce ai rapporti tra organi societari) che non vengono
configurati dall‟ordinamento in termini di soggezione (rapporti, cioè, che si situano al di
fuori di situazioni giuridiche di sottoposizione ad un vero e proprio potere di comando).
Bene - dopo aver escluso che il potere impeditivo di reati altrui possa consistere nella
mera possibilità di “influire sulle decisioni” del soggetto controllato, da parte del
soggetto controllante (338) - il Pisani ritiene di dover ricorrere al concetto giuridico di
potestà: la potestà viene definita, dalla teoria generale del diritto, come quel potere
«con cui la volontà di un soggetto si afferma in modo decisivo, producendo effetti, senza
che altri soggetti, che pure subiscono o risentono tali effetti, abbiano verso il primo
alcun obbligo» 339. Dunque, secondo l‟Autore, anche al di fuori di rapporti di carattere
gerarchico, l‟ordinamento concepisce situazioni in cui un soggetto esercita un potere di
controllo sull‟attività (e non sulla persona fisica) di un altro soggetto340, ed in cui, per il
soggetto controllato, deriva la «“necessità giuridica” di subire gli effetti dell‟uso del
potere senza alcuna possibilità di opporsi ad essi»: ecco, detta situazione
corrisponderebbe, a detta del Pisani, alla sussistenza di un potere giuridico impeditivo di
336
L. BISORI, op. ult. cit., p. 1367.
337
N. PISANI, Controlli sindacali e responsabilità penale nelle società per azioni, cit., p. 66. Di certo, a
detta del Pisani, il concetto di “potere di comando-impedimento” non risulta idoneo rispetto ai casi in cui
i rapporti privatistici siano di carattere paritetico, e probabilmente neanche rispetto ai casi in cui detti
rapporti siano di tipo subordinato.
338
N. PISANI, op. ult. cit., p. 67.
339
Così PISANI, op. ult. cit., pp. 69-70, il quale richiama SANTI ROMANO, Poteri, potestà, in Frammenti di
un dizionario giuridico, Milano, 1983 e CARCATERA, Corso di filosofia del diritto, Roma, 1996.
340
Così PISANI, op. ult. cit., p. 68.
114
reati altrui. Non è tutto. Secondo l‟Autore, a detta situazione di poterepotestà/soggezione deve affiancarsi un preciso «effetto giuridico tipico» (341): il soggetto
che esercita il controllo deve essere dotato di poteri di conformazione o di invalidazione
(ad esempio poteri di ratifica, di autorizzazione, oppure di dichiarazione di invalidità),
capaci di ripercuotere il loro effetto nella sfera dell‟altrui attività giuridica.
Al concetto di “conformazione” fa riferimento anche il Giunta, il quale – nell‟indagare
come debba atteggiarsi il potere giuridico impeditivo dei reati altrui nel campo
societario – afferma che «se non si vuole banalizzare il concetto di poteri impeditivi,
non sembra dubbio che dalla categoria in questione devono escludersi quei poteri il cui
esercizio può produrre solamente un‟influenza sulle decisioni del soggetto controllato,
non bastando nemmeno che tale influenza, in casi analoghi, abbia indotto il soggetto
controllato ad astenersi dall‟illecito. (...) siffatti poteri deboli, quand‟anche coronati da
successo, non sono impeditivi; tali, per converso, sono invece i poteri cui
corrispondono doveri di conformazione, in quanto il loro esercizio produce effetti
giuridici vincolanti sull‟attività del soggetto controllato, e più in generale i poteri di
blocco dell‟attività del controllato, come la revoca di quest‟ultimo» (342).
Va segnalata da ultimo la posizione di un autorevole Autore il quale – occupandosi di
responsabilità omissiva e di poteri giuridici omissivi all‟interno dell‟ambito societario si mostra invece molto perplesso nei riguardi di quelle posizioni che sembrano
descrivere il “potere-giuridico-impeditivo-di-reati-altrui” come un potere senz‟altro
impeditivo, in quanto dotato, già ex ante, di sicure chance di successo (343): l‟Autore
341
L‟effetto giuridico tipico è quello che deve discendere, appunto, dall‟esercizio del potere-potestà. Così
PISANI, op. ult. cit., pp. 70-71.
342
F. GIUNTA, Controllo e controllori nello specchio del diritto penale, in Riv. trim. dir. pen. ec, 2006, p.
608. Similmente anche R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell‟economia: reati societari e reati in
materia di mercato finanziario, Milano, 2008, p. 39: «Per quanto riguarda le azioni impeditive, va però
evidenziato che si può parlare di omesso impedimento dell‟evento (rilevante ex art. 40 cpv c.p.) soltanto
se il soggetto destinatario dell‟obbligo (...) era dotato di reali poteri impeditivi. A tale proposito giova
però sottolineare che può parlarsi di poteri impeditivi soltanto con riferimento a quei poteri all‟esercizio
dei quali fa riscontro un dovere di conformazione; quando, in altre parole, l‟esercizio del potere
impeditivo determina un effetto giuridico vincolante nei confronti del soggetto obbligato (...)».
343
F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 169: «(...) in tali elaborazioni
dottrinali si tende a includere nell‟ambito dei poteri che delineano la posizione di garanzia soltanto quei
poteri impeditivi che hanno, già ex ante, sicure chance di successo (perché dotati di effetti giuridici
vincolanti o di conformazione).(...) In realtà l‟idea di circoscrivere la posizione di garanzia nell‟ambito
dei controlli societari facendo riferimento ai soli poteri che risultano senz‟altro impeditivi in virtù della
loro attitudine ad incidere direttamente e immediatamente sull‟attività lecita del controllato non tiene in
debita considerazione il fatto che nessun componente di un organo di controllo societario può, in via
generale, incidere direttamente e immediatamente sulle scelte gestionali, perché altrimenti rischierebbe
115
ritiene pertanto più opportuno affermare che – per lo meno con riferimento all‟ambito
dei controlli societari – poteri impeditivi rilevanti ex art. 40 cpv. siano quelli
astrattamente - già solo astrattamente – capaci di impedire, agendo su una o più fasi del
processo di realizzazione del reato, il verificarsi dell‟illecito da parte del soggetto
sottoposto al controllo (344).
In forza di tutto quanto argomentato - nel presente paragrafo nonché nella
precedente Sezione, laddove si è parlato di obblighi di garanzia in generale – si può
conclusivamente affermare quanto segue. A detta della più recente ed attenta dottrina
l‟obbligo di garanzia avente ad oggetto l‟impedimento di un reato altrui dovrebbe – al
fine di poter essere qualificato tale – presentare i seguenti caratteri (345):
-esso deve affondare le sue radici in una previsione di legge e gravare su uno specifico
soggetto;
-parimenti giuridica deve essere la previsione dei poteri impeditivi del garante;
-i poteri impeditivi devono caratterizzarsi come (astratta) possibilità di interferenza –
lecita, totale e diretta – sull‟attività del soggetto controllato, nei termini che sono stati
qui sopra descritti;
- l‟evento (evento-reato) non impedito deve essere del medesimo tipo di quello che la
posizione di garanzia mira ad impedire;
di essere stravolto il principio fondamentale per cui “la gestione dell‟impresa spetta esclusivamente agli
amministratori (art. 2380 bis c.c.)».
344
F. CENTONZE, op. loc. ult. cit.: «Nell‟ambito dei controlli societari, poteri impeditivi – ai fini
dell‟individuazione e della descrizione della posizione di garanzia – sono quindi quei poteri giuridici che
possono astrattamente (secondo un modello di causalità generale) impedire, agendo su una o più fasi del
processo di realizzazione del reato, il verificarsi dell‟illecito da parte del soggetto sottoposto al controllo.
Tali poteri fondano e delimitano la posizione di garanzia e impongono al garante di attivarsi».
L‟Autore si affretta a precisare che «tuttavia il teorico, possibile effetto impeditivo di tali poteri non
dice ancora nulla sul concreto impedimento dell‟evento che sarebbe derivato dall‟esercizio dei poteri
effettivamente disponibili nel caso di specie (secondo lo schema della causalità individuale)». L‟indagine
sui poteri, dunque, dopo aver assunto rilevanza per circoscrivere in astratto la posizione di garanzia, dovrà
assumere rilievo nuovamente, per compiere il giudizio circa la sussistenza del nesso causale: «il singolo
amministratore delegante potrà dirsi infatti concorrente nel reato commesso dall‟esecutivo solo se in
giudizio il pubblico ministero sia in grado di dare la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che il
comportamento doveroso omesso avrebbe impedito la realizzazione del fatto criminoso da parte
dell‟esecutivo. Un giudizio controfattuale dunque compiuto immaginando presente nel caso di specie
l‟azione dolorosa e, quindi, l‟esercizio da parte del delegante degli eventuali poteri impeditivi a lui
attribuiti dalla legge e realmente esercitabili nella vicenda concreta».
345
Come si è visto nei paragrafi che precedono, rimangono a tutt‟oggi controverse, in dottrina, la
questione relative alla “estensione applicativa” dell‟obbligo impeditivo di reato altrui, la questione della
autonomia dogmatica di tale obbligo nonché quella relativa alla tipologia di responsabilità conseguente
alla di esso violazione.
116
- deve esserci identità tra il bene garantito dalla previsione dell‟obbligo di impedimento
e quello garantito dalla fattispecie incriminatrice del cui mancato impedimento il
garante verrebbe chiamato a rispondere.
Ove un obbligo, pur giuridicamente previsto, non dovesse soddisfare, cumulativamente,
i suddetti caratteri, quello non potrà essere ritenuto un obbligo di garanzia volto
all‟impedimento dei reati altrui; esso potrà dunque essere considerato alla stregua di un
obbligo di sorveglianza o di un mero obbligo di attivarsi.
2.14. “Schema” conclusivo.
Considerata la complessità intrinseca della materia trattata nella presente sezione
– complessità senz‟altro aggravata alla compresenza, in dottrina, di posizioni variegate e
talora difficilmente “comunicanti” fra loro – si avverte qui il bisogno di tracciare una
sorta di mappa riassuntiva di tutto quanto qui sopra esposto.
A nostro avviso, il quadro potrebbe essere disegnato come segue.
a) Quando il controllo sull‟attività posta in essere da altri appare come uno dei
possibili contenuti in cui si articola una “preesistente” posizione di garanzia (346), si
profila per il garante omittente la possibilità di essere chiamato a rispondere per il fatto,
commesso da altri, non impedito.
Allo stato, come si è visto sopra, la dottrina risulta profondamente frazionata con
riguardo ai confini ed ai caratteri di una tale responsabilità: vi è chi ritiene che si profili,
sempre e comunque, una responsabilità per concorso nel reato non impedito; vi è chi
afferma che una responsabilità concorsuale sarebbe configurabile soltanto con riguardo
ai casi in cui il reato non impedito sia costituito da una fattispecie di evento causale
pura; vi è chi, infine, ritiene che, quando l‟impedimento del reato è (solo) uno dei
possibili contenuti di una (diversa) posizione di garanzia, si potrà essere chiamati a
rispondere
non
già
in
concorso
nel
reato
non
impedito, bensì
soltanto,
monosoggettivamente (347), dell‟evento – cagionato dal reato – la cui verificazione non
346
Si pensi al più volte citato caso del genitore, chiamato a tutelare, ad esempio, la vita del proprio figlio,
tanto che essa venga minacciata da una causa naturale (quale potrebbe essere una malattia), tanto che essa
venga posta in pericolo da una causa umana (quale una condotta delittuosa altrui).
347
La conseguenza è che vigerà, dunque, il “limite applicativo” di cui al 40 cpv c.p., costituito dalle
117
è stata impedita.
La giurisprudenza si mostra meno “tormentata” e di norma procede ad affermare una
responsabilità del garante omittente rispetto a qualunque tipologia di reato non impedito
ed in concorso con l‟autore materiale di quel reato (348).
b) Diversa è l‟ipotesi in cui il controllo sull‟attività altrui – e l‟(eventuale)
impedimento del reato commesso dal soggetto “controllato” - appaiono essere il
contenuto “esclusivo” di una funzione specifica attribuita ad un soggetto: è qui che, a
nostro avviso, si presenta, in tutta la sua complessità e delicatezza, il problema di
distinguere tra il caso in cui sussista una vera e propria posizione di garanzia ed il caso
in cui, invece, si tratti di un mero obbligo di sorveglianza.
È in questa ipotesi, dunque, che andrà compiuta con rigore ed approfondimento
l‟indagine circa la effettiva capacità impeditiva del potere giuridico attribuito.
b.1) Ove possa ritenersi sussistente, nei termini che sono stati sopra descritti, un
vero e proprio “obbligo giuridico di impedire reati altrui”, potrà profilarsi una
responsabilità per concorso nel reato non impedito.
Ciò affermato, si deve prendere atto, ancora una volta, del fatto che la dottrina, a
proposito di tale responsabilità, si dirami in molteplici rivoli: vi è chi limita la
responsabilità omissiva impropria plurisoggettiva ai soli casi di fattispecie di evento
causalmente orientate; chi invece ritiene che possa rispondersi per concorso di
qualunque reato; vi è chi ritiene che tale responsabilità concorsuale prenda vita dalla
combinazione delle due clausole generali di cui agli articoli 40 cpv. e 110 c.p.; chi
invece, al contrario, ritiene che i presupposti dell‟incriminazione siano contenuti tutti
all‟interno del solo art. 40 comma 2, e che al concorso possa ricorrersi soltanto, “in un
fattispecie di evento causali pure.
348
Anche in giurisprudenza, per il vero, si fanno registrare – quanto meno da un punto di vista formale delle “oscillazioni”, oscillazioni che probabilmente testimoniano una assenza di chiarezza sulla materia.
Si pensi al caso del genitore che, a conoscenza del fatto che a danno del proprio figlio vengono commessi
da terzi fatti di violenza sessuale, non impedisce il compimento di essi. Bene, si può osservare come - “a
parità di situazione” - il reato ascritto al genitore omittente talora viene qualificato ricorrendo agli articoli
110 e 609 bis c.p. (ad esempio Cassazione penale, CED 06/235469), talaltra, invece, viene qualificato ai
sensi degli articoli 40 comma 2 e 609 bis c.p. (ad esempio Cassazione 4730/2008). Non è tutto; si deve
rilevare altresì che, anche laddove l‟imputazione viene costruita in forza del solo art. 40 cpv – e cioè
laddove non venga “scomodato”, nel capo di imputazione, il riferimento alla disciplina concorsuale – i
giudici di legittimità si trovino poi ad esaminare motivi di ricorso espressamente inerenti alla disciplina
concorsuale (ci si riferisce sempre, ad esempio, a Cassazione 4730/2008, laddove i giudici, nei paragrafi 6
e 7 della motivazione, prendono in esame la possibilità di applicare, al caso di specie, l‟attenuante di cui
all‟art. 114 c.p.).
118
secondo momento”, con funzione di disciplina.
La giurisprudenza, dal canto suo, ritiene – come già detto – che una responsabilità
concorsuale mediante omissione possa profilarsi con riguardo a qualunque tipologia di
reato; i giudici sembrano poi soprassedere rispetto alla delicata tematica delle “modalità
di interazione” tra le due clausole generali, ex artt. 40 c.p. 2 e 110 c.p..
b.2) Ove invece l‟obbligo di vigilanza sull‟attività altrui non abbia la consistenza di
un vero e proprio “obbligo giuridico di impedire reati altrui”, ma sia un mero obbligo di
sorveglianza, in quel caso il soggetto omittente – il quale abbia cioè violato l‟obbligo di
sorveglianza – non potrà in alcun modo essere chiamato a rispondere per il mancato
impedimento del reato in forza dell‟art. 40 cpv. Ciò, in quanto, per poter essere chiamati
a rispondere – monosoggettivamente o in concorso – ex art. 40 cpv. c.p., occorre essere
titolari di un (vero e proprio) obbligo di garanzia (349).
Esclusa la possibilità di una responsabilità ex art. 40 cpv. c.p., l‟inerzia del soggetto
omittente potrà assumere rilievo penalistico in due soli casi:
b.2.1.) se detta inerzia (cioè la violazione dell‟obbligo di “fare qualcosa”) risulti prevista
e sanzionata, come omissione propria, da una norma incriminatrice ad hoc;
b.2.2.) se possa essere provato che detta inerzia – lungi dall‟essere stata un‟inerzia mera
– abbia in realtà esercitato una effettiva influenza sulla psiche dell‟esecutore materiale
del reato, rilevando così nei termini del concorso morale.
349
L‟affermazione appena svolta può sembrare pleonastica e sovrabbondante. A nostro avviso essa non è
inutile, considerata l‟accentuata “opacità” dei confini della materia, nonché considerata la estrema facilità
di “scivolare” in indebite affermazioni di responsabilità (Si veda infra, Capitolo III).
119
CAPITOLO III.
LA GIURISPRUDENZA ALLE PRESE CON LA NOZIONE
GIURIDICO-FORMALE DI POSIZIONE DI GARANZIA
Introduzione.
Il presente capitolo sarà interamente dedicato alla verifica dell‟impatto che le
categorie e le figure illustrate nel capitolo precedente hanno prodotto nella recentissima
prassi giurisprudenziale (350).
Così descritto, l‟ambito di indagine è potenzialmente illimitato. I criteri che verranno
impiegati per circoscriverlo sono i seguenti: talora si andrà ad attingere ad alcuni settori,
all‟interno dei quali il problema dell‟individuazione dei veri obblighi di garanzia si
presenta con elevato grado di frequenza e di complessità; talaltra l‟attenzione verrà
concentrata su singole pronunce le quali, come monadi solitarie, hanno avuto la capacità
di incidere con personalità e decisione sulla questione oggetto del nostro interesse.
Il motore della ricerca non è mai costituito da una pretesa di esaustività; risultato,
quest‟ultimo, a cui sarebbe peraltro illusorio ambire, anche in considerazione
dell‟estrema complessità e tecnicità di alcuni dei settori all‟interno dei quali l‟analisi
sarà compiuta.
Il motore della ricerca sarà, piuttosto, costituito dalla curiosità: la curiosità di verificare
come i giudici si stanno regolando in un campo del diritto penale – quale è quello delle
posizioni di garanzia e della responsabilità omissiva impropria – tanto delicato quanto
sfuocato.
Un‟ultima considerazione preliminare. La nostra sarà una ricerca „verticale‟. Con ciò si
intende dire che all‟interno di ogni settore o di ogni pronuncia analizzati, verrà come
effettuato un prelievo in verticale, appunto: da quel tassello che è la fattispecie tipica
verranno estratti esclusivamente quei blocchi di materia che contengono le informazioni
utili ai fini della verifica che ci siamo prefissati di compiere.
350
Ci si riferisce, beninteso, alle figure dell‟obbligo di garanzia, dell‟obbligo di sorveglianza, dell‟obbligo
di garanzia sub specie di obbligo di impedire il reato altrui; ancora, al legame causale che deve
intercorrere tra la condotta violativa dell‟obbligo di garanzia e l‟evento (evento-reato) verificatosi.
120
3.1. Le espresse prese di posizione sulla teoria che distingue tra obblighi di
garanzia, obblighi di sorveglianza ed obblighi di attivarsi.
È interessare riscontrare come la Suprema Corte si sia di recente misurata, in
maniera diretta ed espressa, con l‟elaborazione concettuale – di conio dottrinario – che
distingue gli obblighi di garanzia da quelli di attivarsi e di sorveglianza.
Meritano di essere segnalate alcune pronunce che ci sono parse assai significative in tal
senso: la sentenza 22614/2008, con la quale la Sezione IV della Cassazione penale
chiude la vicenda processuale scaturita in seguito all‟incidente verificatosi nell‟ottobre
2001 nell‟aeroporto milanese di Linate, e la sentenza 38991/2010, chiamata a
pronunciarsi sulla penale responsabilità di amministratori e dirigenti di società aventi in
carico uno stabilimento dedito alla produzione di fibre di nailon, per i decessi di una
pluralità di lavoratori i quali, in detto stabilimento, avevano respirato polveri di amianto.
Si ritiene di poter affermare che la sentenza 22614/2008 rappresenti il primo
caso in cui i giudici della Corte di Cassazione – per lo meno con un tale grado di
analiticità e consapevolezza – tracciano la classificazione tra obblighi di garanzia,
obblighi di attivarsi ed obblighi di sorveglianza. Vi è di più. Nella decisione del 2008 la
classificazione suddetta – lungi dall‟essere meramente enunciata – rappresenta la vera
chiave di volta, impiegata per “risolvere” la posizione di uno degli imputati, ossia il
direttore dell‟aeroporto di Linate (351).
351
La vicenda è tristemente nota. Nell‟ottobre 2001, in una giornata in cui sull‟aeroporto milanese gravava una fitta nebbia, “si verificò una collisione tra un Boeing MD 87 delle linee aeree scandinave, volo
SAS 686, regolarmente in fase di decollo, ed un velivolo privato Cessna marche D-IEVX che s‟era inopinatamente trovato a rullare sulla stessa pista. Per effetto della collisione il Boeing si schiantò contro un
capannone aeroportuale, mentre il Cessna, messosi di traverso sulla pista, venne completamente avvolto
dalle fiamme. In conseguenza dell‟evento perirono complessivamente 118 persone, vale a dire tutti i
componenti degli equipaggi e tutti i passeggeri trasportati sui due aeromobili, nonché quattro dipendenti
della SEA s.p.a. intenti al lavoro all‟interno del capannone.”.
Nella ricostruzione delle cause del sinistro, l‟attenzione fu posta in particolare sulla mancanza di alcune
strumentazioni (costituite da specifiche tipologie di radar di terra, di stop-bars e di sistemi di allarme) che,
- se in uso – avrebbero consentito ai controllori di volo di rendersi conto degli spostamenti dei velivoli.
All‟esito delle indagini furono ipotizzati i reati di disastro aviatorio ed omicidio colposo plurimo, “essendosi ravvisati diversi livelli e forme di responsabilità per colpa, attribuiti a soggetti che stavano al vertice
o avevano ruoli direttivi all‟interno dell‟ENAV, ad altri occupanti ruoli specifici all‟interno dell‟ENAC,
per i quali si poteva configurare una competenza in merito alla gestione del traffico aereo in
quell‟aeroporto, a soggetti con diversi ruoli all‟interno della S.E.A. s.p.a., società di gestione dei servizi
aeroportuali, e, infine, a Z.P., il controllore di volo che aveva da ultimo tenuto i contatti radio con
l‟aereo Cessna.”.
Per ciò che concerne la posizione oggetto di nostro interesse – e cioè quella del direttore dell‟aeroporto –
va osservato che a questi si contestava di aver omesso “di rilevare la situazione di carenza dei supporti di
sistema per l‟assistenza ed il controllo dei movimenti di superficie necessari per la sicurezza della operatività aeroportuale in condizioni di bassa visibilità - insistente nell‟aeroporto di Linate in particolare a
121
Nel paragrafo tredicesimo della sentenza la Suprema Corte scolpisce il percorso
argomentativo che la condurrà a confermare la pronuncia assolutoria del direttore
dell‟aeroporto di Linate, giustificando tale assoluzione su un asserito inequivocabile,
difetto di posizione di garanzia di quell‟imputato.
La Cassazione innanzitutto precisa cosa debba intendersi per “obbligo di garanzia”. Ci
piace segnalare come nelle parole della Sezione IV sia riscontrabile una piena, corposa e
puntuale adesione ai concetti elaborati dalla dottrina più recente e da noi illustrati nel
capitolo II: l‟obbligo di garanzia è un obbligo di carattere giuridico; esso può gravare
solo su specifiche categorie di soggetti, i quali devono risultare forniti – previamente
forniti – di poteri giuridici di vigilanza ed intervento direttamente incidenti sulla
situazione di pericolo; l‟obbligo di garanzia deve risultare enunciato con sufficiente
specificità e la violazione di esso può rilevare solo nella misura in cui l‟evento non
impedito «si inserisca nel novero di quei tipi di evento che l‟obbligo di garanzia
mirava, appunto, a prevenire» (352); ancora, quando l‟obbligo di garanzia consiste in un
obbligo di impedimento di reati altrui, esso «(sia che lo si voglia includere, secondo la
impostazione tradizionale, nella più ampia categoria degli obblighi di controllo, sia che
lo si voglia, al contrario, considerare come categoria autonoma rispetto alle altre)
presuppone pur sempre che il garante sia dotato di poteri-doveri giuridici di vigilanza
sull‟operato di terzi e, nel contempo, di poteri-doveri di impedire il compimento di
azioni penalmente illecite da parte di tali soggetti».
Una volta enunciati i caratteri che devono essere posseduti dagli obblighi di garanzia
rilevanti ex art 40 cpv. c.p., la Suprema Corte affronta il tema della distinzione tra tali
obblighi e gli obblighi di sorveglianza e di attivarsi (353) e conclude affermando che è
causa (e dal momento) della inoperatività del radar di sorveglianza del movimento di superficie, della
mancanza di una barra d‟arresto a norma ICAO e di un sistema di allarme antiintrusione all‟intersezione
del raccordo aeroportuale R6 con la pista, della insufficienza della segnaletica informativa direzionale e
di locazione all‟ingresso del raccordo R6 dal piazzale di Linate Ovest - e di adottare i conseguenti provvedimenti di prescrizione in ordine al ripristino degli impianti di sicurezza ovvero di limitazione operativa sull‟area di movimento”.
352
Cassazione 22614/2008.
353
“la dottrina non ha mancato di rilevare che "il fondamentale problema che si pone, in ordine agli obblighi giuridici finalizzati all‟impedimento di altrui azioni illecite, consiste nello stabilire, di volta in volta, se si tratti di un vero e proprio obbligo di garanzia, rilevante ai sensi dell‟art. 40, comma 2, oppure di
un mero obbligo di sorveglianza, la cui inosservanza possa rilevare unicamente ai fini di una fattispecie
omissiva propria, ove possa essere direttamente ricondotta ad una previsione legislativa di parte speciale
(...) o, altrimenti, debba considerarsi priva di qualunque rilievo penale.” (Cassazione 22614/2008).
122
“essenziale, al fine di delimitare il confine tra obbligo di garanzia e di sorveglianza ... il
riferimento agli effettivi poteri-doveri impeditivi giuridicamente conferiti all‟obbligato
sull‟atto costituente reato. E, cioè, occorrerà distinguere a seconda che si tratti di
poteri- doveri realmente impeditivi, direttamente incidenti sull‟attività del terzo, autore
del reato (...) oppure di poteri-doveri che, pur finalizzati all‟impedimento del reato, non
prevedano l‟intervento diretto dell‟obbligato sull‟atto che lo integra, ma, più
limitatamente, l‟informazione del garante o del titolare del bene sull‟attività illecita del
terzo» (354).
Una volta enunciati i principi a suo avviso governanti la materia, la Corte procede alla
applicazione di essi nel caso oggetto di indagine. I giudici compiono una analitica – e
per nulla semplice (355) – opera di ricostruzione del quadro normativo vigente all‟epoca
dei fatti, opera nella quale vengono minuziosamente individuati – e poi coordinati fra
loro – i singoli interventi normativi succedutisi nel tempo (356). La suddetta ricostruzione è finalizzata a chiarire quali fossero i doveri giuridici gravanti sul direttore
dell‟aeroporto. Dopo di che la Corte procede a verificare, con un rigore concettuale a
nostro avviso encomiabile, se potessero ritenersi sussistenti, in capo al direttore, altrettanti poteri, di carattere giuridico e di efficacia impeditiva rispetto al tipo di evento verificatosi (357): vengono così indagati – sempre sulla base delle disposizioni normative e
354
La Suprema Corte in realtà si spinge ben oltre poiché - dopo aver delineato la distinzione tra obblighi
di garanzia, obblighi di sorveglianza e obblighi di attivarsi – giunge a compiere espresse denunce: in
particolare, ad essere denunciate sono sia la confusione con cui vengono spesso adoperate le locuzioni
“obbligo di attivarsi”, “obbligo di garanzia” e “obbligo di sorveglianza”, sia la gravità della mancata
percezione della differenza delle situazioni sottese a tali “nomenclature”.
355
«I diversi, contrapposti, approdi cui sono pervenuti al riguardo i giudici del merito e le contrapposte
approfondite argomentazioni hinc et inde rassegnate dalle parti danno contezza di un assetto normativo
non percepito in termini di indiscutibile inopinabilità da parte dell‟interprete.» (Cassazione 22614/2008).
356
Per amor di precisione, segnaliamo che le principali norme fatte oggetto di analisi sono le seguenti: il
codice della navigazione (art. 719 e ss.), il regolamento contenuto nel RD 356/1925 – ritenuto applicabile,
stante la mancata adozione di testi regolamentari che sarebbero invece dovuti intervenire a specificare
alcune disposizioni (meramente programmatiche) contenute nel codice della navigazione; il D.P.R.
145/1981, con riguardo ai compiti assegnati all‟Azienda Autonoma di assistenza al volo, seguito dai DPR
484&1981 e 461/1985; il D.Lgs. 250/1997, istitutivo dell‟Enac.
La Suprema Corte afferma che un vero e proprio assetto normativo di razionalizzazione del sistema
sarebbe intervenuto soltanto col D.Lgs. 96/2005, e quindi in un‟epoca successiva a quella in cui si
verificò il disastro aereo per cui è processo.
357
Al fine di “concretizzare” le affermazioni sopra svolte, è opportuno precisare che, nel caso di specie,
si trattava, in particolare, di stabilire quanto segue:
-se sul direttore dell‟aeroporto gravassero specifici doveri-poteri di adottare provvedimenti di limitazione
123
regolamentari – i rapporti intercorrenti tra il direttore dell‟aeroporto, l‟ENAC (Ente Nazionale per l‟Aviazione Civile) e l‟ENAV (Ente Nazionale di Assistenza al Volo) e, dopo ampio e diffuso argomentare (358), si approda alla conclusione che «non appare (…),
normativamente esplicitato o diversamente attribuito (..) al direttore di aeroporto, un
potere al riguardo dispositivo-impositivo nei confronti di ENAV, nel contesto di una posizione di garanzia in capo a lui predeterminata».
Il filo del ragionamento seguito dai giudici si legittimità può dunque essere così ripercorso:
- l‟obbligo giuridico rilevante ex art. 40 cpv. deve essere contrassegnato dalla presenza
di poteri giuridici realmente impeditivi;
- il potere può dirsi realmente impeditivo quando il soggetto gravato dell‟obbligo sia in
grado di intervenire direttamente per impedire il verificarsi dell‟evento; e cioè quando
sia in grado – nell‟ambito della propria competenza ed autonomia – di assumere le relative decisioni e determinazioni;
- nel caso di specie – in forza dell‟analisi sia del quadro normativo, sia dei rapporti intercorsi tra i vari organi ed enti deputati alla sorveglianza sulla sicurezza del traffico aereo – i giudici hanno ritenuto di dover escludere che, tra i molteplici compiti affidati ad
un direttore di aeroporto, fossero rintracciabili altresì specifici doveri-poteri di assumere
determinazioni che avrebbero potuto dispiegare un‟efficacia impeditiva rispetto ad eventi del tipo di quello verificatosi.
Una altrettanto espressa presa di posizione sulla distinzione tra obblighi di garanzia, obblighi di sorveglianza e obblighi di attivarsi è quella assunta nella sentenza
38991/2010 della Suprema Corte.
Si tratta in tale caso, tuttavia, di una presa di posizione di carattere diametralmente opposto rispetto a quella del 2008: nella pronuncia del 2010, difatti, i giudici descrivono la
dei movimenti degli aeromobili sulle aree di manovra in condizioni di bassa visibilità;
-se sul direttore dell‟aeroporto gravassero specifici doveri-poteri, autonomi, di decidere l‟adozione della
strumentazioni (radar di terra etc.) di cui era stata riscontrata la mancanza.
358
Merita di essere sottolineato come i giudici abbiano avvertito la necessità di andare a verificare se
l‟imputato potesse dirsi titolare di poteri impeditivi realmente “autonomi”: “(…) rimanendo pur sempre
da verificare se i singoli specifici atti siano ad esso direttamente attribuiti o assegnati, la regola cautelare dovendosi pur sempre ragguagliare ad un rinvenibile dato normativo o comunque attributivo al riguardo. (…) se si vanno ad analizzare alcune delle ordinanze del direttore d‟aeroporto prodotte in atti in
tema di disciplina dei movimenti in aeroporto ... si constata che il loro contenuto non è mai il frutto o la
conseguenza dell‟esercizio di un autonomo potere di disciplina tecnica della materia, ma costituisce la
sintesi di situazioni operative studiate e proposte da altri enti, in base alle rispettive competenze”.
124
teoria che distingue tra obblighi di garanzia e meri obblighi di sorveglianza al fine di
criticare la bontà e la con divisibilità di essa.
Vale la pena riportare il passaggio motivazionale cruciale dell‟orientamento suddetto:
«Secondo parte della dottrina, gli obblighi di garanzia non vanno confusi con gli "obblighi di sorveglianza", i quali comportano per chi ne è onerato, solo un compito di vigilanza sulle situazioni di pericolo, ma non un compito impeditivo (es. i sindaci di una
s.p.a. in ordine a taluni loro compiti di sola sorveglianza). Ne consegue che la titolarità
di una mera posizione di sorveglianza non è idonea a far sorgere l‟obbligo di impedire
l‟evento. Tale orientamento, nella sua radicale formulazione non può essere condiviso,(..). Invero, la posizione di garanzia richiede l‟esistenza di poteri impeditivi che, però, possono anche concretizzarsi in obblighi diversi e di minore efficacia, rispetto a
quelli direttamente e specificamente volti ad impedire il verificarsi dell‟evento. Del resto nella gran parte dei casi i garanti non dispongono sempre e in ogni situazione di
tutti i poteri impeditivi che invece di volta in volta si modulano sulle situazioni concrete. (…). In conclusione può affermarsi che un soggetto è titolare di una posizione di garanzia, se ha la possibilità, con la sua condotta attiva di influenzare il decorso degli eventi indirizzandoli verso uno sviluppo atto ad impedire la lesione del bene giuridico da
lui preso in carico»(359).
La Suprema Corte dunque, senza adoperare mezzi termini, disconosce l‟impostazione
secondo cui un obbligo rilevante ex art. 40 cpv. sussiste solo e soltanto laddove vi sia
perfetta corrispondenza tra doveri giuridici e poteri giuridici, quest‟ultimi dotati di diretta e specifica efficacia impeditiva.
È dalle premesse concettuali sopra citate che la Cassazione prenderà le mosse, nel caso
di specie, per giungere ad affermare la sussistenza di una posizione di garanzia in capo a
359
Nell‟adottare tale impostazione, la Suprema Corte si richiama ad un precedente, costituito dalla
pronuncia della Sezione IV, 16761/2010.
In effetti la sentenza da ultimo citata - dopo aver parlato della distinzione tra obblighi di garanzia,
obblighi di attivarsi ed obblighi di sorveglianza - asserisce che “Non sembra invece condivisibile
l‟affermazione che il garante, perché risponda dell‟evento, debba essere dotato di tutti i poteri impeditivi
dell‟evento essendo richiesto all‟agente che ponga in essere solo quelli da lui esigibili (…) Insomma la
posizione di garanzia richiede l‟esistenza dei poteri impeditivi che peraltro possono anche concretizzarsi
in obblighi diversi (per es. di natura sollecitatoria), e di minore efficacia, rispetto a quelli direttamente e
specificamente diretti ad impedire il verificarsi dell‟evento.”.
A nostro avviso, tuttavia, la suddetta asserzione non va in alcun modo ad intaccare la applicazione – da
parte delle Suprema Corte, in quell‟occasione – del criterio della ricerca dei doveri-poteri giuridici
impeditivi. (Si veda a tal proposito il paragrafo seguente).
125
tutti i componenti del consiglio di amministrazione delle società coinvolte nella vicenda
giudiziaria (360).
3.2. Il criterio dei poteri giuridici impedivi: a) il cosciente e risolutivo impiego di
esso. (Segue)
Le sentenze esaminate nel paragrafo che precede rappresentano casi in cui, come si è visto, i giudici hanno espressamente descritto – per approvarla o per criticarla – la teoria
che distingue tra obblighi di garanzia, obblighi di sorveglianza e obblighi di attivarsi.
Bene, a seguito dell‟indagine compiuta sulla giurisprudenza che, nel primo decennio del
XXI secolo, si è occupata di posizioni di garanzia, si ritiene di poter affermare quanto
segue. Anche in quegli arresti giurisprudenziali in cui alla teoria della distinzione “obblighi di garanzia/ obblighi di sorveglianza/ obblighi di attivarsi” non viene fatto esplicito riferimento, ad essere filtrato è il “criterio fondatore” della distinzione suddetta: il
criterio dei poteri giuridici impeditivi, la cui sussistenza farebbe da discrimen tra obblighi rilevanti ex art. 40 cpv. ed altre tipologie di obblighi. Più in particolare, ad essere
filtrata è stata la percezione che quello dei poteri giuridici impeditivi rappresenta
l‟elemento su cui poter legittimamente fondare una responsabilità per omesso impedimento di un evento: il garante è colui sul quale si appunta non soltanto un determinato
dovere giuridico impeditivo, ma altresì il corrispondente potere – possibilmente giuridico anch‟esso – di impedimento.
Se quanto è stato asserito è vero – e cioè che nella recente prassi giurisprudenziale è
ormai radicata la consapevolezza della necessaria sussistenza di poteri giuridici impeditivi – ci pare di poter affermare che è altresì vero che, dinnanzi ad una tale consapevolezza, le “reazioni” sono le più difformi.
Ci sono casi in cui del criterio dei poteri giuridici impeditivi si cerca di fare una approfondita applicazione, rendendolo peraltro il criterio “risolutivo” con riguardo alla vicenda esaminata; ci sono dei casi in cui tale criterio viene sì richiamato ed invocato, ma poi
360
Sui contenuti della sentenza 39881/2010 si tornerà nel prosieguo, data la rilevanza di essi sia in tema
di responsabilità degli amministratori non esecutivi, sia in tema di efficacia della delega di funzioni
nell‟ambito della sicurezza sul lavoro.
126
una vera applicazione di esso viene in realtà frustrata; vi sono casi in cui l‟applicazione
del criterio suddetto risulta davvero ardua, nel senso che da quella discendono risultati
che sono tutto fuorché incontrovertibili.
Si inizierà qui col trattare delle ipotesi in cui quello della sussistenza dei poteri giuridici
impeditivi ha costituito il decisivo criterio ispiratore della decisione sulla vicenda di
specie. La casistica è nutrita e l‟elencazione delle pronunce potrebbe essere lunga (361).
Ci si limiterà qui pertanto a segnalarne alcune, recenti, le quali sono state scelte in virtù
della rilevanza o della peculiarità delle vicende che le hanno occasionate.
Il criterio del dovere potere-giuridico impeditivo ci sembra aver fatto da “guida concettuale” per il Tribunale di Milano (362), chiamato nel 2010 a giudicare sulla penale responsabilità di quattro responsabili del sito web Google Video.it (363).
Nella vicenda in oggetto, due erano i capi di imputazione gravanti sugli imputati: quello
relativo al concorso mediante omissione nel delitto di diffamazione (artt. 110, 40 co. 2,
595 commi 1 e 3 c.p.) e quello relativo all‟illecito trattamento dei dati personali (artt.
110, 169 commi 1 e 2 D.Lgs. 196/2003, in riferimento agli articoli 23, 27 e 26 del decreto stesso). Ai fini che qui ci interessano, verrà presa in considerazione esclusivamente l‟imputazione relativa al concorso mediante omissione nel delitto di diffamazione, e
cioè l‟imputazione costruita sulla base del capoverso dell‟articolo 40 c.p..
361
Tra le tante, si possono segnalare le seguenti. Cassazione 32298/2006, la quale - dopo aver ricordato,
appunto, che l‟obbligo giuridico di impedire l‟evento si caratterizza per la compresenza di due
componenti, costituite da un dovere di intervento stabilito da una fonte normativa e da un potere
(giuridico, ma anche di fatto) impeditivo – conferma la sussistenza di una posizione di garanzia in capo a
due fratelli, che avevano dato in locazione un immobile di loro proprietà omettendo ogni doverosa
verifica sullo stato di manutenzione dell‟impianto di riscaldamento. Alla necessità di compiere una seria
indagine sulle specifiche competenze nonché sul ruolo esercitato all‟interno di un‟organizzazione
complessa – elementi, questi, che costituiscono il “risvolto applicativo” del criterio dei poteri giuridici
impeditivi – si richiama Cassazione 42496/2009, laddove annulla la sentenza di condanna che aveva
ritenuto sussistente una posizione di garanzia in capo ad un ragazzo che svolgeva il servizio civile presso
una associazione ambientalista (posizione di garanzia ritenuta sussistente in relazione ad un tragico fatto
verificatosi durante una gita organizzata dall‟associazione stessa). Ancora, si può segnalare Cassazione
17754/2010, la quale annulla l‟assoluzione pronunciata nei confronti di una Preside di scuola media,
demandando al giudice del rinvio il compito di analizzare “i poteri direttivi che la legge le riconosce”, per
stabilire se quella avesse una posizione di garanzia nei confronti di un alunno, rimasto vittima di un
incidente stradale, appena uscito da scuola, lungo la strada comunale antistante l‟edificio scolastico.
362
Tribunale Milano, Sezione IV, 12 aprile 2010 n. 1972.
363
SI trattava, in particolare, del Presidente del Consiglio di Amministrazione di Google Italy s.r.l., di due
amministratori delegati nonché del responsabile delle policy sulla privacy per l‟Europa (Global Privacy
Counse) di Google Inc.
127
Il delitto di diffamazione era quello commesso da alcuni ragazzi di un istituto tecnico di
Torino, i quali – dopo aver girato un video che mostrava numerosi atti vessatori dagli
stessi compiuti nei confronti di un loro coetaneo disabile – lo caricarono su Google Video; sul sito il video rimase per due mesi, durante i quali venne visualizzato per oltre
cinquemila volte. La responsabilità in capo ai gestori del sito web era stata dai PM “costruita” sulla base del seguente impianto concettuale: i responsabili del sito avevano
omesso di effettuare il controllo preventivo sul contenuto del filmato, violando gli obblighi relativi al corretto trattamento dei dati personali (in particolare, gli obblighi derivanti dagli articoli 13, 26 e 17 del D.Lgs 196/2003) e così non impedendo che il video
venisse immesso per la successiva diffusione a mezzo internet; essi dunque dovevano
essere chiamati a rispondere per concorso mediante omissione nell‟altrui delitto di diffamazione (364).
Il giudice di prime cure prende invece le distanze dall‟assunto elaborato dall‟ufficio
dell‟accusa, e lo fa sottolineando l‟assenza, nel caso di specie, di doveri-poteri giuridici
364
Si riporta qui di seguito il testo del capo di imputazione oggetto di interesse: “A) per i reati di cui agli
art. 110, 40 comma 2, 595 comma l e 3 C.P. perché in concorso tra loro D.D.C. - Presidente del
Consiglio di Amministrazione di Google Italy s.r.l. dal 19.3.2004 e successivamente nominato
amministratore delegato in data 2.4.2004 (fino al 21.5.2007), D.L.R.G. - membro del Consiglio di
Amministrazione di Google Italy s.r.l. dal 19.3.2004 e successivamente nominato amministratore
delegato in data 2.4.2004 (fino al 21.5.2007), Fl.P.A. - responsabile delle policy sulla privacy per
l‟Europa (Global Privacy Counse) di Google Inc., De.A. - responsabile del progetto Google Video per
l‟Europa. Offendevano la reputazione dell‟Associazione Vivi Down - associazione italiana per la ricerca
scientifica e per la tutela della persona Down, nonché di D.L.F.G., consentendo che venisse immesso per
la successiva diffusione a mezzo internet, attraverso le pagine del sito http://video.google.it e senza alcun
controllo preventivo sul suo contenuto, un filmato in cui persone minorenni, in concorso tra loro,
pronunciando la seguente frase "Salve, siamo dell‟associazione Vivi down, un nostro mongolo si è cagato
addosso e mò non sappiamo che minchia fare perché l‟odore di merda c‟è entrato nelle narici" e
ponendo in essere numerosi altri atti vessatori nei confronti di un loro coetaneo disabile, ledevano i
diritti e le libertà fondamentali nonché la dignità degli interessati.
In Milano, in epoca immediatamente successiva all‟8 settembre 2006 (data del video upload) e fino al 7
novembre 2006 (data della rimozione del video).
Obbligo giuridico ex art. 40 comma 2 così individuato: omettevano - ciascuno nella rispettiva qualità - il
corretto trattamento di dati personali come prescritto dal D.lvo 30 giugno 2003 n.196 (e altresì più volte
sollecitato dall‟Autorità Garante per la protezione dei dati personali, dopo la conclusione del
procedimento di cui al successivo capo C, in data 22.3.2006, 9.5.2006 e 3.7.2006) ed in particolare:
- dall‟art 13, difettando del tutto l‟informativa sulla privacy - visualizzabile in italiano dalla pagina
iniziale del servizio Google video, in sede di attivazione del relativo account al fine di porre in essere
l‟upload dei files - in ordine a quanto prescritto dal comma 1 della richiamata norma e, per essa, del
valido consenso di cui all‟art. 23 comma 3,
- dall‟art. 26, riguardando altresì dati idonei a rivelare lo stato di salute della persona inquadrata,
- dall‟art. 17, per i rischi specifici insiti nel tipo di trattamento omesso nell‟ipotesi di cui al presente
procedimento, non attivandosi Google Italy s.r.l. neppure in tal senso - tramite il prescritto interpello presso l‟Autorità Garante. Trattamento omesso - anche in relazione alle concrete misure organizzative
da apprestare (…)”.
128
impeditivi, idonei a fondare una posizione di garanzia a carico dei responsabili del sito
web.
La tesi del giudice meneghino può essere riassunta attorno ai due poli argomentativi seguenti: la posizione di garanzia, per dirsi tale, deve fondarsi su un dovere preciso, specifico, e posto dalla legge; ancora, la posizione di garanzia, per dirsi tale, deve essere contrassegnata da poteri, anch‟essi giuridici, impeditivi; e i poteri impeditivi, per dirsi a loro volta tali, devono essere contrassegnati dal carattere della preventività rispetto
all‟evento da impedire.
Nel caso di specie, ad avviso del giudice milanese, difettano sia l‟uno che l‟altro
elemento. Da un lato, ad avviso del giudice, dalle norme richiamate dai pubblici
ministeri non poteva esser fatto scaturire alcun obbligo impeditivo specifico rispetto
all‟evento verificatosi («non esiste, a parere di chi scrive, perlomeno fino ad oggi, un
obbligo di legge codificato che imponga agli ISP un controllo preventivo della
innumerevole serie di dati che passano ogni secondo nelle maglie dei gestori o
proprietari dei siti web, e non appare possibile ricavarlo aliunde superando d‟un balzo
il divieto di analogia in malam partem, cardine interpretativo della nostra cultura
procedimentale penale (…) Non appare quindi conforme (…) far derivare l‟esistenza di
tale obbligo di intervento dalla violazione di una legge che non abbia per oggetto tali
condotte e che sia stata emanata a copertura di comportamenti diversi da quello
contestato»). Dall‟altro lato, il giudice afferma che, anche laddove si fosse voluto
ritenere sussistente un tale obbligo impeditivo, a detto obbligo non sarebbe potuta
corrispondere una reale “possibilità impeditiva”: «pur ammettendo per ipotesi che esista
un potere giuridico derivante dalla normativa sulla privacy che costituisca l‟obbligo
giuridico fondante la posizione di garanzia, non vi è chi non veda che tale potere, anche
se correttamente utilizzato, certamente non avrebbe potuto "impedire l‟evento"
diffamatorio»; ove un tale obbligo impeditivo venisse ritenuto sussistente, difatti,
«imporrebbe (…) un controllo o un filtro preventivo su tutti i dati immessi ogni secondo
sulla rete, causandone l‟ immediata impossibilità di funzionamento».
Negata la sussistenza di una posizione di garanzia, il Tribunale di Milano assolve i
quattro imputati dal reato di concorso mediante omissione nel delitto di diffamazione,
«perché il fatto, così come per gli stessi contestato, non sussiste» (365).
365
Concordano con il ragionamento seguito dal giudice milanese – nonché con l‟esito assolutorio – C.
129
Al
criterio
della
giuridicità
dei
poteri
impeditivi
ci
pare
attenersi
366
minuziosamente anche Cassazione penale, Sez. IV, 12 marzo 2010, n. 16761 (
).
In seguito al ricorso del procuratore generale della Repubblica presso la Corte
d‟Appello di Salerno, i giudici della Suprema Corte di sono trovati a dover valutare, tra
le altre cose, la sussistenza di una posizione di garanzia in capo al Sindaco di Sarno, al
quale era stato contestato di aver omesso «di dare tempestivamente il segnale di allarme
alla popolazione, di disporre l‟evacuazione delle persone residenti nelle zone a rischio,
di convocare ed insediare tempestivamente il comitato locale per la protezione civile
etc.» e di aver così cagionato, mediante omissione, la morte di 137 persone (367).
I giudici di merito avevano assolto il sindaco, sulla base di un asserito difetto della
posizione di garanzia. La Cassazione compie una meticolosa ricostruzione del quadro
normativo – ricostruzione effettuata attraverso l‟analisi delle norme vigenti ( 368 ) e
attraverso l‟individuazione della ripartizione delle competenza tra Sindaco e Prefetto,
distinguendo a seconda della tipologia di evento calamitoso e a seconda dei rapporti (di
concorrenza o di residualità) sussistente tra le competenze stesse - al fine di verificare
la sussistenza o meno, in capo al Sindaco, di effettivi poteri giuridici impeditivi rispetto
alle morti verificatesi. In particolare, si trattava di comprendere se in capo al sindaco
MELZI D‟ERIL – G.E. VIGEVANI, Nelle motivazioni di condanna della sentenza violazione della privacy
per mancato consenso, in Guida al Diritto, 2010, p. 20 ss. e A. MANNA, I soggetti in posizione di
garanzia, in Il diritto dell‟Informazione e dell‟Informatica, 2010, p. 779 ss.
Gli autori sopra citati mostrano invece delle perplessità con riguardo alla pronuncia di condanna adottata
in relazione all‟imputazione di cui al capo B), quella cioè per violazione dell‟art. 167 del D.Lgs.
196/2003. Di tale secondo aspetto della vicenda giudiziaria, tuttavia, non è di certo in questa sede
opportuno occuparsi.
366
Per amore di precisione va ricordato che tale pronuncia – come si è avuto modo di spiegare, in nota,
nel paragrafo che precede – mostra di non aderire pienamente alla teoria che distingue tra obblighi di
garanzia ed obblighi di attivarsi.
E tuttavia essa, a nostro avviso, applica con estrema fedeltà e rigore il criterio dei doveri-poteri giuridici
impeditivi.
367
Al fine di descrivere i fatti della vicenda – anch‟essa tristemente nota – si riporta un passaggio tratto
dalla pronuncia della Suprema Corte: «Il (OMISSIS) da una montagna denominata (OMISSIS), sita al
confine tra le province di (OMISSIS), scendevano numerose colate rapide di fango che investivano gli
abitati di (OMISSIS). L‟abitato maggiormente colpito da questo evento era il comune di (OMISSIS) dove
si verificavano 137 morti di persone che si trovavano nella località indicata. Le colate erano state
provocate dallo scioglimento, ad opera di precipitazioni di pioggia intensissime e durate diversi giorni,
dei sedimenti di origine vulcanica formatisi sulla montagna e poggianti su un substrato solido di roccia
calcarea (…) Queste colate provocavano varie tipologie di danni alle costruzioni (crollo totale di
immobili, crollo parziale di altri, danni localizzati in alcune parti di altri immobili, danni lievi di parti
non strutturali) ma, soprattutto, numerosissime morti di abitanti (…)».
368
In particolar modo, si trattava della disciplina contenuta nella L. 225/1992 e di quella contenuta in una
direttiva della presidenza del consiglio dei ministri, la n. 91/1995 (cosiddetta direttiva Barberi).
130
incombessero i doveri-poteri di compiere attività di prevenzione e di evacuazione –
attività, queste, senz‟altro dotate di (per lo meno astratta) efficacia impeditiva rispetto
agli eventi accaduti – oppure se, al contrario, quello avesse soltanto un compito di
assistenza e soccorso delle popolazioni colpite.
La Suprema Corte annulla la sentenza assolutoria e affida l‟indagine suddetta al giudice
del rinvio.
3.3. (Segue) b) L’elusione dell’applicazione del criterio dei poteri giuridici
impeditivi: b.1) la delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro: la analisi
della sussistenza dei doveri-poteri impeditivi viene evitata escludendo, a monte,
l’esistenza di una valida delega.
Nel presente paragrafo la nostra indagine della prassi giurisprudenziale avrà ad
oggetto l‟istituto della delega di funzioni ed il suo impiego nel settore della sicurezza
nei luoghi di lavoro.
Si tratta difatti, a nostro avviso, di un terreno che si presta – o meglio, che si presterebbe
- a fungere da fertile banco di prova per testare l‟impiego del criterio dei poteri giuridici
impeditivi. Si anticipa sin da subito che invece, secondo noi, la giurisprudenza che si è
occupata di tale tema ha evitato di “misurarsi davvero” con la questione della
distinzione tra veri obblighi di garanzia e meri obblighi di sorveglianza.
Il presente paragrafo verrà idealmente suddiviso in due parti: dapprima si cercherà di
motivare perché quello della delega di funzioni costituisca – almeno in astratto - un
ambito di indagine ideale; in un secondo momento ci si dedicherà a descrivere
l‟atteggiamento assunto in materia dalla giurisprudenza nonché a spiegare le ragioni del
nostro giudizio su di esso.
Nell‟ambito del reato omissivo improprio, il fenomeno della delega di funzioni e cioè il fenomeno del trasferimento, mediante atto negoziale, da un soggetto delegante
ad un soggetto delegatario, oltre che delle funzioni, altresì dell‟obbligo giuridico
impeditivo ( 369 ) - ha da sempre sollevato, tra le altre cose, il delicato problema di
369
Vedi retro, capitolo I sezione III.
131
stabilire quali siano l‟effettivo contenuto e l‟effettiva consistenza della posizione
gravante sul soggetto delegante: in altri termini, ci si è da sempre chiesti se in capo al
dante incarico permanga o meno un dovere rilevante ai sensi dell‟art. 40 cpv. c.p..
La dottrina ha indagato la questione, approdando a conclusioni variegate. Possono
essere qui rapidamente ricordate le tre principali concezioni che sono state elaborate
(370): la concezione cosiddetta formale, secondo cui la delega non potrebbe in nessun
caso traslare definitivamente una posizione di garanzia tipica, prevista dalla legge, e
secondo cui, dunque, essa potrebbe al più assumere rilevanza per escludere – se non la
sussistenza di una posizione di garanzia in capo al delegante, quanto meno – la colpa di
esso; la concezione cosiddetta funzionale, secondo cui la delega dispiegherebbe il sicuro
effetto di costituire un nuovo e diverso garante, spogliando il dante incarico della
posizione penalmente rilevante; infine la teoria cosiddetta intermedia, secondo la quale
in capo al dante incarico permarrebbe pur sempre un obbligo, ma esso muterebbe di
contenuto, trasformandosi in un obbligo di sorveglianza sull‟altrui attività (371).
Ci pare opportuno precisare che ogni questione in tema di delega di funzioni presuppone la “soluzione”, a
sua volta, di una questione prodromica: occorre difatti prima di tutto individuare quali siano, all‟interno di
una struttura complessa, i garanti originari; solo una volta appurato che un soggetto è titolare di una
posizione di garanzia, si potrà porre il problema di stabilire quali siano gli effetti di una delega da questi
conferita a terzi.
Si veda ad esempio in tal senso, per tutte, Cassazione 4123/2008: «In tema di normativa antinfortunistica,
nelle imprese di grandi dimensioni, si pone la questione, attinente all‟individuazione del soggetto che
assume su di sé, in via immediata e diretta, la posizione di garanzia, la cui soluzione precede,
logicamente e giuridicamente, quella della (eventuale) delega di funzioni. (…) ».
Per una ricognizione dei garanti a titolo originario nell‟ambito della sicurezza sul lavoro vendansi, fra gli
altri, F. D‟ALESSANDRO, La delega di funzioni nell‟ambito della tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro, alla luce del decreto correttivo n. 106/2009, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, p. 1130; N.
PISANI, Posizioni di garanzia e colpa d‟organizzazione nel diritto penale del lavoro, in Riv. trim. dir. pen.
econ., 2009, passim.
370
Per una accurata illustrazione delle principali teorie sviluppate in tema di delega di funzioni, vedasi T.
VITARELLI, Delega di funzioni e responsabilità penale, Milano, 2006, p. 45 e ss.
371
Ci sembra importante compiere una precisazione.
La terminologia “obbligo di sorveglianza”, impiegata dalla dottrina tradizionale in tema di delega di
funzioni, voleva indicare un obbligo che, sebbene mutato di contenuti, era pur sempre un obbligo di
garanzia.
Invece – come si è visto nel capitolo precedente (sezione I) – a partire dalla fine degli anni Novanta una
parte della dottrina ha iniziato ad impiegare la terminologia “obbligo di sorveglianza” per riferirsi ad una
situazione ben diversa – anzi, propriamente contrapposta – all‟obbligo di garanzia.
La stessa nomenclatura è stata dunque utilizzata, nel corso del tempo, attribuendo ad essa significati
diversi.
Di tali significati è nostro avviso importante avere chiara contezza. Anche perché una confusione
terminologica finirebbe con l‟aggravare la situazione di un ambito – quello delle posizioni di garanzia e
della responsabilità omissiva impropria – già pervaso da tanti dubbi e da tante incertezze.
132
Con specifico riguardo al settore della sicurezza nei luoghi di lavoro, il fenomeno della
delega di funzioni – di creazione dottrinaria e giurisprudenziale - ha conosciuto una
consacrazione normativa ( 372 ). Gli attuali articoli 16 e 17 del D.Lgs. 81/2008
contemplano l‟istituto della delega di funzioni, ne descrivono dettagliatamente i
caratteri ed i presupposti (ci si riferisce in particolare alla disciplina dei commi 1 e 2
dell‟art. 16) e ne individuano i limiti (ci si riferisce in particolar modo agli «obblighi
non delegabili» di cui all‟art. 17). Il legislatore provvede altresì – ed è su questo profilo
che si appunterà da qui dinnanzi la nostra attenzione – ad indicare quali sono gli effetti
che la delega produce in capo al datore di lavoro delegante: il comma 3 dell‟art. 16
recita che “la delega di funzioni non esclude l‟obbligo di vigilanza in capo al datore di
lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni
trasferite”.
Ora, quanto sin qui esposto dovrebbe rendere palese perché la delega di funzioni, nel
settore della sicurezza sul lavoro, costituisca un ambito elettivo di indagine. Ci troviamo
difatti dinnanzi ad un caso in cui in capo ad un soggetto (e cioè in capo al garante
delegante) la legge prescrive un obbligo – “giuridico”, per ovvie ragioni – di “fare
qualcosa”: più precisamente, un obbligo di «vigilare» sull‟attività di un altro soggetto
(cioè sull‟attività del delegato). Ai nostri fini, dunque, - e alla luce di tutto quanto
illustrato nel capitolo secondo del presente lavoro – la questione da indagare è la
seguente: cercare di comprendere se ad un tale obbligo di vigilanza – giuridicamente
posto - possa o meno essere attribuita la consistenza di un obbligo impeditivo ex art. 40
cpv. c.p.; il che equivale a stabilire se la violazione, da parte del datore di lavoro, di un
tale obbligo, possa o meno rilevare in termini di concorso mediante omissione nel reato
commesso dal soggetto delegato (373).
Prima di andare analizzare in che maniera la giurisprudenza si sia confrontata con la
suddetta questione, ci sembra opportuno compiere una precisazione.
372
Il primo riconoscimento normativo è stato quello introdotto dal d.lgs. 242/1996 all‟interno dell‟art. 1,
comma 4 ter D.lgs 626/1994. La vera codificazione dell‟istituto della delega di funzioni si è avuta con il
d.lgs. 81/2008.
Per una agile ricostruzione dell‟evoluzione della normativa vedasi L. DEGL‟INNOCENTI, Le novità in
materia di delega di funzioni introdotte dal d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106, in Cassaz. Pen., 2010, p. 2479.
373
La questione sopra individuata si ripropone peraltro, per intero, con riguardo al fenomeno della subdelega, oggi disciplinato dal co. 3-bis dell‟art. 16: si tratterà infatti di stabilire se l‟obbligo di vigilanza
contemplato dal comma 3-bis – cioè l‟obbligo che grava sul delegato, il quale decide, a sua volta, di
delegare alcune funzioni – abbia o meno la consistenza di un obbligo di garanzia.
133
Nel 2009 il legislatore è intervenuto ( 374 ) aggiungendo al comma terzo un periodo
ulteriore, in cui si stabilisce che “l‟obbligo di cui al primo comma (l‟obbligo di
vigilanza gravante sul datore di lavoro delegante, ndr) si intende assolto in caso di
adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all‟art. 30 co. 4
(il modello di organizzazione e gestione di cui al D.Lgs. 231/2001, ndr)”. Si tratta,
beninteso, di una disposizione normativa di efficacia dirompente: ci limitiamo qui a
segnalare come essa intervenga non soltanto a forgiare il contenuto dell‟obbligo di
vigilanza, ma altresì a creare, in un certo qual modo, un legame tra il destino dell‟autore
individuale e quello dell‟ente, sovrapponendo parzialmente i piani delle rispettive
responsabilità (375). Ai fini tuttavia che qui ci interessano, si può affermare che la novità
legislativa del 2009 non intervenga a mutare i termini della questione oggetto della
nostra indagine, per come è stata qui sopra descritta. Difatti, se è vero che l‟ultimo
periodo del comma 3 interviene a plasmare il contenuto del dovere di vigilanza che
residua in capo al datore di lavoro delegante, è altresì vero che permane integra ed
immutata la questione problematica che è stata sopra posta in luce: stabilire se un tale
dovere possa essere considerato o meno un obbligo di garanzia e stabilire quali siano le
penali conseguenze di una eventuale violazione di quello.
Poste tutte le premesse che precedono, sorge spontaneamente la curiosità di
verificare come la giurisprudenza abbia fronteggiato la questione qui sopra descritta: la
curiosità cioè di verificare se i giudici ritengano che un datore di lavoro delegante –
titolare ex lege di un obbligo di vigilanza – vada o meno considerato quale garante ai
sensi del capoverso dell‟articolo 40 c.p..
Anche in questo caso, si è cercato orientare l‟indagine su pronunce recenti. Di esse non
374
In particolare, l‟intervento di modifica è stato effettuato dall‟art. 12 del D.Lgs. 106/2009.
375
Il Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro aveva già richiamato – ed in un certo qual modo fatto
proprio – lo “strumento” del modello di organizzazione e prevenzione del rischio reato di cui all‟art.
231/2001: l‟art. 30 del d.lgs. 81/2008, difatti, descrive tutta una serie di contenuti –relativi, appunto, alla
sicurezza sul lavoro – di cui il modello 231/2001 si deve arricchire.
Ora, la riforma che nel 2009 è andata ad incidere sull‟articolo 16, ha compiuto un passo ulteriore, di
portata davvero notevole. Stabilendo che l‟obbligo di vigilanza – residuante in capo al datore di lavoro
delegante – si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di cui all‟art. 30,
viene stabilito un vero e proprio legame di destini, appunto, tra la responsabilità amministrativa dell‟ente
e la responsabilità individuale penale della persona fisica: più in particolare, l‟adozione ed efficace
attuazione del modello può rappresentare ora un fattore di esonero non soltanto della responsabilità da
reato dell‟ente ma altresì della responsabilità penale per l‟evento concreto che grava sul datore di lavoro
(Vedasi in tal senso, tra gli altri, N. PISANI, Posizioni di garanzia e colpa d‟organizzazione nel diritto
penale del lavoro, cit., p. 148).
134
verranno descritte le vicende di fatto che le hanno occasionate – trattasi difatti di tutti
casi di infortuni verificatisi sui luoghi di lavoro - bensì verranno posti in luce i passaggi
fondamentali delle argomentazioni in diritto.
Bene, i giudici non mancano di rilevare come un datore di lavoro, titolare di una
originaria posizione di garanzia, possa, mediante delega, trasferire ad altri i propri
obblighi di compiti, con conseguente sostituzione e subentro del delegato nella
posizione di garanzia che faceva originariamente capo al suo titolare. Ci si affretta
tuttavia a precisare che, in ogni caso, rimane integro e fermo l‟obbligo del delegante di
vigilare e controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto
richiesto o prescritto dalla legge.
In tali termini si è espressa, ad esempio, la Cassazione con la pronuncia 3360/2009 (376),
laddove ha analizzato la posizione dell‟amministratore unico di una società di
costruzioni, il quale impugnava la sentenza di condanna asserendo, tra le altre cose, di
aver conferito a soggetti terzi apposite deleghe di funzioni, con autonomia di gestione e
di spesa.
Ancora, similmente si è espressa la Cassazione, con pronuncia 38415/2006, laddove ha
esaminato il ricorso del titolare di una autocarrozzeria – condannato in primo e secondo
grado per il reato di lesioni colpose gravi, cagionate mediante omissione ad un
lavoratore dipendente – il quale eccepiva di aver conferito, in materia di sicurezza sui
luoghi di lavoro, una delega di fatto al capo officina. E l‟elenco potrebbe essere ancora
lungo (377).
Dunque i giudici della Suprema Corte non mancano mai di affermare quanto segue: il
delegato subentra nella posizione del delegante e che dunque la delega può avere una
efficacia costitutiva, nel senso che essa crea una nuova posizione di garanzia e nel senso
376
Tale pronuncia è stata fatta oggetto di indagine anche in un paragrafo precedente, cioè il paragrafo in
cui si è parlato della espressa presa di posizione, ad opera della Suprema Corte, sulla teoria della
distinzione tra obblighi di garanzia, obblighi di sorveglianza e obblighi di attivarsi. In quel paragrafo
l‟attenzione era stata concentrata sulla “parte” della pronuncia dedicata all‟analisi della posizione del
direttore dell‟aeroporto di Linate.
377
Si segnalano ad esempio Cassazione 32357/2010, Cassazione 22614/2008 (pronuncia precedentemente
esaminata con riguardo alla posizione del direttore dell‟aeroporto), con riguardo alla posizione di un
amministratore delegato dell‟Enav, Cassazione 12 gennaio 2005, Cassazione 1 aprile 2004, Cassazione
9343/2000.
Si coglie l‟occasione per ricordare che – ancor prima della “positivizzazione” operata dal d.lgs. 81/2008 –
quella della “consistenza” dell‟obbligo residuante in capo al dante incarico fosse una questione di pieno
rilievo giurisprudenziale.
135
che essa può esentare il datore di lavoro da responsabilità per la violazione della
normativa antinfortunistica; dopo di che, tuttavia, ribadiscono prontamente quanto
prescritto dalla legge, e cioè che, in ogni caso, permane sul datore di lavoro un obbligo
di vigilare e controllare l‟operato del delegato.
Il punto dolente consiste nel fatto che – se ci si vuole spingere a cercare di comprendere
quale sia la consistenza che i giudici attribuiscono a tale obbligo residuante in capo al
delegante - si rimane inevitabilmente delusi (378).
In realtà non si vuole dire che la Cassazione assume, con riguardo alla suddetta
questione, un atteggiamento volontariamente latitante.
A noi sembra piuttosto che è come se la questione oggetto del nostro interesse riesca a
fare a meno di essere affrontata. Si cercherà qui di seguito di spiegarsi meglio.
Le questione oggetto di interesse – e cioè la determinazione della consistenza
dell‟obbligo residuante dopo il conferimento di una delega di funzioni – si profila, in
realtà, solo ed esclusivamente in quei casi in cui ci si trovi in presenza di una valida
delega di funzioni: qualora invece la delega non sia una delega valida, essa viene
ritenuta incapace di trasferire alcunché; in tali casi dunque non ha senso domandarsi che
tipo di obbligo residui in capo al delegante, posto che su di esso grava l‟intera, intonsa,
posizione di garanzia originaria.
Ecco, alla luce dell‟analisi da noi effettuata, si ritiene di poter affermare che la
giurisprudenza eviti di misurarsi col problema della consistenza dell‟obbligo di
vigilanza del datore di lavoro delegante in quanto, in genere, ha modo di “risolvere” la
questione a monte, escludendo, cioè, che nei casi di specie possano ritenersi sussistenti
valide deleghe di funzioni.
Ciò è esattamente quanto è avvenuto nei casi sopra analizzati, laddove i gravami
proposti dagli imputati sono stati rigettati motivando in forza di un asserito difetto di
valide deleghe di funzioni conferite dagli imputati ricorrenti a soggetti terzi: più in
particolare, nei casi di specie è stato ritenuto che difettassero degli atti di delega che
potessero dirsi espressi, certi ed in equivoci.
Discostandosi dalle specifiche pronunce analizzate – ed affrontando la questione nei
378
Tale opinione ha trovato il sostegno di S. PESCI, La prevenzione degli infortuni sul lavoro, in Giur.
Merito, 2009, p. 2652 ss., in Juris data on line, il quale afferma che la giurisprudenza “non sembra
tuttavia in grado, per ora, di offrire univoci e consapevoli criteri discretivi e non di rado affronta la
questione in termini non adeguatamente meditati, limitandosi alla reiterazione della formula generica
che rimanda alla necessità della vigilanza del delegato sul delegante”.
136
suoi più generali termini – va rilevato come, ad escludere la sussistenza di una valida
delega, possano intervenire fattori molteplici: una delega è ritenuta non valida tutte le
volte in cui difetti anche uno soltanto dei requisiti che devono caratterizzarla ( 379 );
ancora, una delega è reputata non valida qualora si ritenga che essa – seppur dotata di
ogni rigore formale - pretenda di trasferire compiti in realtà non delegabili (380).
Bene, ogni qualvolta si presenta un dubbio sulla validità della delega, viene esclusa una
qualsiasi possibile efficacia liberatoria a favore del datore di lavoro delegante. E‟
proprio per tale ragione, dunque, che, a nostro avviso, la giurisprudenza ha potuto
sostanzialmente evitare – per lo meno in tutti i casi che sono stati fatti oggetto della
nostra analisi – di fare davvero i conti con la reale entità dell‟obbligo residuale di
vigilanza.
3.4. b.2) Amministratori non esecutivi di società di capitali: l’analisi della
sussistenza dei doveri-poteri impeditivi viene evitata escludendo, a monte, la
sussistenza dell’elemento soggettivo.
Un altro ambito all‟interno del quale l‟individuazione dei veri obblighi di
garanzia si presenta complessa e delicata è quello relativo alla posizione degli
amministratori non esecutivi di società di capitali.
379
Come accennato sopra, i requisiti ed i caratteri che una valida delega di funzioni deve presentare,
risultano oggi espressamente indicati nell‟art. 16 TU 81/2008. Essi rappresentano la “cristallizzazione
normativa” di requisiti elaborati e “fissati”, nel corso dei decenni precedenti, a livello giurisprudenziale.
La casistica in tal senso è davvero sconfinata. Possono essere citate, solo a titolo esemplificativo,
Cassazione 6420/2007, Cassazione 47136/2007, Cassazione 8604/2008, Cassazione 45931/2009,
Cassazione 7691/2010 etc.
380
Anche tale questione è stata affrontata espressamente dal D.Lgs. 81/2008, all‟articolo 17.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che la delega di funzioni – pur laddove essa sia espressa ed
efficace – non possa mai valere ad escludere la posizione di garanzia del datore di lavoro con riguardo
alle scelte più importanti, cioè quelle relative alle decisioni di carattere generale di politica aziendale.
Anche qui la casistica è nutrita; viene citata, per tutte, Cassazione 38991/2010: « In caso di strutture
aziendali complesse, pertanto, la delega di funzioni esclude la riferibilità di eventi lesivi ai deleganti se
derivano da occasionali disfunzioni. Nell‟ipotesi in cui, invece, siano determinati da difetti strutturali
aziendali e del processo produttivo, permane integralmente la responsabilità dei vertici aziendali (…).
(…)In conclusione, quindi, anche in presenza di una delega di funzioni (…) la posizione di garanzia (…)
non viene meno, pur essendo in presenza di una struttura aziendale complessa ed organizzata, con
riferimento a ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione delle
lavorazioni che attingono direttamente la sfera di responsabilità del datore di lavoro.».
137
L‟impostazione del presente paragrafo ricalcherà quella del precedente: dapprima si
illustrerà perché, in tale ambito, l‟opera di discernimento degli obblighi di garanzia si
presenti complessa; in un secondo momento verrà espresso, sulla scorta dell‟analisi di
alcune pronunce, un giudizio su quello che è l‟atteggiamento assunto dalla
giurisprudenza in materia.
La riforma che nel 2003 ha investito il diritto societario, ha interessato, tra i vari
profili, altresì alcune norme le quali rappresentavano le fonti – giuridiche, appunto – da
cui veniva estratto l‟obbligo impeditivo, rilevante ai sensi dell‟art. 40 cpv., gravante sui
membri dei consigli di amministrazione. Ci si riferisce in particolar modo agli articoli
2392 e 2381 c.c..
La norma indicata per prima prevedeva la solidale responsabilità degli amministratori
qualora essi non avessero vigilato sul generale andamento della gestione oppure qualora
essi, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli, non avessero fatto quanto potevano
per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
Da tale norma civile la giurisprudenza penale faceva scaturire la sussistenza di un
generale, vastissimo, obbligo giuridico impeditivo, rilevante ex 40 cpv.; esso veniva
fatto gravare, pressoché indistintamente, tanto in capo agli amministratori delegati
quanto in capo a quelli non esecutivi (381); in ciò la giurisprudenza trovava buon gioco
per il fatto che nella legge mancava una disciplina analitica relativa alla ripartizione
delle attribuzioni tra amministratori non esecutivi e amministratori delegati (382).
La riforma ha profondamente inciso sulla situazione sopra descritta. Sono stati definiti i
contenuti ed i limiti del fenomeno della delega di funzioni conferita dal consiglio di
amministrazione ad un comitato esecutivo o ad alcuni amministratori; sono stati
disciplinati i doveri degli amministratori privi di delega (ci si riferisce in particolare alle
disposizioni dei commi 3 e 6 dell‟art. 2381 c.c.) e quelli degli amministratori delegati
(ci si riferisce in particolare al comma 5 dell‟art. 2381 c.c.) (383).
381
Sull‟impiego “indiscriminato” dell‟art. 2392 c.c., nella sua vecchia formulazione, si veda, tra i tanti, I.
MERENDA, Sulla responsabilità penale dell‟amministratore senza delega. Alcune considerazioni dopo la
riforma del diritto societario, in Cassazione penale, 2011, p. 1184.
382
L‟articolo 2381 c.c., nella sua formulazione previgente, prevedeva, sì, la ammissibilità del fenomeno
della delega di attribuzioni, ma la relativa disciplina era minimale: erano indicati i soggetti che potevano
essere destinatari di tale delega ed erano elencate le attribuzioni non delegabili.
383
Le modifiche in tema di delega di attribuzioni – dagli amministratori deleganti a quelli operativi –
sono state apportate per uno scopo preciso: quello di «evitare indebite estensioni che (…) finivano per
138
Per ciò che concerne la responsabilità degli amministratori, la modifica più incisiva è
senz‟altro quella consistita nell‟eliminazione, dal testo dell‟articolo 2392 c.c., del
dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione; si può affermare che tale
dovere sia stato sostituito – in virtù del rinvio compiuto dal comma 2 dell‟art. 2392 c.c.
al comma 3 dell‟art. 2381 – da un dovere di valutazione dell‟assetto organizzativo della
società. Nell‟articolo 2392 è stata invece mantenuta la previsione di una responsabilità
solidale degli amministratori qualora essi, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli,
non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento.
La dottrina ha guardato con generale favore a tali modifiche, in quanto la precedente
formulazione normativa si prestava a strumentalizzazioni non condivisibili (384).
Quelli qui sopra descritti non sono che dei tratti – generali ed approssimativi – sulla
complessa riforma che nel 2003 ha investito la disciplina dei consigli di
amministrazione delle società di capitali. Detti tratti appaiono tuttavia sufficienti a
percepire come nel 2003 sia stata posta in essere una vera e propria regolamentazione –
nonché, in un certa misura, una ridistribuzione – di competenze e funzioni all‟interno
dei consigli di amministrazione.
Questa è la ragione per cui tale ambito rappresenta un terreno fertile ai fini della nostra
indagine: nel mutato quadro normativo e nella mutata ripartizione di compiti e doveri,
occorre stabilire se – ed in che termini - questi ultimi siano idonei a fondare una
posizione di garanzia (385).
trasformarla (n.d.r., la responsabilità degli amministratori) in una responsabilità sostanzialmente
oggettiva, allontanando le persone più consapevoli dall‟accettare o mantenere incarichi in società o in
situazioni in cui il rischio di una procedura concorsuale le esponeva a responsabilità praticamente
inevitabili» (In tali termini la Relazione al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, par. 3, reperita in I. MERENDA, op.
ult. cit., p. 1184.
384
Vedansi, ad esempio, I. MERENDA, op. loc. ult. cit.; F. CENTONZE, La Suprema Corte di Cassazione e
la responsabilità omissiva degli amministratori non esecutivi dopo la riforma del diritto societario, in
Cassazione penale, 2008, p. 110; A. CRESPI, Note minime sulla posizione di garanzia dell‟amministratore
delegante nella riforma introdotta dal d.lgs. n. 6/2003, in Riv. Soc., 2009, p. 1419.
Si veda altresì A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni nel diritto penale dell‟impresa, cit., p. 226, il
quale, dopo aver ricordato come i singoli amministratori on delegati non abbiano, di regola, poteri così
penetranti da assicurare l‟impedimento dei reati che vengono commessi dagli amministratori delegati,
denunciava quanto segue: «In questi casi, sanzionare gli amministratori non delegati potrebbe trovare
una povera giustificazione solo nell‟astratto principio del “noblesse oblige”: si “pagherebbe” per la
posizione occupata».
385
Le modifiche normative intervenute in tale materia pongono un ulteriore, delicatissimo problema:
quello relativo alla applicabilità, o meno, dell‟art. 2 c.p.; ciò, in quanto ci si trova dinnanzi ad un fenomeno di modifica di norme extrapenali in qualche modo richiamate da una norma penale (l‟art. 40, appunto).
139
In termini più concreti, occorrerebbe compiere un‟analisi – caratterizzata da elevato
grado di rigore e tecnicismo - della articolazioni della nuova disciplina di materia
commerciale, al fine di stabilire se gli specifici doveri e le specifiche competenze che la
legge attribuisce ai singoli amministratori (386) – quali ad esempio il dover di agire in
modo informato, ex co. 6 art. 2381 c.c., il potere di impugnazione delle delibere, ex co.
4 art. 2388 c.c., il potere, con riguardo alle sole società con azioni quotate, di attivare il
pubblico ministero, ex art. 2409 c.c. ( 387 ) – integrino o meno quei doveri-poteri
propriamente impeditivi, aventi la consistenza di obblighi di garanzia (388).
È a questo punto interessante andare a verificare come la recente prassi
giurisprudenziale si comporti in materia.
Bene, riteniamo di poter affermare che la giurisprudenza ometta di misurarsi, di
confrontarsi davvero, con il tema della reale efficacia impeditiva dei doveri–poteri dei
singoli amministratori non esecutivi (389).
Intanto va segnalato come continuino a registrarsi pronunce di legittimità che – o in
modo implicito o in maniera decisamente espressa – sostanzialmente disconoscono che
la riforma del 2003 abbia prodotto una qualche efficacia, rispetto al quadro previgente,
Si tratta di un profilo che la giurisprudenza più recente – vedansi ad esempio Cassazione 45513/2008 oppure Cassazione 23838/2007 - non manca, seppur en passant, di segnalare.
Di tale complessa tematica ci si occuperà nel corso del capitolo IV.
386
Sull‟importanza di valutare i poteri conferiti ai singoli soggetti amministratori, vedasi, per tutti, F.
CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 186 ss.
387
Per delle analisi accurate dei singoli doveri e poteri attribuiti agli amministratori deleganti, vedansi, I.
MERENDA, Sulla responsabilità penale dell‟amministratore senza delega. Alcune considerazioni dopo la
riforma del diritto societario, in Cassazione penale, 2011, p. 1184 e ss., P. CHIARAVIGLIO, La
responsabilità dell‟amministratore delegante fra “agire informato” e poteri di impedimento, in Le
Società, 2010, p. 887 ss., in Leggi d‟Italia on line; F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità
penale, cit., p.174 ss., E. GARAVAGLIA, Posizioni di garanzia proprie degli amministratori ed obbligo di
impedire i reati, in Giur. comm., 2009, p. 445 e ss., in Juris data on line, E. BURZI, Amministratore privo
di delega e obbligo di impedire i reati dei quali abbia conoscenza, in Giur. it., 2008, p. 434 e ss., in Leggi
d‟Italia on line.
388
Gli Autori citati nella nota precedente concludono nel senso che il singolo amministratore delegante
non dispone di alcun vero e proprio potere impeditivo, rispetto ai reati posti in essere dagli amministratori
operativi.
389
Tale opinione trova un importante avallo in quella espressa da autorevole dottrina: «la giurisprudenza
penalistica assai di rado si addentra in un esame dei poteri che l‟amministratore delegato avrebbe potuto
esercitare per impedire l‟evento: l‟indagine sui poteri e di doveri dei deleganti è spesso stata surrogata
dalla mera enunciazione (…) delle già citate clausole generali (…) Insomma, in giurisprudenza si
prescinde dall‟applicazione di quella regola aurea che prescrive la corrispondenza tra poteri e doveri e
la necessità di riscontrare il potenziale impeditivo rispetto al processo di produzione dell‟evento» (Così F.
CENTONZE, op. ult. cit., p. 189).
140
in punto di determinazione della posizione di garanzia degli amministratori non
operativi e quindi continuano ad affermare la responsabilità penale di questi per
concorso nei reati non impediti (390). Ma non è su queste pronunce che soffermeremo
l‟attenzione.
Ciò che ci preme davvero rilevare è piuttosto che anche quelle pronunce che, al
contrario, prendono espressamente atto delle modifiche apportate dalla riforma
societaria – nonché dell‟alleggerimento che esse comportano in punto di posizione di
garanzia degli amministratori non esecutivi - anche quelle pronunce omettono di
misurarsi davvero con la tematica dell‟individuazione dei reali doveri-poteri giuridici
impeditivi. Si cercherà di motivare quanto appena asserito citando alcuni esempi.
Nella celeberrima pronuncia di Cassazione, n. 23838 del 2007, si legge che «la riforma
della disciplina delle società, portata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, ha certamente
modificato il quadro normativo dei doveri di chi è preposto alla gestione della società
ed ha compiutamente regolamentato la responsabilità dell‟amministratore destinatario
di delega». Dopo aver descritto le principali novità che hanno riguardato gli articoli
2381 e 2392, la Suprema Corte conclude affermando che «per ciò che interessa il
versante penale, questa premessa riconfigura (…) la “posizione di garanzia” del
consigliere non operativo, posto che l‟obbligo di impedire l‟evento, disciplinato quale
tramite giuridico causale, dall‟art. 40 cp., si parametra su una fonte normativa (..) che
costituisce il dovere di intervento».
In termini simili si esprime la Suprema Corte con la pronuncia 36595/2009, laddove
afferma che «le modifiche sui poteri degli amministratori (…) non possono non incidere
sulla responsabilità penale ex art. 40 cpv. c.p., che trova il suo fondamento in una
disposizione normativa che impone il dovere di intervenire»; e dopo aver dato conto
delle intervenute modifiche, conclude asserendo che esse «hanno certamente ristretto
390
Si segnalano ad esempio Cassazione 9736/2009 – la quale dà per implicita la sicura permanenza, in
capo al consigliere non operativo, di una posizione di garanzia – e Cassazione 45513/2008. Quest‟ultima
espressamente afferma che « anche voler leggere i fatti con i paradigmi normativi attuali (…)la posizione
di garanzia resta comunque scolpita dall‟art. 2392 c.c., comma 2, norma rimasta sostanzialmente
inalterata per la definizione del dovere di tutela del patrimonio societario all‟atto della conoscenza di
fatti per essa pregiudizievoli».
Una volta riconosciuta una posizione di garanzia in capo ai consiglieri non operativi, viene profilata una
responsabilità di quelli per concorso mediante omissione, in qualunque tipologia di reato posto in essere
dagli amministratori esecutivi: gli amministratori non esecutivi vengono chiamati a rispondere per
concorso tanto in reati propri (societari o fallimentari) quanto in reati comuni (ad esempio truffe,
appropriazioni indebite, etc.).
141
l‟ambito della responsabilità penale di tali soggetti» .
Tuttavia – nonostante possa apparire che la Corte sia scesa in campo ed abbia assunto
esplicite prese di posizione in tema di posizioni di garanzia – non si può fare a meno di
rilevare come le suddette prese di posizione rivestano, in realtà, un carattere meramente
enunciativo.
Ciò, nel senso che ad esse non fa mai seguito una reale indagine – effettuata nei termini
che sono stati sopra accennati - sugli specifici doveri-poteri degli amministratori non
esecutivi e sulla capacità di essi di impedire i reati commessi dagli amministratori
operativi.
Bene, si ritiene di poter affermare – per lo meno con riguardo ai casi che sono stati
esaminati – che l‟indagine sui reali doveri-poteri giuridici impeditivi sia stata omessa
perché è un po‟ come se la Cassazione non abbia mai avuto l‟esigenza di compierla.
E non ha avuto l‟esigenza di compierla perché le vicende oggetto di analisi sono state –
per così dire – risolte su un piano diverso da quello della posizione di garanzia: cioè sul
piano dell‟elemento soggettivo.
Si cercherà di essere più chiari.
Cassazione 23838/2007 afferma sì che le riforme del 2003 si ripercuotono sulla
posizione di garanzia ma tale affermazione – si potrebbe dire – lì comincia e lì finisce,
nel senso che non c‟è il bisogno di approfondirla e far discendere da essa conseguenze
utili per la soluzione della vicenda esaminata. Lo stesso dicasi per Cassazione
36595/2009.
Si tratta difatti sempre di casi in cui la vicenda viene risolta, per così dire, a monte: non
c‟è neanche il bisogno di comprendere se gli amministratori non esecutivi avessero o
meno doveri-poteri giuridici realmente impeditivi in quanto si poteva escludere, già a
monte, appunto, che detti soggetti potessero venire chiamati a rispondere. Ciò in quanto
in capo ad essi difettava l‟elemento della conoscenza, che l‟articolo 2392 pone quale
presupposto del dovere di fare il possibile per impedire fatti pregiudizievoli.
In entrambe le sentenze segnalate, difatti, la parte decisiva della pronuncia è proprio
quella in cui la Corte spiega come non fosse stato assolto, dall‟ufficio dell‟accusa,
l‟onere di dimostrare la conoscenza dell‟evento illecito da parte degli amministratori
non esecutivi (391).
391
Si tralascia in questa sede ogni considerazione ed ogni approfondimento relativo al dolo – cioè ai
142
Quelle sopra esposte rappresentano le ragioni per cui, a nostro avviso, l‟ambito della
responsabilità degli amministratori non esecutivi non ha ancora avuto modo di
rappresentare – sebbene avrebbe in potenza l‟idoneità per farlo – un vero banco di
prova circa la tenuta e l‟applicazione dei principi garantisti elaborati in tema di obbligo
di garanzia.
3.5. Responsabili del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e responsabilità
concorsuale nell’evento non impedito: applicazione reale o applicazione apparente
del criterio dei doveri-poteri giuridici impeditivi?
Un‟ulteriore figura che ci offre lo spunto per riflettere in ordine
all‟atteggiamento della giurisprudenza in tema di obblighi giuridici impeditivi, è quella
del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Il settore di riferimento è, dunque, di nuovo quello della sicurezza sui luoghi di
lavoro.
I requisiti ed i compiti del responsabile del servizio di prevenzione e protezione trovano
oggi una loro analitica disciplina negli articoli 31 e seguenti del D.Lgs. 81/2008. A
difettare, invece, è una regolamentazione delle sanzioni irrogabili nei casi in cui tali
soggetti non adempiano agli obblighi su di essi gravanti: le norme che, all‟interno del
decreto, sono espressamente dedicate alla determinazione delle sanzioni penali
applicabili, non contemplano mai il r.s.p.p. quale destinatario di esse; dall‟articolo 299,
letto a contrario, si desume che il legislatore esclude che tale soggetto possa essere
chiamato a rispondere in qualità di garante.
L‟analisi degli orientamenti assunti dalla prassi giurisprudenziale sembrerebbe
molto agile e lineare da compiere: la giurisprudenza si è mostrata sempre pressoché
corale – e ciò, anche prima dell‟entrata in vigore del t.u. del 2008 - nell‟asserire che il
responsabile del servizio di prevenzione e protezione non è titolare di una posizione di
contenuti ed alla “consistenza” di esso – dell‟amministratore non operativo. Su tale tema vedansi, tra gli
altri, F. CENTONZE, La Suprema Corte di Cassazione e la responsabilità omissiva degli amministratori
non esecutivi dopo la riforma del diritto societario, cit., p. 109 e ss.; D. PULITANÒ, Amministratori non
operativi e omesso impedimento di delitti commessi da altri amministratori, in Società, 2008, p. 902 e ss.,
in Leggi d‟Italia on line.
143
garanzia (392).
La sussistenza di una posizione di garanzia viene esclusa in virtù di una serie composita
di ragioni.
Innanzitutto perché - come si è avuto modo di accennare qui sopra – le inadempienze o
inosservanze del responsabile del servizio di prevenzione e protezione risultano essere
non sanzionate – né a livello penale né a livello amministrativo – all‟interno della
normativa di settore.
Viene inoltre espressamente escluso che la designazione, da parte del datore di lavoro,
del responsabile del servizio di prevenzione e protezione equivalga ad una delega di
funzioni. Con ovvia, conseguente esclusione della possibilità che in capo al r.s.p.p.
possa essere trasferita la posizione di garanzia gravante sul datore di lavoro delegante
(393).
Nell‟escludere la sussistenza di una posizione di garanzia, i giudici non mancano,
peraltro, di fare altresì leva altresì sull‟argomento seguente: il responsabile del servizio
di prevenzione e protezione è privo di una capacità immediatamente operativa sulla
struttura aziendale, spettando ad esso soltanto il compito di prestare aiuto al datore di
lavoro nella individuazione e segnalazione dei fattori di rischio dell‟ambiente di lavoro;
il responsabile del servizio di prevenzione e protezione sarebbe cioè privo di qualunque
vero potere decisionale e di spesa (394). Tale argomentare richiama alla nostra mente
proprio quel criterio – di cui si è a lungo discorso nel capitolo precedente – di necessaria
sussistenza di poteri personali effettivamente impeditivi.
Alla luce di quanto sin qui descritto, la applicazione dei principi elaborati dalla più
recente dottrina in tema di obbligo di garanzia appare ineccepibile.
Eppure a nostro avviso ci sono ragioni per le quali – sulle pronunce che riguardano i
392
Vedansi in tal senso, tra le più recenti pronunce, Cass., 2814/2011, Cass., 11582/2010, Cass.,
16134/2010, Cass., 32357/2010, Cass., 23929/2009, Cass., 1834/2009, Cass., 37861/2009, Cass.,
25288/2008 e Cass., 15226/2007.
393
Vedansi in particolare, tra le pronunce sopra citate, Cass., 11582/2010 e Cass., 32357/2010.
394
Vedasi, per tutte, la sopra citata Cass., 25288/2008, in cui si legge che «i componenti del servizio di
prevenzione e protezione, essendo considerati dei semplici “ausiliari” del datore di lavoro, non possono
venire chiamati a rispondere direttamente del loro operato, proprio perché difettano di un effettivo potere
decisionale. Essi sono soltanto dei “consulenti” e i risultati dei loro studi e delle loro elaborazioni, come
in qualsiasi altro settore dell‟amministrazione dell‟azienda (ad esempio, in campo fiscale, tributario,
giuslavoristico), vengono fatti propri dal vertice che li ha scelti sulla base di un rapporto di affidamento
liberamente instaurato e che della loro opera si avvale per meglio ottemperare agli obblighi di cui è
esclusivo destinatario».
144
responsabili del servizio di prevenzione e protezione - vale la pena continuare a
soffermare lo sguardo.
Perché accade che molte pronunce in tema di responsabile del servizio di prevenzione e
protezione, dopo aver escluso la sussistenza di una posizione di garanzia in capo a tale
figura, si concludono con l‟affermazione della penale responsabilità di quello.
Più in particolare, l‟affermazione della penale responsabilità si snoda attraverso i
seguenti passaggi argomentativi:
a) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione non è titolare di una posizione
di garanzia ma ciò non significa che egli non possa essere ritenuto corresponsabile del
verificarsi di un infortunio;
b) ciò avviene ogni qualvolta l‟infortunio sia riconducibile ad una situazione pericolosa
che quegli avrebbe avuto l‟obbligo di riconoscere e segnalare;
c) si deve difatti presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che a quella
segnalazione avrebbe fatto seguito l‟adozione, da parte del datore di lavoro, delle
necessarie iniziative idonee a neutralizzare la situazione pericolosa (395).
La condotta negligente del r.s.p.p. viene insomma individuata quale concausa nella
determinazione dell‟evento, ragion per cui il responsabile del servizio di prevenzione e
protezione viene chiamato a rispondere di tale evento in concorso con il datore di
lavoro.
Bene, si avverte a questo punto l‟esigenza di compiere alcune osservazioni.
Come è ben noto, una delle condiciones sine quibus per poter rispondere a titolo
concorsuale, consiste nel contributo arrecato alla realizzazione del fatto di reato.
Per ciò che concerne il contributo concorsuale, guardato nel suo substrato ontologico, si
può affermare che delle due è l‟una: o si tratta di un contributo di tipo commissivo,
materiale o morale, oppure, nel caso in cui la condotta consista in una mera omissione,
detta condotta potrà rilevare quale contributo solo e soltanto nel caso in cui il soggetto
agente – anzi, omittente – sia titolare di una posizione di garanzia (396).
Ora, applicando le coordinate suesposte al settore di specie, si deve rilevare quanto
segue. Poiché la Cassazione esclude – e a ragione – che in capo al r.s.p.p. sussista una
395
In tali termini vedansi – sempre nell‟ambito delle sentenze precedentemente citate – Cass.,
25288/2008, Cass., 1834/2009, Cass., 16134/2010, Cass., 2814/2011.
396
Vedi retro, Capitolo II, Sezione II.
145
posizione di garanzia, si deve per forza, conseguentemente, escludere che detto soggetto
possa essere chiamato a rispondere per concorso mediante omissione (397). L‟omissione
di cui si rende autore tale soggetto, peraltro, non può neanche rilevare – lo si è già detto
– quale reato omissivo proprio, difettando qualunque previsione normativa in tal senso.
Una responsabilità concorsuale potrebbe dunque legittimamente profilarsi solo laddove
il contributo fornito dal r.s.p.p. sia di tipo commissivo (398).
397
Per delle considerazioni su tale delicata questione vedasi N. PISANI, Posizioni di garanzia e colpa
d‟organizzazione nel diritto penale del lavoro, cit., p. 152 e ss.
398
Non si ignora che quello della distinzione tra l‟agire e l‟omettere, tra la causazione attiva e la causalità
omissiva, rappresenta uno dei più complessi problemi che attraversano il diritto penale.
Non si pretende di comprimere in una nota a pié di pagina un tema che intere monografie faticherebbero a
contenere.
In questa sede ci si limiterà pertanto – anche in considerazione del fatto che il presente capitolo è dedicato
all‟analisi della prassi giurisprudenziale – a descrivere gli approdi cui la giurisprudenza di legittimità pare
essere pervenuta. Numerosi sono, difatti, gli arresti nei quali la Suprema Corte, di recente, si è misurata a
viso aperto con il problema di dover segnare una linea di confine tra l‟agire e l‟omettere,
Possono essere ricordate, ad esempio, le sentenze 10795/2007 e 840/2007- nelle quali i giudici si sono
trovati a dover indagare la natura (commissiva od omissiva) delle condotte poste in essere dall‟imputato
che, in entrambi i casi, era un medico psichiatra; la sentenza 26020/2009, nella quale i giudici hanno
riflettuto su quale potesse dirsi il “tipo di causalità” innescato dalle condotte poste in essere da alcuni
elettricisti dell‟Enel; ancora, Cassazione 16761/2010, in cui i giudici si sono interrogati sulla natura attiva
o commissiva delle condotte poste in essere dal sindaco e da un assessore del Comune di Sarno.
La finalità per la quale le suddette indagini sono state compiute, è spesso esplicitamente dichiarata:
laddove possa dirsi che il fatto è commissivo, è superfluo stare a domandarsi se il soggetto fosse o meno
titolare di una posizione di garanzia (in tali termini, ad esempio, Cassazione 16761/2010); ancora,
laddove la condotta è di tipo commissivo, non ha senso compiere il giudizio controfattuale, e cioè
domandarsi se, qualora la condotta doverosa omessa fosse stata posta in essere, l‟evento si sarebbe o
meno verificato; ciò in quanto, ove la condotta è commissiva, è la condotta stessa a scatenar”, da un punto
di vista eziologico, tutti o alcuni dei fattori che conducono all‟evento verificatosi (in tali termini, ad
esempio, Cassazione 10795/2007 e Cassazione 840/2007).
Bene, al fine di compiere la distinzione su riferita, la Cassazione mostra di aderire ad un criterio –
elaborato in sede dottrinaria – di tipo normativo: al fine di stabilire se il soggetto ha omesso o ha
commesso non bisogna guardare tanto a ciò che, da un punto di vista fenomenico-naturalistico, quegli ha
fatto o non ha fatto (Basti pensare, a tal proposito, che potrebbero essere state compiute numerose azioni,
eppure si potrebbe aver omesso di compiere l‟azione – l‟unica – doverosa). Occorre piuttosto
comprendere se il soggetto ha introdotto un fattore di rischio o di peggioramento nei confronti del bene
protetto, oppure se «le cose» non hanno fatto che «procedere per conto loro» (Si veda M. ROMANO,
Commentario sistematico del codice penale, sub art. pre-39, cit., par. 40).
Si riporta qui di seguito un intero passaggio in cui la Suprema Corte affronta il tema della distinzione tra
l‟agire e l‟omettere, muovendosi secondo le coordinate sopra illustrate: « In astratto la distinzione tra
causalità commissiva e causalità omissiva è del tutto chiara: nella prima viene violato un divieto;nella
seconda è un comando ad essere violato.
Spesso (in particolare nella responsabilità professionale medica ma anche in altri settori della
responsabilità) viene ritenuta omissiva una condotta che non lo è anche se le conseguenze pratiche non
sono di grande rilevanza. Questa confusione è anche ricollegata alla circostanza che coloro che pongono
in essere la condotta sono in genere gravati di una posizione di garanzia; ed inoltre sono ben pochi i casi
nei quali la condotta cui riferire l‟evento dannoso è esclusivamente attiva (il chirurgo ha
inavvertitamente tagliato un vaso durante l‟intervento) o passiva (il medico ha colposamente omesso di
ricoverare il paziente).
Nella stragrande maggioranza dei casi sono presenti condotte attive e passive che interagiscono tra di
loro rendendo ancor più difficile l‟accertamento della natura della causalità. (…)
146
Prima di poter esprimere un giudizio favorevole sulle pronunce che hanno ad oggetto la
responsabilità del r.s.p.p., occorrerebbe dunque a nostro avviso verificare, caso per caso,
se l‟affermazione della responsabilità di tali soggetti “passi attraverso” l‟accertamento
dell‟effettiva dazione di un contributo di tipo commissivo colposo (399).
Ove un tale accertamento possa dirsi compiuto, nulla quaestio.
Ove invece un tale accertamento difetti, a nostro avviso si creerebbe una situazione che
può essere così descritta: la posizione di garanzia viene ritenuta inesistente ma è come
E‟ invece opportuno sottolineare che i criteri indicati per distinguere tra causalità commissiva e omissiva
hanno subito nel tempo un perfezionamento e si è più di recente affermato nell‟ambito della
responsabilità medica - fermo restando che è da ritenere causalità omissiva quella del medico che omette
di curare il paziente o che rifiuta di ricoverarlo e commissiva quella del medico che erra nella terapia
provocando un evento dannoso - che ha natura commissiva la condotta del medico che ha introdotto nel
quadro clinico del paziente un fattore di rischio poi effettivamente concretizzatosi; è invece omissiva la
condotta del sanitario che non abbia contrastato un rischio già presente nel quadro clinico del paziente
(evidente è il riferimento di questa impostazione alla teoria del rischio cui si fa riferimento nella teoria
dell‟imputazione obiettiva dell‟evento).
Non si tratta di un riferimento alla non condivisibile (e ormai ampiamente superata) teoria dell‟aumento
del rischio ma di una ricostruzione che tiene conto della introduzione di un fattore causale che ha
certamente cagionato, o contribuito a cagionare, l‟evento. Questo orientamento è seguito da alcune
decisioni della Corte di cassazione (v. la già citata Cass., sez. IV, 2 aprile 2007, n. 21597, Pecchioli).
Si è ancora condivisibilmente precisato che l‟elemento di rischio commissivo introdotto dall‟agente nella
serie causale deve aver avuto effettiva efficacia causale nel decorso eziologico non essendo sufficiente per trasformare la causalità omissiva in commissiva - l‟introduzione di un fattore eziologicamente
irrilevante (si fa l‟esempio del medico che non ricoveri il paziente, disconoscendo la grave patologia da
cui è affetto, e gli somministri un blando analgesico: ciò non trasforma la causalità omissiva in causalità
commissiva).(…)».
Ora, applicando le coordinate qui sopra illustrate al caso che ci occupa, si tratterebbe di comprendere –
cosa, questa, di certo non facile né immediata – se possa dirsi che la condotta (di certo non “corretta”) del
responsabile del servizio di prevenzione e protezione abbia o meno introdotto un fattore di rischio
all‟interno di quel quadro rappresentato dall‟ambiente e dalle condizioni di lavoro.
399
Inscindibilmente legato al problema della distinzione tra l‟omettere e l‟agire è quello della distinzione
tra il reato omissivo e le componenti omissive della colpa: in ogni condotta colposa vi è una componente
omissiva, che consiste nell‟omettere di porre in essere l‟atteggiamento diligente; eppure «(…) l‟obbligo di
garanzia e l‟obbligo di diligenza sono distinti e autonomi (…) Mentre l‟obbligo di garanzia attiene alla
causalità (omissiva), l‟obbligo di diligenza attiene alla colpa (…)» (Così F. MANTOVANI, Causalità,
obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, cit., p. 1005. Vedasi C. PIERGALLINI, Natura commissiva od
omissiva della responsabilità e relative conseguenze, in Danno e resp., 2009, p. 1111 e ss., in Leggi
d‟Italia on line).
Anche in questo caso, per compiere qualche rapido cenno sulla tematica, ci si affida alle parole della
Suprema Corte: «E‟ peraltro opportuno accogliere l‟invito di quegli autori che invitano a non confondere
tra il reato omissivo e le componenti omissive della colpa: i casi del medico che adotta una terapia errata
(e quindi omette di somministrare quella corretta) o che dimette anticipatamente il paziente (e quindi
omette di continuare a curarlo in ambito ospedaliero) non rientrano nella causalità omissiva ma in quella
attiva. Si è detto, da parte di un Autore, che i medici che hanno sbagliato diagnosi e terapia "non hanno
violato un comando penale, bensì solo un divieto di cagionare (o contribuito a cagionare, si trattasse
anche solo di accelerare) lesioni o morte con negligenza, imperizia o imprudenza". Il medesimo Autore
(criticando l‟orientamento giurisprudenziale che riteneva omissiva la condotta del datore di lavoro che
non aveva impedito che i lavoratori dipendenti fossero sottoposti ad inalazione di fibre di amianto)
precisa infatti efficacemente che "l‟omissione di cui all‟art. 40 cpv. c.p., infatti, non è un‟omissione di
cautele, ma - più radicalmente e specificamente - un omesso impedimento......"».
147
se, di essa, venisse fatto rivivere lo spettro, e questo venisse utilizzato al fine – magari
implicito ed inconfessato – di legittimare una responsabilità che, in ultima istanza, viene
fondata su di un contegno omissivo.
In questo senso, dunque, potrebbe a nostro avviso trattarsi – così come recita il titolo del
presente paragrafo - di una applicazione soltanto apparente dei criteri garantisti elaborati
in tema di obbligo di garanzia e di responsabilità omissiva impropria.
Calando le considerazioni che precedono nel concreto dei casi analizzati, ci pare di
poter riscontrare quanto segue: tutte le pronunce – eccezion fatta per la sentenza
2814/2011, in cui la Corte sembra tenere in espressa considerazione l‟evenienza di un
apporto di tipo commissivo (400) – affermano la penale responsabilità del r.s.p.p. facendo
leva su condotte che appaiono configurate in termini puramente omissivi: Cassazione
25288/2008 addebita al r.s.p.p. la omessa segnalazione di una scorretta modalità con la
quale nel cantiere di lavoro avveniva il taglio delle passerelle di legno; Cassazione
1834/2009 addebita al r.s.p.p. di aver ignorato una situazione pericolosa consistente in
determinate operazioni di posizionamento di ganci di carrelli elevatori; Cassazione
16134/2010 addebita al r.s.p.p. la condotta di omessa individuazione e segnalazione del
rischio di prevedibile contatto con schizzi di metallo fuso incandescente durante un
determinato processo di lavorazione.
Ora, a giustificare la penale rilevanza delle suddette omissioni viene invocato una sorta
di «spirito del sistema antinfortunistico», che dalle omissioni stesse verrebbe violato
( 401 ); oppure esse vengono etichettate come (non meglio precisate) «omissioni
sensibili»(402).
400
Nella sentenza 2814/2011, difatti, vengono compiuti degli espressi riferimenti – tanto nella parte
dell‟enunciazione dei principi di diritto, quanto in quella della applicazione di essi alla vicenda concreta –
al fatto che fossero stati dati, dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione, dei “suggerimenti
sbagliati”; suggerimenti i quali avrebbero avuto l‟effettiva capacità di indurre il datore di lavoro ad
omettere l‟adozione delle necessarie misure.
401
Cass., 16134/2010: «(…) Se dunque risulta stabile nelle diverse stagioni legislative, la configurazione
della mappazione dei rischi come strumento essenziale dell‟intero sistema antinfortunistico, l‟omissione
di condotte doverose in relazione alla funzione di responsabile o di addetto al servizio di prevenzione e
protezione (Cass. Pen., IV, 15/2/2007, n. 15226) realizza la violazione dell‟intero sistema
antinfortunistico, senza che abbia alcuna rilevanza il mancato apprestamento di una specifica sanzione
penale per la violazione di sistema.».
402
Cass., 1834/2009: «l‟assenza di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale non
esclude che l‟inottemperanza alle stesse - e segnatamente la mancata individuazione e segnalazione dei
fattori di rischio delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza, nonché di
informazione e formazione dei lavoratori - possa integrare un‟omissione "sensibile" tutte le volte in cui
148
L‟interrogativo che sorge è il seguente: in forza di che cosa le omissioni degli r.s.p.p.,
nominate “sensibili”, potrebbero mai essere considerate tipiche – e dunque penalmente
rilevanti –, posto che non è contemplato alcun reato omissivo proprio e posto che difetta
una posizione di garanzia?
3.6. Una applicazione controversa del criterio dei poteri giuridici impeditivi: la
posizione di garanzia dei membri del collegio sindacale e la responsabilità per
concorso nei reati non impediti.
Nel presente paragrafo ci si immergerà di nuovo nel contesto delle società di
capitali, al fine di trattare di una figura rispetto alla quale l‟individuazione dell‟obbligo
di garanzia è assai controversa e fa registrare a tutt‟oggi un poderoso contrasto tra la
consolidata prassi giurisprudenziale e parte della dottrina: si tratta della figura dei
membri del collegio sindacale.
Si accenna sin da subito che la difficoltà di stabilire la sussistenza di vere e proprie
posizioni di garanzia si inserisce in una questione problematica di più vaste dimensioni,
che investe non soltanto i sindaci, bensì i membri di qualsiasi organismo – interno o
esterno - di controllo societario.
L‟orientamento del tutto dominante in giurisprudenza è quello che ritiene che in
capo ai membri del collegio sindacale gravi una posizione di garanzia ( 403), ragion per
cui essi possono essere chiamati a rispondere per omesso impedimento – o meglio,
un sinistro sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal responsabile del
servizio».
403
Rispetto a tale consolidato orientamento si fatto altresì registrare delle eccezioni. Tra queste, si
segnala Cass., 45237/2001, dove si legge che « (…) non è in alcun modo previsto dalla legge che il
sindaco possa, sia pure ai limitati fini di cui si discute, sostituire l‟amministratore inadempiente.
La legge, invero, riconosce ai sindaci poteri di controllo e verifica, che non sono meramente contabili e
formali, ma si estendono anche al contenuto della gestione (…) Tuttavia la legge non conferisce al
collegio sindacale poteri di amministrazione attiva, nemmeno in via di sostituzione.
Si vuol dire, cioè, che ai sindaci non sono riconosciuti poteri per imporre agli amministratori di società
determinati comportamenti; (…).
La mancanza di un preciso obbligo di legge che consenta ai sindaci di sostituirsi agli amministratori
nell‟assolvimento dei loro compiti e le circostanze di fatto che hanno reso impossibile la convocazione di
una assemblea sociale sulle inadempienze degli amministratori, rendono impossibile il ricorso al
capoverso dell‟art. 40 c.p. per individuare la responsabilità (..) in relazione agli artt. 224 e 217 L.F..».
149
come si vedrà più avanti, per concorso mediante omissione - dei reati posti in essere
dagli amministratori (404).
Nel ricostruire la posizione di garanzia del sindaco, la giurisprudenza procede nei
seguenti termini. Dapprima effettua una ricognizione degli articolati doveri, compiti e
poteri che le nuove norme attribuiscono ai membri del collegio sindacale; dopo di che,
facendo leva in special modo sull‟art. 2403 c.c. (il quale prescrive un impegnativo e
generale dovere di vigilanza) e sull‟art. 2403 bis c.c. (il quale assegna ai sindaci il
potere di compiere atti di ispezione e controllo), conclude asserendo che sul sindaco
grava un vero e proprio potere di intervento: «l‟obbligo di vigilanza, tanto più alla luce
della (…) riforma del diritto societario, che ne ha meglio definito l‟ambito di
esplicazione – non è limitato al mero controllo contabile, ma deve estendersi anche al
contenuto della gestione(…), cosicché il controllo sindacale, se non investe in forma
diretta le scelte imprenditoriali, non si risolve neppure in una verifica contabile limitata
alla documentazione messa a disposizione dagli amministratori (…)»; «quindi in capo
ai sindaci gravano obblighi di impedire che gli amministratori compiano atti contrari
alla legge e dannosi per la società (…)»(405).
Una volta affermata la sussistenza di una posizione di garanzia in capo ai sindaci – ed
una volta ricondotta (più o meno consciamente) tale posizione di garanzia al genus di
quelle di impedimento di reati altrui – la giurisprudenza di legittimità si dedica
all‟analisi dei vari aspetti che contraddistinguono la figura della responsabilità per
concorso mediante omissione.
In questa sede la nostra attenzione verrà indirizzata sui seguenti profili: a) le tipologie di
reati per il cui mancato impedimento i sindaci vengono chiamati a rispondere; b) le
modalità di accertamento del nesso causale tra l‟omissione non impeditiva ed il reato
verificatosi (406).
404
Si deve osservare che la responsabilità omissiva impropria – ed il conseguente concorso nel reato non
impedito – rappresenta una estensione rispetto alle ipotesi – “già” gravanti sui sindaci – di responsabilità
omissiva propria. Si veda in tal senso F. GIUNTA, Controllo e controllori nello specchio del diritto penale,
cit., 2006, p. 607.
405
Nei termini suddetti, rispettivamente Cass., 15360/2010 e Cass., 20515/2009. Similmente anche Cass.,
17690 del 2010 e Cass.,19 gennaio 2006.
406
Si tralascerà del tutto, invece, di trattare il profilo relativo all‟elemento soggettivo, nei termini in cui
esso viene richiesto e ricostruito in capo al concorrente omittente: ciò, conformemente al fatto che gli
approfondimenti sull‟aspetto dell‟elemento soggettivo del reato non hanno mai costituito oggetto del
presente lavoro.
150
Per ciò che concerne il primo profilo, deve osservarsi che la responsabilità concorsuale
viene dalla giurisprudenza tratteggiata in termini assai ampi, nel senso che,
sostanzialmente, il concorso viene ritenuto configurabile con riguardo a qualunque tipo
di reato ( 407 ): e così, non rileva se il reato del cui mancato impedimento si viene
chiamati a rispondere sia una fattispecie di condotta o di evento (408); ancora, non rileva
se si tratti di un reato proprio degli amministratori (e dunque se si tratti di una
fattispecie ricompresa nell‟ambito del diritto penale societario o fallimentare) o se si
tratti di un reato comune (409).
Con riguardo al nesso causale – sempre concentrando l‟attenzione sulle recentissime
pronunce citate nel presente paragrafo – ci sembra di poter affermare che la
giurisprudenza mostri un atteggiamento oscillante.
Talora si fa registrare un‟impostazione per così dire scrupolosa e virtuosa: è il caso ad
esempio di Cassazione 15360/2010, la quale annulla l‟ordinanza di applicazione degli
arresti domiciliari nei confronti di tre membri di un collegio sindacale, proprio in forza
dell‟asserito difetto, nel caso di specie, di una idonea base indiziaria circa la sussistenza
di un effettivo contributo causale tra le condotte omissive contestate ai sindaci ed i reati
commessi dagli amministratori (410).
407
Tale affermazione trova l‟autorevole avallo di F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità
penale, cit., p. 260.
408
Sulla necessità – sostenuta da una parte, seppur minoritaria, della dottrina – che il reato di cui si viene
chiamati a rispondere per concorso omissivo contempli un evento naturalistico, si veda retro, Capitolo II
Sezione II.
409
In giurisprudenza, tra le pronunce precedentemente citate, si veda Cassazione 20515/2009, nella quale
l‟imputazione per concorso mediante omissione era relativa ad un delitto di peculato.
In dottrina si vedano – sempre con riguardo all‟ambito applicativo all‟interno del quale la giurisprudenza
traccia la responsabilità concorsuale omissiva dei sindaci – le osservazioni svolte da F. CENTONZE,
Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 293 ss.; G. GIORDANENGO-F. RESTANO, Riflessioni in
materia di responsabilità civile e penale dei sindaci di società per azioni, in Giurisprudenza
commerciale, in Giur. comm., 2010, p. 1095 ss., reperibile su www.dejure.giuffre.it. Vedasi anche A.
ROSSI, La responsabilità penale dei componenti degli organi di controllo societario: riflessioni e
digressioni su struttura, accertamento, limiti, cit., p. 2135, la quale sofferma l‟attenzione su un profilo
particolare: l‟Autrice ricorda come debba escludersi, a monte, la configurabilità di un concorso mediante
omissione in un reato il quale risulti totalmente perfetto e realizzato, al momento della presa di cognizione
di esso da parte degli organi di controllo.
410
«Sennonché l‟ipotesi del coinvolgimento dei sindaci non può poggiare, acriticamente, solo sulla loro
posizione di garanzia e discendere, tout court, dal mancato esercizio dei doveri di controllo, ma postula
l‟esistenza di elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, della partecipazione, in
qualsiasi modo, dei sindaci all‟attività degli amministratori ovvero di valide ragioni che inducano a
ritenere che l‟omesso controllo abbia avuto effettiva incidenza di contributo causale nella commissione
del reato da parte degli amministratori. La motivazione resa dal Tribunale del riesame non consente di
151
Altre volte, invece, le modalità di accertamento del nesso causale risultano davvero
censurabili, in quanto si assiste ad un vero e proprio “schiacciamento” della causalità
sulla posizione di garanzia, nel senso che la prima (la causalità) viene ritenuta
sussistente in re ipsa, cioè in virtù del solo fatto che si ritiene sussistente la seconda (la
posizione di garanzia) ( 411). Ciò è quanto ad esempio accade, a nostro avviso, nella
pronuncia 17690/2010, in cui la spiegazione circa la sussistenza del nesso causale si
esaurisce, sostanzialmente, in un acritico «la condotta inerte (..) giustamente si apprezza
di rilevante apporto criminoso» ( 412 ). Ciò è quanto accade, altresì, nella pronuncia
20515/2009, laddove, in punto di motivazione sul nesso causale, non si fa molto di
diverso dal limitarsi ad asserire che l‟omissione di controlli, nel caso di specie, non
poteva se non essersi tradotta in un contributo partecipativo (413).
Sin qui è stato descritto l‟atteggiamento assunto dalla più recente prassi
giurisprudenziale con riguardo alla responsabilità omissiva impropria dei sindaci di
società di capitali.
Come si è avuto modo di anticipare in apertura del presente paragrafo, si tratta di un
settore molto discusso e controverso, in cui profonde divergenze di opinioni si fanno
registrare non soltanto tra giurisprudenza e dottrina ma altresì all‟interno della dottrina
stessa.
Gli autori che si sono occupati del tema non hanno mancato di compiere approfondite
analisi di tutte le disposizioni normative che disciplinano funzioni ed attribuzioni dei
singoli sindaci ( 414 ) ( 415 ). E al termine di tali analisi sono pervenuti a conclusioni
cogliere l‟esistenza di idonea base indiziaria nel senso sopra indicato » (Cass., 15360/2010).
411
Per delle considerazioni relative al generale rischio di “schiacciamento” dell‟accertamento del nesso
sulla posizione di garanzia, vedasi retro, capitolo I Sezione II.
Per delle considerazioni sempre su tale tema - ma calate nello specifico contesto della responsabilità dei
sindaci - vedasi F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 264, 299 ss.
412
Più in particolare, la citata sentenza – se esprime, in punto di causalità, principi condivisibili – non ci
pare poi compiere una altrettanto condivisibile applicazione di essi, laddove, per giustificare la
sussistenza del nesso argomenta così: « Un qualsiasi (doveroso) cenno al riguardo avrebbe goduto di
un‟efficacia decisiva per interrompere la dissennata emorragia di ricchezza dalle casse di AMBRA
ASSICURAZIONI (…) (…)L‟efficacia della condotta inerte e incondizionatamente silente davanti
all‟azione predatoria degli amministratori, giustamente si apprezza di rilevante apporto criminoso,
perché si risolse in un indispensabile viatico per la riuscita del disegno di bancarotta fraudolenta ».
413
Cass., 20515/2009: «(…) il fatto che abbia omesso qualsiasi attività volta ad ostacolare il grossolano
depauperamento della SIMEC non consente di qualificare la sua condotta diversamente dalla
consapevole partecipazione».
414
Anche in questo ambito difatti – così come si visto, sopra, con riguardo agli amministratori – è
152
diametralmente opposte: da un lato vi è chi ritiene che taluni doveri-poteri attribuiti ai
sindaci abbiano effettive potenzialità impeditivo-inibitorie ( 416 ); dall‟altro vi è chi
esclude categoricamente che sui sindaci possa gravare un vero obbligo di garanzia,
posto che nessuno dei poteri riconosciuti ai sindaci può dirsi realmente impeditivo, in
quanto mai i sindaci dispongono della reale possibilità di imporre le proprie
determinazioni o sostituire la propria attività a quella degli amministratori (417).
L‟imbarazzo in ordine alla sussistenza di una posizione di garanzia non è, peraltro,
limitato alla figura dei sindaci; al contrario, esso è destinato a ripresentarsi con riguardo
ai soggetti membri di qualunque organismo di controllo societario: con riguardo ai
controlli di tipo interno, si pensi agli organismi di controllo previsti dai cosiddetti
modelli societari alternativi (il “comitato”, nelle società che adottano il sistema
monistico e il “consiglio di sorveglianza”, nelle società che adottano i sistema
dualistico) o anche all‟organismo di vigilanza contemplato dal d.lgs. 231/2001; con
riguardo ai controlli esterni, si pensi alla posizione dei revisori contabili, o a quella dei
membri delle cosiddette autorità indipendenti.
Con riferimento agli organismi di controllo qui sopra citati, non ci risulta che, allo stato,
la magistratura giudicante abbia assunto esplicite prese di posizioni, in ordine alla
configurabilità di obblighi di garanzia.
Posizioni sul tema sono state invece assunte dalla dottrina, la quale si presenta, ancora
una volta, gravemente frazionata, al suo interno, tra chi esclude con fermezza che degli
obblighi di garanzia siano mai ravvisabili e chi, al contrario, si mostra più che
fondamentale focalizzare l‟attenzione non tanto sui poteri attribuiti al collegio, quanto piuttosto sui poteri
individuali – e cioè quelli attribuiti ai sindaci come singoli: solo questi ultimi, infatti, sono poteri idonei –
ove ne abbiano la relativa consistenza - fondare una posizione di garanzia. In tal senso vedasi, per tutti,
vedasi F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 269 e ss.
415
L‟analisi ha avuto ad oggetto sia le disposizioni codicistiche (in particolar modo, oltre ai già segnalati
articoli 2403 e 2403 bis, gli articoli 2405, 2406 co. 2, 2407, 2409, 2409 septies), sia – con riferimento alle
società quotate - quelle contenute nel t.u.f. (in particolar modo, articoli 149 e 151 d.lgs. 58/1998).
416
Vedansi F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 280 ss.; A. ROSSI, La
responsabilità penale dei componenti degli organi di controllo societario: riflessioni e digressioni su
struttura, accertamento, limiti, cit., p. 2133.
417
Vedansi, tra i lavori più recenti, quelli di F. GIUNTA, Controllo e controllori nello specchio del diritto
penale, cit., pp. 609-610, L. MANDELLI, I sindaci di s.p.a. tra doveri di sorveglianza e posizioni di garanzia, in Banca borsa tit. cred., 2009, p. 444 e ss., reperito su www.studiolegaleriva.it, R. ZANNOTTI, Il
nuovo diritto penale dell‟economia: reati societari e reati in materia di mercato finanziario, cit., p. 38 ss.
Nella manualistica recente, vedasi ad esempio F. PALAZZO, Corso di diritto penale, Parte generale, cit.,
p. 286.
153
possibilista (418).
Ora, ciò che ci preme davvero osservare è il dato seguente. A nostro avviso
l‟imbarazzo circa la determinazione di una posizione di garanzia in capo al singolo
soggetto membro di un organismo di controllo funge da specchio, il quale riflette con
chiarezza uno dei problemi che affliggono la figura dell‟obbligo giuridico ex 40 cpv.: e
cioè il fatto che l‟interprete penale è chiamato - al fine di desumere la sussistenza di una
posizione di garanzia - a compiere delle complesse opere di ricostruzione normativa,
opere le quali afferiscono ad ambiti che sono completamente estranei a quello penale e
che raramente possono, esse stesse, approdare a risultati univoci (419).
418
Con riguardo agli organi di controllo dei sistemi societari cosiddetti alternativi, vedasi - per una
accuratissima indagine sui doveri-poteri impeditivi riconosciuti dalla legge in capo ai membri di tali
organi - F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., p. 288 e poi p. 345 e ss. Secondo
l‟Autore una posizione di garanzia sarebbe configurabile in capo ai membri del consiglio di sorveglianza
(Concorde anche R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell‟economia: reati societari e reati in materia di
mercato finanziario, cit., p. 40); l‟Autore si mostra invece perplesso – riproponendo le medesime
perplessità espresse in ordine alla sussistenza di una posizione di garanzia in capo agli amministratori nel
sistema tradizionale – con riguardo all‟esistenza di una posizione di garanzia dei membri per il comitato
per il controllo sulla gestione. In senso difforme invece, ad esempio, A. ROSSI, La responsabilità penale
degli organi di controllo societario, cit., p. 2137, la quale sembra propendere per la configurabilità di una
posizione di garanzia in capo ai membri di entrambi i nuovi organi di controllo societari.
Con riguardo all‟Organismo di Vigilanza di cui al d.lgs. 231/2001, la dottrina maggioritaria esclude la
sussistenza di una posizione di garanzia in capo ai membri di quello (e dunque esclude la possibilità che
essi vengano chiamati a rispondere per concorso mediante omissione nei reati realizzati da un esponente
aziendale). Per la spiegazione delle ragioni di una tale impostazione negativa, vedansi ad esempio F.
CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, Milano, 2009, p. 411 e ss. e F. GIUNTA, Controllo
e controllori nello specchio del diritto penale, cit., pp. 610,611; A. INGRASSIA-L. TROYER, Vi è una
posizione di garanzia in capo ai membri dell‟organismo di vigilanza? Spunti di riflessione, in Riv. dott.
Comm., 2008, p. 1266 ss., in Juris data on line. Possibilisti, in ordine alla configurabilità di una posizione
di garanzia, si mostrano invece, ad esempio, A. NISCO, Compliance e posizioni di garanzia: prime
indicazioni dalla giurisprudenza tedesca, cit., p. 2449 e F. VIGNOLI, Profili critici della responsabilità
penale dell‟organismo di vigilanza, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2010,
p. 97 ss.
Anche per ciò che concerne la configurabilità di una posizione di garanzia in capo ai revisori contabili, la
giurisprudenza appare divisa: per la posizione affermativa vedasi F. CENTONZE, Controlli societari e
responsabilità penale, cit., p. 322 ss.. Per la posizione negativa vedasi ad esempio A. CRESPI, La pretesa
“posizione di garanzia” del revisore contabile, in Riv. Soc., 2006, p. 273 e ss..
419
Tale difficoltà è denunciata da F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, cit., pp. 288,
341 ss.. L‟Autore lascia intendere che se desumere la sussistenza di una posizione di garanzia può
costituire, con riguardo ai sindaci, una operazione complicata, la medesima operazione diventa un vero
rompicapo con riguardo, ad esempio, ai componenti degli organi sociali nel sistema dualistico e nel
sistema monistico; ciò, non foss‟altro per il fatto che la disciplina civilistica di riferimento risulta
confezionata con la (censurabile) tecnica del rinvio.
154
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RELAZIONE Relazione al «Progetto preliminare di riforma del codice penale» - Parte
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159
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