Questo corso, prendendo le mosse dalle basi fisiopatologiche del dolore, arriverà
ad analizzare nei dettagli l’armamentario terapeutico disponibile contro i comuni
stati dolorosi di natura infiammatoria.
Le molecole principalmente usate in questi casi sono costituite dai farmaci
antinfiammatori non steroidei (FANS).
Il corso si compone di quattro moduli; in questo primo modulo si esaminano i
principi di fisiopatologia del dolore.
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Nel modulo 1 si intendono illustrare alcuni concetti di neurofisiopatologia,
fondamentali per capire meglio il funzionamento dei FANS e quindi poter
impiegare al meglio tali farmaci. In particolare gli obiettivi di questo modulo sono
tre:
1) offrire la definizione “ufficiale” di dolore e specificare la classificazione
utilizzata per distinguerne i vari tipi;
2) descrivere le caratteristiche del dolore cronico e il fenomeno della
“sensitizzazione”;
3) analizzare il ruolo centrale svolto dai mediatori dell’infiammazione nella
nascita e nel mantenimento del dolore cronico.
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La IASP (International Association for the Study of Pain) definisce il dolore come
“un’esperienza spiacevole sensoriale o emozionale associata a un effettivo o
potenziale danno tissutale, ovvero descritta nei termini di danno tissutale”.
Solamente in seguito è stato introdotto l’aspetto di esperienza soggettiva: in
questo modo sono state pienamente riconosciute l’individualità del dolore e la
centralità del paziente.
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Il dolore presenta due componenti:
1) una di carattere percettivo (la cosiddetta nocicezione), che riguarda la
ricezione e il trasporto al sistema nervoso centrale di stimoli potenzialmente lesivi
per l’organismo;
2) una seconda componente di natura affettiva (ossia l'effettiva esperienza del
dolore), responsabile della percezione di una sensazione spiacevole.
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Il dolore rappresenta un meccanismo essenziale per la difesa dell’organismo in
quanto, segnalando una lesione, permette di mettere in atto le adeguate
contromisure ed evitare ulteriori danni.
A sua volta, però, diventa una malattia se persiste dopo che la lesione supposta
essere alla sua origine è stata risolta, rendendosi pertanto autonomo dalla
lesione.
Si intuisce dunque la doppia natura del dolore: fenomeno spiacevole ma
fisiologicamente utile, in quanto rivolto alla difesa dell’organismo, che però può
cronicizzarsi dopo la risoluzione della lesione e dar luogo al cosiddetto “dolore
inutile”.
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Il dolore può essere definito in base alle sensazioni che provoca nel paziente.
Infatti è descrivibile come “pungente”, “tirante”, “bruciante”, “pruriginoso”, “a
sbarra”, “compressivo” – e in molti altri modi – a seconda della distribuzione
anatomica e dell’intensità.
Comunque, rappresentando un'esperienza personale, la definizione del “tipo” di
dolore ha un valore soggettivo difficilmente quantificabile, anche dal punto di
vista linguistico.
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Rispetto alla classificazione del dolore in base al tipo, quella effettuata in base
alla durata è più agevole. In tal senso si distinguono 5 forme principali di dolore:
1) transitorio: si ha l’attivazione dei nocicettori che causano la trasmissione degli
stimoli dolorosi, senza che vi sia danno tissutale. Scompare insieme al termine
dello stimolo;
2) acuto: è di breve durata, e il rapporto di causa/effetto di solito è evidente:
rappresenta il segnale di una ferita, una lesione o una degenerazione organica;
3) ricorrente: è il dolore che si ripresenta con caratteristiche simili, come spesso
accade nelle cefalee o nella lombosciatalgia;
4) persistente: permane lo stimolo che causa il dolore, stimolo detto anche
nocicettivo;
5) cronico: è associato a profonde modificazioni biochimiche e di personalità che
mantengono il dolore in modo indipendente dalla permanenza dello stimolo.
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Alla base dello stimolo dolorifico vi sono i nocicettori, neuroni con terminali liberi
che si riscontrano ovunque nel tessuto connettivo. Le fibre nocicettive sono
distinte in due classi: le fibre C e le fibre A-delta, le prime (non mielinizzate) a
conduzione lenta, le seconde a conduzione veloce.
E può distinguere il tipo di fibra coinvolta da come il dolore viene percepito: le
fibre A-delta dopo uno stimolo algico determinano una sensazione pungente,
acuta (limitata nel tempo) e superficiale, mentre la percezione trasmessa dalle
fibre C è ottusa, duratura e profonda.
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Gli stimoli dolorifici sono percepiti come tali solo a livello della corteccia
cerebrale, dopo essere stati sottoposti a elaborazione a livello dei nuclei
sottocorticali.
Lo stimolo doloroso segue una sua via specifica che dalla periferia raggiunge il
midollo spinale e sale, attuando lungo il percorso anche contatti sinaptici con
componenti del sistema limbico, che ne condizionano la coloritura affettiva, fino
alla corteccia, passando per l’insula.
La percezione cosciente della sensazione dolorosa si ha dunque a livello della
corteccia cerebrale, ma ha il suo punto fondamentale di percezione a livello
insulare, dove viene percepita come alterazione dell’omeostasi corporea.
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Il dolore cronico è definito come un dolore che persiste per mesi dopo una
lesione e oltre il naturale decorso di una patologia acuta, oppure che è associato
a processi patologici cronici che causano dolore continuo e/o intermittente per la
durata di mesi o anni, o che ancora può continuare in assenza del permanere di
una patologia.
Si può dire allora che esistono forme di dolore utili e altre non utili o inutili.
Il dolore è utile se agisce come campanello d’allarme, segnalando la presenza di
una potenziale causa di danno all’organismo. Il dolore cronico, invece, non
ricopre il ruolo di sistema d’allarme, e pertanto è da ritenersi inutile e bisogna
tentarne la cura.
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La sensitizzazione delle vie del dolore, che porta a ipersensibilità al dolore, può
manifestarsi in due modi:
1) la soglia dolorifica si abbassa fino al punto che stimoli normalmente non in
grado di dare origine al dolore lo inducono: questa forma di ipersensibilità al
dolore è chiamata allodinia;
2) aumenta la risposta agli stimoli dolorosi, in modo che questi inducono un
dolore superiore a quello evocato dallo stesso stimolo in precedenza: in tal caso
si usa il termine di iperalgesia.
In altri termini, il soggetto viene “sensitizzato” a stimoli che di solito non causano
dolore o lo suscitano in modo più intenso dell’atteso.
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La sensitizzazione periferica consiste in un abbassamento della soglia al dolore e
in un aumento della risposta dei nocicettori; contribuisce all’ipersensibilità
dolorifica che si determina in corrispondenza di un danno tissutale o di un
processo flogistico, ed è strettamente legata all’azione delle molecole
infiammatorie che vengono rilasciate localmente.
In caso di sensitizzazione periferica la soglia di attivazione dei nocicettori si
abbassa considerevolmente, in modo tale che questi diventano più sensibili agli
stimoli algici.
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Nel momento in cui si viene a creare una lesione tissutale, si verifica la
liberazione di vari mediatori (tra cui l’istamina dai mastociti e la serotonina dalle
piastrine) che, interagendo con le terminazioni periferiche delle fibre dolorifiche,
determinano la genesi del dolore acuto e, in seguito, la possibilità che si instauri
un meccanismo di sensitizzazione periferica.
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La sensitizzazione centrale è causata da un aumento dell’eccitabilità dei neuroni
del sistema nervoso centrale (midollo spinale), cosicché stimoli che di per se
avrebbero breve durata vengono trasformati in stimoli continui.
La sensitizzazione centrale è responsabile dell’allodinia meccanica, ossia del
dolore per esempio evocato in risposta allo sfregamento della cute, fino ad
arrivare al caso di alcuni pazienti con danno neuronale per i quali il solo soffiare
sulla cute può causare dolori lancinanti.
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Alla base della sensitizzazione centrale si può evidenziare un meccanismo per cui
i terminali centrali della fibra che conduce il dolore rilasciano una serie di
molecole di segnalazione, tra cui il glutammato (aminoacido eccitatore),
neuropeptidi e modulatori sinaptici.
Questi trasmettitori/modulatori si legano a recettori specifici in corrispondenza
dei neuroni midollari, attivando vie di segnalazione intracellulari che causano
l’attivazione di recettori NMDA per il glutammato, che porta a un aumento della
sintesi di nitrossido (NO).
Quest’ultimo viene liberato, diffonde in modo retrogrado verso la presinapsi e
potenzia la liberazione di glutammato, instaurando un circolo vizioso che si
automantiene: glutammato-NO-glutammato.
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È qui riprodotta una rappresentazione della concezione classica del dolore
cronico. In evidenza il ruolo svolto dai recettori NMDA post-sinaptici, con
attivazione della cNOS e trasformazione della L-arginina in nitrossido (NO).
Quindi, si ha l’automantenimento del processo attraverso diffusione retrograda
dell’NO e potenziamento del rilascio pre-sinaptico degli aminoacidi eccitatori
(EAA).
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Le molecole pro-infiammatorie rilasciate in sede di danno tissutale o di
infiammazione promuovono la sensitizzazione periferica e centrale.
Tra questi mediatori dell’infiammazione sono compresi gli eicosanoidi
(prostaglandine e leucotrieni), la bradichinina, la serotonina, l’ATP/ADP, varie
citochine e chemochine e le specie reattive dell’ossigeno.
Alcuni di tali mediatori attivano direttamente i terminali dei nocicettori periferici,
segnalando la presenza di tessuto infiammato e causando l'insorgenza di dolore.
La PGE2, liberata da cellule attivate, modifica la sensibilità al dolore potenziando
la risposta dei nocicettori periferici alle altre sostanze e, in ultima analisi,
abbassando le soglie di nocicezione.
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Alla luce di quanto detto finora, i mediatori dell’infiammazione possono essere
definiti a pieno titolo “facilitatori della risposta dolorifica”.
Tutto ciò spiega il motivo per il quale la terapia del dolore spesso si interseca con
il trattamento dell’infiammazione. In queste situazioni cliniche, che costituiscono
la forma più frequente di dolore nella pratica medica, l’approccio terapeutico più
utilizzato si basa sull’impiego di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS).
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Il dolore fisiologico rappresenta un meccanismo essenziale per la difesa
dell'organismo in quanto, segnalando una lesione tissutale, permette di prendere
i provvedimenti del caso e di evitare ulteriori danni.
Si tramuta però in malattia, o dolore patologico, se diviene autonomo dalla
lesione e si automantiene. Spesso il dolore cronico ha queste ultime
caratteristiche, protraendosi oltre la durata dell’evento da cui è originato.
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Tale sindrome dolorosa è dovuta a processi di sensitizzazione periferica e
centrale che permettono a stimoli non dolorosi di divenire tali o di rafforzare la
risposta a stimoli algici.
I mediatori dell’infiammazione, quali le prostaglandine, giocano un ruolo
importante nella sindrome dolorosa e vanno considerati a tutti gli effetti
facilitatori della risposta a stimoli dolorosi, agendo sia perifericamente sia
centralmente.
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