28 CULTURA Casorati, ovvero il disagio dell’artista La Galleria d’arte moderna delle Ciminiere ha ospitato un altro evento espositivo che chiude il ciclo dei grandi del Novecento avanti ad un quadro come “ritratto di Maria Anna De Lisi” (1918), esposto nella mostra alle Ciminiere di Catania, di Felice Casorati (1883-1963) si resta spiazzati, per la malinconia che è nella figura ma soprattutto nello sguardo, in quegli occhi che non guardano, uno è in penombra, l’altro allucinato e cerchiato di scuro. All’inizio ci prende un disagio, forse lo stesso dei contemporanei dell’artista che non ritrovavano traccia né di impressionisti, né di futuristi, né dei macchiaioti. La pittura di Casorati aveva tempi ben più lunghi, e i suoi riferimenti erano ben più lontani, da Piero della Francesca a Mantegna. Se ci proiettiamo nel tempo il disagio a poco a poco comincia a definirsi, per gli spazi vuoti, per la profondità delle architetture, per quella scultura che su un piedistallo imita la figura e ne ripete i motivi. Per tutto ciò che invece di essere dominato da Maria Anna De Lisi finisce per dominarla. E’ la scoperta che il mondo e le cose vivono una vita indipendente da noi, ci sopravvivono e si usurano per leggi proprie. Il nostro non è che un passaggio, e neanche da dominatori. Tutto ciò che il quadro trasmette e che noi percepiamo si può definire malinconia. Uno stato d’animo in cui si condensano il senso della perdita, magari della cacciata da un immaginario paradiso terrestre, e dell’attesa, un’attesa reale e metafisica. Come in un altro quadro che s’intitola “La donna o l’attesa” dello stesso periodo. Anche qui gli oggetti scandiscono lo spazio e il tempo, la prospettiva architettonica finisce nel buio. Basterebbero questi due quadri per farci amare Casorati e per capire che, più che nella pittura contemporanea, l’artista aveva dei riferimenti nella letteratura dei suoi anni torinesi, nell’anima crepuscolare di un Corazzini, o di un Gozzano, senza averne l’amara ironia. E si comprende così perché nel soggior- D In alto, Taormina (1931); in basso, Autoritratto (1904/1905) no napoletano Casorati non si ritrovasse: “ Mi sono chiesto perché mai un paesaggio così ricco di tutte le gioie come quello di Napoli aggrava ed intristisce la mia malinconia”. L’artista non poteva amare una natura dirompente, che ti costringe a vivere, lui aveva bisogno della istanza, del controllo intellettuale delle pulsioni vitali. Torino perciò e la città in cui l’artista finalmente trova la sua vocazione, in cui i suoi dubbi, la sua malinconia trovano finalmente lo strumento espressivo più appropriato. Non più il realismo impressionistico delle vecchie, né i riferimenti klimtiani o kandiskiani che si vuole vedere nel “Tiro a bersaglio” in “Marionette” e in “Giocattoli”. Una poetica finalmente matura che ha la fortuna di trovare in un intellettuale come Piero Godetti l’interprete più fine ed originale, 29 l’unico capace di comprendere la poetica dell’amico e di interpretarne l’angoscia esistenziale. “Incompreso ha saputo creare la pittura dell’incomprensione e dell’isolamento”. Era la Torino ricca di fermenti culturali e sociali dell’ ”Ordine nuovo” di Gramsci e della “Rivoluzione liberale” di Godetti. Con quest’ultimo Casorati avrà un intenso rapporto di amicizia e collaborazione. Tanto che disegnò il marchio editoriale dei libri pubblicati dall’intellettuale antifascista con la scritta in greco “ Che ho a che fare io con gli schiavi” suggerita da Augusto Monti. E sarà sempre Casorati a illustrare i frontespizi dei volumi pubblicati da Godetti. Un Casorati antifascista dunque che sarebbe piaciuto anche al padre di Natalia Ginzburg, il quale non ne approvava l’arte (“sgarabazzi, sbrodeghezzi”) ma ne apprezzava l’antifascismo. Nel “ Lessico familiare” (1963) la scrittrice, con lieve ironia, lascia un ritratto intenso dell’artista, facendone emergere la grandezza per contrasto, ovvero cominciando con il disprezzo paterno e finendo con l’ammirazione sconfinata delle donne della sua famiglia, di alcune amiche e soprattutto del professore Luni. Nella Torino degli anni del fascismo, lo studio dove Casorati impartiva lezioni ad una schiera di allievi, era un sicuro rifugio, un porto franco della retorica imperante. Lalla Romano in “Una giovinezza inventata” ne ha lasciato un affettuoso ricordo. Anche la malinconia nel Ventennio fasci- In alto, ritratto di Maria Anna De Lisi (1918); in basso, studio per ritratto di Renato Gualino (1922/23) sta poteva avere un effetto dirompente. Eppure dovrebbe esserne una chiave interpretativa, se, oltre a Casorati, pensiamo alle periferie desolate di un artista fascista come Sironi. Nella mostra delle Ciminiere, tra molti capolavori, mancano purtroppo la “Silvana Cenni” (1922) e “Conversazione platonica” (1925). Quest’ultimo indirettamente legato a Catania per l’indignazione che suscitò nel poeta Giacomo Etna. L’uomo in nero che osserva una modella sdraiata sul lettino è inquietante, il rapporto tra l’abbandono, la carnalità della Venere, la rotondità delle forme, e l’aspetto rigoroso dell’osservatore richiama mille repressioni e inibizioni, mille congetture che frappongono barriere tra l’istintualità del sesso e le architetture dell’intelletto. Per gli intellettuali fascisti, tutti vitalismo e procreazione, fu una provocazione. E soprattutto i catanesi erano i più virulenti. Già abbiamo visto come, parlando di Roberto Rimini, M.M. Lazzaro nel 1928 aveva invocato il confino, assieme a usurai e agli sparuti antifascisti ,per gli artisti passatisti. Invece Giacomo Etna si preoccupa per il buon nome dell’epoca mirabile in cui ha la fortuna di vivere. Questi erano gli intellettuali fascisti e futuristi di quella Catania brancatiana che si continua scioccamente a mitizzare. Salvatore Scalia 30 CULTURA La storia in punta di penna E’ approdata a Palazzo Minoriti la Mostra internazionale della stilografica. Il successo di pubblico, tra appassionati e curiosi, sancisce il successo della originale collezione di Salvo Panebianco on c’è cosa che pesi meno della penna, non c’è cosa più lieta; gli altri piaceri sono fuggevoli e dilettando fan male; la penna reca gioia quando la si prende in mano e soddisfazione quando la si depone”. Di certo quando il Petrarca, nel XIV secolo, scrisse questi versi neanche lontanamente immaginava che centinaia di anni dopo moderni sistemi di scrittura elettronica potessero in qualche modo proporre soluzioni alternative ad uno strumento che – dalle forme più rudimentali e semplici a quelle più ricercate e complesse – ha da sempre accompagnato l’espressione e la creatività umana. Eppure, proprio oggi, che la penna non è più quell’oggetto indispensabile per tradurre e conservare il pensiero, questi versi appaiono incredibilmente attuali, paradossalmente più di allora. Le moderne tecnologie dell’epoca multimediale hanno infatti accresciuto il valore ed il piacere di riscoprire uno strumento semplice, immediato, che, durante tutta la sua storia ed i suoi stadi evolutivi, ha sempre mantenuto una costante: liberare ciò che ogni uomo ha dentro di se. E la penna, che – è proprio il caso di dirlo – ha scritto pagine importanti della storia dell’umanità, è stata “raccontata” a Palazzo Minoriti nella 9^ edizione della “Mostra internazionale”, organizzata dalla Provincia regionale di Catania, in collaborazione con il Club della Penna stilografica “Salvo Panebianco”. Una rassegna che per quindici giorni ha richiamato nella Galleria dell’Etna del settecentesco convento catanese oltre cinquemila visitatori. “Non c’è tecnica di scrittura – ha affermato il presidente della Provincia, Nello Musumeci - più affascinante e romantica di quella della penna: dai tempi del calamaio, al pennino più sofisticato. Uno strumento che rievoca in ognuno di noi sensazioni e ricordi particolari. La sua storia, letta attraverso l’allestimento della 9^ Mostra internazionale, quest’anno si è intrecciata con la straordinaria testimonianza storico-architettonica costituita dall’edificio che ospita il nostro Ente. Ciò ha contribuito ad arricchire un evento che di per sé era già degno di grande considerazione. Abbiamo realizzato un eccezionale connubio tra storia e cultura che, stando ai dati registrati, è stato particolarmente apprezzato. Questa manifestazione va ad aggiungersi al nutrito carnet di eventi e spazi culturali che da anni l’Amministrazione provinciale propone per la “N Michele Cucuzza con le figlie Carlotta e Matilde, il presidente Musumeci e l’organizzatore Salvo Panebianco crescita sociale e la promozione del territorio.” A Palazzo Minoriti gli organizzatori hanno esposto un migliaio di esemplari, alcuni dei quali veramente unici e pregiati, noti tra l’altro per avere tenuto a battesimo e sancito momenti significativi della storia passata e recente. La rassegna comincia con la Parker modello “Lucky Curve”, in ebanite nera e pennino in oro, usata nel 1899 per firmare il trattato alla conferenza di Parigi che poneva fine alla guerra ispano-americana e continua con altri pezzi pregiati, provenienti da collezioni private, difficilmente rintracciabili in Italia. Tra le “introvabili” di fabbricazione italiana si Annovera la “Apollo 11” che custodisce al proprio interno una minuscola parte del rivestimento della navicella spaziale Columbia, che come si ricorderà andò in parte bruciata durante l’impatto con l’atmosfera terrestre. Tra le più recenti, anche la penna del “Summit”, realizzata appositamente per ricordare la firma dei 20 Capi di Stato nel summit di Pratica di Mare (Roma) che ha sancito l’entrata della Russia nella Nato. E non è mancato un ospite d’eccezione: il giornalista Michele Cucuzza, catanese doc, premiato con il Pennino d’oro. Un altro nome prestigioso si è aggiunto all’albo d’oro del premio che è stato assegnato in passato a grandi firme come Enzo Biagi, Vitorio Sgarbi, Pasquale Scimeca. Massimo Casertano 31 De Felice, il sindaco più amato Inquieto, ribelle, passionale: la grafia ci svela il carattere di un politico di rango che fu presidente dell’Amministrazione provinciale dal 1916 al 1920 e seppe conquistare i catanesi ell’affrontare l’esame della grafia di un personaggio celebre, lo studioso deve estraniarsi per evitare di esprimere giudizi che sono il frutto di valutazioni storiche, per puntare all’esame dei segni grafici che riconducono alla vera natura dello scrivente. Lo sforzo è maggiore quando si tratta di uomini come Giuseppe De Felice Giuffrida, di cui sono noti la vita e l’operato. Lo slancio folgorante della passione, i sentimenti intensi e tumultuosi, l’ardore, l’inquietudine, i contrasti interiori e la ribellione, sono il tratto caratterizzante della sua grafia. Nato a Catania nel 1859, fu intensamente impegnato nell’attività politica ed è noto per la sua opera di “agitatore delle folle” oltre che per aver fondato in Sicilia i “Fasci dei Lavoratori”. Lo studio del suo grafismo è affascinante. Il movimento febbrile e slanciato verso la destra è indice di ammassamento di idee e azioni, conseguenza della voglia di sbrigarsi per passare ad altro, e denota anche ostinazione, caparbietà, volontà ferrea di affermazione di se, sia nell’essere che nell’avere; tuttavia i continui ritorni verso sinistra associati ad una certa mollezza del filo grafico, sottolineano che la personalità vive in una dimensione di aspro tormento. La conflittualità è estrema e il dubbio di sé acutissimo. I gesti lanciati insieme al tratto netto, sono espressione di aggressività verbale e si traducono praticamente in eccellente capacità oratoria. La forma delle lettere disuguale, parla della coesistenza di bisogni affettivi urgenti ed esigenti, ma la necessità di salvaguardare intatta l’attività e la forza delle idee è imperativa, ragion per cui ne poteva derivare spesso un comportamento assurdo, incomprensibile talvolta drastico. Moltissimi i ricci della spavalderia che N esprimono la forzatura sull’io per ostentare forza e sicurezza. L’inflazione dell’io va di pari passo con una conclamata indipendenza, sempre agognata ma in realtà illusoria e mai raggiunta. In definitiva un uomo eccezionale che fa leva sulle debolezze per trarre la forza. Nunzia Scalzo Gravina, oltre sessanta artisti alla collettiva di pittura “Festa dell’Arte” Organizzata dall’Accademia artistica Apollodoro con il patrocinio dell’assessorato alle Attività culturali della Provincia regionale di Catania e del Comune di Gravina di Catania si è svolta la seconda collettiva di pittura “Festa dell’arte”. Presente all’inaugurazione il presidente della Provincia Nello Musumeci, la rassegna d’arte rimasta aperta al pubblico per un’intera settimana ha visto quest’anno l’adesione dei seguenti pittori: Alfio Abate, Maria Grazia Barbagallo, Alessandra Barcellona, Gaetano Barcellona, Francesco Basile, Salvatore Brischetto, Valentino Buttafuoco, Nelluccia Calcagna, Cinzia Canino, Carmela Caponnetto, Nicolò Cionino, Calogero Coniglio, Maria Luisa Consoli, Silvana Conti, Francesco Coppolino, Lino D’Andrea, Cesare D’Angelo, Irene Di Mauro, Valentina Di Salvo, Walter Di Salvo, Guglielmo Donzella, Chiara Emmanuele, Mariella Fedi Miraponte, Fulvia Fichera, Clorinda Fisichella, Piera Fichera, Milena Fisichella, Salvo Foti, Rita Grasso, Angela Guardo, Corrado Gozia, Agata La Ferlita, Rosetta Leonardi, Pina Malerba, Achille Mazzeppi, Carmelo Messina, Maria Messina, Rosa Milazzo, Antonella Nicolosi, Franco Orioles, Vito Papa, Angela Patanè, Michelangelo Pedone, Luisella Prinzi, Lucia Privitera, Maria Giovanna Rapisarda, Elisa Rizzotti, Pippo Romeo, Alfio Russo, Giovanna Salemi, Sara Salemi, Elisabetta Sanfilippo, Giuseppe Santonocito, Tania Scalisi, Agata Scandurra, Carmela Scavo, Pippo Sortino, Francesco Sozzi, Cettina Squillaci, Benedetto Strano, Antonino Valenti, Maria Valenti, Grazia Vinciguerra. Un numero considerevole di artisti che hanno ben ripagato dalle fatiche organizzative sia la responsabile artistica Silvana Conti che il presidente dell’Accademia Angelo Liotta. Quest’anno, a margine della Collettiva d’arte, è stata organizzata un’estemporanea di pittura da studio a premi dal tema: “Sicilia – usi, costumi e tradizioni?”. Dopo un attento esame delle opere che hanno partecipato al concorso, la giuria - formata da Maria Antonietta Zeno, moglie dell’onorevole Enzo Bianco presente alla cerimonia conclusiva della manifestazione, dal preside del Liceo artistico di Catania Giovanni Previtera, da Patrizia Maugeri, organizzatrice del premio “Amenano d’argento” e dal maestro d’arte Raffaele Russo - ha assegnato il primo posto a Alessandra Barcellona, seguita da Agata La Ferlita e da Walter Di Salvo. Antonio Nicolosi