n° 330 - maggio 2007 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Mario Sironi e Felice Casorati Importanti mostre antologiche a Parma e Ravenna ripercorrono la parabola artistica ed esistenziale di due maestri che improntarono la loro epoca Mario Sironi: Paesaggio urbano con camion - Milano, Pinacoteca di Brera rizzarono mezzo secolo di arte italiana del Novecento. Mario Sironi: Venere dei porti - Milano, Collezione privata La monografica che la Fondazione Magnani Rocca di Mamiano (nei pressi di Parma) dedica a Mario Sironi dal 1 aprile al 15 luglio e la mostra delle opere di Felice Casorati negli spazi del MAR, Museo d’Arte della Città di Ravenna, anche questa aperta dal 1 aprile al 15 luglio, non sono accomunate semplicemente dalla concomitanza di date degli eventi espositivi o dalla contemporaneità nella parabola artistica ed esistenziale dei due maestri, che pure è molto stretta - Sironi, nato a Sassari nel 1885 concluse la sua esistenza nel 1961 a Milano, città dove si era stabilito nel 1919 e dove avea svolto la maggior parte della sua attività; il novarese Casorati, di appena due anni più anziano, visse e operò a Torino fino al 1963, anno della sua morte - ma anche dall’essere stati entrambi punti di riferimento e massimi interpreti dei movimenti più significativi che caratte- Il mio maggior piacere è sempre stato quello di trattare cose d’arte […] e tanto l’arte mi sembrava cosa grande, sublime e inarrivabile che l’avevo sempre considerata una deità immensa a cui a me, povero mortale, non era purtroppo dato che aspirare il soave profumo (M. Sironi, Lettera al cugino Torquato, 1903) Focalizzata specificatamente su Sironi metafisico, la rassegna alla Fondazione Magnani Rocca ha scelto il sottotitolo L’atelier della meraviglia, come esplicito richiamo a un dipinto del 1919 nel quale una congerie di elementi meccanici si affolla senza pag. 2 ordine apparente, coniugando il tema della macchina, prediletto dal futurismo, con una sorta di straniante immobilità accentuata dalla collocazione degli elementi meccanici nel chiuso di una stanza, anziché nel dinamismo del paesaggio urbano. Dello stesso anno, la Venere dei porti unisce la tecnica del collage, cara alle avanguardie, con una impostazione architettonica basata su pochi elementi compositivi essenziali e statici, compiendo un importante passo verso le atmosfere rarefatte ed immote che caratterizzano il periodo metafisico, mentre la semplificazione della figura femminile allude già ai manichini che popoleranno disegni e dipinti negli anni Venti. Il manichino, così frequente nella metafisica di Sironi e de Chirico, è una sorta di “idea platonica” della figura umana, rappresentandone la sintesi ontologica: proprio il dialogo - a due o tre voci, a seconda dei casi - tra manichino, statuaria classica e figura umana costituisce uno degli assi portanti del processo di straniamento che sta alla base della pittura metafisica di Sironi, Carrà e, soprattutto, de Chirico. Originale in Sironi è l’introduzione dei manichini equestri, per i quali il modello appare essere il monumento equestre piuttosto che il cavallo in quanto animale. La mostra presenta una ricca scelta di disegni nei quali appare evidente il lungo e intenso lavoro dell’artista intorno al tema del manichino e del cavallo - frequente negli anni fra il 1919 e il 1924 - sotto- posti entrambi a una serie di rielaborazioni che vanno verso una sempre maggiore semplificazione delle forme - fino alla sintesi in solidi elementari - semplificazione che si accompagna all’astrazione da qualsiasi contesto ambientale, per cui spesso cavallo e cavaliere appaiono sospesi nel vuoto; allo stesso tempo, alcuni disegni costituiscono una sorta di “omaggio a Leonardo”, che ne rappresenta dichiaratamente il modello ispiratore. Nel corso degli anni Venti Sironi si dedica ai temi destinati a rappresentare una presenza costante nel suo mondo poetico, i paesaggi urbani e le figure “classiche”. Le periferie milanesi, dove gli edifici di fabbriche e caseggiati popolari erano intervallati da spazi ancora vuoti, offrirono all’artista uno scenario dal quale la presenza umana appare quasi sempre esclusa, popolato da oscure sagome di solitari tram e camion che sembrano muoversi in silenzio come ombre. Carrà fu colpito dai dipinti sironiani, tanto che nella primavera del 1920 scriveva: «Sono casamenti allineati alla guisa di giganti cupi e sinistri. Sono fantasmi architetturali d’un mondo nuovo e industrioso, di uno strano potere suggestivo». Il mito boccioniano della Città che sale, il dinamismo che ispirava le composizioni futuriste, si è raggelato in una immobilità che sembra riecheggiare le parole di de Chirico sulla rivista “Valori plastici” dell’anno precedente: «Nella costruzione delle città, nella forma architetturale delle case, delle piazze, dei giardini e dei passeggi pubblici, dei porti, delle stazioni ferroviarie ecc., stanno le prime fondamenta d’una grande estetica metafisica». Nel Paesaggio urbano con camion in alto Mario Sironi: Cavallo bianco e molo Collezione privata in basso Mario Sironi: L’Allieva Collezione privata Gentile concessione Galleria dello Scudo, Verona pag. 3 Sironi rappresenta la periferia estrema, con i radi fabbricati di case ancora in costruzione, isolati parallelepipedi che si alzano sullo sfondo di un cielo cupo, dai quali il camion in primo piano si allontana nella desolazione di una strada deserta, con l’unica presenza di un solitario lampione. Nel percorso della mostra, l’accurata scelta dei disegni che corredano i dipinti ad olio dedicati al tema delle periferie permette di seguire il processo di rielaborazione e di decantazione dal quale scaturisce l’opera compiuta; nel Cavallo bianco e molo, del 1921-22, l’inserimento dell’enigmatico cavaliere che percorre una via deserta fiancheggiata da una muraglia dalla quale spuntano alcuni elementi indicativi della presenza di un porto - magazzini, una gru, alberi di velieri - appare successivo agli studi preparatori e introduce un elemento atemporale nella scena fortemente collegata con la realtà urbana del tempo; l’incongruità di tale presenza nei confronti del contesto che la circonda viene accentuata dalla postura del cavallo, propria dei monumenti equestri, tanto che le figure animate (cavallo e cavaliere) accentuano l’impressione di immobilità della scena anziché inserirvi un elemento dinamico. L’adesione al gruppo di “Novecento”, che si era formato a Milano nel 1922 - accomunato nella ricerca di «limpidità nella forma e compostezza nella concezione» come scriveva Margherita Sarfatti che ne fu l’animatrice - spingeva Sironi verso una riflessione sulla grande tradizione dell’arte italiana del Rinascimento: L’allieva, del 1924, presenta un’analogia compositiva con la ritrattistica cinquecentesca, sia nel taglio, con il soggetto rappresentato a mezzo busto, le mani incrociate in primo piano, sia nell’ambientazione in un interno nel quale la luce che proviene da sinistra e dall’alto crea intensi effetti chiaroscurali sul volto e sul collo della protagonista. Annotava de Chirico nel 1921 «Negli antichi italiani la costruzione architettonica si unisce sempre alla figura [...] e vediamo in molti ritratti una finestra o una porta, la prospettiva d’una cornice, d’un portico o d’un colonnato, solidificare le figure che stanno sul primo piano», anticipando i principi ispiratori che stanno alla base di questo ritratto. Il clima fuori del tempo in cui Sironi immerge il soggetto ritratto lo colloca in un’aura di derivazione metafisica; scrive Elisabetta Longari nel saggio di apertura del catalogo della mostra: «Le figure, come distanti idoli di carne, assorti in sospese attese o in azioni misteriose, circondate da ambientazioni architettoniche scarne nelle quali sono presenti elementi sia moderni sia antichi, e che spesso hanno come attributi nature morte, statuette o solidi geometrici appoggiati ai tavoli, si pongono come una chiara rivisitazione del ritratto rinascimentale». Esposto alla Biennale di Venezia del 1924, L’Allieva concentra in sé i principi fon- Felice Casorati: Meriggio Trieste, Civico Museo Revoltella danti di quel “Ritorno all’ordine” che si poneva come obiettivo un nuovo umanesimo fatto di tradizione e di modernità, e che aveva trovato l’anno precedente piena espressione nel Ritratto di Cesarina Gurgo Salice, presentato da Felice Casorati alla Quadriennale torinese. Vorrei dipingere persone e cose semplicemente come le vedo e le amo; i miei sforzi d’oggi sono quindi intesi a liberarmi da tutte le teoriche, le ipotesi, gli schemi, i gusti, le rivelazioni e le restaurazioni delle quali con generosa avidità si è avvelenata la mia giovinezza. (F. Casorati) L’antologica dedicata a Felice Casorati in corso presso il Museo d’Arte della città di Ravenna ha come sottotitolo Dipingere il silenzio, intendendo riassumere in questa formula il carattere distintivo che accompagnò l’arte Felice Casorati: Ritratto di Silvana Cenni Torino, Archivio Casorati pag. 4 di Casorati durante tutta la sua lunga vita creativa, quell’assorta vena meditativa che impronta tante sue opere. La rassegna percorre attraverso una selezione di circa 100 opere tutta la carriera dell’artista piemontese, dagli esordi secessionisti di inizio Novecento alle composizioni neoquattrocentiste degli anni Venti, dal ‘realismo magico’ alle enigmatiche nature morte degli anni Cinquanta. Il percorso della mostra si apre con il Ritratto di Signora (Ritratto della sorella Elvira), esposto alla Biennale di Venezia del 1907 e considerato il primo quadro di Casorati, nel quale sono evidenti i riferimenti al movimento simbolista, mentre qualche anno più tardi La preghiera (1914) mostra evidente l’ispirazione alla raffinata arte di Gustav Klimt - che aveva vinto con Le tre età della donna la medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale d’Arte di Roma nel 1911. Secessione, divisionismo e simbolismo costituiscono le fonti alle quali fa riferimento negli anni Dieci la pittura di Casorati, che alla fine della prima guerra mondiale, nel corso della quale sospende ogni attività creativa per tutti i quattro anni trascorsi al fronte, si trasferisce a Torino dalla natia Novara, diventando un figura chiave nel panorama culturale del capoluogo piemontese. Nelle opere della maturità, come il Ritratto di Silvana Cenni (1922) e Meriggio (1923), il dettaglio decorativo lascia il posto ad un rigore for- male e a una purezza di segno ispirati alla pittura quattrocentesca, in particolare a Piero della Francesca: nel Ritratto risplende una luce di limpidezza cristallina che individua nettamente tutti gli elementi della scena, dalla ieratica figura femminile rappresentata in posizione frontale, al rigore geometrico dell’ambiente e dello sfondo, dominato da un’architettura quattrocentesca. Casorati dipinge in modo semplice e severo, in un nitido spazio prospettico sottolineato da un assoluto equilibro cromatico: in Meriggio, il rosso delle pantofole e il nero del cappello in primo piano fanno da contrappunto ai passaggi tonali quasi monocromi che vanno dal bianco della brocca e dei teli sul fondo al colore dorato delle carni, al bruno del panno su cui sono distese le due modelle in primo piano. Oltre ai ritratti femminili dai lineamenti affilati ed eleganti, colti in interni misteriosi in cui domina una dimensione di eternità, come in Concerto (1924) e in Conversazione Platonica (1925), il genere più frequentato da Casorati negli anni Venti è quello della natura morta; scodelle, frutta, uova, semplici cose quotidiane diventano oggettivazione dei sentimenti umani: esemplare, in tal senso, Le uova sul cassettone, del 1920, che nell’assoluta essenzialità del soggetto richiama la metafisica dechirichiana ma anche la presenza misteriosa ed evocatrice dell’uovo nella Pala di Brera di Piero della Francesca. A partire dal 1928, il disegno più libero e fluido e il cromatismo più ricco che già caratterizzavano i paesaggi dipinti negli anni precedenti, iniziano ad animare anche le scene d’interni, introducendo implicazioni emozionali del tutto nuove ed evidenti in opere quali Lo straniero (1929-30) e Vocazione, del 1933. Dal 1941 Casorati insegna pittura all’Accademia di Torino, diventandone il direttore nel 1952 - anno in cui la Biennale di Venezia gli dedica una importante retrospettiva - e nel 1954 presidente. In una intervista del 1949 prende una netta posizione nel dibattito fra realismo e astrattismo: «Sono convinto che l’arte sia sempre stata astratta; l’episodio nella pittura del passato serviva come mezzo di comprensione e […] bisogna ricercarne i valori autentici di linguaggio figurativo. Ma questi valori è un errore volerli isolare (come fanno oggi gli astrattisti): è un renderli concreti […] Sono nemico acerrimo di ogni forma di realismo. Realismo vuol dire descrittivismo». Tutta la produzione artistica di Casorati mostra un’assoluta coerenza con il principio che lo aveva ispirato fino dagli inizi della sua attività, quello di una rigorosa attenzione alla struttura compositiva, alla misura e all’armonia dei valori plastici e cromatici, sintetizzato dal motto latino che campeggiava nel suo studio “Numerus, mensura, pondus”. donata brugioni Felice Casorati: Lo straniero - Firenze, Galleria d’Arte Moderna