. Etiology of Insulin Resistance
Kitt Falk Petersen, MD, and Gerald I. Shulman, MD, PhD
Il diabete di tipo 2 è la principale causa di morbilità e di mortalità in tutto il mondo e la sua
prevalenza è destinata a salire drammaticamente nelle prossime decadi. Capire i pathway metabolici
che portano allo sviluppo del diabete di tipo 2 è quindi un obiettivo sanitario importante. Nuove
tecniche di studio basate sulla spettroscopia di risonanza magnetica (MRS) hanno permesso di
comprendere i difetti molecolari nei pazienti con diabete di tipo 2 e hanno rivelato che l’insulino
resistenza deriva da una riduzione nella sintesi, stimolata dall’insulina, di glicogeno muscolare,
attribuibile alla riduzione del trasporto, stimolato dall’insulina, del glucosio mediante il
trasportatore Glut4. Questo difetto sembra essere il risultato di una inibizione intracellulare, indotta
dai lipidi, della fosforilazione su residui di tirosina del substrato del recettore dell’insulina (IRS-1),
che ha come conseguenza la riduzione dell’attività dell’enzima fosfatidil-inositolo 3 chinasi.
L’ipotesi che l’insulino resistenza sia il risultato dell’accumulo intracellulare di metaboliti dei lipidi
nel muscolo scheletrico e negli epatociti è supportata dagli studi sia su pazienti sia su modelli
animali di lipodistrofia. Inoltre, l’aumento della sensibilità all’insulina osservata in pazienti con
diabete di tipo 2 in seguito alla perdita di peso acoompagnata da una significativa riduzione del
grasso intraepatico, senza alcun cambiamento nelle adipochine circolanti (IL-6, resistina, leptina).
Infine, recenti studi utilizzando la MRS in soggetti giovani, sani, magri ma insulino-resistenti figli
di genitori con diabete di tipo 2, hanno dimostrato che anche una ridotta attività mitocondriale può
portare ad un incremento del contenuto lipidico intramiocellulare e all’insulino-resistenza nel
muscolo di questi individui. In sintesi, l’approccio in vivo con la MRS si è rivelato uno strumento
importante per fare chiarezza sulla catena di eventi che causa l’insulino-resistenza. Comprendere i
meccanismi cellulari dell’insulino-resistenza offre la possibilità di strategie terapeutiche più mirate
ed efficaci.
Qual’è il difetto iniziale nel diabete di tipo 2?
La presenza di iperglicemia implica difetti in vari organi. Nelle isole pancreatiche, l’alterata
secrezione di inulina è determinata da un difetto nelle cellule beta, nel fegato la produzione di
glucosio aumenta come conseguenza dell’aumentata gluconeogenesi epatica. Comunque, prima di
questi eventi, e spesso anticipandoli di decadi, si osservano le alterazioni patologiche nella risposta
del muscolo all’insulina. E’ quindi sul muscolo che si sono focalizzati gli studi del gruppo di
Shulman per comprendere gli stadi iniziali della malattia. Nel loro laboratorio hanno usato la
spettroscopia di risonanza magnetica (MRS) per studiare i meccanismi cellulari dell’insulino
resistenza nell’uomo. Questa tecnica è unica in quanto permette, in maniera non invasiva, di
misurare in vivo la concentrazione di metaboliti contenenti isotopi naturali di 1H, 13C e 31P nel
corpo umano, offrendo un grande vantaggio rispetto alla classica biopsia, che può produrre artefatti
sperimentali dovuti all’ischemia e al perdurare di attività biochimiche nell’intervallo di tempo che
va dal prelievo al congelamento. Inoltre, la MRS non essendo invasiva e non prevedendo l’uso di
radiazioni ionizzanti, si rivela uno strumento potente e al tempo stesso sicuro per studi sull’uomo.
E’ stata usata la MRS per misurare l’entità della sintesi del glicogeno stimolata dall’insulina in
individui sani e in pazienti con il diabete di tipo 2. E’ stata simulata una condizione post-prandiale
mediante un clamp iperglicemico-iperinsulinemico in modo da portare i livelli di insulina
plasmatica a 400 pmoli e la concentrazione di glucosio a 10 mmol|L. L’entità della sintesi del
glicogeno stimolata dall’insulina, determinata valutando l’incorporazione del 13C nel glicogeno di
gastrocnemio e soleo, era ridotta del 50% nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 rispetto ai soggetti
sani. L’estapolazione di questi dati all’intero organismo indica che l’insulino-resistenza osservata
nei pazienti con diabete di tipo 2 può essere attribuita a difetti nella sintesi di glicogeno muscolare
in risposta all’insulina. La sintesi del glicogeno comprende diversi step e alterazioni in uno qualsiasi
di questi potrebbe spiegare i difetti osservati nel diabete di tipo 2. In sintesi, l’uptake del glucosio
all’interno della cellula avviene grazie al trasportatore Glut4, lo zucchero viene poi fosforilato
dall’esochinasi e diventa glucosio-6 –fosfato (G6P). Dopo l’isomerizzazione a G1P e l’attivazione a
UDP-glucosio avviene la sintesi di glicogeno mediante l’enzima glicogeno sintasi.
Misurando l’accumulo di precursori ad ogni step in risposta alla stimolazione dell’insulina, è
possibile determinare lo step che controlla l’intero pathway. Per esempio, la 31PMRS può, in
maniera non invasiva, determinare la concentrazione di composti contenenti gruppi fosforici quali il
G6P. Nei volontari sani, durante il clamp iperglicemico-iperinsulinemico è stata vista una riduzione
nella fosfocreatina, un aumento del fosfato inorganico e, più importante, un aumento di G6P.
Tuttavia, tale incremento di G6P non è stato osservato nei pazienti con diabete di tipo 2, ciò ha fatto
pensare che in questi soggetti ci fosse un difetto nel trasporto di glucosio e/o nella sua fosforilazione
alla base della ridotta sintesi di glicogeno muscolare in risposta all’insulina.
Per stabilire se il difetto fosse imputabile al trasportatore del glucosio o all’attività dell’esochinasi,
è stato sviluppato un nuovo metodo 13C MRS per determinare la concentrazione intracellulare di
glucosio. In condizioni analoghe a quelle dei precedenti studi, Shulman e coll. hanno trovato che la
concentrazione intracellulare di glucosio era approssimativamente 50 volte più bassa rispetto alla
concentrazione extra-cellulare, senza differenze tra soggetti sani e affetti da diabete di tipo 2. E’
importante notare però, che la concentrazione intracellulare di glucosio nei pazienti con diabete di
tipo 2 era approssimativamente 25 volte più bassa rispetto a quella attesa se fosse l’enzima
esochinasi il principale regolatore della sintesi di glicogeno in risposta all’insulina. Presi insieme,
questi studi MRS hanno portato a concludere che la ridotta sintesi di glicogeno in risposta
all’insulina, che sottolinea l’insulino-resistenza nei diabetici di tipo 2, è attribuibile principalmente
al trasporto di glucosio all’interno della cellula muscolare. L’identificazione del principale difetto
metabolico che avviene precocemente nella malattia è importante per due ragioni. Primo, ciò
fornisce un chiaro target per interventi farmacologici; secondariamente fornisce un’indicazione per
indirizzare meglio gli studi volti a comprendere il processo che porta all’insulino-resistenza.
Perché è difettoso il trasportatore del glucosio nei pazienti con il diabete di tipo 2?
Per studiare gli stadi precoci del processo che porta al diabete di tipo 2, è necessario studiare una
popolazione di individui che sono ad alto rischio di sviluppare la malattia nell’arco della vita. Tale
popolazione comprende i figli giovani, magri e sani di genitori affetti da diabete di tipo 2. Questi
soggetti sono particolarmente interessanti perché, a differenza dei soggetti già affetti da diabete di
tipo 2, sono più giovani, magri, in salute e sono quindi privi di altri fattori di confondimento che
potrebbero contribuire all’insulino-resistenza. Il rischio che hanno questi individui di sviluppare la
malattia nell’arco della vita è del 40%. Il principale predittore indipendente per il rischio futuro in
questi individui, è l’insulino-resistenza; quindi i soggetti insulino-resistenti (figli di genitori affetti a
diabete di tipo 2) rappresentano i candidati ideali per studi volti a identificare i difetti che portano
all’insulino-resistenza. Un paramentro metabolico che è comunemente alterato nei figli di genitori
con diabete di tipo 2 è la concentrazione plasmatica di acidi grassi che è frequentemente più alta
rispetto ai controlli. L’insulino-resistenza in questi individui, determinata con il clamp euglicemicoipeinsulinemico, correlava in modo significativo con il livello di acidi grassi nel plasma, ma non
con altri indicatori dello status metabolico. La correlazione era ancora più forte quando venivano
considerati i lipidi intramiocellulari.
Recenti studi 13CMRS e 31PMRS in cui si è misurato il contenuto intracellulare di glucosio e di G6P
in volontari sani in cui erano stati innalzati gli acidi grassi plasmatici mediante infusione, hanno
dimostrato che gli acidi grassi inducono insulino-resistenza nel muscolo scheletrico inibendo
direttamente l’attività di trasporto del glucosio stimolata dall’insulina.
Il meccanismo di questo effetto è stato in larga parte compreso. Un fattore chiave nel trasporto di
glucosio stimolato dall’insulina è il fosfatidil inositolo 3 chinasi che gioca un ruolo essenziale nel
trasporto di glucosio nel muscolo. Negli individui sani, l’insulina stimola l’attività del Glut-4 nel
muscolo scheletrico mediante la fosforilazione di IRS-1 che si lega ed attiva la fosfatidil inositolo 3
chinasi (PI3K); questo determina infine l’attivazione di Glut4. Il gruppo di Shulman ha dimostrato
che elevati livelli di acidi grassi nell’uomo inibiscono l’attività della PI3K mediata dall’insulina.
Studi in ratti hanno ulteriormente dimostrato che l’infusione di metaboliti dei lipidi attivano la
protein chinasi C che mediante fosforilazione di serine e treonine, blocca la fosforilazione di IRS-1
su tirosine. Questo porta a una riduzione del 50% dell’attività della PI3K stimolata dall’insulina.
Topi knock-out per la PKC (topo modificati geneticamente che non esprimono il gene per la protein
chinasi C) sono protetti dall’insulino- resistenza indotta dai lipidi. Aver compreso che il contenuto
intracellulare di lipidi può inibire direttamente l’attività di trasporto del glucosio indotta
dall’insulina ha delle importanti implicazioni terapeutiche, specialmente perché un simile
meccanismo di insulino-resistenza indotta dai lipidi avviene anche nel fegato, dove l’accumulo
intracellulare di lipidi attiva una cascata di serin-chinasi che comprende la PKC che determina la
riduzione della fosforilazione su tirosina di IRS-2, un mediatore chiave del segnale dell’insulina nel
fegato. Recenti studi su topi knock-out per l’enzima mitocondriale glicerolo fosfato acil-CoA
trasferasi suggeriscono che il diacilglicerolo, un noto attivatore di PKC, sia il fattore di innesco di
questo processo. Una implicazione importante di questa osservazione è che non è l’obesità di per se
a causare insulino-resistenza, ma piuttosto l’accumulo intracellulare di metaboliti lipidici quali il
diacilglicerolo. Un’ulteriore prova a questo riguardo è fornita dallo studio di pazienti con
lipodistrofia congenita.
Lipodistrofia e insulino-resistenza
La lipodistrofia congenita generalizzata è una malattia rara e devastante che affligge 1 persona ogni
10 milioni. I pazienti hanno scarsità di grasso, una severa insulino-resistenza, ipertrigliceridemia,
infiltrato di grasso nel fegato e in altri tessuti e una deficienza di ormoni prodotti dal tessuto adiposo
8es. leptina). E’ stato creato modello transgenico di topo lipodistrofico il quale presenta una
drammatica riduzione di tessuto adiposo (anche bruno), inoltre questo topo ha una severa insulinoresistenza sia nel muscolo sia nel fegato, e sviluppa iperglicemia. Il contenuto intracellulare di
acilCoA è sia nel muscolo sia nel fegato doppio rispetto al topo wild-type; inoltre il topo
lipodistrofico ha anche difetti nell’attività della PI3K e nell’attivazione di IRS-1 e IRS-2 stimolata
dall’insulina.
L’insulino-resistenza e le altre anomalie metaboliche possono essere sovvertite mediante trapianto
di tessuto adiposo prelevato da un topo wild-type; tale trattamento riduce in modo significativo
anche il contenuto di lipidi nel fegato e nel muscolo; questo probabilmente spiega l’aumentato
uptake di glucosio nel muscolo e il ripristino della capacità dell’insulina di sopprimere la
produzione di glucosio nel fegato. L’insulino-resistenza vista in un altro modello animale di
lipodistrofia, veniva sovvertita mediante il trattamento basse dosi di leptina. Per valutare se l’effetto
della leptina sui topi lipodistrofici poteva essere riprodotto negli umani, è stata somministrata
leptina a pazienti con una severa lipodistrofia. La leptina ricombinante umana è stata somministrata
nel sottocutaneo a pazienti lipodistrofici ogni 12 ore per 3-5 mesi in modo da avere livelli di leptina
normali nel loro plasma. I pazienti di questo studio avevano una severa lipodistrofia, iperglicemia,
elevata emoglobina glicata (prova dello scarso controllo glicemico nonostante le terapie
ipoglicemizzanti impiegate), severa iperinsulinemia a digiuno, steatosi epatica e livelli di leptina
molto bassi. La terapia con leptina ha portato ad una normalizzazione dei livelli glicemici a digiuno
e a un miglioramento della sensibilità insulinica sia nel muscolo sia nel fegato. Questi effetti erano
accompagnati dalla riduzione dei trigliceridi intracellulari e da una quasi normalizzazione dei lipidi
nel fegato, come dimostrato dagli studi con 1HMRS.
Meccanismo di azione dei tiazolidinedioni
I tiazolidinedioni (TZDs) migliorano la sensibilità all’insulina nei pazienti con diabete di tipo 2.
Questi farmaci agiscono principalmente aumentando l’uptake di glucosio nel muscolo in risposta
all’insulina mediante aumento di attività del Glut4 e della sintesi del glicogeno a livello muscolare
consentendo un aumento della disponibilità di glucosio intracellulare del 45%. I tiazolidinedioni
agiscono sul peroxisome proliferator-activated receptor–γ (PPAR-γ) inducendo l’espressione di vari
geni target in diversi tessuti. Il fatto che questi farmaci aumentino la sensibilità insulinica a livello
del muscolo può sembrare paradossale visto che il recettore per i TZDs di trova principalmente
negli adipociti. E’ stata avanzata l’ipotesi che l’effetto insulino-sensibilizzante dei TZD si esplichi
mediante la loro capacità di incrementare la sensibilità insulinica degli adipociti i quali
immagazzinano in modo più efficiente i lipidi. Questo determina una ridistribuzione del grasso che
viene dirottato negli adipociti e non negli epatociti o nei miociti. Recenti studi in pazienti con
diabete di tipo 2 supportano questa ipotesi. Usando la microdialisi per determinare il rilascio di
glicerolo dal tessuto sottocutaneo, si è osservato che il rosiglitazone determina una più efficiente
soppressione della lipolisi da parte dell’insulina e un aumento di sensibilità all’insulina in tutto
l’organismo. Inoltre questi cambiamenti erano associati con una riduzione del 30% del grasso
intraepatico e un aumento del grasso sottocutaneo. Va sottolineato che non si sono osservati
cambiamenti globali nel peso, questo indica chiaramente che il rosiglitazone causa una
ridistribuzione del grasso dal fegato al tessuto sottocutaneo senza alterare la quantità di grasso.
Effetti della perdita di peso in pazienti obesi con diabete di tipo 2
Se i lipidi intracellulari possono causare insulino-resistenza nei pazienti con diabete di tipo 2, la
perdita di peso che determina una migliorata sensibilità all’insulina dovrebbe anche determinare la
riduzione del contenuto di lipidi nel fegato. In un recente studio, 8 pazienti obesi con diabete di tipo
2 sono stati sottoposti ad una dieta ipocalorica (1200 kcal giornaliere), a bassissimo contenuto di
lipidi (3%) per 8 settimane . In questi pazienti la glicemia a digiuno è passata da 8,8 mmol/lLa 6,4
mmol/L. Durante questo periodo il peso si è ridotto di soli 8 chili, un valore che corrisponde a circa
l’8% del peso corporeo. Tuttavia la riduzione del contenuto di lipidi nel fegato si è ridotto dell’81%
portando i pazienti da condizioni di steatosi e di insulino-resistenza severe, a livelli di lipidici
epatici e di sensibilità insulinica vicini ai livelli normali alla fine dello studio. Inoltre questa
riduzione del contenuto di lipidi intraepatici era associato con la riduzione e la normalizzazione
della produzione di glucosio da parte del fegato.
L’insulino-resistenza è associate con la perdita di funzionalità mitocondriale
Le persone anziane magre e sane, quando confrontate con persone magre, sane ma giovani,
mostrano una marcata tendenza verso l’insulino-resistenza e questa insulino-resistenza è associata
causalmente con il ridotto metabolismo a livello muscolare del glucosio e ad un aumentato
accumulo di lipidi sia nel muscolo sia nel fegato. Da notare negli anziani l’attività di fosforilazione
ossidativa era ridotta approssimativamente del 40% rispetto agli individui giovani.
Questa perdita di funzionalità mitocondriale predispone all’accumulo di lipidi intramiocellulari,
che mediante i meccanismi descritti precedentemente, fornisce un legame con l’insulino-resistenza.
E’ possibile quindi che un declino legato all’età della funzionalità mitocondriale possa contribuire
all’insulino-resistenza negli anziani . Successive ricerche hanno mostrato che soggetti insulinoresistenti figli di diabetici di tipo 2 hanno alterazioni anche nella funzionalità mitocondriale con una
riduzione nella sintesi di ATP del 30%. Questa riduzione nella funzione mitocondriale era associata
con una severa insulino-resistenza muscolare e con un aumento dell’80% nel contenuto di lipidi
intramiocellulari. Dal momento che questi individui non avevano alterazioni della lipolisi né a
livello sistemico né a livello locale, inoltre non avevano nemmeno concentrazioni alterate di TNF,
di IL-6, resistina e adiponectina; la perdita dell’attività mitocondriale in questi soggetti è stata
spiegata da difetti ereditari. Recenti studi condotti dal gruppo di Shulman hanno dimostrato che la
riduzione del 30% nell’attività mitocondriale nella prole insulino-resistente potrebbe essere
imputabile alla riduzione del 38% del numero dei mitocondri.
In sintesi..
L’obesità è la più commune causa di insulino-resistenza e di diabete di tipo 2. Semplicemente
essere sovrappeso (BMI >25) aumenta il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 di un fattore pari a 3.
Studi sul ruolo del grasso nell’insulino-resistenza sono stati condotti sia negli individui sani sia in
individui lipodistrofici e hanno permesso di evidenziare che la quantità assoluta di grasso corporeo
è meno importante rispetto a dove il grasso è localizzato. In particolare la localizzazione a livello di
cellule muscolari ed epatiche riveste il ruolo principale. L’obesità che tipicamente insorge quando
l’introito calorico supera la spesa energetica, porta ad un accumulo di grasso non solo negli
adipociti, ma anche nel muscolo e nel fegato, determinando insulino-resistenza in questi organi.
Sebbene l’obesità possa causare insulino-resistenza , va puntualizzato che questa non è l’unica
causa dell’aumento intracellulare di lipidi. Infatti alterazioni funzionali negli adipociti, come quelle
osservate in caso di lipodistrofia, determinano effetti simili e portano a insulino-resistenza nel
fegato e nel muscolo.
Altre anomalie genetiche negli adipociti possono probabilmente contribuire all’accumulo di lipidi
nel muscolo e nel fegato; tra i principali sospettati ci sono difetti ereditari dei recettori PPARγ. Un
altro sospettato è la perilipina che riveste le goccie lipidiche negli adipociti e protegge i trigliceridi
dall’idrolisi mediata dalla lipasi. Topi che non esprimono il gene della perilipina hanno un tessuto
adiposo ridotto e sviluppano insulino-resistenza. Infine, recenti studi impiegando la MRS hanno
dimostrato che alterazioni sia ereditarie sia acquisite della funzionalità mitocondriale possono
portare all’accumulo di lipidi intramiocellulari e all’insulino resistenza nel muscolo.
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