Violenza sulle donne e femminicidio in Italia Il quadro normativo internazionale e italiano Per poter inquadrare correttamente l’entità del fenomeno, appare opportuno a questo punto passare in rassegna i più significativi strumenti normativi internazionali, europei e nazionali che fino a oggi sono stati adottati per affrontarlo e contenerlo. Nazioni Unite Per ciò che riguarda la produzione normativa delle Nazioni Unite, si nota come per la prima volta il problema della discriminazione sia stato affrontato con la “Dichiarazione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna” (non vincolante), adottata dall’Assemblea Generale il 7 novembre 1967. Un passo importantissimo è poi stato raggiunto con la “Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne” (Cedaw), adottata dall’Assemblea Generale il 18 dicembre 1979 e ratificata dal nostro paese il 10 giugno 1985. Con la ratifica della Cedaw gli stati si sono assunti precisi obblighi atti ad assicurare che le donne possano godere in concreto dei loro diritti fondamentali non soltanto attraverso l’introduzione di quelle modifiche normative atte a rimuovere le situazioni di disuguaglianza, ma anche e soprattutto grazie alla promozione di quel cambiamento culturale necessario per il riconoscimento della libertà di scelta della donna e della tutela della sua integrità psicofisica. La Cedaw obbliga infatti gli stati che l'hanno sottoscritta a riconoscere l'uguaglianza giuridica tra uomini e donne, abolire le leggi discriminatorie, contrastare la violenza di genere, eliminare gli stereotipi associati ai ruoli tradizionali di uomini e donne nella famiglia e nella società e istituire tribunali e istituzioni pubbliche per assicurare una protezione effettiva contro la discriminazione. La Convenzione istituisce inoltre un comitato di 23 componenti, denominato “Comitato sull'Eliminazione delle Discriminazioni Contro le Donne”, per imporre e monitorare il rispetto delle norme sancite nella Convenzione stessa. I componenti del Comitato vengono nominati dai propri governi, ed eletti a scrutinio segreto dagli Stati parte della Convenzione. All’art.18 si prevede che gli stati debbano presentare rapporti al Comitato sul proprio impegno per realizzare gli obiettivi della Convenzione. Entro il primo anno dalla ratifica della Convenzione o dall'adesione ad essa, ed in seguito ogni quattro anni, è prevista la presentazione di un rapporto nazionale al Comitato, in cui si indicano le misure adottate per applicare le disposizioni della Convenzione. Durante le sue sessioni annuali, il Comitato discute questi rapporti con i rappresentanti dei governi ed analizza con essi gli ambiti in cui sono necessarie ulteriori iniziative. Il Comitato ha inoltre la facoltà di rivolgere agli stati alcune raccomandazioni generali relative all'eliminazione delle discriminazioni contro le donne, come quelle che sono state rivolte all’Italia nel 2011 e che verranno richiamate più avanti. Il 20 dicembre 1993, è stata adottata senza voto da parte dell’Assemblea Generale la “Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne”, con la risoluzione 48/104. La risoluzione è spesso riconosciuta come complementare e un rafforzamento dei lavori della Cedaw. Il 4 marzo 1994, la Commissione per i diritti umani ha adottato la risoluzione 1994/45, in cui si decide di nominare Radhika Coomaraswamy come primo relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, comprese le sue cause e conseguenze. Il relatore speciale ha il mandato di raccogliere e analizzare i dati provenienti da governi, organismi trattati, agenzie specializzate, le ONG e altre parti interessate, e di rispondere efficacemente a tali informazioni. Inoltre, il relatore ha anche un ruolo nella formulazione di raccomandazioni a livello internazionale, nazionale e regionale, nonché il collegamento con altri relatori speciali, rappresentanti speciali, gruppi di lavoro e di esperti indipendenti della Commissione sui diritti umani. Il 18 giugno 2009, il Consiglio dei Diritti Umani ha nominato Rashida Manjoo come terzo operatore storico del ruolo, dopo che il mandato del suo predecessore, Yakin Erturk, si è concluso. Il 15 giugno 2012, Rashida Manjoo ha rivolto all’Italia alcune importanti raccomandazioni che verranno più avanti analizzate. Il 15 ottobre 1999 l'Assemblea generale ha adottato il Protocollo facoltativo alla Cedaw, che allinea la Convenzione ai principali testi internazionali in materia di diritti umani e fornisce più chiare possibilità di ricorso al Comitato Cedaw in caso di violazioni. In particolare si prevede che le comunicazioni possano essere presentate al Comitato sia a titolo individuale sia a nome di gruppi di persone vittime di violazioni di uno dei diritti previsti dalla Convenzione. Inoltre, il protocollo prevede che il Comitato possa avviare di propria iniziativa, e quindi anche in assenza di denunce, una procedura d'indagine sui casi di violazione particolarmente gravi. La procedura prevista dall'articolo 8 è costruita secondo il modello di indagine delineato all'articolo 20 della Convenzione internazionale contro la tortura, e consente di mettere in luce la natura sistematica di violazioni dei diritti delle donne che abbiano carattere diffuso, il che non emergerebbe se il Comitato si limitasse solo ad un esame delle denunce individuali. Oltre a ciò, essa consente al Comitato di indagare anche nei casi in cui le singole donne o gruppi di donne non siano in grado di presentare denuncia in prima persona (per motivi pratici o per timore di rappresaglie). Il Protocollo facoltativo è entrato in vigore il 22 dicembre 2000 e l’Italia vi ha aderito il 29 ottobre 2002. Per completezza, si richiama inoltre la Commissione sullo Status delle Donne (Commission on the Status of Women, CSW), organo facente parte del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) che si occupa dell’uguaglianza di genere e di promuovere lo sviluppo della condizione femminile e l’UN Women, l’organo ONU per l'Uguaglianza di Genere e l'Empowerment Femminile, creata dall'Assemblea Generale dell'ONU proprio per far fronte a tali sfide. Consiglio d’Europa Dando poi uno sguardo al diritto prodotto in seno al Consiglio d’Europa, è da rilevare come la recente “Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, meglio nota come Convenzione di Istanbul, rappresenti il più completo e mirato strumento normativo internazionale sul tema della violenza contro le donne. La Convenzione, aperta alla firma dal 11 maggio 2011, rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione interviene specificamente anche nell'ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, come ad esempio bambini ed anziani, ai quali altrettanto si applicano le medesime norme di tutela. Il testo contiene 81 articoli suddivisi in 12 capitoli. La struttura dello strumento è basata sulle così dette "tre P": prevenzione, protezione e punizione dei colpevoli. E’ da rilevare come nel Preambolo siano richiamate, tra le altre, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la Carta sociale europea e la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, nonché i trattati internazionali sui diritti umani dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale. Al capitolo I, la Convenzione traccia una chiara definizione delle tematiche trattate, descrivendo la violenza contro le donne come quella violazione dei diritti umani caratterizzata da “atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata” (art. 3 lett. a). Nello stesso articolo si stabilisce poi la definizione di “genere”, termine col quale ci si deve riferire a "ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini" (art. 3 lett. c.). Per “violenza delle donne basata sul genere”, si dovrà quindi intendere “qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato” (art. 3 lett. d.). L'articolo successivo stabilisce poi che l'attuazione delle disposizioni della Convenzione dovrà essere garantita senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, sul genere, sulla razza, sul colore, sulla lingua, sulla religione, sulle opinioni politiche o di qualsiasi altro tipo, sull'origine nazionale o sociale, sull'appartenenza a una minoranza nazionale, sul censo, sulla nascita, sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere, sull'età, sulle condizioni di salute, sulla disabilità, sullo status matrimoniale, sullo status di migrante o di rifugiato o su qualunque altra condizione. Nel capitolo II, la Convenzione affronta il tema delle politiche integrate e della raccolta dati, sottolineando la necessità di attuare politiche globali e coordinate (art. 7), stanziare adeguate risorse finanziarie per l’attuazione delle politiche integrate (art. 8), sostenere le ONG e le associazioni della società civile (art. 9), istituire uno o più organismi di coordinamento (art.10) e, di fondamentale importanza, assicurare un efficiente processo di raccolta dati e ricerca (art. 11). Il capitolo III tratta il tema della prevenzione, incoraggiando attività di sensibilizzazione (art. 13), educazione (art. 14), formazione delle figure professionali (art. 15), programmi di intervento di carattere preventivo e di trattamento volti agli autori di atti di violenza domestica (art.16) e forme di partecipazione del settore privato e dei mass media anche attraverso l’ autoregolamentazione (art. 17). Il capitolo successivo affronta la protezione e il sostegno delle vittime di violenza, prevedendo forme di assistenza in materia di denunce (art. 21), servizi di supporto specializzati (art. 22), la creazione e sostenimento di case rifugio adeguate (art. 23), linee telefoniche di sostegno (art. 24), centri di prima assistenza (art. 25), protezione e supporto di bambini testimoni di violenza (art. 26) e modalità di incoraggiamento delle segnalazioni di episodi di violenza (artt. 27 e 28). La Convenzione passa poi al tema della punizione del reo, capitolo V, stabilendo una serie di reati e aggravanti che gli stati dovrebbero includere nella loro legislazione penale, se ancora sprovvisti, al fine di reprimere la violenza contro le donne. Tra questi si richiama la violenza psicologica (art. 33), gli atti persecutori (conosciuto come stalking) (art. 34), la violenza fisica (art.35), la violenza sessuale, compreso lo stupro (art. 36), il matrimonio forzato (art. 37), le mutilazioni genitali femminili (art.38), l'aborto forzato e la sterilizzazione forzata (art. 39), le molestie sessuali (art. 40). Nei capitoli successivi si passa poi a questioni relative al diritto processuale (come la previsione di misure cautelari specifiche, le modalità d’indagine, l’irrevocabilità della querela, il gratuito patrocinio per le vittime di violenza, ecc…), alla migrazione e asilo (tra cui il diritto al non respingimento per le vittime di violenza di cui all’art. 61), alla cooperazione internazionale tra stati e al nuovo strumento di controllo denominato “GREVIO”, consistente in un gruppo composto da un minimo di 10 a un massimo di 15 esperti con il compito di vigilare sull'attuazione della Convenzione. La Convenzione è aperta alla firma dall’11 maggio 2011 ed è stata sottoscritta dall’Italia il 27 agosto 2012. La Camera dei Deputati ha poi approvato all'unanimità la ratifica della Convenzione in data 28 maggio 2013 e sempre all'unanimità il Senato ha convertito il testo in legge il 19 giugno 2013 (legge 77/2013). Affinché la Convenzione possa entrare in vigore, sono necessarie 10 ratifiche da parte di almeno 8 membri del Consigli d’Europa. Ad oggi la Convenzione è stata firmata da 32 stati e ratificata da 8 membri del Consiglio d’Europa. Legge italiana Dando infine uno sguardo ai recenti sviluppi del panorama normativo nazionale in tema di violenza sulle donne, si rileva come, già nel 2009, si è tentato attraverso la delegazione d’urgenza di affrontare il fenomeno. Il 23 febbraio 2009 viene infatti approvato il così il D.L. n.11/2009 denominato “misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonchè in tema di atti persecutori” e conosciuto come "Decreto sicurezza", poi convertito nella l. 38/2009. Il testo ha introdotto il reato “atti persecutori” (c.d. stalking), l’ obbligatorietà della custodia cautelare in carcere per i delitti di prostituzione minorile, pornografia minorile, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, violenza sessuale, atti sessuali con minorenni, violenza sessuale di gruppo e l’arresto obbligatorio in fragranza per violenza sessuale e per violenza sessuale di gruppo, con conseguente possibilità di procedere con rito direttissimo. Da rilevare poi l’estensione a tutte le vittime di violenza sessuale del gratuito patrocinio a spese dello Stato. Ma il testo normativo che senza dubbio tenta per la prima volta di affrontare il problema del femminicidio e della violenza contro le donne in Italia nel loro complesso è quello contenuto nel recente D.L. 93, varato il 14 agosto 2013, poi convertito in legge con modifiche il 15 ottobre 2013 (l. 119/2013) e denominato “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere (…)”. Il testo mira a rendere più incisivi gli strumenti della repressione penale dei fenomeni di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e di atti persecutori. Con quest’ottica vengono inasprite le pene quando il delitto di maltrattamenti in famiglia è perpetrato in presenza di minore degli anni diciotto, quando il delitto di violenza sessuale è consumato ai danni di donne in stato di gravidanza o quando il fatto è consumato ai danni del coniuge, anche divorziato o separato, o dal partner. Un secondo gruppo di interventi riguarda il delitto di stalking, ampliando l’applicazione della circostanza aggravante anche ai fatti commessi dal coniuge pure in costanza del vincolo matrimoniale, nonché a quelli commessi da chiunque con strumenti informatici o telematici. Viene poi prevista l’irrevocabilità della querela per il delitto di atti persecutori, anche se soltanto nel caso di gravi minacce ripetute. Sono previste poi una serie di norme riguardanti i maltrattamenti in famiglia, dove si prevede una costante informazione alle parti offese sull’andamento dei relativi procedimenti penali, si estende la possibilità di acquisire testimonianze con modalità protette, vengono aumentate le ipotesi di arresto in flagranza per i maltrattamenti contro famigliari e conviventi e si prevede che in presenza di gravi indizi di colpevolezza di violenza sulle persone o minaccia grave e di serio pericolo di reiterazione di tali condotte con gravi rischi per le persone, il pubblico ministero – su informazione della polizia giudiziaria - può richiedere al giudice di irrogare un provvedimento inibitorio urgente, vietando all’indiziato la presenza nella casa familiare e di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa. Il testo assicura inoltre il gratuito patrocinio per le vittime di violenza e garantisce il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di protezione di vittime straniere. Infine, la normativa ha provveduto a varare un nuovo piano straordinario di protezione delle vittime di violenza sessuale e di genere (art. 5) che prevede azioni di intervento multidisciplinari, a carattere trasversale, per prevenire il fenomeno, potenziare i centri antiviolenza e i servizi di assistenza, formare gli operatori. Punti deboli della normativa italiana Alla luce di quanto detto, se è vero che la nuova legge compie un innegabile passo in avanti in tema di lotta alla violenza contro le donne in Italia, si rileva tuttavia come alcuni standard richiesti sia dalla Convenzione di Istanbul, sia dalle raccomandazioni della Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e sia dal Comitato Cedaw non siano ancora stati raggiunti. In particolare, se è vero che la netta centralità degli strumenti di prevenzione e protezione rispetto a quelli repressivi appare molto chiara nel testo della Convenzione di Istanbul, questo non accade nel testo di legge italiano, dove si dedica invece molta più attenzione all’aspetto punitivo, anche e soprattutto se si considera lo strumento utilizzato, quello della decretazione d’urgenza, senz’altro poco adatto al concepimento di politiche a lungo termine di prevenzione e sensibilizzazione sociale, ma piuttosto idoneo a tamponare una situazione di crisi. Forti dubbi risiedono inoltre sull’entità delle risorse economiche dedicate al piano d’azione straordinario previsto all’art. 5 della legge di conversione, con tutta probabilità non sufficienti a garantire gli obiettivi prefissati dal testo stesso. Si noti poi come ancora manchi in Italia un’istituzione nazionale indipendente per i diritti umani con una sezione dedicata ai diritti delle donne in grado di vigilare sul fenomeno (sul punto si pronuncia espressamente la relatrice speciale delle Nazioni Unite, Rashida Manjoo, al punto 94, lett. b) del rapporto 2011). Infine, come sottolineato dalla Convenzione di Istanbul e dalla relatrice speciale, appare senz’altro di importanza cruciale la previsione di un sistema di raccolta dati statistici (disaggregati), attraverso l’attuazione dell’art. 5, lett. h della legge di conversione, e l’aumento di fondi ISTAT che riescano a garantire raccolta e analisi standardizzate e periodiche che ancora mancano nel nostro paese. Sul punto si rileva come fosse stata proposta l’istituzione di un Osservatorio nazionale ad hoc presso l’Istat con un ddl atto Senato n.724 presentato in data 29 maggio 2013, sul quale si è poi sovrapposto il provvedimento d'urgenza del Governo dell'agosto scorso. Sintesi del quadro normativo Nazioni Unite 7 novembre 1967: “Dichiarazione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna” adottata dall'AG Onu – Non vincolante 18 dicembre 1979: “Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne” (Cedaw). Entra in vigore il 3 settembre 1981. L'Italia la ratifica il 10 giugno 1985 20 dicembre 1993: “Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne”, adottata senza voto da parte dell'AG Onu con la risoluzione 48/104. 4 marzo 1994, “Risoluzione 45/1994”, adottata dalla Commissione per i diritti umani, in cui si decide di nominare Radhika Coomaraswamy come primo relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne. 15 ottobre 1999: “Protocollo facoltativo alla Cedaw”, adottato dall’AG Onu. Entra in vigore il 22 dicembre 2000 e l’Italia vi aderisce il 29 ottobre 2002 Consiglio d’Europa 7 aprile 2011: Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul). Sviluppi: o Aperta alla firma dall’11 maggio 2011. o Firmata da 32 stati e ratificata da 8 membri (sono necessarie 10 ratifiche da parte di almeno 8 membri del Consigli d’Europa per l’entrata in vigore) o L’Italia firma il 27 agosto 2012 ma appone una nota verbale nella quale è specificato che la Convenzione si applicherà nel rispetto dei principi e delle previsioni costituzionali. o In Italia, la Camera dei Deputati ha approvato all'unanimità la ratifica della Convenzione in data 28 maggio 2013 e sempre all'unanimità il Senato ha convertito il testo in legge il 19 giugno 2013 (legge 77/2013) – Non ancora vincolante. Legge italiana 23 febbraio 2009: "Decreto sicurezza" approvato con D.L. n. 11 e convertito nella l. 38/2009: 19 giugno 2013: legge di ratifica Convenzione di Istanbul (legge 77/2013). 14 agosto 2013: Decreto-legge n. 93/13 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere”, convertito (con modifiche) dalla legge n. 119 del 15 ottobre 2013 7 febbraio 2014