RETINOPATIA DIABETICA1
La retinopatia diabetica è una complicanza specifica del diabete mellito, sia di tipo 1 sia di tipo 2, la cui
prevalenza è legata soprattutto alla durata del diabete. La retinopatia diabetica è la più frequente causa di
nuovi casi di cecità nella popolazione tra i 20 e i 64 anni. Al momento della diagnosi di diabete di tipo 1
non ci sono segni di retinopatia ed è difficile che questi si manifestino prima dei 5 anni di durata della
malattia, mentre ne diabete tipo 2 fino al 37% dei soggetti dimostra già la presenza di retinopatia alla
diagnosi (talora anche avanzata, con deficit visivi -> ipotesi diagnostica di diabete posta dall’oculista).
Anche il glaucoma, la cataratta ed altre patologie dell’occhio si manifestano prima e con maggiore
frequenza nei soggetti affetti da diabete (1-4).
Oltre alla durata del diabete sono importanti altri fattori di rischio: il cattivo compenso glicemico, la
ipertensione arteriosa, la presenza di nefropatia. Il trattamento intensivo del diabete con l’obiettivo di
ottenere e mantenere un controllo glicemico quasi normale si è dimostrato in ampi studi prospettici in
grado di prevenire/ritardare l’inizio e la progressione della retinopatia diabetica; anche la riduzione della
pressione arteriosa si è dimostrata capace di ridurre la progressione della retinopatia. Diversi studi hanno
anche dimostrato che la gravidanza in donne affette da diabete tipo 1 aggrava la retinopatia e che spesso un
trattamento laser del fondo dell’occhio riduce di molto il rischio.
Uno dei principali motivi per sostenere l’opportunità dello screening periodico della retinopatia diabetica
deriva dalla provata efficacia della fotocoagulazione laser per prevenire la perdita del visus: due importanti
studi di intervento hanno confermato questa asserzione, lo studio DRS (5) e l’ETDRS (6).
Mediante l'esame diretto del fondo dell'occhio, con oftalmoscopia e/o fotografia (vedi oltre), è possibile
identificare le lesioni retiniche caratteristiche della retinopatia diabetica. La diagnosi di presenza e gravità di
quest’ultima (Fig.1) viene attuata sulla base del tipo e della localizzazione delle lesioni stesse, ciò che ne
consente la classificazione sulla base degli stadi successivi della sua evoluzione naturale (Tab.1).
La maculopatia è dovuta alla localizzazione delle lesioni non proliferanti in prossimità della regione maculare,
funzionalmente la più importante della retina in quanto ha la maggiore densità di coni e bastoncelli e
pertanto è responsabile della visione dei dettagli e dei colori. Essa può coesistere con gli stadi preproliferante e proliferante, che sono meglio manifesti nei settori nasali e superiori o inferiori alla macula.
Poiché colpisce soprattutto i pazienti con diabete non insulino dipendente, la maculopatia oggi rappresenta
quantitativamente la principale causa di cecità secondaria al diabete.
Non sono generalmente presenti sintomi visivi negli stadi non proliferante e pre-proliferante e neppure
quando compaiono le prime lesioni proliferanti o della maculopatia. Solo in presenza di emorragie vitreali,
trazione/distacco di retina o lesioni coinvolgenti il centro della macula, i pazienti possono avvertire disturbi
visivi ma il danno prodotto è ormai irreversibile.
1
In collaborazione con M. Porta
Tab. 1. Identificazione dello stadio clinico della retinopatia diabetica in base alle lesioni osservabili in
oftalmoscopia.
Lesioni retiniche
Stadio clinico
Assenti
Non retinopatia
Microaneurismi e/o microemorragie (lesioni rosse
Retinopatia non proliferante lieve o
puntiformi)
moderata
Emorragie a chiazza
Essudati duri a più di un diametro papillare dalla macula
Noduli cotonosi isolati, non associati ad altre lesioni della
retinopatia non proliferante grave (vedi sotto)
Microaneurismi
Maculopatia
Emorragie
(edema maculare clinicamente significativo
Essudati duri
}
In prossimità della macula
Edema
se le lesioni sono localizzate entro 500 µm
dal centro della fovea)
Ischemia
Emorragie a fiamma multiple
Noduli cotonosi multipli
Retinopatia non proliferante grave (“pre-
IRMA (Anomalie Microvascolari Intra Retiniche)
proliferante”)
Dilatazioni venose, in toto o segmentarie; formazione di
anse.
Neovasi della papilla ottica o della retina
Retinopatia proliferante
Emorragie pre-retiniche
Membrane fibro-gliali
Trazione/distacco/rottura di retina
Rubeosi dell'iride
Glaucoma neovascolare
Retinopatia diabetica avanzata
Fig. 1. Storia naturale della retinopatia diabetica (RD)
Assenza di RD
RD non proliferante lieve
RD non proliferante moderata
RD non proliferante grave (pre-proliferante)
Maculopatia edematosa
- non clinicamente significativa,
- clinicamente significativa
Maculopatia ischemica
RD proliferante
Oftalmopatia
Diabetica avanzata
RETINOPATIA: sorveglianza
Sulla base di quanto su riportato sull’elevato rischio di retinopatia diabetica (frequenza e gravità) risulta
essenziale l’attivazione i specifici programmi di sorveglianza.
METODI
Acuità visiva: deve essere misurata all'inizio di ogni visita di screening. Vanno utilizzate tavole ottotipiche
ben illuminate o, meglio, retroilluminate o, meglio ancora, proiettori per ottotipi. Ai fini dello screening è
sufficiente far tenere al paziente gli occhiali per lontano, se li porta. Gli occhi vanno valutati uno alla volta,
schermando l'altro con un cartoncino. Traguardando attraverso un foro stenopeico (diametro di 1-2 mm,
praticato in una paletta di plastica) l'acuità visiva può migliorare in caso di difetto puramente refrattivo: ciò
è utile per discriminare se un deficit visivo sia dovuto a lesione funzionale oppure organica.
Midriasi. Va indotta dopo aver misurato l'acuità visiva per facilitare l'esame della retina nel diabetico. Si
usano colliri a breve durata d'azione (2-4 ore), parasimpaticolitici [tropicamide (Visumidriatic) 0,5% o 1%;
ciclopentolato (Ciclolux)], dotati anche di effetto cicloplegico (blocco del muscolo ciliare e, quindi,
dell'accomodazione) con maggior disturbo visivo, oppure simpaticomimetici [fenilefrina (Isonefrine) 10%],
che possono però dare effetti sistemici per assorbimento attraverso le mucose, oppure ancora associazioni
fra i due.
Oftalmoscopia diretta. Consente la ricerca della cataratta (lente +10 contro il riflesso roseo) e produce
un'immagine diretta, bidimensionale ed ingrandita (x16) del polo posteriore e di parte della retina periferica.
L'osservatore deve: 1) correggere la messa a fuoco in base agli eventuali difetti refrattivi propri e del
paziente, 2) impugnare lo strumento e, traguardando, avvicinarsi all'occhio del paziente, 3) individuare i
vasi retinici e, seguendoli, raggiungere l'immagine della papilla del nervo ottico, 4) osservare a ventaglio
tutta la retina spingendosi quanto possibile verso la periferia e ritornando sempre sulla papilla, 5) osservare
per ultima la macula. Vantaggi: basso costo, praticità d'uso. Svantaggi: necessità di addestramento prolungato
degli osservatori, mancanza di documentazione obiettiva, scarsa esplorabilità della periferia retinica,
mancanza di stereopsi e quindi della possibilità di valutare un edema retinico. E’ di limitata utilità in caso di
cataratta e/o paziente non collaborante.
Oftalmoscopia indiretta binoculare: produce un'immagine invertita, tridimensionale e poco ingrandita
(x4) di tutta la retina, anche periferica. Utilissima per il primo esame del paziente. Vantaggi: ampio campo
visivo, poco influenzata dalle opacità del cristallino o del vitreo, possibilità di valutare edema retinico.
Svantaggi: è più costosa e richiede addestramento ancora maggiore della metodica diretta; il suo uso è
confinato ai reparti oculistici.
Fotografia a colori: può essere effettuata con le funduscamere tradizionali o con i modelli "non
midriatici". In entrambi i casi è possibile registrare le immagini fotografiche con tecnologia digitale
(videocamera e computer). Vantaggi: documentazione permanente, praticabile da personale infermieristico
e/o tecnico dopo addestramento relativamente breve (3-4 mesi). Svantaggi: alti costi di investimento,
particolarmente nel caso delle apparecchiature digitali, limitazione dell'area retinica esplorabile di base,
percentuale relativamente alta di immagini non valutabili per problemi clinici (cataratta e altre opacità,
scarsa collaborazione, problemi tecnici).
Fluoroangiografia: consente un'indagine particolarmente approfondita del microcircolo retinico sia
morfologica, evidenziando i singoli capillari e le loro alterazioni, sia funzionale, dimostrando le aree di
iperpermeabilità ed ipoperfusione. Molto importante per l’impostazione della fotocoagulazione della
maculopatia e delle forme preproliferanti e proliferanti, non è indicata a scopo di screening a causa sia del
tempo di esecuzione e dei costi sia dei possibili effetti collaterali (nausea, vomito, allergie fino a pur
rarissimi casi di anafilassi).
TEMPISTICA DELLO SCREENING
Pazienti con diabete tipo 1
• alla diagnosi, prevalentemente a fini educativi/dimostrativi
• entro 5 anni dalla diagnosi o dopo la pubertà
• in assenza di retinopatia, almeno ogni 2 anni
• in presenza di retinopatia non proliferante lieve o moderata, ogni 3-6 mesi
• più frequentemente, a giudizio dell’oculista
Pazienti con diabete tipo 2
• alla diagnosi, perché è già possibile riscontrare retinopatia a rischio
• in assenza di retinopatia, almeno ogni 2 anni
• in presenza di retinopatia non proliferante lieve o moderata, ogni 3-6 mesi
• più frequentemente, a giudizio dell’oculista
In gravidanza
• in fase di programmazione, se possibile
• alla conferma della gravidanza
• in assenza di lesioni, almeno ogni 3 mesi fino al parto
• in presenza di retinopatia di qualsiasi gravità, ogni mese
Eseguire lo screening o ripeterlo più frequentemente in caso di
• ricoveri ospedalieri di pazienti diabetici, per qualsiasi patologia intercorrente di interesse medico o
chirurgico
• insufficienza renale cronica
• pazienti operati recentemente di cataratta.
RETINOPATIA DIABETICA: TERAPIA SPECIFICA
Le raccomandazioni generali riportate dalle nostre Società scientifiche (3) riportano (livello della prova I,
forza della raccomandazione A):
•
Ottimizzare il compenso glicemico riduce il rischio e la progressione della retinopatia diabetica;
•
Ottimizzare il controllo pressorio riduce il rischio e la progressione della retinopatia diabetica;
•
La terapia con aspirina non previene la retinopatia diabetica e non aumenta il rischio di emorragie
retiniche.
Terapia medica.
Il Diabetes Control and Complications Trial (DCCT), più volte citato, ha dimostrato, in pazienti postpuberali con diabete di tipo 1, che un trattamento insulinico ottimizzato capace di ridurre il livello di emoglobina
glicata da 9% a 7% per un follow-up medio di 7,5 anni, riduce del 76% l'incidenza di nuova retinopatia
(prevenzione primaria) e del 54% la progressione di una retinopatia non proliferante lieve già presente
(prevenzione secondaria). Il trattamento insulinico ottimizzato riduce altresì del 47% la progressione a
retinopatia pre-proliferante o proliferante e del 56% la necessità di ricorrere alla terapia fotocoagulativa.
Lo UK Prospective Diabetic Study (UKPDS), anch’esso più volte citato, ha dimostrato che abbassare i
livelli di HbA1c di 0,9 punti percentuali nei pazienti di tipo 2 non solo riduce del 21% la progressione della
retinopatia dopo 12 anni di follow-up ma anche la necessità di un intervento di estrazione di cataratta nel
24% dei casi. Il risultato più sorprendente dell’UKPDS, tuttavia, è stato che la riduzione della pressione
arteriosa (da 154/87 a 144/82 mmHg) ha ridotto del 34% la progressione della retinopatia e del 47% il
rischio di peggioramento dell’acuità visiva.
Lo studio EUCLID ha segnalato che il trattamento per 2 anni con un ACE-inibitore, il lisinopril, ha ridotto
sensibilmente la progressione della retinopatia, il particolar modo la comparsa di retinopatia proliferante, a
fronte di un calo pressorio di soli 3 mmHg. Il programma DIRECT (DIabetic REtinopathy
Candesartan Trials) composto da 3 studi clinici condotti su 5231 pazienti di 309 centri in 30
paesi diversi ha dimostrato che un inibitore recettoriale dell’angiotensina 2, il Candesartan al
dosaggio di 32 mg/die, è in grado di ridurre del 35% la comparsa di retinopatia diabetica nei
pazienti di tipo 1 e di causare la regressione della retinopatia lieve/moderata nei pazienti con
diabete tipo 2 (5-6).
Gli antiaggreganti piastrinici (aspirina da sola e associata a dipiridamolo, ticlopidina) possono rallentare la
formazione di nuovi microaneurismi nella retinopatia non proliferante iniziale (studi DAMAD e TIMAD),
ma non ne influenzano l'evoluzione quando questa ha raggiunto le forme pre-proliferanti e proliferanti o la
maculopatia (studio ETDRS)(7). L'aspirina non aumenta tuttavia il rischio di sanguinamento dai neovasi,
per cui la retinopatia proliferante non rappresenta una controindicazione al suo uso per altri scopi
terapeutici.
Lo studio FIELD, infine, ha mostrato un effetto di riduzione della progressione della retinopatia e della
necessità di fotocoagulazione laser per maculopatia e retinopatia proliferante da parte del fenofibrato,
indipendente dall’effetto sui lipidi e sul controllo glicometabolico del farmaco (8).
Terapia para-chirurgica (fotocoagulazione).
Gli studi clinici multicentrici controllati DRS (Diabetic Retinopathy Study) ed ETDRS (Early Treatment of
Diabetic Retinopathy Study) (7) ne hanno dimostrato l'indubitabile utilità, con la capacità di ridurre di più
del 90% l'incidenza di cecità legale nei pazienti con retinopatia proliferante. Nel caso della maculopatia,
l’efficacia clinica è meno importante (riduzione del 50% del dimezzamento dell’acuità visiva a 3 anni) ma
pur sempre a forte sostegno di un intervento attivo. Gli studi di follow-up attestano che tali benefici si
mantengono per almeno 10 anni dopo il trattamento (9).
La terapia fotocoagulativa viene praticata con differenti modalità, in relazione alla patologia di base.
•
La panfotocoagulazione è il trattamento di elezione per la retinopatia proliferante. Consiste nella
fotocoagulazione della periferia retinica, all'esterno della papilla ottica e delle arcate vascolari
temporali, finalizzata alla distruzione delle estese aree ischemiche che producono fattori angiogenici
stimolanti la crescita dei neovasi. Un trattamento panfotocoagulativo completo consta di almeno
2.000 spot, somministrati nel corso di 3 o più sedute e deve essere seguito da follow-up rigoroso.
In genere, il laser viene applicato in modo da lasciare quanta più retina indenne possibile fra uno
spot e l'altro, così da non compromettere il campo visivo. Talvolta è però necessario ripetere il
trattamento sulle zone di retina ancora indenne fino ad arrivare, in casi non frequenti, alla
distruzione "a tappeto" della periferia.
•
il trattamento “focale” è utilizzato per la maculapatia (fotocoagulazione delle anomalie
microvascolari iperpermeabili che generano edema ed essudati duri in prossimità della macula),
combinato in misura variabile con il trattamento "a griglia”.
Terapia chirurgica endovitreale.
•
L'intervento di vitrectomia rappresenta l'estrema ratio allorquando una diagnosi tardiva è posta in
casi di oftalmopatia diabetica avanzata. Esso ha gli obiettivi di: ristabilire la trasparenza dei mezzi
diottrici (rimozione di emorragie vitreali, tessuto fibroso, cataratta), eliminare le cause di distacco
e/o rottura della retina riposizionando la stessa, stabilizzare la situazione oculare prevenendo le
recidive. Si tratta di un intervento di chirurgia endoculare, gravato di complicanze peri- e postoperatorie, e con il quale non sempre è possibile raggiungere un buon risultato funzionale.
Consente di mantenere una visione di 5/10 nel 60% di casi di emorragia grave endovitreale e nel
34% degli occhi con retinopatia proliferante avanzata e acuità visiva pre-operatoria non inferiore a
1/20. Il suo uso è stato proposto anche per il trattamento dell’edema maculare da trazione vitreale.
Terapia iniettiva intravitreale.
L’iniezione intravitreale di corticosteroidi (triamcinolone) e di farmaci inibitori del Vascular
Endothelial Growth Factor (bevacizumab, pegaptanib, ranibizumab) viene praticata con
l’intento di controllare le situazioni di edema maculare difficilmente trattabili con la laser
terapia. Si tratta di trattamenti per ora praticati in via estemporanea, pur con apparenti buoni
risultati clinici, in mancanza di dati di trial (10).
Riferimenti bibliografici
1. Fong DS, Aiello LP, Ferris FL III, Klein R. Diabetic retinopthy. Diabetes Care 27:254053,2004
2. American Diabetes Association. Report of the expert committee on the diagnosis and classification
of Dabetes Mellitus. Diabetes Care 31 (suppl.1):S30-S31,2008
3. Standard italiani per la cura del diabete mellito. Ed. Infomedica pagg. 68-71,2007.
4. Porta M. Retinopatia diabetica. Il Diabete, 16:343-47,2004
5. Sjølie AK, Klein R, Porta M, Orchard T, Fuller J, Parving HH, Bilous R, Chaturvedi N; for the
DIRECT Programme Study Group. Effect of candesartan on progression and regression of
retinopathy in type 2 diabetes (DIRECT-Protect 2): a randomised placebo-controlled trial.
Lancet 2008 (Epub ahead of print)
6. Chaturvedi N, Porta M, Klein R, Orchard T, Fuller J, Parving HH, Bilous R, Sjølie AK; for the
DIRECT Programme Study Group. Effect of candesartan on prevention (DIRECT-Prevent 1)
and progression (DIRECT-Protect 1) of retinopathy in type 1 diabetes: randomised, placebocontrolled trials. Lancet. 2008 (Epub ahead of print)
7. ETDRS: Photocoagulation for diabetic macular edema. Early treatment diabetic retinopathy study
report number 1. Early treatmenty diabetic retinopathy study reseaRch group. Arch Ophtalmol
103:1796-1806,1985
8. Keech AC, Mitchell P, Summanen PA, O'Day J, Davis TM, Moffitt MS, Taskinen MR, Simes
RJ, Tse D, Williamson E, Merrifield A, Laatikainen LT, d'Emden MC, Crimet DC, O'Connell
RL, Colman PG; FIELD study investigators. Effect of fenofibrate on the need for laser
treatment for diabetic retinopathy (FIELD study): a randomised controlled trial. Lancet
370:1687-97,2007.
9. Stefansson E, Bek T, Porta M, Larsen N, Kristinsson JK, Agardh E. Screening and prevention of
diabetic blindness. Acta Ophtahlmol Scand 78: 374-385, 2000.
10. Mohamed Q, Gillies MC, Wong TY. Management of Diabetic Retinopathy. A
systematic review. JAMA 298:902-916,2007.
NEFROPATIA DIABETICA
La nefropatia diabetica e' una complicanza microangiopatica che si sviluppa nel 20-40% dei pazienti
diabetici, nella maggioranza dei casi entro 20-25 anni dall’esordio del diabete. L’albuminuria persistente
nell’intervallo 30-299 mg/24 ore (microalbuminuria) corrisponde allo stadio più precoce della
nefropatia diabetica nel diabete tipo 1 ed è un marcatore dello sviluppo della nefropatia nel diabete tipo
2. La microalbuminuria è anche un preciso indicatore di rischio cardiovascolare. I pazienti con
microalbuminuria che progrediscono verso la macroalbuminuria (≥300 mg/24 ore) sono a rischio di
progressione verso l’insufficienza renale conclamata. La storia naturale della nefropatia diabetica si
articola in 5 stadi evolutivi (1-3).
Stadi della nefropatia diabetica
stadio
Descrizione
Filtrato glomerulare
(ml/min per 1,73 m2
superficie corporea
1
Danno renale con filtrato glomerulare normale o aumentato
≥90
2
Danno renale con lieve decremento del filtrato glomerulare
60-89
3
Moderato decremento del filtrato glomerulare
30-59
4
Grave riduzione del filtrato glomerulare
15-29
5
Insufficienza renale
<15 o dialisi
Il “danno renale” è definito dalla presenza di test anatomo-patologici, urinari, ematici o di diagnostica di immagine anormali.
Alcuni studi epidemiologici italiani condotti su diabetici di tipo 2 hanno indicato in 20-32% la
prevalenza di microalbuminuria e in 7,4-17,6% quella della macroalbuminuria (3).
Nei paesi industrializzati, la percentuale di diabetici tra i pazienti avviati alla terapia sostitutiva (dialisi o
trapianto di rene) è andata progressivamente crescendo negli ultimi anni fino ad occupare il primo
posto tra le cause di insufficienza renale terminale. In Italia, la prevalenza dei diabetici tra i pazienti in
dialisi ha avuto un progressivo incremento nell’ultimo decennio fino a raggiungere il 12% dei trattati;
l’incidenza massima del trattamento sostitutivo è osservabile nella fascia di età dai 65 ai 74 anni.
Cenni di fisiopatologia
La comparsa ed evoluzione della nefropatia diabetica sono ben studiate nel diabete tipo 1 e nei modelli
animali, soprattutto murini; un importante contributo di conoscenza è anche dato dalle biopsie praticate
in reni trapiantati in diabetici in assenza di trapianto funzionante di pancreas (studio della comparsa
delle prime lesioni) o in reni di diabetici che hanno ricevuto un trapianto di pancreas funzionante
(studio della regressione delle lesioni preesistenti).
Le lesioni iniziali, che compaiono 1-2 anni dalla comparsa della iperglicemia, riguardano l’ispessimento
della membrana basale glomerulare, cui si aggiungono nel tempo ialinosi dell’arteriola afferente (in
seguito anche efferente), l’espansione dell’area mesangiale con accumulo di matrice extracellulare.
L’espansione mesangiale può assumere l’aspetto diffuso (presente nell’80% dei casi di nefropatia
diabetica) o nodulare. Queste lesioni possono comportare un aumento della filtrazione glomerulare, in
fase iniziale, segno del maggior volume dei glomeruli; a questo segue la costante riduzione negli anni del
filtrato glomerulare, con importanti variazioni a seconda dell’intervento terapeutico (vedi appresso).
Anche per la nefropatia diabetica valgono i meccanismi discussi nella parte generale sul diabete di tipo
1 (Complicanze microangiopatiche), secondo cui l’iperglicemia comporta danni progressivi e in parte
irreversibili a livello endoteliale del sistema vascolare renale, in cui il più elevato regime pressorio
intraglomerulare rappresenta un ulteriore meccanismo patogenetico. Si segnala che alcuni studi hanno
evidenziato una aggregazione familiare di nefropatia suggerendo che meccanismi genetici possano
essere implicati nella patogenesi della nefropatia diabetica (4).
Test di screening
Il test di valutazione dell’albuminuria deve essere eseguito annualmente in tutti i diabetici (nei diabetici
di tipo 1 è indicato iniziare lo screening solo dopo 5 anni dall’esordio clinico della malattia). Il test di
screening consigliato dall’ADA prevede il dosaggio di albumina e di creatinina su un campione di urine
raccolto al momento:
valore normale
<30
ug/mg di creatinina
microalbuminuria
30-299 ug/mg di creatinina
macroalbuminuria
300
ug/mg di creatinina.
In alternativa, sono proposte la raccolta minutata notturna o la misura dell’albuminuria sulle urine delle
24 ore, che permettono di presentare i risultati come concentrazione dell’albumina per minuto o nelle
24 ore. Questi metodi hanno un più elevato rischio di errore per la facile confusione da parte del
paziente della esatta valutazione del tempo di raccolta delle urine.
E’ inoltre raccomandato di misurare la creatinina del siero in tutti i diabetici adulti indipendentemente
dal grado di albuminuria; la creatininemia deve essere usata per calcolare il filtrato glomerulare (formula
di Cockroft-Gault o simili, disponibili anche via internet a www.nkdep.nih.gov) e permettere la
stadiazione della nefropatia.
Quando il test di screening risulta positivo, altre due raccolte di urina devono essere eseguite con la
misura di albumina e creatinina per confermare la positività del test (sono necessari due test positivi su
tre eseguiti in 3-6 mesi). L’attività fisica nelle 24 ore precedenti il test, le infezioni, la febbre e la grave
ipertensione possono aumentare l’escrezione urinaria di albumina.
Le complicazioni della nefropatia diabetica correlano con il livello di funzione glomerulare: quando
questo risulta <60 ml/min per 1,73 m2 è indicata la ricerca di un eventuale stato anemico, di segni di
malnutrizione e di osteopenia. In questi pazienti è indicata la vaccinazione precoce contro l’epatite B.
Quando il paziente raggiunge lo stadio 4 è indicato il consulto con un nefrologo; questo approccio si è
dimostrato in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti, di allontanare l’inizio della dialisi e
ridurre i costi. Il consulto nefrologico è anche indicato quando il filtrato glomerulare peggiora in tempi
brevi e quando ci siano dubbi sulla natura della nefropatia (sedimento urinario compatibile con una
nefropatia acuta o assenza di retinopatia).
E’ importante inoltre valutare le complicanze coesistenti (retinopatia, neuropatia, macroangiopatia) e sostituire
gli ipoglicemizzanti orali con insulina quando la creatininemia raggiunga il valore di 2,2 mg/dl. Infine, si
sottolinea l’importanza di stabilire un contatto con il nefrologo in fase precoce (micro- macroalbuminuria) per
concordare l’approfondimento diagnostico nei casi che lo richiedono e/o il successivo programma di
intervento.
Si riporta più sotto lo schema riepilogativo dello screening della nefropatia diabetica (1).
Determinazione
microalbuminuria
NO
+ per albumina
SI
Ci sono condizioni che
possono invalidare
l’escrezione urinaria di
albumina?
SI
Trattare e/o
attendere la
risoluzione. Ripetere
il test.
+ per proteine?
SI
NO
NO
Ripetere il test per la
microalbuminuria x 2 volte in 3-6
mesi
Rimisurare
dopo 1 anno
NO
2 su 3 positivi?
SI
Microalbuminuria. Iniziare a trattare
Prevenzione e terapia della nefropatia diabetica
I cardini della prevenzione della nefropatia diabetica sono in tutti i casi e in tutte le fasi di malattia costituiti
dal buon compenso glicemico e dal buon controllo pressorio. Poiché attualmente non è ancora possibile identificare i
pazienti a rischio di nefropatia diabetica prima della comparsa della microalbuminuria, è opportuno estendere
il rilievo periodico programmato della microalbuminuria a tutta la popolazione diabetica. Ovviamente, in presenza di
albuminuria, i criteri di intervento diventano ancora più strettii e non rimandabili ed il paziente deve essere
adeguatamente informato sui rischi conseguenti al cattivo compenso e motivato ad un intervento
impegnato per raggiungere e mantenere gli obiettivi terapeutici.
Controllo glicemico.
Il già citato studio DCCT, condotto su diabetici di tipo 1, e lo studio UKPDS, condotto su diabetici tipo 2,
hanno chiaramente dimostrato che il controllo intensivo della terapia, con riduzione dei livelli di
emoglobina glicata a valori vicino a quelli normali, riduce significativamente il rischio di sviluppo della
microalbuminuria (prevenzione primaria) e lo sviluppo della nefropatia conclamata (prevenzione secondaria). Gli
obiettivi standard raccomandati sono quelli già riportati e comunque vengono riproposti a fine capitolo.
Controllo dell’ipertensione
Nel diabete tipo 1 l’ipertensione segue di regola la comparsa della microalbuminuria ed è legata alla
nefropatia stessa. Nel diabete tipo 2 è spesso presente al momento della diagnosi di diabete e si
accompagna ad altre manifestazioni coinvolte nella progressione della malattia, come l’obesità, l’aumento
dei trigliceridi, la riduzione dell’HDL-colesterolo, la presenza di LDL piccole e dense o ad aumento
dell’LDL-colesterolo: l’insieme di questi fattori comporta anche il ben noto aumento di rischio di malattia
cardiovascolare. Nel diabete tipo 2 l’ipertensione può essere presente nel 60-70% dei pazienti e può
preesistere al diabete (IA essenziale), essere secondaria a nefropatia misconosciuta o essere secondaria ad
una miriade di alterazioni, tra cui la nefropatia nefrovascolare.
Entrambe l’ipertensione sistolica e diastolica accelerano la progressione della nefropatia diabetica ed un
trattamento aggressivo della ipertensione riduce decisamente il tasso di declino della filtrazione
glomerulare, la necessità di ricorrere alla dialisi o al trapianto renale e la mortalità.
L’obiettivo pressorio nei diabetici con età ≥18 anni è di raggiungere e mantenere
valori < 130/80 mm Hg. Il target pressorio si riduce a 125/75 mm Hg nei diabetici
con proteinuria >1 g/24 ore.
Il primo approccio al trattamento della ipertensione arteriosa nella nefropatia diabetica dovrebbe essere
comportamentale: riduzione del soprappeso, quando presente, riduzione dell’introito di sale e di alcol,
aumento della attività fisica (vedi capitoli relativi). Se in 4-6 settimane non si raggiunge l’obiettivo pressorio
si deve avviare la terapia farmacologica.
Molti studi condotti su diabetici di tipo 1 ipertesi hanno dimostrato che l’impiego degli ACE-inibitori
riduce i livelli di albuminuria e il tasso di declino della funzione renale con una efficacia superiore ad altri
agenti antiipertensivi (a parità di riduzione della pressione). Altri studi hanno dimostrato che questi stessi
farmaci possono ridurre la progressione della microalbuminuria in diabetici di tipo 1 normotesi e in
diabetici di tipo 2 normotesi e ipertesi. Nei pazienti di tipo 2 ipertesi e macroalbuminurici, con
creatininemia >1,5 mg/dl, gli ARB (antagonisti del recettore dell’angiotensina II) hanno dimostrato di
rallentare la progressione verso l’insufficienza renale terminale. L’uso di questi farmaci deve essere fatto
con sorveglianza della funzione renale e in particolare della potassiemia, che può elevarsi in presenza di una
iniziale insufficienza renale. In caso di tosse e in previsione di gravidanza gli ACE inibitori devono essere
sospesi.
L’associazione di più farmaci anti-ipertensivi è indicata nella maggior parte dei casi data la difficoltà di
raggiungere gli obiettivi pressori previsti. In tal caso si seguono le indicazioni date nel capitolo sul
trattamento dell’ipertensione, ricordando che i diuretici tiazidici a bassa dose sono sicuramente efficaci
(furosemide in caso di insufficienza renale in atto) e che i bloccanti del calcio non-diidropiridinici sono
capaci di ridurre i livelli di albuminuria secondo alcuni studi recenti.
Restrizione proteica
Sebbene il ruolo della restrizione proteica nel rallentare la progressione del danno renale nel diabete non sia
completamente chiarito, in presenza di nefropatia in atto è consigliabile una restrizione dell’apporto
proteico a 0,8 g/kg/die dando la preferenza alle proteine vegetali ed al pesce. Diete a più forte restrizione
proteica (0,6 g/kg/die), che si sono dimostrate efficace nel contrastare il calo progressivo della filtrazione
glomerulare, possono comportare deficit nutrizionali e debolezza muscolare.
Inoltre, è consigliabile la correzione degli altri fattori di rischio cardiovascolare (dislipidemia, fumo) e la sorveglianza
sui fattori nefrolesivi: infezioni del rene e delle vie urinarie, uso di farmaci nefrotossici compresi i FANS,
uso di mezzi di contrasto radiologici..
La terapia sostitutiva (emodialisi, dialisi peritoneale, trapianto di rene) deve essere in tutti i
casi iniziata con valori di clearance creatininica di 10-15 ml/min, soprattutto nei pazienti
anziani, in presenza di elevato rischio cardiovascolare, di ipertensione refrattaria alla terapia
farmacologica e/o edemi massivi, e al manifestarsi dei sintomi dell’uremia.
Riferimenti bibliografici
1. American Diabetes Association. Nephropathy in Diabetes. Diabetes Care 27(suppl.
2):S76-S78,2004.
2. American Diabetes Association. Clinical Practice Recommendations 2008. Diabetes
Care 31(suppl.1):S29-S31,2008
3. Standard italiani per la cura del diabete mellito. Ed. Infomedica pagg. 64-78,2007.
4.
Satko SG, Sedor JR, Iyengar SK, Freeman BI. Familial clustering of chronic kidney disease.
Semin. Dial. 20:229-36,20
Riepilogo degli obiettivi glicemici in diabetici adulti (2)
A1C
<7,0%*
Glicemia capillare pre-prandiale
70-130 mg/dl
Picco glicemia post-prandiale†
<180 mg/dl
Concetti chiave nel perseguire gli obiettivi glicemici:
•
A1C è l’obiettivo primario dell’obiettivo glicemico
•
Gli obiettivi devono essere individualizzati sulla base di:
- durata del diabete
- stato di gravidanza
- età
- condizioni di comorbidità
- presenza di ipoglicemia inavvertita
- considerazioni individuali del singolo paziente
•
Obiettivi glicemici più stringenti (A1C normale, <6%) possono ulteriormente
ridurre le complicazioni al costo dell’aumento del rischio ipoglicemico
•
La glicemia post-prandiale può diventare l’obiettivo primario se gli obiettivi
dell’A1C non si raggiungono nonostante si raggiungano gli obiettivi glicemici
pre-prandiali
* Facendo riferimento ai valori di emoglobina glicata (A1C) 4,0-6,0% della popolazione non
diabetica, con il metodo utilizzato dallo studio DCCT.
† La misurazione della glicemia post-prandiale deve essere effettuata 1-2 ore dopo l’inizio
del pasto
NEUROPATIA DIABETICA 2
La neuropatia diabetica consiste in una serie di manifestazioni cliniche che interessano
diverse parti del sistema nervoso. Può essere focale o diffusa e la forma più frequente è la
polineuropatia simmetrica distale e la neuropatia autonomica. Uno Statement abbastanza
recente dell’American Diabetes Association ne ha riassunto gli aspetti clinici e classificativi
più importanti (1).
Definizione.
La definizione più usata nell’ambito clinico indica la neuropatia diabetica come una patologia
caratterizzata dalla presenza di sintomi e/o segni di disfunzione nervosa periferica in soggetti diabetici,
dopo l'esclusione di altre cause non diabetiche. Questa definizione comporta la nozione che non
tutte le disfunzioni dei nervi periferici nei diabetici sono secondarie al diabete stesso e che le
altre possibili cause devono di volta in volta essere prese in considerazione ed escluse.
La classificazione più comunemente seguita è la seguente:
Polineuropatie generalizzate simmetriche
•
Acute sensoriali
•
Croniche sensorimotorie
•
Autonomiche
Neuropatie focali e multifocali
•
Del cranio
•
Del tronco
•
Focali degli arti
•
Motorie prossimale (amiotrofia)
•
Polineuropatie infiammatorie croniche demielinizzanti (CIDP) coesistenti con il
diabete*
* gammopatie monoclonali, deficit di vit. B12, ecc.
La patogenesi della neuropatia somatica è correlata sia al danno vascolare (microangiopatico e
macroangiopatico) sia alla ridotta capacità rigenerativa del danno neurologico dovuto all’iperglicemia. Il
danno istologico rilevabile in questi casi comprende:
2
•
una diminuzione del numero delle fibre,
•
la presenza di alterazioni strutturali degli assoni
•
la demielinizzazione delle cellule di Schwann
In collaborazione con A. Bruno
•
una riduzione delle cellule perineurali
anche se nessuna di queste lesioni può considerarsi specifica del danno diabetico.
POLINEUROPATIA GENERALIZZATA SIMMETRICA
La classificazione di cui sopra prende in considerazione 3 forme di polneuropatie diabetiche,
di cui la prima (Acuta sensoriale) è sicuramente la meno frequente, si manifesta in occasione
di grave scompenso metabolico e rapido cambiamento del compenso (ad es., in conseguenza
di un trattamento insulinico che riporti rapidamente la glicemia a valori quasi normali
partendo da valori cronicamente elevati) ed è caratterizzata dalla esacerbazione soprattutto
notturna di dolori urenti, parestesie, ecc., con pochi segni neurologici suggestivi di
neuropatia.
La polineuropatia sensitiva-motoria cronica distale rappresenta la forma più frequente e
tipica di neuropatia diabetica. Nella storia naturale della neuropatia le prime fibre interessate
sono quelle di piccolo calibro (sensitive: senso dolorifico e temperatura) e solo in un secondo
tempo, e non sempre, si può evidenziare un danno delle fibre di calibro maggiore (motricità e
senso tattile). I sintomi più comuni sono: dolori urenti, sensazione di scariche elettriche,
dolori lancinanti, parestesie, iperestesie
e dolore profondo mal definito. Il dolore
neuropatico è soprattutto notturno e viene avvertito più frequentemente agli arti inferiori che
a quelli superiori. Il 50% circa dei diabetici affetti da polineuropatia sono asintomatici e
talora la diagnosi viene posta per la presenza di ulcere ai piedi; in tal caso l’anamnesi può
evidenziare sintomi trascurati, come senso di intorpidimento o senso di freddo alle estremità
inferiori.
Diagnosi
La diagnosi di polineuropatia diabetica distale non è semplice vista la difficoltà di definizione della
patologia stessa e prevede una accurata anamnesi (intervista sui sintomi su-riportati) ed un esame
obiettivo con particolare attenzione ai riflessi osteotendinei (riflesso rotuleo e achilleo), valutazione del
trofismo muscolare (estensione contro resistenza, marcia sui talloni), valutazione della sensibilità
vibratoria (diapason a 128 cicli) e uso del monofilamnto da 10 grammi (valutazione della sensibilità
pressoria) applicato alle dita dei piedi. Anche la accurata ispezione dei piedi è raccomandata, onde
evidenziare callosità, malformazioni, che rappresentano fattori di rischio per future ulcere del piede. La
combinazione di più di un test ha una sensibilità >87% di porre diagnosi di polineuropatia diabetica.
Viene poi raccomandato di escludere la presenza di altre cause di polineuropatie, come il deficit di
vitamina B12, l’ipotiroidismo, l’uremia ed altre condizioni demielinizzanti.
Neuropatie focali e multifocali
Le mononeuropatie rappresentano il 15% di tutte le neuropatie e sono caratterizzate da
esordio acuto con paresi e dolore. I principali nervi interessati sono il III e VI nervo cranico,
il nervo femorale e lo sciatico. L’interessamento del III nervo cranico con diplopia e ptosi
palpebrale è noto come oftalmoplegia diabetica. Possono anche essere interessati i nervi toracici
radicolari con la comparsa di dolori a fascia mono o bilaterali di tipo intercostale, a cui non
sempre viene data una corretta interpretazione.
L’amiotrofia diabetica consiste nella presenza di dolore molto forte associato a debolezza
muscolare uni- o bilaterale, che colpisce prevalentemente i muscoli della coscia; si manifesta
per lo più in diabetici di tipo 2 anziani e può accompagnarsi a segni di vasculite nelle zone
biopsiate. Anche in questo caso il dolore può essere esacerbato dalla presenza assieme al
diabete di una causa secondaria di neuropatia demielinizzante.
NEUROPATIA AUTONOMICA
Un
aspetto particolare della neuropatia diabetica è rappresentato dai disturbi di tipo
vegetativo. I sintomi della neuropatia vegetativa sono aspecifici e di difficile riconoscimento
diagnostico. Le più importanti manifestazioni cliniche della neuropatia autonomica sono
tachicardia a riposo, scarsa resistenza alla attività fisica, ipotensione ortostatica, stipsi,
gastroparesi, disfunzione erettile, disfunzione sudoromotoria, labilità e scarsa risposta
all’ipoglicemia (diabete cosiddetto “instabile”). Questi sintomi possono essere mescolati tra di
loro e sono in genere causa di depressione e trascuratezza della cura per la gravità dei
disturbi.
Probabilmente è coinvolto tutto il sistema neuro-vegetativo anche se la sintomatologia
diventa più evidente in alcuni distretti rispetto ad altri. Come per la neuropatia somatica
anche in questo caso la diagnosi è di esclusione, occorre pertanto escludere qualsiasi altra
causa di disautonomia (dialisi, S. di Shy-Drager, ecc.). E’ importante una corretta anamnesi ed
una adeguata diagnostica strumentale (vedi appresso). I principali distretti interessati sono:
nervi cranici, distretto cardiovascolare, distretto respiratorio, distretto genitourinario,
distretto gastrointestinale, distretto della termoregolazione e sudoriparo.
Nervi Cranici
Le alterazioni sono riconoscibili soprattutto a livello del distretto oculare e comprendono: la
prevalenza della miosi, la riduzione del riflesso fotomotore e di accomodazione, l’anisocoria,
mentre molto più raro è il fenomeno di Argyll-Robertson (pupilla piccola irregolare che non
reagisce alla luce, ma si restringe sia nell’accomodazione sia nella convergenza). Il paziente
non avverte disturbi ad esclusione di una maggior difficoltà ad adattare la vista al buio
soprattutto durante la guida (prevalenza della miosi).
Distretto cardiovascolare
I sintomi principali sono:
•
tachicardia a riposo e mancata variazione della frequenza cardiaca durante lo sforzo
fisico o il riposo notturno
•
ipotensione ortostatica con astenia, vertigini, annebbiamento del visus
•
rilievo occasionale all’ECG di pregresso infarto miocardio senza una sintomatologia
corrispondente
all’anamnesi.
L’ischemia
miocardia
silente
potrebbe
spiegare
l’aumentata mortalità, in particolare la morte improvvisa, riscontrata nei diabetici.
Distretto gastrointestinale
A livello del tubo gastroenterico la neuropatia vegetativa diabetica causa una sintomatologia
quanto mai varia:
•
diarrea, stipsi o alternanza dei due sintomi (danno para o ortosimpatico)
•
disfagia per i solidi, pirosi, dispepsia, vomito, senso di ripienezza e precoce sazietà,
atonia gastrica (senso di guazzamento)
•
incontinenza sfinterica soprattutto notturna
•
disturbi della funzionalità gastrica (gastroparesi: costituisce un ostacolo alla
alimentazione e a volte alla terapia farmacologica orale)
•
dispepsia, anoressia, nausea, eruttazioni, digestione lunga e difficile, con o senza
discinesie del piloro (sino allo spasmo). Provocano un’irregolare assunzione di
alimenti e farmaci con conseguente difficile controllo glicemico
•
colelitiasi.
Apparato genitourinario
La vescica neuropatica presenta una ridotta sensibilità e conseguentemente un alterato
svuotamento. Si rileva inizialmente un aumento della capacità vescicale, il paziente urina
meno frequentemente e volumi maggiori soprattutto al mattino. La riduzione della frequenza
delle minzioni spesso viene erroneamente considerato dal paziente come un miglioramento.
E’ utile chiedere al paziente quante volte urina nella giornata, perché variazioni nella
frequenza potrebbero essere segno di danno vegetativo. Un altro aspetto della neuropatia
vegetativa è, nel maschio, l’impotenza (vedi capitolo successivo). Anche nella donna sono
segnalati sintomi legati alla sfera sessuale: dispaurenia, anorgasmia, correlati soprattutto alle
alterazioni delle secrezioni vaginali.
Apparato della termoregolazione e sudoriparo
Nel paziente con neuropatia vegetativa la sudorazione è caratterizzata da:
•
riduzione nella parte inferiore del corpo ed aumento al volto ed al tronco;
•
iperidrosi spontanea oppure dopo assunzione di cibi speziati o formaggi fermentati;
•
sudorazione gustativa (vi è possibilità di confondere la sudorazione gustativa con crisi
ipoglicemiche);
•
inversione del gradiente termico (a bassa temperatura il paziente presenta piedi più
caldi delle mani) con aumentato rischio di colpo di calore o colpo di sole.
Distretto respiratorio
Nel paziente con neuropatia vegetativa sono possibili:
•
apnee notturne
•
ridotta attività bronchiolare
•
ridotta risposta diaframmatica
Le apnee morfeiche sono un indice di maggior rischio di complicanze respiratorie dopo
intervento chirurgico e di morte improvvisa. I pazienti in attesa di intervento chirurgico
devono essere valutati dal punto di vista neurologico e nel caso di un riscontro positivo di
neuropatia autonomica è opportuno allertare l’anestesista.
PREVENZIONE E TERAPIA DELLA NEUROPATIA
Prevenzione
La neuropatia diabetica è una grave complicanza cronica del diabete con scarse possibilità di intervento
farmacologico; la prevenzione è il trattamento più efficace. Gli studi DCCT (2) e UKPDS (3) hanno
dimostrato che uno stretto controllo glicemico può ridurre l’incidenza di neuropatia sia nel diabete tipo 1
sia tipo 2. Il controllo metabolico deve pertanto essere considerato come il primo mezzo per realizzare la
prevenzione della neuropatia diabetica. E’ anche consigliata l’astensione dal fumo e dall’alcol.
Terapia Sintomatica
Non è ancora stato identificato un trattamento causale, in grado di riparare il danno neurologico; al
momento il trattamento rimane sintomatico e quando il danno neuropatico si è presentato non esiste un
schema terapeutico unitario. I vari trattamenti proposti devono essere adattati al singolo paziente.
Riportiamo dallo Statement ADA (1) una tabella che riunisce le anormalità riscontrate con il possibile
approccio terapeutico (e l’esito quasi sempre nullo o a rischio per effetti collaterali):
anormalità
↑ via dei polioli
composto
Inibitori
della
riduttasi:
sorbibil
tolrestat
ponalrestat
AS-3201
epalrestat
Obiettivo del
trattamento
aldoso- ↓ della concentrazione
di sorbitolo nel nervo
↓ mioinositolo
mioinositolo
↑ stress ossidativo
Acido alfa-lipoico
↑ ipossia del nervo
↓ C-peptide (ipotesi)
Vasodilatatori:
- ACE inibitori
- Analoghi prostaglandine
- transfer genico VEGF165
Inibitori
della
PKC
(ruboxistaurin)
C-peptide
↓ neurotrofismo
NGF (nerve growth factor)
↑ protein kinasi C
↓ acidi grassi a catena Acetil-carnitina
lunga
↓ sintesi ac. γ-linolenico ac. γ-linolenico
↑
glicazione
non- aminoguanidina
enzimatica (AGE)
Stato degli studi
Sospeso
Sospeso
Inefficace
Trial in corso
Venduto in
Giappone
del Risultato incerto
↑ mioinositolo
nervo
↓
radicali
liberi Trial in corso
dell’ossigeno
↑ flusso ematico del Efficace in un trial
nervo
↑ angiogenesi
↑ flusso ematico del
nervo
↑ flusso ematico del
nervo
↑
rigenerazione
nervosa
↓ accumulo ac. grassi a
catena lunga
↑ metabolismo ac.
grassi essenziali
↓ accumulo AGE
Trial in corso
Trial in corso
Trial in corso
Inefficace
Inefficace
Sospeso
Sospeso
In presenza di un danno neuropatico, oltre allo stretto controllo metabolico, bisogna ridurre
il rischio di danni causati dalla neuropatia stessa (prevenzione secondaria). Il paziente sarà
istruito al controllo quotidiano del piede per ridurre il rischio di ulcere e di amputazioni, la
vescica dovrà essere svuotata ad intervelli regolari (3-4 ore) per ridurre il rischio di infezioni,
ecc. (a seconda del danno neuropatico prevalente: ipotensione ortostatica, disfunzione
erettile, ecc…).
Terapia del dolore
Il trattamento farmacologico della neuropatia di maggior impegno è il trattamento del dolore. Anche in
questo caso non esiste una terapia sicuramente efficace e risolutiva, ma si ricorda che la sintomatologia
dolorosa tende a peggiorare, se non trattata, nel tempo. Un obiettivo realistico sarà quindi la riduzione del
dolore, ricorrendo ai farmaci sotto elencati (consulenza diabetologica e/o neurologica).
Farmaci orali utili per il trattamento della neuropatia dolorosa
Classe di farmaci
Triciclici
Inibitori selettivi della
riassunzione della serotonina
Anticonvulsivanti
Opiodi
farmaco
Amitriptilina
Imipramina
Paroxetina
Citalopram
Gabapentin
Pregabalin
Carbamaxepina
Topiramide
Tramandolo
Oxicodone CR
Dose giornaliera
(mg)
25-150
25-150
40
40
900-1.800
150-600
200-400
Sino a 400
50-400
10-60
Effetti collaterali
++++
++++
+++
+++
++
++
+++
++
+++
++++
- Antidepress i vi : triciclici o inibitori del reuptake di serotonina. Secondo i ricercatori della
Mayo Clinic i farmaci triciclici sono i farmaci di prima scelta nel trattamento della neuropatia
periferica diabetica. L’amitriptilina è stato il primo farmaco utilizzato anche se la presenza di
effetti collaterali ne riduce l’impiego (sino al delirio soprattutto negli anziani). Meglio tollerati
sono la desipramide e la nortriptilina. E’ meglio non utilizzare i triciclici in caso di alterazioni
della conduzione (QTC maggiore o uguale a 440–470 ms), di glaucoma, di ipertrofia benigna
della prostata o di disordini bipolari. La fluoxetina è in grado di controllare il dolore
neuropatico se è peggiorato da depressione. Di grande interesse è la venlafaxina che combina
i vantaggi sia dei triciclici sia della fluoxetina senza gli effetti collaterali dei primi.
- Anticonvulsivanti : carbamazepina, fentoina, gabapentin e lamotrigina. Il meccanismo
d’azione di questi farmaci è il blocco dei canali del sodio. La carbamazepina è considerata
dalla FDA come il farmaco di prima scelta nelle neuropatie del trigemino. Gli effetti
secondari sono: vertigini e dispepsia, agranulocitosi e anemia aplastica (utile controllo
frequente della crasi ematica), SIADH ed epatotossicità. Per quanto riguarda il gabapentin i
principali effetti indesiderati sono vertigine, sonnolenza e confusione.
- Analgesici : opioidi, tramadolo. Abitualmente utilizzati dopo il fallimento delle altre terapie
negli ultimi anni sono stati rivalutati nel trattamento del dolore ed utilizzati sin dall’esordio
dei primi sintomi. Gli effetti collaterali del tramadolo sono sonnolenza, costipazione e cefalea
(non utilizzare in pazienti con storia di abuso di farmaci o in trattamento con anti-MAO).
- Altri farmaci: Baclofen, clonidina transdermica.
Riferimenti bibliografici
1. Boulton AJM, Vinik AI, Arezzo JC, Bril V, Feldman EL et al. Diabetic neuropathies.
A statement by the American Diabetes Association. Diabetes Care 28:956-62,2005
2. The Diabetes Control and Complications Trial research group. The effect of intensive
treatment of diabetes on the development and progression of long-term complications in
insulin-dependent diabetes mellitus. N Engl J Med 329:977-86,1993.
3. UKPDS 35. Association of glycaemia with macrovascular and microvascular
complications of type 2 diabetes. Prospective observational study. Br Med J 321:40512,2000.
IL PIEDE DIABETICO 3
Le ulcere al piede e le amputazioni sono tra le maggiori cause di morbilità, disabilità e
malessere fisico e psichico nei diabetici. Il riconoscimento precoce e il controllo dei diversi
fattori predisponesti possono prevenire o ritardare la comparsa di eventi avversi. Si farà
riferimento essenzialmente alle linee guida dell’American Diabetes Association (1,2) ed a
quelle delle Società scientifiche italiane (3).
Il rischio di ulcere od amputazioni è aumentato nei pazienti diabetici con durata di
malattia ≥10 anni, di sesso maschile, in cattivo compenso glicemico, in presenza di
complicanze cardiovascolari, retiniche o renali. Sono state segnalate le seguenti
condizioni che aumentano significativamente il rischio di amputazione:
•
Neuropatia periferica con perdita della sensibilità protettiva
•
Alterazioni biomeccaniche dell’appoggio del piede (in presenza di neuropatia)
•
Evidenza di aumento localizzato del carico (eritema, emorragia sotto una callosità)
•
Deformità ossee
•
Vascolopatia periferica (riduzione o assenza dei polsi ai piedi)
•
Precedenti di ulcere o amputazioni
•
Grave patologia delle unghie.
La prevenzione di questa grave complicanza diabetica deve essere perseguita con impegno sia
perché molto efficace sia perchè gli interventi di terapia sono complessi, costosi e non
sempre riescono a garantire una buona qualità di vita.
Esame del piede
Tutti i diabetici devono ricevere una visita annuale del piede per evidenziare le situazioni ad
alto rischio evolutivo. L’esame deve comprendere il rilievo delle sensazioni protettive, la
struttura e architettura del piede, lo stato vascolare (valutazione dei polsi) e la integrità
cutanea. I soggetti con una o più condizioni di rischio devono essere rivalutati in tempi più
brevi e in presenza di neuropatia ad ogni incontro col personale sanitario. Tra le valutazioni
considerate importanti si segnala il rilievo della sensibilità alle dita dei piedi usando il
monofilamento di 10 g di capacità pressoria (di Semmes-Weinstein). La presenza di cute
calda, di eritema, di callosità suggeriscono un rischio aumentato in zone precise così come le
deformità ossee e la ridotta mobilità delle giunture possono compromettere la stabilità e
omogeneità del carico.
3
In collaborazione con A. Bruno
Programma educativo
Per la prevenzione delle ulcere e delle amputazioni oltre all’esame corretto dei piedi e della
deambulazione è importante una attenta e costante educazione del paziente, soprattutto in
presenza delle condizioni di rischio su-citate. Il programma educativo si può articolare su tre
livelli (3):
1° livello. E’ importante discutere con ogni paziente diabetico l’importanza della
igiene e della cura dei piedi, finalizzata a prevenire complicanze future assai più
difficili da controllare. Ciò viene integrato dalla visita accurata dei piedi, come già
detto, 1 volta all’anno da parte del personale sanitario (ad es., infermiere
debitamente istruito);
2° livello. Impostazione di un piano di cura del diabete in presenza di segni di
danno neurologico o circolatorio, onde limitare il danno, impedirne la
progressione e possibilmente ottenerne la regressione (vedi terapia medica e
chirurgica);
3° livello. Scegliere con il paziente gli interventi radicali necessari per migliorare
le condizioni di vita possibilmente garantendo la possibilità di deambulazione.
Raccomandazioni da somministrare ai pazienti ad ogni occasione:
nella scelta delle scarpe badare sopratutto alla forma e non alla moda.
comprare le scarpe al pomeriggio, quando i vostri piedi sono già leggermente gonfi.
indossare le scarpe nuove solo poche ore al giorno;
controllare i piedi dopo aver indossato le scarpe soprattutto se nuove.
non indossare scarpe nuove per molte ore (ad esempio scarponi nuovi per una gita in
montagna).
non utilizzare scarpe di materiale sintetico
l´interno delle scarpe non deve avere cuciture o altre parti sporgenti.
non camminare mai scalzi.
non indossare mai sandali o infradito
indossare scarpe antinfortunistiche quando eseguite un lavoro durante il quale esiste un
pericolo di ferimento (giardinaggio ecc..). I rinforzi devono essere ben imbottiti
prima di infilare le scarpe controllare che non vi siano oggetti estranei (sassolini, schegge,
strappi o pezzi di intersuola sporgenti) oppure pieghe o altre irregolarità che potrebbero
premere sul piede.
non portate mai le scarpe senza calze.
Utilizzare scarpe adatte se si utilizzano solette ortopediche.
le solette sono abbinate alle scarpe e non possono essere trasferite a tutte le scarpe.
evitare l'uso di forbici o di oggetti taglienti per la cura delle unghie e dei calli
usare la lima invece delle forbici,
evitare le fonti di calore diretto sul piede, tipo scaldini per il letto
lavare ogni giorno i piedi con acqua fredda/tiepida e sapone, avendo poi cura di asciugarli
molto bene, soprattutto tra le dita
mantenerli sempre asciutti e puliti
usare creme idratanti, per evitare che si formino tagli e ferite nella pelle secca,
fare attenzione alle cuciture interne alle calze (se ci sono, è meglio indossare la calza a
rovescio)
usare calze di cotone o di lana, non in fibra sintetica
se necessario, utilizzare plantari morbidi che ridistribuiscano il peso sui piedi mentre si
cammina
evitare l'uso di cerotti, disinfettanti, tintura di iodio e alcol che possono essere irritanti per
la pelle
controllare spesso con uno specchio le piante dei piedi
evitare fumo e alcolici
Mostrare al medico ogni piccola ferita al piede o alle unghie, anche insignificante
raccontare al medico se compare dolore ai piedi, o sensazione di formicolio, se vi sembra
di avere una sensibilità diversa tra un piede e l'altro, se camminando per strada dovete
fermarvi e attendere che vi passi il dolore ai polpacci
non tagliare né bucare eventuali bolle o vescicole
Classificazione delle ulcere
Una corretta classificazione delle ulcere del piede diabetico tiene conto del momento
patogenetico e del quadro clinico negli aspetti: morfologico, evolutivo e prognostico.
Partendo da un criterio prevalentemente patogenetico, legato alle complicanze del diabete, si
può formulare una prima classificazione dell’ulcera:
1. neuropatica: dovuta alla compromissione del sistema nervoso somatico e
autonomico.
2. ischemica: dovuta alla compromissione del micro e del macrocircolo.
3. neuro-ischemica: dovuta alla coesistenza di entrambi i fattori.
Classificazione proposta da Wagner
Grado 0
assenza di ulcere, rischio di lesione per presenza di complicanze neuropatiche
o vascolari
Grado I
ulcera limitata al derma
Grado II
ulcera estesa ai tendini o alle capsule articolari
Grado III ulcera estesa all’osso con o senza osteite o osteomielite
Grado IV gangrena localizzata
Grado V
gangrena estesa alla maggior parte del piede
Diagnosi
Per un corretto inquadramento diagnostico, da cui deriva un corretto approccio terapeutico,
occorre una valutazione clinica (aspetto, sede, durata e sintomatologia) e strumentale delle
ulcere.
Diagnosi differenziale clinica tra ulcere prevalentemente neuropatiche e ulcere prevalentemente
vascolari.
aspetto
sede
durata
sintomatologia
ulcera neuropatica
rotondeggiante con margini duri, callosi,
spesso sottominati, fondo deterso, la cute
è calda ed i polsi sono presenti
in genere plantare
può essere anche di molti anni
assenza del dolore
ulcera vascolare
irregolare, con margini
frastagliati, cute fredda,
pallida, presenza di escare
qualunque sede del piede
in genere acuta
molto dolorosa
STORIA NATURALE DELLA GANGRENA DIABETICA
Fattori predisponenti
generali:
• durata del diabete ≥10 anni
• sesso maschile
• cattivo compenso
• altre complicanze in atto
Fattori predisponenti
locali:
• alterazionini dell’appoggio
• deformità osssee
• neuropatia periferica
• vascolopatia periferica
Traumi comuni
Lesioni cutanee
Ulcere
Infezione sovrapposta
Gangrena
Amputazione
TERAPIA
La terapia delle ulcere periferiche può essere medica o chirurgica.
TERAPIA MEDICA
TERAPIA CHIRURGICA
•
Generale
medicazione
•
Del dolore
applicazione di apparecchi di scarico
•
Emoreologica
amputazioni
ulcerectomia
radiologia invasiva
by-pass
innesti cutanei
ortopedica ricostruttiva
Terapia medica generale: la terapia medica delle ulcere significa essenzialmente controllo
della glicemia. La presenza di infezioni cutanee può di per sé essere causa di peggioramento
del compenso (terapia antibiotica a largo spettro o scelta sul tampone culturale eseguito in
sede di ulcera).
Terapia del dolore: nella maggior parte delle ulcere neuropatiche la sensibilità al dolore è
assente. In caso di iperestesia il dolore può essere molto forte; in questi casi si consiglia una
terapia con antidepressivi triciclici (Amitriptilina, Nortriptilina, Imipramina, Desipramina,
Trazodone) o altri farmaci già ricordati nel capitolo 45. In caso di ulcere vascolari il dolore
rappresenta uno dei sintomi più frequenti e può essere così forte da rendere difficile anche
l'esecuzione delle medicazioni. Se la situazione vascolare non è ricostruibile e se si misurano
al dorso del piede valori di
ossimetria inferiori a 10 mmHg, è necessario prendere in
considerazione l’amputazione.
Terapia emoreologica: esistono dubbi sull’efficacia della terapia farmacologica nel paziente
con vasculopatia, in particolare in pazienti con ulcera al piede soprattutto nel salvataggio
d’arto. I farmaci più efficaci sono i prostanoidi, che migliorano l’ossigenazione tessutale.
Medicazioni: da eseguire in ambiente specialistico.
Applicazione di apparecchi di scarico: consulenza ortopedica.
Amputazioni: nel caso di un piede diabetico acuto, l’approccio è di urgenza, determinata
dalla presenza di tre condizioni cliniche: l’ascesso, la fascite necrotizzante e la gangrena. Il problema
va valutato in ambito specialistico.
Chirurgia vascolare: per ristabilire una adeguata ossigenazione periferica l’approccio più
razionale
è
la
rivascolatrizzazione,
non
sempre
adeguatamente
ottenibile
data
la
plusegmentarietà delle stenosi.
Innesti cutanei: negli ultimi tempi l’ingegneria dei tessuti è diventata una possibile
alternativa terapeutica per il trattamento delle ulcere, che può essere impostata in Centri
specializzati.
Riferimenti bibliografici
1. American Diabetes Association. Preventive foot care in diabetes. Diabetes Care
27(suppl.1):S63-S64,2004
2. American Diabetes Association.. Clinical Practice Recommendations 2008. Diabetes
Care 31(suppl.1):S32-S33,2008
3. AMD – SID - Diabete Italia: Standard italiani per la cura del diabete mellito. Ed. Infomedica pagg. 7579,2007.
DISFUNZIONE ERETTILE NEL MASCHIO DIABETICO4
Per disfunzione erettile (DE) si intende l’incapacità di ottenere e/o mantenere una erezione sufficiente per
una attività sessuale soddisfacente; questo termine sostituisce il precedente di impotenza, che implicava una
evidente connotazione negativa. La prevalenza tra i maschi diabetici è del 35% (4% nei giovani con meno
di 20 anni, 45% negli ultrasessantenni) (1).
La DE può essere di natura: organica, dovuta a cause vascolari, neurologiche, ormonali o locali; di natura
psicogena se in assenza di cause organiche; o mista, favorita da un insieme di fattori.
LE IMPOTENZE ORGANICHE
LOCALI
TOSSICHE
VASCOLARI
Induratio penis
Da fumo
Da alcool
Da farmaci
Malformative
Arteriose
Venose
NEUROGENE traumi del midollo spinale
neuropatie periferiche
interventi chirurgici
ENDOCRINE
sclerosi a placche
tabe dorsale
epilessia, trattamento
farmacologico specifico
ipogonadismi primitivi
ipogonadismi secondari
iperprolattinemia
patologia tiroidea
patologia surrenalica
4
In collaborazione con A. Bruno
Betabloccanti, Spironolattone, Fenotiazine,
Anoressizzanti, Triciclici, Antiandrogeni,
Antagonisti gonadotropine, Corticosteroidi,
Antimicotici……
ipoplasia totale o segmentarla, fistole arterovenose
sindrome di Leriche, arteriti, interventi
chirurgici ricostruttivi vascolari, traumi
della pelvi
eccessivo od anomalo scarico venoso
Diabetica, alcolica
effettuati sul retto, prostatectomia radicale,
cistectomia, proctocolectomia, colectomia
totale, sfinterotomia transuretrale esterna
sindrome di Klinefelter, anorchia o
sindrome del testicolo evanescente
deficit isolato di gonadotropine, deficit
multiplo (panipopituitarismo anteriore)
tumori ipofisari (micro e macro
adenomi), forme funzionali
idiomatiche, forme iatrogene (es.con
neurolettici)
Ipotiroidismo, ipertiroidismo
morbo di Addison,
ipercorticosurrenalismo, sindrome di
Cushing
Un aspetto difficile da valutare è la quantizzazione del difetto, che grossolanamente viene definito come grave
quando l’attività sessuale è completamente assente da più di 6 mesi, lieve quando è sporadicamente
insoddisfacente e moderata tra i due estremi prima descritti.
Patogenesi
La patogenesi della DE diabetica è simile a quella dei soggetti non diabetici, con un aumento delle cause
neurologiche specifiche, che possono raggiungere il 50% e comprendono danni da demielinizzazione
(degenerazione e perdita delle cellule di Schwan), denervazione (riduzione fibre colinergiche),
microangiopatia con miopatia cavernosa, a cui si aggiungono i danni macroangiopatici delle arterie
pudende e possibile alterazione del fenomeno veno-occlusivo per miopatia cavernosa.
Diagnosi
La diagnosi di DE nel diabete si basa su normali controlli e procedure come per chi non ha il diabete:
•
anamnesi (fumo, alcool, abitudini vita, farmaci),
•
valutazione psicologica di coppia,
•
esame dei polsi arteriosi e valutazione della sensibilità tattile,
•
esami di laboratorio. Profilo glicemico, Hb A1, creatininemia, microalbuminuria, quadro lipidico.....
+ esami endocrinologici di base (testosterone, TSH e PRL).
•
test specifici sono: la valutazione della efficacia della somministrazione intracavernosa di PGE1,
Rigiscan, test per la neuropatia autonomia (potenziali evocati sacrali), sensibilità peniena
(biotesiometria peniena), test vascolari (indice di Winsor, ecodoppler vasi penieni, arteriografia
selettiva, laser-doppler) e test urologici. Utile dal punto di vista pratico la risposta al sildenafil.
Terapia
Il primo atto terapeutico sarà rivolto al controllo metabolico anche se questo nella maggior parte
dei casi non risolve il problema a tempi brevi (ma riduce la probabilità di aggravamento nel
futuro); devono assolutamente essere eliminati gli altri fattori di rischio come il fumo e
l'alcool. La terapia può essere medica (locale o sistemica) o chirurgica (vascolare, protesica).
Terapia medica locale
La terapia locale si avvale di farmaci vasoattivi capaci di migliorare l'afflusso di sangue
quando iniettati all'interno dei corpi cavernosi: il loro uso permette il ripristino immediato
della attività sessuale. Il farmaco che viene abitualmente usato è la prostaglandina PgE1 (non
più utilizzata la papaverina). Questa terapia non viene accettata da tutti i pazienti e qualche
volta dà luogo a dolori locali seppur passeggeri, alla fibrosi intracavernosa, ad erezioni
prolungate e in rari casi al priapismo.
Terapia medica sistemica
La terapia medica ha conosciuto negli ultimi tempi una rivoluzione con l’introduzione del
sildenafli (Viagra) e, successivamente, il vardenafil (Levitra). Il farmaco agisce per os, è efficace,
affidabile, agisce esclusivamente in risposta allo stimolo sessuale e non è in grado da solo di
provocare una erezione. Gli eventi avversi segnalati sono generalmente transitori e modesti;
tra questi ricordiamo la cefalea, il flushing, la dispepsia e i disturbi visivi (alterazione della
percezione dei colori, visione sfocata, o alterata percezione della luce). Questi farmaci sono
controindicati nei pazienti in terapia con nitrati o con nitrito di amile (donatore di ossido di
azoto), nei pazienti con condizione cardio-circolatoria gravemente compromessa, in cui
l’attività sessuale sia comunque sconsigliata e in situazioni come l’insufficienza epatica grave,
l’ipotensione arteriosa, la retinite pigmentosa o una storia recente di infarto o ictus. Sono
segnalate interazioni con altri farmaci (cimetidina, ketoconazolo, eritromicina) che aumentano
le concentrazioni ematiche di sildenafil. La dose consigliata di sildenafil è di 25-50 mg assunti
circa 60 minuti prima dell’attività sessuale o di 5-10 mg di vardenafil (dosi inferiori negli
anziani).
Terapia chirurgica
La chirurgia vascolare andrologica prevede la possibilità di ripristinare l'afflusso di sangue al
pene con interventi di microchirurgia (le anastomosi si obliterano successivamente in più del
50% dei casi) o la terapia protesica. Le protesi peniene attualmente usate sono idrauliche e
possono essere attivate e disattivate all'occorrenza, mimando il meccanismo erettile normale.
Terapia psicologica di sostegno
Il supporto psico-sessuologico va effettuato in molte istanze non solo come terapia di base
ma anche come complemento importante alla terapia medica e chirurgica.
Riferimenti bibliografici
1. AMD – SID - Diabete Italia: Standard italiani per la cura del diabete mellito. Ed. Infomedica pagg. 7475,2007.
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