Un aristocratico percorreva la strada in carrozza. Investì
mio padre.
*
Dopo la cerimonia tornai in città a piedi. Cercavo di pensare alla ragione della morte di mio padre. Poi me la ricordai: era stato investito da una carrozza.
*
Telefonai a mia madre e le diedi la notizia della morte di
mio padre. Disse che probabilmente era meglio così. Anche secondo me probabilmente era meglio così. La sua capacità di godere delle cose stava diminuendo. Mi chiesi se
avrei dovuto provare a rintracciare l’aristocratico la cui
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Vedute di mio padre in lacrime
carrozza lo aveva investito. Si diceva che ci fossero un paio
di testimoni.
*
Sì è possibile che non sia mio padre quello seduto lì al centro del letto in lacrime. Potrebbe essere qualcun altro, il
postino, quello che consegna la spesa, un assicuratore o
un esattore delle tasse, chissà. Tuttavia, devo ammetterlo,
somiglia a mio padre. La somiglianza è molto marcata.
Sotto le lacrime non sorride, ma manda sguardi di disapprovazione. Ricordo che un giorno eravamo al ranch a
sparare ai peccatucci (risultato dell’incontro, nelle terre
dell’Ovest, fra il pecari dal collare e certi cavallucci di piccola taglia). Mio padre mancò il colpo. Pianse. Questo
pianto somiglia a quel pianto.
*
«L’hai visto?» «Sì ma solo in parte. Il resto del tempo ero
di spalle». La testimone era una bambina di undici o dodici anni. Viveva in un quartiere molto povero e ipotizzai
che, se avesse testimoniato, difficilmente le avrebbero creduto. «Ti ricordi com’era fatto l’uomo nella carrozza?»
«Sembrava un aristocratico», disse.
*
Il primo testimone dichiara che l’uomo nella carrozza
«sembrava un aristocratico». Ma forse era solo la carrozza. Chiunque sieda in una splendida carrozza con un vetturino in cassetta e magari un paio di valletti al seguito
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donald barthelme
tende a sembrare un aristocratico. Mi segnai il suo nome e
le chiesi di chiamarmi se si fosse ricordata altro. Le diedi
una caramella.
*
Andai nella piazza in cui era stato ucciso mio padre e chiesi ai passanti se avessero visto l’incidente, o conoscessero
qualcuno che l’aveva visto. Allo stesso tempo sentivo che
era fatica sprecata. Anche se avessi trovato l’uomo la cui
carrozza aveva causato l’incidente, che cosa gli avrei detto? «Hai ucciso mio padre». «Sì», avrebbe detto l’aristocratico, «ma lui si è lanciato fra le zampe dei cavalli. Il mio
ragazzo ha cercato di fermarsi ma è successo tutto troppo
in fretta. Nessuno poteva farci niente». Poi forse mi avrebbe offerto una borsa piena di soldi.
*
L’uomo seduto al centro del letto assomiglia molto a mio
padre. Sta piangendo, le lacrime gli solcano le guance. Si
vede che qualcosa lo ha scosso. Guardandolo, vedo che c’è
qualcosa che non va. Spruzza come un idrante con la valvola spaccata. Il suo piagnisteo attraversa in un lampo
ogni stanza. Mi ammorbidisco e mi porto una manina al
petto e dico: «Papà». Questo non lo distrae dalla lagna,
che si acuisce sino a diventare uno strillo, sprofonda nel
piagnucolio. Mio padre ha un’estensione enorme, e un’ambizione commisurata. Dico ancora: «Papà», ma mi ignora. Non so se sia il momento di scappare o se ci vorrà ancora un po’ perché sia il momento di scappare. Potrebbe
interrompersi di colpo, farsi severo. Ho tenuto la porta
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la vita in città
aperta e lasciato la via di fuga sgombra, e non ho chiuso la
zanzariera e come se non bastasse il motore è acceso, nella
Mustang. Ma forse non è mio padre che se ne sta lì a piangere, ma un altro padre: il padre di Tom, il padre di Phil, il
padre di Pat, il padre di Pete, il padre di Paul. Si potrebbe
applicare un qualche test, la lettura dell’impronta vocale,
oppure
*
Mio padre lancia in aria il gomitolo. La lana arancione resta lì sospesa.
*
Mio padre osserva il vassoio di pasticcini rosa. Infila il
pollice nella glassatura. Un pasticcino dopo l’altro. Un
grosso sorriso si allarga sul viso di ognuno dei pasticcini.
*
Poi un uomo mi disse spontaneamente che aveva sentito
due altri uomini parlare dell’incidente in un negozio. «Che
negozio?» L’uomo me lo indicò, era un negozio di tessuti
sul lato sud della piazza. Entrai nel negozio e cominciai a
indagare. «Ah, era suo padre? Se vuole la mia, era davvero impedito». Questo era il commesso al bancone. Ma un
altro uomo lì accanto, benvestito, persino elegante, con la
catena d’oro dell’orologio tesa sul panciotto, dissentì. «È
stata colpa del conducente», disse il secondo uomo.
«Avrebbe potuto fermarli, se avesse voluto». «Sciocchezze», disse il commesso, «neanche per sogno. Se suo padre
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non fosse stato ubriaco –» «Non era ubriaco», dissi. «Sono arrivato sulla scena subito dopo il fatto, e non ho sentito puzza di alcol».
*
Era vero. Mi aveva avvertito la polizia, che era venuta
nella mia stanza e mi aveva portato sul luogo dell’incidente. Mi ero chinato su mio padre, che aveva il petto
schiacciato, e avevo posato una guancia contro la sua. La
sua guancia era fredda. Non avevo sentito puzza di alcol
ma il sangue che gli usciva dalla bocca mi aveva macchiato il colletto della giacca. Avevo chiesto ai presenti come
era successo. «L’ha investito una carrozza», avevano detto. «Il conducente si è fermato?» «No, ha sferzato i cavalli e ha proseguito lungo la strada e poi ha voltato l’angolo in fondo, verso King’s New Square». «Non avete idea
di chi potesse essere il proprietario della...» «No». Poi
avevo preso accordi per la sepoltura. Solo svariati giorni
dopo mi era venuta l’idea di cercare l’aristocratico che era
nella carrozza.
*
Nella mia vita non avevo mai avuto a che fare con gli aristocratici, neppure sapevo in che zona della città vivessero, nelle loro grandi case. Così anche se avessi rintracciato qualcuno che aveva visto l’incidente ed era in grado di
identificare l’aristocratico in questione, avrei avuto l’ulteriore problema di trovare la sua casa e riuscire a entrarci
(e anche lì, non poteva essere all’estero?). «No, è stata colpa del conducente», disse l’uomo con la catena d’oro.
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«Anche se suo padre fosse stato ubriaco – e non saprei dirlo, in ogni caso, non ho opinioni a riguardo – anche se suo
padre fosse stato ubriaco, il conducente avrebbe potuto
impegnarsi di più per evitare l’incidente. Lo ha trascinato,
sa. La carrozza lo ha trascinato per una decina di metri».
Avevo notato che gli abiti di mio padre erano stranamente lacerati. «C’era una cosa», disse il commesso. «Non dica a nessuno che gliel’ho detto io, ma posso darle un indizio. La livrea del vetturino era blu e verde».
*
È il padre di qualcuno. Questo è chiaro. È paterno. Il grigio della testa. Il gonfiore del viso. La piega delle spalle. La
ciccia dell’addome. Le lacrime che cadono. Le lacrime che
cadono. Le lacrime che cadono. Le lacrime che cadono.
Ancora lacrime. A quanto pare è deciso a proseguire su
questa strada salina. Tutto lascia supporre che questo abbia in programma, piangere. Ha qualcosa in mente, continuare a piangere. Ohimè, ohimè. Ma perché restare? Perché guardare? Perché indugiare? Perché non scappare?
Perché sottomettermi? Potrei essere altrove, a leggere un libro, a guardare la tv, a ficcare un galeone in una bottiglietta, a ballare la danza del maiale. Potrei essere fuori in strada a palpeggiare le undicenni travestite da soldati, ce ne sono a migliaia, tutte identiche come monetine, e potrei – Ma
perché non si alza, non si ricompone, non si asciuga il viso? Sta cercando di metterci in imbarazzo. Ha bisogno di
attenzioni. Sta cercando di rendersi interessante. Forse
vuole farsi passare una pezza fresca sulla fronte, farsi tenere la mano, massaggiare la schiena, frizionare il collo, carezzare i polsi, ungere i gomiti con oli pregiati, dipingere le
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unghie dei piedi con piccole immagini di Dio che benedice
l’America. Non sarò io a farlo.
*
Mio padre ha una bandana rossa legata sul viso a coprirgli il naso e la bocca. Tende la mano destra che impugna
una pistola ad acqua. «Mani in alto!», dice.
*
Ma una livrea blu e verde non è niente di insolito. Giacca
blu e pantaloni verdi, o il contrario, se vedessi un vetturino vestito così non mi colpirebbe in modo particolare. È
vero che in genere le livree tendono a essere blu e giallino,
o blu e bianco, o blu e una specie di blu più scuro (per i
pantaloni). Ma di questi tempi si trovano spesso servitori
che scimmiottano le combinazioni di colori più squisite
affettate dai loro padroni. Ne ho visti persino con indosso
pantaloni rossi, anche se solitamente un tacito accordo riservava i pantaloni rossi all’aristocrazia. Perciò i colori
della livrea del conducente non erano molto rilevanti. Comunque era qualcosa. Ora potevo girare la città, specialmente le stalle e le bettole e i posti del genere, tenendo bene d’occhio le livree dei lacchè che vi si radunavano. Era
possibile che ci fosse più di un nobile che faceva vestire la
servitù in blu e verde, ma d’altro canto era improbabile
che ce ne fossero più di cinque o sei. Così in fondo il commesso del negozio di tessuti mi aveva offerto un ottimo indizio, ad avere le energie di seguirlo vigorosamente.
*
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VEDUTE DI MIO PADRE IN LACRIME Un