6 INDUZIONE ELETTROMAGNETICA Partendo dall’ipotesi di simmetria dei fenomeni naturali, per cui se una corrente esercita un’influenza su di una calamita così una calamita deve poter modificare lo stato di una corrente, Faraday tra il 1822 e il 1825 svolse una serie di infruttuosi esperimenti volti a mettere in luce questo effetto. L’origine degli insuccessi era legata al fatto che egli si aspettava un fenomeno stazionario, così come nell’esperimento di Ørsted la corrente determina una deviazione costante dell’ago magnetico. Utilizzando una coppia di bobine toroidali avvolte su un anello di ferro, una collegata con una pila attraverso un interruttore e l’altra chiusa su un galvanometro, nel 1831 Faraday notò un’istantanea deviazione dell’indice del galvanometro in corrispondenza della chiusura dell’interruttore. Tale esperimento venne Michel Faraday successivamente ripetuto in più modi, così nello stesso anno Faraday osservò che introducendo un magnete in una bobina cilindrica collegata ad un galvanometro, l’indice dello strumento subiva una deflessione e, quando il magnete veniva estratto, la deflessione si manifestava nel senso contrario. Da questi effetti Faraday dedusse che in un circuito chiuso si induce una corrente quando questo, posto in movimento, taglia le linee di forza di un campo magnetico. Se il circuito si allontana dal campo taglia le linee di forza in senso contrario rispetto a quando si avvicina, determinando l’inversione della corrente. Qualora il campo magnetico e il circuito siano fermi, come nel caso dell’esperimento delle bobine toroidali, nell’istante in cui una delle bobine è attraversata da corrente avviene come se le linee di forza del campo magnetico si muovessero, per cui la seconda bobina risulta percorsa da corrente. Ciò siccome lo sviluppo delle linee di forza durante il transitorio seguente alla chiusura dell’interruttore nel circuito primario è analogo all’avvicinamento della bobina ad un campo Bobina adoperata da Faraday per lo studio dell’induzione magnetico stazionario. (Royal Institution, London) Il fenomeno dell’induzione elettromagnetica venne scoperto quasi contemporaneamente dal fisico americano Joseph Henry che tuttavia non ebbe modo di rendere pubbliche le sue ricerche. Sempre nel 1831 Henry, mettendo in pratica il fenomeno dell’induzione realizzò il primo motore elettrico, in cui un magnete era fatto ruotare all’interno di una bobina. Un analogo dispositivo venne costruito nel 1833 dall’italiano Salvatore Del Negro. Gli esperimenti di Faraday e Henry misero in luce la possibilità di avere all’interno di un circuito una corrente, detta corrente indotta, senza Pagina del diario di Faraday che vi sia alcuna batteria. Poiché sono le forze elettromotrici a determinare datata 29 agosto 1831 in cui è riportata la scoperta il moto delle cariche in un circuito, vuol dire che attraverso il fenomeno dell’induzione elettromagnescoperto da Faraday, all’interno del circuito si origina una forza tica (Royal Institution, London) elettromotrice indotta. 6-2 Induzione elettromagnetica 6.1 Legge di Faraday-Henry Il flusso di una corrente tra due punti in un circuito è determinato dalla presenza di una differenza di potenziale tra questi punti. Indicando con A e B tali punti, la differenza di potenziale si esprime come: G G VA − VB = ∫ E ⋅ dl ; B A se si fa riferimento ad un circuito chiuso C, come negli esempi precedenti, si ha: G G V = v∫ E ⋅ dl . C Quindi, tramite il fenomeno dell’induzione elettromagnetica in seno al circuito si origina un campo elettromotore, cioè un campo di natura non conservativa. Sperimentalmente si osserva che la forza elettromotrice V è proporzionale alla rapidità di variazione nel tempo del flusso del campo magnetico attraverso la superficie sottesa dal circuito in esame. La variazione del flusso si può avere sia a causa della variazione del campo magnetico in prossimità del circuito, sia per una modifica della superficie attraverso la quale si calcola il flusso sia, ancora, in corrispondenza di una variazione dell’angolo compreso tra la direzione del campo magnetico e la direzione normale alla superficie considerata. L’intensità della forza elettromotrice indotta V in un circuito di superficie S, per effetto del G campo magnetico B , è data dalla legge di Faraday-Henry, che venne espressa matematicamente da Franz Neumann nel 1847: Induzione dovuta al moto di una magnete all’interno di una bobina cilindrica V =− G dφ B ( )=− d dt dt G G B ∫ ⋅ ds . (6.1) S Esempio: (Spira in rotazione in un campo magnetico) Consideriamo una spira rettangolare di superficie S e resistenza R che ruota attorno ad un’asse passante per il piano della spira con velocità angolare ω costante, in un campo G G magnetico B uniforme. L’angolo ϑ tra la direzione della normale n̂ alla superficie della spira e la direzione di B , varia nel tempo secondo la legge: ϑ = ωt G così, il flusso di B attraverso la superficie della spira vale: G G G G φ ( B ) = ∫ B ⋅ ds = ∫ B ⋅ nˆ ds = ∫ B cos ϑ ds =BS cos (ωt ) , S S S quindi la forza elettromotrice indotta vale: V (t ) = − G dφ B ( ) = BSω sin (ωt ) . dt Pertanto, la corrente che attraversa la spira ha intensità: J r B n Induzione elettromagnetica i (t ) = V (t ) R = 6-3 BSω sin (ωt ) ; R i (t ) I0 posto infine: I0 = BSω , R la corrente i ( t ) si esprime come: O - I0 i ( t ) = I 0 sin (ωt ) , t 2p w ovvero la spira risulta sede di una corrente alternata di intensità I 0 e frequenza pari a ω ( 2π ) . 6.2 Legge di Lenz Come vedremo nel seguito, la polarità della forza elettromotrice indotta può essere stabilita a partire dall’applicazione della convenzione relativa all’orientamento della superficie attraverso la quale si determina il flusso, rispetto al verso di percorrenza del contorno di tale superficie. Nondimeno questa polarità si può ricavare anche su basi fenomenologiche attraverso l’applicazione della legge proposta da Emilij Cristianovič Lenz nel 1834, la quale afferma che la polarità della forza elettromotrice indotta in un circuito G è tale da produrre una corrente che genera un campo magnetico B′ che si oppone alla variazione del flusso attraverso il circuito stesso. In altri termini, la corrente indotta tende a mantenere costante l’originario valore del campo Emilij Cristianovič Lenz magnetico. Nel caso descritto in figura, il circuito è immerso in un campo G magnetico B che aumenta nel tempo ( dB dt > 0 ); per effetto r G dB > 0 della variazione del flusso di B attraverso il circuito, questo sarà B dt sede di una forza elettromotrice. La legge di Lenz afferma che tale forza elettromotrice determinerà una corrente che percorrerà il circuito in senso orario, in maniera da generare un campo G magnetico B′ tale da opporsi all’aumento dell’intensità del G campo B . E’ possibile trovare una giustificazione di carattere C energetico a tale fenomeno; supponiamo, per assurdo, che la I forza elettromotrice indotta sia tale da produrre una corrente il cui verso determina un campo magnetico che si somma col campo originale anziché sottrarsi. In questo caso, ad un aumento G r r di B corrisponderebbe un ulteriore aumento del campo B' B magnetico totale, col conseguente aumento dell’intensità della corrente indotta. Ciò innescherebbe un processo che determinerebbe la crescita indefinita della corrente in seno al circuito; d’altra parte, poiché al passaggio di corrente è associata una dissipazione di energia, vuol dire che in tale circostanza si avrebbe la generazione progressiva di energia a spese di un C campo magnetico iniziale di intensità finita. Ciò è un palese I assurdo derivante dalla scorretta assunzione del verso della corrente indotta. 6-4 Induzione elettromagnetica 6.3 Induzione di movimento Nel suo trattato sull’elettromagnetismo del 1847, Neumann introdusse il principio secondo cui l’induzione che si produce in un certo tempo è proporzionale alla velocità con cui si muove un conduttore in un campo magnetico. Consideriamo un circuito C immerso in un campo magnetico G B ; come già visto, la variazione del flusso del campo magnetico concatenato col circuito può ottenersi in varie maniere che di solito G G possono ricondursi a due casi: il flusso di B varia perché B varia nel G tempo mentre il circuito C resta fermo; oppure il flusso di B varia siccome cambia col tempo la configurazione del circuito magnetico stazionario. Questo secondo caso è detto induzione di movimento. Il circuito, r dl nello spostarsi, genera nel tempo dt una superficie ds che C (t ) può ritenersi costituita dalle superfici elementari δ s n G r descritte dai singoli elementi del circuito. Sia v la velocità dr con cui si sposta il circuito, inteso, per semplicità, come un G corpo rigido; lo spostamento elementare dr dell’elemento C (t + dt ) G G infinitesimo di circuito dl sarà dato dal prodotto v dt , così la superficie δ s varrà: Franz Neumann G C in un campo ds ds r B G G G δ s nˆ = − dl × dr = − dl × v dt , G pertanto, la variazione nel tempo dt del flusso di B concatenato col circuito è: G G G G G dφ B = ∫ B ⋅ nˆ δ s = − ∫ B ⋅ dl × v dt , ( ( ) ) C ds G da cui, poiché B è costante, segue1: G dφ B ( ) = −V = − dt G G G G G G ⋅ × = − B dl v v ∫ ∫ × B ⋅ dl ( C ) ( ) C dove V indica la forza elettromotrice indotta nel circuito. La relazione precedente: G G G V = ∫ v × B ⋅ dl , ( ) (6.2) C consente di interpretare la forza elettromotrice indotta come dovuta all’azione della forza di Lorentz G G q v × B sulle cariche libere presenti nel circuito in moto. 1 G G G G G G In questa relazione si fa uso dell’identità vettoriale relativa al prodotto misto tra vettori A ⋅ B × C = B ⋅ C × A . ( ) ( ) Induzione elettromagnetica 6-5 Esempio: Consideriamo una sbarretta conduttrice di lunghezza l in moto a velocità costante G G v attraverso un campo magnetico B uniforme e costante nel tempo; per semplicità G G assumiamo che i vettori v e B siano perpendicolari. Per effetto del moto, sugli elettroni G G G della sbarretta agisce una forza f pari a −e v × B che li spinge verso un’estremità della G sbarretta; questo spostamento causa la generazione di un campo elettrostatico E tra gli estremi della sbarretta che, progressivamente determina una forza sugli elettroni tale da impedirne l’ulteriore movimento. La condizione di equilibrio corrispondente alla situazione in cui il moto di cariche si arresta è: r v - -- r B G G G −e E = −e v × B , G G ossia, siccome per ipotesi v e B sono perpendicolari: r f r B + + ++ r v E = vB . Poiché tale campo è uniforme, esso sarà legato alla differenza di potenziale V che si origina ai capi della sbarretta attraverso la relazione El , così: V = Blv , V + con la polarità indicata in figura. Quindi fra gli estremi della sbarretta è presente una differenza di potenziale fintanto essa si muove nel campo magnetico; se si inverte il verso del moto, anche la polarità della differenza di potenziale si inverte. r v Quando la sbarretta dell’esempio precedente è parte di un circuito chiuso, la variazione del flusso magnetico attraverso tale circuito determina una corrente. Per esaminare tale effetto supponiamo che la sbarretta, di resistenza trascurabile, sia in moto lungo due guide conduttrici fisse e parallele e G che questo circuito sia immerso in un campo magnetico B uniforme e costante, perpendicolare al G piano del circuito. Per effetto di una forza esterna F applicata alla sbarretta, questa si muove, in un G certo istante, con velocità v , di conseguenza le cariche libere r della sbarretta saranno soggette ad una forza magnetica diretta B A lungo la sbarretta. Poiché le cariche possono muoversi lungo r r l’intero circuito chiuso, questo sarà sede di una corrente indotta I. Fm F R La forza elettromotrice V indotta ai capi della sbarretta può r v I essere stabilita attraverso la (6.1) determinando la variazione A' dell’area del circuito prodotta dal moto della sbarretta nel campo G O x x magnetico. Il flusso di B attraverso il circuito vale: G φ ( B) = ∫ G G B ⋅ ds = Blx , (6.3) circuito dove x è l’altro lato del circuito, così dalla (6.1) la forza elettromotrice indotta è: V =− G dφ B ( ) = − d ( Blx ) = − Bl dx = − Blv ; dt dt dt se R indica la resistenza del circuito, la corrente I ha intensità pari a: I= V Blv = , R R 6-6 Induzione elettromagnetica pertanto, il dispositivo testé descritto può essere schematizzato come mostrato in figura. Si osservi che il verso di questa corrente è tale da generare un campo G R V magnetico diretto nel verso opposto a quello di B ; questo risultato è in accordo I con la legge di Lenz in quanto, col muoversi della sbarretta nel verso positivo G delle x, il flusso di B attraverso il circuito aumenta nel tempo e pertanto la corrente indotta deve generare un campo tale da opporsi a questo aumento. Il lavoro svolto dalla G forza esterna applicata F , in un certo intervallo di tempo, è pari all’energia elettrica che la forza elettromotrice indotta fornisce al circuito nello stesso intervallo di tempo. Inoltre, qualora il moto si esplichi a velocità costante, il lavoro fatto dalla forza applicata deve risultare uguale all’energia dissipata sotto forma di calore nella resistenza del circuito nello stesso intervallo di tempo. G Dalla (4.4), la forza di natura magnetica Fm esercitata sulla sbarretta per effetto del moto è: A′ G G G Fm = I ∫ dl × B = − xˆ IBl , A tale forza è diretta nel verso contrario a quello del moto. Volendo che il moto sia uniforme, deve risultare: G G F = − Fm , e tale forza deve fornire una potenza P pari a: P = Fv = IBlv = VI , cioè uguale alla potenza erogata dal generatore di forza elettromotrice indotta. Inoltre, dalla legge di Ohm (3.6), risulta anche: P = I 2R ovvero, P è pari alla potenza dissipata nella resistenza R. Esempio: Riesaminiamo il precedente esempio della spira in rotazione in un campo magnetico allo scopo di verificare la possibilità di stabilire l’espressione della forza elettromotrice indotta senza fare uso della (6.1). Con riferimento ai simboli riportati nella figura, la forza elettromotrice indotta nella spira vale: V= v∫ ( O' N r r v ´B G G G v × B ⋅ dl = ) ( ) ( ) P Q N P G G G G G G v × B ⋅ dl + ∫ v × B ⋅ dl ; +∫ M ( ) ( ) r v r dl r r v ´B r dl spira Q M G G G G G G = ∫ v × B ⋅ dl + ∫ v × B ⋅ dl + P L¢ M Q r B OO' wt r v r B p - wt r B O (6.4) N G G G gli integrali calcolati lungo i tratti QM e NP sono nulli essendo, ivi, i vettori v × B e dl perpendicolari. Inoltre, G G G G dall’ipotesi secondo cui B è ortogonale all’asse OO′ , segue che il prodotto v × B ed il vettore dl hanno lo stesso verso, per cui, con riferimento alla figura, si ha: Induzione elettromagnetica 6-7 Q N P M V = ∫ vB sin (π − ωt ) dl + ∫ vB sin (ωt ) dl = vBl sin (π − ωt ) + vBl sin (ωt ) = 2vBl sin (ωt ) , (6.5) dove l indica la lunghezza dei lati PQ e MN della spira. Indicando con l ′ la lunghezza dei lati NP e QM , risulta: l′ v = ω, 2 così, sostituendo tale valore nella (6.5) e indicando con S l’area della spira ll ′ , si ha: l′ V = 2 ω Bl sin (ωt ) = Bll ′ω sin (ωt ) = BSω sin (ωt ) . 2 Questo approccio consente, per altro, di stabilire la localizzazione dei generatori di forza elettromotrice indotta V in seno alla spira. Infatti l’espressione (6.4) indica che tali generatori sono situati nei lati MN e PQ secondo la schematizzazione di figura, dove N P V /2 V /2 Rl /2 Rl è la resistenza dei lati MN e PQ e Rl′ la resistenza dei lati QM e NP . 6.4 R l ' /2 Rl /2 M R l ' /2 Q Convenzioni relative all’applicazione della legge di FaradayHenry Come già anticipato, è possibile dedurre il verso della corrente indotta in un circuito attraverso l’osservazione delle regole contenute nella relazione (6.1). Allo scopo esplicitiamo il primo membro della (6.1), scrivendo tale espressione nella forma: G G d G E vC∫ ⋅ dl = − dt ∫S B ⋅ nˆ ds ; n S C in tale relazione S è una generica superficie aperta che ha per contorno il circuito C ; inoltre la normale n̂ deve essere scelta nella direzione corrispondente col verso con cui si percorre il circuito. Cioè, come mostrato in figura, S deve essere orientata in modo da vedere il verso convenzionalmente scelto come positivo per C girare in senso antiorario. Quindi, fissato ad esempio il verso della normale ad S, viene ad essere determinato di conseguenza il verso di C ; tale verso specifica la direzione (convenzionale) con cui la corrente percorre il circuito C , così, qualora il valore della corrente trovato attraverso l’applicazione della (6.1) risulti negativo, vorrà dire che il verso reale è contrario a quello imposto dalla convenzione2. Naturalmente l’applicazione di tale convenzione è inutile al fine del solo calcolo dell’intensità della corrente indotta, mentre diventa indispensabile qualora occorra necessariamente stabilirne il verso o le grandezze, come le forze agenti, che dipendono da questo verso. 2 In generale, il verso convenzionale della corrente I identifica la normale n̂ alla sezione ds del conduttore G G G nell’espressione I = J ⋅ dsG = J ⋅ nˆ ds ; in tale relazione il verso di n̂ (e quindi di ds ) è arbitrario, per cui la corrente I ∫ ∫ S S può risultare negativa o positiva a seconda della scelta di questo verso. 6-8 Induzione elettromagnetica Esempio: Analizziamo alla luce di questa convenzione il problema della sbarretta in moto lungo i binari. Fissiamo G arbitrariamente il verso della normale n̂ alla superficie S del circuito, concorde col verso del campo magnetico B , G allora, dalla (6.3), in corrispondenza dell’ascissa x della sbarretta, il flusso di B attraverso il circuito vale: G G G φ ( B ) = ∫ B ⋅ nˆ ds =B ⋅ nˆ ∫ ds =Blx . S S G G Il prodotto scalare B ⋅ nˆ è positivo avendo fissato il verso di n̂ concorde con quello di B ; questa scelta impone che il verso di percorrenza del circuito sia antiorario e tale sarà, di conseguenza, il verso convenzionale per la corrente. Applicando la (6.1) per stabilire la corrente indotta si ha: G Bl dx Blv 1 dφ B I =− . =− =− R dt R dt R ( ) (6.6) il fatto che questa corrente risulta negativa indica che il suo verso è opposto a quello convenzionale. La forza agente sulla sbarretta è data dall’integrale: A G G G Fm = I ∫ dl × B , A′ G si osservi che il verso di dl è concorde col verso convenzionale di percorrenza del circuito; sviluppando questo integrale, si trova: G Fm = IlB xˆ , sostituendo infine a I la sua espressione data dalla (6.6), si ha: G Bl B 2l 2 G Fm = − vlB xˆ = − v. R R 6.5 Autoinduzione L’induzione di una forza elettromotrice in un circuito si ha anche per effetto del passaggio di una corrente variabile attraverso lo stesso circuito; infatti, in questo caso la corrente produrrà un campo magnetico variabile che si concatenerà col circuito determinando un flusso variabile; questa variazione provocherà di conseguenza la generazione di una forza elettromotrice che, in tale circostanza, è detta autoindotta. Per questo motivo il fenomeno testé descritto prende il nome di G autoinduzione. Dalla legge di Biot-Savart, il campo magnetico B prodotto dal passaggio di una corrente i attraverso un circuito C è data dall’espressione: G G µ0i dl × rG B= ∫ r3 , 4π v C così il flusso di tale campo attraverso il circuito considerato vale: G G G G µ0i dl × rG G µ0 φ B = ∫ B ⋅ ds = ∫ ∫ r 3 ⋅ ds = i 4π 4π v S S C ( ) G G dl × r G ∫S vC∫ r 3 ⋅ ds . Induzione elettromagnetica 6-9 La quantità contenuta nella parentesi dipende dalle caratteristiche geometriche e fisiche del circuito e prende il nome di induttanza L del circuito; è possibile pertanto definire tale grandezza attraverso la relazione: G L≡ φ ( B) i . (6.7) L’unità di misura dell’induttanza è l’henry (H) e risulta3 1 H = 1T ⋅1 m 2 1 A . Nota l’induttanza di un circuito, dalla (6.1) si deduce la forza elettromotrice autoindotta nel circuito stesso; indicando con i la corrente che attraversa tale circuito, questa forza elettromotrice sarà data da: v=− G dφ B ( ) = − d ( Li ) dt dt e, nell’ipotesi in cui la geometria del circuito e il mezzo in cui è inserito non varino nel tempo, si ha: v = −L di . dt L’effetto di un’induttanza in seno ad un circuito è quello di impedire R T alla corrente di aumentare o decrescere istantaneamente. Tipicamente è possibile assumere che in un circuito l’induttanza sia concentrata in particolari dispositivi, come le bobine, detti induttori. Con riferimento V v L alla figura, la bobina L impedisce che, alla chiusura del tasto la i corrente diventi istantaneamente uguale a V R . Infatti, al crescere della corrente nel tempo, aumenta anche il flusso magnetico concatenato col circuito e, in particolare, con la bobina. Tale aumento induce ai capi della bobina una forza elettromotrice che, dalla legge di Lenz, si oppone alla variazione di flusso. La forza elettromotrice indotta deve determinare, quindi, una corrente opposta a quella originaria che rallenterà l’aumento complessivo della corrente. In pratica la bobina agisce in seno al circuito come un generatore di forza elettromotrice con polarità opposta rispetto alla batteria che alimenta il circuito, così, relativamente ai versi della corrente e della forza elettromotrice indotta i indicati nello schema di figura, risulta: L vL = L 3 di dt vL = L di . dt (6.8) Si noti che introducendo questa unità di misura si può esprimere l’unità della permeabilità magnetica del vuoto µ0 come: [ µ0 ] = T m T m2 1 H = = , A A m m e, in particolare: µ0 ≈ 1.26 µH m . 6-10 Induzione elettromagnetica Esempio: (Induttanza di un solenoide) Determiniamo l’induttanza di un solenoide di lunghezza l, costituito da N spire avvolte in aria; assumiamo che l sia grande rispetto al raggio delle spire. Da tali ipotesi segue che il campo magnetico G B interno al solenoide è uniforme, così, quando il solenoide è attraversato da una corrente i si ha: B = µ0 N i. l G Il flusso di B attraverso ciascuna spira è: G NS i, l φ ( B ) = BS = µ0 G in cui S è la sezione del solenoide; siccome Nφ B è il flusso attraverso l’intero solenoide, dalla (6.7) si ha: ( ) L= G Nφ B ( )=µ i 0 N 2S . l (6.9) Qualora il solenoide fosse avvolto su di un supporto di materiale caratterizzato da una permeabilità magnetica relativa µr , l’intensità del campo magnetico all’interno del solenoide varrebbe: B = µ0 µ r N i, l così, con la sostituzione del prodotto µ0 µr in luogo di µ0 nell’espressione di L si ha: L = µ0 µ r N 2S . l (6.10) Esempio: (Induttanza di un solenoide toroidale) Determiniamo l’induttanza di un i solenoide realizzato avvolgendo N spire su di un supporto toroidale a sezione rettangolare, di raggi a e b ( a < b ) e altezza h. Quando il solenoide è percorso da una corrente i il volume (vuoto) interno al solenoide sarà sede di un campo G G magnetico B le cui linee di forza sono cerchi concentrici con l’asse del toroide. L’intensità di B vale: B= µ0 Ni . 2π r G G Il flusso φspira B del campo B attraverso una singola spira vale: ( ) G φspira ( B ) = b G G b µ0 Ni µ0 Nhi b 1 µ Nhi b ln , B ds B hdr hdr dr = 0 ⋅ = = = ∫ ∫ ∫ ∫ 2π r 2π a r 2π a spira a a G in cui h dr è l’area della striscia elementare mostrata in figura. Così il flusso φ B G attraverso le N spire sarà dato dal prodotto Nφspira B , pertanto, l’induttanza della ( ) ( ) r bobina toroidale vale: G L= φ ( B) i = dr h G Nφspira B i ( ) = µ N h ln b . 2 0 2π a a b Esempio: Attorno ad un nucleo ferromagnetico di sezione uniforme S , lunghezza media l e permeabilità magnetica relativa µr sono avvolte N spire di filo conduttore. Il nucleo presenta un traferro di spessore l0 , stabiliamo l’induttanza dell’avvolgimento considerato. Applicando la legge di Hopkinson a tale nucleo, risulta: Induzione elettromagnetica 6-11 G F = Rφ ( B ) , dove F è la forza magnetomotrice NI dell’avvolgimento quando è percorso G da una corrente I , φ B il flusso del campo magnetico attraverso la sezione ( ) l0 N del nucleo e R la riluttanza del corrispondente circuito magnetico: I l − l0 l + 0 . R= µ0 µr S µ0 S l Sostituendo nella relazione precedente, si trova: l − l0 l G NI = + 0 φ B , µ0 µ r S µ 0 S ( ) da cui segue: G NI . l − l0 l + 0 µ0 µr S µ0 S φ ( B) = L’autoinduttanza dell’intero avvolgimento vale quindi: L= G Nφ B ( )= I N2 l − l0 l + 0 µ0 µr S µ0 S . Si osservi che qualora la permeabilità magnetica relativa del nucleo sia elevata, la riluttanza del traferro domina su quella del nucleo, per cui l’induttanza dell’avvolgimento sarà approssimabile come µ0 N 2 S l0 . 6.6 Energia immagazzinata in una bobina, energia del campo magnetico Consideriamo un circuito percorso da una corrente variabile in cui è presente una bobina di induttanza L. Siccome la legge di Kirchhoff per le tensioni afferma che la somma delle forze elettromotrici è pari alla somma delle cadute di tensione, nella somma delle forze elettromotrici occorre V comprendere, oltre ai generatori, anche le forze elettromotrici prodotte ai capi delle bobine, così, indicando con Ri la caduta di potenziale totale, si ha: V − vL = Ri . Sostituendo a vL la sua espressione, dalla (6.8), risulta: V = Ri + L di ; dt infine, moltiplicando ambo i membri per la corrente i, si ottiene: R L i vL 6-12 Induzione elettromagnetica Vi = Ri 2 + Li di . dt Questa relazione rappresenta il bilancio energetico del circuito; il primo membro è la potenza spesa dal generatore per far scorrere attraverso il circuito la corrente i; il secondo membro è somma di due termini, il primo dei quali è la potenza dissipata nella resistenza R per effetto Joule, mentre il secondo indica la rapidità con cui viene immagazzinata l’energia nella bobina. In particolare, indicando con U m l’energia immagazzinata in un certo istante nella bobina, allora: dU m di = Li , dt dt da cui segue: dU m = Li di ; infine, integrando ambo i membri di tale relazione è possibile ricavare l’energia totale immagazzinata nella bobina quando è attraversata da una corrente I : I U m = ∫ Li di = 0 1 2 LI , 2 cioè l’energia immagazzinata nel campo magnetico di una bobina percorsa da una corrente I vale: Um = 1 2 LI . 2 (6.11) In questa relazione la corrente I può essere, in generale, stazionaria oppure dipendente dal tempo. A partire dalla relazione (6.11) è possibile determinare l’energia per unità di volume immagazzinata in un campo magnetico, cioè la densità di energia. Consideriamo una bobina di lunghezza l costituita da N spire avvolte in aria ed assumiamo che l sia grande rispetto al raggio delle spire; l’induttanza di tale dispositivo è data dalla relazione (6.9), per cui l’energia immagazzinata nella bobina quando è percorsa da una corrente I è: 2 Um = 1 2 1 µ0 N 2 S 2 1 N LI = I = µ0 I Sl ; l 2 2 l 2 µ0 G la quantità tra parentesi, µ0 ( N l ) I , rappresenta l’intensità del campo magnetico B generato dal solenoide, così, sostituendo, si ha: Um = 1 2 B ( Sl ) . 2 µ0 Il prodotto Sl è il volume del solenoide, pertanto, la densità di energia magnetica um immagazzinata in tale volume vale: Induzione elettromagnetica um = Um 1 2 B , = Sl 2µ0 um = 1 2 B . 2 µ0 6-13 cioè: In tale espressione è assente qualsiasi riferimento al dispositivo adoperato per generare il campo G magnetico B , non comparendo né l’induttanza L né la corrente I; così, sebbene ricavata per una particolare configurazione di corrente, questa relazione risulta di validità generale e fornisce la densità di energia magnetica in ogni punto dello spazio, noto il valore dell’intensità del campo magnetico in tale punto. Facendo uso dell’espressione di um è possibile scrivere, in maniera generale, l’espressione dell’energia associata ad un campo magnetico, indipendentemente dal processo che lo determina: 1 B 2 dv , 2 µ0 V∫ Um = G dove l’integrale è calcolato nel volume in cui è presente il campo B . Qualora la bobina sia avvolta su un supporto di permeabilità magnetica relativa µr è possibile ripetere il procedimento facendo uso della relazione (6.10) per l’induttanza, considerando che in tale circostanza il campo magnetico generato dalla bobina vale µ0 µr ( N l ) I ; in questa maniera si ottiene per la densità di energia associata al campo magnetico la relazione B 2 ( 2 µ0 µr ) ; d’altra parte, nell’ipotesi in cui è possibile G G G scrivere il campo magnetico B in termini del vettore H come µ0 µr H , la densità di energia può essere espressa come (1 2 ) BH . Infine è possibile provare che tale relazione può essere generalizzata come: um = 1 G G B⋅H , 2 da cui segue: Um = 1 G G B ⋅ H dv . 2 V∫ (6.12) Attraverso l’espressione dell’energia associata ad un campo magnetico, facendo uso del principio dei lavori virtuali (si veda il par. 2.6), è possibile determinare le azioni meccaniche che hanno luogo per effetto di un campo magnetico. In particolare, il calcolo della forze viene effettuato esprimendo l’energia del campo magnetico in funzione della coordinata da cui dipende la forza e calcolando la derivata dell’energia rispetto a tale coordinata. Esempio: Un’elettrocalamita a ferro di cavallo è costituita da un materiale magnetico di permeabilità magnetica relativa pari a 1600, su cui è avvolto un certo numero di spire in modo da determinare una forza magnetomotrice F di 400 Asp . Essa attira una sbarretta dello stesso materiale e della sezione S di 4 cm 2 in modo da chiudere perfettamente 6-14 Induzione elettromagnetica il circuito magnetico la cui lunghezza complessiva è di 35cm . Stabiliamo la forza necessaria a staccare la sbarretta. In relazione ad uno spostamento virtuale x della sbarretta dall’elettrocalamita, la riluttanza R del circuito diventa: R= l − 2x 2x + ; µ0 µr S µ0 S così, dalla legge di Hopkinson e dalla relazione (6.7) segue che l’autoinduttanza dell’avvolgimento vale: L= G Nφ B ( )=NF I R I = µ0 µr S F2 F2 1 F2 . = 2 = 2 2 IR I l − 2x + 2x I l + 2 x ( µr − 1) µ0 µr S µ0 S Dalla (6.11) la variazione dell’energia magnetica corrispondente allo spostamento virtuale considerato vale: µ µ ( µ − 1) S F 2 1 F 2 2 µ0 µr ( µr − 1) S 1 1 dL dU m = d LI 2 = I 2 dx = I 2 − 2 dx = − 0 r r dx , 2 2 2 I l + 2 x ( µr − 1) 2 2 dx l + 2 x ( µr − 1) La forza di distacco vale quindi: µ µ ( µ − 1) S F 2 µ µ ( µ − 1) F 2 S µ µ 2F 2 S dU =− 0 r r2 ≈− 0 r2 ≈ 1.0 N , F = m = − 0 r r 2 l l dx x =0 l + 2 x ( µr − 1) x =0 essendo µr 1 . 6.7 Mutua induzione C2 r B1 C1 I1 L’induzione di una forza elettromotrice in seno ad un circuito può avvenire a causa del passaggio di una corrente variabile nel circuito stesso, ma come messo in luce dall’originario esperimento di Faraday, può anche prodursi in corrispondenza delle variazioni di corrente in circuiti posti nelle vicinanze. Tale fenomeno prende il nome di mutua induzione. Consideriamo due spire prossime una all’altra; supponiamo che una delle due sia percorsa da una corrente I1 . Tale corrente produrrà nell’intorno della spira un campo G magnetico B1 che, concatenandosi con la seconda spira, determinerà un flusso G G φ2 B1 non nullo. Il campo magnetico B1 generato dal passaggio della ( ) corrente I1 attraverso il circuito C1 è dato dall’espressione: G G µ0 I1 dl1 × rG B1 = ∫C r 3 , 4π v 1 G per cui il flusso di B1 attraverso il circuito C 2 vale: G φ2 B1 = ( ) G µ0 I1 dl × rG G µ0 G G 1 B ds ds I ⋅ = ⋅ = 1 2 2 1 ∫ ∫ 4π vC∫ r 3 4π S2 S2 1 G G dl1 × r G ∫ v∫ r 3 ⋅ ds2 = I1 M12 . S2 C1 Induzione elettromagnetica 6-15 G Analogamente, se è la seconda spira ad essere percorsa da una corrente I 2 , il flusso del campo B2 prodotto, attraverso la prima spira è: µ I G G G φ1 B2 = ∫ B2 ⋅ ds1 = ∫ 0 2 4π S1 S1 ( ) G G µ dl2 × r G ds I ⋅ = vC∫ r 3 1 2 4π0 2 G G dl2 × r G ∫ v∫ r 3 ⋅ ds1 = I 2 M 21 . S1 C 2 E’ possibile provare4 che i due coefficienti di proporzionalità, M 12 e M 21 sono uguali; poniamo quindi: M ≡ M 12 = M 21 ; il termine M prende il nome di coefficiente di mutua induzione e, in analogia al caso dell’induttanza, può essere definito dal punto di vista operativo come: G M≡ φ2 ( B1 ) I1 G = φ1 ( B2 ) I2 . (6.13) Anche in questo caso M dipende unicamente dalle caratteristiche geometriche e fisiche dei circuiti accoppiati e si misura in henry. Noto M è possibile, quindi, stabilire l’entità della forza elettromotrice indotta in un circuito per effetto della variazione della corrente in un altro, ovvero, ad esempio: v2 = − M di1 dt rappresenta la forza elettromotrice indotta nel secondo circuito a causa del campo magnetico variabile generato dalla circolazione della corrente i1 attraverso il primo circuito. Naturalmente P 4 Questa proprietà può essere facilmente verificata attraverso l’impiego del G potenziale vettore. Il campo magnetico B1 ( rG ) a distanza r da un circuito C1 percorso G G dalla corrente I1 si esprime attraverso il potenziale vettore come ∇ × A1 ( rG ) , dove G G µI A1 ( r ) = 0 1 v∫ 4π C1 G dl1 G G , r − r1 r r r - r1 r r r dl 1 C1 I1 r r1 O G pertanto, il flusso di B1 ( rG ) attraverso un circuito C 2 posto in prossimità del primo circuito vale: G G G G G G µ0 I1 dl1 G ∇ × ⋅ = ⋅ = ⋅ A ds A dl dl G G 1 2 1 2 2 = ∫ v∫ v∫ v∫ S2 S2 C2 C 2 4π C1 r − r1 G G µ dl ⋅ dl = I1 0 v∫ v∫ G1 G2 = I1 M 12 , 4π C C r2 − r1 2 1 G φ B1 = ( ) G G ∫ B1 ⋅ ds2 = ( ) dove si è fatto uso del teorema del rotore. Dalla proprietà commutativa del prodotto scalare segue quindi: G G µ µ dl ⋅ dl M 12 = 0 v∫ v∫ G1 G2 = 0 4π C 2 C1 r2 − r1 4π G G dl2 ⋅ dl1 v∫ v∫ G G = M 21 . C1 C 2 r1 − r2 r dl 2 r r2 O C2 r r r2 - r1 r r1 r dl 1 C1 I1 6-16 Induzione elettromagnetica esisterà un’analoga espressione per la forza elettromotrice indotta nel primo circuito quando il secondo è percorso da una corrente variabile. Esempio: Stabiliamo il coefficiente di mutua induzione tra un filo conduttore, rettilineo e indefinito ed una spira quadrata, di lato a complanare al filo il cui lato più prossimo al filo dista b da questo. Il G campo magnetico B prodotto a distanza r dal filo conduttore, quando questo è attraversato da una corrente I, in corrispondenza della superficie della spira vale: G µI B = 0 nˆ , 2π r I G dove n̂ è il versore normale alla spira. Pertanto il flusso di B attraverso la superficie S della spira, è dato da: G G φ ( B ) = ∫ B ⋅ nˆ ds = S b a µ0 I ds µ0 I b + a a dr µ0 Ia a = = ln 1 + , 2π ∫S r 2π ∫b r 2π b così, dalla (6.13) segue: G M= φ ( B) I = µ0 a a ln 1 + . 2π b Esempio: Consideriamo due bobine, rispettivamente di N1 e N 2 spire, entrambe avvolte su uno stesso supporto cilindrico di sezione S e lunghezza l con l S . Stabiliamo il coefficiente di mutua induzione tra le due bobine. L’intensità del campo magnetico prodotto dalla bobina di N1 spire vale: B1 = µ0 N1 I1 , l e il flusso di tale campo attraverso la bobina di N 2 spire è: G φ2 ( B1 ) = ∫ N2 S 6.8 G G B1 ⋅ ds = ∫ N2S µ0 N1 N NN I1 ds = µ0 1 I1 ∫ ds = µ0 1 2 I1 . l l N2S l Carica e scarica di una bobina Consideriamo il circuito di figura in cui la corrente, nell’istante iniziale in cui viene chiuso l’interruttore T, è nulla ( i ( 0 ) = 0 ), applicando la legge di Kirchhoff per le tensioni, si ha5: T R V L i 5 Si noti che questa equazione risulta formalmente analoga a quella che descrive il moto rettilineo di un punto materiale di massa m (corrispondente a L), velocità v ( t ) (corrispondente a i ( t ) ) in un mezzo viscoso, la cui forza resistente è −γ v ( t ) (corrispondente a − Ri ( t ) ), sotto l’effetto di una forza esterna costante di intensità F (corrispondente a V): m dv ( t ) = F − γ v (t ) ; dt il moto descritto da questa equazione ammette una velocità limite, pari a F γ , che si raggiunge quando il secondo membro si annulla e, di conseguenza dv ( t ) dt = 0 . Pertanto, per analogia, come del resto verificheremo analiticamente, Induzione elettromagnetica V = Ri ( t ) + L 6-17 di ( t ) ; dt separando le variabili, risulta: − dt di , = L i−V R R posto quindi τ≡ L , R ed integrando tra gli istanti 0 e t in cui la corrente assume rispettivamente valore nullo e un valore generico i, si ha: dς i(t ) V R V æ 1ö 1R çè e ÷ø dξ −∫ =∫ , V τ 0 0 ξ − R t i da cui segue: i (t ) = V 1 − e −t τ ) , ( R O t t dove τ prende il nome di costante di tempo del circuito. Questa espressione della corrente può essere riguardata come la somma di due termini , la corrente V R che attraverserebbe il circuito sin dall’istante iniziale in assenza della bobina, e il termine − (V R ) e −t τ , detto extracorrente di chiusura determinato dal fenomeno dell’autoinduzione. Supponiamo che a partire dalla condizione di equilibrio in cui la corrente attraverso il circuito vale V R , l’interruttore T venga aperto. Per esaminare il comportamento del circuito in tale circostanza schematizziamo l’apertura V dell’interruttore sostituendolo con una resistenza R′ di valore molto più grande di R. Applicando la legge di Kirchhoff al circuito considerato si ha: V = ( R + R′ ) i ( t ) + L R' R L i di ( t ) , dt che può essere approssimata come: V ≈ R′ i ( t ) + L di ( t ) , dt il circuito presenta un valore asintotico della corrente pari a V R . Inoltre, siccome l’energia cinetica acquisita dal punto materiale vale mv 2 ( t ) 2 , per analogia, l’energia acquisita dalla bobina è Li 2 ( t ) 2 , in accordo con la relazione (6.11). 6-18 Induzione elettromagnetica essendo per ipotesi R′ R ; separando le variabili e integrando si ha quindi: dς dξ −∫ =∫ , τ′ V ξ − V 0 R R′ t i dove τ′ ≡ L L =τ . R′ R Pertanto la corrente nel circuito vale: i (t ) = V V V −t τ ′ V −t τ ′ + − e ≈ e . R′ R R′ R Tale corrente che si ha in corrispondenza dell’apertura dell’interruttore è detta extracorrente di apertura. In questa circostanza la forza elettromotrice che si origina ai capi della bobina vale: vL ( t ) = − L di ( t ) dt R′ 1 V ≈ − L − e−t τ ′ = V e−t τ ′ ; R τ′ R in particolare, nell’istante di apertura dell’interruttore ( t = 0 ), la tensione vL ( 0 ) ai capi della bobina vale V ( R′ R ) e, siccome R′ R , risulta vL ( 0 ) V . Attraverso la scoperta del fenomeno dell’extracorrente di apertura nel 1833, Henry fu portato a introdurre il concetto di autoinduttanza di un circuito. Esempio: Per stimare l’entità della forza elettromotrice che si induce ai capi della bobina in corrispondenza dell’apertura dell’interruttore supponiamo che la resistenza R valga 1 kΩ, il generatore V eroghi una tensione di 10 V e l’interruttore aperto venga schematizzato con una resistenza R′ di 1 MΩ. Allora la tensione vL ( 0 ) vale 10 kV. Nella pratica l’interruttore non si comporta nella maniera descritta ma la sua resistenza è una complicata funzione del tempo che varia da un valore molto piccolo, in teoria nullo, nella situazione in cui l’interruttore è chiuso ad uno molto grande, in teoria infinito, quando l’interruttore è aperto. Comunque l’originarsi di questa intensa differenza di potenziale ai capi dell’interruttore nella fase di apertura può portare alla formazione di una breve scarica che, alla lunga, determina il deterioramento dei contatti dell’interruttore. Per tale motivo i contatti degli interruttori che comandano grossi carichi induttivi ad alta tensione sono generalmente tenuti in bagno d’olio. Il fenomeno dell’extracorrente di apertura veniva adoperato nel passato per la generazione di alte tensioni. Ad esempio nel rocchetto di Ruhmkorff la variazione di corrente in un circuito induttivo, prodotta per effetto di una successione periodica di chiusure e aperture di un interruttore, provoca la generazione di una elevata tensione in un secondo circuito mutuamente accoppiato al primo. Consideriamo il circuito di figura; qualora alla chiusura dell’interruttore T, al tempo t = 0 , la bobina risulti attraversata da una corrente I 0 , l’equazione del circuito si scrive: R di ( t ) 0 = Ri ( t ) + L , dt che ha soluzione: T L i Induzione elettromagnetica 6-19 i ( t ) = I 0 e −t τ . In tale circostanza l’energia dissipata nella resistenza a partire i(t ) dall’istante iniziale è: ∞ ∞ τ U J = ∫ i 2 ( t ) R dt = I 0 2 R ∫ e − 2t τ dt = − I 0 2 R e− 2t τ 2 0 0 I0 ∞ = 0 L 1 = LI 0 2 , 2R 2 = I02 R I0 e che costituisce l’energia immagazzinata nella bobina in corrispondenza dell’istante iniziale. O t t Esempio: Consideriamo una bobina piana di N spire di superficie S di resistenza complessiva R, i cui estremi siano collegati tra loro. Supponiamo che la bobina sia originariamente immersa in un campo magnetico uniforme e costante G B e supponiamo all’istante di tempo iniziale t = 0 il campo si annulli. Stabiliamo la carica che attraversa la spira a partire dall’istante iniziale. In generale risulta: ∞ q = ∫ i ( t ) dt . 0 D’altra parte la corrente i ( t ) attraverso la spira sarà dovuta al fenomeno dell’induzione, cioè: i (t ) = − 1 dφ , R dt G in cui φ rappresenta il flusso del campo magnetico B attraverso la bobina. Sostituendo quindi nella precedente espressione, si trova: ∞ ∞ ∞ φ 1 dφ 1 2 φ −φ 1 dφ q = ∫ i ( t ) dt = ∫ − dt = − ∫ dφ = 1 2 . dt = − ∫ R dt R dt R R 0 0 0 φ1 G dove φ1 e φ2 rappresentano il flusso di B attraverso la bobina calcolato, rispettivamente, in corrispondenza dell’istante iniziale e di quello finale. Tale espressione, che consente di stabilire la carica che scorre attraverso un circuito immerso in un campo magnetico variabile, prende il nome di legge di Felici. Quindi, utilizzando questa relazione, il calcolo della carica è ricondotto ad una determinazione del flusso del campo magnetico attraverso la bobina. In particolare: G G φ1 = N ∫ B ⋅ ds = NBS , S φ2 = 0 pertanto: q= NBS . R Si noti che, attraverso l’applicazione della legge di Felici è possibile effettuare la determinazione di un campo magnetico attraverso una misura di carica. 6-20 Induzione elettromagnetica 6.9 Forze elettromotrici e campi elettrici Sebbene fino ad ora nell’applicazione della legge di Faraday-Henry espressa nella forma G G d G E ⋅ dl = − B ⋅ nˆ ds , vC∫ dt ∫S r B r dB < 0 dt n r E C si sia fatta coincidere la curva C con un circuito costituito da un filo conduttore, occorre osservare che la generazione di un campo elettrico per effetto della variazione di un campo magnetico è un fenomeno che prescinde dalla presenza di cariche elettriche. Per illustrare questo aspetto della legge di Faraday-Henry consideriamo una regione priva di cariche e G immersa in un campo magnetico B uniforme e variabile nel tempo. Consideriamo un percorso G circolare C di raggio r, giacente nel piano perpendicolare alla direzione di B . Per effetto della G variazione di B , lungo tale percorso compare una forza elettromotrice e, di conseguenza si G osserverà un campo elettrico E . Per simmetria tale campo assumerà la stessa intensità in tutti i G punti della curva C e inoltre sarà diretto tangenzialmente a C ; infatti, il campo E non può avere componenti radiali perché, qualora ve ne fossero, il flusso attraverso una superficie cilindrica G coassiale alla direzione di B sarebbe diverso da zero, indicando la presenza di cariche interne a tale superficie, in contraddizione con l’ipotesi iniziale relativa all’assenza di cariche nella regione considerata. Pertanto, indicando con tˆ il versore tangente alla circonferenza C , si può scrivere: G E = E tˆ , G quindi, integrando lungo il percorso C , siccome dl = tˆ dl , si ha: G G E v∫ ⋅ dl = 2π r E , C inoltre, se S è la superficie della circonferenza C , indicando con n̂ il versore normale a S e assumendo che n̂ abbia lo stesso verso del vettore campo magnetico, si ha: d G G d G dB , B ⋅ ds = ∫ B ⋅ nˆ ds =π r 2 ∫ dt S dt S dt così l’intensità del campo elettrico indotto vale: E= 1 dB r . 2 dt Se l’intensità del campo magnetico è decrescente, cioè se dB dt è negativo, per la legge di Lenz un’ideale corrente indotta che fluisse attraverso un circuito coincidente col percorso C dovrebbe scorrere in senso antiorario siccome la corrispondente forza elettromotrice indotta deve opporsi a questa variazione del campo magnetico. Di conseguenza le linee di forza del campo elettrico indotto Induzione elettromagnetica 6-21 G E dovranno essere dirette anche loro in senso antiorario, così come rappresentato in figura. Vettorialmente risulta quindi: G 1 dB G E= r × nˆ . 2 dt (6.14) Sebbene i campi generati attraverso il meccanismo dell’induzione elettromagnetica siano in grado di esercitare delle forze sulle cariche come quelli prodotti dalle cariche stazionarie, esistono delle profonde differenze tra i due tipi di campi elettrici. E’ possibile rendersi conto di ciò osservando che i campi prodotti dall’induzione elettromagnetica sono caratterizzati da dB < 0 r linee di forza che possono descrivere percorsi chiusi, mentre per i campi dt B di natura elettrostatica le linee di forza non formano mai percorsi chiusi, dovendo originare dalle cariche o terminare su queste. Questa differenza n indica che i campi prodotti dall’induzione elettromagnetica non sono r conservativi e, infatti, la circuitazione del campo elettrico lungo un r C G r percorso chiuso è espressa dalla (6.1) e vale − dφ B dt , mentre è nulla ( ) per i campi elettrostatici. E 6.10 Formulazione differenziale della legge di Faraday-Henry Consideriamo un percorso fisso C di superficie S, applicando il teorema del rotore al primo membro dell’espressione: G G d G G E vC∫ ⋅ dl = − dt ∫S B ⋅ ds si ottiene: ∫( S G G G G G G d G G ∂B G ∇ × E ⋅ ds = v∫ E ⋅ dl = − ∫ B ⋅ ds = − ∫ ⋅ ds , dt S ∂t C S ) dove la derivata rispetto al tempo è stata portata sotto il segno di integrale essendo il percorso C fisso; segue quindi: G G G ∂B G ∫S ∇ × E + ∂t ⋅ ds = 0 ; dovendo valere questa identità per ogni dominio di integrazione S, deve risultare necessariamente nulla la funzione integranda, ovvero: G G G ∂B ∇× E = − . ∂t (6.15) Questa relazione fornisce l’espressione della legge di Faraday-Henry in forma differenziale. A partire da tale relazione, facendo uso del potenziale vettore introdotto nella (4.28) è possibile generalizzare l’espressione (1.17). Sostituendo la (4.28) nella (6.15) si ha: 6-22 Induzione elettromagnetica G G G G ∂ ∇× A G G G ∂A ∂B ∇×E = − =− = ∇×− , ∂t ∂t ∂t ( ) ovvero: G G G ∂A G ∇×E + = 0. ∂t G G Da tale identità segue che la funzione E + ∂A ∂t è uguale al gradiente di una funzione, cioè: G G G ∂A E+ = −∇V . ∂t Dove V è naturalmente il potenziale elettrostatico. Il campo elettrico può esprimersi quindi come: G G G ∂A E = −∇V − , ∂t G cioè il campo elettrico è somma di due termini, −∇V , determinato dalle distribuzioni di carica e G G − ∂A ∂t dovuto alla variazione temporale del potenziale vettore A . Dalle relazioni (6.1) e (4.28), attraverso l’applicazione del teorema del rotore, la forza elettromotrice v indotta in un circuito C di superficie S vale: G G G G d G G d d G G ∂A G v = − ∫ B ⋅ ds = − ∫ ∇ × A ⋅ ds = − ∫ A ⋅ dl = − ∫ ⋅ dl . dt S dt S dt C ∂t C ( ) G Esempio: Consideriamo un campo di induzione B uniforme che decresce nel tempo secondo la relazione dB dt = −k , in cui k è una costante positiva. Stabiliamo la forza elettromotrice indotta in una spira circolare di raggio r posta G ortogonalmente alle linee di forza di B ed inoltre l’intensità e la direzione del campo elettrico indotto in ogni punto della spira. La forza elettromotrice indotta v si calcola attraverso l’applicazione della (6.1), dove la variazione nel tempo G G del flusso di B attraverso la superficie S della spira è determinata dalla variazione dell’intensità di B , quindi: v=− G dφ B ( ) = −S dB = Sk = π r k . dt 2 dt Sebbene si possa procedere attraverso considerazioni legate alla simmetria del problema, come vedremo succesG sivamente, per la determinazione del campo elettrico indotto E facciamo uso della relazione (6.15). Siccome: dB = −k , dt G indicando con û il versore associato al verso del campo magnetico ( û ≡ B B ), la (6.15) si scrive: G G ∇ × E = k uˆ , ossia, sviluppando l’operatore rotore: Induzione elettromagnetica xˆ G G ∂ ∇× E = ∂x Ex 6-23 yˆ ∂ ∂y Ey zˆ ∂E ∂E y ∂ ∂Ex ∂Ez ∂E y ∂Ex = xˆ z − − − + yˆ = kux xˆ + ku y yˆ + kuz zˆ , + zˆ ∂z ∂z ∂x ∂x ∂y ∂z ∂y Ez in cui: ux ≡ uˆ ⋅ xˆ , u y ≡ uˆ ⋅ yˆ , uz ≡ uˆ ⋅ zˆ , Occorre pertanto risolvere il seguente sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali: ∂Ez ∂E y − = kux , ∂z ∂y ∂Ex ∂Ez − = ku y , ∂x ∂z ∂E y ∂Ex − = kuz , ∂y ∂x G possiamo osservare che risolve la prima equazione la coppia di componenti di E : 1 Ez = kux y + f ( x, z ) , 2 1 E y = − kux z + g ( x, y ) , 2 (6.16) (6.17) dove f ( x, z ) e g ( x, y ) sono due arbitrarie funzioni. La seconda equazione è risolta dalle componenti: 1 Ex = ku y z + h ( x, y ) , 2 1 Ez = − ku y x + l ( y, z ) ; 2 (6.18) (6.19) dove h ( x, y ) e l ( y, z ) sono due arbitrarie funzioni. Confrontando la (6.16) con la (6.19), osserviamo che, siccome nella prima Ez è espressa tramite una funzione di y ed è nota a meno di una arbitraria funzione di x e z mentre, nella seconda, Ez è espressa attraverso una funzione di x ed è nota a meno di una arbitraria funzione di y e z, possiamo assumere che la funzione arbitraria della (6.16) sia − ku y x 2 e che la funzione arbitraria della (6.19) sia kux y 2 . Pertanto, la relazione: 1 Ez = k ( yux − xu y ) , 2 (6.20) è in accordo sia con l’espressione di Ez indicata dalla (6.16) che con quella mostrata nella (6.19). Infine, la terza equazione del sistema è risolta dalla coppia di componenti: 1 Ex = − kuz y + m ( x, z ) , 2 1 E y = kuz x + n ( y, z ) , 2 (6.21) (6.22) in maniera analoga a quanto fatto per la componente Ez , dal confronto tra la (6.18) e la (6.21) e tra la (6.17) e la (6.22), segue: 6-24 Induzione elettromagnetica 1 Ex = k ( u y z − u z y ) , 2 1 E y = k ( uz x − ux z ) , 2 (6.23) (6.24) G Facendo uso delle componenti indicate dalle relazioni (6.23), (6.24) e (6.20), il vettore campo elettrico E può essere scritto come: xˆ G 1 1 ˆ ˆ ˆ E = k ( u y z − uz y ) x + ( uz x − ux z ) y + ( yux − xu y ) z = k ux 2 2 x yˆ uy y zˆ 1 G uz = k uˆ × r , 2 z (6.25) G in cui r è il raggio vettore: G r = x xˆ + y yˆ + z zˆ . Pertanto, per i punti della spira, il campo elettrico è tangente alla spira ed è orientato rispetto al campo magnetico secondo la regola della mano destra. Come già anticipato, è possibile conseguire lo stesso risultato in maniera analoga a quanto fatto per ottenere la relazione (6.14); da questa formula, poiché in questo caso dB dt = −k , allora: G 1 dB G 1 1 G G E= r × nˆ = ( −k ) r × nˆ = k nˆ × r , 2 dt 2 2 questa espressione coincide con la (6.25) essendo n̂ diretto come û . 6.11 Legge di Ampère-Maxwell G La legge di Ampère afferma che, nel vuoto, in presenza di una corrente I, il campo magnetico B soddisfa la relazione: G G vC∫ B ⋅ dl G G = µ0 I = µ0 ∫ J ⋅ ds S dove S è una generica superficie che ha come contorno la linea C che concatena la corrente I e G lungo la quale si calcola la circuitazione del campo magnetico B . A questa relazione corrisponde l’espressione differenziale: G G G ∇ × B = µ0 J ; (6.26) applicando l’operatore divergenza ad ambo i membri, si trova: G G G G G µ 0∇ ⋅ J = ∇ ⋅ ( ∇ × B ) = 0 . G G Questa relazione è consistente con l’equazione di continuità (3.4) nel caso stazionario, ∇ ⋅ J = 0 , ma non lo è ovviamente nel caso generale in cui la densità di carica ρ varia nel tempo, quando G G ∇ ⋅ J = − ∂ρ ∂t ≠ 0 . Esempio: La non validità della legge di Ampère nel caso non stazionario emerge, ad esempio, nel processo di carica o di scarica di un condensatore. Con riferimento alla figura, la circuitazione del campo magnetico lungo la linea chiusa C di figura è diversa da zero, essendo il conduttore percorso da corrente (la corrente di carica o di scarica del Induzione elettromagnetica 6-25 condensatore); d’altra parte, per la legge di Ampère la circuitazione del campo magnetico lungo C è pari a µ0 volte la corrente che I attraversa una qualsiasi superficie che ha come contorno C . Così, se consideriamo una superficie piana S1 di contorno C si ha che la G G circuitazione B ⋅ dl è pari a µ0 I , se I è la corrente che attraversa v∫ C S1 C tale superficie. Consideriamo ora una superficie S2 di contorno C che si estende nella regione compresa tra le armature del I S2 condensatore; in questo caso S2 non è attraversata dal vettore densità di corrente, così il flusso di tale vettore attraverso S 2 è nullo e, di conseguenza, deve essere pure nulla la G G circuitazione B ⋅ dl , in palese contrasto col calcolo precedentemente svolto per S1 . v∫ C Per sanare le contraddizioni evidenziate dal precedente esempio, nel 1864 Maxwell propose di estendere il significato del concetto di densità di corrente nel modo che segue. Modifichiamo G l’espressione della (6.26) aggiungendo al secondo membro un vettore J S da determinarsi in modo da rendere compatibile tale espressione con l’equazione di continuità: G G G G ∇ × B = µ0 J + µ0 J S , G dove il vettore J S ha le dimensioni di una densità di corrente per ovvi motivi di omogeneità dimensionale. Applicando ad ambo i membri l’operatore divergenza, si ha: G G G G G G G ∇ ⋅ ∇ × B = µ 0∇ ⋅ J + µ 0∇ ⋅ J S , ( ) siccome il primo membro è nullo, segue: G G G G ∇ ⋅ J = −∇ ⋅ J S . Affinché tale espressione risulti in accordo con l’equazione di continuità, poniamo: G G G ∂ρ ∂ G G G ∂E ∇ ⋅ JS ≡ = ε 0∇ ⋅ E = ∇ ⋅ ε 0 , ∂t ∂t ∂t dove si è fatto uso dell’espressione differenziale della legge di Gauss, G G ∇ ⋅ E = ρ ε 0 , per porre in relazione la densità di carica ρ col relativo G campo elettrico E . Da tale relazione segue: G G G ∂E ∇ ⋅ JS − ε0 =0, ∂t fra tutte le possibili soluzioni di questa equazione, scegliamo quella per cui: G G ∂E JS ≡ ε0 . ∂t James Clerk Maxwell 6-26 Induzione elettromagnetica Con questa modifica, la nuova espressione della legge di Ampère è: G G G G ∂E ∇ × B = µ 0 J + µ 0ε 0 ∂t che, in tale forma, prende il nome di legge di Ampère-Maxwell. Questa relazione coincide con la G G legge di Ampère nel caso stazionario in cui i campi non dipendono dal tempo e ∂E ∂t = 0 , inoltre è G matematicamente compatibile, in generale, con l’equazione di continuità. Il vettore J S è detto densità di corrente di spostamento e il suo flusso attraverso una qualunque superficie S: G G G ∂E G ⋅ ds , I S = ∫ J S ⋅ ds = ∫ ε 0 ∂t S S (6.27) prende il nome di corrente di spostamento attraverso tale superficie. Nel caso non stazionario, la G densità di corrente di spostamento va aggiunta alla densità di corrente di conduzione J , ottenendo così una densità di corrente totale generalizzata: G G G ∂E JT = J + ε 0 , ∂t che è sempre solenoidale. Calcolando su una generica superficie non chiusa il flusso di entrambi i membri dell’espressione della legge di Ampère-Maxwell e applicando al primo membro il teorema del rotore, si trova immediatamente che il teorema della circuitazione di Ampère vale, istante per istante, anche in condizioni non stazionarie, pur di considerare in luogo della corrente di conduzione, la corrente totale generalizzata. Esempio: Per verificare che l’approccio testé illustrato sana la contraddizione emersa nel precedente esempio, consideriamo nuovamente il processo di carica o scarica di un condensatore. La legge di Ampère in forma integrale si esprime come: G I r -q E G vC∫ B ⋅ dl = µ ( I + I ) , 0 S in cui I S è dato dalla relazione (6.27); se si considera la superficie S1 che ha per contorno C , il flusso della densità di corrente di conduzione attraverso tale superficie vale I e inoltre, siccome attraverso S1 non ci sono campi elettrici variabili, risulta: G C S1 S2 +q n I G vC∫ B ⋅ dl = µ I . 0 Consideriamo ora, per semplicità, una superficie cilindrica S2 che contiene l’armatura positiva del condensatore, come mostrato in figura. Poiché il flusso della densità di corrente attraverso S2 è nullo, non compare I nell’espressione della legge di Ampère-Maxwell. Tuttavia occorre considerare il contributo della corrente di spostamento I S ; infatti tra le armature è presente il campo elettrico variabile: G σ q E = nˆ = nˆ , ε0 ε0S Induzione elettromagnetica 6-27 in cui S è la superficie dell’armatura positiva; tale campo, normale alla parte di S2 affacciata all’armatura e nullo altrove, varia poiché sta variando la quantità di carica q sulle armature del condensatore. La densità di corrente di spostamento vale quindi: G G ∂E ∂ q 1 dq I = ε0 J S = ε0 nˆ = nˆ = nˆ . ∂t ∂t ε 0 S S dt S G Siccome il flusso di J S attraverso la superficie S2 è diverso da zero solo in corrispondenza della porzione di superficie S affacciata all’armatura positiva, la corrente di spostamento è: IS = G ∫J S2 S I G G I ⋅ ds = ∫ nˆ ⋅ ds = ∫ ds = I , S SS S cioè la corrente di spostamento coincide con la corrente di conduzione e, ancora una volta, vale la relazione: G G vC∫ B ⋅ dl = µ I , 0 Questa trattazione prescinde dalla presenza di mezzi materiali; se lo spazio è riempito da un G materiale dielettrico si fa uso del vettore spostamento D , la cui divergenza è legata alla densità di G G carica libera ρ dalla relazione ∇ ⋅ D = ρ ; in questo caso la densità di corrente totale generalizzata, si scrive: G G G ∂D JT = J + , ∂t e la legge di Ampère-Maxwell si esprime come: G G G G ∂D ∇ × B = µ0 J + µ0 . ∂t G Inoltre, se nella densità di corrente J T deve essere compresa anche la densità di corrente amperiana G G G J M = ∇ × M , fatto che non altera la solenoidalità della densità di corrente totale generalizzata, risulta: G G G G G G G G G ∂D ∂D ∇ × B = µ0 J + µ 0 J M + µ0 = µ0 J + µ0∇ × M + µ0 . ∂t ∂t G Infine il termine contenente il vettore magnetizzazione M può essere fatto scomparire formalmente portandolo al primo membro: G G G B G G ∂D ∇× − M = J + ∂t µ0 G G G e ricorrendo al vettore H = B µ0 − M , così la legge di Ampère-Maxwell diventa: ( ) 6-28 Induzione elettromagnetica G G G G ∂D ∇× H = J + . ∂t 6.12 Equazioni di Maxwell Nel 1864, in una memoria intitolata A Dynamical Theory of Electromagnetic Field, estesa nel 1873 in un trattato generale, Maxwell riassunse in un insieme di venti equazioni le leggi dell’elettromagnetismo. Nel vuoto, in presenza di cariche libere e di correnti di conduzione, G distribuite rispettivamente con densità ρ e J , le equazioni di Maxwell, riformulate intorno al 1890 da Heinrich Hertz e da Heaviside, si esprimono come: G G ρ ∇⋅E = , (6.28) ε0 G G ∇⋅B = 0, G G G ∂B ∇× E = − , ∂t G G G G ∂E ; ∇ × B = µ 0 J + µ 0ε 0 ∂t (6.29) (6.30) (6.31) l’equazione (6.28) stabilisce che il flusso del campo elettrico attraverso una superficie chiusa è determinato dalla carica racchiusa dalla superficie, tale relazione è valida sia per campi statici che variabili; l’equazione (6.29) afferma che il campo magnetico è sempre solenoidale e quindi che non esistono cariche magnetiche; l’equazione (6.30) mostra che un campo magnetico variabile è sorgente di un campo elettrico; infine l’equazione (6.31) individua quali sorgenti del campo magnetico le correnti di conduzione e le variazioni del campo elettrico. Applicando l’operatore divergenza alla (6.31) e facendo uso della (6.28) si ottiene l’equazione di continuità: G G ∂ρ ∇⋅ J + = 0, ∂t che esprime la conservazione della carica elettrica, proprietà contenuta, quindi, nelle equazioni di Maxwell. La forza agente su di una particella di carica q è espressa dalla relazione di Lorentz: G G G G F = q E+v×B ( ) e il moto soddisfa la seconda legge di Newton: G dpG , F= dt G dove p è la quantità di moto associata alla particella; per piccole velocità rispetto a quella della G G G luce nel vuoto questa espressione diventa F = ma , in cui m e a rappresentano, rispettivamente la G G massa e l’accelerazione della particella. Ai campi E e B è associata una densità di energia: Induzione elettromagnetica 6-29 1 1 2 u = ε0E2 + B . 2 2 µ0 G G Nei mezzi materiali, la presenza dei campi E e B determina la formazione di cariche di G polarizzazione e di correnti di magnetizzazione le cui densità sono esprimibili attraverso i vettori P G G e M . Tali densità modificano i valori di ρ e di J nelle equazioni di Maxwell; queste modifiche vengono formalmente rimosse da tali equazioni introducendo i vettori: G G G D = ε0E + P , G G B G −M ; H= µ0 così, per mezzi materiali in quiete, le equazioni di Maxwell si scrivono: G G ∇⋅D = ρ , G G ∇⋅B = 0, G G G ∂B ∇× E = − , ∂t G G G G ∂D , ∇× H = J + ∂t (6.32) (6.33) G G G G dove le relazioni tra i vettori E e D e tra i vettori B e H sono: G G D = ε 0ε r E , G G B = µ0 µ r H , e le equazioni (6.32) e (6.33) si riconducono rispettivamente alle equazioni (6.28) e (6.31) attraverso la sostituzione formale del prodotto ε 0ε r in luogo di ε 0 e del prodotto µ0 µr in luogo di µ0 . Nello spazio vuoto, in assenza di cariche e di correnti, le equazioni di Maxwell si scrivono: G G ∇⋅E = 0, G G ∇⋅B = 0, G G G ∂B ∇× E = − , ∂t G G G ∂E ∇ × B = µ 0ε 0 ∂t G G ed assumono una forma particolarmente simmetrica nei campi E e B . Notiamo infine che le equazioni di Maxwell legano tra loro, nel caso dinamico, il campo elettrico e quello magnetico, pertanto perde di significato una considerazione separata di questi due campi poiché laddove si manifesta uno si presenta anche l’altro e viceversa. Per tale motivo l’accoppiamento del campo elettrico e di quello magnetico prende il nome di campo elettromagnetico. 6-30 Induzione elettromagnetica