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Doveri del datore di lavoro in caso
di risoluzione di un rapporto lavorativo
Modi di estinzione e di risoluzione
di un rapporto di lavoro
(Tratto da: Guida giuridica)
Secondo il Codice del Lavoro ci sono vari modi per
risolvere un rapporto di lavoro (art. 42). Si tratta
dell'accordo tra le parti, del licenziamento, della revoca senza
preavviso e della revoca durante il periodo di prova. Un rapporto
di lavoro a tempo determinato si estingue naturalmente allo scadere
del periodo prefissato, mentre un rapporto di lavoro con uno
straniero o comunque con una persona che non abbia la
nazionalità ceca termina il giorno in cui scade la validità del
permesso di soggiorno di tale dipendente, in seguito alla decisione
di ritiro del suo permesso di soggiorno oppure il giorno in cui entri
legalmente in vigore un'eventuale decisione di espulsione. Un
evidente motivo di risoluzione di un rapporto di lavoro è la morte
del dipendente.
IT
In generale questo campo di attività propria del datore di lavoro è
anche quello che più di ogni altro gli apporta obblighi legali da
adempiere e (sulla base del Codice del Lavoro) rispettare.
Risoluzione di un rapporto di fatto
Nella pratica sono frequenti i cosiddetti casi di rapporto di lavoro
di fatto. Si tratta ad esempio di quelle situazioni in cui il dipendente
ha tenuto nascosta l'esistenza di un suo rapporto di lavoro ed ha
intrapreso una nuova occupazione.
In questo caso, ai sensi dell'art. 243 § 4 del Codice del Lavoro, ci
troviamo di fronte ad un rapporto di lavoro di fatto sulla base di un
contratto di lavoro non valido. Nel caso in cui la non validità sia
stata causata esclusivamente dal dipendente (che, ad esempio, ha
tenuto nascosta l'esistenza di un rapporto di lavoro ancora in
Il datore può licenziare esclusivamente per i motivi
che vengono tassativamente stabiliti dal Codice del
Lavoro (art. 46).
Secondo il Codice del Lavoro ci sono vari modi per
risolvere un rapporto di lavoro (art. 42). Si tratta
dell'accordo, del licenziamento, della revoca senza
preavviso e della revoca in periodo di prova.
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vigore), il datore di lavoro non avrà nei suoi confronti tutti quegli
obblighi che altrimenti gli derivano da un rapporto di lavoro
stipulato in maniera valida. Il datore di lavoro è naturalmente
obbligato ad accordare al dipendente il compenso rispondente al
lavoro per lui realmente effettuato, mentre l'eventuale insorgere di
altri obblighi dipende invece dalle circostanze concrete di ogni
caso. L'obbligo per il datore di lavoro di pagare un compenso per
il lavoro straordinario o altre voci salariali non può venir meno però
neppure in seguito a una sua decisione unilaterale di diminuire
l'orario lavorativo.
In certi casi un rapporto di lavoro di fatto continua ad essere valido
anche dopo essere stato scoperto. Se il dipendente ottiene poi una
conclusione regolare di quel rapporto di lavoro la cui esistenza era
di ostacolo alla validità del secondo rapporto di lavoro e se egli
continua quindi a lavorare ancora per il nuovo datore di lavoro, è
possibile presupporre che si sia tacitamente giunti alla stipula di un
nuovo contratto.
Estinzione di un rapporto di lavoro stipulato a
tempo determinato
Fin dallo stesso concetto di "rapporto di lavoro stipulato a tempo
determinato" emerge che tale rapporto di lavoro deve essere
sostanzialmente a breve termine, stabilito soprattutto per un periodo
temporalmente circoscritto.
Nel caso in cui un rapporto di lavoro sia stato stipulato per un
periodo di tempo concreto, allo scadere di tale periodo il rapporto
di lavoro in questione avrà termine senza ulteriori iniziative
giuridiche (art. 56). Non esiste infatti alcun periodo di tutela, come
accade invece per il licenziamento. Se però, una volta terminato il
periodo pattuito, il dipendente continua nel suo lavoro e il datore
di lavoro ne è a conoscenza, il rapporto di lavoro a tempo
determinato diventa automaticamente un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato.
Nel caso in cui una delle parti voglia interrompere un rapporto
di lavoro stabilito a tempo determinato prima dello scadere del
tempo previsto, essa potrà servirsi di tutte le forme che
normalmente risolvono un rapporto di lavoro (accordo,
licenziamento e revoca senza preavviso), così come sono
regolate dal Codice del Lavoro.
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Revoca di un rapporto di lavoro durante il
periodo di prova
Se nel contratto di lavoro è stato pattuito un periodo di prova,
durante il suo corso il datore di lavoro può in qualunque istante
rescindere, per iscritto ma senza doverne specificare i motivi, tale
rapporto di lavoro. Eccetto che per la forma scritta il Codice del
Lavoro non stabilisce altre limitazioni. In un periodo di prova è
pertanto possibile, ad esempio, rescindere un rapporto di lavoro
con una dipendente incinta o con un dipendente in malattia. Come
già detto, la rescissione del contratto dovrebbe avvenire per
iscritto, ma una rescissione orale è ugualmente valida.
Un datore di lavoro che abbia deciso di rescindere un rapporto di
lavoro durante il periodo di prova dovrebbe di regola mettere a
conoscenza l'altra parte con almeno tre giorni di anticipo.
Accordo di fine-rapporto lavorativo
Per risolvere un rapporto di lavoro tramite accordo è necessario
(art. 43 del Codice del Lavoro) che entrambe le parti, ovvero
dipendente e datore di lavoro, concordino per iscritto di porre
termine al loro rapporto giuridico-lavorativo (la proposta di porvi
termine può venire tanto dal dipendente quanto dal datore) e si
accordino sulla data di cessazione del rapporto. Tale accordo
deve avere forma scritta (un accordo orale non è valido e equivale
invece a una violazione degli obblighi previsti dalla legge. Per
questo può essere causa di grandi complicazioni nel caso di
eventuali rivendicazioni dei diritti giuridico-lavorativi).
Nel caso in cui il dipendente richieda che nell'accordo venga
riportato il motivo che ha condotto alla fine del rapporto di lavoro,
ciò deve essergli concesso (la regola non vale nel caso contrario,
ovvero nel caso in cui a farne richiesta sia il datore di lavoro).
L'accordo di cessazione del rapporto lavorativo può essere
stipulato in un qualunque momento del rapporto di lavoro, ovvero
anche nel caso in cui il dipendente sia ammalato oppure sia una
donna che provveda costantemente alle cure di un bambino al di
sotto dei tre anni, oppure ancora in cui il dipendente abbia una
capacità lavorativa distinta. Il Codice del Lavoro parte dal
presupposto che un accordo è espressione della libera volontà di
entrambe le parti, le quali si rendono pienamente conto dei risultati
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delle loro azioni. Non c'è quindi bisogno che per i dipendenti
venga adottata una tutela particolare come nei casi in cui un
rapporto di lavoro termini per volontà di una parte soltanto, cioè
del datore di lavoro contro la volontà del dipendente.
L'accordo per la cessazione del rapporto lavorativo va stipulato per
iscritto, tuttavia è valido anche un accordo concluso oralmente. In
quest'ultimo caso bisogna però preventivare che in seguito
potrebbero insorgere dei fastidi derivanti dall'eventuale esigenza di
dimostrare il contenuto dell'accordo. E ciò soprattutto in caso di
cessazione imputabile a cambiamenti nell'organizzazione, quando
ai dipendenti spettino alcuni vantaggi giuridico-lavorativi (ad
esempio la buonuscita).
Un requisito necessario dell'accordo è la specificazione della data
in cui il rapporto di lavoro avrà termine. Il caso più frequente è
quello in cui il periodo della fine del rapporto di lavoro viene
determinato da un giorno di calendario. E questo è anche il modo
più semplice e preciso di determinare il giorno. Nel caso in cui
venga invece impiegato un diverso modo di determinazione (ad
esempio se la data è collegata ad un certo avvenimento oppure
ad una condizione di rescissione del contratto), esso deve essere
tale da non dare adito a dubbi.
Rescissione senza preavviso del rapporto
di lavoro
Questo modo di porre termine al rapporto di lavoro viene definito
dal Codice del Lavoro come "eccezionale" (art. 53). Il Codice
distingue i motivi per cui il rapporto di lavoro può essere rescisso
senza preavviso dal datore di lavoro da quelli per cui a rescinderlo
può essere il dipendente (art. 54).
Il datore può rescindere un rapporto di lavoro senza preavviso nel
caso in cui il suo dipendente sia stato condannato con sentenza
definitiva per un'azione penale premeditata a una pena
incondizionata detentiva più lunga di un anno.
Nel caso in cui però il dipendente sia stato condannato per
un'azione penale premeditata commessa durante lo svolgimento
delle mansioni lavorative oppure in dipendenza diretta da esse,
allora per la rescissione senza preavviso sarà sufficiente la
condanna ad una pena incondizionata con la privazione della
libertà per almeno dodici mesi. Il datore di lavoro può rescindere
senza preavviso un rapporto di lavoro anche qualora il dipendente
abbia violato, soprattutto se in modo gravissimo, la disciplina del
lavoro (si sia cioè in presenza del massimo livello di violazione
della disciplina del lavoro).
Non appena il datore di lavoro si renda conto di una violazione
gravissima della disciplina del lavoro, dovrebbe agire il più
velocemente possibile. Il rapporto lavorativo può essere infatti da
lui rescisso solo entro un mese a partire dal giorno in cui sia venuto
a conoscenza di tale violazione, e in ogni caso al più tardi entro
un anno a partire dal giorno in cui tale violazione si sia verificata.
Con una dipendente in stato interessante oppure con una
dipendente o con un dipendente che da soli provvedano alle cure
costanti di un bambino durante i primi tre anni della sua vita non è
possibile rescindere senza preavviso il rapporto di lavoro. Il datore
può soltanto licenziare questi dipendenti (eccezion fatta per una
dipendente in maternità).
Perché la fine di un rapporto di lavoro tramite rescissione senza
preavviso sia valida, valgono delle severe regole giuridiche che, se
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non rispettate, portano come conseguenza l'invalidamento della
rescissione senza preavviso (art. 55 del Codice del Lavoro). Si
tratta soprattutto della forma scritta, della precisa specificazione del
motivo, della rescissione senza preavviso e della consegna nei
termini previsti all'altra parte. Il motivo della rescissione senza
preavviso non può essere dopo di ciò cambiato.
Recesso da un rapporto di lavoro tramite
licenziamento generico
Il recesso da un rapporto di lavoro sia tramite dimissioni da parte
del dipendente che tramite licenziamento da parte del datore di
lavoro si distingue in modo sostanziale dal recesso da un rapporto
di lavoro tramite accordo, poiché si tratta di un'azione unilaterale
messa in atto nei confronti dell'altro da un partecipante soltanto al
rapporto giuridico.
Poiché tale azione unilaterale spesso conduce alla fine del
rapporto giuridico-lavorativo con l'altro partecipante contro la sua
volontà, il Codice del Lavoro stabilisce delle regole molto severe
cui è necessario attenersi affinché il licenziamento o le dimissioni
siano valide (art. 44 del Codice del Lavoro).
Questo tipo di dimissioni o di licenziamento devono essere
innanzi tutto comunicati debitamente affinché sia del tutto
chiaro quale azione giuridica vuole mettere in atto la parte in
causa. Nella pratica incontriamo molto spesso un'azione
identificata come "licenziamento/dimissioni per accordo", che
è del tutto incomprensibile e non ha validità alcuna nelle sue
conseguenze.
La lettera di licenziamento/dimissioni deve essere consegnata
all'altra parte; in caso contrario non ha valore. Per consegna (art.
266a del Codice del Lavoro) si intende una consegna reale
all'altro partecipante, ovvero per il dipendente si intende una
consegna personale, mentre, di regola, per il datore vale la
consegna a un superiore oppure all'ufficio di smistamento del
datore. E' opportuno farsi convalidare la consegna, ad esempio su
una copia della lettera di licenziamento/dimissioni.
Gli effetti del licenziamento o delle dimissioni, vale a dire la fine
del rapporto di lavoro, non entrano in vigore immediatamente
bensì solo allo scadere di un determinato periodo, definito come
"periodo di licenziamento/dimissioni" (art. 45 del Codice del
Lavoro). Nella pratica i partecipanti al rapporto di lavoro spesso
sbagliano perché uno di loro consegna la cosiddetta lettera di
"licenziamento/dimissioni in un'ora" oppure di "licenziamento/
dimissioni all'istante". La rescissione di un rapporto di lavoro senza
alcun tipo di proroga, ovvero all'istante, è però un istituto giuridicolavorativo completamente diverso dal licenziamento e dalle
dimissioni.
Intervallo di tempo tra il preavviso di
licenziamento/dimissioni e la la loro
decorrenza
L'intervallo di tempo tra il preavviso di licenziamento/dimisssioni e
la loro decorrenza è collegato alla consegna della lettera di
licenziamento/dimissioni all'altra parte e inizia a partire dal primo
giorno del mese che segue quello in cui la lettera di
licenziamento/dimissioni è stata consegnata (ad esempio il
periodo di licenziamento/dimissioni per una lettera consegnata il
28 aprile inizia a decorrere a partire dal 1 maggio, mentre il
periodo di licenziamento/dimissioni per una lettera consegnata in
data 1 marzo inizia a decorrere a partire dal 1 aprile).
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Questo intervallo ha la stessa durata, indipendentemente dal fatto
che a presentarne richiesta sia stato il dipendente o il datore di
lavoro, e corrisponde a due mesi (in caso di licenziamento in base
all'art. 46 lettere a-c – si veda oltre – equivale invece a tre mesi).
Se pertanto il preavviso di licenziamento/dimissioni è stato
presentato in data 15 marzo, l'intervallo inizierà a decorrere a
partire dal 1 aprile e il rapporto di lavoro avrà fine in data 31
maggio (o, per il licenziamento in base all'art. 46 § 1 lettere a-c,
in data 30 giugno).
Licenziamento da parte del datore di lavoro
Il datore può licenziare esclusivamente per i motivi che vengono
tassativamente stabiliti dal Codice del Lavoro (art. 46).
Nella lettera di licenziamento deve essere riportata concretamente
la ragione del licenziamento. Non basta limitarsi a riportare
semplicemente il numero della relativa disposizione del Codice del
Lavoro.
Un licenziamento che si basi su una qualsiasi altra ragione rispetto
a quelle stabilite dal Codice del Lavoro oppure che non sia
motivato affatto non è valido e, in caso di contenzioso giudiziario,
il datore non ha nessuna speranza reale di successo. Inoltre non è
possibile cambiare il motivo di un licenziamento in un secondo
momento.
Nella pratica può accadere che chi ha licenziato qualcuno cambi
idea e voglia ritirare la lettera di licenziamento già consegnata.
Tale procedura è possibile, ma soltanto nel caso in cui l'altro
partecipante sia d'accordo. Questo cosiddetto ritiro del preavviso
di licenziamento deve essere anch'esso fatto, così come la lettera
di licenziamento, per iscritto; anche il consenso dell'altro
partecipante a questa procedura deve essere confermato per
iscritto.
Motivi di licenziamento da parte del datore di
lavoro
Motivi organizzativi
Si tratta del licenziamento per le ragioni riportate all'art. 46 § 1
lettere a-c del Codice del Lavoro: chiusura o trasloco del datore di
lavoro e altri cambiamenti organizzativi, superfluità o eccedenza
del dipendente, ecc.
Le ragioni si fondano su circostanze base che riguardano il datore
di lavoro (ad esempio il datore annulla la licenza imprenditoriale,
cambia la sua sede, una parte della sua proprietà - un'officina
oppure un esercizio - passa ad un altro datore la cui attività
imprenditoriale non consente di impiegare oltre il dipendente sulla
base del contratto di lavoro, ecc.). Il Codice del Lavoro introduce
le ragioni relative al licenziamento per cambiamenti organizzativi
nell'art. 46 § 1.
Attualmente nella pratica la forma di licenziamento più frequente
dovuta a cambiamenti organizzativi è collegata alla superfluità del
dipendente.
La condizione necessaria per applicare ad un licenziamento il
motivo della riduzione dello staff dei dipendenti al fine di
aumentare l'efficacia del lavoro oppure per introdurre cambiamenti
di altro tipo nell'organizzazione è la superfluità del dipendente. Di
superfluità possiamo parlare soltanto nel caso in cui il datore non
abbia alcuna possibilità di impiegare oltre il dipendente nelle
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mansioni pattuite nel contratto di lavoro. Le cause non devono
trovare necessariamente fondamento nella sua persona (ad
esempio l'incapacità di adempiere alle mansioni pattuite o la
violazione della disciplina del lavoro), bensì possono anche
consistere nel fatto che il datore di lavoro o non avrà più bisogno
del lavoro del dipendente in questione in senso assoluto oppure ne
avrà ancora bisogno ma non più nella quantità originale.
Il dipendente sarà superfluo soprattutto nel caso in cui il datore di
lavoro diminuirà il numero complessivo dei dipendenti. Il Codice
del Lavoro non stabilisce dei criteri vincolanti per la scelta dei
dipendenti con i quali sciogliere il rapporto di lavoro tramite
licenziamento. Anche se si tratta di una diminuzione del numero
complessivo dei dipendenti, la superfluità non si manifesta
necessariamente in tutti gli ambiti dell'attività del datore; per questa
ragione non è possibile licenziare un dipendente qualsiasi, bensì
solo quello la cui attività lavorativa diventa per il datore di lavoro
superflua. Oltre a ciò il datore di lavoro non è legato da
nessun'altra limitazione legale su quale dei dipendenti possa essere
licenziato.
Lo scioglimento di un rapporto di lavoro per superfluità non deve
essere però condizionato da una riduzione in senso assoluto del
numero dei dipendenti. Ci si può giungere anche in caso di
aumento del loro numero. Infatti per il datore di lavoro non è
importante unicamente il numero dei dipendenti bensì anche la loro
composizione dal punto di vista della professione e della qualifica.
Non è pertanto da escludere che durante cambiamenti a livello
organizzativo, in caso di insufficienza di dipendenti per una certa
professione oppure di una certa qualifica, un datore possa da una
parte assumere nuovi impiegati ed accrescere il loro numero
mentre, contemporaneamente, possa avere un'eccedenza di
dipendenti di un'altra professione oppure in un altro settore di
attività lavorativa.
La superfluità del dipendente è la condizione della validità del
licenziamento dal rapporto lavorativo e in caso di controversia
giudiziaria il datore di lavoro deve dimostrare di essersi attenuto a
tale condizione. Oltre a ciò i tribunali non verificano invece
perché, fra più dipendenti superflui, la scelta sia ricaduta su un
impiegato piuttosto che su un altro: a decidere a questo proposito
è infatti il solo datore di lavoro.
Un'ulteriore condizione dell'impiego di tale motivo di licenziamento
è che la superfluità sia in relazione di causa con i cambiamenti
negli obiettivi del datore di lavoro, nel suo corredo tecnico oppure
con altri cambiamenti organizzativi, ad esempio in conseguenza
della fusione di varie strutture del datore oppure della sua
decisione di ridurre lo staff al fine di aumentare l'efficacia del
lavoro. In ogni caso si deve trattare di cambiamenti organizzativi
all'interno dell'organizzazione del datore di lavoro, cambiamenti
che nelle loro conseguenze riguardano il numero necessario di
impiegati. Non esisterebbe invece alcun motivo di licenziamento
qualora in una sede lavorativa avessero luogo dei cambiamenti
interni a livello organizzativo ma il datore di lavoro volesse
rescindere il suo rapporto di lavoro con un dipendente
appartenente ad una sede lavorativa completamente distinta (o a
un diverso luogo d'esercizio) oppure con un dipendente svolgente
mansioni che non sono in nessun rapporto con i cambiamenti in
corso. Per tale motivo il datore di lavoro non può licenziare
neppure qualora la superfluità abbia avuto origine non in
conseguenza di misure organizzative interne, bensì per l'assunzione
di nuovi dipendenti. E a nulla servirebbero la sua obiezione o
motivazione che i nuovi assunti vantano una qualifica maggiore, o
simili. Qui si potrebbe invece piuttosto prendere in considerazione
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il licenziamento per inadempienza delle premesse stabilite o delle
richieste riposte sullo svolgimento del lavoro, ma in ogni caso non il
motivo del licenziamento per superfluità.
Motivi di salute
Si tratta di motivi di salute da parte del dipendente. Perché sia
possibile in questo caso licenziare un dipendente c'è bisogno di un
referto medico oppure della decisione dell'organo competente
dell'amministrazione sanitaria statale. Il parere medico oppure la
decisione devono dichiarare esplicitamente che il dipendente ha
perso per un lungo periodo di tempo la capacità di adempiere al
lavoro svolto fino a quel momento.
Inadempienza delle premesse oppure delle
richieste fatte sul lavoro richiesto
Le "premesse" delle quali si parla nel motivo di questo
licenziamento sono stabilite da norme giuridiche. Si tratta ad
esempio dell'abilitazione alla guida come premessa per lo
svolgimento della professione di autista oppure dell'esame speciale
per poter svolgere la professione di elettricista. Se il dipendente ha
perduto tali premesse (ad esempio gli è stata ritirata la patente di
guida) oppure non le ha mai adempiute (ad esempio non ha
passato l'esame necessario), il datore di lavoro può fare uso di tale
motivo di licenziamento.
In questa disposizione, per "richieste" si intendono invece le
richieste fatte su un lavoro concreto. Tali richieste non sono stabilite
da norme legali e normalmente a definirle è il datore di lavoro
stesso. Si tratta ad esempio dell'abilità organizzativa richiesta alla
segretaria del direttore oppure delle buone capacità espressive per
un lettore, ecc. Se, senza colpa alcuna del datore di lavoro, il
dipendente non adempie tali richieste e tale inadempienza ha
come conseguenza dei risultati lavorativi insoddisfacenti,
l'inadempienza delle richieste può essere impiegata come motivo
del licenziamento. E' però assolutamente necessario che il datore
di lavoro avverta il dipendente degli insoddisfacenti risultati
lavorativi per iscritto (e concretamente) e che contemporaneamente
stabilisca per iscritto un termine adeguato per l'eliminazione di tali
inadempienze. Nel caso in cui il dipendente nel periodo stabilito
non elimini le inadempienze attribuitegli, sarà possibile per tale
motivo licenziarlo, e ciò nel corso dei dodici mesi a partire
dall'avvertimento di cui sopra.
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Violazione della disciplina del lavoro
(art. 46 § 1 lettera f del Codice del Lavoro)
Tale situazione comprende complessivamente tre casi distinti,
ovvero:
il caso in cui è possibile sciogliere un rapporto di lavoro
all'istante, ovvero quello in cui il dipendente, per un'azione
penale premeditata, sia stato condannato ad una pena
incondizionata detentiva oppure quello legato a una violazione
gravissima della disciplina del lavoro
una grave violazione della disciplina del lavoro
una violazione meno grave ma sistematica della disciplina del
lavoro. Di tale motivo si può fare però impiego solo qualora
negli ultimi sei mesi il dipendente sia stato avvisato della
possibilità di essere licenziato in relazione alla violazione della
disciplina del lavoro. Tale avviso dovrebbe esser approntato per
iscritto per una futura esibizione in caso di contenzioso
giudiziario.
Cosa sia in realtà una violazione gravissima della disciplina del
lavoro, cosa debba esser definito come grave e cosa come meno
grave bisogna giudicarlo sempre in base alle circostanze del caso
concreto.
Come violazione meno grave della disciplina del lavoro va ad
esempio considerato l'arrivo in ritardo al lavoro, come grave
violazione alla disciplina del lavoro si può ad esempio considerare
l'uso di alcolici sul luogo di lavoro, mentre come violazione
gravissima alla disciplina del lavoro si considera ad esempio
l'aggressione fisica a colleghi oppure al datore si lavoro.
In base alla prassi dei tribunali, una violazione sistematica della
disciplina del lavoro si ha quando si è giunti a violare la disciplina
del lavoro per almeno tre volte, laddove fra i singoli casi esista una
dipendenza temporale e sia al tempo stesso chiaro che il
dipendente non abbia intenzione di rispettare la disciplina del
lavoro neppure in futuro.
Nel caso in cui il datore voglia sciogliere un rapporto di lavoro
tramite licenziamento per violazione della disciplina del lavoro
oppure per motivi per cui sia possibile rescindere il rapporto
all'istante, egli deve attenersi ai termini stabiliti dal Codice di
Lavoro.
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Così è possibile licenziare qualcuno entro due mesi a partire dal
giorno in cui il datore di lavoro sia venuto a conoscenza della
violazione della disciplina del lavoro, al massimo però entro un
anno a partire dal giorno in cui tale violazione si è verificata. Se
ad esempio il dipendente ha violato la disciplina del lavoro il
giorno 20/03/2001, il datore può presentargli la lettera di
licenziamento per grave violazione della disciplina del lavoro entro
il 25/04/2001, ovvero entro un mese a partire dal giorno in cui
è venuto a conoscenza di tale violazione. Nel caso in cui, ad
esempio, di tale violazione venisse a conoscenza il
20/04/2002, non potrebbe più licenziarlo poiché il termine di un
anno sarebbe già scaduto.
La malattia tutela dal licenziamento?
In base alla disposizione dell'art. 48 del Codice del Lavoro, il
datore non può licenziare il dipendente:
nel periodo in cui quest'ultimo sia riconosciuto come
temporaneamente inabile al lavoro per malattia o per incidente,
nel caso in cui tale inabilità non sia stata da lui provocata né
causata in stato di ubriachezza, oppure nel periodo successivo
alla richiesta di ricovero ospedaliero o in istituti di cura oppure
al permesso di cure termali e fino al giorno della loro
conclusione,
durante la prestazione di servizio presso le Forze Armate, a
partire dal giorno in cui al dipendente sia stato consegnato
l'ordine di prendere servizio oppure in cui sia stato reso pubblico
un decreto contente un ordine di servizio collettivo, e fino allo
scadere delle due settimane successive al suo congedo da tale
servizio,
nel periodo in cui il dipendente sia stato lasciato completamente
libero per lo svolgimento di una funzione pubblica (ad esempio
come membro del consiglio municipale, di un organo legislativo,
ecc.),
nel periodo in cui una dipendente sia gravida oppure in cui una
dipendente sola oppure un dipendente solo abbia in cura
permanente almeno un bambino di età inferiore ai tre anni.
codice del lavoro zákoník práce
Il divieto di licenziamento non vale però in certi casi (art. 49 del
Codice del Lavoro). E' infatti possibile licenziare anche quei
dipendenti riportati nell'art. 48 § 1 del Codice del Lavoro (ovvero
nel periodo di inidoneità al lavoro, durante il servizio militare, in
gravidanza, ecc.) qualora si tratti di un licenziamento per motivi di
cambiamenti organizzativi (art. 46 lettere a, b del Codice del
Lavoro) ed inoltre per motivi per i quali sia possibile rescindere
all'istante un rapporto di lavoro. Ai suddetti dipendenti è possibile
anche presentare il licenziamento per una violazione di altro tipo
della disciplina del lavoro (art. 48 § 1 lettera f del Codice del
Lavoro), nel caso in cui non si tratti di dipendente in gravidanza
oppure di dipendente solo (uomo o donna che sia) che abbia in
cura permanente un bimbo di età inferiore ai tre anni.
Consenso dell'Ufficio del lavoro
Il dipendente la cui capacità lavorativa è cambiata viene tutelato
dal Codice del Lavoro in maniera molto decisa poiché è possibile
licenziarlo solo qualora l'Ufficio del lavoro competente abbia
precedentemente espresso il proprio consenso. Senza tale
consenso a priori il licenziamento del dipendente non è valido.
Per i dipendenti con una capacità lavorativa cambiata che hanno
più di 65 anni oppure nel caso in cui i motivi del licenziamento
siano quelli contemplati all'art. 46 § 1 lettere a, b, f del Codice
del Lavoro, è però possibile licenziare anche a prescindere da tale
consenso (art. 50 del Codice del Lavoro).
Una nuova occupazione adatta
In relazione ai motivi del licenziamento bisogna ancora parlare dei
casi in cui il periodo di licenziamento ha fine solo quando il datore
di lavoro assicura realmente al dipendente una nuova occupazione
adatta (ciò significa magari anche allo scadere dei due o dei tre
mesi). Si tratta dei casi di licenziamento contemplati dall'art. 46 §
1 lettera c del Codice del Lavoro in relazione ad una dipendente
oppure a un dipendente soli che abbiano la cura permanente di un
bambino di età inferiore ai 15 anni, oppure di un dipendente
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divenuto disabile che non percepisca la pensione; inoltre in caso
di licenziamento di un dipendente che non possa svolgere un
lavoro per la minaccia di una malattia che gli deriva da tale lavoro
oppure per il fatto di avere raggiunto la più elevata esposizione
ammissibile. In tali casi il periodo di licenziamento ha termine solo
quando il datore di lavoro non assicuri di fatto una nuova
occupazione adatta, a meno che il dipendente non si accordi
diversamente con il datore di lavoro (art. 47 § 2).
Nel caso in cui però il dipendente non voglia passare alla
differente occupazione adatta che il datore di lavoro gli ha offerto
prima del licenziamento oppure nel caso in cui rifiuti il nuovo posto
assicurato dal datore senza alcuna buona ragione, allora il datore
non ha più l'obbligo di garantirgli un posto di lavoro e la fase del
pre-licenziamento ha fine.
La validità del licenziamento a conclusione di un rapporto di lavoro
è sempre condizionata dall'adempimento degli obblighi che
emergono per il datore di lavoro sulla base dell'art. 46 § 2 del
Codice del Lavoro. Un licenziamento per superfluità può essere
valido solo qualora il datore non abbia la possibilità di impiegare
oltre il dipendente nel posto che era stato contrattato come posto di
svolgimento del lavoro oppure nel luogo del proprio domicilio, e
non possa impiegarlo neppure dopo un corso di formazione. Tale
obbligo sarebbe adempiuto però anche qualora il dipendente non
fosse in grado di passare ad una nuova occupazione adatta
oppure di sottoporsi a un corso di formazione (ad esempio una
riqualificazione).
Affinché il licenziamento avanzato dal datore sia valido, esso deve
adempiere alle condizioni stabilite dalla legge. In base all'art. 46
§ 2 del Codice del Lavoro, fra queste rientra anche l'offerta di un
nuovo lavoro adeguato.
Ai sensi dell'art. 37 § 5 del Codice del Lavoro, per nuovo
lavoro adeguato per il dipendente s'intende un'occupazione che
sia rispondente allo stato di salute, alle capacità e, per quanto
possibile, alla qualifica del dipendente. Dal fatto che il nuovo
lavoro adeguato debba corrispondere per quanto possibile
anche alla qualifica del dipendente bisogna dedurre che tale
lavoro deve essere inteso innanzi tutto come lavoro precisamente
rispondente alla qualifica del dipendente, solo dopo (nel caso in
cui un posto di lavoro precisamente rispondente alla qualifica
del dipendente non sia libero) come lavoro che risponda per
quanto possibile alla qualifica del dipendente e solo da ultimo
(nel caso in cui non sia libero neppure un posto che corrisponda
per quanto possibile alla qualifica del dipendente) come lavoro
per il quale non sia richiesta nessuna qualifica particolare.
Perciò per lavoro adeguato è possibile eventualmente
considerare anche un lavoro per cui la qualifica del dipendente
non sia utilizzata a pieno.
Naturalmente non è un'occupazione adatta quel lavoro che un
dipendente non è in grado di adempiere a causa del suo stato di
salute, per le sue capacità limitate oppure per una qualifica
insufficiente (nel caso in cui tale qualifica non possa essere
raggiunta attraverso un corso di formazione).
In base alla decisione della Corte Suprema n. R 71/75, il datore
di lavoro ha l'obbligo di offrire al dipendente solo quel posto di
lavoro per il quale il dipendente assolva le premesse stabilite dalle
norme giuridiche ed eventualmente le richieste che sono condizione
necessaria per lo svolgimento del suo lavoro. A un dipendente non
può essere offerto un posto di lavoro che sia per lui causa di un
nuovo motivo di licenziamento.
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economicrevue
Modo di procedere del dipendente in caso di
licenziamento collettivo
La nuova disposizione all'art. 52 del Codice del Lavoro prevede
che, a partire dal 1 gennaio del 2001, il datore di lavoro realizzi
sempre una procedura di trattative per un licenziamento collettivo,
anche nel caso in cui non sia attiva alcuna organizzazione
sindacale o in cui non sia stato disposto alcun consiglio dei
dipendenti. Gli obblighi riportati in tale disposizione, ovvero di
informare e trattare, devono essere adempiuti dal datore nei
confronti di tutti i dipendenti.
Il datore di lavoro può licenziare un dipendente per le ragioni
riportate nel Codice del Lavoro (in questo caso all'art. 46 § 1
lettere a-c ) solo se tali ragioni esistono al momento del
licenziamento. Il dovere del datore di informare i sindacati
oppure il consiglio degli impiegati si relaziona al periodo che
precede la consegna della lettera di licenziamento ai
dipendenti. Pertanto non è di nessuna importanza che si sia già
deciso in merito a un cambiamento organizzativo. Il datore di
lavoro deve badare a che gli effetti delle misure organizzative
previste avvengano in modo che, in caso di licenziamento
collettivo, egli adempia a tutti i suoi obblighi, così come gli
viene richiesto dalla legge.
Modo di procedere del datore di lavoro:
a) informa l'organo sindacale competente oppure il consiglio dei
dipendenti per tempo, ovvero al più tardi entro i 30 giorni di
calendario precedenti al momento della consegna della lettera
di licenziamento agli impiegati da licenziare. Se il datore di
lavoro vuole ad esempio porre termine all'attività del suo
esercizio in data 31 gennaio, allora l'ultimo giorno utile per
consegnare la lettera di licenziamento (per i cambiamenti
organizzativi il periodo di licenziamento corrisponde a tre mesi)
è il 31 ottobre. L'informazione deve essere quindi fornita al più
tardi entro il 30 settembre.
b) dà avvio alle trattative con i rappresentanti dei dipendenti. Il
contenuto delle trattative non è stabilito dalla legge. Vengono
discusse le misure organizzative pensate. L'oggetto delle
trattative deve essere dato dal datore di lavoro, il quale
dovrebbe al tempo stesso proporre un termine per il loro
avvio
c) riguardo alle misure organizzative pensate il datore di lavoro
informa contemporaneamente anche l'Ufficio del lavoro
competente, affinché possa accertare sul mercato del lavoro le
misure necessarie. Nell'informazione dovrebbe riportare i motivi
delle misure organizzative, il numero complessivo dei
dipendenti, il numero e la struttura dei dipendenti che verranno
toccati dalle misure organizzative, ecc. Tali informazioni
vengono comunicate all'Ufficio del lavoro contemporaneamente
all'avvio della procedura delle trattative di licenziamento
collettivo
d) il datore informa l'Ufficio del lavoro riguardo ai risultati delle
trattative con i dipendenti. Nel rapporto riporta il numero
complessivo dei dipendenti che la disposizione riguarderà ed
altre notizie relative al licenziamento dei dipendenti e ai
cambiamenti organizzativi
e) agli impiegati licenziati la lettera di licenziamento può essere
consegnata dal datore solo dopo 30 giorni a partire dalla
consegna del rapporto scritto all'Ufficio del lavoro.
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economicrevue
codice del lavoro zákoník práce
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Referenza sull’attività lavorativa
(art. 60 § 1 del Codice del Lavoro)
Fra gli obblighi dei datori di lavoro rientra anche
l'approntamento di una referenza sull'operato lavorativo di
quel loro dipendente che aspiri a un'occupazione presso
un'altra impresa, industria, ufficio o privato. La referenza deve
contenere solo le notizie che riguardano l'attività lavorativa
oppure che sono direttamente collegate ad essa. Così ad
esempio il comportamento di un dipendente sul luogo di
lavoro e la sua vita familiare sono notizie della sfera del
privato che non devono avere posto in una referenza
lavorativa, a meno che non esista una dipendenza diretta fra
una tale notizia e lo svolgimento dei doveri lavorativi. Sono
referenze lavorative tutti quei testi scritti che riguardino la
valutazione del lavoro del dipendente, la sua qualifica, le sue
capacità e le altre realtà che hanno un rapporto con
l'esercizio della professione.
Oltre a ciò ai dipendenti viene data un'altra garanzia: nel caso
in cui un datore di lavoro dia informazioni su un lavoratore,
esso ha l'obbligo di farlo esclusivamente con il consenso di
quest'ultimo. La referenza sull'attività lavorativa viene emessa dal
datore solo su richiesta del dipendente.
Attestato di impiego (foglio paga)
(art. 60 § 2 del Codice del Lavoro e art. 3 del decreto
legislativo n. 461/2000)
Oltre alle informazioni sulla professione, al tipo di lavori svolti e
alle qualificazioni raggiunte, nell'attestato il datore di lavoro deve
riportare ad esempio: il periodo calcolato ai fini dei contributi per
malattia, il periodo di occupazione nella I e nella II categoria
pensionistica, se dallo stipendio del dipendente vengono praticate
le ritenute, le notizie sull'eventuale accordo di proseguire il rapporto
di lavoro dopo un tempo determinato e l'ammontare del guadagno
medio.
Nel caso in cui al dipendente venga consegnata la lettera di
licenziamento, il rapporto di lavoro si conclude alla fine
dell'intervallo fra la consegna e il licenziamento vero e proprio
ovvero, di regola, dopo due mesi. Dovere del datore di lavoro è
quello di emettere un attestato di impiego subito dopo la fine del
rapporto di lavoro (alla fine dell'intervallo) e non di aspettare fino
alla fine dell'eventuale contenzioso giudiziario. Questo fatto viene
sottolineato dalla seguente decisione della Corte Suprema: "Il dovere
dell'organizzazione di emettere per il lavoratore un'attestato di
impiego alla fine del rapporto di lavoro e l'eventuale giudizio sulla
sua attività lavorativa non dipendono dal risultato del procedimento
giuridico civile a proposito della nullità della fine del rapporto di
lavoro bensì solo dalla fine stessa del rapporto di lavoro".
Analogamente un datore di lavoro non può legare l'emissione
dell'attestato a un adempimento del dipendente legato all'esistenza
di realtà differenti, come ad esempio la restituzione di oggetti
prestati, il rimborso di un danno causato oppure di una spesa, ecc.
Buonuscita
In base all'art. 60 lett. a del Codice del Lavoro alla buonuscita
hanno diritto tutti i dipendenti per i quali, in seguito a cambiamenti
organizzativi o a misure di razionalizzazione, si giunge allo
scioglimento del rapporto di lavoro tramite lettera di licenziamento
consegnata dal datore di lavoro per le ragioni riportate all'art. 46
§ 1 lettere a-c del Codice del Lavoro oppure tramite accordo a
partire da tali ragioni.
Non hanno però diritto alla buonuscita tutti quei dipendenti
licenziati da un datore per cui svolgevano un secondo lavoro
oppure i cui diritti e doveri passano ad un nuovo datore di lavoro.
La buonuscita corrisponde al doppio del guadagno medio e
(premesso l'adempimento delle condizioni) è a questo ammontare
che corrisponde la rivendicazione giuridica. Il guadagno medio
viene accertato in base alle norme riportate nell'art. 17 della legge
n. 1/1992 sul salario. L'emendamento al Codice del Lavoro
avvantaggia però il dipendente a prescindere dal fatto che esso
codice del lavoro zákoník práce
lavori o meno nella sfera imprenditoriale. In un contratto collettivo
oppure con un regolamento interno è possibile aumentare la
buonuscita per altri multipli del guadagno medio. E' al tempo
stesso possibile stabilire altre condizioni per le quali far spettare al
dipendente una buonuscita più elevata.
Una buonuscita più elevata può essere pattuita in un contratto
collettivo oppure in un regolamento interno, ad esempio nelle
organizzazioni di bilancio e nelle organizzazioni di sovvenzione,
nei municipi, nelle componenti organizzative dello Stato (organi
dell'amministrazione statale), ecc..
Se dalle sue funzioni viene rimosso un dirigente e il datore non ha
da offrirgli nessun'altra adeguata collocazione lavorativa
alternativa, tale dipendente diviene superfluo e può ricevere la
lettera di licenziamento in base all'art. 46 § 1 lettera c del Codice
del Lavoro. Ma in base alla disposizione all'art. 65 § 3 del
Codice del Lavoro non ha alcun diritto alla buonuscita.
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economicrevue
ammontare diverso dal doppio del guadagno mensile medio e
tale innalzamento non fosse collegato al perdurare
dell'occupazione, dopo un certo periodo oppure ad una certa
data essa non verrebbe calcolata nella base imponibile perché,
di nuovo, non si tratterebbe di un adempimento per la fedeltà
del dipendente o per motivi di stabilizzazione. In fin dei conti,
però, non vi verrebbe calcolata neppure qualora avesse il
carattere di adempimento per la fedeltà del dipendente oppure
per motivi di stabilizzazione poiché la buonuscita verrebbe
comunque assegnata "nell'ammontare stabilito dal Codice del
Lavoro“.
Prospetto delle norme che stabiliscono gli
obblighi del datore di lavoro all'origine di un
rapporto di lavoro e dopo la sua fine
Nel caso in cui, a conclusione di un rapporto di lavoro, il
dipendente cominci un nuovo impiego presso il medesimo datore
di lavoro prima dello scadere del periodo stabilito sulla base
della somma dei multipli dei guadagni medi dai quali era stata
derivata la somma della buonuscita, egli ha l'obbligo di restituire
al datore di lavoro la buonuscita oppure, proporzionalmente,
parte di essa. Tale parte viene stabilita sulla base del numero dei
giorni di calendario a partire dall'inizio della nuova occupazione
fino allo scadere del periodo stabilito con i multipli dei guadagni
medi.
Per il calcolo della buonuscita nella base imponibile per il
premio assicurativo per la previdenza sociale il datore di
lavoro deve partire dall'ammontare della buonuscita. Il diritto a
una buonuscita in una somma che sia pari all'ammontare
doppio del guadagno mensile medio deriva direttamente dalla
legge e non si può considerarlo come adempimento per la
fedeltà del dipendente o per motivi di stabilizzazione. Per tale
motivo non è possibile includere la buonuscita nella base
imponibile per il premio assicurativo per la previdenza sociale.
Ma anche nel caso in cui la buonuscita venisse pagata con un
legge n. 589/1992, sul premio assicurativo per la Previdenza
Sociale e sul contributo alla politica occupazionale dello Stato
legge n. 48/1997, sull'Assicurazione Sanitaria Pubblica
legge n. 592/1992, sul premio assicurativo per l'Assicurazione
Sanitaria Generale
legge n. 586/1992, sull'imposta sui redditi
legge n. 337/1992, sull'amministrazione delle tasse e delle
imposte
legge n. 117/1995, sul sostegno sociale dello Stato
legge n. 155/1995, sull'Assicurazione Pensionistica
Codice del Lavoro
legge n. 1/1991, sull'occupazione
legge n. 9/1991, sull'azione degli organi della Repubblica
Ceca nel settore occupazionale
legge n. 101/2000, sulla tutela delle notizie sulla persona
legge n. 20/1966, sulla cura e sulla salute dei cittadini
legge n.. 258/2000, sulla tutela della salute pubblica
decreto legislativo n. 228/2000, per stabilire la quota
obbligatoria per intervenuta inabilità al lavoro
decreto legislativo n. 108/1994, cui si riallacciano il Codice
del Lavoro e una serie di altre leggi
decreto del Ministero delle Finanze n. 125/1993, sul premio
assicurativo legale per il rimborso danni per gli incidenti sul
lavoro e le malattie professionali
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Doveri del datore di lavoro in caso di risoluzione