CAPITOLO 3. IL GELATIERE MODERNO: EMIGRAZIONE DOVUTA,VOLUTA O SUBITA 1.INTRODUZIONE Il passaggio tra le due guerre mondiali comportò mutamenti in tutta la nazione e in ogni angolo, compresi i piccoli comuni come Zoppè di Cadore. Ripresa di tutte le attività del quotidiano e del fenomeno migratorio momentaneamente arrestato dagli eventi bellici. Dal dopoguerra ad oggi è cambiata anche la visione dell’emigrazione vista da fuori e dagli stessi emigranti. In quest’ambito si cercherà, nel limite del possibile di tracciarne l’evoluzione legata a questo paese delle Dolomiti bellunesi e al gelato; parte ormai integrante della sua economia. Dalla fine dell’ultima guerra, con l’accrescersi del benessere economico, la condizione dell’emigrante si modificò rispetto a soli venti anni prima; vi era sempre una necessità che in seguito si trasformò in parte in volontà senza più costrizione in genere. Il passato insegnò quanto dura e necessaria fosse l'esperienza migratoria; obbligatorietà dovuta anche all’immobilismo statale nelle politiche lavorative nelle vallate di montagna. Dal 1945 ad oggi il gelatiere zoppedino si evolve, ancorato sempre al proprio contesto di vita, ma sempre sensibile al paese nativo. 75 2.FINE DI UN CONFLITTO E RIPRESA DELLA VITA QUOTIDIANA- PARTE PRIMA La fine del secondo conflitto lasciò lo stesso Zoppè e la sua economia, già fragile, da ricostruire. Durante la guerra, a Zoppè non vi furono vittime; vari furono i motivi tra cui anche la localizzazione geografica di montagna tra la vallata zoldana e quella cadorina. Negli ultimi anni di guerra la forma principale d'economia praticata era la zercògna, attività legata esclusivamente al baratto: si scambiava fieno per cibo e tutto quello che serviva per il vivere di tutti i giorni, il resto era assicurato dai lavori presso l'organizzazione tedesca Todt localizzata a Longarone. Le varie problematiche non impedirono, seppure con mezzi di fortuna, di mantenere quasi tutte le gelaterie in minima attività. Una di queste, fu la gelateria della famiglia Pampanin di Pavia in attività ininterrottamente dal 1922 e di cui tratterò la storia di seguito. Con molte difficoltà, alcuni gelatieri operanti in Germania riuscirono con l’aiuto anche degli stessi tedeschi a sopravvivere e, in alcuni casi, a mantenere l’attività (famiglia Sagui).La conservazione delle proprie attività, fu concessa agli zoppedini, grazie alla buona reputazione dei gelatieri bellunesi guadagnata alla fine del secolo precedente con l’avvio della vendita ambulante del gelato. Il beneplacito acquisito presso le autorità locali, fin dall’epoca dell’Impero Austroungarico, non rese troppo difficoltoso il rilascio delle licenze e dei 76 lasciapassare necessari. Per chi doveva lavorare all’estero (fino al 1945) come nell’Impero Austroungarico, poi diventata Germania e Austria, doveva avere due “lasciapassare”. Questi permessi altro non erano che due passaporti; uno per circolare in Italia e uno per la circolazione nei paesi germanofoni. Il primo era rilasciato dall’anagrafe comunale sotto egida della deputazione comunale e sopra vi erano annotati diversi dati: i connotati fisici, la religione e la firma del datore di lavoro. D’importante vi era anche l’indicazione specifica delle province dove si sarebbe esercitato il lavoro e della Parrocchia cui il singolo era iscritto e frequentante; in questo caso risulta quella di Sant’Anna a Zoppè. Nei lasciapassare per esercitare nei paesi di lingua tedesca erano indicate le generalità del lavoratore, il luogo dove doveva avrebbe svolto le sue mansioni e la durata dello stesso permesso. In seguito, dopo l’unità con il Regno d’Italia nel 1866 ci fu l’obbligo del passaporto rilasciato dalla commissione distrettuale; quella di Pieve come risulta da un passaporto del 1903 ritrovato nell’archivio comunale di Zoppè.La validità del documento era di tre anni e presentava una doppia dicitura in lingua tedesca con gli stessi dati tradotti e con l’aggiunta della validità riconosciuta presso il paese di destinazione. Per chi lavorò in Italia restò necessaria la sola licenza rilasciata dal comune e da una sorta di passaporto per l’interno con menzionato il luogo di lavoro e i dati del lavorante compresi quelli del datore di lavoro. Per chi invece lavorava in Italia, come venditore ambulante (di dolci paste e pere cotte) prima e di gelatieri poi, serviva una licenza di esercizio da richiedere al municipio. Nell’archivio comunale di Zoppè ho ritrovato 77 alcune di esse comprese delle lettere di richieste volte ad ottenere quei permessi (documenti riprodotti in appendice: tavola 5 e tavola 6). Il periodo di alcune di esse è compreso tra il 1934 e il 1939 e la tipologia di domanda variava in base al reddito. Le licenze erano rilasciate in base alla Legge 5 febbraio 1934, numero 327, e relativo regolamento. De Nadal Alessio nella richiesta al podestà, il 22 ottobre del 1937 formulava richiesta formale con allegata la tassa obbligatoria; domanda per l’esercizio nelle province di Belluno, Pavia, Bologna, Padova e Milano. Il 25 Dicembre del 1934 fu presentata domanda da Pampanin Stefano dove veniva però richiesto anche l’esonero dal pagamento della tassa per ottenere la licenza in considerazione del proprio stato di povertà. Così avveniva, non di rado, che fosse il comune a sobbarcarsi l’onere del pagamento della tassa relativa (20 lire) per molti paesani che vivendo in stato di povertà avevano bisogno di lavorare. Questa Domanda di licenza di esercizio per il commercio ambulante era redatta in duplice copia per le autorità preposte. Queste licenze furono richieste fino agli anni sessanta con le vecchie procedure e moduli; di seguito vi è copia della licenza e del libretto di Sagui Marino, dell’anno 1958. Nella licenza c’erano varie annotazioni quali: il numero di inserimento nel registro degli esercenti mestieri ambulanti, i generi venduti (per la maggior parte degli zoppedini erano paste, dolci frutta e gelati), le modalità di vendita e le province di esercizio. Nella licenza ritrovata alla voce modalità di esecuzione è riportata la seguente dicitura: “si porta la merce nella persona e con carrettino a mano”. Dicitura che riassumeva in poche parole il lavoro dei primi gelatieri zoppedini che iniziarono le loro attività come ambulanti. All’amministrazione della pubblica sicurezza era inoltrato il 78 certificato d’iscrizione all’albo relativo, vidimato e controllato annualmente. Dall’epoca di esercizio sotto l’Impero Austroungarico, all’unificazione e al passaggio attraverso due guerre, il rilascio dei permessi si semplificò e sparì ogni riferimento al datore di lavoro personalizzando maggiormente quel documento; questo era vitale per i gelatieri sia che lavorassero in Italia che all’estero. Esaminate le dinamiche di rilascio delle licenze di esercizio della professione, è possibile riprendere l’analisi dell’evoluzione di Zoppè e dei suoi abitanti: emigranti per forza o per scelta.Durante la Seconda Guerra Mondiale alcuni gelatieri bellunesi riuscirono a mantenere i contatti con la Germania e ciò permise una ripresa postbellica senza eccessivi problemi. La fama dei gelatieri cadorini, mai ostacolati nemmeno dal nazionalsocialismo tedesco, restò immacolata e si accrebbe poi con gli anni. Dai movimenti della popolazione si nota che nel 1946 la popolazione di Zoppè era di 549 persone; in aumento rispetto ai 521 censiti nel 1939.Quest’aumento, a prima vista anomalo, è spiegabile dal rientro dei gelatieri che lavoravano all’estero durante la Guerra e di quegli zoppedini che, pur lavorando in Italia preferirono, per loro sicurezza personale, rientrare al paese nativo. A tal proposito risultano, dalla sezione iscritta nel registro della popolazione residente civile come immigrati, sei persone provenienti dalla provincia e cinque da altre province per un totale di 11. Nella colonna “cancellati dal registro della popolazione residente civile come emigranti” sono stati annotati il numero dei rientrati dalla provincia e dal resto d‘Italia mese per mese. Risultarono così rientrati quattro zoppedini dalla provincia e tredici da fuori provincia ristabilendosi a Zoppè con il domicilio e la residenza. 79 Il saldo nel primo anno dopo la guerra riportò un bilancio positivo di sei unità; i nati risultarono dodici contro sei deceduti. Negli anni successivi ci fu una sensibile diminuzione della popolazione che si andò stabilizzando sulle trecento unità; in seguito molti gelatieri continuarono a mantenere il domicilio a Zoppè. Da dopo la guerra mutarono alcune caratteristiche degli spostamenti degli zoppedini; sia gelatieri emigranti in Italia o all’estero; si ebbe una progressiva diminuzione, fino all’esaurimento, del flusso migratorio transoceanico. Negli anni venti fu registrato il flusso massimo di Zoldani e Cadorini che si spostarono verso l’America meridionale; in quest’insieme di persone i pochi abitanti di Zoppè che partirono per quei luoghi si orientarono verso l’Argentina. Dopo la guerra vi furono gli ultimi trasferimenti di zoppedini: la famiglia di Bortolot Angelo e Teresina, come accennato precedentemente, sbarcò con i loro quattro figli nel mese di Aprile del 1948 in Argentina. Seguendo un destino simile a molti loro conterranei, partirono con i pochi risparmi di una vita e, stabilitisi stabilmente in loco, riuscirono dopo quasi quarant’anni a ritornare a vedere il paese natale; tornò Angelo con uno dei figli. Per complicanze varie insorte durante il viaggio, il capofamiglia morì appena giunto in Italia e fu poi seppellito a Zoppè. Prima della guerra, Angelo e Teresina si conobbero nelle Marche per poi stabilirsi in seguito a lavorare in Campania come gelatieri. Durante la guerra persero le loro attività e fu così che terminato il conflitto dovettero cercare altrove il modo di sopravvivere. Si recarono così in Argentina contando sull’appoggio di Antonio (Tone) Tomea lì residente dal 1939.L’inizio, come venditori di gelati non fu 80 promettente; ma la crescita dei figli portò nuova forza vitale e stimoli. Aprirono così a Wilde nel 1955, vicino Buenos Aires, una gelateria che negli anni andò ingrandendosi fino ad esser l’inizio di una fiorente catena di gelaterie.Attualmente i discendenti di Angelo possiedono più di una decina di gelaterie in Argentina e alcune in Uruguay. Per i gelatieri zoppedini che lavorarono in Germania fondamentale fu oltre la qualità del loro prodotto anche la cortesia sempre dimostrata verso la popolazione tedesca. Varie sono le storie di famiglie zoppedine legate a quei luoghi. Tra queste storie, un esempio è stata la vita della famiglia di Lionella (Nella) Sagui; gelatieri per forza in un terra da scoprire. Nata il 19 settembre del 1935 trascorre la prima parte dell’infanzia in paese come i suoi coetanei; il mondo per loro era Zoppè. I bambini conoscevano il paese e la valle circostante sebbene sapessero dove andavano a lavorare i loro cari; alcuni di loro, una volta divenuti adulti, sarebbero partiti per un viaggio senza ritorno in paese. Nella a 12 anni andò in gita con l’Azione Cattolica a Belluno, oggi pochi chilometri che all’epoca sembravano un’enormità; si raggiungevano i luoghi che si vedevano lontani da Zoppè. Il padre Leone, in Germania da prima del 1939, era mastro gelataio e aveva un’attività nella città di Sweinfort. Lo scoppiò della guerra e il bombardamento del locale lo spinsero a fermare l’attività per la sua stessa sopravvivenza. Fu rimpatriato nel 1945 per poi, tre anni dopo, rientrare in Germania a riaprire l’attività; il tutto fu reso possibile grazie anche alla popolazione locale da cui si fece sempre ben volere. 81 Nel 1950 Nella ebbe il primo approccio diretto con una realtà di cui sarebbe diventata partecipe: l’emigrazione. A 15 anni andò col padre a Sweinfort per aiutarlo a riaprire la gelateria; in Germania ebbe un impatto inizialmente violento. Lei fu messa a contatto con una realtà che non conosceva, immersa in un contesto dove anche la comunicazione diventava difficile a causa della lingua che allora non conosceva ancora. La presenza del padre attutì molto l’impatto; il legame con la famiglia restò sempre un punto d’aiuto e di sostegno fondamentale per tutti gli emigranti, zoppedini compresi. Inizialmente l'apprendimento della lingua avvenne oralmente, imparò a parlarlo pur faticando a leggerlo.Il procedimento di acquisizione della lingua era similare per molti emigranti: arrivati in terra straniera le prime cose che impararono è il relazionarsi a voce con la popolazione, in un secondo tempo s’imparerà la grammatica e la scrittura nella nuova lingua. L'imparare il tedesco risultò inizialmente difficoltoso ma, con l'utilizzo di vari metodi, riuscì ad acquisirne un'ottima padronanza. L’inizio dell’apprendimento riguardò da sempre le parole e le frasi base per lavorare a contatto con i clienti: i saluti, i gusti del gelato e il saper fare di conto. Fino al 1951 odiò il tedesco ma, l'anno dopo, scattò una molla che cominciò a farglielo apprezzare maggiormente; tutto fu dovuto ad una maggiore presa. L’inaugurazione della gelateria avvenne il giorno 1 e il 2 giugno del 1950. Nell’inverno di quello stesso anno Nella era baby-sitter presso la casa di un generale della vicina base americana; la stagione fredda comportò da sempre un calo di attività se non la stessa chiusura, anche se temporanea, delle varie 82 gelaterie. Il personale non era in numero tale da facilitare l’esercizio dell’attività e così il primo maggio del 1951 arrivò la sorella Natalina e ad Ottobre del 1953 salì l’altra sorella Ines. A metà Agosto dello stesso anno, a causa di problemi di salute, la madre dovette far rientro in Italia e Nella la seguì per assisterla lasciando le due sorelle col padre. Una volta ristabilita la madre, lei tornò in Germania ma non più a Sweinfort: la gelateria era ben avviata ma non permetteva un reddito tale da mantenere tutta la famiglia. Fu così mandata, nel 1955 e per le due successive stagioni, nella città di Rheidt a lavorare nella gelateria di Franco Sagui. È stata sempre prassi comune che i giovani di Zoppè andassero a imparare il mestiere dagli altri paesani che avevano già l’attività avviata; si diceva che “si andava sotto paron” ossia che si andava a lavorare sotto padrone. Nel 1957 fu venduta la gelateria di Sweinfort e ne venne aperta una nella cittadina di Plettenberg. Nel frattempo, il 13 febbraio del 1958 sposò Antonio (Tone) Bortolot un giovane di Zoppè; legamene d’amore nato anni prima. Pur lavorando lontano molti zoppedini sposarono compaesani contribuendo a mantenere vivo sempre il legame con le proprie radici: legami d’amore o di necessità portata anche dalle naturali difficoltà d’inserimento in un contesto culturale in cui era, e in alcuni casi è tuttora, difficoltoso integrarsi. Come molti emigranti, la relazione tra lei e Tone viveva epistolarmente quasi tutto l’anno fino al rivedersi nei mesi invernali. Lo scambio delle lettere, sia con i fidanzati che con i familiari fu sempre un momento 83 importante che contribuiva a mantenere viva la propria identità: di italiani, di zoppedini e di persone con le proprie radici. Nel 1960, tra il 13 e 14 maggio, inaugurano una nuova gelateria presso la cittadina di Chochem, sulla Mosella. Gelateria gestita da loro e dal fratello di Tone, Albino, che resterà fino al 1962.In quell’anno si sposò ed aprì un suo negozio a Maÿen. Da sempre, quando un gelatiere si sposava tendeva a staccarsi dalla famiglia aprendo esso stesso una gelateria; una sorta di sopravvivenza dell’attività con cui era cresciuto. Alcuni anni dopo, Nella e Tone aprirono altre due gelaterie che in seguito furono date in gestione restandone comunque proprietari. Proseguirono così fino al 1985, quando per cinque anni rientrarono al lavoro in Germania; nel 1989 andarono in pensione lasciando definitivamente le loro gelaterie in gestione o vendendole. Quando un gelatiere decide di smettere l’attività generalmente ha due vie davanti a se: vendere il locale o lasciarlo in gestione riscuotendo una sorta di affitto dal gelatiere entrante. La bottega si tendeva, come avviene ancora oggi, a cederla possibilmente ai compaesani che volevano aprire una nuova gelateria.Altre sono state e sono le storie di gelatieri zoppedini emigrati e sparsi in Italia e all’estero.Nel periodo seguente alla fine della Guerra, scorrendo alcuni registri scolastici ritrovati in un archivio familiare privato1 si nota un incremento dei bambini in paese. I registri coprono l’arco temporale compreso tra il 1948 e il 1952. 1 Famiglia Antonio Pampanin 84 Figura 3.Frontespizio di un registro di classe in uso alla scuola elementare nel dopoguerra 85 Scorrendo questi documenti, si può notare che, sebbene passati pochi anni dal 1945, le professioni più ricorrenti erano per la maggioranza legate ancora al mondo dei gelati; legame che così non s’interruppe mai.Come ad esempio dalla pagella della classe prima del 1948 alla voce professione dei genitori l’elenco si recita la presenza, su tredici bambini, di: sette gelatieri, due ambulanti, due commercianti e due operai.Pur con dicitura diversa nell’elencazione dei lavori dei genitori, il mestiere di ambulante era riconducibile alla vendita del gelato; vi era la differenza che ciò avveniva senza un locale di appoggio ma come vendita effettuata tramite carrettini.Sebbene anche senza un locale fisso, l’ambulante che vendeva gelato e dolci riusciva a dare un aiuto economico alla gestione della famiglia che restava a Zoppè, e allo stesso modo le sue rimesse davano impulso allo sviluppo della stessa economia di paese.Gli zoppedini ambulanti, venditori di gelato e miottari, erano sparsi in varie regioni d’Italia: alcuni lavoravano sulla riviera ligure, altri sparsi tra Milano e Pavia, altri in Emilia Romagna, alcuni sulla riviera marchigiana e altri ancora sparsi tra il Lazio e la Campania. Dopo il 1945, alcuni di loro lasciarono questo lavoro stabilendosi nella nuovo residenza con altre occupazioni mentre altri ancora riuscirono ad evolversi economicamente diventando gelatieri con un loro locale: aprirono uno o più locali nella zona che ormai impararono a conoscere compiutamente. Un esempio di ambulanti che diventarono gelatieri fissi è rappresentato dalla famiglia di Pampanin Marco che lavorava a Pavia. Marco Umberto Pampanin si sposò con Maria Pampanin agli inizi del 1900 e dall’unione nacquero nell’ordine: Antonia, Antonio, Gallo, Lionello, Giuditta, Eni e Settimo.Marco con i figli Antonio e Lionello (detto Nello) 86 cominciò l’attività a Pavia nel 1922, con un negozio in Via Strada Nuova. All’inizio non fu una gelateria secondo il concetto tuttora in voga; inizialmente fu aperta una latteria e di supporto vi era la vendita ambulante con carrettini di frutta secca, paste e gelato.Il negozio restò con la denominazione di latteria fino al 1937; all’interno si vendeva latte, burro e molta panna montata e vi erano anche due tavolini interni per una fugace consumazione di gelato. Il negozio non era ampio e il banco vendita era posto lateralmente all’entrata (diventerà frontale con la trasformazione della latteria in gelateria) e dietro, nella parte non visibile ai clienti, vi era un laboratorio alimentare.Nel laboratorio, con l’uso di due mantecatrici manuali, si produceva il gelato per i quattro carrettini che lo avrebbero venduto per tutta Pavia. Lo schema di lavoro, per quanto cambiasse la localizzazione geografica, era similare per ogni gelateria: c’era il responsabile del laboratorio, per la preparazione del gelato e di tutto ciò che vi era connesso, chi lavorava dietro al banco e gestiva l’interno del locale e i camerieri, in divisa che servivano i clienti seduti.Dal 1934 iniziarono i controlli sanitari cui si sottoposero tutti i locali, latteria inclusa. Fino al 1937, in latteria per fare il gelato, il responsabile del laboratorio alle sei era già in negozio e iniziava la produzione per la giornata .Dalle sei ci volevano circa tre ore affinché fosse tutto pronto e così fino alle nove si vendeva solo latte in negozio.Agli inizi l’addetto era il fratello di Nello, Antonio detto Tone; ciò in ogni modo non significava una rigidità di ruoli poiché ognuno era interscambiabile nelle proprie mansioni e tutti sapevano come si produceva il gelato.Il tempo di preparazione, di due o tre ore, risentiva del fatto che la procedura era abbastanza laboriosa tenendo conto 87 della preparazione degli attrezzi, della bollitura degli ingredienti, della lavorazione a freddo di alcuni di essi e dei tempi per ottenere il prodotto mantecato finale, il gelato.Sia come latteria prima che come gelateria poi, il locale non chiuse mai definitivamente neanche durante la Seconda Guerra Mondiale.Nello cominciò a partecipare attivamente all’attività di famiglia a tredici anni; sebbene così giovane fece la gavetta che passarono altri coetanei zoppedini. Solitamente, i bambini erano mandati con le ceste a vendere i vari generi alimentari nelle osterie e locali della zona. Lui, con la cesta piena di croccanti, mandorle arachidi e paste (acquistate a Milano nel laboratorio della famiglia De Nadal) andava in giro per le osterie e trattorie di Pavia a venderle. L’inizio non fu semplice per Nello, un misto d’obbligo e rassegnazione; sentimento poi mutato nel tempo.Inizialmente non gli piaceva, ma lo fece per aiutare economicamente la famiglia. Un’influenza sulle sue scelte la ebbe anche la mentalità delle stesse famiglie zoppedine: già da piccoli, lui come altri, avevano già la visione di un loro destino scritto “..già tutti erano gelatieri e anche io lo sarò da grande..” Fino a dopo la guerra, lui e i fratelli gestirono insieme la gelateria di Pavia; alcuni anni dopo la fine del conflitto Tone e Settimo andarono in Germania dove aprirono altre gelaterie. In città restarono Nello, Gallo ed Eni che parteciparono allo sviluppo fino al periodo attuale della gelateria Pampanin.Nella gelateria l’importanza maggiore è rivestita dal gelato e dai suoi molteplici gusti: a Pavia i gusti inizialmente prodotti erano vaniglia, limone, cioccolato, nocciola e fragola. Dalla sua esperienza, risultata comune a molti gelatieri, i suddetti gusti sono quelli che sono sempre stati i più scelti a dispetto della moltitudine di quelli prodotti dagli anni Sessanta ad oggi. 88 Dal 1937, con la trasformazione in gelateria ci fu la centralizzazione del banco (per maggiore funzionalità), l’ulteriore ammodernamento del laboratorio e la posa di tavolini dentro e fuori del locale per permettere una degustazione del gelato ma anche dei suoi elaborati che fecero la loro prima comparsa: le coppe. Inizialmente le coppe erano due: la spagnola e il paciugo.La spagnola era una coppa costituita con gelato alle creme con panna montata e amarena a ricoprire; il paciugo era realizzato con gelato (non con gusti specifici) ricoperto da panna montata. La spagnola era servita in un bicchiere alto, da coppa gelato, composto da tre palline di gelato con una spruzzata di succo d’amarene e ciliegie con panna montata e in cima due ciliegie per la guarnizione finale. Il paciugo era servito nel bicchiere da frappè composto da gelato misto con succo d’amarena in più strati (una sorta di miscuglio di gelati concluso con la copertura sommitale fatta di panna montata). Vi era anche la preparazione e vendita di cassate, frappè e latte gelato in seguito scomparso e soppiantato dal frappè. Il latte-gelato veniva elaborato mettendo un po’ di gelato in un bicchiere da frappè aggiungendovi del latte; il cliente poi lo gustava così, bevendo anche il latte (similare alla coppa mangia e bevi di oggi). In seguito nacquero altre coppe con il moltiplicarsi degli stessi gusti gelato.In tutte le gelaterie zoppedine era, ed è tuttora, uso attribuire alle coppe nomi che richiamassero ai luoghi nativi e alle loro bellezze geografiche come monti o laghi; così è frequente imbattersi nella coppa Dolomiti, coppa Cadore, coppa Pelmo.Usanza questa in voga presso tutte le gelaterie di valligiani e veneti e così non era difficile, per esempio, imbattersi in gelaterie di Zoldani o di Ampezzani in cui si poteva gustare la coppa Civetta o la coppa Cortina.Varie erano le tipologie di preparazione e 89 gli ingredienti usati, un esempio è la coppa Dolomiti preparata nella gelateria Pampanin in Germania.Per prepararla si usava una coppa ampia dove si spruzzava dentro subito un po’ di panna montata e poi si aggiungevano tre palline di vaniglia annaffiate con liquore d’amaretto ed in seguito si aggiungeva un cucchiaino d’amaretto, in polvere.Finita la prima parte di preparazione si proseguiva con un altro spruzzo di panna cosparsa dal liquore Vov e scaglie di cioccolata; per guarnizione finale si aggiungeva un wafer e un biscotto. Nel periodo dal 1951 al 1956, la famiglia Pampanin prese in gestione una gelateria a Vigevano.Pur con ottimi profitti l'affitto del locale non venne loro rinnovato e il titolare tentò in solitario la gestione della gelateria che risultò poi fallimentare.Ad una richiesta successiva di rientro nella gelateria in Vigevano, Nello e fratelli rifiutarono e Antonio e Settimo andarono ad aprire una gelateria in Germania. La pesantezza del lavorare in gelateria era, ed è, sempre legata ai turni lavorativi. A Pavia, prima dell'adozione del giorno di riposo infrasettimanale, si lavorava per sette giorni la settimana senza turni di riposo (sempre in ambito stagionale nel periodo da Febbraio ad Ottobre).L'orario tipo era articolato dalle sei del mattino fino all'una di sera con tre turni di pausa.Il primo turno di sosta era a cavallo di mezzogiorno per il pranzo, di durata di un'ora, che si consumava o in appartamento o nei locali interni quando c'erano molti clienti; il secondo turno riguardava l'ora di cena ed era a cavallo delle diciannove con le stesse modalità di mangiare del pranzo ed il terzo turno (la chiusura) avveniva verso l'una di notte. 90 Dal 1945, la gelateria di Marco servì al sostentamento delle famiglie dei suoi figli che in seguito andarono anche in Germania.In Italia restarono sia Nello che Gallo con le rispettive famiglie lavorando insieme nel locale fino alla divisione della proprietà avvenuta nel 1984.In quell’anno Nello, con i figli, aprì una seconda gelateria Pampanin nella piazza del centro storico di Pavia mentre la prima gelateria restò in mano a Gallo e alla sua famiglia.La gestione della singola gelateria è sempre stata amministrata in ambito familiare; il ricorso ai dipendenti è sempre stato legato a strette necessità temporanee.Ad esempio, Nello tra il 1953 e il 1955 poteva contare una decina di persone tra il personale; familiari ma anche gente di Zoppè e del Cadore. Le mansioni lavorative venivano divise tra chi lavorava in negozio e chi andava con i carrettini a vendere il gelato per Pavia. L’orario giornaliero di lavoro degli ambulanti andava dalle sette alle diciannove e trenta. L’uso dei carrettini restò in voga, a Pavia, fino al 1960. Nello smise di lavorare come ambulante nel 1956 quando si sposò con De Nadal Antonia, compaesana e anch’ella gelatiera cresciuta con la famiglia a Cantù.Come d’uso tutt’oggi, i dipendenti esterni vengono scelti in primis tra gli stessi zoppedini, perpetrando l’uso di prendere a bottega gente del paese a cui insegnare il mestiere, e in secondo luogo tra la gente del Cadore: c’era chi veniva da Selva, chi da Pieve o da Cibiana . Il legame con Zoppè, il Cadore e le vallate circostanti, non si spezza poiché il gelatiere per la gestione della bottega si lega sempre a imprese della zona di provenienza; i materiali, il banco ed ogni sorta di necessità era sbrigata facendo riferimento principalmente a ditte di Longarone, del Cadore, del Veneto e friulane.Un punto di riferimento è la MIG, mostra internazionale del gelato, che si tiene dagli anni 50 una volta l’anno a Longarone, punto 91 d’incontro di tutte le aziende legate, a vario modo, al mondo delle gelaterie.Nello stesso nel 1984, con l’apertura della gelateria in piazza, comprò il banco e altri oggetti da espositori presenti alla MIG. Nella nuova gelateria fece la sua comparsa anche il banco gelato a vista e sparì quello con le sorbettiere; la sparizione di quest’ultimo cominciò già negli anni sessanta nelle gelaterie in Germania.Una causa del cambiamento è stata anche l’aumento dei gusti di gelato e così si veniva a invogliare maggiormente gli stessi clienti. Già nel 1970 Nello e Gallo cominciarono a produrre moltissimi gusti di gelato ma, dal parere personale di Nello, si è sempre avuto riscontro che i gusti più ricercati sono sempre stati i più classici quali vaniglia, cioccolato, nocciola o frutti di stagione. Nello ebbe tre figli: Giancarlo nato nel 1957, Maurizio nel 1961 e Franco nel 1966.Pur avendo da sempre vissuto a Pavia, Zoppè non ha mai smesso di essere parte della vita di Nello e Gallo (fino alla sua morte a metà degli anni Ottanta).Nel periodo di chiusura non manca mai di tornarci; visse intensamente il periodo in cui vi erano quattro osterie e c’era molta vita in paese, periodo compreso dal dopo guerra agli anni Settanta.Per quanto concerne il suo lavoro, come molti iniziò quasi per forza ma poi se ne è affezionato e avendo già 85 anni non smetterà mai finche può di fare gelato. Per i figli, il sentimento dei genitori sarebbe stato propenso a che svolgessero un mestiere diverso, meno duro del gelatiere. Alla fine Giancarlo, Maurizio e Franco, per vari motivi, seguirono le orme dei genitori e lo stesso Nello è fiero nel sapere che la sua attività continuerà. Il rapporto dei gelatieri con i propri figli è stato ed è tutt’ora particolare e meriterebbe un’ampia trattazione ma qui mi limiterò a trattarne sommariamente alcune caratteristiche, mutate poi col tempo e con gli anni; 92 dal dopoguerra ad oggi. La gestione familiare per gli emigranti non fu semplice, soprattutto nel rapporto verso i figli.Dalla metà del diciannovesimo secolo, l’avere numerosi figli è sempre stato di supporto all’economia familiare; più bocche da sfamare ma più aiuti ai magri bilanci di casa e Zoppè, come i paesi delle vallate vicine, non fece mai eccezione.Con lo sviluppo e il cambiamento del tipo di lavoro, da ambulante a stabile, i rapporti all'interno della famiglia tendono a diventare in alcuni casi più complessi.Pur essendoci sempre l’eccezione alla regola è possibile tracciare un breve tracciato sul tema basandomi sui racconti degli anziani di Zoppè, dei familiari e dei vecchi maestri del paese. La situazione economica, nel periodo compreso tra le due guerre, facilitò in tutta Italia la diffusione di famiglie con molti figli; Zoppè non fece eccezione a questa tendenza. Scorrendo i movimenti della popolazione, tra il 1930 e il 1941, le nascite furono mediamente di undici unità per anno a fronte di una popolazione media, in questi anni, che si aggirava sulle 570 unità. Capitava così che molte famiglie, sebbene la mortalità infantile fosse a livelli considerevoli, ebbero comunque una numerose discendenza. La scolarità dei figli fu sempre legata al lavoro del capo famiglia, lo stesso Nello interruppe gli studi a tredici anni per seguire il padre. L'interruzione della scolarità fu sempre dovuta a necessità ed era una scelta obbligata per la quasi totalità dei giovani. Di solito si tendeva ad andare a scuola ripetendo più volte una stessa classe fino al raggiungimento dell’età minima per cominciare il lavoro.Nel periodo scolastico i figli erano lasciati o con la madre, che restava a Zoppè curandoli, o a parenti che ne curassero lo sviluppo fisico e “morale”.In seguito, iniziato il lavoro, chi poteva riprese 93 gli studi in seguito guadagnando il titolo di studio elementare o medioinferiore: Nello conseguì a Pavia la licenza media. Nella famiglia dei gelatieri, il destino dei figli era deciso e, difficilmente si discostava dall'attività familiare; questo obbligo era legato alle condizioni economiche delle famiglie zoppedine che, come chi viveva in montagna, non riuscivano più a vivere di ciò che l’ambiente circostante poteva offrire.Scorrendo alcuni registri scolastici delle elementari che coprono gli anni dal 1949 al 1951 si nota come in ogni classe ci fosse più di un alunno ripetente e come fosse tenuta in conto la disciplina. Leggendo le annotazioni poste dai maestri, Damiano Simonetti e Carlina Pampanin, emerge una rigidità legata ad un atteggiamento genitoriale; da un lato si tendeva ad essere rigidi sul comportamento da tenere in classe e dall’altro si ravvivava lo spirito di collaborazione tra i bambini, legati da un futuro che allora era già scritto. 3.I GIOVANI E LA VISIONE DELL’EMIGRAZIONE NELLA GENTE DI ZOPPÈ L’atteggiamento dei giovani nel seguire i genitori gelatieri cominciò a mutare dal periodo del boom economico a cavallo degli anni Sessanta. La diffusione generalizzata di un benessere alla portata di tutti, legato ad una costante redditività delle gelaterie, attive ormai da molto tempo, spinse molti genitori a desiderare un futuro diverso per i loro figli. 94 Da quegli anni, secondo opinioni dei maestri dell’epoca, i giovani cominciarono ad avere una certa possibilità di scelta. Pur avendo acquisito questa facoltà, molti di loro decisero di continuare il lavoro di gelatiere. Le motivazioni che portavano alla continuazione del mestiere erano varie come: la comodità di un lavoro che seppur faticoso rende (prima c’era anche il vantaggio del cambio marco/lira), la poca voglia (per alcuni) di proseguire il percorso scolastico e il periodo di ferie ampio in cui si pensa solo a svagarsi. A fine stagione, quando si rientra al paese, il desiderio è di godersi il periodo di ferie; se anche ci fosse un desiderio di ricerca di un'altra occupazione in questo periodo si tende a se svagà2. Fino agli anni Sessanta, i giovani e le famiglie nel periodo di riposo invernale avevano svariate occupazioni dal gestire la casa, le proprietà e le varie pratiche di gestione di vita paesana. In seguito, dagli anni seguenti in poi, per i giovani il periodo invernale divenne sempre più dedicato al riposo personale e ad una vita di paese non più così viva come nel periodo dei loro genitori.La tendenza dei giovani zoppedini di fare famiglia si rivolse, a differenza d’oggi, nell’ambito del paese.La famiglia dei gelatieri se comprende la presenza di figli pone sempre un pensiero per il loro futuro e il mantenerli legati alla loro terra d’origine; ora più che in passato se non si hanno nonni o parenti che li possano tenere nel periodo scolastico, si tende a portarli con se o in ogni caso a farli studiare fuori del paese.In alcuni casi, il problema della lontananza è mitigato poi da un loro rientro futuro e una partecipazione attiva nella gestione della cosa comune. Gli stessi bambini cominciavano presto a rendersi conto delle difficoltà unite alla necessità dell’emigrare.Sul numero di Ottobre del 1979 di 2 A svagarsi 95 Campane del mio villaggio c’è un articolo dal titolo “Quello che pensano i nostri bambini dell’emigrazione” dove sono inserite citazioni tratte da alcuni temi svolti sull’argomento a scuola.Da quest’articolo traspare il senso di consapevolezza e di tristezza per la partenza dei genitori ma anche la gioia di rivederli finita la scuola; l’emigrazione degli zoppedini era vista come necessaria per vivere anche se forte risalta l’attaccamento a Zoppè e il desiderio di un ritorno. Di seguito riporto pensieri di alcuni bambini estratti dall’articolo: -Damiano: ”Provo dispiacere per questi cittadini che partono per lavorare per noi, che siamo qui senza far niente e fanno dei grandi sacrifici per mantenerci”. -Alfredo: ”Quando i miei genitori partono per la Germania io sento la mancanza della protezione e del calore della mia famiglia. Certe volte, quando i miei genitori mi telefonano io posso parlare e divento allegro”. -Martina: ”Quando finisce la scuola i genitori vanno a prendere i propri figli, li portano in Germania e finalmente la famiglia si trova unità.” -Francesca: “Mia madre ha trovato lavoro qui, nel nostro paese di montagna che, anche se scomodo, sono convinta che è meglio rimanere nel paese nativo.Tutti gli emigranti, quando è ora di partire, vanno in chiesa per la Pasqua degli emigranti e poi preparano le valigie con tristezza.” -Renzo: ”Gli emigranti partono in Marzo, i bambini devono andare a scuola e restano dai parenti o vanno in pensionato.Io, bambino di undici anni, penso che è giusto che partano per guadagnarsi il mangiare necessario per la famiglia, e mentre i nostri genitori lavorano in gelateria o in altri lavori, noi dobbiamo fare il nostro dovere di scolari. …Io sono uno di quelli che vanno in pensionato a Goima, però appena finita la scuola il 96 mio papà viene a prendermi.Appena arrivato a Goima in pensionato non era bello, ma poi mi sono abituato e ora non è più brutto: trovo gli amici, le suore che mi conoscono, i maestri anche, e ogni anni trovo amici nuovi.Quando vado in Germania io e mia sorella qualche volta aiutiamo i nostri genitori in piccoli lavori e alla sera qualche volta ci danno qualche soldo.” La visione del lavoro di gelatiere e della stessa emigrazione è vista con varie sfumature anche ora; in questo lavoro mi sono avvalso di un questionario, con alcune domande che spaziano dai dati anagrafici di base fino alla specificità del tema qui affrontato.Senza valenza scientifica, dalle risposte al questionario è stato possibile avere una visione intergenerazionale dell’emigrazione e del radicamento in Zoppè: com’è vissuta dai giovani di oggi e com’è stata vissuta dai loro padri e nonni.In quest’indagine le domande principali riguardavano: età, sesso, residenza, lingua straniera conosciuta, l’importanza di Zoppè nella propria vita, com’è stato vissuto l’inizio della vita lavorativa, quanto è stata importante la famiglia, il lavoro scelta o necessità, aspettative per i propri figli e l’importanza nella tua vita dell’essere emigrante. Negli elaborati non è stato richiesto il nome e cognome perché più che la singola persona volevo analizzare l’insieme dei pensieri con la minima influenza possibile. I questionari analizzati sono stati 21: dieci compilati da maschi e undici da femmine. Nel leggerli risaltano differenti visioni dell’emigrazione da Zoppè, non tanto in base al sesso ma più, in base agli anni. La maggioranza dei giovani ha vissuto questo fenomeno come una scelta: c’è chi ha cominciato per il cessato interesse negli studi (terminata la scuola dell’obbligo), chi per la prospettiva di un lavoro sicuro e ben 97 remunerato (anche se duro) con un lungo periodo di ferie annuali. L’inizio non è stato mai traumatico perché già molti erano cresciuti nel mondo di chi doveva emigrare per vivere.Dai questionari risulta anche la presenza però di giovani che non hanno seguito il mestiere del gelatiere riuscendo a conquistare un titolo di studio ed un’emancipazione lavorativa rara tra i loro padri.Dai vari lavori risulta la presenza di due impiegati e di due dottori, gente che è riuscita a restare ancorata alla propria terra stabilmente; hanno lavorato nelle gelaterie di famiglia ma sono riusciti ad emanciparsi, con fatica e soddisfazione.Con l’aumento dell’età dei compilanti si nota come il lavoro di gelatiere fosse una sorta di obbligo e necessità, il tutto dettato da una diffusa povertà e da un’economia, fondata sull’agricoltura, in continua disgregazione. Come accennato in precedenza, fino agli anni sessanta Zoppè seguì l’andamento degli altri paesi di montagna con un generale impoverimento del reddito familiare.Praticamente i giovani di allora erano costretti ad emigrare; ci fu chi lo visse in maniera traumatica e chi con pacata rassegnazione (c’era chi avrebbe voluto andare a portare sassi piuttosto che andare a vender gelato ..). Le radici però non sono mai state rinnegate: Zoppè è sempre vissuto nel quotidiano anche quando si è via per lavoro.Un segnale di questo radicamento è sempre il 26 Luglio, il giorno di Sant’Anna. In questo giorno, gli zoppedini, che siano emigranti all’estero o in Italia, si ritrovano per festeggiare la patrona. Quest’abitudine, soprattutto per i gelatieri in Germania, è vissuta ancora più sentitamente; come in anni passati anche attualmente è frequente organizzarsi tra i gelatieri vicini per festeggiarla.Capita così che zoppedini ,che lavorano distanti anche più di 98 200 km, si riuniscano per festeggiare in vari modi mentre in paese la si onora come una festa di precetto. Proseguendo a scorrere i questionari emerge un’uniformità di vedute sull’importanza della famiglia come punto di riferimento nell’emigrante. Negli anni e nella cultura di piccolo paese ancorato alle proprie radici, la famiglia è sempre stato un pilastro. In passato i genitori erano più chiusi verso le scelte dell'avvenire dei propri figli; mentalità mutata col tempo verso una maggiore libertà.Pur vivendo in famiglia solo nove o dieci mesi l’anno , i genitori assunsero sempre ad una funzione educativa importante verso i figli. Alla visione più profonda del proprio ruoli di gelatieri, e più espressamente di emigranti emergono sia rimpianti che sogni.In generale si desidera un rientro in pianta stabile a lavorare e vivere a Zoppè ed esce anche la fatica dell’essere gelatiere unita all’ottimismo per una vita migliore. Con l’aumento dell’età dei compilanti emerge come molti di loro abbiano più rimpianti che sogni pur vivendo una vita serena. C’è sempre coscienza che pur essendo faticoso è un lavoro più “sano” di altri come, ad esempio, quello del benzinaio (esempio tratto da un questionario). Leggendo le risposte all’ultima domanda relativa all’importanza dell’essere emigrante emergono due visioni del fenomeno. Per la maggior parte degli adulti (di età superiore ai sessant’anni) ha rivestito sì una buona importanza ma prettamente dovuta al mantenimento della famiglia e a volte era anche mal sopportata, a causa delle numerose privazioni. Dai giovani risulta un’importanza notevole dell’essere emigrante legata alla multiculturalità: molti scrivono di come sia stimolante vivere in un mondo diverso dal loro confrontandosi con modi di vita e di pensiero differenti dai 99 propri.Questa esperienza viene vissuta anche come fonte di arricchimento personale come emerge anche da un questionario compilato da una zoppedina, emigrante poi ritornata, dove è espresso il concetto espressole da un’amica tedesca: “..chi conosce due lingue ha due anime..” 4.UN LEGAME BOLLETTINO INSCINDIBILE CON ZOPPÈ: IL Che stessero in paese o fossero emigranti, gli zoppedini non persero mai il contatto con il paese; questo è stato reso possibile dalla presenza del bollettino parrocchiale, edito dagli anni trenta del ventesimo secolo. Come molte pubblicazioni locali diffuse nelle locali vallate, seppe mantenere sempre a contatto il paese con gli emigranti, mutando col mutare del fenomeno stesso. Sorto su ispirazione ecclesiastica, come molti altri, partì con uno scopo pastorale svolto fino ai primi anni sessanta con l’evoluzione del carattere migratorio; sempre gelatieri ma non più solo per costrizione. Dall’inizio ebbe duplice scopo, sia per chi emigrava, sia per i familiari che restavano in paese a mantenere i contatti. Il primo numero fu pubblicato nel mese di Marzo 1930 sotto la vigilanza di un comitato ecclesiastico composto da Simonetti Damiano (il maestro), Pampanin Vitale, Bortolot Giò Batta, Sagui Giovanni. Presidente e responsabile dei contenuti era il parroco don Luigi Da Rin. 100 Dagli archivi risulta che il “Bollettino parrocchiale” (primo nome della pubblicazione) fu stampato fino al 1935 per poi riprendere, dopo una periodo di interruzione, nel mese di Giugno del 1937 col nome attuale di Campane del mio villaggio. Come accennato precedentemente, sin dai primi numeri erano presenti le esortazioni parrocchiali rivolte a chi andava fuori paese a lavorare: gli emigranti. Molto partecipata era la rubrica dal titolo “Ai nostri emigranti” mantenuta in vari numeri anche se non in maniera continuativa. Appena sorto si occupò di rendere noti il proseguimento dei lavori di restauro della Chiesa non mancando di sollecitare ogni forma d’aiuto possibile. Leggendo la provenienza delle offerte sono elencati sia emigranti temporanei in nord Europa che emigrati permanenti nelle Americhe. Il gelato come i gelatieri divenne una parte fondamentale dell'economia zoppedina; era nota a tutti la necessità di emigrare e anche la durezza del farlo. Continui rimandi erano annotati sul bollettino riguardo al fatto che "..c'è poco da godere, fortunati quelli che non fan debiti. " Nel 1938 risulta censita, da una citazione del bollettino, una popolazione di circa una quarantina di gelatieri zoppedini in Germania e la chiusura dell’ultima segheria presente in paese per scarsità d’acqua.Un altro avvenimento che richiese molto spazio fu anche lo spostamento del cimitero fuori dal paese in località Pian dal For. Dal mese d’Agosto del 1942, il bollettino, cambiò il nome in “Il buon angelo delle famiglie” così restando fino all’interruzione della pubblicazione nel mese di Maggio del 1944. Dalla fine della guerra vari furono i momenti d’interruzione della stampa del bollettino. 101 La pubblicazione riprese nel 1947 col nome iniziale distribuito come trimestrale fino ad Ottobre del 1951 quando mutò nuovamente il nome diventando “Bollettino parrocchiale, cronache di Zoppè di Cadore”; dal 1956 al Dicembre dell’anno successivo uscì con frequenza mensile. Dal Dicembre di quell’anno riprese la denominazione attuale con una diffusione bimensile. Un breve cambio di nome si ebbe un’ultima volta, nel mese di novembre del 1963 quando il bollettino uscì come "Vie di pace, bollettino parrocchiale di Vinigo di Cadore". Le variazioni che si ebbero in seguito furono dovute solo alla modalità di diffusione (bimensile, trimestrale o mensile) fino ai giorni nostri distribuito trimestralmente. L’emigrante o gelatiere non fu né allora né oggi dimenticato; e fino agli anni sessanta il rapporto era quasi paternalistico, come un padre (il parroco) si prendeva cura della prole (i compaesani presenti e gli emigranti). Il bollettino doveva fungere anche come una sorta di “cordone ombelicale” con Zoppè; con le lettere inviate ai parenti costituiva una corrispondenza che manteneva vivo il ricordo del paese. Ciò che era pubblicato, di fondo, aveva semplici regole atte alla “salvaguardia” dell’integrità dell’emigrante e a tenerlo legato all’attività pastorale per una vita nella virtù. Chi andava a lavorare fuori paese tendeva a mantenere un ricordo positivo del paese nella sua coscienza ed è ciò che si cercò di mantenere con il bollettino; della gente che moriva venivano redatti i necrologi ma nulla più cercando di pubblicare notizie che non turbassero la loro “linea di fragilità costituita dalla nostalgia”3. 3 AA.VV. , Storia contemporanea del bellunese : guida alle ricerche , a cura dell’Istituto Storico Bellunese della Resistenza, Libreria Pilotto editrice, Feltre 1985, p. 257. 102 Dagli anni sessanta quando si passò all'analisi dell'emigrare, spostandosi dall'emigrante all'emigrazione, l'attenzione alla persona ebbe un allentamento restando solo marginale; sono a tutt'oggi annotati eventi lieti e meno lieti degli emigranti ma non è più marcata una loro visione in un'ottica cattolica presente nella società comune di quarant'anni prima. Il bollettino negli ultimi anni, dalla morte dell’ultimo parroco del paese, non tratta più solo le cronache di Zoppè ma anche quelle di Forno di Zoldo e di Zoldo Alto. Il bollettino riuscì a rendere nota la vivacità di un piccolo comune quale Zoppè attraverso avvenimenti di varia importanza accaduti dal dopoguerra ad oggi. Sui numeri degli anni cinquanta furono annotate varie cronache sportive: dall’arrivo della squadra nazionale di sci in preparazione ai giochi invernali, alle gare di sci a livello nazionale fino all’arrivo del pugile Primo Carnera. Nell’inverno1964 ci fu l’esperimento della scuola televisiva a distanza tenuta dal personale didattico locale; esperimento che, dopo l’ottimismo iniziale, si esaurì in breve periodo. Sempre negli anni sessanta cominciarono le visite estive dei parroci agli emigranti sia nazionali che europei; e al loro ritorno venivano pubblicati i relativi diari di viaggio tenuti dagli stessi preti. Tra i vari avvenimenti, nel 1971 fu dato spazio all’apertura del museo etnografico sito in una sala comunale; progetto embrionale esaurito dieci anni dopo. Il museo è stato poi riaperto vent’anni dopo nella sua localizzazione attuale in un apposito edificio. Per Zoppè sono sempre stati importanti sia i giovani che i villeggianti; peculiarità sempre presenti anche sul bollettino. Sono messi in evidenza tutte le attività e i risultati dei giovani paesani sia in ambito culturale, sportivo o lavorativo con foto e vari resoconti. 103 Il turismo dal dopo guerra ad oggi ha sempre costituito una risorsa ed anch’esso è stato ed è tuttora esaltato nelle varie forme: dai racconti di gente che è stata a Zoppè, alla descrizione delle bellezze naturali e a come raggiungerle. Fino agli anni ottanta c’è stata una minima presenza di posti letto per turisti poi con gli anni soppressi. Negli ultimi anni si sta pensando a ripristinare dei centri d’accoglienza per i turisti a tutela della stessa economia di paese per la quale il turismo è una risorsa fondamentale. Per quanto non molto corposo, il bollettino resta sempre un valido punto di riferimento riportando la vita di paese per chi la vive quotidianamente e per chi la vive una breve parte dell’anno; è così sempre vivo il ricordo del forte radicamento presente in un comune seppure piccolo ma con una vita sociale intensa per la maggior parte dell’anno. 5.IL GELATO E CHI LO LAVORA Il gelato, quando cominciò a rappresentare qualcosa in più di un semplice alimento, portò col tempo alla nascita d’eventi che lo valorizzassero sia in campo alimentare che come risorsa lavorativa.Lo stesso Zoppè, dal 1959 fece parte di queste novità, sempre in proporzione al proprio numero di abitanti che erano per la maggior parte essi stessi gelatieri. L’impegno dei Cadorini e degli Zoldani, uniti nel consorzio LongaroneseZoldano, portò così alla nascita della Mostra Internazionale del Gelato 104 (MIG) con sede a Longarone.Fu scelto questo paese giacché, in posizione di privilegio, è posto al centro delle due valli in zona all’epoca in espansione e di confluenza delle attività montanare della zona. L’anno di nascita di questa manifestazione fu il 1959 quando, dopo esperimenti di mostre a livello embrionale degli anni precedenti, venne inaugurata il 6 Dicembre con durata fino al 18 dello stesso mese. Sin dall’inizio era evidenziato il forte coinvolgimento nell’economia locale di tale mostre, toccando essa il lavoro di moltissime famiglie della zona. Infatti, la prima esposizione avvenne con la formazione e posizionamento degli stand in vari locali del paese: bar, osterie, alimentari e altri. Si poteva girare nei vari locali pubblici e si vedevano le ultime novità tecnologiche: per la prima volta un vero punto d’incontro tra addetti ai lavori e gelatieri, parte integrante di una realtà che andava espandendosi. L’articolo apparso sul Gazzettino di domenica 13 Dicembre a cura di Fiorello Zangrando, dedicato alla prima edizione della MIG, evidenziò il successo organizzativo e il vantaggio che la fatica degli stessi gelatieri fosse ripagata dalla presenza di un punto d’incontro per facilitare ogni rinnovamento e miglioramento nel loro lavoro. A tutt’oggi, molti zoppedini ricordano la prima edizione con una malcelata malinconia; emerge una personalizzazione del gelatiere che pur lavorando parecchi mesi dell’anno fuori casa resta sempre attaccato ai valori della sua terra. La funzione di mercato del gelato si intuì dall’anno successivo con l’aumento degli espositori e del pubblico: dai 19 espositori del 1959 ci fu sempre un crescendo d’anno in anno e l’interesse della televisione e di varie testate nazionali ne aiutò la diffusione. 105 Da quell’anno i gelatieri zoppedini e tutti i colleghi valligiani ebbero un punto valido per le loro attività.La MIG con il passare degli anni si ingrandì cercando sempre di mantenersi il più possibile autonoma da aiuti statali e simili. Il tutto proseguì fino al 9 settembre del 1963 con la tristemente nota tragedia del Vajont , la morte di duemila persone e la sparizione di interi paesi, Longarone incluso. Sparì anche ogni sorta di attività economica e l’economia locale ne risentì a lungo.Due zoppedini perirono nella catastrofe: Simonetti Ugo e Simonetti Raffaele.Alcuni paesani invece scamparono per fortunate circostanze: Nello Pampanin ricorda che passò per Longarone il pomeriggio di quello stesso giorno e lì si sarebbe fermato a vedere in serata una partita di calcio ma, non trovando parcheggio, tornò subito in paese. Così Nello si salvò insieme ai passeggeri della sua auto. Già l’anno seguente, i gelatieri non dandosi per vinti si organizzarono per proseguire l’avventura della fiera del gelato e grazie al loro impegno e a vari aiuti venne riaperta, momentaneamente, presso il comune di Pieve di Cadore.Ci fu una lotta contro le avversità e un forte desiderio di affermazione: il popolo delle vallate c’era ed era più vivo e unito che mai. Da cronache di quell’edizione, la quinta, si legge della presenza di circa ventimila visitatori e di molti espositori sia italiani che esteri. Durante il periodo della ricostruzione nelle zone disastrate dal Vajont, la MIG si tenne a Pieve mantenendo e incrementando il successo di anno in anno. E fu così che nel 1968, superando varie difficoltà burocratiche e non, tornò nella sede originaria di Lonagarone occupando una superficie di 3.000 metri quadrati e una voglia di continuità con il passato sempre viva. Il legame tra il gelato e le vallate della zona si rafforzò con il tempo fino a diventare una parte fondamentale della vita e dell'economia della zona.. L’afflusso di espositori 106 alla MIG in costante aumento, sessantatre erano nel 1969, portò negli anni a vari traslochi fino all’attuale localizzazione sita nella zona industriale.Si passò così da esposizione nei locali pubblici di Longarone a fiera che arrivò ad occupare, nel 1997, una superficie di 13.500 mq e ad avere l’anno dopo oltre 30.000 visitatori. L’importanza della MIG come fiera d’eccellenza a livello mondiale per il gelato artigianale è testimoniata dalla crescente richiesta, anno dopo anno, di espositori e la saturazione degli spazi offerti.Dal 1959 anche la stessa gestione della Fiera subì modifiche passando da organizzazione a cura di volontari ad organizzazione economicamente redditizia a tutela delle peculiarità locali con la nascita della “Longarone Fiere s.r.l.” La nuova entità economica tutela e promuove sia la MIG che le varie fiere, di livello nazionale ed internazionale, che si svolgono nel complesso fieristico. L’inventiva e l’estro dei gelatieri portarono anche alla creazioni di concorsi collegati alla MIG: il più antico è il concorso Coppa d’Oro istituito nel 1970.Tra le manifestazioni più importanti al mondo, qui i migliori mastri gelatieri mettono da sempre in gara le proprie professionalità variando ogni anno il tema del loro lavoro: ad esempio nel 2004 il tema era il gusto di castagna (base latte).Nell’albo del concorso risulta anche Fausto Bortolot che lo vinse nel 1971 e molti anni dopo diverrà presidente dell’Uniteis; presenza sempre attiva degli zoppedini a tutela di una parte del loro stesso essere gelatieri. Il periodo di svolgimento della fiera è sempre compreso, tra Novembre e Dicembre, nel periodo in cui tutti i gelatieri sono rientrati mantenendo così 107 fede alla sua missione di fiera voluta dai gelatieri per i gelatieri4.Oltre il supporto delle autorità locali non manca mai quello delle varie associazioni di categoria a tutela del gelato artigianale: UNITEIS, ITAL e AGIA. L’Uniteis tutela i gelatieri italiani e il gelato artigianale in Germania mentre Ital svolge questo compito in Olanda dal 1972 e Agia in Austria.Dalla nascita nel 1969 dell’Uniteis, è sempre stato forte l’interesse a tutelare i gelatieri emigranti nei vari paesi europei e il gelato italiano di qualità indiscussa. Come visto in precedenza, gli zoppedini che emigrarono si stabilirono essenzialmente in Germania e lì come molti furono partecipi della nascita e dello sviluppo della stessa UNITEIS: Associazione dei Gelatieri Artigianali Italiani in Germania.Oltre alla tutela del gelato italiano, l’associazione divenne nel tempo, l’unico referente con le autorità per i gelatieri artigiani promuovendo continui corsi di formazione e aggiornamento.Si è sempre tenuto stretto anche il rapporto con l’Italia con la promozione continua di interscambio tra autorità tedesche e italiane.Dal 1982 vi è anche la pubblicazione di una testata, a pubblicazione bimestrale5 che informa i gelatieri aggiornandoli sulle ultime novità nel loro campo.Il supporto dell’associazione risultò, e risulta tutt’ora, importante per l’aiuto che da al gelatiere anche nella gestione economica della bottega oltre che alla ricerca e formazione del personale. In anni recenti, c’è stata anche l’apertura di un sito internet loro dedicato6. 4 Giovanni De Lorenzi, presidente Longarone Fiere,M.I.G. 2004,Longarone. Uniteis notizie 6 www.uniteis.com/. 5 108 Lo zoppedino Fausto Bortolot è stato presidente dell’Uniteis fino al Novembre del 2004 mantenendo sempre viva l’attenzione verso Zoppè , paese simbolo dell’attività di gelatiere. Uniteis, Ital e Agia fanno parte di Artglace. Artglace è un’associazione che riunisce le associazioni dei gelatieri artigiani di sette paesi della comunità Europea: Austria, Francia, Germania, Italia, Olanda, Portogallo, Spagna.Questa associazione è anche partner della stessa Longarone Fiere. Gli scopi di Artglace sono vari e tra essi vi è quello di facilitare il rapporto tra le varie associazioni di categoria dei vari paesi dell’Unione Europea e dei paesi futuri membri.Un altro scopo che si prefigge è la tutela dello stesso prodotto gelato a livello artigianale, livello nazionale e comunitario ; supporto svolto anche con proposte legislative mirate e formazione continua sul lavoro. Infatti, per il loro statuto possono essere soci di ARTGLACE tutte le associazioni nazionali di gelatieri artigianali. Quando non esistano associazioni di ambito nazionale potranno aderire ad ARTGLACE le associazioni di carattere regionale. La MIG e Longarone Fiere hanno sempre tenuto ai rapporti con le maggiori organizzazioni mondiali di gelatieri tanto che la stessa Artglace e i suoi soci lì vi celebrano le loro assemblee annuali.Oltre alla MIG sono state varie le mostre e manifestazioni nate negli anni riguardanti l’arte gelatiera in se e legata alla pasticceria come il Salone Internazionale Gelateria, Pasticceria e Panificazione Artigianali nato nel 1979 con sede a Rimini.Pur essendo quest’ultima una manifestazione molto nota la MIG è sempre il punto di riferimento per il gelato artigianale; forse poco pubblicizzata dal mondo dell’informazione è molto sentita e partecipata da tutti i gelatieri e sentita dai Cadorini e da tutti i gelatieri valligiani contigui. A riprova di ciò vi sono 109 svariate pubblicazioni sul gelato e i suoi emigranti bellunesi e vi è inoltre la presenza di un sito internet dedicato unicamente alla fiera del gelato7. 6.FINE DI UN CONFLITTO E RIPRESA DELLA VITA QUOTIDIANA- PARTE SECONDA Dal 1945, ci vollero quattordici anni per far sentire ai gelatieri emigranti il calore della gente di Zoppè: nel mese di settembre del 1959, don Pietro lasciò nel periodo estivo il paese per recarsi a fare un giro di saluti agli zoppedini lavoranti in Germania e Olanda.Da quell’anno, sebbene non a cadenza costante, cominciarono i viaggi dei parroci verso i luoghi, in Italia e all’estero, dove lavoravano i gelatieri per portare loro l’affetto del paese che mai si scordò di loro. Oltre alla Germania, i gelatieri zoppedini si radicarono in svariate parti d’Italia; lavoro inizialmente stagionale che in molti casi portò ad una residenza permanente.Scorrendo il numero del bollettino parrocchiale Gennaio-Febbraio 1962, si legge del resoconto di un viaggio di don Pietro Da Gai, in giro per l’Italia a portare una parola di conforto ai gelatieri di Zoppè. Come annotazione, è riportata la presenza all’epoca di trentaquattro gelaterie zoppedine in Germania.Tra i gelatieri in terra germanica si radicò l’usanza di mantenere la doppia residenza per una maggiore sicurezza economica. Anche in Italia vari erano i luoghi dove la gente di Zoppè 7 www.mostradelgelato.com. 110 esportò la propria abilità nell’arte del gelato. Di seguito riporto un elenco approssimativo della presenza di zoppedini in Italia. A Sulmona c’era la famiglia Mattiuzzi; la gelateria venne aperta nel 1928 e restò in attività fino al 1970. A Roseto degli Abruzzi c’era la gelateria Romanò, in esercizio fino al 1963. A Jesi risultavano i fratelli De Lorenzo; in attività fino ai primi anni Settanta. A Stradella c’era la famiglia di Eugenio Pampanin:chiusero la gelateria nel 1965 per spostarsi poi in Germania. A Broni c’era Emilio Livan che restò attivo fino al settembre del 1967 quando chiuse e aprì una nuova gelateria a Jesolo. A Tortona c’era la famiglia di Osvaldo De Bernardin. A Villanterio, Rino Pampanin aprì a metà anni cinquanta la sua gelateria e lì lavorò per dieci anni prima di chiuderla per trasferirsi in Germania. A Sant’Angelo Lodigiano c’era il locale di Vittorio Pampanin. A Lodi , dal 1925 fino ai primi anni novanta ,fu in attività la gelateria gestita da Bepi Pampanin e Giovanni De Nadal. A Treviglio ,fino ai primi anni sessanta, era in esercizio la gelateria della famiglia di De Nadal Umberto ;chiuso il locale italiano si trasferirono anch’essi in Germania. A Milano ,già da anni, c’erano i fratelli Tomea e i fratelli Pampanin ; i primi vendevano gelato per la città ,i secondi avevano anche un loro laboratorio dove lo producevano. A Intra e Pallanza c’era dai primi anni trenta la famiglia di Franco Bortolot. A Gavirate, dal dopoguerra, si stabilì la famiglia di Camillo Pampanin. 111 In zona di Varese , a Besozzo c’era una Gelateria Pampanin che restò attiva fino al 1990. A Parabiago c’era la famiglia di Antonio Bortolot. Altri Bortolot erano presenti anche a: Milano (Bortolot Sincero), Omegna (Bortolot Rodolfo), Cuggiono (Bortolot Alfredo). Dalla Germania i gelatieri Bellunesi, Cadorini e Zoldani in testa, acquisirono molti apprezzamenti con anni di duro lavoro facendosi ben volere e integrandosi pienamente nelle vita locale; il cambio monetario favorevole fu sempre un richiamo per tutti i gelatieri.La loro definitiva consacrazione la si può collocare a cavallo degli anni sessanta: in questo periodo si ebbe la definitiva modernizzazione delle gelaterie sia esternamente che internamente.Da allora, il cliente venne maggiormente invogliato all’acquisto di gelato dalla sparizione dei banchi a pozzetti e salamoia e dalla comparsa delle moderne vetrine con banchi gelato a vista: ora anche l’occhio cominciò ad essere importante nella scelta di un gusto gelato o l’altro. Internamente, nei laboratori , avvenne un’ulteriore modernizzazione con l’introduzione di pastorizzatori sempre più perfezionati , tini di maturazione,frigoriferi, abbattitori di temperatura , mantecatrici veloci e svariate altre innovazioni che da allora ad oggi si susseguono spedite. A Zoppè, dagli anni sessanta si assistette ad un progressivo impoverimento nell’economia locale: i pilastri della vita economica del paese diventarono il turismo e le rimesse degli emigranti all’estero.Dalla chiusura dell’ultima segheria, a metà del secolo scorso, ci furono pochissimi tentativi di riavvio di attività che potessero ridare impulso all’economia locale. 112 Nel decennio compreso tra il 1960 e il 1969 si passò da una popolazione di 467 ad una popolazione di 469 persone; periodo di incremento demografico episodico poiché dagli anni settanta si assisté ad un progressivo calo della popolazione residente fino ad oggi dove, come risulta dagli ultimi movimenti della popolazione, risultano residenti 229 zoppedini. Presa coscienza dell’importanza nella loro economia del gelato e delle gelaterie, a Zoppè dal 1960 ad oggi andarono scomparendo o riducendosi molte attività che ad oggi costituiscono la nervatura vitale di ogni paese.In quegli anni a Zoppè erano presenti: tre negozi di generi alimentari, quattro tra osterie e locande e un “dopo lavoro” sito nei locali sotto l’attuale municipio, attivo dal 1962 al 1963.Sempre in quegli anni ci fu l’apertura, per breve periodo, di una pasticceria da parte di Berto Sagui. Al rientro degli emigranti, la vita di paese si riaccendeva ed era piena di iniziative; la gente lavorava sodo per curare i propri affari e quelli di paese, ma poteva anche divertirsi socializzando insieme. Dai racconti di molti giovani dell’epoca, non era infrequente tirare l’alba all’osteria giocando a carte o andando a ballare.Rispetto a quel periodo della storia locale, oggi in paese è presente un negozio di generi alimentari e un bar, che rischiò la scomparsa per cessata attività dei passati gestori sostituiti dopo un breve periodo da un nuovo proprietario.Anche determinate usanze , sebbene alcune legate alle proprie radici di gelatieri, andarono scomparendo ; una di queste era la “gelateria di sant’Anna” non più attivata dopo il 1963. Questa non era un negozio ma prendeva il nome dalla patrona poiché attiva solo il 26 di Luglio. Il giorno della festa patronale alcuni giovani del paese andavano fino alle pendici del Pelmo a recuperare del ghiaccio per preparare in paese del 113 gelato.Il gelato preparato veniva venduto e costituiva una delle attrazioni della festa della patrona. Ogni anno, fino alla scomparsa, questa manifestazione trovò sempre spazio sul bollettino, sia perché patrocinata dal parroco ma anche perché molto sentita dagli stessi compaesani. Sfogliando i resoconti di episodi di vita di paese annotati sulle Campane del mio villaggio si nota come, anche se fuori paese, non manca mai la voglia di confrontarsi tra chi emigrava e chi restava in paese.Un episodio che è citato riguarda la possibilità che si potesse o meno costituire un cineforum nel periodo invernale ,nato da un’idea di Don Marco (parroco all’epoca dell’articolo, 1968).I contrari e i favorevoli si confrontarono, epistolarmente e tramite il bollettino con articoli e lettere pubblicate poi, mostrando una vivacità e un sentire Zoppè sempre loro.Tra i vari giovani si fa menzione di Mario De Nadal,Pompeo Livan e Fausto Bortolot. L’emigrare coinvolge da sempre anche le nascite; i concepimenti dei figli avvenivano sempre in relazione al lavoro.Generalmente le nascite sono state quasi sempre concentrate a cavallo dei mesi estivi, portando a termine concepimenti avvenuti nei mesi invernali quando gli emigranti sono in paese ad usufruire delle ferie dal lavoro di gelatiere. Un tentativo, degno di esser menzionato, fatto per dare un impulso importante all’economia di paese è stata l’apertura di una stalla. Il reinserimento di animali di ovini e bovini può aiutare molto l'ambiente circostante in quanto con il loro brucare contribuiscono a tenere basso e pulito il bosco e i prati; il tutto permettendo anche la produzione di latte e derivati in maniera naturale. L’apertura, in località Pian, avvenne tra il 1976 114 e il 1977 e ne venne dato spazio nelle cronache locali: erano molti anni che nell’economia di Zoppè non c’era più traccia di allevamenti di bestiame. Dopo l’apertura della stalla ,l’anno seguente venne aperto con i contributi C.E.E. un secondo fabbricato d’appoggio. A Settembre del 1979 arrivarono le prime mucche: quattordici vacche pure pezzate rimpiazzate in seguito da vacche di razza autoctona per avere una migliore resa con l’ambiente circostante. Pur lodevole come attività non entrò mai a pieno regime e subì una chiusura avvenuta tra il 1980 e il 1981.Fu riaperta, nel 1983, e affidata in gestione a dei Bellunesi provenienti da fuori valle ma il tutto durò l’arco di una stagione, chiudendo lo stesso anno a causa di una loro gestione discutibile.Nel 1990, la stalla fu riaperta e affidata ad una comunità di Cesio Maggiore che portò proprie bestie e seppe introdurre una ventata di novità.Oltre alla gestione della stalla, venivano prodotti alimenti con il latte ricavato quali formaggi ricotte e simili. Si riprese così la pulizia del verde per opera degli animali in pascolo; a memoria di molti in quel periodo i prati e i boschi della zona e di Zoppè non erano mai stati così puliti. Nel 1992, per diatribe nate con una parte della popolazione, a causa del passaggio delle bestie su alcuni terreni si arrivò ad una nuova chiusura.Fu così che per scelte di alcuni ne risentì l’intero paese perdendo un possibile polo di attrazione, quantomeno turistico e di tutela ambientale.Riaperta nel 1997 non più con la funzione per cui nacque, venne usata da allora come campo base di varie compagnie di scout che qui vengono nei periodi estivi. È così che la maggiore risorsa che il comune può sfruttare è il turismo;gli stessi emigranti contribuiscono a ciò diffondendo lo stile, la vita e tutto quello che riguarda Zoppè nel mondo. Grazie anche alle rimesse degli emigranti , il bollettino può restare in vita svolgendo le funzioni preposte ed 115 è stato possibile anche la riapertura e il restauro della latteria sociale e del museo etnografico. Dagli inizi del 1900 ad oggi Zoppè ha vissuto un lento ma progressivo ammodernamento urbanistico che lo ha portato ad essere sempre più accessibile e mantenuto vivo. Vari, nel secolo scorso, sono stati gli interventi e le azioni svolte a sua tutela dai sindaci. Una menzione va a Simonetti Carlo, sindaco di Zoppè dal 1961 al 1986.Oltre a opere urbanistiche locali seppe dare impulso alla vita di Zoppè con i vicini Zoldani in una visione di mutuo aiuto tra popolazioni di montagna. Tra queste iniziative vi sono: -partecipazione in prima persona alla costituzione della Comunità Montana "Basso Cadore-Longaronese-Zoldano" -la costituzione della locale biblioteca -l’adesione al servizio domiciliare di assistenza agli anziani -la nascita della "Festa della Montagna" (svolta ogni anno nel mese di Agosto) organizzata da Zoppè con il comune di Forno di Zoldo e Zoldo Alto. Tra i soci fondatori dello Sci Club Zoppè,Carlo Simonetti, contribuì con l’organizzazione di manifestazioni sportive invernali ed estive a rendere viva la fama di Zoppè in tutta la provincia e in tutta la regione. Dai primi emigranti gelatieri della metà del diciannovesimo secolo, Zoppè è diventato un punto di riferimento in questo campo (qui inteso anche come arte) tantè che chi ne conosce la fama lo identifica tramite due parole che lo caratterizzano: Dolomiti e gelato.La prima indica il paesaggio, sempre vivo negli zoppedini come negli emigranti, la seconda indica un modo di essere, la vita di intere generazioni. L’unico rammarico per molti è la mancata 116 costruzione in loco del monumento al gelatiere per volontà popolare; monumento che verrà costruito nel comune di Venas. Il gelato, come nelle vallate circostanti, a Zoppè assume una valenza difficile da capire se non si è immersi nell’ambiente: importanti i guadagni ma anche duro è il lavoro che ha reso gli zoppedini gente operosa ma che resta ancorata sempre al proprio paese con modi di vita e culturali (forte è il sentimento religioso).Come figlio di un’emigrante, ho vissuto da sempre la vita e le contraddizioni della vita dei gelatieri; sia che stessero in Italia o che andassero all’estero.Ma una caratteristica importante è il radicamento che ogni zoppedino ha verso il suo paese e che sa “attaccare” a chi gli sta vicino.Il duro ambiente di vita in montagna, legato ad un alimento come il gelato, ha saputo formare generazioni di persone che con i loro pro e contro sapranno mantenere vivo un piccolo paesino com’è Zoppè sia in chi ci vive che in chi ci ha vissuto e in chi lo vivrà tramite i ricordi dei propri parenti: gli emigranti di ieri e quelli di domani. 117