CAPITOLO 3.
IL GELATIERE MODERNO: EMIGRAZIONE
DOVUTA,VOLUTA O SUBITA
1.INTRODUZIONE
Il passaggio tra le due guerre mondiali comportò mutamenti in tutta la
nazione e in ogni angolo, compresi i piccoli comuni come Zoppè di Cadore.
Ripresa di tutte le attività del quotidiano e del fenomeno migratorio
momentaneamente arrestato dagli eventi bellici.
Dal dopoguerra ad oggi è cambiata anche la visione dell’emigrazione vista
da fuori e dagli stessi emigranti. In quest’ambito si cercherà, nel limite del
possibile di tracciarne l’evoluzione legata a questo paese delle Dolomiti
bellunesi e al gelato; parte ormai integrante della sua economia.
Dalla fine dell’ultima guerra, con l’accrescersi del benessere economico, la
condizione dell’emigrante si modificò rispetto a soli venti anni prima; vi era
sempre una necessità che in seguito si trasformò in parte in volontà senza
più costrizione in genere. Il passato insegnò quanto dura e necessaria fosse
l'esperienza migratoria; obbligatorietà dovuta anche all’immobilismo statale
nelle politiche lavorative nelle vallate di montagna. Dal 1945 ad oggi il
gelatiere zoppedino si evolve, ancorato sempre al proprio contesto di vita,
ma sempre sensibile al paese nativo.
75
2.FINE DI UN CONFLITTO E RIPRESA DELLA VITA
QUOTIDIANA- PARTE PRIMA
La fine del secondo conflitto lasciò lo stesso Zoppè e la sua economia, già
fragile, da ricostruire.
Durante la guerra, a Zoppè non vi furono vittime; vari furono i motivi tra cui
anche la localizzazione geografica di montagna tra la vallata zoldana e
quella cadorina.
Negli ultimi anni di guerra la forma principale d'economia praticata era la
zercògna, attività legata esclusivamente al baratto: si scambiava fieno per
cibo e tutto quello che serviva per il vivere di tutti i giorni, il resto era
assicurato dai lavori presso l'organizzazione tedesca Todt localizzata a
Longarone. Le varie problematiche non impedirono, seppure con mezzi di
fortuna, di mantenere quasi tutte le gelaterie in minima attività. Una di
queste, fu la gelateria della famiglia Pampanin di Pavia in attività
ininterrottamente dal 1922 e di cui tratterò la storia di seguito.
Con molte difficoltà, alcuni gelatieri operanti in Germania riuscirono con
l’aiuto anche degli stessi tedeschi a sopravvivere e, in alcuni casi, a
mantenere l’attività (famiglia Sagui).La conservazione delle proprie attività,
fu concessa agli zoppedini, grazie alla buona reputazione dei gelatieri
bellunesi guadagnata alla fine del secolo precedente con l’avvio della
vendita ambulante del gelato.
Il beneplacito acquisito presso le autorità locali, fin dall’epoca dell’Impero
Austroungarico, non rese troppo difficoltoso il rilascio delle licenze e dei
76
lasciapassare necessari. Per chi doveva lavorare all’estero (fino al 1945)
come nell’Impero Austroungarico, poi diventata Germania e Austria,
doveva avere due “lasciapassare”.
Questi permessi altro non erano che due passaporti; uno per circolare in
Italia e uno per la circolazione nei paesi germanofoni. Il primo era rilasciato
dall’anagrafe comunale sotto egida della deputazione comunale e sopra vi
erano annotati diversi dati: i connotati fisici, la religione e la firma del
datore di lavoro. D’importante vi era anche l’indicazione specifica delle
province dove si sarebbe esercitato il lavoro e della Parrocchia cui il singolo
era iscritto e frequentante; in questo caso risulta quella di Sant’Anna a
Zoppè.
Nei lasciapassare per esercitare nei paesi di lingua tedesca erano indicate le
generalità del lavoratore, il luogo dove doveva avrebbe svolto le sue
mansioni e la durata dello stesso permesso.
In seguito, dopo l’unità con il Regno d’Italia nel 1866 ci fu l’obbligo del
passaporto rilasciato dalla commissione distrettuale; quella di Pieve come
risulta da un passaporto del 1903 ritrovato nell’archivio comunale di
Zoppè.La validità del documento era di tre anni e presentava una doppia
dicitura in lingua tedesca con gli stessi dati tradotti e con l’aggiunta della
validità riconosciuta presso il paese di destinazione.
Per chi lavorò in Italia restò necessaria la sola licenza rilasciata dal comune
e da una sorta di passaporto per l’interno con menzionato il luogo di lavoro
e i dati del lavorante compresi quelli del datore di lavoro.
Per chi invece lavorava in Italia, come venditore ambulante (di dolci paste e
pere cotte) prima e di gelatieri poi, serviva una licenza di esercizio da
richiedere al municipio. Nell’archivio comunale di Zoppè ho ritrovato
77
alcune di esse comprese delle lettere di richieste volte ad ottenere quei
permessi (documenti riprodotti in appendice: tavola 5 e tavola 6). Il periodo
di alcune di esse è compreso tra il 1934 e il 1939 e la tipologia di domanda
variava in base al reddito. Le licenze erano rilasciate in base alla Legge 5
febbraio 1934, numero 327, e relativo regolamento.
De Nadal Alessio nella richiesta al podestà, il 22 ottobre del 1937 formulava
richiesta formale con allegata la tassa obbligatoria; domanda per l’esercizio
nelle province di Belluno, Pavia, Bologna, Padova e Milano. Il 25 Dicembre
del 1934 fu presentata domanda da Pampanin Stefano dove veniva però
richiesto anche l’esonero dal pagamento della tassa per ottenere la licenza in
considerazione del proprio stato di povertà.
Così avveniva, non di rado, che fosse il comune a sobbarcarsi l’onere del
pagamento della tassa relativa (20 lire) per molti paesani che vivendo in
stato di povertà avevano bisogno di lavorare. Questa Domanda di licenza di
esercizio per il commercio ambulante era redatta in duplice copia per le
autorità preposte. Queste licenze furono richieste fino agli anni sessanta con
le vecchie procedure e moduli; di seguito vi è copia della licenza e del
libretto di Sagui Marino, dell’anno 1958.
Nella licenza c’erano varie annotazioni quali: il numero di inserimento nel
registro degli esercenti mestieri ambulanti, i generi venduti (per la maggior
parte degli zoppedini erano paste, dolci frutta e gelati), le modalità di
vendita e le province di esercizio. Nella licenza ritrovata alla voce modalità
di esecuzione è riportata la seguente dicitura: “si porta la merce nella
persona e con carrettino a mano”. Dicitura che riassumeva in poche parole
il lavoro dei primi gelatieri zoppedini che iniziarono le loro attività come
ambulanti. All’amministrazione della pubblica sicurezza era inoltrato il
78
certificato d’iscrizione all’albo relativo, vidimato e controllato annualmente.
Dall’epoca di esercizio sotto l’Impero Austroungarico, all’unificazione e al
passaggio attraverso due guerre, il rilascio dei permessi si semplificò e sparì
ogni riferimento al datore di lavoro personalizzando maggiormente quel
documento; questo era vitale per i gelatieri sia che lavorassero in Italia che
all’estero. Esaminate le dinamiche di rilascio delle licenze di esercizio della
professione, è possibile riprendere l’analisi dell’evoluzione di Zoppè e dei
suoi abitanti: emigranti per forza o per scelta.Durante la Seconda Guerra
Mondiale alcuni gelatieri bellunesi riuscirono a mantenere i contatti con la
Germania e ciò permise una ripresa postbellica senza eccessivi problemi.
La
fama
dei
gelatieri
cadorini,
mai
ostacolati
nemmeno
dal
nazionalsocialismo tedesco, restò immacolata e si accrebbe poi con gli anni.
Dai movimenti della popolazione si nota che nel 1946 la popolazione di
Zoppè era di 549 persone; in aumento rispetto ai 521 censiti nel
1939.Quest’aumento, a prima vista anomalo, è spiegabile dal rientro dei
gelatieri che lavoravano all’estero durante la Guerra e di quegli zoppedini
che, pur lavorando in Italia preferirono, per loro sicurezza personale,
rientrare al paese nativo. A tal proposito risultano, dalla sezione iscritta nel
registro della popolazione residente civile come immigrati, sei persone
provenienti dalla provincia e cinque da altre province per un totale di 11.
Nella colonna “cancellati dal registro della popolazione residente civile
come emigranti” sono stati annotati il numero dei rientrati dalla provincia e
dal resto d‘Italia mese per mese. Risultarono così rientrati quattro zoppedini
dalla provincia e tredici da fuori provincia ristabilendosi a Zoppè con il
domicilio e la residenza.
79
Il saldo nel primo anno dopo la guerra riportò un bilancio positivo di sei
unità; i nati risultarono dodici contro sei deceduti. Negli anni successivi ci
fu una sensibile diminuzione della popolazione che si andò stabilizzando
sulle trecento unità; in seguito molti gelatieri continuarono a mantenere il
domicilio a Zoppè.
Da dopo la guerra mutarono alcune caratteristiche degli spostamenti degli
zoppedini; sia gelatieri emigranti in Italia o all’estero; si ebbe una
progressiva diminuzione, fino all’esaurimento, del flusso migratorio
transoceanico.
Negli anni venti fu registrato il flusso massimo di Zoldani e Cadorini che si
spostarono verso l’America meridionale; in quest’insieme di persone i pochi
abitanti di Zoppè che partirono per quei luoghi si orientarono verso
l’Argentina. Dopo la guerra vi furono gli ultimi trasferimenti di zoppedini:
la famiglia di Bortolot Angelo e Teresina, come accennato precedentemente,
sbarcò con i loro quattro figli nel mese di Aprile del 1948 in Argentina.
Seguendo un destino simile a molti loro conterranei, partirono con i pochi
risparmi di una vita e, stabilitisi stabilmente in loco, riuscirono dopo quasi
quarant’anni a ritornare a vedere il paese natale; tornò Angelo con uno dei
figli. Per complicanze varie insorte durante il viaggio, il capofamiglia morì
appena giunto in Italia e fu poi seppellito a Zoppè.
Prima della guerra, Angelo e Teresina si conobbero nelle Marche per poi
stabilirsi in seguito a lavorare in Campania come gelatieri. Durante la guerra
persero le loro attività e fu così che terminato il conflitto dovettero cercare
altrove il modo di sopravvivere.
Si recarono così in Argentina contando sull’appoggio di Antonio (Tone)
Tomea lì residente dal 1939.L’inizio, come venditori di gelati non fu
80
promettente; ma la crescita dei figli portò nuova forza vitale e stimoli.
Aprirono così a Wilde nel 1955, vicino Buenos Aires, una gelateria che
negli anni andò ingrandendosi fino ad esser l’inizio di una fiorente catena di
gelaterie.Attualmente i discendenti di Angelo possiedono più di una decina
di gelaterie in Argentina e alcune in Uruguay.
Per i gelatieri zoppedini che lavorarono in Germania fondamentale fu oltre
la qualità del loro prodotto anche la cortesia sempre dimostrata verso la
popolazione tedesca. Varie sono le storie di famiglie zoppedine legate a quei
luoghi.
Tra queste storie, un esempio è stata la vita della famiglia di Lionella
(Nella) Sagui; gelatieri per forza in un terra da scoprire. Nata il 19 settembre
del 1935 trascorre la prima parte dell’infanzia in paese come i suoi coetanei;
il mondo per loro era Zoppè.
I bambini conoscevano il paese e la valle circostante sebbene sapessero
dove andavano a lavorare i loro cari; alcuni di loro, una volta divenuti
adulti, sarebbero partiti per un viaggio senza ritorno in paese.
Nella a 12 anni andò in gita con l’Azione Cattolica a Belluno, oggi pochi
chilometri che all’epoca sembravano un’enormità; si raggiungevano i luoghi
che si vedevano lontani da Zoppè.
Il padre Leone, in Germania da prima del 1939, era mastro gelataio e aveva
un’attività nella città di Sweinfort. Lo scoppiò della guerra e il
bombardamento del locale lo spinsero a fermare l’attività per la sua stessa
sopravvivenza. Fu rimpatriato nel 1945 per poi, tre anni dopo, rientrare in
Germania a riaprire l’attività; il tutto fu reso possibile grazie anche alla
popolazione locale da cui si fece sempre ben volere.
81
Nel 1950 Nella ebbe il primo approccio diretto con una realtà di cui sarebbe
diventata partecipe: l’emigrazione. A 15 anni andò col padre a Sweinfort per
aiutarlo a riaprire la gelateria; in Germania ebbe un impatto inizialmente
violento.
Lei fu messa a contatto con una realtà che non conosceva, immersa in un
contesto dove anche la comunicazione diventava difficile a causa della
lingua che allora non conosceva ancora.
La presenza del padre attutì molto l’impatto; il legame con la famiglia restò
sempre un punto d’aiuto e di sostegno fondamentale per tutti gli emigranti,
zoppedini compresi.
Inizialmente l'apprendimento della lingua avvenne oralmente, imparò a
parlarlo pur faticando a leggerlo.Il procedimento di acquisizione della
lingua era similare per molti emigranti: arrivati in terra straniera le prime
cose che impararono è il relazionarsi a voce con la popolazione, in un
secondo tempo s’imparerà la grammatica e la scrittura nella nuova lingua.
L'imparare il tedesco risultò inizialmente difficoltoso ma, con l'utilizzo di
vari metodi, riuscì ad acquisirne un'ottima padronanza.
L’inizio dell’apprendimento riguardò da sempre le parole e le frasi base per
lavorare a contatto con i clienti: i saluti, i gusti del gelato e il saper fare di
conto.
Fino al 1951 odiò il tedesco ma, l'anno dopo, scattò una molla che cominciò
a farglielo apprezzare maggiormente; tutto fu dovuto ad una maggiore presa.
L’inaugurazione della gelateria avvenne il giorno 1 e il 2 giugno del 1950.
Nell’inverno di quello stesso anno Nella era baby-sitter presso la casa di un
generale della vicina base americana; la stagione fredda comportò da sempre
un calo di attività se non la stessa chiusura, anche se temporanea, delle varie
82
gelaterie. Il personale non era in numero tale da facilitare l’esercizio
dell’attività e così il primo maggio del 1951 arrivò la sorella Natalina e ad
Ottobre del 1953 salì l’altra sorella Ines.
A metà Agosto dello stesso anno, a causa di problemi di salute, la madre
dovette far rientro in Italia e Nella la seguì per assisterla lasciando le due
sorelle col padre.
Una volta ristabilita la madre, lei tornò in Germania ma non più a Sweinfort:
la gelateria era ben avviata ma non permetteva un reddito tale da mantenere
tutta la famiglia.
Fu così mandata, nel 1955 e per le due successive stagioni, nella città di
Rheidt a lavorare nella gelateria di Franco Sagui. È stata sempre prassi
comune che i giovani di Zoppè andassero a imparare il mestiere dagli altri
paesani che avevano già l’attività avviata; si diceva che “si andava sotto
paron” ossia che si andava a lavorare sotto padrone.
Nel 1957 fu venduta la gelateria di Sweinfort e ne venne aperta una nella
cittadina di Plettenberg. Nel frattempo, il 13 febbraio del 1958 sposò
Antonio (Tone) Bortolot un giovane di Zoppè; legamene d’amore nato anni
prima.
Pur lavorando lontano molti zoppedini sposarono compaesani contribuendo
a mantenere vivo sempre il legame con le proprie radici: legami d’amore o
di necessità portata anche dalle naturali difficoltà d’inserimento in un
contesto culturale in cui era, e in alcuni casi è tuttora, difficoltoso integrarsi.
Come molti emigranti, la relazione tra lei e Tone viveva epistolarmente
quasi tutto l’anno fino al rivedersi nei mesi invernali. Lo scambio delle
lettere, sia con i fidanzati che con i familiari fu sempre un momento
83
importante che contribuiva a mantenere viva la propria identità: di italiani,
di zoppedini e di persone con le proprie radici.
Nel 1960, tra il 13 e 14 maggio, inaugurano una nuova gelateria presso la
cittadina di Chochem, sulla Mosella. Gelateria gestita da loro e dal fratello
di Tone, Albino, che resterà fino al 1962.In quell’anno si sposò ed aprì un
suo negozio a Maÿen. Da sempre, quando un gelatiere si sposava tendeva a
staccarsi dalla famiglia aprendo esso stesso una gelateria; una sorta di
sopravvivenza dell’attività con cui era cresciuto.
Alcuni anni dopo, Nella e Tone aprirono altre due gelaterie che in seguito
furono date in gestione restandone comunque proprietari. Proseguirono così
fino al 1985, quando per cinque anni rientrarono al lavoro in Germania; nel
1989 andarono in pensione lasciando definitivamente le loro gelaterie in
gestione o vendendole. Quando un gelatiere decide di smettere l’attività
generalmente ha due vie davanti a se: vendere il locale o lasciarlo in
gestione riscuotendo una sorta di affitto dal gelatiere entrante. La bottega si
tendeva, come avviene ancora oggi, a cederla possibilmente ai compaesani
che volevano aprire una nuova gelateria.Altre sono state e sono le storie di
gelatieri zoppedini emigrati e sparsi in Italia e all’estero.Nel periodo
seguente alla fine della Guerra, scorrendo alcuni registri scolastici ritrovati
in un archivio familiare privato1 si nota un incremento dei bambini in paese.
I registri coprono l’arco temporale compreso tra il 1948 e il 1952.
1
Famiglia Antonio Pampanin
84
Figura 3.Frontespizio di un registro di classe in uso alla scuola elementare nel dopoguerra
85
Scorrendo questi documenti, si può notare che, sebbene passati pochi anni
dal 1945, le professioni più ricorrenti erano per la maggioranza legate
ancora al mondo dei gelati; legame che così non s’interruppe mai.Come ad
esempio dalla pagella della classe prima del 1948 alla voce professione dei
genitori l’elenco si recita la presenza, su tredici bambini, di: sette gelatieri,
due ambulanti, due commercianti e due operai.Pur con dicitura diversa
nell’elencazione dei lavori dei genitori, il mestiere di ambulante era
riconducibile alla vendita del gelato; vi era la differenza che ciò avveniva
senza un locale di appoggio ma come vendita effettuata tramite
carrettini.Sebbene anche senza un locale fisso, l’ambulante che vendeva
gelato e dolci riusciva a dare un aiuto economico alla gestione della famiglia
che restava a Zoppè, e allo stesso modo le sue rimesse davano impulso allo
sviluppo della stessa economia di paese.Gli zoppedini ambulanti, venditori
di gelato e miottari, erano sparsi in varie regioni d’Italia: alcuni lavoravano
sulla riviera ligure, altri sparsi tra Milano e Pavia, altri in Emilia Romagna,
alcuni sulla riviera marchigiana e altri ancora sparsi tra il Lazio e la
Campania. Dopo il 1945, alcuni di loro lasciarono questo lavoro
stabilendosi nella nuovo residenza con altre occupazioni mentre altri ancora
riuscirono ad evolversi economicamente diventando gelatieri con un loro
locale: aprirono uno o più locali nella zona che ormai impararono a
conoscere compiutamente.
Un esempio di ambulanti che diventarono gelatieri fissi è rappresentato dalla
famiglia di Pampanin Marco che lavorava a Pavia.
Marco Umberto Pampanin si sposò con Maria Pampanin agli inizi del 1900
e dall’unione nacquero nell’ordine: Antonia, Antonio, Gallo, Lionello,
Giuditta, Eni e Settimo.Marco con i figli Antonio e Lionello (detto Nello)
86
cominciò l’attività a Pavia nel 1922, con un negozio in Via Strada Nuova.
All’inizio non fu una gelateria secondo il concetto tuttora in voga;
inizialmente fu aperta una latteria e di supporto vi era la vendita ambulante
con carrettini di frutta secca, paste e gelato.Il negozio restò con la
denominazione di latteria fino al 1937; all’interno si vendeva latte, burro e
molta panna montata e vi erano anche due tavolini interni per una fugace
consumazione di gelato. Il negozio non era ampio e il banco vendita era
posto lateralmente all’entrata (diventerà frontale con la trasformazione della
latteria in gelateria) e dietro, nella parte non visibile ai clienti, vi era un
laboratorio alimentare.Nel laboratorio, con l’uso di due mantecatrici
manuali, si produceva il gelato per i quattro carrettini che lo avrebbero
venduto per tutta Pavia.
Lo schema di lavoro, per quanto cambiasse la localizzazione geografica, era
similare per ogni gelateria: c’era il responsabile del laboratorio, per la
preparazione del gelato e di tutto ciò che vi era connesso, chi lavorava dietro
al banco e gestiva l’interno del locale e i camerieri, in divisa che servivano i
clienti seduti.Dal 1934 iniziarono i controlli sanitari cui si sottoposero tutti i
locali, latteria inclusa.
Fino al 1937, in latteria per fare il gelato, il responsabile del laboratorio alle
sei era già in negozio e iniziava la produzione per la giornata .Dalle sei ci
volevano circa tre ore affinché fosse tutto pronto e così fino alle nove si
vendeva solo latte in negozio.Agli inizi l’addetto era il fratello di Nello,
Antonio detto Tone; ciò in ogni modo non significava una rigidità di ruoli
poiché ognuno era interscambiabile nelle proprie mansioni e tutti sapevano
come si produceva il gelato.Il tempo di preparazione, di due o tre ore,
risentiva del fatto che la procedura era abbastanza laboriosa tenendo conto
87
della preparazione degli attrezzi, della bollitura degli ingredienti, della
lavorazione a freddo di alcuni di essi e dei tempi per ottenere il prodotto
mantecato finale, il gelato.Sia come latteria prima che come gelateria poi, il
locale non chiuse mai definitivamente neanche durante la Seconda Guerra
Mondiale.Nello cominciò a partecipare attivamente all’attività di famiglia a
tredici anni; sebbene così giovane fece la gavetta che passarono altri
coetanei zoppedini. Solitamente, i bambini erano mandati con le ceste a
vendere i vari generi alimentari nelle osterie e locali della zona. Lui, con la
cesta piena di croccanti, mandorle arachidi e paste (acquistate a Milano nel
laboratorio della famiglia De Nadal) andava in giro per le osterie e trattorie
di Pavia a venderle. L’inizio non fu semplice per Nello, un misto d’obbligo
e rassegnazione; sentimento poi mutato nel tempo.Inizialmente non gli
piaceva, ma lo fece per aiutare economicamente la famiglia. Un’influenza
sulle sue scelte la ebbe anche la mentalità delle stesse famiglie zoppedine:
già da piccoli, lui come altri, avevano già la visione di un loro destino scritto
“..già tutti erano gelatieri e anche io lo sarò da grande..” Fino a dopo la
guerra, lui e i fratelli gestirono insieme la gelateria di Pavia; alcuni anni
dopo la fine del conflitto Tone e Settimo andarono in Germania dove
aprirono altre gelaterie. In città
restarono Nello, Gallo ed Eni che
parteciparono allo sviluppo fino al periodo attuale della gelateria
Pampanin.Nella gelateria l’importanza maggiore è rivestita dal gelato e dai
suoi molteplici gusti: a Pavia i gusti inizialmente prodotti erano vaniglia,
limone, cioccolato, nocciola e fragola. Dalla sua esperienza, risultata
comune a molti gelatieri, i suddetti gusti sono quelli che sono sempre stati i
più scelti a dispetto della moltitudine di quelli prodotti dagli anni Sessanta
ad oggi.
88
Dal 1937, con la trasformazione in gelateria ci fu la centralizzazione del
banco (per maggiore funzionalità), l’ulteriore ammodernamento del
laboratorio e la posa di tavolini dentro e fuori del locale per permettere una
degustazione del gelato ma anche dei suoi elaborati che fecero la loro prima
comparsa: le coppe. Inizialmente le coppe erano due: la spagnola e il
paciugo.La spagnola era una coppa costituita con gelato alle creme con
panna montata e amarena a ricoprire; il paciugo era realizzato con gelato
(non con gusti specifici) ricoperto da panna montata.
La spagnola era servita in un bicchiere alto, da coppa gelato, composto da
tre palline di gelato con una spruzzata di succo d’amarene e ciliegie con
panna montata e in cima due ciliegie per la guarnizione finale.
Il paciugo era servito nel bicchiere da frappè composto da gelato misto con
succo d’amarena in più strati (una sorta di miscuglio di gelati concluso con
la copertura sommitale fatta di panna montata). Vi era anche la preparazione
e vendita di cassate, frappè e latte gelato in seguito scomparso e soppiantato
dal frappè. Il latte-gelato veniva elaborato mettendo un po’ di gelato in un
bicchiere da frappè aggiungendovi del latte; il cliente poi lo gustava così,
bevendo anche il latte (similare alla coppa mangia e bevi di oggi).
In seguito nacquero altre coppe con il moltiplicarsi degli stessi gusti
gelato.In tutte le gelaterie zoppedine era, ed è tuttora, uso attribuire alle
coppe nomi che richiamassero ai luoghi nativi e alle loro bellezze
geografiche come monti o laghi; così è frequente imbattersi nella coppa
Dolomiti, coppa Cadore, coppa Pelmo.Usanza questa in voga presso tutte le
gelaterie di valligiani e veneti e così non era difficile, per esempio,
imbattersi in gelaterie di Zoldani o di Ampezzani in cui si poteva gustare la
coppa Civetta o la coppa Cortina.Varie erano le tipologie di preparazione e
89
gli ingredienti usati, un esempio è la coppa Dolomiti preparata nella
gelateria Pampanin in Germania.Per prepararla si usava una coppa ampia
dove si spruzzava dentro subito un po’ di panna montata e poi si
aggiungevano tre palline di vaniglia annaffiate con liquore d’amaretto ed in
seguito si aggiungeva un cucchiaino d’amaretto, in polvere.Finita la prima
parte di preparazione si proseguiva con un altro spruzzo di panna cosparsa
dal liquore Vov e scaglie di cioccolata; per guarnizione finale si aggiungeva
un wafer e un biscotto.
Nel periodo dal 1951 al 1956, la famiglia Pampanin prese in gestione una
gelateria a Vigevano.Pur con ottimi profitti l'affitto del locale non venne
loro rinnovato e il titolare tentò in solitario la gestione della gelateria che
risultò poi fallimentare.Ad una richiesta successiva di rientro nella gelateria
in Vigevano, Nello e fratelli rifiutarono e Antonio e Settimo andarono ad
aprire una gelateria in Germania.
La pesantezza del lavorare in gelateria era, ed è, sempre legata ai turni
lavorativi.
A Pavia, prima dell'adozione del giorno di riposo infrasettimanale, si
lavorava per sette giorni la settimana senza turni di riposo (sempre in ambito
stagionale nel periodo da Febbraio ad Ottobre).L'orario tipo era articolato
dalle sei del mattino fino all'una di sera con tre turni di pausa.Il primo turno
di sosta era a cavallo di mezzogiorno per il pranzo, di durata di un'ora, che si
consumava o in appartamento o nei locali interni quando c'erano molti
clienti; il secondo turno riguardava l'ora di cena ed era a cavallo delle
diciannove con le stesse modalità di mangiare del pranzo ed il terzo turno
(la chiusura) avveniva verso l'una di notte.
90
Dal 1945, la gelateria di Marco servì al sostentamento delle famiglie dei
suoi figli che in seguito andarono anche in Germania.In Italia restarono sia
Nello che Gallo con le rispettive famiglie lavorando insieme nel locale fino
alla divisione della proprietà avvenuta nel 1984.In quell’anno Nello, con i
figli, aprì una seconda gelateria Pampanin nella piazza del centro storico di
Pavia mentre la prima gelateria restò in mano a Gallo e alla sua famiglia.La
gestione della singola gelateria è sempre stata amministrata in ambito
familiare; il ricorso ai dipendenti è sempre stato legato a strette necessità
temporanee.Ad esempio, Nello tra il 1953 e il 1955 poteva contare una
decina di persone tra il personale; familiari ma anche gente di Zoppè e del
Cadore. Le mansioni lavorative venivano divise tra chi lavorava in negozio
e chi andava con i carrettini a vendere il gelato per Pavia. L’orario
giornaliero di lavoro degli ambulanti andava dalle sette alle diciannove e
trenta. L’uso dei carrettini restò in voga, a Pavia, fino al 1960. Nello smise
di lavorare come ambulante nel 1956 quando si sposò con De Nadal
Antonia, compaesana e anch’ella gelatiera cresciuta con la famiglia a
Cantù.Come d’uso tutt’oggi, i dipendenti esterni vengono scelti in primis tra
gli stessi zoppedini, perpetrando l’uso di prendere a bottega gente del paese
a cui insegnare il mestiere, e in secondo luogo tra la gente del Cadore: c’era
chi veniva da Selva, chi da Pieve o da Cibiana .
Il legame con Zoppè, il Cadore e le vallate circostanti, non si spezza poiché
il gelatiere per la gestione della bottega si lega sempre a imprese della zona
di provenienza; i materiali, il banco ed ogni sorta di necessità era sbrigata
facendo riferimento principalmente a ditte di Longarone, del Cadore, del
Veneto e friulane.Un punto di riferimento è la MIG, mostra internazionale
del gelato, che si tiene dagli anni 50 una volta l’anno a Longarone, punto
91
d’incontro di tutte le aziende legate, a vario modo, al mondo delle
gelaterie.Nello stesso nel 1984, con l’apertura della gelateria in piazza,
comprò il banco e altri oggetti da espositori presenti alla MIG. Nella nuova
gelateria fece la sua comparsa anche il banco gelato a vista e sparì quello
con le sorbettiere; la sparizione di quest’ultimo cominciò già negli anni
sessanta nelle gelaterie in Germania.Una causa del cambiamento è stata
anche l’aumento dei gusti di gelato e così si veniva a invogliare
maggiormente gli stessi clienti. Già nel 1970 Nello e Gallo cominciarono a
produrre moltissimi gusti di gelato ma, dal parere personale di Nello, si è
sempre avuto riscontro che i gusti più ricercati sono sempre stati i più
classici quali vaniglia, cioccolato, nocciola o frutti di stagione.
Nello ebbe tre figli: Giancarlo nato nel 1957, Maurizio nel 1961 e Franco
nel 1966.Pur avendo da sempre vissuto a Pavia, Zoppè non ha mai smesso
di essere parte della vita di Nello e Gallo (fino alla sua morte a metà degli
anni Ottanta).Nel periodo di chiusura non manca mai di tornarci; visse
intensamente il periodo in cui vi erano quattro osterie e c’era molta vita in
paese, periodo compreso dal dopo guerra agli anni Settanta.Per quanto
concerne il suo lavoro, come molti iniziò quasi per forza ma poi se ne è
affezionato e avendo già 85 anni non smetterà mai finche può di fare gelato.
Per i figli, il sentimento dei genitori sarebbe stato propenso a che
svolgessero un mestiere diverso, meno duro del gelatiere. Alla fine
Giancarlo, Maurizio e Franco, per vari motivi, seguirono le orme dei
genitori e lo stesso Nello è fiero nel sapere che la sua attività continuerà. Il
rapporto dei gelatieri con i propri figli è stato ed è tutt’ora particolare e
meriterebbe un’ampia trattazione ma qui mi limiterò a trattarne
sommariamente alcune caratteristiche, mutate poi col tempo e con gli anni;
92
dal dopoguerra ad oggi. La gestione familiare per gli emigranti non fu
semplice,
soprattutto
nel
rapporto
verso
i
figli.Dalla
metà
del
diciannovesimo secolo, l’avere numerosi figli è sempre stato di supporto
all’economia familiare; più bocche da sfamare ma più aiuti ai magri bilanci
di casa e Zoppè, come i paesi delle vallate vicine, non fece mai
eccezione.Con lo sviluppo e il cambiamento del tipo di lavoro, da ambulante
a stabile, i rapporti all'interno della famiglia tendono a diventare in alcuni
casi più complessi.Pur essendoci sempre l’eccezione alla regola è possibile
tracciare un breve tracciato sul tema basandomi sui racconti degli anziani di
Zoppè, dei familiari e dei vecchi maestri del paese.
La situazione economica, nel periodo compreso tra le due guerre, facilitò in
tutta Italia la diffusione di famiglie con molti figli; Zoppè non fece
eccezione a questa tendenza.
Scorrendo i movimenti della popolazione, tra il 1930 e il 1941, le nascite
furono mediamente di undici unità per anno a fronte di una popolazione
media, in questi anni, che si aggirava sulle 570 unità.
Capitava così che molte famiglie, sebbene la mortalità infantile fosse a
livelli considerevoli, ebbero comunque una numerose discendenza.
La scolarità dei figli fu sempre legata al lavoro del capo famiglia, lo stesso
Nello interruppe gli studi a tredici anni per seguire il padre. L'interruzione
della scolarità fu sempre dovuta a necessità ed era una scelta obbligata per la
quasi totalità dei giovani. Di solito si tendeva ad andare a scuola ripetendo
più volte una stessa classe fino al raggiungimento dell’età minima per
cominciare il lavoro.Nel periodo scolastico i figli erano lasciati o con la
madre, che restava a Zoppè curandoli, o a parenti che ne curassero lo
sviluppo fisico e “morale”.In seguito, iniziato il lavoro, chi poteva riprese
93
gli studi in seguito guadagnando il titolo di studio elementare o medioinferiore: Nello conseguì a Pavia la licenza media. Nella famiglia dei
gelatieri, il destino dei figli era deciso e, difficilmente si discostava
dall'attività familiare; questo obbligo era legato alle condizioni economiche
delle famiglie zoppedine che, come chi viveva in montagna, non riuscivano
più a vivere di ciò che l’ambiente circostante poteva offrire.Scorrendo
alcuni registri scolastici delle elementari che coprono gli anni dal 1949 al
1951 si nota come in ogni classe ci fosse più di un alunno ripetente e come
fosse tenuta in conto la disciplina.
Leggendo le annotazioni poste dai maestri, Damiano Simonetti e Carlina
Pampanin, emerge una rigidità legata ad un atteggiamento genitoriale; da un
lato si tendeva ad essere rigidi sul comportamento da tenere in classe e
dall’altro si ravvivava lo spirito di collaborazione tra i bambini, legati da un
futuro che allora era già scritto.
3.I GIOVANI E LA VISIONE DELL’EMIGRAZIONE NELLA
GENTE DI ZOPPÈ
L’atteggiamento dei giovani nel seguire i genitori gelatieri cominciò a
mutare dal periodo del boom economico a cavallo degli anni Sessanta.
La diffusione generalizzata di un benessere alla portata di tutti, legato ad
una costante redditività delle gelaterie, attive ormai da molto tempo, spinse
molti genitori a desiderare un futuro diverso per i loro figli.
94
Da quegli anni, secondo opinioni dei maestri dell’epoca, i giovani
cominciarono ad avere una certa possibilità di scelta. Pur avendo acquisito
questa facoltà, molti di loro decisero di continuare il lavoro di gelatiere. Le
motivazioni che portavano alla continuazione del mestiere erano varie
come: la comodità di un lavoro che seppur faticoso rende (prima c’era anche
il vantaggio del cambio marco/lira), la poca voglia (per alcuni) di proseguire
il percorso scolastico e il periodo di ferie ampio in cui si pensa solo a
svagarsi. A fine stagione, quando si rientra al paese, il desiderio è di godersi
il periodo di ferie; se anche ci fosse un desiderio di ricerca di un'altra
occupazione in questo periodo si tende a se svagà2. Fino agli anni Sessanta,
i giovani e le famiglie nel periodo di riposo invernale avevano svariate
occupazioni dal gestire la casa, le proprietà e le varie pratiche di gestione di
vita paesana. In seguito, dagli anni seguenti in poi, per i giovani il periodo
invernale divenne sempre più dedicato al riposo personale e ad una vita di
paese non più così viva come nel periodo dei loro genitori.La tendenza dei
giovani zoppedini di fare famiglia si rivolse, a differenza d’oggi,
nell’ambito del paese.La famiglia dei gelatieri se comprende la presenza di
figli pone sempre un pensiero per il loro futuro e il mantenerli legati alla
loro terra d’origine; ora più che in passato se non si hanno nonni o parenti
che li possano tenere nel periodo scolastico, si tende a portarli con se o in
ogni caso a farli studiare fuori del paese.In alcuni casi, il problema della
lontananza è mitigato poi da un loro rientro futuro e una partecipazione
attiva nella gestione della cosa comune.
Gli stessi bambini cominciavano presto a rendersi conto delle difficoltà
unite alla necessità dell’emigrare.Sul numero di Ottobre del 1979 di
2
A svagarsi
95
Campane del mio villaggio c’è un articolo dal titolo “Quello che pensano i
nostri bambini dell’emigrazione” dove sono inserite citazioni tratte da alcuni
temi svolti sull’argomento a scuola.Da quest’articolo traspare il senso di
consapevolezza e di tristezza per la partenza dei genitori ma anche la gioia
di rivederli finita la scuola; l’emigrazione degli zoppedini era vista come
necessaria per vivere anche se forte risalta l’attaccamento a Zoppè e il
desiderio di un ritorno.
Di seguito riporto pensieri di alcuni bambini estratti dall’articolo:
-Damiano: ”Provo dispiacere per questi cittadini che partono per lavorare
per noi, che siamo qui senza far niente e fanno dei grandi sacrifici per
mantenerci”.
-Alfredo: ”Quando i miei genitori partono per la Germania io sento la
mancanza della protezione e del calore della mia famiglia. Certe volte,
quando i miei genitori mi telefonano io posso parlare e divento allegro”.
-Martina: ”Quando finisce la scuola i genitori vanno a prendere i propri
figli, li portano in Germania e finalmente la famiglia si trova unità.”
-Francesca: “Mia madre ha trovato lavoro qui, nel nostro paese di
montagna che, anche se scomodo, sono convinta che è meglio rimanere nel
paese nativo.Tutti gli emigranti, quando è ora di partire, vanno in chiesa
per la Pasqua degli emigranti e poi preparano le valigie con tristezza.”
-Renzo: ”Gli emigranti partono in Marzo, i bambini devono andare a
scuola e restano dai parenti o vanno in pensionato.Io, bambino di undici
anni, penso che è giusto che partano per guadagnarsi il mangiare
necessario per la famiglia, e mentre i nostri genitori lavorano in gelateria o
in altri lavori, noi dobbiamo fare il nostro dovere di scolari. …Io sono uno
di quelli che vanno in pensionato a Goima, però appena finita la scuola il
96
mio papà viene a prendermi.Appena arrivato a Goima in pensionato non
era bello, ma poi mi sono abituato e ora non è più brutto: trovo gli amici, le
suore che mi conoscono, i maestri anche, e ogni anni trovo amici
nuovi.Quando vado in Germania io e mia sorella qualche volta aiutiamo i
nostri genitori in piccoli lavori e alla sera qualche volta ci danno qualche
soldo.”
La visione del lavoro di gelatiere e della stessa emigrazione è vista con varie
sfumature anche ora; in questo lavoro mi sono avvalso di un questionario,
con alcune domande che spaziano dai dati anagrafici di base fino alla
specificità del tema qui affrontato.Senza valenza scientifica, dalle risposte al
questionario è stato possibile avere una visione intergenerazionale
dell’emigrazione e del radicamento in Zoppè: com’è vissuta dai giovani di
oggi e com’è stata vissuta dai loro padri e nonni.In quest’indagine le
domande principali riguardavano: età, sesso, residenza, lingua straniera
conosciuta, l’importanza di Zoppè nella propria vita, com’è stato vissuto
l’inizio della vita lavorativa, quanto è stata importante la famiglia, il lavoro
scelta o necessità, aspettative per i propri figli e l’importanza nella tua vita
dell’essere emigrante.
Negli elaborati non è stato richiesto il nome e cognome perché più che la
singola persona volevo analizzare l’insieme dei pensieri con la minima
influenza possibile. I questionari analizzati sono stati 21: dieci compilati da
maschi e undici da femmine. Nel leggerli risaltano differenti visioni
dell’emigrazione da Zoppè, non tanto in base al sesso ma più, in base agli
anni. La maggioranza dei giovani ha vissuto questo fenomeno come una
scelta: c’è chi ha cominciato per il cessato interesse negli studi (terminata la
scuola dell’obbligo), chi per la prospettiva di un lavoro sicuro e ben
97
remunerato (anche se duro) con un lungo periodo di ferie annuali. L’inizio
non è stato mai traumatico perché già molti erano cresciuti nel mondo di chi
doveva emigrare per vivere.Dai questionari risulta anche la presenza però di
giovani che non hanno seguito il mestiere del gelatiere riuscendo a
conquistare un titolo di studio ed un’emancipazione lavorativa rara tra i loro
padri.Dai vari lavori risulta la presenza di due impiegati e di due dottori,
gente che è riuscita a restare ancorata alla propria terra stabilmente; hanno
lavorato nelle gelaterie di famiglia ma sono riusciti ad emanciparsi, con
fatica e soddisfazione.Con l’aumento dell’età dei compilanti si nota come il
lavoro di gelatiere fosse una sorta di obbligo e necessità, il tutto dettato da
una diffusa povertà e da un’economia, fondata sull’agricoltura, in continua
disgregazione.
Come accennato in precedenza, fino agli anni sessanta Zoppè seguì
l’andamento degli altri paesi di montagna con un generale impoverimento
del reddito familiare.Praticamente i giovani di allora erano costretti ad
emigrare; ci fu chi lo visse in maniera traumatica e chi con pacata
rassegnazione (c’era chi avrebbe voluto andare a portare sassi piuttosto che
andare a vender gelato ..). Le radici però non sono mai state rinnegate:
Zoppè è sempre vissuto nel quotidiano anche quando si è via per lavoro.Un
segnale di questo radicamento è sempre il 26 Luglio, il giorno di Sant’Anna.
In questo giorno, gli zoppedini, che siano emigranti all’estero o in Italia, si
ritrovano per festeggiare la patrona. Quest’abitudine, soprattutto per i
gelatieri in Germania, è vissuta ancora più sentitamente; come in anni
passati anche attualmente è frequente organizzarsi tra i gelatieri vicini per
festeggiarla.Capita così che zoppedini ,che lavorano distanti anche più di
98
200 km, si riuniscano per festeggiare in vari modi mentre in paese la si
onora come una festa di precetto.
Proseguendo a scorrere i questionari emerge un’uniformità di vedute
sull’importanza della famiglia come punto di riferimento nell’emigrante.
Negli anni e nella cultura di piccolo paese ancorato alle proprie radici, la
famiglia è sempre stato un pilastro. In passato i genitori erano più chiusi
verso le scelte dell'avvenire dei propri figli; mentalità mutata col tempo
verso una maggiore libertà.Pur vivendo in famiglia solo nove o dieci mesi
l’anno , i genitori assunsero sempre ad una funzione educativa importante
verso i figli.
Alla visione più profonda del proprio ruoli di gelatieri, e più espressamente
di emigranti emergono sia rimpianti che sogni.In generale si desidera un
rientro in pianta stabile a lavorare e vivere a Zoppè ed esce anche la fatica
dell’essere gelatiere unita all’ottimismo per una vita migliore.
Con l’aumento dell’età dei compilanti emerge come molti di loro abbiano
più rimpianti che sogni pur vivendo una vita serena. C’è sempre coscienza
che pur essendo faticoso è un lavoro più “sano” di altri come, ad esempio,
quello del benzinaio (esempio tratto da un questionario). Leggendo le
risposte all’ultima domanda relativa all’importanza dell’essere emigrante
emergono due visioni del fenomeno. Per la maggior parte degli adulti (di età
superiore ai sessant’anni) ha rivestito sì una buona importanza ma
prettamente dovuta al mantenimento della famiglia e a volte era anche mal
sopportata, a causa delle numerose privazioni.
Dai giovani risulta un’importanza notevole dell’essere emigrante legata alla
multiculturalità: molti scrivono di come sia stimolante vivere in un mondo
diverso dal loro confrontandosi con modi di vita e di pensiero differenti dai
99
propri.Questa esperienza viene vissuta anche come fonte di arricchimento
personale come emerge anche da un questionario compilato da una
zoppedina, emigrante poi ritornata, dove è espresso il concetto espressole da
un’amica tedesca: “..chi conosce due lingue ha due anime..”
4.UN LEGAME
BOLLETTINO
INSCINDIBILE
CON
ZOPPÈ:
IL
Che stessero in paese o fossero emigranti, gli zoppedini non persero mai il
contatto con il paese; questo è stato reso possibile dalla presenza del
bollettino parrocchiale, edito dagli anni trenta del ventesimo secolo.
Come molte pubblicazioni locali diffuse nelle locali vallate, seppe
mantenere sempre a contatto il paese con gli emigranti, mutando col mutare
del fenomeno stesso.
Sorto su ispirazione ecclesiastica, come molti altri, partì con uno scopo
pastorale svolto fino ai primi anni sessanta con l’evoluzione del carattere
migratorio; sempre gelatieri ma non più solo per costrizione.
Dall’inizio ebbe duplice scopo, sia per chi emigrava, sia per i familiari che
restavano in paese a mantenere i contatti.
Il primo numero fu pubblicato nel mese di Marzo 1930 sotto la vigilanza di
un comitato ecclesiastico composto da Simonetti Damiano (il maestro),
Pampanin Vitale, Bortolot Giò Batta, Sagui Giovanni. Presidente e
responsabile dei contenuti era il parroco don Luigi Da Rin.
100
Dagli archivi risulta che il “Bollettino parrocchiale” (primo nome della
pubblicazione) fu stampato fino al 1935 per poi riprendere, dopo una
periodo di interruzione, nel mese di Giugno del 1937 col nome attuale di
Campane del mio villaggio.
Come accennato precedentemente, sin dai primi numeri erano presenti le
esortazioni parrocchiali rivolte a chi andava fuori paese a lavorare: gli
emigranti. Molto partecipata era la rubrica dal titolo “Ai nostri emigranti”
mantenuta in vari numeri anche se non in maniera continuativa.
Appena sorto si occupò di rendere noti il proseguimento dei lavori di
restauro della Chiesa non mancando di sollecitare ogni forma d’aiuto
possibile. Leggendo la provenienza delle offerte sono elencati sia emigranti
temporanei in nord Europa che emigrati permanenti nelle Americhe.
Il gelato come i gelatieri divenne una parte fondamentale dell'economia
zoppedina; era nota a tutti la necessità di emigrare e anche la durezza del
farlo. Continui rimandi erano annotati sul bollettino riguardo al fatto che
"..c'è poco da godere, fortunati quelli che non fan debiti. "
Nel 1938 risulta censita, da una citazione del bollettino, una popolazione di
circa una quarantina di gelatieri zoppedini in Germania e la chiusura
dell’ultima segheria presente in paese per scarsità d’acqua.Un altro
avvenimento che richiese molto spazio fu anche lo spostamento del cimitero
fuori dal paese in località Pian dal For.
Dal mese d’Agosto del 1942, il bollettino, cambiò il nome in “Il buon
angelo
delle
famiglie”
così
restando
fino
all’interruzione
della
pubblicazione nel mese di Maggio del 1944.
Dalla fine della guerra vari furono i momenti d’interruzione della stampa del
bollettino.
101
La pubblicazione riprese nel 1947 col nome iniziale distribuito come
trimestrale fino ad Ottobre del 1951 quando mutò nuovamente il nome
diventando “Bollettino parrocchiale, cronache di Zoppè di Cadore”; dal
1956 al Dicembre dell’anno successivo uscì con frequenza mensile.
Dal Dicembre di quell’anno riprese la denominazione attuale con una
diffusione bimensile. Un breve cambio di nome si ebbe un’ultima volta, nel
mese di novembre del 1963 quando il bollettino uscì come "Vie di pace,
bollettino parrocchiale di Vinigo di Cadore". Le variazioni che si ebbero in
seguito furono dovute solo alla modalità di diffusione (bimensile,
trimestrale o mensile) fino ai giorni nostri distribuito trimestralmente.
L’emigrante o gelatiere non fu né allora né oggi dimenticato; e fino agli anni
sessanta il rapporto era quasi paternalistico, come un padre (il parroco) si
prendeva cura della prole (i compaesani presenti e gli emigranti).
Il bollettino doveva fungere anche come una sorta di “cordone ombelicale”
con Zoppè; con le lettere inviate ai parenti costituiva una corrispondenza
che manteneva vivo il ricordo del paese.
Ciò che era pubblicato, di fondo, aveva semplici regole atte alla
“salvaguardia” dell’integrità dell’emigrante e a tenerlo legato all’attività
pastorale per una vita nella virtù. Chi andava a lavorare fuori paese tendeva
a mantenere un ricordo positivo del paese nella sua coscienza ed è ciò che si
cercò di mantenere con il bollettino; della gente che moriva venivano redatti
i necrologi ma nulla più cercando di pubblicare notizie che non turbassero la
loro “linea di fragilità costituita dalla nostalgia”3.
3
AA.VV. , Storia contemporanea del bellunese : guida alle ricerche , a cura dell’Istituto
Storico Bellunese della Resistenza, Libreria Pilotto editrice, Feltre 1985, p. 257.
102
Dagli anni sessanta quando si passò all'analisi dell'emigrare, spostandosi
dall'emigrante
all'emigrazione,
l'attenzione
alla
persona
ebbe
un
allentamento restando solo marginale; sono a tutt'oggi annotati eventi lieti e
meno lieti degli emigranti ma non è più marcata una loro visione in un'ottica
cattolica presente nella società comune di quarant'anni prima.
Il bollettino negli ultimi anni, dalla morte dell’ultimo parroco del paese, non
tratta più solo le cronache di Zoppè ma anche quelle di Forno di Zoldo e di
Zoldo Alto. Il bollettino riuscì a rendere nota la vivacità di un piccolo
comune quale Zoppè attraverso avvenimenti di varia importanza accaduti
dal dopoguerra ad oggi.
Sui numeri degli anni cinquanta furono annotate varie cronache sportive:
dall’arrivo della squadra nazionale di sci in preparazione ai giochi invernali,
alle gare di sci a livello nazionale fino all’arrivo del pugile Primo Carnera.
Nell’inverno1964 ci fu l’esperimento della scuola televisiva a distanza
tenuta dal personale didattico locale; esperimento che, dopo l’ottimismo
iniziale, si esaurì in breve periodo. Sempre negli anni sessanta cominciarono
le visite estive dei parroci agli emigranti sia nazionali che europei; e al loro
ritorno venivano pubblicati i relativi diari di viaggio tenuti dagli stessi preti.
Tra i vari avvenimenti, nel 1971 fu dato spazio all’apertura del museo
etnografico sito in una sala comunale; progetto embrionale esaurito dieci
anni dopo. Il museo è stato poi riaperto vent’anni dopo nella sua
localizzazione attuale in un apposito edificio.
Per Zoppè sono sempre stati importanti sia i giovani che i villeggianti;
peculiarità sempre presenti anche sul bollettino. Sono messi in evidenza
tutte le attività e i risultati dei giovani paesani sia in ambito culturale,
sportivo o lavorativo con foto e vari resoconti.
103
Il turismo dal dopo guerra ad oggi ha sempre costituito una risorsa ed
anch’esso è stato ed è tuttora esaltato nelle varie forme: dai racconti di gente
che è stata a Zoppè, alla descrizione delle bellezze naturali e a come
raggiungerle.
Fino agli anni ottanta c’è stata una minima presenza di posti letto per turisti
poi con gli anni soppressi. Negli ultimi anni si sta pensando a ripristinare dei
centri d’accoglienza per i turisti a tutela della stessa economia di paese per
la quale il turismo è una risorsa fondamentale.
Per quanto non molto corposo, il bollettino resta sempre un valido punto di
riferimento riportando la vita di paese per chi la vive quotidianamente e per
chi la vive una breve parte dell’anno; è così sempre vivo il ricordo del forte
radicamento presente in un comune seppure piccolo ma con una vita sociale
intensa per la maggior parte dell’anno.
5.IL GELATO E CHI LO LAVORA
Il gelato, quando cominciò a rappresentare qualcosa in più di un semplice
alimento, portò col tempo alla nascita d’eventi che lo valorizzassero sia in
campo alimentare che come risorsa lavorativa.Lo stesso Zoppè, dal 1959
fece parte di queste novità, sempre in proporzione al proprio numero di
abitanti che erano per la maggior parte essi stessi gelatieri.
L’impegno dei Cadorini e degli Zoldani, uniti nel consorzio LongaroneseZoldano, portò così alla nascita della Mostra Internazionale del Gelato
104
(MIG) con sede a Longarone.Fu scelto questo paese giacché, in posizione di
privilegio, è posto al centro delle due valli in zona all’epoca in espansione e
di confluenza delle attività montanare della zona. L’anno di nascita di
questa manifestazione fu il 1959 quando, dopo esperimenti di mostre a
livello embrionale degli anni precedenti, venne inaugurata il 6 Dicembre
con durata fino al 18 dello stesso mese.
Sin dall’inizio era evidenziato il forte coinvolgimento nell’economia locale
di tale mostre, toccando essa il lavoro di moltissime famiglie della zona.
Infatti, la prima esposizione avvenne con la formazione e posizionamento
degli stand in vari locali del paese: bar, osterie, alimentari e altri. Si poteva
girare nei vari locali pubblici e si vedevano le ultime novità tecnologiche:
per la prima volta un vero punto d’incontro tra addetti ai lavori e gelatieri,
parte integrante di una realtà che andava espandendosi.
L’articolo apparso sul Gazzettino di domenica 13 Dicembre a cura di
Fiorello Zangrando, dedicato alla prima edizione della MIG, evidenziò il
successo organizzativo e il vantaggio che la fatica degli stessi gelatieri fosse
ripagata dalla presenza di un punto d’incontro per facilitare ogni
rinnovamento e miglioramento nel loro lavoro.
A tutt’oggi, molti zoppedini ricordano la prima edizione con una malcelata
malinconia; emerge una personalizzazione del gelatiere che pur lavorando
parecchi mesi dell’anno fuori casa resta sempre attaccato ai valori della sua
terra.
La funzione di mercato del gelato si intuì dall’anno successivo con
l’aumento degli espositori e del pubblico: dai 19 espositori del 1959 ci fu
sempre un crescendo d’anno in anno e l’interesse della televisione e di varie
testate nazionali ne aiutò la diffusione.
105
Da quell’anno i gelatieri zoppedini e tutti i colleghi valligiani ebbero un
punto valido per le loro attività.La MIG con il passare degli anni si ingrandì
cercando sempre di mantenersi il più possibile autonoma da aiuti statali e
simili. Il tutto proseguì fino al 9 settembre del 1963 con la tristemente nota
tragedia del Vajont , la morte di duemila persone e la sparizione di interi
paesi, Longarone incluso. Sparì anche ogni sorta di attività economica e
l’economia locale ne risentì a lungo.Due zoppedini perirono nella catastrofe:
Simonetti Ugo e Simonetti Raffaele.Alcuni paesani invece scamparono per
fortunate circostanze: Nello Pampanin ricorda che passò per Longarone il
pomeriggio di quello stesso giorno e lì si sarebbe fermato a vedere in serata
una partita di calcio ma, non trovando parcheggio, tornò subito in paese.
Così Nello si salvò insieme ai passeggeri della sua auto. Già l’anno
seguente, i gelatieri non dandosi per vinti si organizzarono per proseguire
l’avventura della fiera del gelato e grazie al loro impegno e a vari aiuti
venne riaperta, momentaneamente, presso il comune di Pieve di Cadore.Ci
fu una lotta contro le avversità e un forte desiderio di affermazione: il
popolo delle vallate c’era ed era più vivo e unito che mai.
Da cronache di quell’edizione, la quinta, si legge della presenza di circa
ventimila visitatori e di molti espositori sia italiani che esteri. Durante il
periodo della ricostruzione nelle zone disastrate dal Vajont, la MIG si tenne
a Pieve mantenendo e incrementando il successo di anno in anno. E fu così
che nel 1968, superando varie difficoltà burocratiche e non, tornò nella sede
originaria di Lonagarone occupando una superficie di 3.000 metri quadrati e
una voglia di continuità con il passato sempre viva. Il legame tra il gelato e
le vallate della zona si rafforzò con il tempo fino a diventare una parte
fondamentale della vita e dell'economia della zona.. L’afflusso di espositori
106
alla MIG in costante aumento, sessantatre erano nel 1969, portò negli anni a
vari traslochi fino all’attuale localizzazione sita nella zona industriale.Si
passò così da esposizione nei locali pubblici di Longarone a fiera che arrivò
ad occupare, nel 1997, una superficie di 13.500 mq e ad avere l’anno dopo
oltre 30.000 visitatori.
L’importanza della MIG come fiera d’eccellenza a livello mondiale per il
gelato artigianale è testimoniata dalla crescente richiesta, anno dopo anno,
di espositori e la saturazione degli spazi offerti.Dal 1959 anche la stessa
gestione della Fiera subì modifiche passando da organizzazione a cura di
volontari ad organizzazione economicamente redditizia a tutela delle
peculiarità locali con la nascita della “Longarone Fiere s.r.l.”
La nuova entità economica tutela e promuove sia la MIG che le varie fiere,
di livello nazionale ed internazionale, che si svolgono nel complesso
fieristico.
L’inventiva e l’estro dei gelatieri portarono anche alla creazioni di concorsi
collegati alla MIG: il più antico è il concorso Coppa d’Oro istituito nel
1970.Tra le manifestazioni più importanti al mondo, qui i migliori mastri
gelatieri mettono da sempre in gara le proprie professionalità variando ogni
anno il tema del loro lavoro: ad esempio nel 2004 il tema era il gusto di
castagna (base latte).Nell’albo del concorso risulta anche Fausto Bortolot
che lo vinse nel 1971 e molti anni dopo diverrà presidente dell’Uniteis;
presenza sempre attiva degli zoppedini a tutela di una parte del loro stesso
essere gelatieri.
Il periodo di svolgimento della fiera è sempre compreso, tra Novembre e
Dicembre, nel periodo in cui tutti i gelatieri sono rientrati mantenendo così
107
fede alla sua missione di fiera voluta dai gelatieri per i gelatieri4.Oltre il
supporto delle autorità locali non manca mai quello delle varie associazioni
di categoria a tutela del gelato artigianale: UNITEIS, ITAL e AGIA.
L’Uniteis tutela i gelatieri italiani e il gelato artigianale in Germania mentre
Ital svolge questo compito in Olanda dal 1972 e Agia in Austria.Dalla
nascita nel 1969 dell’Uniteis, è sempre stato forte l’interesse a tutelare i
gelatieri emigranti nei vari paesi europei e il gelato italiano di qualità
indiscussa.
Come visto in precedenza, gli zoppedini che emigrarono si stabilirono
essenzialmente in Germania e lì come molti furono partecipi della nascita e
dello sviluppo della stessa UNITEIS: Associazione dei Gelatieri Artigianali
Italiani in Germania.Oltre alla tutela del gelato italiano, l’associazione
divenne nel tempo, l’unico referente con le autorità per i gelatieri artigiani
promuovendo continui corsi di formazione e aggiornamento.Si è sempre
tenuto stretto anche il rapporto con l’Italia con la promozione continua di
interscambio tra autorità tedesche e italiane.Dal 1982 vi è anche la
pubblicazione di una testata, a pubblicazione bimestrale5 che informa i
gelatieri aggiornandoli sulle ultime novità nel loro campo.Il supporto
dell’associazione risultò, e risulta tutt’ora, importante per l’aiuto che da al
gelatiere anche nella gestione economica della bottega oltre che alla ricerca
e formazione del personale.
In anni recenti, c’è stata anche l’apertura di un sito internet loro dedicato6.
4
Giovanni De Lorenzi, presidente Longarone Fiere,M.I.G. 2004,Longarone.
Uniteis notizie
6
www.uniteis.com/.
5
108
Lo zoppedino Fausto Bortolot è stato presidente dell’Uniteis fino al
Novembre del 2004 mantenendo sempre viva l’attenzione verso Zoppè ,
paese simbolo dell’attività di gelatiere.
Uniteis, Ital e Agia fanno parte di Artglace.
Artglace è un’associazione che riunisce le associazioni dei gelatieri artigiani
di sette paesi della comunità Europea: Austria, Francia, Germania, Italia,
Olanda, Portogallo, Spagna.Questa associazione è anche partner della stessa
Longarone Fiere. Gli scopi di Artglace sono vari e tra essi vi è quello di
facilitare il rapporto tra le varie associazioni di categoria dei vari paesi
dell’Unione Europea e dei paesi futuri membri.Un altro scopo che si
prefigge è la tutela dello stesso prodotto gelato a livello artigianale, livello
nazionale e comunitario ; supporto svolto anche con proposte legislative
mirate e formazione continua sul lavoro. Infatti, per il loro statuto possono
essere soci di ARTGLACE tutte le associazioni nazionali di gelatieri
artigianali. Quando non esistano associazioni di ambito nazionale potranno
aderire ad ARTGLACE le associazioni di carattere regionale.
La MIG e Longarone Fiere hanno sempre tenuto ai rapporti con le maggiori
organizzazioni mondiali di gelatieri tanto che la stessa Artglace e i suoi soci
lì vi celebrano le loro assemblee annuali.Oltre alla MIG sono state varie le
mostre e manifestazioni nate negli anni riguardanti l’arte gelatiera in se e
legata alla pasticceria come il Salone Internazionale Gelateria, Pasticceria e
Panificazione Artigianali nato nel 1979 con sede a Rimini.Pur essendo
quest’ultima una manifestazione molto nota la MIG è sempre il punto di
riferimento per il gelato artigianale; forse poco pubblicizzata dal mondo
dell’informazione è molto sentita e partecipata da tutti i gelatieri e sentita
dai Cadorini e da tutti i gelatieri valligiani contigui. A riprova di ciò vi sono
109
svariate pubblicazioni sul gelato e i suoi emigranti bellunesi e vi è inoltre la
presenza di un sito internet dedicato unicamente alla fiera del gelato7.
6.FINE DI UN CONFLITTO E RIPRESA DELLA VITA
QUOTIDIANA- PARTE SECONDA
Dal 1945, ci vollero quattordici anni per far sentire ai gelatieri emigranti il
calore della gente di Zoppè: nel mese di settembre del 1959, don Pietro
lasciò nel periodo estivo il paese per recarsi a fare un giro di saluti agli
zoppedini lavoranti in Germania e Olanda.Da quell’anno, sebbene non a
cadenza costante, cominciarono i viaggi dei parroci verso i luoghi, in Italia e
all’estero, dove lavoravano i gelatieri per portare loro l’affetto del paese che
mai si scordò di loro.
Oltre alla Germania, i gelatieri zoppedini si radicarono in svariate parti
d’Italia; lavoro inizialmente stagionale che in molti casi portò ad una
residenza permanente.Scorrendo il numero del bollettino parrocchiale
Gennaio-Febbraio 1962, si legge del resoconto di un viaggio di don Pietro
Da Gai, in giro per l’Italia a portare una parola di conforto ai gelatieri di
Zoppè.
Come annotazione, è riportata
la presenza
all’epoca
di trentaquattro
gelaterie zoppedine in Germania.Tra i gelatieri in terra germanica si radicò
l’usanza di mantenere la doppia residenza per una maggiore sicurezza
economica. Anche in Italia vari erano i luoghi dove la gente di Zoppè
7
www.mostradelgelato.com.
110
esportò la propria abilità nell’arte del gelato. Di seguito riporto un elenco
approssimativo della presenza di zoppedini in Italia.
A Sulmona c’era la famiglia Mattiuzzi; la gelateria venne aperta nel 1928 e
restò in attività fino al 1970.
A Roseto degli Abruzzi c’era la gelateria Romanò, in esercizio fino al 1963.
A Jesi risultavano i fratelli De Lorenzo; in attività fino ai primi anni
Settanta.
A Stradella c’era la famiglia di Eugenio Pampanin:chiusero la gelateria nel
1965 per spostarsi poi in Germania.
A Broni c’era Emilio Livan che restò attivo fino al settembre del 1967
quando chiuse e aprì una nuova gelateria a Jesolo.
A Tortona c’era la famiglia di Osvaldo De Bernardin. A Villanterio, Rino
Pampanin aprì a metà anni cinquanta la sua gelateria e lì lavorò per dieci
anni prima di chiuderla per trasferirsi in Germania.
A Sant’Angelo Lodigiano c’era il locale di Vittorio Pampanin.
A Lodi , dal 1925 fino ai primi anni novanta ,fu in attività la gelateria gestita
da Bepi Pampanin e Giovanni De Nadal.
A Treviglio ,fino ai primi anni sessanta, era in esercizio la gelateria della
famiglia di De Nadal Umberto ;chiuso il locale italiano si trasferirono
anch’essi in Germania.
A Milano ,già da anni, c’erano i fratelli Tomea e i fratelli Pampanin ; i primi
vendevano gelato per la città ,i secondi avevano anche un loro laboratorio
dove lo producevano.
A Intra e Pallanza c’era dai primi anni trenta la famiglia di Franco Bortolot.
A Gavirate, dal dopoguerra, si stabilì la famiglia di Camillo Pampanin.
111
In zona di Varese , a Besozzo c’era una Gelateria Pampanin che restò attiva
fino al 1990.
A Parabiago c’era la famiglia di Antonio Bortolot.
Altri Bortolot erano presenti anche a: Milano (Bortolot Sincero), Omegna
(Bortolot Rodolfo), Cuggiono (Bortolot Alfredo).
Dalla Germania i gelatieri Bellunesi, Cadorini e Zoldani in testa,
acquisirono molti apprezzamenti con anni di duro lavoro facendosi ben
volere e integrandosi pienamente nelle vita locale; il cambio monetario
favorevole fu sempre un richiamo per tutti i gelatieri.La loro definitiva
consacrazione la si può collocare a cavallo degli anni sessanta: in questo
periodo si ebbe la definitiva modernizzazione delle gelaterie sia
esternamente che internamente.Da allora, il cliente venne maggiormente
invogliato all’acquisto di gelato dalla sparizione dei banchi a pozzetti e
salamoia e dalla comparsa delle moderne vetrine con banchi gelato a vista:
ora anche l’occhio cominciò ad essere importante nella scelta di un gusto
gelato o l’altro.
Internamente, nei laboratori , avvenne un’ulteriore modernizzazione con
l’introduzione di pastorizzatori sempre più perfezionati , tini di
maturazione,frigoriferi, abbattitori di temperatura , mantecatrici veloci e
svariate altre innovazioni che da allora ad oggi si susseguono spedite.
A Zoppè, dagli anni sessanta si assistette ad un progressivo impoverimento
nell’economia locale: i pilastri della vita economica del paese diventarono il
turismo e le rimesse degli emigranti all’estero.Dalla chiusura dell’ultima
segheria, a metà del secolo scorso, ci furono pochissimi tentativi di riavvio
di attività che potessero ridare impulso all’economia locale.
112
Nel decennio compreso tra il 1960 e il 1969 si passò da una popolazione di
467 ad una popolazione di 469 persone; periodo di incremento demografico
episodico poiché dagli anni settanta si assisté ad un progressivo calo della
popolazione residente fino ad oggi dove, come risulta dagli ultimi
movimenti della popolazione, risultano residenti 229 zoppedini.
Presa coscienza dell’importanza nella loro economia del gelato e delle
gelaterie, a Zoppè dal 1960 ad oggi andarono scomparendo o riducendosi
molte attività che ad oggi costituiscono la nervatura vitale di ogni paese.In
quegli anni a Zoppè erano presenti: tre negozi di generi alimentari, quattro
tra osterie e locande e un “dopo lavoro” sito nei locali sotto l’attuale
municipio, attivo dal 1962 al 1963.Sempre in quegli anni ci fu l’apertura,
per breve periodo, di una pasticceria da parte di Berto Sagui.
Al rientro degli emigranti, la vita di paese si riaccendeva ed era piena di
iniziative; la gente lavorava sodo per curare i propri affari e quelli di paese,
ma poteva anche divertirsi socializzando insieme.
Dai racconti di molti giovani dell’epoca, non era infrequente tirare l’alba
all’osteria giocando a carte o andando a ballare.Rispetto a quel periodo della
storia locale, oggi in paese è presente un negozio di generi alimentari e un
bar, che rischiò la scomparsa per cessata attività dei passati gestori sostituiti
dopo un breve periodo da un nuovo proprietario.Anche determinate usanze ,
sebbene alcune legate
alle proprie radici di gelatieri,
andarono
scomparendo ; una di queste era la “gelateria di sant’Anna” non più attivata
dopo il 1963. Questa non era un negozio ma prendeva il nome dalla patrona
poiché attiva solo il 26 di Luglio.
Il giorno della festa patronale alcuni giovani del paese andavano fino alle
pendici del Pelmo a recuperare del ghiaccio per preparare in paese del
113
gelato.Il gelato preparato veniva venduto e costituiva una delle attrazioni
della festa della patrona.
Ogni anno, fino alla scomparsa, questa manifestazione trovò sempre spazio
sul bollettino, sia perché patrocinata dal parroco ma anche perché molto
sentita dagli stessi compaesani.
Sfogliando i resoconti di episodi di vita di paese annotati sulle Campane del
mio villaggio si nota come, anche se fuori paese, non manca mai la voglia di
confrontarsi tra chi emigrava e chi restava in paese.Un episodio che è citato
riguarda la possibilità che si potesse o meno costituire un cineforum nel
periodo invernale ,nato da un’idea di Don Marco (parroco all’epoca
dell’articolo, 1968).I contrari e i favorevoli si confrontarono, epistolarmente
e tramite il bollettino con articoli e lettere pubblicate poi, mostrando una
vivacità e un sentire Zoppè sempre loro.Tra i vari giovani si fa menzione di
Mario De Nadal,Pompeo Livan e Fausto Bortolot.
L’emigrare coinvolge da sempre anche le nascite; i concepimenti dei figli
avvenivano sempre in relazione al lavoro.Generalmente le nascite sono state
quasi sempre concentrate a cavallo dei mesi estivi, portando a termine
concepimenti avvenuti nei mesi invernali quando gli emigranti sono in
paese ad usufruire delle ferie dal lavoro di gelatiere.
Un tentativo, degno di esser menzionato, fatto per dare un impulso
importante all’economia di paese è stata l’apertura di una stalla. Il
reinserimento di animali di ovini e bovini può aiutare molto l'ambiente
circostante in quanto con il loro brucare contribuiscono a tenere basso e
pulito il bosco e i prati; il tutto permettendo anche la produzione di latte e
derivati in maniera naturale. L’apertura, in località Pian, avvenne tra il 1976
114
e il 1977 e ne venne dato spazio nelle cronache locali: erano molti anni che
nell’economia di Zoppè non c’era più traccia di allevamenti di bestiame.
Dopo l’apertura della stalla ,l’anno seguente venne aperto con i contributi
C.E.E. un secondo fabbricato d’appoggio. A Settembre del 1979 arrivarono
le prime mucche: quattordici vacche pure pezzate rimpiazzate in seguito da
vacche di razza autoctona per avere una migliore resa con l’ambiente
circostante. Pur lodevole come attività non entrò mai a pieno regime e subì
una chiusura avvenuta tra il 1980 e il 1981.Fu riaperta, nel 1983, e affidata
in gestione a dei Bellunesi provenienti da fuori valle ma il tutto durò l’arco
di una stagione, chiudendo lo stesso anno a causa di una loro gestione
discutibile.Nel 1990, la stalla fu riaperta e affidata ad una comunità di Cesio
Maggiore che portò proprie bestie e seppe introdurre una ventata di
novità.Oltre alla gestione della stalla, venivano prodotti alimenti con il latte
ricavato quali formaggi ricotte e simili. Si riprese così la pulizia del verde
per opera degli animali in pascolo; a memoria di molti in quel periodo i
prati e i boschi della zona e di Zoppè non erano mai stati così puliti. Nel
1992, per diatribe nate con una parte della popolazione, a causa del
passaggio delle bestie su alcuni terreni si arrivò ad una nuova chiusura.Fu
così che per scelte di alcuni ne risentì l’intero paese perdendo un possibile
polo di attrazione, quantomeno turistico e di tutela ambientale.Riaperta nel
1997 non più con la funzione per cui nacque, venne usata da allora come
campo base di varie compagnie di scout che qui vengono nei periodi estivi.
È così che la maggiore risorsa che il comune può sfruttare è il turismo;gli
stessi emigranti contribuiscono a ciò diffondendo lo stile, la vita e tutto
quello che riguarda Zoppè nel mondo. Grazie anche alle rimesse degli
emigranti , il bollettino può restare in vita svolgendo le funzioni preposte ed
115
è stato possibile anche la riapertura e il restauro della latteria sociale e del
museo etnografico. Dagli inizi del 1900 ad oggi Zoppè ha vissuto un lento
ma progressivo ammodernamento urbanistico che lo ha portato ad essere
sempre più accessibile e mantenuto vivo. Vari, nel secolo scorso, sono stati
gli interventi e le azioni svolte a sua tutela dai sindaci.
Una menzione va a Simonetti Carlo, sindaco di Zoppè dal 1961 al
1986.Oltre a opere urbanistiche locali seppe dare impulso alla vita di Zoppè
con i vicini Zoldani in una visione di mutuo aiuto tra popolazioni di
montagna. Tra queste iniziative vi sono:
-partecipazione in prima persona alla costituzione della Comunità Montana
"Basso Cadore-Longaronese-Zoldano"
-la costituzione della locale biblioteca
-l’adesione al servizio domiciliare di assistenza agli anziani
-la nascita della "Festa della Montagna" (svolta ogni anno nel mese di
Agosto) organizzata da Zoppè con il comune di Forno di Zoldo e Zoldo
Alto.
Tra i soci fondatori dello Sci Club Zoppè,Carlo Simonetti, contribuì con
l’organizzazione di manifestazioni sportive invernali ed estive a rendere
viva la fama di Zoppè in tutta la provincia e in tutta la regione.
Dai primi emigranti gelatieri della metà del diciannovesimo secolo, Zoppè
è diventato un punto di riferimento in questo campo (qui inteso anche come
arte) tantè che chi ne conosce la fama lo identifica tramite due parole che lo
caratterizzano: Dolomiti e gelato.La prima indica il paesaggio, sempre vivo
negli zoppedini come negli emigranti, la seconda indica un modo di essere,
la vita di intere generazioni. L’unico rammarico per molti è la mancata
116
costruzione in loco del monumento al gelatiere per volontà popolare;
monumento che verrà costruito nel comune di Venas.
Il gelato, come nelle vallate circostanti, a Zoppè assume una valenza
difficile da capire se non si è immersi nell’ambiente: importanti i guadagni
ma anche duro è il lavoro che ha reso gli zoppedini gente operosa ma che
resta ancorata sempre al proprio paese con modi di vita e culturali (forte è il
sentimento religioso).Come figlio di un’emigrante, ho vissuto da sempre la
vita e le contraddizioni della vita dei gelatieri; sia che stessero in Italia o che
andassero all’estero.Ma una caratteristica importante è il radicamento che
ogni zoppedino ha verso il suo paese e che sa “attaccare” a chi gli sta
vicino.Il duro ambiente di vita in montagna, legato ad un alimento come il
gelato, ha saputo formare generazioni di persone che con i loro pro e contro
sapranno mantenere vivo un piccolo paesino com’è Zoppè sia in chi ci vive
che in chi ci ha vissuto e in chi lo vivrà tramite i ricordi dei propri parenti:
gli emigranti di ieri e quelli di domani.
117
Scarica

capitolo 3. il gelatiere moderno: emigrazione dovuta,voluta o subita