Network le città in dialogo Savignano 27 novembre 2010 Mediazione linguistica, culturale, mediazione dei conflitti nei quartieri Premessa Oggi i numeri e i fenomeni che attraversano e segnano la presenza migrante nel nostro Paese ripropongono questioni e problemi che l’integrazione culturale e le sue dinamiche sono andati ponendo nelle varie società di accoglienza. Da qualche anno stiamo assistendo a una "rivoluzione silenziosa" nel modo in cui la nostra cultura si pone di fronte ai conflitti e alle difficoltà che qualsiasi relazione umana: di vicinato, di lavoro, tra appartenenti a culture diverse porta con sé. Anche in Italia è necessario ripensare a strategie di interazione e di dialogo e non affidare all’improvvisazione e alla buona volontà la questione cruciale della formazione e gestione dei servizi di mediazione sociale e culturale soprattutto nelle aree urbane: le città necessitano di ridivenire luogo di vita delle comunità nel senso compiuto del termine e quindi anche luoghi di progettazione e gestione comune tra gruppi culturalmente e socialmente diversi. La città e quindi la Comunità deve diventare uno spazio che sollecita l'inclusione piuttosto che stimolare l'esclusione e la separazione: dagli spazi separati alla condivisione dei luoghi; dagli spazi chiusi a quelli aperti come afferma Letizia Bindi nel suo articolo Mediare la Città. “Le città possono subire, in ragione di migrazioni internazionali, delle trasformazioni radicali del loro spazio urbano secondo forme più o meno caratterizzate da segregazione o coralità della gestione di tali spazi e dunque secondo politiche che devono essere di volta in volta criticamente analizzate e negoziate tra i vari gruppi. Se il rapporto con il territorio e con l’organizzazione interna degli spazi urbani diviene sempre più elemento caratterizzante e costitutivo della soggettività dei singoli individui così come dei gruppi culturali, allora l’interesse per l’antropologia urbana in relazione ai fenomeni migratori diviene oggi uno degli strumenti fondamentali di cui dotare quanti lavorano nei servizi sociali e nelle istituzioni locali a vario titolo interessate dal fenomeno migratorio, compresi i mediatori culturali e gli operatori delle associazioni e dei diversi centri di intervento.” Questa forte attenzione a rivalutare lo spazio come categoria fondamentale dell’analisi delle dinamiche sociali, specie di quelli attinenti lo scambio tra gruppi di origine culturale distinta all’interno dei contesti urbani (Zanfrini, 1998) permetterà di individuare, forse, nuove pratiche di intervento e mediazione capaci di modificare in profondità la gestione degli spazi urbani condivisi da più gruppi e che fanno da sfondo quotidiano all’incontro/scontro tra ‘autoctoni’ e ‘stranieri’. 1 “La riuscita della governance interculturale, a tutti i livelli, dipende in massima parte dal moltiplicarsi di spazi di dialogo aperti: spazi fisici, come strade, mercati e negozi, case, asili, scuole e università, centri socioculturali, associazioni giovanili, chiese, sinagoghe e moschee, sale per riunioni nelle fabbriche e luoghi di lavoro, musei, biblioteche e altri spazi per il tempo libero, oppure spazi virtuali come i mezzi di comunicazione. Le autorità pubbliche e gli attori sociali sono invitati a sviluppare il dialogo interculturale negli spazi della vita quotidiana e nel quadro del rispetto delle libertà fondamentali. Le possibilità di creare questi spazi sono infinite. (Libro bianco) La mediazione interculturale non può essere più un’azione marginale ma deve rientrare nelle competenze di un’amministrazione comunale che si accinge a governare la realtà territoriale in continuo cambiamento sia in termini di arrivo di nuovi cittadini sia in termini di rapporto tra generazioni. Gli spazi di incontro, di dialogo, di mediazione non esistono per natura, ma, al contrario, vanno conquistati, creati, istituiti, difesi, utilizzati e gestiti. Si tratta di percorsi che devono essere consapevolmente e intenzionalmente costruiti. Abbiamo bisogno di guardare al futuro piuttosto che rimanere imbrigliati nel passato. Come riconoscere una presenza che c’è, che fa parte della città e contribuisce a caratterizzare la nuova società? E' necessario, in questo quadro, riconquistare degli spazi mentali per il dialogo, restituendo alle comunità la capacità di appropriarsi, nel senso del fare propri, i processi di sviluppo in atto. Inoltre è opportuno recuperare una dimensione riflessiva riguardo agli incontri con la diversità al fine di potere elaborare un modello di pensiero adatto a considerare la complessità, la diversità e la molteplicità senza dover ricorrere a costrutti di separazione, di esclusione o di giustapposizione. E durante l’incontro del 27 novembre il tema della mediazione ci ha rimandato al tema della relazione e del dialogo e in particolare a luoghi di dialogo da costituire. Il dialogo per le città diventa la sfida nei nuovi spazi d’incontro, in quanto la parola è lo strumento della relazione ed è anche lo strumento del cambiamento essendo portatrice di nuovi elementi che possono entrare a fare parte del mondo dell'altro. A conferma di ciò il dialogo tra le città è stato il modello di lavoro della giornata. Il gruppo ha cercato di scambiare, raccogliere e dialogare su esperienze di mediazione che hanno agito su urbanistica, su strutture, su servizi, nei condomini e nelle comunità. E’ il risultato di un’ azione che si è mossa verso ed ha chiesto agli altri di venire incontro e che ha permesso di dire qualcosa di utile a tutta la comunità. La giornata ha visto la partecipazione dei rappresentanti delle città: sindaci e assessori alle politiche di integrazione e sicurezza, responsabili dei servizi sociali e scuola, coordinatori di progetti e servizi interculturali, operatori dei centri di servizi stranieri, mediatori culturali e all’abitare, responsabili di agenzie abitative, polizia municipale, ecc. La giornata è stata suddivisa in due momenti: una prima parte per gli addetti ai lavori e una seconda parte rivolta alla cittadinanza che ha visto la presenza del Prefetto di Forlì-Cesena, di un rappresentante delle politiche sociali della Regione E. R, del presidente dell’unione dei Comuni del Rubicone, e di un Rappresentante della Provincia, dei rappresentanti del Network La composizione così variegata – per appartenenza e per ruolo ricoperto – ha permesso uno scambio e confronto ricco di spunti di riflessione. 2 Inoltre la presenza del dottor Rabih Chattat docente di Psicologia all’Università di Cesena, in qualità di facilitatore/mediatore nello scambio ha permesso al gruppo di focalizzare e condividere alcune tematiche rilevanti che di seguito vengono descritte in dettaglio. Alcuni punti emersi dallo scambio: 1. Necessità di fare chiarezza sui termini e sulle funzioni della mediazione Per quanto riguarda il mediatore diamo ancora significati diversi alle parole sia per l’esperienza che per la normativa diversa da regione a regione - Termine (Mediatore culturale, Operatore bilingue, Facilitatore, mediatore all’abitare, mediatore sociale, ecc) - Ruolo (il mediatore nelle amministrazioni, nelle consulte, nelle scuole, nelle aziende, nei quartieri…) Inoltre esistono figure ma anche spazi di mediazione. E per questo sarebbe utile condividere in modo approfondito i termini e i rispettivi significati che gli attribuiamo. Sicuramente come dice M. Fiorucci “Stranieri e autoctoni fanno riferimento a competenze comunicative differenti, efficaci per la comunicazione nei contesti di appartenenza ma non automaticamente in altri all’interno dei quali esistono regole, norme, codici e comportamenti diversi. Il processo comunicativo si incentra sulla relazione, così come, sulla relazione si incentra e si fonda ogni processo di mediazione che voglia dirsi tale. Questa relazione può fondarsi su equilibri comunicativi sbilanciati in senso asimmetrico oppure su rapporti di reciprocità relazionale. La parola mediazione è adatta ad indicare un processo mirato a far evolvere dinamicamente una situazione di conflitto, aprendo canali di comunicazione che si erano bloccati nel tentativo di giungere, attraverso un lavoro di negoziazione e contrattazione che vede coinvolti più soggetti le cui posizioni risultano dissonanti verso un’intesa condivisa” La psicologa francese Margalit Cohen Emerique distingue tre diversi tipi di significati del termine mediazione, a ciascuno dei quali corrisponde un tipo di intervento. - Il primo significato corrisponde all’azione di intermediario, in situazioni dove non c’è conflitto bensì difficoltà di comunicazione. Il tipo di mediazione che si svolge in questa situazione consiste nel facilitare la comunicazione e la comprensione tra persone di culture diverse, nel dissipare i malintesi tra l’immigrato e gli attori del sociale: malintesi dovuti in primo luogo a un sistema diverso di codici e valori culturali. - Un altro tipo di significato fa riferimento all’area della risoluzione dei conflitti di valore tra la famiglia immigrata e la società di accoglienza o all’interno della famiglia (conflitti generazionali, di coppia, etc). - Un terzo tipo di significato fa riferimento al processo di creazione: implica l’idea di trasformazione sociale, di costruzione di nuove norme basate su azioni eseguite in collaborazione tra le parti in causa e finalizzate alla risoluzione dei problemi; è un processo dinamico attivo. Un possibilità di declinare la mediazione culturale è quella di considerarla nella sua accezione sociale (psicosociale). Con questa formulazione si intende il mediatore come una figura che sta dentro le situazioni, permette agli attori sociali coinvolti l'elaborazione di nuovi modalità di gestione delle situazioni, degli spazi e dei conflitti. Gli strumenti a disposizione della mediazione cosi intesa sono quelli della promozione delle interazioni, degli scambi, del confronto, del dialogo; potrebbe anche proporre delle sintesi che rappresentano una elaborazione delle posizioni ed essere quindi soluzioni innovative. 2. Condizioni del dialogo: 3 • “Mediare per far conoscere” mediare la conoscenza: uno degli aspetti del dialogo è quello di far conoscere all’altro alcuni elementi - Es. Il manuale del condominio: alcune regole di convivenza che possono essere messe in conoscenza… Per poter dialogare debbo fare spazio nella mia mente all’altro. Se io continuo a pensarlo a modo mio è difficile che ciò avvenga. “La riuscita del dialogo interculturale richiede apertura mentale, volontà di intraprendere il dialogo e di lasciare agli altri la possibilità di esprimere il proprio punto di vista, capacità di risolvere i conflitti con mezzi pacifici e attitudine a riconoscere la fondatezza delle argomentazioni altrui...il dialogo interculturale indica un processo di scambio di vedute aperto e rispettoso fra persone e gruppi di origini e tradizioni etniche, culturali, religiose e linguistiche diverse, in uno spirito di comprensione e di rispetto reciproci…. Si tratta di uno potente strumento di mediazione e di riconciliazione : tramite un impegno essenziale e costruttivo che si pone al di là delle divisioni culturali, fornisce una risposta alle preoccupazioni di frammentazione sociale e di insicurezza, favorendo l’integrazione e la coesione sociale. In questo contesto, la libertà di scelta e di espressione, la parità, la tolleranza e il rispetto reciproco della dignità umana sono i principi fondamentali. (Libro bianco) La Proattività: è una logica che risponde all’esigenza di costruire un percorso condiviso, uscire da un’idea di passività per andare verso un’idea di proattività. Cosa significa ciò: creare condizioni e dare strumenti piuttosto che compiere azioni. Non si tratta di andare a fare delle cose ma creare condizioni, passi, strumenti che permettano di costruire insieme. In questo modo si permette a tutti gli attori di essere partecipi e quindi di “inserire” nel contesto; questo processo di partecipazione e inserimento costruisce vincoli, appartenenze e necessità di negoziazione e soluzione piuttosto che estraniamento e sottrazione. “Il pluralismo, la tolleranza e lo spirito di apertura possono tuttavia non essere sufficienti: è necessario adottare misure proattive, strutturate e ampiamente condivise, in grado di gestire la diversità culturale”. (Libro Bianco) La dimensione quotidiana: perché le cose abbiano un effetto debbono riguardare la quotidianità della vita delle persone perché è nella vita quotidiana che la maggior parte delle cose si svolgono, avvengono. 3. Il tema della Qualità Urbana trova la sua forza intorno all’idea che lo spazio deve tornare ad essere vissuto. L’esempio di alcune città che hanno operato un vero e proprio recupero di aree verdi, un recupero urbanistico delle aree pubbliche in forte degrado, una rivitalizzazione attraverso spettacoli, manifestazioni, mercatini, incontri pubblici, pulizia di strade e giardini, incontri informativi con la popolazione, controlli di quartiere, ha mostrato come sia stato possibile che le persone tornassero dentro i quartieri e comunicassero tra loro. Recupero, quindi, di un territorio favorendo la costruzione di relazioni. I nostri territori urbani, infatti, sono spesso oggetto di processi di contestazione e rivendicazione che vedono contrapporsi nella maggior parte dei casi comunità di residenti a comunità di migranti per ragioni relative all’uso diverso degli spazi pubblici, per la richiesta di spazi comuni destinati all’espressione di attività culturalmente e socialmente connotate (sale e luoghi di preghiera, stanze per le associazioni, centri o attività commerciali, uso e abuso degli spazi abitativi, locali di ritrovo gestiti e/o frequentati in prevalenza da cittadini di origine straniera,ecc). A questo si aggiungono le molte situazioni di precarietà date dalle recenti condizioni socioeconomiche. 4 Per questo riteniamo sia necessario e urgente affrontare all’interno anche dei nostri spazi urbani la questione dell’incontro e della convivenza tra modi dell’abitare e di fruire degli spazi pubblici, tra le diverse mappe concettuali che di un quartiere, talvolta di un’intera città, autoctoni e immigrati spesso continuano a immaginare. Per far ciò la mediazione deve partire proprio dal quartiere, verso una politica della convivenza sociale e culturale che parta dalla cogestione del territorio urbano tra le diverse componenti, attraverso una forte integrazione dei servizi sociali con il sistema territoriale. Fare degli spazi contestati, dei confini di quartiere, dei punti di contatto, delle soglie, dei luoghi di passaggio tra mondi diversi. E’ necessario prevedere una serie di pratiche e strategie perché l’appartenenza sia capace di farsi multipla senza per questo significare abbandono delle origini e perché il territorio contestato delle città possa divenire sempre di più spazio condiviso e con-deciso. “Questa forte attenzione a rivalutare lo spazio come categoria fondamentale dell’analisi delle dinamiche sociali, specie di quelli attinenti lo scambio tra gruppi di origine culturale distinta all’interno dei contesti urbani (Zanfrini, 1998) permette di individuare, nuove pratiche di intervento e mediazione capaci di modificare in profondità la gestione degli spazi urbani condivisi da più gruppi e che fanno da sfondo quotidiano all’incontro/scontro tra ‘autoctoni’ e ‘stranieri’. 4. Dal punto di vista pubblico c’è una Responsabilità sul territorio. Tornando ad esercitare una responsabilità sul territorio il territorio diventa uno spazio per la comunità. Il territorio abbandonato non è uno spazio per la comunità, ma per qualcos’altro. Qualificazione urbana: ogni amministrazione dovrebbe farsi carico di dare dignità a tutti gli uomini. Spesso sappiamo che gli immigrati vivono in case che non hanno il requisito della dignità: prive di riscaldamento, sovraffollate, senza servizi, vittime di guadagni economici dei proprietari. I comuni dovrebbero verificare la regolarità dei domicili e delle residenze “È compito delle autorità pubbliche organizzare la vita civica e lo spazio urbano in modo da moltiplicare le possibilità di dialogo, nel rispetto della libertà di espressione e dei principi democratici. Gli spazi fisici e l’ambiente costruito sono elementi strategici della vita sociale. L’ideazione e la gestione dei luoghi pubblici, come i parchi, i giardini pubblici, gli aeroporti e le stazioni, devono essere considerate con particolare attenzione. Gli urbanisti sono incoraggiati a creare “città aperte”, che prevedano spazi pubblici sufficienti per incontrarsi. Questi spazi che, in teoria, dovrebbero essere concepiti con uno spirito di apertura e, dunque, con una prospettiva di utilizzazioni multiple, possono contribuire a creare una percezione civica comune dello spazio e un impegno interculturale” (Libro bianco) Si vuole sottolineare anche l’idea della comunità responsabile: un’idea di responsabilità sociale di ognuno. Spesso facciamo una grande fatica continuando a pensare e parlare di “una comunità” o di “un’altra comunità”, piuttosto che recuperare il concetto che è una la comunità all’interno della quale c’è fatica nel parlarsi, capirsi e comunicare. 5. La Paura Quando le persone sono indisponibili è perché c’è una situazione di disagio, di sofferenza e di fatica. Noi viviamo in una realtà dove la presenza della diversità, genera spesso paura, timore, con conseguenti atteggiamenti di chiusura e di difesa del proprio territorio, si rivendica un danno subito… Per poter affrontare questo riteniamo lo strumento è il dialogo, cioè dare la possibilità alle persone di comunicare. 5 La paura è una autostrada che viene percorsa ad occhi chiusi ed è principalmente una risposta alla percezione di rischio e di pericolo che non ammette le scale del grigio; essa piega a sé il pensiero e le convinzioni. Per poterla affrontare è opportuno provare a deviare il traffico, istituire delle uscite attraenti lungo l'autostrada, permettere delle pause. Ecco perchè il dialogo non può rimanere solo uno strumento del parlarsi, occorre che si trasformi in azione che va dentro le realtà degli spazi pubblici, le attività di incontro e di lavoro, il commercio…tutte le situazioni che possono permettere questo. Pensare a dei passi, a dei passaggi, dei processi in divenire. Il processo ha bisogno di stazioni ...non di soluzioni in quanto le stazioni rallentano la velocità e permettono di osservare meglio i dintorni e quindi di cogliere i fenomeni nella loro dimensione reale e non fantasmatica. Se poi lungo i percorsi vengono utilizzati delle pillole che favoriscono un cambiamento delle convinzioni e dei pregiudizi ecco che azioni e informazioni possono diventare sinergiche. 6. Il Conflitto Il conflitto è sempre visto nell’aspetto che procura tensione. E la prima risposta a questo è evitare questo tipo di tensione. Le risposte sono risposte di evitamento: mi allontano, mi chiudo, mi isolo, non parlo, non dialogo. Rivalutare il conflitto come sorgente di crescita è importante. Molti possono essere gli ambiti, gli approcci e i temi trattati ma la centralità del messaggio e quella di trasformare l’idea che il conflitto sia necessariamente qualcosa di negativo da reprimere o a cui reagire in modo violento. Al contrario il conflitto, attraverso una gestione costruttiva e mediativa, può divenire uno strumento di cambiamento di una società per molti insoddisfacente e non funzionale per la crescita delle persone e il loro benessere nella vita sociale Se avviene il confronto diventa fonte di arricchimento, è solo attraverso il conflitto delle diversità possono nascere cose nuove. Le cose nuove non nascono mai dalla concordanza delle diversità, ammesso che le diversità possono concordarsi. Per affrontare il tema del conflitto abbiamo bisogno di trovare spazi, luoghi, tempi e modalità che permettano di tenere dentro il conflitto piuttosto che tendere ad espellere un parte o l’altra. Pensare che le persone, ma anche i gruppi, le comunità possono dialogare, mettere al centro il dialogo permette di trasformare una fonte di difficoltà in soluzione utile a tutti. Il conflitto può essere colto nella sua dimensione di segnale della necessità di elaborare nuove risposte che possono essere condivise e fatte proprie da tutti gli attori coinvolti. Mediare i conflitti significa offrire la cornice, il quadro e regolare il flusso delle interazioni e delle comunicazioni garantendo l'equilibrio, lo scambio, la reciprocità e la simmetria mobile . Questi strumenti possono permettere un ricomposizione e/o un nuova composizione delle differenze e la proposta di soluzioni adatte all'interno delle macro-cornici di riferimento 6