Chiara Pozzan UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE CORSO DI LAUREA in Scienze Internazionali e Diplomatiche A.A. 2011-2012 Appunti delle lezioni di Filosofia della Politica prof.ssa Tonchia I LEZIONE venerdì 21/10/2011 TESTI OBBLIGATORI - Carl Schmitt – Le categorie del politico – Ed. Il Mulino - C. Bonvecchio (a cura di) – La filosofia del Signore degli Anelli – Mimesis - R. Astori, T. Tonchia – Al di là del tempo. Percorsi simbolici sull’eterno femminile Frequenza obbligatoria 80% TESTO PER NON FREQUENTANTI: uno a scelta tra: - Giulio Maria Chiodi – Simbolica politica I – Franco Angeli - C.G. Jung – Gli archetipi dell’inconscio collettivo – Bollati Boringhieri - C. Galli - Storia delle dottrine politiche - Mondadori - J.J. Crevauer – Storia del pensiero politico I, II, III (solo autori affrontati a lezione) – Laterza Indirizzo e-mail: [email protected] (non quella istituzionale) Recapito telefonico: 338 1027847 STRUTTURA CORSO Cos’è la filosofia politica? A che domanda risponde? Tende a costruire, a realizzare quella che è una società giusta, la società migliore, cerca di capire in che modo il potere si manifesta nella realtà politica e sociale (ad esempio il sovrano incarnava il potere temporale e sacrale). Attraverso la filosofia politica si impara ad essere sovrani di se stessi senza essere dominati. C’è un risvolto pubblico (filosofia politica) e un risvolto privato (filosofia sociale). Bisogna essere educati al potere, essere se stessi, non essere massa ma avere identità. Concetto di politico, di ordine, di giustizia, di guerra affrontati attraverso un percorso razionale ed un percorso simbolico. Impareremo a giocare con i concetti, analizzeremo anche quadri, immagini ecc. Dobbiamo abituarci a usare degli strumenti di analisi diversi dal solito. • Es.: Litografia di Escher: a seconda di chi la vede evidenzia l’angelo o il diavolo → è relativa (relativismo simbolico). Concilia l’immagine reale e quella immaginaria, coniuga il mondo razionale e quello fantastico. E’ un anello che riesce a congiungere il finito (concreto, tangibile) con l’infinito. Ciò succede anche con le note musicali. La Ragione è divinizzata dall’uomo, è percepita come assoluta dall’essere umano, ma in realtà ci sono altri modi del conoscere. Inizia ad essere destrutturata grazie alla tecnologia, soprattutto da internet, che utilizza tantissimo le immagini, fornisce delle forme di comprensione della realtà diverse. Le immagini e internet, che potrebbe essere visto come una sorta di nuova magia in quanto abolisce lo spazio e il tempo, portano dentro di sé un mondo completamente diverso da quello che in realtà uno pensa di utilizzare. Nel mondo moderno riaffiorano attraverso il simbolismo i miti arcaici: la ragione ha abolito il legame con il sacro e il simbolico, ma nella realtà l’opposto sale alla superficie prima o poi, lentamente ma a volte anche in maniera invadente (legge dell’enantiodromia di Eraclito). Cogito ergo sum = con il mio pensiero creo le cose materiali, pensandole evidenzio la loro esistenza, “io creo e distruggo la materia”. I miti che emergono nel nostro mondo sono quelli del successo, della bellezza, dell’immortalità (che nel mito originale apparteneva agli eroi, agli dei, personaggi che ora sono venuti a mancare, così come l’idea di giustizia). Li ritroviamo nei film, nei cartoni animati, nelle pubblicità, sono immagini che compensano la nostra mancanza di eroicità. L’eroe ha mille volti, essere eroe non significa corrispondere esattamente ad un modello prestabilito, l’eroe può essere Frodo ma anche Gandalf, Aragorn, Sam… I miti permangono, seppur mimetizzati, nella nostra realtà “civilizzata” e moderna. • Es. il mito dell’apocalisse differenzia tra chi è in grado di salvarsi e chi non può (21/12/2012): in realtà il 21 tradizionalmente simboleggia il rinnovamento, la rinascita. Dal 21 ci sono 12 giorni di festeggiamenti per il passaggio dalle tenebre alla luce, che rappresentano i 12 mesi dell’anno. Ragioniamo per certezze che non mettiamo mai in dubbio, invece attraverso il mito emerge un elemento metastorico e trascendente; attraverso il mito si ricerca un significato, un senso alla vita e alla realtà e si cerca di partecipare a questa realtà pregna di significato. • Es. da piccole le bambine fantasticano e si immedesimano in un personaggio maschile. Razionalità Simbolica Hegel: “tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale” Realtà = ragione La ragione si fonda su se stessa, la razionalità è autoreferenziale: ha regole date per certe. Es. la geometria euclidea presuppone l’esistenza di una retta e di un piano (presupposti indimostrabili senza i quali quel tipo di geometria non esisterebbe). Sono semplicemente convenzioni. Es. Dio esiste perché io essere finito penso che esista qualcosa di eternamente grande e infinito, anche se non l’ho mai visto e non lo posso provare. Solo il fatto che io lo pensi lo rende “reale”. Es. teoremi di incompletezza di Gödel: utilizza lo stesso procedimento di Euclide sui numeri. Ci sono dei principi che sono indecidibili, non possono essere dedotti da niente, non possono essere dimostrati ma è da lì che dobbiamo muoverci. Es. Paradosso del mentitore: “Tutti i cretesi dicono il falso” (Epimenide di Creta). Essendo egli medesimo fra questi, anch'egli sarebbe dovuto conseguentemente essere bugiardo e perciò l'affermazione sarebbe dovuta essere falsa poiché proveniente da un bugiardo. Ma se così non fosse stato, se cioè Epimenide fosse stato un cretese che, almeno in questa occasione, non diceva il falso, l'affermazione sarebbe risultata ugualmente falsa poiché non tutti i cretesi erano bugiardi. → evidenzia l’autoreferenzialità dell’assurdo. Jung: “tutto ciò che è magico è reale, tutto ciò che è reale è magico”. Alla ragione sostituiamo la magia, l’inconscio. Attraverso la trigonometria magica sostituiamo il pensiero logico con quello simbolico. La realtà dipende dalla magia, da un mondo misterico. La fantasia non è fantasticheria, è immaginazione, ci porta al di là del tempo e dello spazio, in un mondo che non condivide gli assiomi del mondo razionale, che non è necessariamente giusto, è solo diverso. Es. Il mondo del Signore degli Anelli. Tolkien, attraverso la sua immaginazione ha inventato un mondo denso di significato trovando anche, se vogliamo, il mondo originale. E’ un mondo legato all’immaginale (intermediario tra il mondo sensoriale e il mondo intelligibile), non all’immaginario (irreale, inesistente), a metà tra quello spirituale e quello materiale, tra forme sensibili e intelligibili. La simbolica legge l’uomo come un uomo simbolico tripartito (corpo-anima-spirito); Questa ripartizione è stata effettuata anche dal pensiero gnostico, che individua res psichica, corporea e pneumatica (né corporea né incorporea) → lo Pneuma è l’anima divina presente in ognuno di noi, il Pensiero rappresenta la componente psichica dell’essere umano, lo Spirito Corporeo e il Corpo infine non sono altro che la componente ilica dell’uomo; oppure da Platone (anima razionale, scibile e concupiscibile). Attraverso l’immaginazione riusciamo a collocarci sia nel mondo delle idee sia nel mondo sensibile, terrestre. Tutto ciò ci permette di avere una “visione stereoscopica della realtà” (Jung) → stereoscopia = tecnica di realizzazione e visione di immagini, disegni, fotografie e filmati, finalizzata a trasmettere una illusione di tridimensionalità; riusciamo ad utilizzare il sentiero simbolico accanto a quello razionale, possiamo passare da un piano all’altro. Creazione del mondo, mito cosmogonico: - Visione scientifica: Big Bang - Mondo simbolico-mitologico: essere supremo, uovo, serpente, uccello, magna mater “L’immaginazione è più importante della conoscenza: la conoscenza è limitata, l’immaginazione abbraccia tutto il mondo” – Albert Einstein DOTTRINA GNOSTICA Il mito di Sophia All'inizio c'era la Profondità (in greco Bythos Pleroma), la Pienezza dell'Essere, il Primo Padre, la Monade, l'Uomo, la Prima Fonte, il Dio sconosciuto. Questo qualcosa di indefinibile ed infinito, non era un Essere personale, ma qualcosa di insondabile, di inconoscibile, spiritualità pura. Da questa fonte di ogni essere emanarono un certo numero di puri esseri di spirito, gli Eoni. Questi Eoni appartengono al mondo puramente ideale, noumenale, inintelligibile. Insieme con la fonte che li ha emanati formano il Pleroma. La transizione dall'immateriale al materiale, dal noumenale al fenomenale è provocata da un difetto, o una passione, o un peccato, in uno degli Eoni. Secondo alcuni è la passione dell'Eone femminile Sophia o Achamoth, la saggezza: Sophia sembra rappresentare il principio femminile supremo, generalmente lei è he Prouneikos, "la Lussuriosa", una volta dea verginale, ora, a causa della sua caduta dalla purezza originale è l'originatrice di questo mondo materiale e peccaminoso. Sophia è la più giovane dei ventotto eoni; osservando la moltitudine degli eoni e bramando il potere di generarli, tornò nella profondità del Padre e cercò di emularlo producendo discendenti senza rapporti sessuali con il suo eone partner, Cristo, ma produsse solamente un aborto, una sostanza amorfa: il Demiurgo, o mezzo-creatore (Yalda Baoth o Hebdomad), una creatura che non sarebbe mai dovuta esistere, e per questo fu espulsa dal Pleroma. Questa creatura non appartiene al Pleroma, ma contiene dentro di se la scintilla divina propria della madre che lo lega ad esso. Il mostro creò tutto il mondo materiale che venne separato attraverso un velo (o sipario) dal Pleroma, ma Sophia, scacciata e mandata sulla terra, riuscì ad infondere nella materia la sua scintilla divina (pneuma), salvando così il creato e l'umanità dal Demiurgo. Cristo prese poi la forma della creatura umana Gesù in modo da poter insegnare agli uomini la via per raggiungere la gnosi, ovvero risvegliare la loro scintilla divina (che tutti possiedono ma non sanno di avere, non conoscendo le proprie origini) e dunque, ritornare al pleroma. Sophia, quindi, cercò di conoscere l'Inconoscibile e di comprendere la sua grandezza. Secondo queste idee, quindi, la materia è il frutto del peccato di Sophia, che, dopo un iter di pentimenti, pianti e preghiere al padre torna e riprende le sue fattezze e la sua spiritualità. L'ultima fase di ogni Gnosis è sempre metanoia, pentimento, annullamento del peccato dell'esistenza materiale ed il ritorno al Pleroma. Figura di Maria Maddalena Nel pensiero cristiano c’è una sorta di contraddizione nei suoi confronti: da un lato è descritta dai vangeli come peccatrice, prostituta, dall’altro accompagna Gesù sulla croce, vede per prima Gesù risorto. Secondo la tradizione gnostica Maria Maddalena simboleggia la Conoscenza (gnosi), e rappresenta dunque la incarnazione umana di Sophia e come tale, la Sposa e la Sacerdotessa di Cristo. All’interno del pensiero gnostico Maria Maddalena è la guida affinchè gli uomini scoprano la scintilla divina e possano affrontare il percorso di risalita superando diverse prove per ascendere dal regno delle tenebre a quello della luce. Maria Maddalena è l’unica in grado di comprendere esattamente il messaggio di Gesù, è l’interprete del logos divino. Questa caratteristica la ritroviamo nella figura mitologica della Sibilla, la voce del dio Apollo. → Rivalutazione che del femminile ha il mondo intero. SIMBOLO Deriva dal greco σύµβολον, che significa unire, collegare, mettere in relazione. Da un punto di vista arcaico e materiale il simbolo comportava separare le due parti di un tutto che dovevano essere riunite. Dal punto di vista terminologico può essere compreso in chiave di parzialità (eredità naturalistica propria di popoli primitivi) ma anche in chiave di totalità. Se parziale diventa un mero segno, perde la caratteristica di essere ponte tra due realtà. Ad es. i numeri sono simboli letti in chiave di parzialità, il π rimanda ad una realtà materiale, ha un valore indicativo e convenzionale. Il simbolo come segno rimanda al mondo fisico, sensibile, dà solo la percezione di quello che è la cosa in sé, e non il contenuto. • Es. anello = segno d’amore. (L’amore può manifestarsi nel dono di qualsiasi altro oggetto materiale) Nel segno c’è una disgiunzione tra significante e significato, nel simbolo invece no. Attraverso il simbolo c’è unione tra oggetto e soggetto, il simbolo fa comprendere il contenuto. • Es. bandiera = simbolo di identità nazionale. La bandiera è il significante, la nazione è il significato. Se diventa segno la bandiera è semplicemente un pezzo di stoffa. • Es. croce = simbolo complesso, è il significante che nella simbologia cristiana rinvia alla passione di cristo (significato) ma può essere vista anche come asse del mondo: la verticalità indica la tensione verso il cielo, l’orizzontalità rappresenta il legame con la terra→ ha una sua materialità. E’ un simbolo in tantissime culture: egizi, atzechi, maya… Una croce che è solo un segno può essere quella della farmacia, di un segnale stradale ecc. ARCHETIPO Gli archetipi sono delle immagini primordiali presenti nell’inconscio collettivo. Possono essere assimilati alle idee platoniche, le quali risiedono in un mondo diverso dal nostro e sono delle forme che si manifestano nella realtà in maniera variegata, sono universali e si particolarizzano nella realtà. • Es. l’idea di albero si particolarizza, si manifesta, si rende visibile nella forma di un abete, una quercia, un platano I simboli non risiedono in un mondo diverso, semplicemente ne attingono e rendono visibile l’archetipo. L’archetipo è un grande contenitore che si rende visibile attraverso i simboli, sia in maniera individuale che collettiva, anche se non sempre noi abbiamo la prontezza di coglierlo. Il sogno meglio riesce ad esprimere i contenuti inconsci (codificati o rimossi) presenti nella psiche dell’essere umano. Ogni uomo possiede la psiche, che si suddivide in una parte conscia e razionale e in una parte inconscia. La parte inconscia è divisa in inconscio personale e collettivo. Quest’ultimo è comune a tutti gli uomini, è una sorta di dna psichico. La dimostrazione di questa ripartizione è stata fatta da Jung attraverso un sogno (il sogno indebolisce l’esistenza della ragione e della coscienza): nel sogno entra in una casa ordinata, accogliente; apre una porta e scende le scale ritrovandosi in una cantina, nella quale non si sente più così a suo agio. La cantina risulta essere l’inconscio personale. Continuando la perlustrazione trova un’altra scala che lo porta ancora più in basso, in un luogo buio, tutto in pietra. Le fondamenta della casa hanno qualcosa di arcaico, di antico, che lo porta quasi in un’altra realtà→ è l’inconscio collettivo, dove risiedono gli archetipi. La simbologia attiva in noi un modo di conoscere differente da quello che possiamo avere con la ragione. • Es. corona = potere, sovranità. Il collegamento mentale avviene subito, questo tipo di conoscenza non ha filtri, la codificazione è semplice e immediata. L’archetipo non può essere in toto reso visibile, non è così facile codificarlo, non si esaurisce nel simbolo. • Es. archetipo del femminile: viene suddiviso nell’archetipo della grande madre (vaso), della madre buona (fata) e della madre terribile (Circe). II LEZIONE venerdì 28/10/2011 Appunti di Chiara Pozzan Mondo ancestrale, primigenio, dell’indifferenziato. Nel termine tedesco è riunita la parte concreta con quella ancestrale. Attraverso la dimensione simbolica ci troviamo ad approcciarci con un tipo di conoscenza diversa, con uno strumento di conoscenza autonomo. ARCHETIPO E FIABE Il simbolo ha una funzione esistenziale, attraverso di esso è possibile mettere a contatto diversi ambiti della realtà. • Es. l’acqua rappresenta simbolicamente il concetto di divenire, è femminilità, rinascita, immortalità, purificazione. Rapporto archetipo-simbolo = l’archetipo è come un raggio di luce che passa attraverso il prisma. Nel momento in cui l’archetipo si rende visibile attraverso il simbolo si manifesta in varie forme simboliche. Non può mai essere comprensibile nella sua totalità. Appare nelle sue forme più pure, in maniera immediata nelle fiabe. La fiaba è un racconto, la sua caratteristica principale è quella di essere narrata, raccontata a voce. Tradizionalmente è soggetta a restrizioni, è raccontata in certi momenti della giornata (es. in Africa le fiabe non potevano essere raccontate la mattina altrimenti si rischiava la perdita dei capelli, secondo altre tradizioni invece vanno narrate durante il periodo del raccolto). Vengono solitamente narrate di notte, chiudendo bene le finestre. Hanno dei tratti comuni tra di loro che possono cambiare a causa dell’ambientazione ma rimangono tali nel senso e nel percorso. Lo scopo della fiaba è rendere manifesti in maniera più pura gli archetipi. C’è un messaggio che viene dato che deve essere codificato non razionalmente ma attraverso l’intuito. La fiaba cerca di rivelare, svelare quello che è il sé attraverso un mondo straordinario (Tolkien). IL SE Il sé è l’archetipo che richiama alla totalità, alla perfezione dentro ognuno di noi. C’è un aspetto individuale ed uno collettivo legato all’archetipo del sé. Senza la riconciliazione degli opposti non si giunge al sé (nel Signore degli Anelli ognuno fa un viaggio per diventare eroe ma alla fine è col gruppo che si affrontano altre imprese per giungere alla perfezione raggiungibile solo nella comunità). Il Sè è il centro della personalità che però dobbiamo raggiungere e non ci è dato e non è possibile forse mantenerlo. Lo si raggiunge solo in forma dinamica altrimenti sarebbe sclerotizzato, anche l’individuo nel corso della sua vita cambia. È spesso rappresentato nell’androgino, che simboleggia coincidenza e superamento. Le fiabe aiutano il processo di individuazione, di percorso psicologico dell’individuo. Originariamente maschio e femmina coincidevano ma poi si sono differenziati. Il processo di individuazione consiste nel fare il percorso partendo dall’individuo - verso l’esteriorità: implica definire quello che è l’Io. La percezione di se stesso è l’immagine che ogni io dà al suo etimo, ed è diversa dall’immagine che gli altri hanno di noi, che può o meno rispecchiare l’Io. C’è il rischio di diventare massa incapace di conoscere se stessi e gli altri. La persona è l’ambasciatore dell’io, una sorta di maschera, non deve essere soggiogata dai rigidi criteri di un determinato ambiente o società. - verso l’interiorità: per avvicinarsi al sé bisogna avvicinarsi all’archetipo nell’ombra. Si tratta di un processo interiore attivato dal Sè che si manifesta in situazioni sgradevoli, difficili: l’Io viene chiamato a seguire questo processo eroico da determinati ostacoli che spesso tende a rimuovere, perché si tratta di qualcosa che l’Io non capisce e trasferisce verso l’esterno (vd. usignolo e re malato, disagio rappresentato da un regno che diventa sempre più scuro, malato -Tolkien-). L’ombra è il primo archetipo che l’Io incontra tuffandosi verso l’inconscio, è il lato oscuro ed interiore, è composta da tutte le esperienze ed elementi che riteniamo essere negativi e abbiamo rimosso fin da piccoli. Contiene anche il rimosso del femminile o del maschile. Per raggiungere il Sè oltre ad affrontare l’ombra deve incontrare anche la sua parte controsessuale. L’anello è l’ombra di Frodo. È formata da più elementi negativi. Se questo non accade, se non la si mangia è lei ad inghiottire il soggetto fino a prendere il posto dell’Io. (Vd Andersen “Ombra”). Deve far scattare il desiderio di conoscenza integrale dell’Io. Anche nel nazismo: ombra che avviluppa il popolo nel momento in cui non viene messa a posto, inserita in un ordine. ANIMA E ANIMUS Altri due archetipi sono quelli dell’anima e dell’animus che sono gli aspetti controssessuali della psiche di ciascun individuo. Quando una nasce donna è presente l’animus e viceversa. Devono esser parimenti integrati nel Sè, devono diventare coscienti. I due archetipi devono essere integrati. Hanno funzione compensativa anche nei confronti della persona. Fanno da guida tra inconscio e conscio. L’anima è animata dal principio eros, l’animus dal logos. Entrambi si manifestano nella psiche e all’esterno poichè proiettiamo l’archetipo su un’altra persona: madre (anima) e padre (animus). Quattro sono i passaggi con cui questi archetipi si manifestano nella nostra psiche con momenti di maturazione anche fisica. • Anima: rappresentata da 4 figure: - Eva: principio erotico, del desiderio, anche sentimentale. - Elena di Troia: legame con erotismo e sessualità anche se un po’ idealizzato. - Vergine Maria: eros spiritualizzato, non c’è legame con la carne, l’eros è il figlio divino. - Sofia: saggezza, sapienza non delle cose spicciole ma sublimata della spiritualità, rintracciata anche nella Sophia gnostica come ultimo stadio dell’anima, identificata anche con figura umana dell’energia femminile = magna mater -Jung-, (madre buona, grande madre, madre terribile elemento triadico-). È un viaggio che possiamo rintracciare anche nel Faust di Goethe. La Sofia può essere rintracciata anche nella Beatrice di Dante. • Animus: - si manifesta a livello più basso nell’uomo muscoloso, virile - in seguito nell’uomo d’azione - al terzo stadio nell’uomo intellettuale attraverso la parole (sacerdote o professore) - al quarto stadio individuiamo il logos spiritualizzato, rintracciabile nel sacerdote come colui che dà il sostegno spirituale più alto = figura umana del vecchio saggio = Gandalf, anche veggente. Sibilla non ha accettato il dio Apollo e pertanto è stata condannata a fare vaticini non comprensibili e ridotta a voce, logos attraverso cui si manifesta l’animus, il logos divino è più alto come animus. III LEZIONE venerdì 11/11/2011 Appunti di Chiara Pozzan IL MITO Il simbolo viene rappresentato all’interno del mito, che contiene delle immagini simboliche. Il mito evoca qualcosa di distante, immortale, straordinario (al di là della realtà che siamo abituati a vivere), stimola la facoltà dell’immaginazione. Mito = luogo che richiama le prime esperienze della ragione ma rinvia anche a quelle strutture primordiali proprie di un mondo a-razionale, legato all’immaginazione, alla fantasia “creatrice”. Mito significa racconto, a volte viene definito anche favola. In realtà etimologicamente significa “parola”. - Parola come logos = dare ordine. E’ un principio attivo che da’ ordine alla realtà e la determina nelle sue manifestazioni specifiche. Logos coincide con quella parola ordinante che è parola di ragione, legata al ragionamento logico-razionale. E’ legata alla sfera del sacro in quanto ordina cose, persone e natura in un mondo da lei ordinato. - Parola come mito = parola che da’ notizia del reale. Stabilisce come una realtà è venuta ad essere, risulta essere evidente, esistente. Porta alla conoscenza della verità: attraverso il mito troviamo la realtà come vera, come carica di veridicità. Scaturisce in fondo ad una dimensione sacra. Rimanda all’essere stesso dell’uomo, ad una dimensione ontologica che rinvia ad una realtà originaria che viene a coincidere con il mondo delle origini, perfetto, incontaminato, sacro. Il mito è a cavallo tra il logos e il mondo dell’irrazionalità e del caos. Attraverso la comprensione del mito ogni individuo è capace di comprendere come la realtà è venuta ad esistere. Il mito, attraverso il simbolo, risulta essere uno strumento conoscitivo che collega una conoscenza razionale ad una sentimentale. Prima si vive il mito, poi lo si codifica. Il mito è polissemico, polimorfo e polivalente: non può essere ridotto ad una dimensione unica e razionale. È un “problema” che non è possibile risolvere con i soli strumenti della ragione. È legato alla condizione infantile dell’uomo, età caratterizzata dal fatto che l’uomo viveva in una situazione simpatetica con il mondo, la materia si materializzava come lo spirito, c’era una partecipazione mistica dell’uomo con il tutto, con il cosmo, il quale veniva rispecchiato all’interno delle piccole comunità. C’è una specie di osmosi dell’uomo con il resto della realtà. All’interno di queste comunità il totem rappresentava il protettore nonché l’antico antenato che aveva fondato la comunità stessa. (es. orso → analogia dei positivisti tra la società primitive e i bambini piccoli, che hanno il loro totem nell’orsetto di peluche, che simboleggia amicizia e protezione -Freud-.). Relegando il mito in questa fase preconscia dell’umanità diviene qualcosa di non scientifico, non moderno e non razionale: è identificato con una sorta di narrazione letteraria, invenzione, finzione, fantasia, come se attraverso di esso si portassero in risalto delle tensioni psicologiche sia individuali che collettive. Il mito viene a coincidere anche con tutto ciò che è antico, antiquato. Diventa una sorta di doxa (opinione) e pertanto da non prendere in considerazione in quanto altamente soggettiva. Secondo un’altra interpretazione nel mito è presente sia una struttura quaternaria (di tipo maschile) che una ternaria (di tipo femminile). Di conseguenza il mito è caratterizzato dalla coincidenza degli opposti. Il mito riesce a coniugare il ragionamento razionale con quello emozionale-intuitivo. Il mito è sì un racconto, ma un racconto fondante, di creazione, del mondo delle origini. È un principio a cui è necessario far riferimento per comprendere sia la realtà nella sua totalità sia le determinazioni di questa realtà. A differenza della fiaba, che riesce ad evidenziare in maniera immediata le strutture archetipiche della psiche, il mito risulta essere contaminato dalle culture in cui viene ad essere creato. Sebbene varchi il tempo e lo spazio risulta essere connotato al presente e allo spazio geografico in cui si manifesta. Questi racconti fondanti ci riportano al mondo delle origini, ad un mondo preconscio (Jung) in cui il pensiero e di conseguenza il comportamento degli esseri umani emergono spontaneamente, non c’è ancora stata la separazione tra mondo inconscio e mondo conscio. L’uomo primitivo è dominato dall’inconscio, non ha nemmeno la necessità di codificare la motivazione di determinati comportamenti. Il mito è qualcosa che porta all’esistenza ed è quindi legato ad un atto di creazione: la creazione porta all’esistenza di qualcosa o di qualcuno. Il mito, oltre a creare attraverso il racconto, da’ a ciò che crea una dimensione ulteriore, un valore aggiunto. Es. Il mito cosmogonico narra la creazione del cosmo, e ci dice che di conseguenza il cosmo esiste. Es. Grazie al mito di fondazione della città lo spazio della città diventa sacro perché è stato determinato in modo rituale. Comportamento rituale dei nativi americani pellerossa: gli uomini si siedono incrociando le gambe, le donne tenendo le gambe di lato. Deriva dall’azione dei primi esseri sovrannaturali, degli dei (Donna Cangiante e Uccisore di Mostri) che in origine si comportavano così. Il mito quindi ci da’ dei modelli di comportamento, da’ ordine alla realtà stessa e noi consciamente o inconsciamente ne siamo condizionati. Individualmente i miti sopravvivono nella continua ricerca di essere eroe, una persona speciale, straordinaria, capace di affrontare le proprie paure e il mondo; in maniera collettiva il mito è rintracciabile nei riti: - es. Pasqua → festa comune in tutto il globo, festa di fertilità e rigenerazione. L’uovo simbolicamente è il mondo rigenerato, il tutto e la parte, implica una nascita ma anche una rinascita. Il coniglio è un animale lunare, legato all’archetipo del femminile, ed è anch’esso legato alla rinascita. Sono oggetti che mantengono una dimensione simbolica al loro interno e noi spesso non siamo in grado di codificarli. - Es. Natale → la nascita del fanciullo divino, che coincide con la figura del salvatore, è legata al mito di Osiride, riportato in vita da Iside. Il mito come strumento di comprensione della realtà è stato utilizzato abbondantemente da Platone, sebbene attraverso una diversa interpretazione: mito della caverna, mito dell’auriga, mito di Er, mito del Demiurgo (che plasma la materia per creare il mondo in cui viviamo), mito dell’anello di Gige (dimostra la differenza tra l’uomo che si sente giusto e l’uomo che è giusto) → analogia con il Signore degli Anelli. IL MITO POLITICO Il mito perde la sua caratteristica immortale ed extra-storica nel momento in cui viene ideologizzato e strumentalizzato. La funzione del mito politico è quella di aggregazione degli individui all’interno di una comunità. Il centro è il principio ordinatore attraverso il quale la comunità (NB: non la società) si da’ dei principi, dei valori. Il mito aggrega le parti che sono ad esso subordinate, dando un’identità, una coesione alla comunità. Il cerchio rappresenta il sole, che attrae, trattiene, da’ un senso. Il simbolismo del centro può manifestarsi anche attraverso altre rappresentazioni: mulino, svastica, ruota → tutti danno l’idea di perfezione e di finalità aggregativa. Il mito politico serve ad evidenziare un’unità che è anche totalità: dal centro tutto prende senso e significato e viceversa. Il mito politico richiama da un lato il regno dei tempi felici, un regno perfetto che si auspica possa realizzarsi nel nostro mondo. Possiamo rintracciare 3 miti politici: - Mito cristiano medievale dell’imperatore divino Si narra che il sacro romano imperatore Federico II, al termine della crociata vittoriosa a Gerusalemme, abbia portato sul monte Golgota (congiunzione tra cielo, terra e mondo infero) il suo scudo, il segno del comando → si compie la reintegrazione dell’uomo nel cosmo. Valore escatologico del mito: salvezza individuale e collettiva. L’imperatore divino non muore mai o si tratta di una morte simbolica: sta dormendo e sarà in grado di tornare nel nostro mondo (risveglio-rinascita) per redimerlo, salvarlo e portare l’armonia cosmica. È un dio in cui si realizza la Giustizia. Figure di Carlo Magno, Federico II, Barbarossa, Artù… - Mito moderno del marxismo-comunismo secondo cui il proletariato unito riporterà l’uomo nella sua dimensione originaria togliendogli quella condizione inumana di schiavitù e alienazione in cui si trova, in cui tutti i mezzi di produzione sono monopolio della classe capitalistica. Marx si basa su leggi scientifiche, su ipotesi che si realizzeranno obbligatoriamente: manca l’anelito nei confronti della trascendenza, risulta materializzato. - Mito moderno del III Reich. Si basa sulla razza come mito di purificazione e salvezza dell’umanità. L’antagonista (ebrei, omosessuali, zingari) incarna in sé l’elemento negativo da estirpare per poter rigenerare il mondo. Dalla Germania il centro si sarebbe irradiato fino a comprendere tutto il globo. Mito dell’ebreo errante destinato a vagare per il mondo come punizione per non essere andato a portare i suoi omaggi a cristo. L’ebreo come contro-tipo è utile per costruire l’immagine dell’uomo nuovo, che deve risorgere. Mondo contemporaneo: secondo Jung la guerra potrebbe essere utile per raggiungere una nuova dimensione di convivenza pacifica. Pace che si realizza attraverso lo stato mondiale (simile all’impero, alla piena sovranità), il quale potrebbe essere una soluzione al problema della macchina statale, che anche se ci da’ protezione ci divora e ci annichilisce. Movimenti new age: avvento dell’età dell’oro, culto della terra (si avvicinano ai movimenti ecologisti), scoperta della scintilla divina all’interno di ognuno per combattere l’omologazione. ------------------------------------------------ASSISTENTE-----------------------------------------------------I SIMBOLI POLITICI Analisi della raccolta di saggi Miti e simboli politici di Manuel Garcìa Pelayo. Simbolo = fenomeno sensibile portatore di senso grazie al quale si comprende la realtà. Pelayo vuole capire quali sono i simboli politici rappresentativi. Da dove nasce la ricerca? - I simboli sono strumenti di integrazione: ogni unità politica (stato, partito, movimento) consiste in un processo di integrazione, ossia trasformazione in unità di potere, in grado di opporsi ad un’altra unità dello stesso tipo. L’antagonismo è un momento fondamentale della realtà politica, senza il riconoscimento del diverso, del nemico la politica sarebbe un semplice atto di amministrazione. Può avvenire per due strade: la via razionale avviene attraverso la vita giuridica pubblica, quella irrazionale attraverso i sentimenti, le emozioni. I simboli sono strumenti di integrazione che si sviluppano attraverso la via irrazionale. - Componenti del simbolo. Il simbolo è composto da una realtà materiale (oggetto sensibile o immagine) resa portatrice di un significato o di un insieme di significati. Pelayo distingue 4 momenti: 1) oggetto sensibile o immagine 2) significato o complesso di significati 3) riferimento simbolico (rapporto tra oggetto o immagine e significato) 4) disposizione simbolica adeguata da parte del ricevente (il soggetto che capta il riferimento simbolico può rispondere alla sua chiamata integratrice o antagonista) - Coincidenza oppositorum: il simbolo come unione di questi momenti è una coincidenza (ossia una coincidenza degli opposti), è una sintesi del sensibile con il materiale. Non ha una sola sfaccettatura, è qualcosa di globale che va ad investire i sensi e l’immaginazione e ha più dimensioni (es. bandiera) - Funzione del simbolo. Si parte dal presupposto che l’espressione scelta sia la migliore formulazione possibile per indicare uno stato di cose (che viene riconosciuto). Il simbolo crea una sorta di coincidenza tra gli individui e li fa convergere. Ha la funzione di comunicare qualcosa ma anche di promuovere il processo di integrazione. Lo scopo è quello di far conoscere determinati significati e trasformarli in azione. - (Totalità: combina elementi contrastanti) - Processo simbolico C'è una serie di passi attraverso i quali avviene la creazione del simbolo: 1) nascita della configurazione simbolica (es. scelta dei colori della bandiera). Scelta che può essere fatta in osservanza di criteri razionali o meno. 2) fase di recezione in cui il simbolo acquista autonomia rispetto al significato simbolizzato (il significato si stacca dall'oggetto) 3) fase di arricchimento in cui il simbolo acquisisce sempre una maggiore autonomia e si fa portatore di nuovi significati che continuano a promuovere la valenza comunitaria e di aggregazione. - Simbolo vigente o non vigente. Sono vigenti i simboli che hanno un’adeguata rappresentazione. - Simboli propri o antagonisti. Quelli che promuovono l’integrazione e quelli che suscitano indifferenza o antagonismo. I simboli sono ambivalenti a seconda del soggetto che li capta. Concetti prossimi al simbolo sono l’allegoria, il segno o segnale, il distintivo (indica l’appartenenza ad un gruppo ma non promuove la valenza integratrice), l’attributo. - Classificazione dei simboli Può essere fatta da diversi punti di vista: 1) in base all’oggetto utilizzato per la configurazione simbolica. Ci possono essere simboli: - corporei o tangibili (cose naturali come luoghi fisici oppure cose artificiali con valenza politica o meno) - linguistici (sigle e frasi rivolte all’emozione, che hanno significato non in sé ma per tutto quello che trasmettono) - fantastici (drago o aquila bicefala che non hanno corrispondenze nella realtà) - personali (il portatore è una persona fisica, es. il re che ha un corpo reale e uno immortale nel quale risiede la continuità della regalità e della sovranità. La dottrina dei 2 corpi del re ha derivazione teologica: corpo di cristo sia umano che divino → la morte del re è solo simbolica). 2) in base alla creazione: - simboli di nuova creazione (anche se alcuni si rifanno a simboli già esistenti, a contenuti simbolici già assimilati) - attribuzione di significati ad oggetti già esistenti (sede del parlamento, torri gemelle: l’immagine di quel luogo ha un significato molto più ampio del semplice luogo fisico, l’immagine attiva tutta una serie di ricordi, di sentimenti). - simboli restaurati (es. la ruota del sole orientale trasformata nella svastica, il tao con le due polarità dello yin e dello yang tramutato nella bandiera della Corea…) 3) simboli permanenti, occasionali o ricorrenti: - simboli permanenti: arco di tempo talmente vasto da essere onnipresente, sono riconosciuti anche al di fuori del luogo di appartenenza (es. croce cristiana) - simboli occasionali: nati per un motivo preciso in un contesto determinato al di fuori del quale non hanno senso, spesso però tendono a diventare permanenti (logo del McDonald’s, fotografia-simbolo della bambina colpita dalla bomba al napalm in Vietnam…) - simboli ricorrenti: presenti in culture diverse in contesti storici diversi (es. il sole aveva una valenza simbolica già nel paganesimo, acquista valenza politica all’interno dell’impero, assume un altro significato ancora nel cristianesimo, nelle utopie è associato alla città perfetta come immagine di giustizia e uguaglianza) Pelayo approfondisce indagando in maniera più pratica e concreta i simboli politici dominanti. Si rifà a due elementi altrettanto vasti ed importanti: luoghi e nomi biblici. - Luogo: non è semplice contenitore ma è significato, lo spazio non è solo estensione ma è considerato una manifestazione del sacro, della divinità, che da’ all’uomo un senso di integrazione con il mondo. Es. L’Egitto stesso è stato creato sulle rive del fiume sacro, Gerusalemme città posta da Jahvè, Roma città consacrata. L’uomo moderno non si può considerare slegato da questa simbologia, anche se in misura minore rispetto all’uomo antico. Figura del migrante alla ricerca di un nuovo centro, di un nuovo punto di riferimento. Che lo spazio sia qualcosa di sacro è evidente nei limiti del luogo sacro, ad es. del tempio, del cimitero, della chiesa. I luoghi non sono equivalenti. - Nome. Le parole ed i nomi hanno il potere simbolico di promuovere la funzione integratrice. La lotta per il potere spesso viene giocata sul piano della disputa per il corretto uso delle parole (es. origine del nome Roma). Altri esempi: i nomi di persone care assumono un significato particolare, il nome caesar diventa rappresentazione dell’imperatore, del potere terreno, della magnificenza. - Simboli e storia. La storia è il presupposto del vigore dei simboli, ci sono diverse epoche storiche all’interno delle quali la coscienza del simbolo è più o meno forte. Nell’antica Grecia si passa alla comprensione filosofico-razionale del mito: è più un racconto, non è un vissuto. Nel Medioevo sembra che diventi nuovamente predominante, la lotta stessa tra cristianesimo è impero si gioca molto sulla componente simbolica. La vita dell’uomo è sostanzialmente la vita del cristiano, viene scandita dai sacramenti. Ma anche sul piano politico la simbologia è fondamentale: vd cerimonia dell’incoronazione dove la politica si incontra con la dimensione spirituale. Dal XIII secolo in poi si inizia a razionalizzare il pensiero e a desacralizzare i simboli politici. È un processo continuo anche se ci sono dei momenti in cui la coscienza mitica sembra riaffiorare (vd Barocco). Il ricorso alla configurazione simbolica avviene quando è impossibile esprimere qualcosa di misterioso in altri termini, quando dobbiamo portare a termine un’impresa la cui realizzazione richiede la totalità delle forze umane (che può essere evocata solo dal simbolo) -Pelayo- oppure quando si intende fondare un nuovo ordine politico, che necessita di essere accompagnato da un nuovo simbolismo. Un’unità politica consolidata deve possedere un’unità di simboli in cui c’è un univoco riconoscimento. L’antagonismo politico si esprime attraverso una lotta di simboli e per i simboli. Durante una contestazione politica i simboli non possono essere superati con argomentazioni razionali, ma solo grazie ad un altro simbolo. La componente simbolica è sempre presente nel pensiero politico: è necessario che la teoria politica se ne occupi. Altro caso indagato da Pelayo: Contesa per il nome di Roma e suoi significati Cit. Franz Dölger: il concetto di Roma significa….regno ed impero, felicità e decadenza universale… Pelayo ricorda una serie di momenti storici in cui si sviluppa questa contesa: - 333 Costantino sposta la capitale imperiale a Costantinopoli (detta II Roma o nuova Roma). La nuova capitale viene fondata su 7 colli, uno viene chiamato Campidoglio, viene ricreata la stessa struttura topografica dell’antica Roma - ‘800 Carlo Magno → renovatio romani imperii - 1530 in Russia si fonda la dottrina di Mosca = terza Roma. Costantinopoli cade nel 1453 in mano ai turchi e rifacendosi alle teorie del monaco Filoteo si crea il nuovo mito dell’aquila che spicca il volo e si sposta a Mosca, quasi come se fosse necessario chiamarla Roma per costituire un nuovo impero. Anche Mosca viene costruita su 7 colli, l’imperatore viene chiamato zar (da caesar). La frase urbi et orbi significa che dove ha sede la città ha sede l’impero. Roma diventa un’entità sopra-storica. C’è inoltre la contesa di Roma tra papato e impero, anch’essa legata alla città e al nome di Roma, in cui vengono trasferiti i significati mitici e simbolici che avevano assunto nelle scritture le città di Babilonia e Gerusalemme. Ambivalenza: da una parte Roma città del diavolo, ricettacolo della caducità e malvagità umana e dall’altra Roma città eterna, spada che difendeva la cristianità fin dove si estendeva l’impero. La secolarizzazione riporta alla realtà terrena oggetti di matrice simbolico-religiosa. IV LEZIONE lunedì 14/11/2011 Appunti di Margherita Roiatti Nonostante si presuma che il mito sia scomparso, permane oggi in maniera trasformata, non potrà mai morire in quanto estensione dell’archetipo. Il mondo antico era legato ad un tempo ciclico: mito dell’eterno ritorno, percorso di nascita-morterinascita (il mondo si generava, moriva e rinasceva), legato all’archetipo del femminile. Nella nostra storia invece il tempo è di tipo lineare: la storia è lineare e nasce da Gesù Cristo proseguendo come una freccia. Il mito permane anche se sommerso, e c’è comunque necessità di rinnovamento di un mondo in crisi ed in decadenza. L’uomo cerca la rigenerazione con gli strumenti che gli sono propri, quindi anche il mito. Il diluvio universale richiama il mito di rinnovamento: azzeramento del mondo stesso da cui può partire un mondo nuovo e rigenerato. Questa necessità di rinnovamento e ricostruzione la ritroviamo nella ricerca del paradiso terrestre, di un mondo perfetto e totale. Millenarismo escatologico: dottrina cristiana già presente nel giudaismo. È la credenza nell'avvento di una nuova alleanza tra Dio e gli uomini, che si realizzerebbe in un reale rinnovamento di questo mondo. La salvezza si troverebbe nella trasformazione e nel miglioramento del mondo stesso. L’essere nuovo implica rinnovamento e rigenerazione: gli Stati Uniti e il New England erano visti come terra promessa e migliore. Il mito del paradiso terrestre è sopravvissuto anche ai nostri giorni: isole dei beati → isole mitiche, situate ai confini del mondo nell’oceano, secondo la tradizione sede del mondo perfetto, localizzate ad Oriente (= origine del mondo e della perfezione). Nel caso del nazismo l’archetipo che sembra essere uscito dall’inconscio collettivo è quello dell’imperatore-dio Votan, personaggio mitico raffigurato come serpente. L’isola è luogo di gestazione del mondo perfetto, migliore, era l’immagine del paradiso terrestre che anche nel momento in cui si riusciva ad approdarci rappresentava sempre e comunque la perfezione: proiezione dell’immaginazione del viandante-viaggiatore. Qualcosa di interiore che porta al rinnovamento. Topos del viaggio, distaccandosi dalle pseudo certezze che si hanno si arriva ad un luogo migliore che parte da dentro. Ricerca che porta ad una redenzione del soggetto e del mondo: nonostante la rinnegazione del mito del rinnovamento questo riemerge perché per ognuno e per la collettività è necessario darsi un centro. Cristoforo Colombo aveva trovato questo centro anche perché rinveniva le caratteristiche del paradiso terrestre (luogo in cui convergono 4 fiumi, simbolo di perfezione e rinnovamento). Il mito del paradiso richiama l’immagine della congiunzione degli opposti e del microcosmo con il macrocosmo. Ricerca come viaggio di iniziazione. L’età dell’oro è descritta da Platone nel Politico e la fa coincidere col tempo in cui era Crono a governare il mondo. Mondo degli elfi nel Signore degli Anelli. Il mondo perfetto con la secolarizzazione è stato privato del suo significato originale e ridotto ad una narrazione fantastica. Può essere trovato anche nello stato di natura di Rousseau. Lo rintracciamo in 2 o 3 immagini, tratte anche da famosi affreschi: ! Il regno di bengodi o paese di cuccagna: tutti vivono felici e contenti perchè tutti i desideri sono soddisfatti, la natura dona agli uomini tutto quello di cui hanno necessità, libertà sessuale sfrenata, albero con le salsicce, archetipo femminile → la natura va a deliziare come madre benigna i propri figli. Serpente che si morde la coda (= uroboro) → è un elemento di rinnovamento e simboleggia la partecipazione mistica dell’uno con il tutto che diventano la stessa cosa. Madre che accontenta le pulsioni dei figli ma allo stesso modo è un affetto stritolante e mortifero in caso di trasgressione. Regno che quindi non può essere perfetto, che dovrebbe essere caratterizzato dalla complexio oppositorum. La funzione del regno di cuccagna è quella di compensare un’epoca storica iper-razionalizzata e dello spirituale quindi maschile. Accanto all’immagine di delizia e soddisfacimento c’è un’ombra che non viene integrata nel regno = vitigno di splendide donne ammaliatrici, uomini avvinghiati dalle braccia femminili e appesi per i genitali. ! Ecclesiazuse = assemblea delle donne, commedia di Aristofane che narra di un gruppo di donne, con a capo Prassagora, che decidono di tentare di convincere gli uomini a dar loro il controllo di Atene, perché in grado di governare meglio di loro, che stanno invece portando la città alla rovina. Rappresenta il potere del femminile che si ribella a quello maschile. ! Prete Gianni. Personaggio leggendario molto popolare in epoca medievale. Lo specchio legato all’archetipo del femminile compensa prete Gianni. Rispecchiamento del cosmo nel microcosmo del regno (8 x 8 nei basamenti); ombra che si manifesta nei Gog e nei Magog (esseri che si nutrono di se stessi) + vecchio della montagna (montagna = centro del mondo, implica ascesa, superamento mondo supero come inferno; capo setta degli assassini che usano hashish → mondo di morte + incesto). Necessità che l’ombra venga integrata. Immagine che ritroviamo anche nel Flauto magico di Mozart (ripresa dell’iniziazione massonica). Ombra di Zoroastro e Monostrato, ombra femminile = regina della notte = mondo sotterraneo = femminile mondo inconscio di Zoroastro. La leggenda della spada della roccia Mondo che deve essere rinnovato, prima dell’avvento di re Artù il reame era desolato e c’erano lotte intestine, la terra era priva di un centro e di un sovrano che la potesse governare. (vd leggenda del re pescatore, personaggio del ciclo arturiano, ultimo discendente della stirpe dei Re del Graal). Il Sacro Graal è legato all’archetipo del femminile e la lancia è legata all’archetipo maschile per elemento assiale. Artù estrae la spada dalla roccia: era l’unico capace di farlo, risulta essere il prescelto. Incarnava il sovrano salvatore della terra. L’estrazione della spada dalla roccia oltre a portarlo all’incoronazione è un atto simbolico importante: richiama la coincidenza degli opposti (spada = simbolo maschile fallico, incudine o roccia = femminile, terra, colei che contiene e preserva). Congiunzione degli opposti anche nel nome di Artù = sintetizza l’uomo vir con l’orso arth legato all’immagine femminile (orsetto come totem per il bambino). L’orso può essere addomesticato e camminare su 2 zampe. La spada esce come se fosse generata dalla roccia stessa. Artù rappresenta anche il fatto che ogni individuo deve diventare sovrano di se stesso, da scudiero a rex, da bambino ad adulto in una fase coscienziale, anche cavaliere con funzione di proteggere gli altri esseri umani. In Artù c’è compenetrazione e armonia tra maschile e femminile, tra l’archetipo dell’anima e l’essere nato maschio. La sua anima è rappresentata anche da due figure: tavola rotonda che gli è stata donata da Ginevra, altra rappresentazione dell’anima di Artù. Però non riesce ad integrare la sua anima con l’Io facendola diventare fonte di distruzione. Freddezza di Artù con Ginevra = mancato contatto dell’io con la sua anima → distruzione di Camelot. L’anima di Artù diventa anima ombra che prende possesso di Artù e del suo regno. Ginevra è l’anima ombra del regno anche a causa del tradimento con Lancillotto. Artù rimane freddo con la sua anima rigettandola. Ginevra come anima ombra provoca la distruzione di Artù e del regno di Camelot. Il femminile ha per Artù un effetto regressivo ed anche per il suo regno. Prima del combattimento tra Moldred e suo padre Artù, Artù fa un sogno in cui emerge il suo problema con l’anima ombra. Alla fine getta la spada nel lago preservando il regno e la sua salma viene trasportata da Morgana su una zattera (bara e vascello elementi femminili come l’acqua, elemento di rigenerazione) sull’isola di Avalon, detta anche l’isola delle fate o delle mele. La mela è il frutto della sapienza. Artù da morto è riuscito a raggiungere il Sè. Morgana viene iniziata ai suoi saperi sul mondo dell’invisibile proprio sull’isola di Avalon. Secondo l’interpretazione classica Morgana tenta di carpire con la stregoneria le arti magiche di Merlino, secondo un’altra interpretazione tratta dal romanzo Fata Morgana, Morgana attraversa l’immagine della strega cattiva e della sacerdotessa con poteri positivi e celesti. Il femminile è datore di vita e di morte. Regno di Morgana: Regno della valle senza ritorno = ha una connotazione negativa rispetto al regno perfetto di Artù. Ha creato nel suo palazzo un luogo in cui fa anche degli esperimenti per cercare di sconfiggere la morte (potere divino del femminile di dare e togliere la vita). Tra i suoi sudditi, che le sono affezionati, non ci sono molti uomini (vicino al regno delle amazzoni e vicino all’immagine dell’alveare). Morgana era vergine nel senso etimologico della parola = bastevole a se stessa. C’era un’attrazione atomica - degli atomi- tra Morgana e Artù → nasce un figlio dall’incesto, problema del dolore del parto e della morte da cui si vuole sottrarre, consegna poi il figlio ad Artù. Non torna più nel suo regno e viene esiliata nell’isola di Avalon, che era abbandonata, anche se in realtà in una perlustrazione incontra una brutta vecchia consunta in cui riconosce una sfuggente immagine della morte. Conscia della sua prossima fine e di non poter combattere la morte caccia tutti i suoi sudditi da Avalon che però non vogliono andarsene perchè Morgana rappresentava anche l’elemento materno di protezione. Nel frattempo Merlino ha iniziato a costruire un mausoleo ad Avalon. Morenti entrambi vengono seppelliti vicini nel mausoleo da Merlino → le due energie -maschile e femminile- si sono ricomposte con la morte in questo mondo magico, al di là che fossero fratelli. L’uno animus ed anima dell’altro. Alessandro Magno secondo una profezia è signore dell’universo e riconcilia oriente e occidente sciogliendo il nodo gordiano. In realtà non lo scioglie ma lo taglia (soluzione alessandrina), mostrando preminenza maschile sull’anima. Quando incontra il mondo orientale la sua anima diventa ombra. Ombra: The Beach, Mostri del mare, Lost → isola che diventa inferno se l’ombra non viene integrata. Puer aeternus: fanciullo come salvatore. É un avvenire in potenza. “Il signore delle mosche”, romanzo di William Golding. L’isola, essendo qualcosa di chiuso, rimanda all’utero, che contiene il feto e che può far nascere qualcosa di nuovo. La prima ombra di questi ragazzi è la paura della notte. L’ombra pervade tutto il gruppo perchè nessuno riesce ad integrarla (l’ombra bestia). Al potere di Ralph che è quello del cerchio, della conchiglia si oppone quello di Jeff che è quello della linea, della violenza. V LEZIONE venerdì 18/11/2011 ------------------------------------------------ASSISTENTE-----------------------------------------------------I parte - appunti di Margherita Roiatti APPROFONDIMENTO SU GNOSI E GNOSTICISMO Lo gnosticismo è una corrente filosofica nata nel I secolo d.C. nell’area mediterranea orientale per portare alla salvezza per mezzo della conoscenza e della scienza. Anche in epoca moderna va ripresa la dottrina gnostica come chiave interpretativa dei fenomeni contemporanei. Si ritrovano in essa caratteri particolari che vengono applicati ad alcuni fenomeni contemporanei. Lo gnosticismo antico era un insieme di dottrine con diverse origini, che ebbe uno sviluppo sia temporale che territoriale. Nel 1945 venne scoperta un’intera biblioteca gnostica, i Manoscritti o Rotoli del mar morto (vangeli gnostici o apocrifi). Nel 1966 a Messina si tenne un congresso internazionale sulle origini dello gnosticismo, che venne definito come fenomeno storico determinato, sviluppatosi dal II al III secolo d.C. e del quale si ha una documentazione certa seppur limitata. In questo fenomeno confluiscono concezioni più antiche, derivanti da religioni e correnti spirituali preesistenti al cristianesimo che con esso hanno convissuto e da cui hanno attinto elementi. Vi convergono concezioni iraniche, babilonesi ed egizie e alcune idee della filosofia greca. Uno dei maggiori studiosi dello gnosticismo è Hans Jonas. Poichè lo gnosticismo è un prodotto del sincretismo tutte le teorie possono trovar conferma nelle fonti che però non sono soddisfacenti né esaustive. C’è l’interpretazione dei padri della chiesa, che lo considerano un’eresia del cristianesimo (eresia valentiniana, dei masseni). Quello che accomuna le diverse dottrine è il riferimento alla gnosis = conoscenza, intesa come mezzo per raggiungere la salvezza o come salvezza stessa → complesso di conoscenza dei misteri divini di carattere elitario che fa riferimento al motivo della conoscenza come salvezza. Correnti dello gnosticismo antico sono sopravvissute in alcune forme fino al medioevo. Massimo Introvigne (1955) è uno studioso italiano che, individuando delle linee di continuità, inserisce nello gnosticismo alcune correnti moderne della nuova religiosità (sette, culti orientali, correnti esoteriche). Distingue due categorie di questa nuova religione: ! nuovo gnosticismo: insieme di organizzazioni magico-religiose che si propongono il risveglio delle scuole gnostiche antiche tramite l’uso della simbologia. Fanno capo alla chiesa gnostica di Jules Dionel, fondata nel 1890 a Parigi, la quale si rifà anche a tradizioni catare. ! neo gnosticismo: insieme di tendenze filosofiche, politiche, letterarie, psicologiche e religiose che negli ultimi secoli si sono collegate allo gnosticismo antico; a questa categoria appartiene anche la corrente new age (secondo altri autori legata all’esoterismo) con simboli legati allo gnosticismo antico. Si tratta di un insieme, di un network tenuto insieme dal denominatore di costruire la chiave dell’interpretazione della realtà e porsi come punto di svolta, in controtendenza all’antropocentrismo corrente, un viaggio all’interno di se stessi verso un io più nascosto e lontano dai mali del mondo. Gnosi di Princeton: corrente scientifico-filosofica sviluppatasi negli anni Cinquanta e Sessanta negli Stati Uniti -tema preso dall’omonimo romanzo del 1974-. Questi studiosi americani cercano di applicare la gnosi alla scienza secondo una concezione olistica della terra. Ipotesi di Gea: la terra è un essere vivente fatto di materia e di spirito. Ha finalità ecologista, rappresenta un tutto assoluto dell’uomo col mondo in contrasto con il dualismo, principio gnostico antico. Campo letterario: letteratura romantica. Giovanni Filoramo (1945) associa i culti satanici alle correnti gnostiche. Nella dottrina antica ed accertata (grazie al supporto di testi) i temi principali sono: 1. Ruolo di salvezza affidato alla gnosis = conoscenza. Processo di perfezionamento interiore basato sull’eliminazione dei difetti e sul raggiungimento di uno stato superiore più perfetto. Influsso ellenistico. 2. Dualismo. Interpretazione della realtà divisa tra bene e male e tra spirito e materia. Influenza asiatica della concorrenza degli opposti. 3. Origini divine dell’uomo, uomo visto come emanazione dell’assoluto. Dottrine neoplatoniche. 4. Estraneità dal mondo, anticosmismo (considerazione del mondo come originato dal male, dall'errore e dal peccato da un dio malefico, che lo ha creato o che, con il suo intervento, ha sostanzialmente capovolto l'ordine e la perfezione di una prima creazione attribuita a un dio buono, Indra). Percezione di vivere in un modo estraneo alla propria natura, dominato dal male, con una certa propensione a svalutare il mondo visibile in quanto mondo del male e delle tenebre. Tema ebraico dell’esilio. 5. Salvezza come obiettivo. Ritorno al bene originario come obiettivo dell’esistenza umana. Influenza cristiana della dottrina del ritorno al padre. 6. Valorizzazione e presenza dell’elemento magico e cosmologia. Origine orientale. 7. Circolarità del tempo, dell’eterno ritorno, tempo come fallace ed illusorio. Influsso indostano. Cosmogonia: nata dall’influsso di diverse dottrine e correnti sull’origine del cosmo. Elementi consolidati riguardano il dualismo universale che contrappone la realtà perfetta del pleroma (il tutto primordiale, massa indistinta, universo primordiale in cui esistono solo le potenze divine) a quella imperfetta del mondo. Il primo atto creativo nel pleroma è un’insubordinazione messa in atto da Sophia (uno degli eoni originati dal padre primordiale, sue emanazioni) da cui scaturisce l’universo: crea un mondo-copia che secondo lei doveva somigliare al mondo perfetto della luce primordiale. Questo mondo si presenta come posto di acque e tenebre dominato dal caos. Sophia crea inoltre una sua emanazione chiamata Ialdabaoth (= il demiurgo nella dottrina gnostica). Il mondo doveva assomigliare al mondo perfetto ma è in realtà l’errore di una divinità inferiore, una sua copia sbiadita e malvagia. Ialdabaoth (dio dell’antico testamento) crea l’uomo. L’uomo è quindi una creazione del demiurgo caratterizzato come schiavo della materia vivente in una condizione malvagia in un mondo di tenebre; dentro di sè però ha una scintilla divina. Il mito cosmogonico fa parte della dottrina cosmogonica dello gnosticismo ma non lo racchiude tutto. Lo gnosticismo è un sistema metafisico molto complesso ed il mito è solo uno strumento interpretativo della realtà e divulgativo. Divisione verticale del mondo. Contrapposizione con la creazione cristiana → principio dell’esegesi inversa del vecchio testamento. Antropologia: uomo tripartito composto di carne, anima e spirito. Il corpo materiale è conseguenza e prova del fatto che l’uomo sia imprigionato nella materia. Però possiede quel soffio di pneuma, lo spirito e la scintilla divina caduta nel mondo di cui l’uomo ha un vago ricordo ma non coscienza. Chi è troppo legato alla carne non può rispondere alla chiamata della conoscenza. Benchè il mondo non sia stato creato per l’uomo e nemmeno viceversa questo non ha come conseguenza una visione pessimistica dell’uomo, bensì del mondo. Non si tratta di un pessimismo assoluto e di base ma di un pessimismo cosmico contrapposto ad un ottimismo antropologico. Il 6 è un elemento magico e simbolico. La metafora più utilizzata è quella dello “straniero”: l’uomo stesso è visto come un vagabondo nelle strade del mondo che conduce un’esistenza piena di insoddisfazione e solitudine con nostalgia non cosciente del mondo originario cui aspira a ritornare. L’unica strada per questa salvezza è la conoscenza = gnosis che non può essere raggiunta con il ragionamento o la scienza, non è data dall’intuizione e nemmeno dalla fede. È una sorta di rivelazione. L’“Inno della perla” racconta la storia del un figlio di un re che abbandona il regno del padre e va in Egitto per cercare una perla preziosa ma finisce per dimenticare, vagando, sia il suo compito sia le sue origini. I genitori rimasti in patria gli scrivono una lettera per risvegliarlo dal suo sonno e perchè si ricattasse dal suo giogo della non conoscenza e si ricordasse della perla. La lettera gli viene portata da un’aquila e il figlio ricorda tutto: presa coscienza della sua natura recupera la perla e torna dai genitori dove ritrova l’antico splendore e consegna la perla al re genitore = metafora della coscienza stessa dell’uomo. La morale dell’uomo gnostico viene definita dall’ostilità e dal disprezzo verso il mondo. Due sono le strade da percorrere: teoria ascetica vs strada libertina → strada percorsa dagli gnostici moderni nello gnosticismo politico. Corpo = materia; anima = psyche; spirito = pneuma. L’uomo deve comunque avere una sorta di chiamata, richiamo che lo conduca alla salvezza. L’uomo deve prendere coscienza del pneuma divino e contemporaneamente deve riconoscere la sua estraneità dal mondo, ma è necessario il richiamo, risveglio divino. Le modalità del risveglio sono diverse nei diversi sistemi gnostici. La figura del salvatore deriva dall’influenza cristiana. Lo gnosticismo è sempre stato un paradigma rivoluzionario rispetto a quello ufficiale, è una dottrina in cui la difesa dell’individualità umana contro il mondo è più forte. II parte - appunti di Chiara Pozzan Eric Voegelin: tra le sue opere quelle che fanno riferimento allo gnosticismo vanno dagli anni ‘30 agli anni ’50. In una serie di opere (vd saggio “Le religioni politiche” del 1938 in cui analizza la struttura dei totalitarismi novecenteschi e ne delinea le analogie con la struttura delle religioni) ripercorre i simboli politico religiosi dei movimenti politici contemporanei e alcune delle tappe simboliche della storia dell’umanità ritrovando degli elementi ripresi dal regime nazionalsocialista. Si tratta di un simbolismo religioso presente da sempre nella storia. Tenta di distinguere quali sono gli elementi che contraddistinguono l’esperienza politica e religiosa. Conclusioni: l’esperienza politica non può essere semplicemente definita con una serie di indicatori, bisogna analizzare anche la simbologia religiosa per giustificare i fenomeni politici. Nelle opere successive “Il mito del mondo nuovo. Saggi sui movimenti rivoluzionari del nostro tempo” e “La nuova scienza della politica” riprende lo gnosticismo moderno. Quali sono gli atteggiamenti che lui ritrova nella storia moderna? ! Insoddisfazione per la propria condizione ! Convinzione che l’insoddisfazione vada attribuita alla natura erronea del mondo ! Convinzione che sia possibile salvarsi dal male del mondo ! Certezza del fatto che il mondo verrà cambiato nel corso di un processo storico (in antitesi alla soluzione cristiana: il mondo resterà tale e quale ma l’uomo si salverà nella grazia) ! Convinzione che la salvezza sia possibile per l’uomo, che rientri nelle capacità umane ! Tentativo di costruire una formula per la trasformazione dell’essere, ossia la salvazione dell’io e del mondo, che viene accompagnata poi da un atteggiamento profetico Come si sviluppa questo atteggiamento? Nel corso dei secoli l’uomo si allontana dalla fede cristiana in seguito alla secolarizzazione. L’elemento fondante del cristianesimo è la teoria della salvezza: la convinzione che la finalità dell’uomo sia la salvezza. Con la secolarizzazione questa idea di salvezza ultraterrena viene a cadere, e questo tipo di concezione viene trasferita nell’immanente, dall’aldilà a questa terra. Come avviene secondo Voegelin questo processo? Negli antichi miti cosmogonici c’è l’idea della storia ciclica, che ha l’antica età dell’oro come punto di partenza; per i greci e i romani la storia era un insieme di fatti e la raccolta di cose avvenute nel passato doveva servire come lezione per il futuro; con il cristianesimo la storia diventa perfettamente lineare, il suo inizio è la creazione per mano di dio, il punto centrale è la nascita di cristo e il punto di arrivo è l’apocalisse. Gli uomini di chiesa cercavano una mediazione tra l’idea incombente dell’apocalisse e l’impossibilità di definirla nel tempo. S.Agostino tenta di definire una storia sacra (eterna e immutabile) e una profana e assegna alla chiesa il compito di supportare le anime che avrebbero potuto entrare nella storia eterna. Le tensioni su questo tema ritornano nell’anno mille. Gioacchino da Fiore, monaco calabrese nato nel 1130, studiava e interpretava la bibbia secondo i canoni esegetici dell’epoca e ne trasse l’idea che date le concordanze tra antico e nuovo testamento (succedersi delle generazioni, figure simboliche ricorrenti come quelle del profeta, del condottiero ecc.) doveva esserci una terza epoca, quella dello spirito santo. A questo frate viene attribuita la responsabilità di aver messo per iscritto questa idea del III regno, che doveva essere un regno terreno, e di aver ridonato la speranza agli uomini del suo tempo in un futuro terreno. Secondo lui il 1260 doveva essere l’inizio della III era (i suoi seguaci ritrovano in S.Francesco il condottiero di questa era). Con Gioacchino nasce l’idea di una finalità della storia terrena, l’idea della perfezione della storia. Voegelin parla di immanentizzazione dell’idea di perfezione cristiana e la conseguenza di questo è la creazione di un eidos (fine, scopo) della storia; la storia in realtà non ha di per sé una finalità, questa è un’idea che deriva dal cristianesimo. Al di fuori del pensiero cristiano la storia è un semplice succedersi di eventi. La stessa idea del progresso è un’idea moderna che nasce in seguito a questo fenomeno. Questa teoria è sostenuta da altri studiosi importanti come Carl Löwith e Carl Schmitt (→ idea che i concetti politici sono in realtà concetti teologici secolarizzati). In seguito a questa serie di fenomeni si arriva dal mondo cristiano medievale al mondo secolarizzato moderno. Es. il concetto del “Corpo Mistico” nel medioevo antico inteso come “comunità cristiana” viene ripreso in seguito come fratellanza, legame di sangue tra i membri dello stato nazionalsocialista. Si arriva alla caratterizzazione dello gnosticismo moderno, ripresa e radicalizzata da un altro autore, Luciano Pellicani (nato nel 1939), che scrive una sorta di manuale del rivoluzionario (“Rivoluzionari di professione” 2008) dove riscontra tutte queste caratteristiche nei movimenti rivoluzionari. Secondo lui lo scopo di questa forma di messianesimo politico è quello di trasformare la società in una società perfetta secondo la prassi rivoluzionaria. Ritrova una serie di figure simboliche come quella del leader, del profeta (che nei movimenti e nelle dottrine moderne è un compito assunto spesso dagli intellettuali che vogliono infondere la dottrina nel popolo per sollevare le masse). In sintesi la sacralizzazione della politica consiste in questo: la realizzazione del mondo perfetto può essere attuata solo dalla prassi politica, che diventa quasi sacra, costruisce e modella l’uomo scandendo e regolando tutti i momenti della sua vita. All’uomo dopo la secolarizzazione non rimane altro che un vuoto di fede, di ideali, un vuoto nel suo bisogno di trascendenza che va riempito con qualcos’altro: nuovi riti e liturgie che ritrova nella prassi politica. Rimane solo la simbologia svuotata della sua componente principale: quella del percorso individuale verso la trascendenza (forse è per questo che non riesce a riempire, a soddisfare del tutto). Il concetto di rappresentanza politica così come lo intendiamo in scienza della politica è meccanismo attraverso il quale avviene un immedesimazione, una delega. Secondo Voegelin ci sono dei significati più profondi. Quanto la politica è oggi effettivamente rappresentativa? E cosa rappresenta? Storicamente ci sono state forme di rappresentanza più profonde? La chiesa era da considerarsi rappresentativa di qualcosa prima della secolarizzazione? Oggi quanto rimane di questo e cosa manca? Quanto è dato per scontato e quanto invece non può più essere applicato? VI LEZIONE venerdì 25/11/2011 Appunti di Chiara Pozzan L’UTOPIA La nostalgia del paradiso perduto, del mondo perfetto, si è manifestata in tradizioni artistiche e letterarie ma anche sotto un profilo prettamente filosofico. Il pensiero politico dei filosofi tende a realizzare il miglior modo di convivenza; di conseguenza vedremo come anche all’interno del pensiero filosofico questa ricerca di un centro in senso simbolico si realizzi in quello che è il filone utopico. L’utopia nasce nel 1500 con il libro di Tommaso Moro “Utopia”, ma si può far risalire anche ad altri autori: - Il modello dell’utopia richiama il pensiero di Platone e della sua “città giusta” utopica - La ricerca di un mondo migliore in cui vivere si proietta all’interno del cristianesimo nella terra promessa e nella certezza che possa essere raggiunta - In Agostino alla fine della storia verrà costituita, attraverso il giudizio universale, la “città di Dio”. IDEA PLATONICA DELLA “CITTÀ PERFETTA” CONTENUTA NE “LA REPUBBLICA” Platone, al contrario del suo maestro Socrate, lasciò molti scritti sotto forma di dialogo, il cui protagonista principale è sempre Platone stesso (che si fa portatore delle idee del maestro) che dialoga con altri personaggi. Utilizzando la forma del dialogo applica la tecnica della maieutica (tecnica “della levatrice”, appresa dalla madre) secondo la quale nell’anima di ognuno è contenuto il ricordo della verità, e il ruolo del maestro è quello di tirar fuori quello che c’è già dentro di noi. L’educazione “La Repubblica” si apre con Socrate che scende dal Pireo e va a una festa dedicata a una dea della Tracia. La sua discesa verso il mondo degli uomini è emblematica e richiama il mito della caverna: il filosofo, nel momento in cui ha la conoscenza della realtà, del mondo delle idee e dell’esistenza del bene, ha due scelte: rimanere nella contemplazione, nell’ascesi (verrebbe a mancare quello che secondo Platone dovrebbe essere il compito del filosofo: utilizzare la maieutica) oppure educare gli uomini alla conoscenza del bene, della vera realtà per toglierli dall’illusione di una “realtà” che loro reputano reale ma non è. La funzione del filosofo è proprio quest’ultima: tornare nel mondo e insegnare. L’educazione ha una funzione specifica all’interno del pensiero platonico. Ciò viene trasferito anche all’interno della “città giusta” de “La Repubblica”. Questo è un elemento che connoterà altri pensatori politici proprio perché attraverso l’educazione si crea un uomo nuovo, giusto. L’educazione non può fare a meno di utilizzare i modelli dell’immaginario. La giustizia Socrate discute con degli amici di un concetto molto importante per la città e per l’UOMO (viene a verificarsi una corrispondenza tra l’UOMO e la città). Il primo concetto che Platone analizza ne “La Repubblica” è il concetto di giustizia. La giustizia è un principio regolatore della collettività, principio di ordine, equilibrio e armonia, principio-virtù proprio dell’individuo. L’uomo giusto risulta essere il filosofo perché è colui che riesce a dominare e a mantenere in equilibrio, per utilizzare il mito dell’auriga, sia il cavallo bianco (parte concupiscibile) che quello nero (parte irascibile) attraverso la sua virtù principale che è la saggezza. La giustizia si manifesta in vari modi, e le varie modalità in cui viene percepita dagli uomini vengono rispecchiate nel dialogo. Alla prima domanda “Che cos’è la giustizia?” Cefalo risponde: “E’ essere sinceri”, concetto che trasferito a livello collettivo ad es. nel commercio diventa “rendere a ciascuno il proprio debito”. Socrate smentisce questa posizione facendo l’esempio che non può restituire ad un pazzo le armi che gli ha prestato perché le utilizzerebbe male. Cefalo dice allora che la giustizia può essere verificata nel fatto che, visto che gli dei sono giusti, noi possiamo offrire loro tributi per ingraziarceli e ottenere giustizia a nostra volta. Altri personaggi (Polemarco e Simonide) intervengono sostenendo che per loro la giustizia è "il bene che si fa ai propri amici e il male che si fa ai propri nemici". Socrate risponde dicendo che l'uomo giusto è necessariamente buono e non può fare del male. Trasimaco dice che la giustizia non è una virtù ma un fatto, ed è rappresentata dall'utile, dal bene del più forte. Glaucone concorda con lui e sostiene che a volte l'uomo è giusto perché ha paura di una sanzione, non perché sia giusto in sé ma perché è debole nei confronti degli altri, quindi la giustizia è data dal diritto del più forte. Secondo lui alla fine all'essere umano risulta essere più conveniente essere ingiusto ma sembrare giusto. Tutti commetterebbero ingiustizie se non ci fossero norme e sanzioni. Sempre secondo Glaucone ciò funziona anche nei confronti degli dei: basta propiziarseli per ottenere un vantaggio personale. Callicle dice invece che la giustizia non è l'utile del più forte ma quello del più debole. Socrate conclude dicendo che questi sono solo aspetti della giustizia, la quale è qualcosa di altro, che va al di là dell'apparenza come gli interlocutori l'hanno messa in evidenza. La giustizia nell'uomo è similare alla giustizia nello stato = misura necessaria per realizzare la convivenza civile: senza di essa non avrebbe senso l'esistenza stessa dello stato. La giustizia individuale si riflette in quella statale della “città perfetta”. Formazione della città Platone si domanda come la città venga formata: risulta essere un agglomerato di individui sorto dal bisogno di soddisfare i bisogni fondamentali e le esigenze materiali degli individui stessi. Si tratta di uno stadio primitivo di città che non riesce a realizzare la perfetta razionalità e giustizia ma contiene in sé una delle caratteristiche della città ideale che è la divisione del lavoro. Con la moltiplicazione dei bisogni in questo primo nucleo e lo svilupparsi dell'agricoltura e dell'artigianato la città ha bisogno di ingrandirsi e conquistare territorio e ciò provoca una guerra di tipo espansionistico. La tripartizione della società La guerra porta Platone a ritenere che la classe dei guerrieri (che lui stesso definisce "cani da caccia") debba essere tenuta a freno perché potrebbe anche andare contro gli interessi della città. I guerrieri vanno controllati, ma da chi? Inizia a delinearsi così il modello di città perfetta: i guardiani non sono altro che la classe intermedia di una gerarchia che caratterizza la “città giusta”. Se la polis risulta essere l'UOMO, e l'uomo è composto dalla ripartizione delle tre anime, questo si rifletterà nella ripartizione delle tre classi: l’anima razionale è rappresentata dai filosofi, l’anima irascibile dalla classe dei guerrieri, l’anima concupiscibile dalla classe dei demiurghi, gli artigiani. Le classi sono poste in una condizione gerarchica ma non ci sono classi superiori o inferiori, sono poste in condizione di uguaglianza perché ognuno contribuisce alla realizzazione della polis secondo le proprie attitudini. Così i demiurghi hanno attitudini pratiche dettate dalla prevalenza della loro anima concupiscibile sulle altre, così come appartenere alla classe dei filosofi o dei guerrieri significa essere guidati dall'animo razionale o irascibile. L’oro rappresenta i filosofi, l’argento i custodi terrieri, il rame-bronzo i produttori. Questa tripartizione si associa anche al legame corpo-organi: la testa simboleggia l’anima razionale che prevale nei filosofi, il cuore rappresenta l’anima irascibile dei guerrieri (rimando cuore → coraggio), lo stomaco rappresenta i desideri, gli appetiti dei demiurghi. La funzione della giustizia è quella di far rispecchiare nella “città perfetta” l’equilibrio che c'è tra le tre anime dell’uomo. La temperanza, caratteristica dei demiurghi, ci dice che bisogna ubbidire a chi ha la guida, la direzione dello stato, cioè i filosofi, perché loro possiedono la coscienza, la sapienza e sono in grado di rappresentare l'iperuranio nella realtà come un pittore sa dipingere un quadro, anche se è impossibile che l'immagine sia identica al modello. Queste tre classi hanno caratteristiche diverse: - La classe dei demiurghi, che badano al sostentamento e ai bisogni materiali della città, ha un certo tipo di struttura: esistenza e importanza della famiglia, della proprietà privata. - Per quanto riguarda le altre due classi si parla di una sorte di comunismo platonico: tutto è in comune (le donne, i beni..) e non esiste la famiglia né la proprietà privata perché creano attaccamento, dipendenza (vista in senso negativo) rispettivamente nei confronti degli esseri umani e dei beni materiali. Interviene l'azione del filosofo, che è colui che è in grado di conoscere qual è l'anima che prevale in noi e di conseguenza farci entrare in una determinata classe. L’educazione di custodi e filosofi I guerrieri-custodi, che proteggono e amministrano la città, subiscono un'educazione abbastanza forte: da piccoli vengono educati dai filosofi, i quali controllano e decidono anche i rapporti e le nascite. L'educazione è fondamentale: i custodi vengono educati ad essere tali, ad esprimere quella che è la loro anima, la loro attitudine innata, attraverso la musica e la ginnastica: - La ginnastica serve perché in quanto guerrieri devono avere la forza di combattere e il corpo deve essere sano. La sanità del corpo la si ottiene attraverso un tirocinio fisso e scandagliato di esercizi fisici, resistenza e combattimenti che li addestrano alla guerra. - Ma per mantenersi in equilibrio e curare anche l'altra parte importante dell'essere, quella spirituale, l'anima, c’è bisogno dell’educazione alla musica (che in Platone viene a inglobare quella che è la cultura generale, tutta l'arte). Dopo esercizi fisici e spirituali e una volta raggiunta una certa età (15 anni) il custode potrà accedere ad un’istruzione filosofica e scientifica. Può accadere che qualche custode possa diventare filosofo e quindi accedere ad un'ulteriore educazione da parte dei più anziani (almeno 50enni), coloro in grado di diventare re e governare, aventi il compito di educare la cittadinanza. Il filosofo viene educato attraverso lo studio della filosofia e della metafisica ma gli vengono impartite anche lezioni di matematica (anche grazie ad essa si può astrarre la verità). Il fine del filosofo è quello di utilizzare la dialettica per astrarre le cose intellegibili e rappresentarle nel mondo reale. Differenziazione tra uomo e donna In una città così costruita la giustizia riesce a realizzarsi e pertanto si realizza anche la felicità. Tutti contribuiscono alla creazione e al mantenimento di questa città che risulta essere perfetta. Ci sono però delle “aporie”. Platone annuncia l'uguaglianza tra tutti gli uomini, cosa che porta ad un’educazione indifferenziata dell’uomo e della donna appartenenti alle classi dei filosofi e dei custodi. Nel “Timeo” Platone dice che il genere umano nasce dalla terra e si distingue in genere maschile e femminile, e questa dualità si riflette anche in altre specie animali (dicotomia: dall'uno si sdoppia in due → vd androgino). L'asserzione che dall'uno nascano i due e che l'uno sia l'opposto dell'altro sembra dare un certo equilibrio tra maschile e femminile, ma in realtà poi non è così, soprattutto all'interno della concezione politica: nella “città perfetta” non esistono maschi e femmine, ma individui, cittadini, soggetti politici. Il fatto che la donna partorisca e l'uomo generi, però, crea una differenziazione che porta alla creazione di una superiorità e di una inferiorità. Le funzioni tipicamente femminili (tessere, cucinare ecc.) non sono considerate importanti (da notare che si evidenziano in maniera specifica nella classe dei demiurghi) e delineano l'inferiorità costituzionale della donna nonostante sia formalmente dichiarata l'uguaglianza. Ciò nonostante, e nonostante la donna risulti più fragile e debole, nella “città perfetta” c’è un’uguaglianza di diritti e doveri tra uomo e donna: le donne combattono come gli altri guerrieri e fanno lo stesso allenamento). Sempre per lo stesso principio viene tolta sia ai maschi che alle femmine la scelta del compagno/a e i figli, che spesso non si sa nemmeno a chi appartengano, sono tolti ai genitori per essere istruiti dai filosofi. Le madri sono viste semplicemente come delle “incubatrici”: è il filosofo che decide come fare gli accoppiamenti e poi toglie loro la prole. La specificità femminile viene completamente annullata: la donna, non in quanto donna ma in quanto UOMO (inteso come essere umano), viene completamente omologata al modello maschile. Si verifica una dicotomia tra spazio pubblico (luogo della razionalità maschile) e privato (spazio della casa, luogo dell'intimità e dei sentimenti, di dominio femminile) → il modello della città perfetta è un modello tipicamente maschile. NB: i personaggi dei dialoghi di Platone sono tutti maschili (potrebbe anche essere ovvio per una questione culturale). L'unico personaggio femminile è la sacerdotessa di Mantinea Diotima, la quale inizia Socrate all'amore e lo porta alla sua comprensione. L’amore viene inteso in due modi: amore animale che porta alla procreazione (dato dalle donne) e amore che porta alla generazione delle idee (dato dagli uomini). Eros, il dio dell'amore, è a metà tra mondo divino e umano. Attraverso il rapporto pseudo carnale del “Simposio” Socrate giunge alla conoscenza dell'amore e attraverso di esso scopre anche il bello in sé. Le degenerazioni dell’utopia Questa città giusta e perfetta in cui si realizza la giustizia nella realtà risulta essere difficilmente realizzabile: Platone denuncia la sua degenerazione in 3 forme: 1) La causa della degenerazione della “città perfetta” è dettata dalla non perfetta realizzazione delle nascite: ci si avvicina alla realizzazione perfetta ma ce ne si allontana a causa dell'imperfezione umana → i filosofi sbagliano ad individuare l'anima degli individui o sbagliano l’accoppiamento e di conseguenza non tutti svolgono il compito che gli è proprio. La città dunque subisce una trasformazione e diventa timocratica (governata dai guerrieri): chi governa sono i custodi e non i filosofi, la città è dominata dal desiderio dei guerrieri di avere sempre più beni e più ricchezze per sé (plutocrazia), non c'è più equilibrio tra corpo e spirito, ma il corpo domina sullo spirito. La città non è più un organismo etico retto dai filosofi ma risulta essere un'aristocrazia guerriera, dove l'anima irascibile è l'elemento di dominio. L'instabilità quindi la fa degradare nello stato oligarchico o plutocratico dominato dal denaro e dalla ricchezza, caratterizzato dal soddisfacimento dei desideri di una classe a discapito delle altre. I sovrani non sono più i sapienti filosofi che guidano la città attraverso la giustizia, bensì i guerrieri che si basano solo sulla ricchezza. 2) Ulteriore degradazione: si va alla ricerca di un ribaltamento della degradazione della società e della prevalenza di una classe sulle altre attraverso il tentativo di ristabilire l'uguaglianza tra le classi e gli individui (demagogia). L’oligarchia si trasforma in democrazia. 3) Una città democratica che tende verso la libertà e l'uguaglianza ma non le riesce a raggiungere porta alla necessità che ci sia un tiranno in grado di "guidare là nave" per superare i disordini interni preminenti nella democrazia. Si sceglie una persona che non è quella giusta, è scelto perché sa convincere, non è un re, è un capo, che diventa tiranno e regna seguendo l'animo irascibile, non quello razionale. Platone utilizza una dicotomia: la tripartizione plutocrazia-democrazia-tirannide è associata all'esistenza o non esistenza di leggi. La “città perfetta” è regolata dalla legge della natura, dalla giustizia, non dalle leggi dell'uomo → la democrazia, nella quale le leggi sono decise dalla comunità, risulta essere la peggiore forma di governo possibile. PENSIERO POLITICO DI S.AGOSTINO Nel suo pensiero politico Agostino prospetta una sorta di teologia politica: la sua formazione cristiana viene trasferita all'interno del modello di città da lui auspicato. Secondo lui esistono due città: la “Città di Dio” e la “città degli uomini”, che non risultano essere separate nella realtà ma piuttosto sovrapposte, congiunte. La “Città di Dio” in origine era formata dagli angeli, e la caduta di alcuni di essi, compreso Lucifero, all'inferno porta alla caduta dell'uomo. Secondo Agostino e il pensiero cristiano la storia è un incessante divenire, un percorso votato al progresso, al termine del quale si auspica la venuta del Messia che secondo l'interpretazione agostiniana porterà alla realizzazione della “Città di Dio”. La separazione delle due città vede l'uomo come cittadino di entrambe: come è cittadino della “città dell'uomo” può esserlo anche della “Città di Dio” tramite un percorso di conciliazione delle norme, dei precetti della società con le norme divine. Dev'esserci un percorso di adeguamento esteriore (comportamento) e uno interiore (fede). L'uomo è caratterizzato da due nature, quella fisica, del corpo e quella dell'anima, dello spirito e può avere interessi pubblici e privati. Per interessi pubblici si intendono quelli legati al benessere all’interno della “città degli uomini”, per interessi privati si intendono quelli legati all'anima, in cui risiede la scintilla divina che porta l'uomo a comprendere i precetti divini, in quanto Dio è compresente nell’uomo attraverso l'anima. Nel pensiero cristiano c'è una certa continuità con il pensiero pagano in cui si ritiene che nell'uomo ci sia una scintilla divina che regola le sue azioni. Anche in Platone esisteva questo daimo -socratico- che guidava l'uomo ed era paradigma di vita. Anche nello gnosticismo c'è la possibilità di trovare la divinità all'interno di se stessi. Dio viene conosciuto dall'uomo attraverso l'amore, che secondo Agostino, come nel pensiero platonico, è fonte di conoscenza (che non è però solo razionale). Anche nel caso dell'amore esiste l'amore di sé e dei beni terreni e l'amore di Dio, che è quello che prefigura la “Città Celeste”; l'amore di sé porta invece alla creazione della “città degli uomini”. Il mito di fondazione della “città degli uomini”: Caino e Abele Secondo Agostino esiste un mito di fondazione della “città degli uomini” originato dall'azione di Caino, il quale fonda la “città degli uomini” su base quadrata (secondo un'interpretazione storica la creazione avviene a causa di una trasformazione del modus vivendi dell'epoca: a causa della necessità di fissare la propria dimora, e l’uomo da nomade diventa sedentario). Secondo Agostino la fondazione di questa “città degli uomini” avviene attraverso l'uccisione di Abele, come racconta la Bibbia. L'uccisione di Abele è dettata dal fatto che Caino avrebbe dovuto essere lui investito del potere e della sovranità ma Dio, a causa dei doni dati dai due fratelli, sceglie Abele. Scatta così in Caino la problematica dell'usurpazione del potere, la gelosia nei confronti del prescelto. L'uccisione è dettata dall’ "invidia diabolica" nei confronti del fratello minore. L’uccisione simboleggia il fatto che nella terra esistono persone malvagie e persone buone, divisione dalla quale non si può prescindere. In questo caso il malvagio annienta il buono. Abele viene descritto come un pellegrino sulla terra, è il prototipo dell'uomo cittadino della “Città di Dio” che deve peregrinare all'interno della storia nella città degli uomini per raggiungere la città a cui appartiene di diritto. Si tratta di un percorso fisico e spirituale che tutti gli uomini dovrebbero fare per essere certi di partecipare alla “Città di Dio”. Questa peregrinazione, questo cammino dell'uomo -corpo e anima- per raggiungere la città perfetta è simile al viaggio di pellegrinaggio che si intraprende con il Camino de Santiago (vd simbologia: conchiglia sulla croce). L'atto dell'uccisione del fratello secondo Agostino non è assimilabile a quello di Romolo e Remo (legato anch'esso alla fondazione di una città, Roma, ma legato a interessi egoistici personali): in questo caso c'è una pulsione diabolica che provoca la spaccatura all'interno della realtà tra uomini buoni e cattivi, tra bene e male (idea manichea). La Gerusalemme celeste e la Gerusalemme terrena La “Città di Dio”, seppur nascosta all'interno della storia, si realizzerà alla fine del tempo. Non è una città creata nemmeno da Adamo, è una città prefigurata, emanazione della divinità. E’ una città che coincide con l'immagine simbolica della Gerusalemme celeste descritta nell’Apocalisse, che si oppone alla Gerusalemme terrena che coincide con la città diabolica di Babilonia. Babilonia era una città meravigliosa che doveva essere, anche secondo l'etimo, la porta verso Dio e che invece si trasforma in un'immagine al negativo. Diventa qualcosa di diabolico perché il tutto viene interpretato secondo canoni materiali, perché ci si distanzia dalla spiritualità. La repubblica cristiana: le responsabilità del sovrano e i doveri dei sudditi Agostino auspica che la città degli uomini possa diventare una repubblica cristiana nonostante le sue origini “diaboliche” (da diaballo = separare), che possa esserci sempre un'unione con la “Città di Dio”. Bisogna sempre essere consapevoli che il potere terreno del sovrano è un potere effimero; il vero potere viene legittimato dalla divinità, il sovrano dovrebbe far sì che il potere divino possa essere riflesso nel suo regno (e da ciò il favore che Agostino ha nei confronti dell'Imperatore Teodosio nonostante non sia un re cristiano). In questo modo soltanto è possibile che la giustizia, come principio trascendente e l'equità possano realizzarsi all'interno della “città degli uomini”. Questo comporta che il potere temporale debba essere sottomesso al potere spirituale. L'Imperatore così avrebbe assicurato non solo il potere ma anche l'autorità, ovvero la legittimità dell'esercizio del potere stesso. Questa interpretazione segue la legge della provvidenza, la quale può far mutare in positivi determinati avvenimenti storici ritenuti negativi e catastrofici in (exitus agostiniano = uscita da sé e ritorno sulla terra come azione positiva). Secondo Agostino è necessario ubbidire alle leggi imposte dall'Imperatore perché il regno, la repubblica cristiana ha come fine quello di far regnare la pace terrena che si riflette in una specie di armonia, concordia tra gli elementi apparentemente opposti. Anche nell'uomo devono esserci pace e armonia. C'è una pace naturale che si riflette nella situazione famigliare: rapporto tra dominanti (pater familias) e dominanti, genitori e figli, padroni e schiavi. Questo rapporto rispecchia quello dell'obbedienza sudditi-sovrano. La pace divina La pace che caratterizza la “Città di Dio” è una pace eterna, la pace dei giusti. La giustizia è un principio trascendente che dà a ciascuno il suo posto (richiama l'immagine platonica di giustizia distributiva: ciascuno fa ciò che è portato a fare nella misura in cui può farlo). E' una pace che porta all'ordine divino, cosmico, che porta all'armonia, che si auspica sia possibile anche all'interno della “città dell'uomo” ma che potrà essere realizzata pienamente soltanto alla fine dei tempi, quando Gesù individuerà gli effettivi cittadini della città divina. Questo modello che identifica nella Gerusalemme celeste una terra promessa richiama il modello di perfezione che si ritroverà anche all'interno di altri pensatori. Questa dicotomia “godimento dei beni materiali” - “godimento dell'amore divino” porta alla frattura degli uomini tra buoni e cattivi. Come l'utopia platonica è rintracciabile in Tommaso Moro, l'idea agostiniana è rintracciabile nella “città del sole” di Campanella. UTOPIE CLASSICHE Cosa significa utopia? “Utopia” deriva dal greco ουτοπία, parola composta da -οὐ e -τόπος ossia ou/eu-topos (=“non luogo”): il significato dipende dal dittongo che si sceglie. “OU” è negazione → non luogo, “EU” è “bene” → migliore dei mondi possibili. Questa strana combinazione sembra suggerire l’inesistenza del mondo perfetto. Le utopie si pongono in contrasto con la realtà presente. A differenza dei miti, che accomunano una determinata comunità e non si sa quando sono sorti, l'utopia è una costruzione razionale, è qualcosa di pensato e voluto dall'autore, volto alla critica della società in cui egli vive e spesso anche al rovesciamento della stessa realtà: attraverso l'utopia si pensa di trasformare il mondo in un mondo migliore, attraverso l'utopia si può realizzare il modello del centro. Da un lato l'utopia è una realtà puramente ideale, desiderabile, dall'altro c'è anche il tentativo di realizzazione di questa realtà. Utopia = stato perfetto (ovvero l'“Isola che non c'è”). L’utopia: - Può essere vista come fine (vd “città del sole” di Campanella) in quanto il fine della storia vista come progresso porterà alla sua realizzazione. - E’ presente anche nell'arte (vd Edoardo Bennato →“L’Isola che non c’è”, Claudio Lolli → “L’isola verde della felicità”) come mondo migliore nel quale ritrovare se stessi ed essere felici. - Come genere è caratterizzata dal fatto che a questo mondo perfetto si giunge attraverso un viaggio, che può essere divari tipi: - voluto - dovuto ad un naufragio (vd “Nuova Atlantide” di F. Bacono) - attraverso un sogno: mondo possibile che sfida l'impossibile “Utopia” di Tommaso Moro Il viaggio porta alla scoperta di questo mondo meraviglioso, come nel caso di Raffaele Itlodeo, il narratore di "Utopia" di Tommaso Moro che ne racconta le caratteristiche. In "Utopia", neologismo coniato da Moro stesso, coincidono questi due significati (fine della storia e mondo perfetto irrealizzabile), anche se sembra che prevalga l'aspetto dell' “Isola che non c'è”. Raffaele Itlodeo è un navigatore, il suo cognome significa "conta frottole" (da’ l’idea che tutto il racconto possa essere un'invenzione di questo personaggio); tutti i nomi delle città, dei fiumi, dei personaggi cominciano con la A (privativa) → Ademo = principe senza sudditi, Anidro = fiume senz'acqua, Amauroto = città nascosta, nebbiosa, senza età (assimilata a Londra, richiama anche l' “Isola che non c'è” di Peter Pan, oppure l'isola di Avalon, che è mascherata e dev'essere ritrovata ma potrebbe anche essere inesistente). E’ presente la tematica del nulla: il conta frottole ci raffigura come esistente un paesaggio, una situazione che potrebbe non esserlo. L'isola (prima era una penisola, ma l’istmo che la congiungeva al continente venne fatto tagliare) si chiamava Abraxa, nome che richiama Abraxas, la divinità gnostica della perfezione: il fatto che manchi la “S” finale fa pensare che tanto perfetta quest’isola in realtà non sia. Senza “S” finale la somma delle lettere porta al numero 165, che è un numero imperfetto. La critica sociale Moro scrive questo "libello", come lui stesso lo definisce, per criticare l'Inghilterra del suo tempo (1400-1500). La critica (pars destruens) segue la pars construens nel libro. Tommaso critica l'Inghilterra del suo tempo da vari punti di vista. L’origine di vari mali sociali in Inghilterra viene identificata da Moro con la trasformazione della società che da agricola diviene dedita alla pastorizia, cosa che comporta gravi disagi e malanni all'interno della nazione → il territorio viene trasformato, serve un solo pastore per le pecore mentre per un terreno servono più braccianti. Con l’agricoltura c'era più lavoro per il popolo, mentre l’allevamento provoca un indebolimento e impoverimento della classe contadina nei confronti dei nobili, che sfruttano gli allevatori e possono licenziare a loro piacimento gli altri servi: si crea un oligopolio nella società inglese. E’ la stessa critica che farà Marx ne “Il Capitale” nei confronti del capitalismo: i pochi che detengono i mezzi di produzione –in questo caso le pecore-, il capitale e la possibilità di disporre liberamente dei lavoratori, possono determinare a loro piacimento i prezzi e i salari, creando così un divario sempre più forte tra ricchi e poveri. Questi ultimi non hanno altra soluzione che dedicarsi al furto (altro tipo di degrado sociale) che all’epoca era condannato con la pena di morte → praticamente i padroni detengono il potere di vita o di morte. Moro propone una soluzione attraverso il racconto di Itrodeo, che prende come esempio il paese persiano dei polielti? ("i chiacchieroni") dove si richiede a chi ha rubato di risarcire l'oggetto del furto con qualcosa di pari valore, e quando ciò non fosse possibile la pena non è la morte ma una espiazione della propria colpa attraverso il lavoro socialmente utile, oltre alla condanna a vestire di bianco, tagliare i capelli e un pezzo d'orecchio (ammonimento e marchio). Moro condanna inoltre lo stato inglese e francese per il loro esercito permanente. Secondo lui i soldati sono dei parassiti sociali, sono dei braccianti che anziché intraprendere la strada del crimine vanno a combattere. Secondo lui è un esercito di mercenari che porta alla possibilità di continue guerre (Tommaso critica le guerre di invasione, di espansione). Attraverso la critica all'esercito critica anche la monarchia che lo mantiene e le sue mire espansionistiche: il sovrano pensa solo a se stesso e oltretutto non è sottomesso nemmeno alla legge. Tommaso auspica una monarchia al governo che si attenga alla legge oltre che applicarla. Soluzione a questo mondo imperfetto è l'utopia. L'isola, una sorta di embrione immerso nel liquido amniotico che è il mare, cresce a forma di luna crescente: la speranza è quella che crescendo si possa rendere visibile e si possa realizzare nella realtà. Utopia è formata da 54 città tutte quadrate, sul quarto lato le città si affacciano sul fiume Anidro. La città è strutturata molto geometricamente, divisa in 4 parti (l'immagine della città richiama un mondo perfetto, la divisione in 4 richiama la croce) e composta da famiglie: la cellula sociale basilare di Utopia è la famiglia, non l'individuo in senso stretto. Ci sono 30 famiglie composte ciascuna da 40 persone tra uomini e donne e 2 schiavi. Questo nucleo al cui capo c'è un maschio si divide in 2: 20 rimangono nella città e 20 vanno a lavorare nelle campagne → tutti partecipano in maniera diversa alla produzione. La struttura è così geometrica anche nelle case: molto grandi, quasi dei dormitori, hanno 2 porte speculari sempre aperte che si affacciano l'una sul giardino e l'altra in strada. Le famiglie mangiano in refettori comuni divisi specularmente: maschi e femmine siedono gli uni di fronte alle altre. Mangiano cose in comune provenienti dai 4 mercati della città. Tutto in Utopia è altamente regolato e organizzato, non esiste la proprietà: c'è la comunione dei beni, tutti devono lavorare 6 ore al giorno tra mattina e pomeriggio, le ore di riposo sono 8, nelle ore restanti ognuno può imparare a fare un mestiere diverso dal proprio o dedicarsi ad altri interessi come ad es. la lettura. Non c'è tempo per l'ozio, tutti sono impegnati e nessuno è dispensato dal lavorare eccetto una trentina di letterati dediti alo studio (identificati come sacerdoti). Le leggi sono pochissime, tutto è pubblico, in comune. Il potere politico è identificato in una sorta di democrazia patriarcale: viene eletto un principe sulla rosa di 4 candidati scelti dalle famiglie delle 4 ripartizioni della città. A questo principe si associa un senato formato da 200 tranibori, che sono a capo dei 10 magistrati (sifogranti nella loro lingua originaria o filarchi in quella attuale) che vengono eletti ogni anno dalle 30 famiglie. "Patriarcale" nel senso che è tutto a base maschile. Il principe deve fare un giuramento: il suo comportamento pubblico dev'essere funzionale al bene del paese. Ogni 3 giorni giudici e principe si incontrano per discutere degli affari pubblici (controllo reciproco per evitare comportamenti tirannici). Dal punto di vista religioso c’è una sorta di religione cristiano-edonistica (si ricerca la felicità), c'è una tolleranza però nei confronti di tutte le altre possibili religioni, per il principio secondo cui la religione fa da collante, serve a tener uniti i popoli. L'unica cosa assolutamente vietata, pena l'espulsione, è l'ateismo: l'ateo, uomo senza fede, non ha regole da seguire, può far nascere lotte intestine, ribellioni. Per quanto riguarda i riti ci possono essere sia sacerdoti che sacerdotesse (a patto che siano anziane o vedove). La guerra è prevista a patto che non sia espansionistica (possono esserci guerre giuste come quelle per la liberazione dall'aggressore di altri territori sulla terraferma. L'esercito non è permanente, i soldati non possono usare le armi ma piuttosto la corruzione (attraverso lusinghe ecc.) Gli abitanti di Utopia disprezzano l'oro e il denaro, che in tempo di pace viene usato per fare i giocattoli e in tempo di guerra viene usato come merce di scambio per ottenere la pace. VII LEZIONE lunedì 09/01/2012 Appunti di Margherita Roiatti All’interno del pensiero filosofico si viene a realizzare l’idea della città perfetta: - Platone: mondo perfetto nella Repubblica, con una città dotata dei tratti costitutivi dell’essere umano. Come la comunità deve essere retta in maniera armonica per essere perfetta, così ogni individuo deve mantenere in equilibrio i suoi principi costitutivi. - Agostino: esempio di Caino e Abele. Il genere letterario dell’utopia nasce dalla creazione razionale di un determinato pensatore: 1’opera utopica per eccellenza è Utopia di Tommaso Moro, sviluppata in forma dialogica (come gli scritti platonici) per fare emergere la verità delle cose. Moro parte dalla critica alla società del suo tempo, necessaria per proporre ai lettori un modello diverso dalla realtà in cui vivevano. Il modello perfetto è fatto descrivere da un personaggio del dialogo, Utopo, che narra della nascita di un nuovo mondo perfetto, di un’isola da una penisola. L’urbanistica della città è perfetta: essa è quadrata e divisa in quattro per un’equa distribuzione dei beni, non esiste la proprietà privata né il lusso (l’oro è usato solo per fare giocattoli o corrompere gli stranieri che vogliono entrare nella città). È uno spazio armonico, perfetto (quadrato con una croce iscritta che individua un centro e divide la città in parti identiche). Serviet (?) fa un parallelo tra la costituzione utopica di Moro e l’impero Inca (il dio Sole e la sua sposa e sorella Luna mandano il figlio sulla terra per governare gli uomini). Una terra si ordina proprio fondando una città su un luogo ritenuto sacro. L’organizzazione avviene non solo nella suddivisione del territorio ma anche attraverso un censimento per poter organizzare una grande comunità attraverso una lingua comune e la legge del numero (principio matematico adottato anche da Moro). La terra viene coltivata ma i beni sono in comune. La popolazione è soggetta anche ad un’organizzazione lavorativa abbastanza rigida. Cambia anche il calendario. La popolazione viene organizzata per la sua salute anche attraverso modi di vestire e il matrimonio dopo i 25 anni diviene un ordine del sovrano. L’oro viene utilizzato nella costruzione dei palazzi e dei templi, diviene un materiale utile, non che fa arricchire (vd Inca). La religione ha dei richiami: se in Moro c’è il dio Mitra, gli Inca adorano il Sole e la Luna. La città del Sole di Campanella I viaggi di Colombo influenzano anche le altre due classiche utopie: La nuova Atlantide di Francesco Bacone e La città del Sole di Tommaso Campanella. La città del Sole è un’opera del 1602 scritta da un frate domenicano calabrese che andava predicando l’avvento di un nuovo mondo, di una nuova repubblica cristiana fondata da un unico sovrano-sacerdote (“un ovile un pastore”), un nuovo duce, un condottiero che sarebbe stato capace di rifondare l’umanità e ridarle la ricchezza spirituale che aveva perso. Lo scopo dell’opera era anche quello di castigare l’istituzione cattolica perché la Chiesa era troppo legata ad interessi temporali e Campanella riteneva auspicabile riformare istituzioni e uomini. Ciò comportò il suo arresto e la condanna, ma fingendo la pazzia il frate riuscì a salvarsi. Una volta interrogato spiegò i principi del suo pensiero, riportati tutti ne La città del Sole. Questa nuova repubblica doveva realizzarsi perché le condizioni astrologiche lo imponevano: 2412-1603 (=giorno del solstizio invernale + passaggio all’era dei pesci, 5565 anni del mondo etc.). In quella data ci sarebbe stata la piena espressione del genere umano ad Eliopolis (nell’odierna isola di Silo sotto l’equatore). La città-stato-repubblica ha un’interessante struttura simbolica: è posta su una collina ed è caratterizzata dal fatto che la pianura è circondata da 7 cinta di mura collegate da delle strade che aprono 4 porte secondo i punti cardinali → simbolismo zodiacale: il sole in centro con le orbite dei sette pianeti. All’apice della collina troviamo un tempio appoggiato su delle colonne istoriate a forma di serpente al cui interno troviamo un libro - quello della sapienza - d’oro poggiato su un altare, due mappamondi (uno rappresenta la terra e l’altro il cielo) e sette candelabri tenuti sempre accesi (= fiamma della salvezza, dell’illuminazione). Il 7 è il numero perfetto, è Dio, è il numero del compimento, il 3 è il principio maschile, l’anima, il 4 è il principio femminile, la materia. Il sole in questa rappresentazione ha 7 raggi, di cui 6 sono diretti verso la circonferenza e uno punta al centro. Questa stessa simbologia la troviamo nel mondo occidentale nel ‘10. Eliopolis può essere chiamata “città radiosa”. Le mura sono affrescate e al loro interno ed esterno vengono rappresentate tutte le arti, risultando una sorta di libro aperto a chi le visita. Il rappresentante del potere spirituale e temporale è un sovrano che “in lingua nostra” è il Metafisico ed è la personificazione del sole, è invisibile, è scelto tra gli isolani, mantiene la carica a vita, è il più sapiente dei solari, richiama il filosofo-re platonico. Eliopolis viene governata attraverso 3 principi collaterali del metafisico che rappresentano le tre primalità dell’essere: - Pon (Potenza). La potenza è ogni essere in quanto può essere. Ha cura della guerra e della pace, ha cura della protezione della città assieme a degli ufficianti eletti dal consiglio del popolo tra i migliori. - Sin (Sapienza). Ogni essere in quanto sa di essere. Ha cura di tutte le scienze sia liberali che meccaniche e ha anche degli ufficiali che rappresentano tutte le scienze e le arti che sono affrescate sulle mura dove vengono affrescati anche tutti gli esseri animati e non animati, attraverso il cammino tra le mura ognuno può apprendere tutte le scienze e le arti - anche i bambini dopo aver imparato il linguaggio. - Mor (Amore). Ogni essere che in quanto essere ama il suo essere. E’ l’amore e ha funzione del controllo della generazione, deve creare una comunità sana, con i suoi ufficiali, le maestre e l’astrologo programma le nascite, nessuno può scegliersi il compagno - le donne possono accoppiarsi dopo i 19 anni e gli uomini dopo i 21 -, gli accoppiamenti avvengono ogni 3 giorni (uno dei primi progetti di eugenetica). Si occupa anche della scelta dell’alimentazione, della pulizia del corpo e dello spirito attraverso la ginnastica. Tutti si cibano assieme durante la lettura di un libro o mentre vengono intonati canti. Non esiste né la famiglia né la proprietà, tutti sono vestiti ugualmente con una tunica bianca e dei “leggins” al ginocchio per le donne e sopra il ginocchio per gli uomini. L’educazione fa capire le inclinazioni individuali, dopo i 7 anni i bambini vengono divisi in classi e 4 squadre. Dio è un essere infinito e può mostrarsi in diverse forme. Ci sono molte analogie con la religione cristiana: sole-dio, angeli, le anime che dopo la morte sono trasposte in un altro mondo dove vengono distinte tra buone e cattive - quelle che hanno avuto un legame con il nulla, il non essere -. Eliopolis è finalizzata al bene pubblico, comune. (I puffi e Gargamella = sogno, Birba = capitalismo, Puffetta = emancipazione femminile, principio comunista con i tacchi, grande puffo = Marx, il cappello è la fonte di identità del loro mondo). La nuova Atlantide di Bacone La nuova Atlantide è un racconto utopico incompiuto scritto da Francesco Bacone nel 1626 e pubblicato postumo nel 1627. Atlantide è menzionata anche da Platone anche se viene da lui collocata in una zona differente, Bacone la situa in America. L’Atlantide di Platone venne fondata da Poseidone con il matrimonio con Clio, la città prende il nome da Atlantide, il loro primogenito. L’isola basta a se stessa, ha un minerale pregiato di cui è fatta una colonna su cui vengono scritte le leggi della città, divisa in 10 parti. È una città virtuosa grazie ad ogni suddito. Distrutta da Atena, o da un cataclisma, non è più perfetta. Viene governata da un sovrano ma vengono indette anche delle assemblee. Ha una struttura circolare, al centro c’è il templio e anche il palazzo in cui soggiorna il re. Il templio è protetto da 10 cerchia di mura e da fossati. Le mura non sono affrescate ma ad ogni cerchio corrisponde una funzione della città. E’ una città radiosa e perfetta, diversa dalla Nuova Atlantide, l’utopia con un assetto più conservatore e meno utopico. Nella nuova Atlantide Bacone esprime il suo ideale di città perfetta e il fine dell’uomo che si realizza attraverso l’impianto tecnico-scientifico. Il regno di Bacone è quello in cui si esprime una comunità scientifica, la scienza è da lui intesa come conoscenza e potenza: attraverso di essa è possibile mutare le azioni dell’uomo ed i suoi comportamenti, la scienza ha il compito di migliorare le condizioni umane, la sua potenza porta ad un mondo perfetto potenziando la società e l’uomo in senso stretto. La nuova Atlantide è comunque un’isola, posta nei mari del sud, ha un’origine mitica, Salomone aveva fondato questo regno a seguito di un naufragio che ha portato questo legislatore ed i suoi marinai ad imbattersi in un pilastro di luce grandissimo sovrastato da una croce. Avvicinandovisi il pilastro e la croce sono esplosi in miriadi di stelle mostrando l’isola su cui è stata trovata un’arca di cedro - legno sacro - asciutta, seppur tra i flutti, contenente i libri del nuovo e vecchio testamento e una palma - indica un luogo sacro, salvezza e rigenerazione -. Pilastro = axsis mundi, croce = direzione. È un’isola che può essere conosciuta solo se si intraprende un viaggio e si subisce un nubifragio che disorienta. Ai naufraghi viene offerta un’ospitalità particolare, si ritrovano a poca distanza dalla terraferma e trovano nella nave una pergamena in cui la popolazione di Atlantide si presenta, poi anche attraverso degli ambasciatori agghindati tra sacerdoti e magistrati. I naufraghi possono sbarcare solo a delle condizioni: essere cristiani, non essere pirati, non aver sparso sangue per 40 giorni. I naufraghi vengono accolti nella casa dei forestieri nei pressi della costa, distante dalla città propriamente detta, trascorrono 3 giorni in pseudo isolamento in questa casa, poi possono spostarsi ma non possono superare il raggio di un miglio e mezzo. Vengono accuditi e rinfrancati però emarginati. Dopo un tot. di tempo possono ripartire ma non possono entrare nella città. Questa è descritta dall’ambasciatore come città fondata da Salomone, retta da un sovrano con una monarchia illuminata, i cui abitanti praticano la religione cristiana e conoscono il mondo - compiono viaggi di esplorazione ogni 12 anni - ma gli altri non conoscono loro. Gli isolani sono isolati ma autosufficienti. La città è definita come casta e pura perchè non ha contatti con il resto del mondo, è incorruttibile. La struttura della città è molto simile a quella dell’Inghilterra del tempo, si fonda sulla famiglia che non viene abolita ma è la cellula primordiale della nuova Atlantide, è una famiglia di tipo patriarcale, composta di almeno 30 componenti, per sposarsi serve permesso del capofamiglia - altrimenti si hanno fastidi con l’eredità di cui si può disporre solo per ⅓ -. Non c’è un principio di uguaglianza ed esistono differenze di rango. Gli scienziati fanno parte di una classe a sè. Esiste la proprietà privata. Gli scienziati sono l’unico elemento innovativo e risiedono nella casa di Salomone dove avvengono degli esperimenti, dove il sapere scientifico viene potenziato per il miglioramento della società. Il fine di questa istituzione è la conoscenza delle cause dei movimenti delle cose per l’attuazione di ogni possibile obiettivo. Il potere assoluto è raffigurato dal trono di Salomone i cui piedistalli sono dei leoni stilofori (rappresentazione dei giudici che sottostanno al potere sovrano): è il potere che può muovere guerra (no eserciti come sola difesa come nelle altre utopie). Le utopie sotto il profilo simbolico si presentano come rimozione, affrancamento dalla figura del padre, sono una rappresentazione dell’archetipo materno (protezione importante di ciò sono le cerchia di mura che abbracciano le città ed evidenziano come la madre possa essere possessiva verso gli individui; è una madre che necessita obbedienza e organizza tutto, che mantiene in uno stato infantile gli esseri umani sotto il suo controllo). Il rifiuto del lusso rappresenta l’archetipo femminile che appaga tutti quelli che vi abitano ma con controllo, desiderio e nostalgia dei primordi della terra, il cambio dell’abito simboleggia la rinascita. L’urbanistica viene a rappresentare un ordine perfetto seppur con delle differenze: la rappresentazione delle città viene fatta attraverso il cerchio, che rinvia all’identità e all’appartenenza, e il quadrato che unisce in sé identità e differenziazione. Il cerchio richiama il movimento e la dinamicità - i nomadi hanno tende tonde -, il quadrato stanzialità e fissità quadrato. Il cerchio rimanda all’abbraccio, all’anello, alla tavola rotonda, è un elemento che abbraccia e affratella, può restringersi ed allargarsi. Nel quadrato ci sono differenziazioni date anche dalle spigolature che rappresentano l’elemento maschile nell’elemento femminile. Il cerchio rappresenta il cielo (3), il quadrato la terra (4). Il quadrato si materializza nel simbolo della croce, che da’ una direzione e una spazialità, che tende verso le 4 direzioni dello spazio (es. punti cardinali, porte verso altri mondi); la croce greca provoca identità, quella latina distinzione dello spazio gerarchica, la croce può essere posizionata in alto per dare ascensionalità e sacralità al luogo. La sfera invece è simbolo di totalità (cupola sopra il templio) che può avere una croce sopra (vd sfera degli imperatori nella mano sinistra) o sotto e si identifica con il principio femminile. In Campanella c’è un sistema piramidale, c’è una gerarchia (triangolo che può essere ribaltato a seconda delle visioni). Guardando la città del Sole con la comunicazione vari cerchi possiamo visionare anche una sorta di spirale che può avvolgersi e riavvolgersi con un movimento ascensionale o discensionale, nel quadrato diventa un labirinto che porta alla perfezione e alla conoscenza (come nel cerchio). Le utopie che partono da una critica ad una società a loro contemporanea propongono un progetto che porta dalle aspirazioni dell’autore a dei cambiamenti. L’autore è l’interprete di determinate riforme per una società in cui vive che vede come corrotta (si aspira ad una comunità con valori condivisi, non a una società come somma di individualità che non tendono al bene comune). Nel progettare questa nuova possibilità di vita a volte si attinge all’immaginario, poi col tempo comincia ad essere sovrapposto ad un pensiero scientifico - fantascienza -. Caratteristiche essenziali delle utopie - Concezione della natura umana come temuta → si progetta e programma un uomo nuovo che corrisponda ai bisogni della comunità e all’ideale, gli uomini sono concepiti come fatti da una stessa matrice, sono uomini docili, obbedienti, che tendono al benessere e alla ricerca della felicità che di conseguenza viene ad essere rintracciata sulla terra e non alla fine dei tempi (vd Agostino e pensiero aristotelico). - Possono presentarsi come un progetto realizzabile ma anche un sogno, una chimera (la tensione nei confronti dell’utopia di un mondo perfetto è comunque sempre presente). - Progetti utopici come rinnovamento del mondo e di se stesso → miti di rigenerazioni già presenti nell’inconscio e nascosti dal modo di vivere razionale. - L’utopia oltre a varcare lo spazio (u-topos) varca pure il tempo diventando ucronia. VIII LEZIONE giovedì 12/01/2012 appunti di Chiara Pozzan UCRONIA L’u-topia può venire prolungata in una sorta di u-cronia. Non è sempre la ricerca di un logos migliore ma anche di un tempo con le stesse caratteristiche. Se l’accesso all’u-topia avviene attraverso un viaggio, l’accesso all’u-cronia avviene attraverso un sogno, che potrebbe sembrare divergere dal modello ma in realtà dal punto di vista simbolico non risulta assolutamente. Il sogno, come il viaggio, implica una sorta di trasformazione, di “morte” simbolica. Il viaggio e il sogno conducono in una dimensione differente, in una realtà immobile, senza tempo. L’utopia da un lato richiama il paradiso perduto, dall’altro evidenzia l’anelito dell’uomo nei confronti della terra promessa. L’anno 2440 di Mercier Esempio classico dell’ucronia: romanzo di Louis-Sébastien Mercier pubblicato nel 1770 a Londra in forma anonima intitolato L'An 2440, rêve s'il en fut jamais (L’anno 2440, sogno se mai ve ne fu uno). L’attenzione di Mercier lo porta a varcare i confini del tempo. Il protagonista (lui stesso) sogna di risvegliarsi in un mondo futuro, 700 anni dopo e si ritrova nella stessa città in cui ha vissuto, Parigi. E’ una città totalmente cambiata. Questo spostamento temporale implica una concezione di tempo, presente nel XVIII secolo, che risulta essere legato a un progresso, a un avanzamento verso la perfezione dell’uomo e dell’umanità. Il tempo è così rappresentato simbolicamente attraverso una freccia, non come un cerchio. Sta a significare che l’uomo è in grado di migliorare se stesso attraverso il progredire delle sue conoscenze. Tutto è trasformato: Parigi da un punto di vista di organizzazione urbanistica ma soprattutto l’uomo, che non più è un uomo corrotto ma illuminato dalla natura, dalla ragione, un uomo che è riuscito a recuperare il suo stato originario, che è tendente alla perfezione attraverso la ragione e di conseguenza attraverso l’organizzazione della città, della società. Questa società del futuro è l’immagine del cambiamento che va dal particolare (Parigi) all’universale (l’intero globo). Il protagonista infatti, leggendo i giornali ha la percezione di questo cambiamento globale (avvenuto in Europa come in Giappone, in Cina, in Russia). Tutto si è trasformato attraverso la conoscenza e l’applicazione di questa ragione illuminata. Es. Cina: il loro linguaggio simbolico-concettuale viene superato in quanto non necessario, c’è una lingua comune che si basa su determinate lettere universalmente conosciute. Anche alcuni nomi vengono eliminati: la parola zar non esiste più, si è trasformata in legislatore (sottolinea il fatto che è soggetto solo alle leggi della ragione). A Parigi c’è una rivoluzione che viene attuata da alcuni sapienti che sono privi della volontà di raggiungere il potere: la loro rivoluzione ha come sola finalità la trasformazione in meglio dell’uomo e della società. In questa cerchia di sapienti si staglia il sovrano illuminato Luigi XXXIV. L’idea della monarchia illuminata richiama alcuni pensieri filosofici del tempo. Mercier si lega dal punto di vista teorico al pensiero liberale richiamando John Locke e Charles-Louis de Montesquieu. A questo sovrano viene affiancato il potere del senato e delle assemblee (potere legislativo), inoltre c’è la possibilità che all’interno di ogni villaggio e borgo (borgo richiama la parola borghesia, classe emergente in quel periodo) ci sia un’assemblea di cittadini. La società è una società di tipo industriale, l’industria è il motore di Parigi e quindi dell’Europa, del mondo intero. La Bastiglia viene eliminata, al suo posto viene eretta la statua della Clemenza. Vi sono altre statue in tutta la città: la statua rappresentante l’eroe leggendario svizzero Guglielmo Tell che sorride ad un’altra statua, sua sorella la Filosofia; la statua dedicata al vendicatore del nuovo mondo che viene rappresentato attraverso la figura di un negro, il liberatore del continente americano, emblema della liberazione e della tutela del diverso. Questo testo viene considerato un incipit, un principio della rivoluzione francese. Parigi è organizzata in maniera perfetta, non c’è sopraffazione, nessuno tende al proprio interesse personale, tutti gli uomini vengono educati ai propri diritti naturali e alle proprie libertà, che sono oggetto di protezione di varie dichiarazioni universali. Nella Parigi del futuro viene introdotto il senso unico per risolvere i problemi di traffico: si doveva tenere la destra, dare la precedenza e tutto è ordinato secondo la necessità di dare ordine alla città in modo che tutto si svolga in maniera armonica. Ciò comporta anche un ridimensionamento della delinquenza: ognuno doveva tutelare i propri diritti e rispettare quelli del prossimo. Il passato inoltre doveva essere totalmente rimosso, non esisteva la memoria storica. La rimozione avviene attraverso la distruzione della Sorbona e della lingua greca e latina. L’educazione dei cittadini sudditi era pensata per avere effetti a lungo termine, finalizzata al controllo degli individui. Gli autori dissidenti non vengono incarcerati, circolano liberamente per Parigi ma indossano una maschera che filtra le loro idee, che rappresenta quello che devono essere in conformità a ciò che la società vuole, e non ciò che sono realmente. I sapienti cercano di convincere i dissidenti e, se la cosa non funziona, si ricorre a due alternative: la prima prevede la bocciatura di tutti gli iscritti, la seconda la reclusione nelle carceri (poste, insieme agli ospedali, fuori dal perimetro della città). IL PENSIERO LIBERALE Attraverso il racconto di Mercier possiamo analizzare il pensiero liberale dell’epoca. Locke e Montesquieu vivono a cavallo tra ‘600 e ‘700. Il fil rouge che li accomuna è l’interpretazione del diritto naturale: entrambi possono essere definiti giusnaturalisti. 1. JOHN LOCKE Mantenendo un’interpretazione storica analizziamo il pensiero di Locke, medico malaticcio britannico che riflette su questioni filosofiche e politiche. Scrive i Due trattati sul Governo: una critica al pensiero corrente dell’epoca che considerava il potere solo come assolutistico, patriarcale. Vissuto a cavallo tra il ‘500 e il ‘600 in Gran Bretagna il filosofo Robert Filmer scrisse il "Patriarca o il potere naturale dei re", la sua opera più famosa che fu pubblicata postuma nel 1680. Riferendosi alla tradizione cristiana Filmer notò come il potere, che per forza deriva da Dio, viene affidato ad Adamo (pater familias). Il diritto divino viene quindi associato al diritto-potere del pater familias. Secondo Locke questo postulato non è altro che un falso principio perché se da un lato è vero che Adamo ha avuto questo potere assoluto da Dio, dall’altro non ne possiamo dedurre che questo potere venga trasferito in eredità ai sovrani. L’impostazione di Filmer risulta quindi essere fallace. Locke si chiese quale fosse l’origine del potere: anche l’ipotesi secondo la quale il potere, che nel mondo animale appartiene al più forte, può essere identificato con un atto di forza o di violenza è fallace. Locke infatti basa la sua interpretazione del potere sul diritto naturale, che non ha un valore descrittivo ma prescrittivo: il diritto naturale vincola l’uomo, che in quanto tale deve conformare ai sui dettami il proprio comportamento. Si propone così un nuovo soggetto del diritto, l’individuo stesso (impostazione soggettiva, non oggettiva). Esistono dunque i diritti naturali dell’uomo, non si parla più di suddito che dipende dalla volontà sovrana ma di individuo che ha una sua volontà che coincide con una caratteristica peculiare del soggetto, la ragione. La ragione permette all’individuo di conoscere i suoi diritti naturali e di comportarsi in maniera adeguata secondo queste regole, che gli sono proprie. Questa analisi di Locke si basa sul presupposto secondo il quale l’essere umano non possiede conoscenze innate, ma solo le conoscenze derivate dall’esperienza e dall’evidenza: l’uomo può codificare solo attraverso la ragione, che è uguale per tutti gli individui. Tutti gli uomini in quanto tali possiedono la ragione, a differenza degli altri esseri animati. La ragione quindi rende tutti gli uomini uguali. Gli uomini vivono in una condizione di ragionevolezza e collaborazione perché si comportano seguendo i dettami della ragione. Le fasi del modello contrattualistico Nei confronti del pensiero politico Locke si rifà al modello contrattualistico che sviluppa la sua analisi in varie fasi: 1. Stato di natura. Lo stato di natura di Locke, una sorta di ipotesi logica su cui si viene a costituire lo Stato Sociale (soggettivo e liberale) prende spunto dalla condizione dei pellerossa nel continente americano: sono individui che non vivono all’interno di una struttura sociale, sono allo stato brado, non ci sono forme di regolamentazione se non quelle proprie del gruppo. Questo stato di natura ha determinate caratteristiche: è uno stato essenzialmente individualista, riflette una somma di individui che sono tutti uguali, indipendenti e soprattutto esseri ragionevoli (= che si comportano secondo ragione). Stato di natura = stato di assoluta ragionevolezza in cui gli uomini sono assolutamente liberi. Lo stato di natura è estremamente tranquillo, pacifico, non ci sono lotte né soprusi. Il diritto corrisponde alla legge naturale, e nessuno la trasgredisce, tutti gli uomini sono collaborativi e benevoli nei confronti dell’altro. Il male all’interno di questa condizione non esiste: essendo tutti uguali nuocere agli altri equivale a nuocere a se stessi. Non esiste un giudice che sanzioni le violazioni, è lo stesso individuo che regola queste violazioni e le fa superare, è una sorta di giustizia privata, sempre nel rispetto dell’altro. Ogni individuo possiede 4 (5) diritti naturali primari: - la vita - la libertà - il diritto di farsi giustizia da sé (in realtà necessita dell’intervento di qualcuno che sia in grado di fare giustizia garantendo l’uguaglianza) - l’appello al cielo (a cui ci si può appellare però solo successivamente alla costituzione dello Stato Sociale) - il diritto proprietà. Quest’ultimo è detto diritto “uno e trino” perché senza proprietà non c’è né libertà né vita. La proprietà non è un possesso, un avere, bensì deriva dal lavoro che ognuno fa all’interno di questa condizione naturale. Il lavoro è una sorta di estrinsecazione della personalità, la trasformazione di una cosa in qualcos’altro e giustifica il possesso dei beni creati, a patto che servano alla propria sopravvivenza e non abbiano lo scopo di sopraffare l’altro. 2. Contratto. Il lavoro come passaggio allo stato sociale è legato all’introduzione della moneta, che ha un valore di scambio. Si crea una condizione di disuguaglianza dovuta alla creazione di vari strati sociali. E’ necessario superare la condizione dello stato di natura, nel quale non ci sono leggi codificate, scritte, certe e ciò comporta una condizione di non-libertà, non-felicità e nontutela per alcuni. E’ necessario che gli individui si uniscano attraverso un contratto per costituire la società civile, una convivenza in cui i diritti naturali sono tutelati e garantiti. Gli uomini devono associarsi, formare il “patto di unione” al fine di garantire una vita pacifica e felice a tutti. Questo contratto avviene attraverso una parola chiave: il consenso di tutti gli individui. 3. Costituzione della società civile e dello stato. Attraverso il consenso gli individui costituiscono un’unica comunità e governo, sono incorporati in un unico corpo politico in cui la maggioranza ha il diritto di deliberare e decidere per tutti gli altri senza mai prescindere dal contratto, che protegge i diritti inalienabili degli esseri umani. Lo stato ha quindi origine da un atto volontario degli individui, che li porta a costituire la “sovranità popolare”. Gli individui diventano popolo, un insieme di soggetti che hanno il diritto di voto. Ad ogni individuo viene garantita la sua estrema dignità e tutti i bisogni di libertà. Dal momento che gli stati possono non essere facilmente gestibili a causa del numero di consociati, devono modularsi attraverso il principio della maggioranza. E’ attraverso la maggioranza che il corpo sociale viene governato. Il principio di maggioranza corrisponde perfettamente al fine del contratto (protezione della proprietà ecc.) e quindi agli occhi di Locke è ragionevole, perché esprime la decisione di un gruppo che in realtà rispecchia l’unanimità dei soggetti → la maggioranza corrisponde al corpo politico, a tutti coloro che hanno sottoscritto il contratto. Il potere della maggioranza è un potere naturale. Le forme di governo Ci sono varie forme di governo possibili, dipende dal modo in cui viene esercitato il potere: 1. Governo di tutti: democrazia 2. Governo di pochi: aristocrazia 3. Governo di uno: monarchia La divisione dei poteri Nel periodo in cui visse Locke non era ancora nato il concetto di stato di diritto. Locke fu il primo inventore della divisione dei poteri. L’uomo è debole → lo stato è debole → il potere deve essere gestito in modo che non ci siano soprusi. Locke distingue: - Potere legislativo. Potere sacro e inalienabile, anima dello stato, che risiede in un’assemblea - il parlamento - formata da rappresentanti. Locke fu il primo ad introdurre il principio di rappresentanza: il rappresentante eletto dal popolo si fa portavoce del popolo stesso e ne garantisce i diritti. Potenzialmente può essere una persona qualunque, in realtà il rappresentante può essere solo chi ha la possibilità di farlo, chi ha i mezzi per dedicarsi esclusivamente a quella funzione. Il potere legislativo è duplice. - Potere esecutivo (potere di attuazione delle leggi). In determinati casi di emergenza e necessità il sovrano poteva far attuare le leggi e governare lo stato anche distaccandosi dalle leggi che erano state promulgate (prerogativa regia tipica della Gran Bretagna di Locke). Si tratta di un’eccezione a quello che era l’insieme delle leggi dello stato: è possibile intravedervi la funzione di dittatura commissaria (termine usato da Carl Schmitt). Potere legislativo e esecutivo sono legati al popolo da una specie di deposito, rapporto fiduciario tra il popolo che ha dato il consenso alla formazione dello stato, i vari rappresentanti e il sovrano stesso. Nel momento in cui questo rapporto di fiducia viene a mancare è possibile recedere dal contratto attuando il diritto di ribellione (4° diritto naturale previsto dallo stato di natura → diritto di appello al cielo) per cui il popolo può destituire sia i rappresentanti che il re che non garantiscono più i diritti naturali, ruolo per cui sono stati eletti. - Potere federativo, prevede l’azione del sovrano verso l’esterno: può dichiarare guerra, fare la pace, compiere atti internazionali. - Potere giudiziario. Il sovrano ha anche il potere di fare giustizia, sempre però sotto il controllo del legislativo. Il sovrano è quindi legibus legatus, sottosta alle leggi, fa parte anch’egli del contratto. Nello stato liberale troviamo anche, così come delineato da Locke, l’emanazione di un principio di tolleranza religiosa. Lo stato è laico, ognuno ha il diritto di seguire la religione che più gli aggrada. Lo stato può intervenire se i precetti religiosi interferiscono con il contratto sociale (vd poligamia, giorno di riposo). Ogni forma di ateismo viene però assolutamente condannata. Il ruolo della donna Con Locke si ha il passaggio da un sistema patriarcale legato alla figura del padre-sovrano a una struttura di patriarcato fraterno, che viene interpretato come un contratto non solo sociale ma anche sessuale: attraverso la costituzione della società civile si attua la costituzione della cellula familiare, di un contratto più piccolo che dà vita alla famiglia. La donna sebbene apparentemente sembri uguale a tutti gli altri uomini, in realtà è posta in una condizione di subalternità. Secondo Locke l’uomo e la donna hanno gli stessi doveri nell’istruzione dei figli ed entrambi hanno gli stessi diritti naturali (apparente uguaglianza) ma per natura gli uomini possiedono la ragione e le donne l’istinto, di conseguenza sono esseri irrazionali. Inoltre la donna è naturalmente debole, fragile, e per questo dev’essere controllata (dal padre, dal marito e dalla società) per il bene della società stessa. Locke distingue la sfera privata, il luogo della famiglia, degli affetti, della passione, dei sentimenti, della cura e del nutrimento dalla dimensione pubblica: luogo della politica, sfera che ha il compito di far rispettare le leggi in virtù del conseguimento della felicità, a cui le donne non hanno accesso. Il compito è infatti accessibile solo agli uomini, liberi, indipendenti. Nella sfera privata continuano ad essere presenti le gerarchie, in quella pubblica vige invece il principio di uguaglianza (ma solo fra uomini). 2. MONTESQUIEU Il pensiero liberale trova un’ulteriore precisazione all’interno del pensatore francese Montesquieu. Egli visse in Francia ma intraprese molti viaggi per conoscere le realtà istituzionali dei vari stati alla ricerca di quel quid che potesse rimanere eterno ed immutabile in qualsiasi forma di governo. Il diritto naturale è relativizzato nel momento in cui si concretizza, si manifesta in modi diversi a seconda degli stati, è legato a molte variabili: popolazione, tradizioni, clima ecc. Esiste un’essenza del diritto, della legge? Esiste uno “spirito della legge”? Egli la fa coincidere con il concetto di libertà politica, che è il fine, l’essenza, lo spirito della legge a cui ogni stato deve tendere. La libertà dal punto di vista filosofico può avere varie definizioni e vari contenuti a seconda dei popoli, ma dev’essere ciò che definisce il senso della legge, ciò che accomuna, non ciò che divide. La libertà come fine della legge si ottiene attraverso la legislazione e attraverso la costituzione statale. La separazione e il bilanciamento dei poteri Lo stato secondo Montesquieu dev’essere organizzato attraverso il principio di (separazione e) bilanciamento dei poteri: legislativo (potere di fare le leggi affidato ai rappresentanti), esecutivo e giudiziario. Secondo Montesquieu il sistema più equilibrato è quello inglese, in cui il potere legislativo è suddiviso in due camere: l’assemblea dei rappresentanti del popolo è bilanciata dall’assemblea dei rappresentanti dei nobili. Il potere esecutivo è meglio che venga affidato a una persona unica (il sovrano) perché richiede un’azione diretta, immediata. Viene comunque controllato dal potere legislativo, però anche l’esecutivo ha la possibilità di controllare il legislativo attraverso il veto → si mantiene l’equilibrio tra i poteri. Il potere giudiziario non può essere affidato a un senato, un organo fisso, ma a un tribunale formato da giudici scelti dal popolo. E’ un potere che quindi risulta essere neutro, nullo. Non esiste la funzione di giudice, quello di giudicare è un incarico che viene affidato, ed è controllato dal legislativo. Il potere giudiziario non può prevalere sugli altri, l’interpretazione della legge è univoca, dev’essere letterale. Secondo Montesquieu è possibile che all’interno dello stato, attraverso il bilanciamento dei poteri, si possa realizzare l’essenza della legge, ovvero la libertà politica. Le leggi naturali L’uomo è un essere che può vivere solo in società, per lui non esiste uno stato originario di natura. Egli è un essere pacifico che vive seguendo quattro leggi naturali: 1) Diritto alla vita. Bisogno di sopravvivenza, conservazione. 2) Bisogno di pace e sicurezza 3) Bisogno reciproco d’amore → rapporto tra i sessi 4) Bisogno di conoscenza che porta l’uomo a vivere in comunione con gli altri esseri umani. Le forme di governo Gli stati che possono (o non possono) soddisfare queste esigenze sono la repubblica, la monarchia e il dispotismo: 1) La repubblica secondo Montesquieu è suddivisibile in democratica e aristocratica. Queste forme di governo sono caratterizzate da una loro natura (ciò che fa essere lo stato com’è) e da un loro principio (ciò che fa agire lo stato in un determinato modo, si traduce in leggi civili e politiche). Il principio che regola la repubblica democratica è la virtù (richiama le antiche concezioni greca e romana). La virtù produce una duplicità negli individui, nel popolo: ognuno è sia sovrano che suddito → ognuno fa le leggi e alle leggi deve essere sottoposto. 2) Il principio che regola la monarchia è legato alla moderazione (principio aristocratico) che si traduce nell’amore nei confronti della patria, della nazione e nel principio di uguaglianza. Lo stato monarchico trova il suo principio nell’onore e nell’ambizione, che sono legati a una persona unica, il sovrano. Secondo il principio della divisione e equilibrio dei poteri anche il potere del sovrano dev’essere controllato (dalla nobiltà, dal popolo stesso..) 3) Il governo dispotico è un governo in cui il potere è nelle mani di una persona unica. Il dispotismo risulterebbe essere un regime proprio dei paesi orientali. Metaforicamente parlando il potere dispotico è rappresentato dalla figura dell’orco: esiste un rapporto di schiavitù e servilismo tra il despota e i suoi sottoposti, tutti devono incondizionatamente obbedirgli. Il principio che regola questa forma di governo è la paura, il terrore. Lo stato dispotico può avere un territorio anche enorme, la monarchia e la democrazia sarebbe meglio di no. Lo stato dispotico è caratterizzato dal lusso, che è prerogativa del despota, in forma moderata del sovrano ma non della democrazia. Stati a clima freddo e caldo Montesquieu distingue stati a clima freddo e caldo: negli stati a clima freddo il rapporto di schiavitù-sottomissione non è necessario, negli stati a clima caldo è necessario un rapporto di sottomissione tra sovrano e sudditi perché il caldo porta sentimenti di aggressività e violenza. Il ruolo della donna Le donne sono dominate dall’istinto e anche in questo caso vanno sottomesse. La religione incide anch’essa sul ruolo subalterno della donna nei vari stati, ruolo che viene imputato alla natura stessa della donna. Per Montesquieu il ruolo della donna non è essenzialmente legato al focolare, anche se poi nella pratica avviene esattamente così. Nella forma di governo dispotico le donne devono essere schiavizzate, diventano schiave ma contemporaneamente sono fonte di lusso e di lucro per il padrone. Nelle monarchie le donne vengono strumentalizzate perché come cortigiane possono dare accesso all’interno della corte a determinati uomini, i quali possono corteggiarle e renderle ancora più vanitose. Nell’impostazione repubblicana le donne teoricamente sono libere secondo la legge ma in realtà a causa della loro natura devono essere tenute a freno, controllate, per impedire loro di corrompere e influenzare l’uomo. IX LEZIONE venerdì 13/01/2012 Appunti di Margherita Roiatti I viaggi di Gulliver di Swift Dall’interpretazione dei romanzi utopici è possibile dedurre le idee dei pensatori politici. Sempre nel ‘700 l’utopia cambia direzione, partendo dall’analisi di Swift con “I viaggi di Gulliver” in cui l’utopia diventa strumento di critica alla società. Gulliver si ritrova prima nel paese di Lilliput (critica dell’aristocrazia inglese e di come essa si perda in chiacchiere e non contribuisca al benessere dell’Inghilterra), poi nel paese dei giganti (alla critica della società del suo tempo Swift aggiunge una proposta migliorativa servendosi della figura del gigante: tornare alle origini, alla natura originaria dell’uomo). Alla sua critica non segue la proposta di un mondo migliore, l’utopia diventa distopia nella visione di un mondo distorto che può rendere disumano l’uomo → concezione che ritroviamo con Gulliver nell’isola volante (stesse caratteristiche dell’isola della nuova Atlantide di Bacone). I suoi abitanti vengono descritti con gli occhi posizionati uno dietro e uno verso il cielo. Anche il ruolo dello scienziato e filosofo è negativo, egli vive in maniera distorta. La casa di Salomone di Bacone qui diventa una sorta di accademia. La parola-linguaggio viene sostituita dalla “cosa”. Tutte le azioni di questi filosofi-scienziati anziché portare al miglioramento dello stato portano alla sua distruzione, portando ad esempio la popolazione alla fame. Scetticismo politico di Swift. La libertà data da Swift alle donne coincide con la possibilità di avere tutti gli uomini che vogliono. L’ultimo regno che Gulliver incontra è quello dei cavalli: sono gli animali che possiedono le virtù e non possiedono vizi, sono collaborativi e attraverso la ragione riescono a governare perfettamente se stessi ed il loro regno. Il loro regno ha anche un contro-modello: i cavalli hanno come nemico le scimmie, animali con le stesse caratteristiche dell’uomo (aggressività ecc.) e fanno da bilanciamento al regno perfetto dei cavalli. La paura della realizzabilità dell’utopia La possibilità dell’utopia comincia a essere messa in discussione e ciò avverrà in maniera molto chiara. Le trasformazioni della società dal ‘500 in poi fanno sì che il mondo proposto e sperato si possa realizzare. Comincia a delinearsi una paura nei confronti dell’utopia, di una sua effettiva realizzazione (secondo Mannheim l’utopia è attuabile e realizzabile), c’è un generale sentimento di scoramento nei confronti della realizzabilità dell’utopia perché ciò avrebbe significato la fine della possibilità di crescita e miglioramento per l’uomo. - Negli anni ‘60 di fronte alla costa romagnola è stata realizzata da un ingegnere l’Isola delle Rose: fu proclamata indipendente, aveva una piattaforma che la ancorava al fondo del mare e si parlava l’Esperanto. In questa piattaforma si era realizzato concretamente un progetto utopico e non a caso venne aggredita da forze militari e sommozzatori e venne fatta sparire inghiottita dai flutti del mare in quanto era un pericolo per la società del tempo. - Un’altra forma di utopia, Radio Carolina, fu realizzata su una nave di fronte alle coste dell’Irlanda. L’emergere dell’ombra dell’utopia giunge a compimento nel XX secolo, in cui si iniziò a pensare anche alla realizzazione di uno stato mondiale che avrebbe dovuto essere retto da una classe di sapienti. L’aspetto scientifico e psicologico dell’utopia Da utopia a distopia (vd Distopia, Distopia 2, Wells con la sua macchina del tempo). Si iniziò a ricercare il superamento della barriera del tempo come era stata superata la barriera spazio. L’aspetto scientifico si accompagna anche alla teoria evoluzionistica (Darwin e Lorenz): l’essere umano è perfettibile, può raggiungere la perfezione perché prodotto di un’evoluzione, è possibile che con il tempo possa raggiungere uno stato di perfezione facendolo assimilare alla divinità. Queste teorie evoluzionistiche vengono in contatto anche con quelle psicologiche e comportamentali fino allo sviluppo della teoria secondo la quale l’uomo può essere educato alla perfezione. Il viaggiatore di Wells si ferma in una società industriale in cui esistono soltanto due popolazioni: una progredita, gli Eloi, che vive in una sorta di giardino edenico, e i morlacchi, che vivono nel sottosuolo al buio e sono una sorta di degenerazione del proletariato con un atteggiamento aggressivo nei confronti degli Eloi → interpretazione del conflitto tra predatori e prede (evoluzionismo). Altro romanzo “ritorno a Matusalemme” di Shaw. Anche le analisi psicologiche e sui comportamenti umani vengono inserite nel progetto utopico: lo stato diventa sempre più un educatore. Il governatore dello stato viene ad essere identificato con la figura dello psicologo e non tanto del sovrano. La sua finalità è quella di neutralizzare gli istinti aggressivi enfatizzando invece quelli positivi. L’Inghilterra viene vista come posto in cui può essere costruito qualcosa di diverso anche in “V per vendetta”. Vedi anche Orwell, Fahrenheit, Matrix. X LEZIONE giovedì 19/01/2012 appunti di Chiara Pozzan La metafora del buon nocchiero Il potere da’ ordine, organizzazione e viene spesso identificato con la figura del nocchiero di una nave (metafora platonica presente nella Repubblica): la nave è lo stato, il nocchiero è colui che governa, dirige, ordina i cittadini (= i passeggeri). Il capitano però non è uno qualunque, non tutti possono farlo: deve essere in grado di salvare lo stato dalle degenerazioni del potere, deve capire la provenienza dei venti, interpretare il volo degli uccelli per capire cosa sta succedendo. Proprio per questo l’ammutinamento in certi casi è problematico (vd quello del Benito Cereno, romanzo breve di Herman Melville del 1855, in cui gli ammutinati si rendono conto di non essere in grado di dirigere la nave e si trovano a dover chiedere al capitano di dirigerli verso la rotta per l’Africa. Il capitano è legato a determinati eventi che non può cambiare ma avendo la funzione di “ordinatore” non può abbandonare la nave, non può mettere a repentaglio la vita dei consociati). In un mondo come il nostro in cui non ci sono valori sovraordinati a cui appellarsi, i cittadini risultano essere ingranaggi di una macchina, non sono consci della vita, non partecipano alla socialità e al bene comune, si fanno trasportare da questa nave, che è un qualcosa di super tecnico e tecnicizzato: l’uomo è massificato, non ha più una sua dimensione, viene ridotto ad un numero, perde la sua umanità. Di conseguenza si fa condurre da chiunque, non conduce e non si oppone. Cos’è successo? Dove stiamo andando? Siamo responsabili di quello che (non) stiamo facendo? Stiamo agendo, contribuendo al destino della nave o ci affidiamo semplicemente ad una guida che riteniamo affidabile per una questione di comodo? "Passare al bosco” (Jünger) Ognuno può contribuire al miglioramento della vita individuale e collettiva, ognuno può scegliere di affidarsi alle regole, agli ordini di qualcuno facendosi trascinare oppure di “passare al bosco” (metafora di Jünger), riscoprendo il vero significato, l’essenza dell’essere umano, recuperando il pensiero autonomo, non omologato. Passare al bosco equivale a rompere radicalmente col presente e comporta la scelta di un nuovo modo di essere e di sapere in opposizione al nichilismo. Passando al bosco, infatti, l’uomo muore simbolicamente e nel contatto con la fonte primordiale dell’essere rinasce a una nuova vita. Il bosco: - simboleggia la paura più grande dell’uomo, ovvero la morte, che sembra un ostacolo così difficile da affrontare e superare ma alla fine della quale si intravede la luce della speranza. - rimanda all’archetipo del femminile, un rifugio protettivo e foriero. JEAN-JACQUES ROUSSEAU Un autore in bilico tra modernità e anti-modernità Le distopie, nonostante possano apparentemente rappresentare il mondo in cui tutti vorrebbero vivere, in realtà nascondono in sé l’ombra del potere. Il pensiero dispotico si può teoricamente riferire a Jean-Jacques Rousseau, un autore abbastanza problematico del ‘700: è come se nel suo pensiero e nella sua vita si trovasse sul crinale tra un mondo passato e il mondo dell’avvenire, è un autore che può essere definito moderno ma al contempo anti-moderno: - E’ un autore illuminista, razionale, ma contemporaneamente il suo pensiero è opposto, va verso un’interpretazione sentimentale della realtà (precedendo il romanticismo). - E’ colui che ha teorizzato la possibilità che la democrazia come governo del popolo possa manifestarsi e realizzarsi all’interno dello stato ma in realtà la critica, definendola una forma di governo adatta agli dei che gli uomini non potranno mai concretizzare. La democrazia a cui Rousseau si riferisce però non è la democrazia moderna ma è quella di tipo indiretto (sguardo al passato, richiama lo stampo democratico delle città greche Atene e Sparta). Lo stato di natura Rousseau è un contrattualista: presuppone uno stato di natura che potrebbe essere visto come una tesi, a cui si contrappone un’antitesi, la società civile, e a cui può seguire una sintesi: lo stato sociale attuato attraverso un contratto, lo “stato bene ordinato” sulla base del diritto politico. Lo stato di natura è una condizione che in realtà non è mai esistita, in Locke aveva una pseudo manifestazione nello status degli indiani d’America ma in realtà è una teorizzazione, un’ipotesi. L’analisi di Rousseau si basa sul sentimento, sull’intuizione. Rousseau si chiede quale sia e come si definibile la natura umana, ciò che rende identici tutti gli uomini. La natura umana ha dei caratteri strutturali, fondamentali, costitutivi, che portano l’uomo a determinati comportamenti che gli sono co-essenziali: - 1° principio strutturale della natura umana: l’amore di sé: ogni soggetto ha un sentimento di amore per la vita, un istinto di sopravvivenza, autoconservazione. La sopravvivenza dell’uomo in se stesso è legata all’utilizzo dei beni che ci sono in natura, i desideri dell’uomo sonno soddisfatti primariamente dalla natura. Rousseau presuppone che gli uomini nello stato di natura vivono isolati nella natura e ne sono felici perché la natura basta ai loro bisogni, non hanno bisogno dell’interazione con gli altri esseri umani. In Rousseau c’è il mito del “buon selvaggio”: libero, indipendente, felice nel suo isolamento, autarchico. All’interno dello stato di natura esiste però una disuguaglianza (che non incide però sulla condizione dell’essere umano perché si tratta di una differenziazione naturale) legata all’età, al sesso, alle condizioni fisiche. Nello stato di natura l’uomo è simile all’animale, soddisfa i suoi bisogni, ma rispetto all’animale che sfoga i suoi istinti, l’uomo non reagisce ai suoi istinti, bensì gli ubbidisce. - 2° principio strutturale della natura umana: la pietas latina, che per il buon selvaggio è una virtù (non interagendo con gli altri non può nemmeno fare loro del male). Pietas = compassione di chi è uguale a lui nel momento in cui vede l’altro in difficoltà, in pericolo di vita, in condizione di mancanza. E’ una virtù innata che si attiva nel momento in cui nello stato di natura iniziano i rapporti, la conoscenza con l’altro, i primi contatti. L’uomo essendo perfettibile è sempre portato al miglioramento di se stesso e quindi al contatto con l’altro. L’istinto prevalente rimane comunque la propria sopravvivenza → se si deve nuocere a qualcuno è preferibile farlo agli altri piuttosto che a se stessi. L’uomo costruito dall’uomo: le origini della società civile - Il bisogno di soddisfare un desiderio porta a un incremento della capacità intellettiva (immaginazione e ingegno) dell’essere umano: per sopravvivenza l’uomo è stimolato a trovare degli strumenti per soddisfare i propri impulsi istintuali → armi per cacciare, vestiti per non soccombere al freddo ecc. - Attraverso questa trasformazione dell’individuo e all’incremento dei rapporti sociali si sviluppa anche il linguaggio (dai gesti fino alle parole). - I rapporti portano anche all’aggregazione degli individui (sempre per comodità, per soddisfare i propri bisogni): si costituiscono prima dei “branchi”, poi delle tribù, poi si inizia ad avere una vita sedentaria, si costruiscono le prime abitazioni rudimentali, le capanne, infine si costituisce la famiglia, che da’ origine alla divisione del lavoro e dei ruoli. Rousseau lo definisce il primo giogo, la prima costrizione che si attua all’interno dello stato di natura. - Da questi primi nuclei si instaura un abbozzo di vita collettiva, si creano delle regole, dei costumi a cui tutti devono attenersi. Ogni aggregazione, comunità ha dei costumi in comune, delle tradizioni, un linguaggio che dipende dal territorio e dal clima (vd Montesquieu), non c’è niente di assoluto e di uniforme. - Il buon selvaggio, sempre più sociale, diventerà quello che egli chiama non più l’uomo naturale ma “l’uomo costruito dall’uomo”. E’ trasformando la propria natura intrinseca, naturale, che si sottolinea il divario di un uomo rispetto ad un altro uomo: se esisteva una disuguaglianza naturale, fisica all’interno dello stato di natura, nello stato civile esiste una disuguaglianza tra gli uomini, che porta ad una dipendenza dell’uomo nei confronti dell’altro uomo. Da cosa deriva questa disuguaglianza e la conseguente dipendenza? C’è un atto che è causale, che porta alla disuguaglianza “funesta” che distrugge la natura dell’uomo e lo porta a vivere in società: un individuo ha iniziato a recintare un pezzo di terra con dei paletti e ha detto “questo è mio”, dando origine alla proprietà privata. Il fatto che tutti gli altri abbiano riconosciuto il suo atto di appropriazione e l’abbiano imitato ha creato la dipendenza tra gli uomini, che in una prima fase è una dipendenza tra ricchi e poveri, tra chi ha più e chi ha meno e in una seconda fase si amplifica e diventa differenza tra chi è potente e chi è debole e deve essere sopraffatto. La proprietà privata è la causa attraverso cui si viene a costituire la società civile. Rousseau la reputa degenerata, incivile, una società che porta ad una continua degradazione e non all’incivilimento dell’uomo, che mette in evidenza non le virtù ma i vizi dell’essere umano, che da’ vita ad un mondo negativo, distopico, capovolto rispetto allo stato di natura idilliaco, utopico (vd contea degli hobbit). Il contratto sociale La creazione della metallurgia e dell’agricoltura unitamente alla creazione della proprietà privata conduce alla necessità che venga stipulato un contratto (che Rousseau chiama “iniquo”, ingiusto in quanto stipulato per proteggere le proprietà e il potere del più forte). Si istituisce così la magistratura, che secondo Rousseau sottolinea l’inesistenza dell’uguaglianza e della libertà: l’uomo è soggiogato, è dipendente dagli altri uomini. Il contratto iniquo è un contratto storico che rende legale l’ineguaglianza e l’illibertà e porta al predominio dell’apparire sull’essere: è come se ognuno portasse una maschera, l’esteriorità domina sull’interiorità della persona, la società è il regno delle maschere. Inoltre si instaura un divario tra la natura e il vivere in società: secondo Rousseau l’uomo vive in un mondo antitetico, snaturato. La società bene ordinata e l’importanza dell’azione educativa Il presupposto da cui parte Rousseau si trova nel Cap.I, libro I de Il Contratto Sociale (1762): “L'uomo è nato libero e ovunque si trova in catene. Anche chi si crede il padrone degli altri non è meno schiavo di loro. Come si è prodotto questo cambiamento? Lo ignoro. Cosa può renderlo legittimo? Credo di poter risolvere tale problema.”. L’uomo è snaturato, non vive secondo la sua natura e i suoi principi costitutivi, è quindi necessario dénaturer l’uomo per creare il cittadino: assunto che sia giusto che ognuno possa vivere secondo quello che è il suo essere, bisogna che l’uomo ritrovi la via per recuperare la sua natura perché è l’unico modo in cui può vivere bene, serenamente, felicemente. E’ possibile secondo Rousseau creare una società (o meglio comunità = da condivisione, comunione) armonica “bene ordinata”. Soltanto attraverso una trasformazione interiore l’uomo può conquistare la sua autonomia, la sua libertà, la sua uguaglianza. La trasformazione avviene innanzitutto attraverso l’azione educativa (vd Platone): bisogna iniziare dall’educare gli infanti ad essere dei buoni cittadini perché è il primo passo per risvegliare la natura umana. L’educazione viene attuata all’interno della famiglia e viene affidata in primo luogo alla figura femminile, materna (è strano, per il periodo in cui vive Rousseau, che la donna abbia un ruolo così pregnante, emancipato all’interno della società). Secondo Rousseau la famiglia, dove regna la donna, riesce a trasformare gli istinti e il sentimento in affetto (ancora un elemento romantico nel suo pensiero). Nonostante ciò la donna non è presenza attiva in politica né avrà un ruolo nella stipulazione del contratto sociale. La figura della madre verrà affiancata in seguito dal quella del precettore e poi da quella del legislatore (che incarna la funzione di guida) nell’educazione dell’uomo e nel renderlo virtuoso, nel rendere il suo comportamento compatibile con la morale. L’uomo quindi deve essere denaturato per diventare cittadino. Secondo Rousseau è necessaria l’istituzione di un’associazione, di un’istituzione che leghi questi soggetti attraverso il contratto sociale: “Trovare una forma di associazione che difenda e protegga, mediante tutta la forza comune, la persona e i beni di ciascun associato e per mezzo della quale ognuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a se stesso e rimanga libero come prima”. In questa associazione ognuno è uguale all’altro: ognuno cede, aliena totalmente i propri diritti e le proprie libertà per riappropriarsene in quanto cittadino nella nuova dimensione societaria. Così tutti danno il proprio consenso alle leggi della natura nella sua forma originaria, propria dell’uomo, per realizzare l’uomo della natura e non l’uomo costruito dall’uomo. Il contratto è l’espressione di questa unità organica di cittadini che conduce a una comunità totale. La volontà generale La volontà generale non è la volontà di tutti e nemmeno quella della maggioranza, è una sorta di volontà metafisica che ha determinate caratteristiche, tra le quali l’essere giusta, retta, l’incarnare principi etici, l’essere assoluta. Pur essendo trascendente rispetto ai cittadini è in loro innata, corrisponde alla volontà di ognuno. Il cittadino è educato a riconoscere e comprendere, attraverso l’intelletto, quella che è la volontà generale. In teoria l’uomo non dovrebbe avere problemi ad ubbidire ad una legge che lui stesso ha fatto per sé, perchè l’essere libero coincide con l’ubbidire alle leggi che ci si è dati. Nel momento in cui non riconosce e non rispetta la volontà generale, che si identifica con le leggi e con il principio di sovranità, ogni cittadino (e qui si innesca il “paradosso della libertà” all’interno del pensiero russeauniano) è “costretto ad essere libero”, cioè a conformarsi alla volontà generale (vd 2+2= 5 - Orwell, 1984), perché la volontà individuale, particolare (che in realtà è un’illusione), non può soccombere alla vera, assoluta e incondizionata volontà generale. La volontà particolare non deve esistere perché l’individualità porta solo a disuguaglianze. La comunità e il legislatore fungono da educatori al suo riconoscimento, l’educazione dev’essere continua per evitare di soccombere alla contaminazione e alla corruzione del mondo dell’uomo. La forzatura all’essere libero e la perdita della dimensione privata creano una deviazione verso l’essere totalitario. La capacità e la libertà di scelta rispetto ai desideri personali non può realizzarsi; il particolare, l’interesse del singolo viene fagocitato dai bisogni della comunità, l’uomo è fatto solo per la vita pubblica, non esiste più una dimensione personale. CARL SCHMITT Dal punto di vista stilistico questo pensatore ha un modo di farcire i concetti che può distrarre, non portare ad un punto fermo, però un filo rosso c’è ed è abbastanza evidente. Schmitt è stato spesso accusato di utilizzare concetti e teorie in maniera contraddittoria e occasionale come se volesse esprimere qualsiasi cosa gli venisse in mente. In realtà ha dei punti fermi e una sua metodologia. Ha scritto tantissimo sui più svariati argomenti. Le categorie del politico è stata una delle prime pubblicazioni italiane (1972), negli anni ‘70 Schmitt è stato riscoperto da pensatori di varie origini e spesso strumentalizzato sia della destra che dalla sinistra per quello che lui ritiene essere il concetto di “politico”. Carl Schmitt (1888-1985) è una persona poliedrica, la sua vita è influenzata dagli accadimenti storici e dalla sua origine. Nasce in Germania a Plettenberg, un paese della Renania, ma pur essendo di origine tedesca le sue fattezze non lo individuavano come tale: era moro, non molto alto e a dispetto della tradizione tedesca del tempo era un cattolico. Questo influenzò molto il suo pensiero, dopo gli studi al ginnasio i suoi genitori desideravano che diventasse un sacerdote ma lui preferì frequentare giurisprudenza. Per le sue vicissitudini personali e la situazione storica ha sempre preferito definirsi un giurista e non un filosofo o scienziato della politica. La critica al positivismo e il filone neo-kantiano Fu influenzato, al di là degli studi giuridici, anche dalle idee del tempo: nel periodo in cui studiò all’università e fece l’abilitazione il pensiero dominante era legato al positivismo, secondo il quale il tutto era ricondotto alla norma giuridica. Schmitt critica questo pensiero, anche perché secondo lui è un’estrinsecazione del materialismo, e segue un’altra corrente di idee (con cui viene in contatto durante un soggiorno a Strasburgo - allora parte della Germania - per conseguire il dottorato) che richiama le idee kantiane. Il filone neo-kantiano promulgava l’esistenza di una legge superiore che fosse anteriore allo stato, uno schema a priori che doveva fare da modello alla legge statale, che avrebbe dovuto realizzarsi, concretizzarsi all’interno della struttura statale. Il diritto per Schmitt è anteriore alla norma positiva. La contrapposizione al positivismo in lui è evidente. Il cattolicesimo, in aggiunta, fornisce una gerarchia di valori, riesce a rendere manifesta l’ulteriorità del potere, cioè il fatto che risieda altrove rispetto alla sua manifestazione concreta (vd Chiesa Cattolica: il potere del papa deriva da Dio). Il potere per Schmitt è in una posizione trascendente, è al di fuori della storia. Legame con il nazionalismo tedesco Schmitt è molto legato alla terra tedesca e all’idea della Germania nella quale dovrebbe concretizzarsi lo stato perfetto, un ordine in cui gli individui non risultano essere schiacciati. Tutto ciò lo farà aderire a regimi di cui condivideva i principi in quanto avrebbero potuto dare ordine e stabilità ad una Germania che aveva perso centralità all’interno dell’Europa, ma non la loro realizzazione concreta. Pars destruens 1. Critica al romanticismo Schmitt parte da una critica per arrivare alla parte propositiva. Nella pars destruens rientrano le critiche nei confronti del romanticismo politico: Schmitt evidenzia come l’atteggiamento romantico sia in realtà un atteggiamento non politico in quanto caratterizzato dall’esasperazione della soggettività. Il soggetto romantico è un Io che sostanzialmente si riconosce nell’individuo borghese. Questa iper-caratterizzazione porta il romantico ad una passività politica, a non contribuire alle relazioni e alle attività sociali, a trovarsi alienato dall’azione politica e dalla sfera politica in senso stretto. Il romantico entra nell’aspetto politico solo in certe occasioni, quando gli fa comodo, non si attiva spesso perché è tutto proteso a soddisfare i suoi interessi privati e individuali. Da questa critica notiamo come Schmitt sia prevalentemente interessato alla partecipazione e all’ordine (queste sono le “parole magiche” che, come accade con tutti gli autori, ricorrono più spesso nelle sue opere). 2. Critica al liberalismo e al parlamentarismo Schmitt critica come il romanticismo anche il liberalismo: anch’esso legato a una visione individualistica e privatistica del soggetto, esaspera dal punto di vista politico l’individualismo borghese e riduce l’apparato statale alla sua funzione meramente economica e privatistica. Espressione del liberalismo è il parlamentarismo, che Schmitt aborrisce per come viene applicata all’interno del pensiero liberale, così come aborrisce anche i partiti politici che secondo lui scardinano e frammentano l’unità politica statale. Inoltre il parlamentarismo risulta essere il “governo della discussione” in cui il parlamento è un mercato di scambio tra interessi privati. Con il parlamentarismo il privato distrugge il pubblico, quindi quelle che sono le fondamenta dello stato. Riprendendo Juan Cortés, pensatore spagnolo dell’800 a lui caro che definì la borghesia come clasa discutidora, Schmitt parla del parlamento come governo della discussione che rispecchia la classe borghese, la quale trova il piacere nella discussione, nel non risolvere i problemi se non quelli privati, settoriali, meramente economici. 3. Critica al normativismo Un’ulteriore critica viene fatta nei confronti del normativismo e di Kelsen, per cui lo stato viene a coincidere con l’ordinamento giuridico e non è invece uno stato politico. Per Schmitt l’origine dello stato è politica e secondo lui la concezione kelseniana è astratta, non reale. Schmitt affronta anche il tema dell’interpretazione della norma e del diritto: il diritto è norma o è la norma diritto? L’analisi del concetto di dittatura La sua vita personale ha influenzato moltissimo il suo pensiero e i suoi scritti. La sua propensione per il nazionalismo tedesco ha fatto sì che sia stato iper criticato. Schmitt si iscrive al partito nazionalsocialista perché, nonostante abbia preso il potere con mezzi non del tutto legittimi e abbia instaurato una dittatura e un regime totalitario, in esso vede una possibilità di rinascita per la Germania. Nei primi scritti Schmitt analizza il concetto di dittatura così come era sorta nel mondo occidentale (dittatura romana) differenziandola dalla dittatura sovrana e dalla dittatura commissaria (affidata in delega dal senato o da un altro organo dello stato a una persona che dovrebbe risolvere la situazione dello stato in momenti di crisi politica; dittatura dal carattere temporaneo, implicava la sospensione delle norme finché la situazione eccezionale non veniva risolta). La possibilità di una dittatura commissaria viene intravista da Schmitt (in contrapposizione all’interpretazione normativistica) nell’art.48 della costituzione di Weimar: “Il presidente può prendere le misure necessarie al ristabilimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, quando essi siano turbati o minacciati in modo rilevante, e, se necessario, intervenire con la forza armata. A tale scopo può sospendere in tutto o in parte la efficacia dei diritti fondamentali”. Secondo Schmitt la delega provvisoria e temporanea al presidente del Reich che la stessa costituzione prevede, viene sfruttata dal partito nazionalsocialista, che agisce dunque in perfetta legalità. La dittatura sovrana viene al contrario acquisita prima sospendendo e poi cancellando l’ordinamento giuridico dello stato (es. dittatura del proletariato di impostazione marxista) per creare una nuova situazione. Il coinvolgimento con il nazismo Il coinvolgimento con il nazismo fu tale che egli venne definito il giurista portavoce del III Reich e fu criticato dai partiti conservatori tedeschi. In fondo il pensiero nazionalsocialista ebbe come riferimento teorico solo il Mein Kampf scritto da Hitler ma Schmitt stesso scrisse un testo teorico per giustificare l’impostazione e i principi politici del nazionalsocialismo. Principi che venivano identificati nell’idea di stato, movimento e popolo, elementi correlati tra loro in modo tale che nessuno potesse prendere il sopravvento (anche se nella realtà fu il partito a controllare e governare tutto). Da un punto di vista razziale Schmitt non scrisse mai niente contro ebrei e zingari. Quando lo stato crollò anche Schmitt e il suo pensiero andarono in rovina, venne incarcerato e rischiò di essere sottoposto a giudizio nel processo di Norimberga ma fu rilasciato nel 1946. Lui disse di non voler essere denazificato: aveva aderito al partito in quanto lusingato dall’idea di ordine che lo stato nazista avrebbe potuto concretizzare. Egli stesso si paragona a Benito Cereno, il protagonista dell’omonimo romanzo breve di Herman Melville del 1855: tutti si sono “ammutinati” contro di lui ma egli continua a “governare la nave” perché il suo fine è quello di mantenere la rotta e “dirigere i passeggeri”. Schmitt infatti ha continuato a propugnare l’idea di stato politico in opposizione allo stato tecnicizzato, legato solo alla dimensione economica. Aderendo al nazionalsocialismo sperava in una garanzia di ordine e protezione. Il ritiro In seguito Schmitt si ritira nel silenzio perché si sente impotente, estraniato dalla realtà tedesca e parimenti dominato dagli eventi. Si ritira nella sua città natale e chiama la sua casa “San Casciano” (come il paese in cui Macchiavelli si ritirò dopo essere stato espulso dall’amministrazione di Firenze). Il ritiro non significa però l’evitare di scrivere contribuendo al miglioramento della sua Germania. Da notare il simbolismo in San Casciano, che era un santo che proteggeva quei professori scacciati dagli studenti → mancanza di principio di ordine, interessi privati che prevalgono nei confronti del pubblico ecc. Nel suo isolamento Schmitt si definisce anche una specie di Epimeteo cristiano (N.B. non pagano!). Nella mitologia Epimeteo è il fratello di Prometeo che rubò il fuoco a Zeus: viene definito lo sciocco, il disobbediente perché nonostante il fratello gli avesse detto di non accettare doni dagli dei lui prende in sposa Pandora, donna mandata nel mondo per punire gli uomini, la quale stoltamente e tragicamente apre la famosa pentola da cui escono i mali che l’umanità deve sopportare. Schmitt si riconosce in lui perché si sente responsabile, almeno dal punto di vista teorico, di quello che era successo in Germania ma permane però in lui la speranza che l’Europa possa cambiare e trovare l’ordine e l’unità politica. L’analisi metodologica e l’importanza del riferimento storico Schmitt rimane sempre ancorato alla realtà presente: in tutti i suoi scritti successivi all’esilio, indirizzati a categorie giuridiche internazionali, l’analisi di Schmitt mantiene il suo referente primario, che è espresso nella sua premessa al concetto di politico (pag. 98): “L’epoca dei grandi sistemi è ormai superata. Quando ebbe avvio l’età dello Stato europeo, trecento anni fa, sorsero sistemi di pensiero dominanti. Oggi non s può più procedere in tal modo. Oggi è possibile solo uno sguardo storico retrospettivo che rifletta nella consapevolezza della sua sistematica la grande epoca del ius publicum europaeum e dei suoi concetti di Stato e di guerra e di nemico giusto.” In queste righe c’è una sintesi metodologica che evidenzia quali siano gli oggetti della sua analisi. Il suo pensiero parte da un’analisi storica retrospettiva, dal luogo e dal momento storico che lo portano ad analizzare i contenuti dei concetti di stato, di politico, di guerra ecc. di cui si serve per scoprirne l’origine e i mutamenti nell’arco di tempo che arriva fino al presente: inizia qui la pars costruens. Ius publicum europaeum Lo ius publicum europaeum per come lo intende Schmitt evidenzia come il diritto non sia solo legato al concetto di norma e sintetizza il principio politico ma anche spirituale dell’Europa che si traduce nelle norme concrete, le quali hanno un doppio risvolto: sono legate - al diritto pubblico interno degli stati (ordinamento giuridico che norma l’attività governativa dei singoli stati) - al diritto pubblico internazionale tra gli stati (che regola e norma i rapporti tra gli stati europei ma anche tra gli stati esterni al mondo europeo continentale e insulare, cioè le superpotenze russa e americana). L’Europa non è più il centro del mondo, l’occidente è inglobato dagli USA mentre l’oriente dalla Russia. Se prima c’era un equilibrio nel XX secolo l’equilibrio viene rotto: l’Europa e i principi che la caratterizzavano vengono annichiliti, detronizzati, così come viene ad esserlo lo ius publicum europaeum: nel XX secolo viene meno l’unità politica decisiva. Con sguardo retrospettivo Schmitt si proietta nel momento d’origine dei concetti che nel momento in cui egli visse si trovano ad essere detronizzati. Schmitt paragona la Germania, come l’Europa, alla figura di Amleto: intrinsecamente sono dilaniate dal dubbio, esplicitano l’atteggiamento di indecisione che porterà alla rovina sia dello stato che dell’individuo. "