Microbiologia del terreno Ciclo del Carbonio Il carbonio rappresenta circa il 50% in peso della sostanza secca degli organismi sia animali sia vegetali. Il ciclo inizia con le piante, le quali usano il Carbonio inorganico presente nell’atmosfera sottoforma di CO2, per trasformarlo in Carbonio organico, il quale viene convertito nuovamente in forma inorganica per attività della microflora presente nel terreno; durante la degradazione dei costituenti organici, non tutto il Carbonio viene mineralizzato, poiché una parte dei prodotti intermedi andrà a formare la frazione umica, ossia la sostanza organica tipica del terreno. I materiali organici che arrivano al terreno sono molto diversi, e nell’ambito dei vegetali si hanno: 1. Componenti solubili in acqua che rappresentano dal 5 al 30% della sostanza secca (zuccheri, amminoacidi, acidi organici). 2. Emicellulose, pectine e amido, che formano dal 15 al 30% della sostanza secca. 3. Cellulosa, che rappresenta dal 15 al 60% della sostanza secca. 4. Lignina, che rappresenta dal 5 al 30% della sostanza secca. 5. Prodotti solubili in solventi organici (lipidi, cere, resine). 6. Proteine Degradazione dei glucidi I glucidi arrivano al terreno dai residui vegetali, e subiscono un processo degradativo più rapido secondo la complessità della loro molecola, essi, infatti, vengono distribuiti in: • Glucidi semplici: esosi, pentosi • Polisaccaridi: emicellulose, pectine e amido. I glucidi semplici vengono degradati rapidamente dai microrganismi con produzione di H2O e CO2; durante questa degradazione si vengono a formare diversi composti intermedi, in funzione delle condizioni del suolo, che a loro volta vanno a regolare l’intervento microbico: Batteri aerobi: originano acido lattico, acido acetico e acido piruvico come prodotti intermedi e H2O e CO2 come prodotti finali. Batteri anaerobi: originano acido lattico, metano e CO2 come prodotti intermedi. Funghi aerobi: originano acido citrico, acido ossalico, acido fumarico e acido succinico come prodotti intermedi. Funghi anaerobi: originano acido fumarico e alcol come prodotti intermedi. La maggior parte dei microrganismi del terreno sono chemio-organotrofi, di conseguenza usano come fonte di energia gli esosi, dalla cui ossidazione ottengono molecole di ATP; nel caso in cui l’accettore finale sia una molecola organica (alcol etilico, ottenuto per riduzione dell’aldeide acetica), il prodotto di riduzione si accumula e contiene molta energia, quindi il processo di mineralizzazione si svolge molto lentamente in quanto non è liberata tutta l’energia potenziale; se invece l’accettore finale è l’O2 atmosferico, si ha la completa mineralizzazione con liberazione di tutta l’energia. Le vie che portano alla degradazione degli esosi, sono tre: 1. Glicolisi. 2. Ciclo dell’esoso-monofosfato o del pentoso-fosfato. 3. Via di Entner-Doudoroff, tipica dei batteri Pseudomonas. 1 Degradazione dell’amido L’amido è un polisaccaride formato da 2 unità: L’amilosio: formato da lunghe catene e semplici catene di unità glucosidiche, tenute insieme da legami α-1,4 glucosidici L’amilopectina: presenta una struttura ramificata, formata da catene simili a quelle dell’amilosio ma legate alla catena principale da legami α-1,6 glucosidici. La degradazione dell’amido è operata da enzimi amilolitici, detti amilasi, delle quali la forma α-amilasi produce destrine e un pò di glucosio, mentre la forma β-amilasi produce β-maltosio. Delle due unità costituenti l’amido, solo l’amilosio viene degradato completamente dall’amilasi, la quale risulta invece inefficace nei confronti dell’amilopectina, per la presenza dei legami α-1,6 glucosidici, che verranno demoliti solo per attività di enzimi come l’amilo-α-1,6-glucosidasi dei lieviti, unici microrganismi amilolitici. È bene ricordare che alcuni tra i microrganismi amilolitici, esplicano anche attività cellulolitica e azotofissatrice, come: Batteri aerobi facoltativi e aerobi stretti: Bacillus cereus e subtilis Batteri anaerobi: Clostridium butyricum e amylolyticum. Degradazione delle emicellulose Le emicellulose sono glucidi polimerizzati, formate da catene di poliosi ed acidi poliuronici. La loro degradazione nel terreno è eseguita da diversi microrganismi: Funghi: Penicillium spp Aspergillus Attinomiceti: Streptomyces Batteri anaerobi: Clostridium spp e alcuni batteri presenti nel rumine Batteri aerobi: Pseudomonas spp. Tra i vari enzimi che partecipano al processo, il più importante è la xilanasi (solitamente, un enzima che attacca le emicellulose, non attacca le cellulose). Degradazione delle pectine Le pectine si differenziano dalle emicellulose per due motivi: 1. sono ricche in acido galatturonico 2. sono ricche di gruppi carbossilici La loro importanza è legata al fatto che costituiscono la forza cementante che unisce le cellule vegetali: rispetto alle emicellulose sono dei costituenti più omogenei, poiché comprendono polimeri α-1,4 dell’acido galatturonico, associato a pentosi ed esosi. La sua degradazione è regolata da 2 enzimi: 1. pectina-metil-esterasi che degrada la pectina, con produzione di acido pectico e alcool metilico 2. poligalatturonasi che degrada l’acido pectico liberando unità galatturoniche. I principali microrganismi ad attività pectinolitica sono: Batteri aerobi: Bacillus subtilis Plectridi anaerobi: Plectridium pectinovorum. Clostridi anaerobi stretti: Clostridium butyricum, pectinolyticum, onnivorum. Funghi pectinolitici: Aspergillus e Penicillium. 2 Dalla degradazione delle pectine, i microrganismi liberano acidi organici, alcoli e zuccheri, i quali verranno metabolizzati da altri microrganismi. Degradazione della cellulosa Strutturalmente, la cellulosa è formata da catene lineari di unità di β-D-glucopiranosio unite da legami β-1,4glucosidici. Le catene sono unite tra loro da ponti H e forze di Van der Waals. La degradazione della cellulosa risulta essere regolata da un complesso enzimatico che agisce in successione, denominato cellulasi. Inizialmente si pensava che l’azione demolitiva si svolgesse in 3 tappe: 1. un enzima preparava la molecola all’attacco dell’enzima successivo 2. il secondo enzima degradava la molecola producendo unità più piccole 3. il terzo enzima, la cellulasi, idrolizzava queste unità liberando glucosio. Oggi si sa che la cellulasi è formata da altri enzimi: 1. endoglucanasi: attacca le catene poliosidiche a caso, sino ad avere la rottura in frammenti più corti 2. esoglucanasi: liberano unità di cellobiosio 3. β-glucosidasi: agisce sui composti solubili (cellobiosio) liberando glucosio. Vengono quindi definiti microrganismi cellulolitici autentici, solo quelli dotati di tutto il corredo enzimatico e pertanto capaci di degradare la cellulosa naturale. I microrganismi ad attività cellulolitica sono: Batteri aerobi: genere Sporocytophaga, Cytophaga. Batteri anaerobi: genere Clostridium, Plectridium, Caducens, Terminosporus ed Endosporus; sono i principali agenti della fermentazione anaerobica, dalla quale si ha la produzione di gas (CO2 e H2), acidi organici (acido acetico) e alcoli (alcol etilico). Batteri cellulolitici termofili: sono presenti nel terreno e nelle deiezioni animali, hanno una temperatura ottimale di sviluppo compresa fra 52 °C e 60 °C. Le specie più importanti sono due: Terminosporus monocellus e Terminosporus thermocellulolyticus. Batteri cellulolitici dell’apparato digerente degli erbivori: si trovano in diversi tratti del tubo digerente. Le specie più importanti sono: Ruminococcus flavus, Ruminococcus albus, Ruminobacter flavescens. Sono tutti microrganismi polifagi che producono acidi grassi volatili, glucosio e cellobiosio. Funghi cellulolitici: sono molto importanti nei terreni acidi, dove i batteri hanno un’attività molto ridotta; i generi principali sono: Trichoderma, Botrytis, Penicillium; degradano la cellulosa con produzione di zuccheri in condizioni aerobiotiche. Cellulolisi nel terreno La cellulolisi è il processo di degradazione della cellulosa, che risulta essere influenzato da 3 fattori: 1. Potenziale di ossidoriduzione: è la capacità che ha il terreno di cedere o assumere elettroni; esso è influenzato dalla temperatura e dall’umidità. 2. pH: influenza il tipo di microrganismo che si sviluppa (O2 = microrganismi aerobi, assenza di O2 = microrganismi anaerobi; O2 e terreno acido = funghi). 3. Contenuto in N del substrato e Rapporto C/N: i bisogni di Azoto aumentano all’aumentare della velocità di degradazione (estate). Degradazione della chitina La chitina è formata da lunghe catene, la cui unità fondamentale è un amino-zucchero, l’N-acetil- β-glucosammina, la cui degradazione comporta la liberazione di N in forma di NH3. I microrganismi più attivi in tal senso sono gli Attinomiceti, che producono chitinasi, l’enzima responsabile della rottura delle catene di amino-zuccheri, con produzione di diacetil-chitobiosio, che viene attaccato da un altro enzima, la chitobiasi, con produzione di 2 molecole di acetil-glucosammina. Alla fine, mediante l’intervento di altre reazioni, si arriva alla produzione di glucosammina, acido acetico, glucosio e ammoniaca. I principali batteri coinvolti nel processo appartengono ai generi Streptomyces e Bacillus. 3 Degradazione della lignina La lignina è un composto fenolico condensato, estremamente resistente all’attacco microbico, che accumulandosi nel terreno va a costituire la sorgente più importante dell’humus. I microrganismi più attivi nella degradazione della lignina sono i funghi, soprattutto i Basidiomiceti, i quali sono anche i principali agenti del Marciume del legno, distinguibile in: Marciume molle: consiste in una decomposizione dei costituenti glucosidici. Marciume bruno: consiste nella decomposizione dei polisaccaridi. Marciume bianco: consiste nella decomposizione contemporanea di polisaccaridi e lignina e formazione di composti solubili. Esistono anche alcuni batteri che partecipano alla demolizione della lignina, come i generi Pseudomonas, Flavobacterium, Xantomonas. È una demolizione che avviene lentamente e in assenza di O2. Ciclo dell’Azoto L’azoto subisce nel terreno una serie di trasformazioni operate dai microrganismi, e alle quali partecipano composti sia organici che inorganici. L’azoto organico viene trasformato in NH3 (mineralizzazione o ammonizzazione), la quale può essere usata dalle piante oppure può essere ossidata a nitrato (nitrificazione), infine lo ione nitrico può essere ridotto con produzione di N2 e N2O (denitrificazione). Contemporaneamente al processo di mineralizzazione, i microrganismi assimilano azoto minerale trasformandolo in azoto organico. Il ciclo dell’azoto comprende 5 fasi: 1. Fissazione: l’azoto elementare viene convertito in NH3 da parte di microrganismi sia liberi che in simbiosi con le piante. 2. Mineralizzazione: l’azoto organico viene convertito in azoto inorganico:NH4+, NO3–. 3. Nitrificazione: ossidazione dell’NH4+ in ioni NO2– e NO3– 4. Riduzione assimilativa del nitrato: riduzione del nitrato a livello di NH4+ o di N amminico come costituente della cellula 5. Denitrificazione: riduzione del nitrato e formazione di N2 e N2O. Fissazione biologica dell’azoto È il processo con il quale l’Azoto atmosferico viene convertito in NH3 da parte di microrganismi che possono essere liberi o in associazione simbiotica con le piante. I vantaggi che essa comporta sono diversi: • Avviene senza investimento di capitali • L’energia necessaria è fornita dal sole • Non si ha accumulo di NH3 • Non richiede combustibili fossili Gli svantaggi sono: • È un processo che non avviene nelle principali colture cerealicole • Le leguminose presentano una minore resa • Richiede molta energia La fissazione biologica dell’Azoto, è possibile grazie al fatto che i microrganismi possiedono un sistema enzimatico denominato nitrogenasi, che si presenta formato da due componenti: 1. enzima molibdeno–ferro: contenente 4 proteine che possono essere separate in due unità distinte 2. una ferro–proteina: composta da due sub–unità identiche. Essa combina Mg e ATP e trasferisce gli elettroni all’altro componente che riduce il substrato. La nitrogenasi è un enzima estremamente sensibile nei confronti dell’O2, inducendo quindi i microrganismi ad elaborare apposite strategie atte ad evitare il contatto dell’enzima con l’O2. Tale problema non sussiste nel caso dei microrganismi anaerobi obbligati e facoltativi, i quali non eseguono il processo di fissazione in presenza di O2. 4 Simbiosi ed associazioni azotofissatrici Le interazioni tra piante e microrganismi azoto–fissatori, sono caratterizzate da relazioni complesse che portano alla formazione di noduli radicali contenenti i batteri oppure da associazioni meno strette, nelle quali l’essudazione di carboidrati da parte delle piante stimola la fissazione di batteri liberi nel suolo. La simbiosi possono essere distinte in: • ectosimbiosi: il microrganismo azoto–fissatore è extracellulare • endosimbiosi: l’Azoto–fissatore è intracellulare Affinché il processo di N–fissazione possa svolgersi, è necessario che siano soddisfatte alcune condizioni utili per il funzionamento della nitrogenasi: • presenza di Ferro e Molibdeno, necessari alla sintesi dell’enzima • capacità di produrre ATP, necessaria per il funzionamento dell’enzima • esclusione degli ioni H+, che vengono trasformati dalla nitrogenasi in H2, danneggiando sia l’ATP che la stessa nitrogenasi • temperature compatibili con la crescita di batteri mesofili, in quanto la nitrogenasi non è attiva a temperature elevate o basse • esclusione dell’O2 che inattiva l’enzima L’azoto–fissazione richiede energia sottoforma di ATP, questa si lega alla ferro–proteina, abbassandone il potenziale redox; l’ATP non è idrolizzata ad ADP finché la ferro–proteina non ha trasferito un elettrone alla Fe–Mo–proteina. In generale la nitrogenasi non si forma quando è presente un’alta concentrazione NH3 o per l’aggiunta nel mezzo di NH+4. Poiché il processo si verifica solo nel caso in cui si esauriscono le riserve azotate del mezzo, in modo da evitare l’accumulo di Azoto fissato nell’ambiente. I microrganismi azoto–fissatori Azoto–fissatori liberi 1. Batteri eterotrofi aerobi: • Genere Azotobacter: − − con microcisti: Azotobacter chroococcum Azotobacter vinelandi senza microcisti: Azotobacter agilis Azotobacter insignis Azotobacter macrocytogenes • Genere Beijerinckia: sono acido–tolleranti, di forma bastoncellare e con dimensioni minori dell’Azotobacter. Vengono suddivisi in tre gruppi sulla base della morfologia e delle sorgenti di Carbonio usate: − mobili o immobili con attiva azoto–fissazione: Beijerinckia indica Beijerinckia lacticogenes Beijerinckia mobilis − mobile con lenta azoto–fissazione: Beijerinckia fluminensis − immobili con lenta azoto–fissazione: Beijerinckia derxii Beijerinckia acida Beijerinckia congensis • Genere Derxia: sono batteri tropicali con un alto rendimento di azoto–fissazione (pH = 5~8,5). 5 • Genere Clostridium: sono tutti batteri anaerobi, liberi, sporigeni: • Clostridium butyricum Clostridium butylicum Clostridium pasteurianus Genere Bacillus: Bacillus polymixa Bacillus macerans 2. Batteri fotosintetici e chemiolitotrofi: • • • • Genere Rhodospirillium: fotosintetici, l’azoto–fissazione è associata alla fotosintesi Genere Chlorobium: fotosintetici, l’azoto–fissazione è associata alla fotosintesi Genere Desulfovibrio: batteri chemiosintetici Genere Desulfotomaculum: batteri chemiosintetici 3. Cianobatteri: sono i microrganismi più efficienti, essendo capaci di soddisfare le loro esigenze nutritive a partire da N2, CO2, H2O e sali minerali, utilizzando l’energia solare. Essi possono svolgere l’azoto– fissazione in 2 modi: • condizioni aerobiche • condizioni anaerobiche Azoto–fissatori associati non nodulanti • Genere Azospirillium: − Azospirillium lypoférum: è capace di fissare N2 sia allo stato libero che in associazione con le radici delle piante Azoto–fissatori simbionti che formano noduli radicali Abbiamo 3 tipi di simbiosi: 1. simbiosi radicali delle Leguminose: la famiglia Rhizobiaceae comprende 2 generi, Rhizobium e Agrobacterium, che comprendono batteri aerobi obbligati che vivono in forma saprofitica nel suolo, associati alle radici delle piante. I rizobi invadono le radici delle Leguminose, inducendo le cellule corticali ad attività meristematica ed a formare una nuova struttura, il nodulo radicale, nella cui parte più profonda si insediano i batteri. Da questo momento, tramite un processo non compreso, la pianta controlla il genoma batterico: tale processo è accompagnato dalla formazione della leg-emoblobina, prodotto genetico dei due simbionti, in quanto la pianta produce la globina e i batteri il cofattore ematico. Essa è responsabile del trasporto di O2 al sistema generatore di ATP, richiesto dai batteroidi per la riduzione di N2. Morfologicamente, i Rizobi sono batteri Gram–, mobili, di forma bastoncellare e con una parete formata da tre strati. Le cellule che penetrano nell’ospite sono quelle batteroidi, di dimensioni maggiori e provviste di un involucro che le separa dall’ospite impedendo reazioni di tipo immunitario. La quantità di azoto fissato dalla simbiosi Leguminose–Rhizobium può essere, in condizioni favorevoli, assai elevata. Le specie coltivate possono fissare da 50 a 200 Kg di Azoto per ettaro all’anno. L’infezione si svolge in 4 fasi: a. preinfezione delle radici: Rhizobium specifici si moltiplicano nella rizosfera; deformazione dei peli radicali b. infezione e genesi del nodulo: i batteri penetrano nei peli radicali e si dispongono a “filo d’infezione” (filamento continuo e mucoso, circondato da una guaina cellulosica sintetizzata dall’ospite) che progredisce; formazione del tessuto del tubercolo c. maturità del nodulo (fase intracellulare): il filo d’infezione libera i batteri, che assumono forma batteroide e vengono circondati dall’involucro che li separerà dall’ospite; in questo stadio si ha la formazione di emoglobina ed avviene la fissazione 6 d. degenerazione: si ha la degenerazione del nodulo accompagnata dalla lisi delle cellule batteriche e conseguente liberazione dei batteri nel terreno, inoltre si ha la sostituzione dell’emoglobina con pigmenti biliari. 2. simbiosi radicali di angiosperme non leguminose: genere Frankia. Oltre alle leguminose, anche altre piante hanno la capacità di fissare l’Azoto atmosferico interagendo con batteri del genere Frankia, anche in questo caso si vengono a formare dei noduli perenni, a partire dalle radici laterali, la cui crescita è completamente bloccata dall’infezione. Inizialmente, i noduli sono molto simili a quelli formati dalle leguminose, in seguito però si verifica una ramificazione estremamente spinta tanto che i noduli raggiungono dimensioni enormi. Con questo metodo vengono fissati dai 60 ai 200 Kg di Azoto per ettaro all’anno. 3. simbiosi cianobatteriche. Mineralizzazione L’Azoto del terreno si trova combinato in composti organici, di origine sia animale che vegetale. L’Azoto minerale rappresenta circa il 5%, quello organico il 95%. La mineralizzazione è il processo che porta alla trasformazione dell’Azoto organico in NH4+, (ioni ammonio) e NO3– (nitrato), che si accumulano nel terreno in conseguenza di due distinti processi: 1. ammonizzazione: l’NH4+ si forma a partire dai composti organici. 2. nitrificazione: l’NH4+ è ossidato a nitrato NO3–. È possibile misurare la mineralizzazione sulla base della formazione di NH4+ (primo composto inorganico che si ottiene), ricorrendo al Potere ammonizzante potenziale, definito come la capacità che ha il terreno di liberare NH4+ in seguito alla decomposizione di composti azotati. Si ottiene l’NH3 svolta come: NH3 libera = NH3 formata – NH3 assimilata o fissata dal suolo Il Tasso di mineralizzazione (quantità di N mineralizzato nell’unità di tempo) dell’Azoto organico del suolo, definito dalla conversione in NH4+ e NO3–, è in pratica la liberazione globale di N inorganico, la cui quantità è data come differenza tra: N inorganico = N organico – (N assimilato dalle piante + N assimilato dai m.o. + N perduto per lisciviazione + N perduto per volatilizzazione durante la nitrificazione) È molto importante notare come i processi di mineralizzazione del C e dell’N sono estremamente correlati e avvengono con tassi paralleli (7–15:1). Un altro parametro che si può calcolare è il Rendimento della mineralizzazione: Rendimento = NH3 svolta N amminico nel terreno Microrganismi ammonizzanti Il processo di mineralizzazione è attuato da diversi m.o. che sfruttano l’N organico nel loro metabolismo. Il processo, nel suo complesso, è influenzato da diversi fattori: 1. tipo di m.o. presente 2. caratteristiche fisico–chimiche del terreno 3. pH 4. temperatura 5. umidità In relazione al tipo di terreno, si può dire che: − nei terreni neutri o alcalini: predominano i batteri − nei terreni acidi e aerati: predominano i funghi − nei terreni asfittici: predominano i batteri anaerobi In relazione all’umidità, la mineralizzazione procede più lentamente quando l’umidità del terreno è vicina al punto di appassimento. Inoltre il processo è influenzato anche dal contenuto di N del terreno. 7 Degradazione delle proteine Le proteine vengono inizialmente degradate, per attività di proteasi extracellulari microbiche, che scindono i legami peptidici, originando lunghe catene polipeptidiche, che verranno ulteriormente idrolizzate con rilascio di amminoacidi, i quali verranno utilizzati come fonte di C e di N di m.o. eterotrofi dopo che avranno subito processi di deamminazione e decarbossilazione. Gli enzimi che possiedono attività idrolitica sono: • esopeptidasi: idrolizzano i legami peptidici in prossimità dell’estremità della catena amminoacidica. • endopeptidasi: idrolizzano i legami peptidici che si trovano lontani dall’estremità della catena amminoacidica. Nitrificazione La nitrificazione è l’ossidazione biologica dell’NH4+ a nitrato NO3–, avendo come intermedio il nitrito NO2–. I m.o. che partecipano al processo vengono suddivisi in due categorie: 1. batteri nitrosi: ossidano l’NH4+ a nitrito NO2– : • Nitrosomonas europaea: ha forma bastoncellare, mobile o immobile, ossida l’NH3 a nitrito NO2– e fissa la CO2 come fonte di Carbonio. Si accresce bene con 5~30 °C e pH = 5,8~8,5 • Nitrosospira briensis: ha forma a spirale, mobile o immobile, ossida l’NH4+ a NO2– e fissano CO2 come sorgente di Carbonio. • Nitrosolobus multiformis: cellule suddivise in settori per l’invaginazione della membrana citoplasmatica e di altri segmenti cellulari che formano regioni vescicolari; chemiolitotrofi obbligati, ossidano NH4+ a nitrito e fissano CO2 come sorgente di Carbonio. Ottimi: 15~30 °C, pH = 6~8,2. • Nitrosococcus nitrosus: cellule tonde, mobili o immobili; chemiolitotrofi obbligati, ossidano NH4+ a nitrito NO2– e fissano CO2 come fonte di Carbonio. Ottimi: 2~30 °C, pH = 6~8. 2. batteri nitrici: ossidano i nitriti NO2– a nitrati NO3–: • Nitrobacter winogradskii: ha forma bastoncellare, immobile, si sviluppano bene con 5~40 °C e pH = 6,5~8,5 • Nitrospira gracilis e Nitrospira mobilis: vivono nel mare. Biochimismo della nitrificazione La nitrificazione è un processo che si svolge in due reazioni. I m.o. principalmente coinvolti sono il Nitrosomonas e il Nitrobacter: NH4+ + 1,5 O2 6 e– NO2– + ½ O2 NO2– + H2O + H2 [+64 Kcal/mole di NH4+] 2 e– NO3– [+18 Kcal/mole di NO2–] Entrambe le reazioni richiedono la presenza di O2 e sono esoergoniche. I fattori fisici che influenzano l’attività dei batteri nitrificanti sono: • richiedono molto O2 • vivono bene in terreni alcalini (pH = 8~8,5) • il processo è sfavorito dalla luce • la temperatura ottimale è di ~25 °C. • essendo batteri chemiosintetici obbligati, richiedono O2. Questo tipo di nitrificazione è detta nitrificazione autotrofa, per distinguerla da quella eterotrofa, attuata da m.o. che partono da composti azotati ridotti come l’NH3, per ottenere i nitrati. Questi m.o. si sviluppano in condizioni avverse per i batteri autotrofi, e possiedono un meccanismo di nitrificazione completamente diverso. Le specie interessate sono: • Aspergillus flavus, Nocardia e Agrobacterium. 8 Nitrificazione del terreno agrario I fattori che si devono considerare sono: • Ricchezza del terreno in batteri nitrificanti: i batteri nitrificanti sono presenti in tutti i terreni, eccetto in quelli eccessivamente acidi; sono situati negli strati superiori. • Tenore del terreno in nitrati: la presenza dei batteri nitrificanti varia con la stagione, con la profondità e a seconda che il terreno sia coltivato o meno. Denitrificazione La denitrificazione è la riduzione del nitrato con produzione di gas e conseguente perdita dell’N fissato. Biologicamente il processo si presenta come un insieme di processi di respirazione anaerobica, in cui il nitrato è l’accettore finale in una catena di trasporto elettronico: Nitrato Nitrito NO2– NO3– riduttasi Ossido nitrico NO riduttasi Ossido nitroso N2O riduttasi N2 riduttasi L’assimilazione dei nitrati come fonte di N è attuata da funghi, batteri e lieviti. La denitrificazione si divide in: • denitrificazione assimilativa: l’NH4+ viene ottenuto dall’uso del nitrato come fonte di N per la sintesi delle proteine. Non causa una perdita di N, ma una temporanea immobilizzazione • denitrificazione dissimilativa: il nitrato NO3– viene usato come accettore di elettroni in reazioni di ossidazione. È la vera denitrificazione, dove il nitrato sostituisce l’O2 in un meccanismo respiratorio. Specie Pseudomonas. I batteri denitrificanti Il processo di denitrificazione è attuato da diversi batteri, dei quali, alcuni partecipano a tutto il processo e altri solo a determinate fasi; essi possono essere divisi in tre gruppi: 1. batteri che possono ridurre solo il nitrato NO3– a nitrito NO2– 2. batteri che possono ridurre il nitrito NO2– ma non il nitrato NO3– perché mancano della nitrato–riduttasi 3. batteri che riducono il nitrato NO3– a ossido nitroso N2O secondo tre vie: a. in anaerobiosi per riduzione dei nitrati b. in aerobiosi durante l’assimilazione del nitrato c. in aerobiosi durante l’ossidazione di NH4+ a NO3–. Denitrificazione del terreno È l’ossidazione del nitrato NO3– con liberazione di Azoto in forma di N2 o di N2O. I fattori che aumentano tali perdite sono: • aumento di umidità che determina mancanza di O2 • alte temperature • leggera alcalinità • consumo di O2 nel terreno da parte di radici e m.o. • disponibilità di composti organici ossidabili come donatori di elettroni. I fattori che rallentano il processo sono: • siccità • aerazione • acidità del suolo. 9 Ciclo dello Zolfo Lo Zolfo è un elemento molto importante nella nutrizione delle piante e dei m.o., i quali lo usano principalmente come solfato. Il ciclo dello S comprende reazioni di ossido–riduzione, che implicano il trasferimento di 8 elettroni dalla forma più ossidata (solfato) a quella più ridotta (solfuro). I m.o. che partecipano al processo sono responsabili delle reazioni di: • Mineralizzazione. • Organicazione. • Ossido–riduzione. A differenza dell’N, la cui fonte principale è rappresentata dall’atmosfera, lo S rientra nella composizione di rocce sedimentarie. I due cicli, tuttavia, hanno in comune il processo di mineralizzazione delle forme organiche, affinché i due elementi siano assimilabili. Mineralizzazione dello Zolfo organico Lo S organico si trova prevalentemente sotto forma di amminoacidi solforati liberi (cistina, metionina, taurina), di solfati organici (solfato di colina), esteri solforici di glucidi e lipidi. La mineralizzazione è il processo che porta alla trasformazione dello S organico in solfuri, e può avvenire sia in aerobiosi (operata dai batteri eterotrofi del genere Pseudomonas e Proteus), che in anaerobiosi (operata dai batteri del genere Desulfovibrio). Anche i solfati vengono ridotti in anaerobiosi, portando alla formazione di H2S, tramite reazioni di tipo autotrofo. Lo S mineralizzato può essere usato dai m.o. come: • donatore di H e sorgente di energia • agente riduttore nell’assimilazione della CO2 atmosferica • accettore di H Riduzione ed ossidazione dello Zolfo minerale La riduzione dello S può essere assimilativa o dissimilativa: • la riduzione assimilativa del solfato in solfuro, porta alla formazione degli amminoacidi solforati, che entrano nella composizione delle proteine • la riduzione dissimilativa del solfato dipende dall’ossidazione combinata di composti ridotti di carbonio o dall’idrogeno, ed è riferita a specie di Desulfovibrio che possono utilizzare come sorgenti ridotte di energia soltanto lattato, piruvato, malato e idrogeno. Ossidazione chemiotrofica Gli ossidanti chemiotrofici costituiscono un gruppo alquanto eterogeneo di batteri, dei quali i più importanti sono i Thioleucobacter, appartenenti alla famiglia Thiobacteriaceae, genere Thiobacillus, che comprende m.o. autotrofi che dall’ossidazione dei composti ridotti dello S traggono l’energia per ridurre la CO2. A questo genere appartengono: • Autotrofi stretti: ossidano solo i composti dello S: o Aerobi stretti: Thiobacillus thioparus: si sviluppa bene in ambiente neutro (pH = 6~8) Thiobacillus neapolitanus: si sviluppa bene in ambiente neutro (pH = 6~8) Thiobacillus thiooxidans: si sviluppa bene in ambiente acido (pH = 1~3,5) o Anaerobi facoltativi: usano i nitrati in assenza di O2: Thiobacillus denitrificans • Autotrofi facoltativi: Thiobacillus novellus Thiobacillus intermedius • Eterotrofi: usano contemporaneamente i composti dello S e i substrati organici: Thiobacillus perometabolis Ossidazione fototrofica L’ossidazione fototrofica dei composti ridotti dello S avviene in ambienti completamente acquatici ed intermittentemente nei suoli sommersi. In tali ambienti i batteri fototrofi si trovano nelle condizioni migliori (luce, H2S e concentrazioni minime di O2) per la moltiplicazione. 10